"Il Manifesto" 01 Marzo 2001

Dini accusa "i manovali della Cia"

"Manovali della Cia". E' un atto di accusa senza precedenti quello del
ministro degli esteri Lamberto Dini. Un atto di accusa che non solo
colpisce i giornalisti di Repubblica Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo,
che hanno realizzato l'inchiesta sull'affare Telecom-Serbia. Al di là
delle
pesanti insinuazioni sul lavoro giornalistico, le parole di Dini sono
infatti
una denuncia dell'ingerenza della Cia nella politica italiana e della
prepotenza degli Stati uniti nell'ambito dell'Alleanza atlantica.
"L'inchiesta non è il lavoro di immaginazione di due giornalisti che
hanno ricevuto i pezzi di carta da qualche parte", dice Dini alla
commissione esteri del senato. Pronta la replica del quotidiano, che ha

dato mandato ai suoi legali di intraprendere un'azione nei confronti
del
ministro.
Tuttavia l'intervento di Dini ha come obiettivo gli Stati uniti, prima
ancora di Repubblica. Secondo il titolare della Farnesina c'è infatti
un
legame tra i veleni sull'affare Telecom-Serbia e la politica italiana
nei
Balcani che, dice, "non è mai stata apprezzata dai manovali della Cia,
che operavano a Roma facendo propaganda contro il mio ministero. Ebbi
a lamentarmene con Madaleine Albright che negò, ma sappiamo che era
così".
Precedentemente, rispondendo alle interrogazioni alla camera, Dini
aveva smentito l'intenzione di aiutare economicamente il regime di
Milosevic e il coinvolgimento della Farnesina della transazione. Dalle
insinuazioni di Dini sulla Cia affiora però un retroscena di scontro
tra
interessi economici e geo-politici nella ricostruzione dell'area dei
Balcani.

"Il Manifesto" 01 Marzo 2001

L'ira di Lambertow
Il ministro degli esteri accusa: l'inchiesta su Telecom-Serbia è
manovrata dalla Cia
COSIMO ROSSI

" Manovali della Cia" che operano contro l'azione diplomatica del
governo itliano. Giornalisti di Repubblica che in sostanza si prestano
a
far loro da megafoni. Più che una risposta è una requisitoria quella
pronunciata dal ministro degli esteri Lamberto Dini nel corso
dell'audizione in commissione esteri del senato sull'affare
Telecom-Serbia e sui rapporti con gli Stati uniti. Una requisitoria che

chiama in causa tre ordini di questioni: le insinuazioni sull'inchiesta

pilotata, i rapporti con gli Usa, l'affare Telecom nel quadro degli
interessi nei Balcani.
Il ministro accusa esplicitamente l'inchiesta di Carlo Bonini e
Giuseppe
D'Avanzo: "Le ragioni non le conosciamo - dice - Certo non è il lavoro
di
immaginazione di due giornalisti che hanno ricevuto i pezzi di carta da

qualche parte, perché nessun giornalista può pensare di ricostruire una

vicenda così complessa". Pronta la replica del quotidiano diretto da
Ezio
Mauro e dei due cronisti, che hanno "dato incarico ai legali di avviare
nei
confronti del ministro le opportune azioni legali".
Ma il quadro in cui Dini colloca le presunte rivelazioni a Repubblica è
più
complicato. "Probabilmente - riflette il ministro - questa inchiesta è
nata in opposizione alla nostra politica nei Balcani, che non era
apprezzata dai manovali della Cia che operano a Roma e di cui abbiamo
i nomi". Un avvertimento, dunque: per dire che la Farnesina ha ancora
frecce al suo arco. E suffragato da un precedente, dato che Dini
ricorda:
"Ebbi a lamentarmene con il segretario di stato americano (Madaleine
Albright, ndr.) che negò, ma noi sappiamo che era così".
Questo per rivendicare che "non si può difendere l'interesse nazionale
accogliendo sempre le posizioni di un altro paese, anche se è il più
grande: siamo amici e con gli amici discutiamo". Parole che piacciono
al
presidente della commissione esteri Giangiacomo Migone (Ds), secondo
cui "il rapporto di lealtà in un'alleanza non comporta che si debba
essere sempre d'accordo, comporta invece delle rivendicazioni, ad
esempio sul metodo della collegialità delle decisioni politiche o della

scelta degli obiettivi".
Venendo così all'affare Telecom-Serbia e alle rivelazioni connesse, le
sfaccettature della vicenda si moltiplicano. E con esse gli
interrogativi.
Che riguardano in sostanza due aspetti: quello economico e quello
politico.
Le parole pronunciate da Dini al senato sono infatti un salto di
qualità
rispetto a quanto affermato dallo stesso ministro in mattinata alla
camera. Rispondendo alle interrogazioni, Dini aveva in primo luogo
smentito che dietro l'affare ci fosse l'intenzione di fornire "una
boccata
di ossigeno al regime di Milosevic". Il ministro aveva però fatto
capire
che la Farnesina non era all'oscuro, benché non seguisse "direttamente"

la transazione. Nei corridoi parlamentari c'è intanto chi osserva come
alla Farnesina non ci fosse solo il ministro in persona che può aver
avuto una parte in commedia nella transazione. Comunque, concludeva
Dini alla camera, "ben venga l'inchiesta della magistratura".
E così sarà, dato che sia la procura di Torino che quella di Belgrado
hanno aperto un fascicolo. Ma se le eventuali illegalità riguardano
comunque la magistratura, le allusioni di Dini sulla Cia aiutano invece
a
rivelare il possibile scenario politico in cui si collocano l'affare
Telecom-Serbia e i veleni che esala.
La premessa accertata è che gli Stati uniti vedevano come il fumo negli

occhi la politica italiana nei Balcani. E con questo, nota un esperto
di
casa ds, "si sfata anche un'idea caricaturale del ruolo dell'Italia nel

conflitto. C'erano due poli, quello della partecipazione e quello del
rientro al più presto nella legalità attraverso il G8 e il
coinvolgimento
della Russia". Tradotto: c'erano l'ansia di accreditamento presso la
Nato
di D'Alema e la diplomazia ostinata di Dini.
Tutti, comunque, si sentono di escludere l'ipotesi che gli eventuali
veleni sparsi sul caso Telecom-Serbia siano una vendetta postuma degli
Stati uniti nei confronti di Dini o dell'Italia. Chi ha praticato le
sedi
diplomatiche indica piuttosto gli "interessi commerciali".
L'affare Telecom, riflette chi ha ascoltato Dini ieri, "rientrava anche
in
una politica di condizionamento democratico di Milosevic". Del resto,
ricordava lo stesso Dini alla camera, anche la francese Alcatel e la
tedesca Siemens erano in lizza. L'Italia però è entrata nei Balcani con

tutti e due i piedi: Telecom, come Fiat e tanti altri.
Ma adesso la grande torta da affettare nei Balcani è quella della
ricostruzione: un affare da migliaia di miliardi. Una partita dove da
un
lato c'è l'Europa che lavora per l'allargamento dell'Unione e la
penetrazione commerciale, dall'altro ci sono le mire statunitensi sul
classico business della ricostruzione. Un partita in cui gli aerei Nato

hanno già fatto la loro parte, dato che - come ricorda Ramon Mantovani
del Prc - "avevano come obiettivo prioritario il sistema di
telecomunicazioni" (e chissà che anche per questo l'Italia non gradisse

il metodo tutto statunitense di selezione degli obiettivi). Che dunque
in
questo quadro ci sia un'ostilità nei confronti dell'Italia al limite
del
tentativo di delegittimazione non è da escludere. Tanto più che, come
osserva un fonte informata sulle prassi di oltreoceano, "non è che un
agente della Cia avverte Collin Powell prima di passare informazioni,
gli
agenti rispondono a tanti poteri".

"Il Manifesto" 01 Marzo 2001

Telekom serba, terra di conquista
C'è una drammatica vicenda industriale dietro l'investimento italiano e
greco nella
telefonia di Belgrado
GUGLIELMO RAGOZZINO


La controversia sulla Telekom di Serbia e sull'acquisto di una
importante
partecipazione da parte della Telecom Italia è precipitata in una
contesa politica, come spesso avviene in Italia, dai tempi gloriosi di
Antelope Cobbler. I protagonisti sono i soliti: ministri, servizi
segreti,
tangentisti, malavita. La discussione alla camera dei deputati non è
servita a offrire altri elementi di qualche valore. Le ricostruzioni di

Repubblica negli articoli di Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo, a metà
febbraio, hanno fatto testo e sono stati ripresi e citati nel corso
della
discussione alla Camera dai deputati dell'opposizione, che però hanno
rimandato ogni tentativo di conoscenza dei fatti a una futura
Commissione d'inchiesta. Commissione che dovrebbere vertere su di un
punto unico: chi ha preso tangenti e tangentine che hanno
accompagnato il pagamento principale alla Telekom serba?
Invece di prendere atto di una tale scarsa capacità di analisi, e
provare
a correggerla, il ministro degli esteri Lamberto Dini se l'è presa
molto,
al punto di attribuire alla Cia l'insieme delle rivelazioni
dell'inchiesta,
ottenendo l'insolito risultato di regalare all'inchiesta giornalistica
la
patente di verosimiglianza e all'opposizione l'opportunità di qualche
fastidioso autocompiacimento.
In questo ingorgo politico spionistico diplomatico finirà probabilmente

travolta la questione vera: l'investimento di Telecom Italia e di Ote
greca in Serbia. E si tratta di una questione quasi irrilevante per i
livelli
di attenzione italiani, di una questione mediocre per quelli
dell'economia greca, ma di una questione centrale per Belgrado. Nel
corso degli ultimi cinque anni Telecom Italia ha cambiato di nome, da
Stet che era, si è fusa con se stessa, si è divisa dai telefonini, ha
venduto le pagine gialle per poi ricomprarle, ha cambiato quattro volte

gruppo dirigente, (Tommasi-Rossignolo-Bernabè-Colaninno) ha
quadruplicato di valore, è stata privatizzata, ha dato forma a un
nucleo
duro di cariatidi bancarie e finanziarie e infine è stata giustamente
scalata da uno ben deciso. Mentre cadeva il monopolio di fatto e anche
quello naturale, Telecom Italia cercava entrate laterali in settori
contigui e scorrerie all'estero; esattamente come gli altri operatori
in
tutta Europa. Accordi, fusioni, impegni in ogni paese dove è possibile
arrivare e corsa coloniale verso i paesi meno dotati di attrezzature
telefoniche, come l'America latina o l'Africa o l'Europa dell'est. E
così in
Argentina Telecom Italia e Telefonica spagnola si sono spartite il
paese
in due (e la città di Buenos Aires) assicurandosi metà rete.
In piccolo il caso della Ote compagnia pubblica greca dei telefoni è
assai simile e tenta di sfuggire all'assedio da parte delle Telecom
maggiori allargando l'attività in Romania o appunto in Serbia.
La Serbia nella prima metà degli anni novanta ha deciso a sua volta di
privatizzare; ma se vi erano in Italia e probabilmente in Grecia molti
strati sociali e politici che contrastavano e contrastano, per quanto è

possibile, questa deriva, in Serbia le difficoltà per i privatizzatori,

capeggiati da Slobo Milosevich, devono essere state assai più forti,
anche per la tradizione autogestionaria del paese. Un intero partito,
lo
Jul, a volte indicato sommariamente come il partito personale di Mira
Markovich, moglie di Milosevich, capo del Partito socialista serbo, ha
in
sostanza avuto il compito di rappresentare gli interessi dei dirigenti
delle imprese e delle attività pubbliche in via di privatizzazione. Al
momento di stabilire chi ha comprato e chi ha venduto, chi avesse la
possibilità di mettere il veto e chi sia stato pagato per non farlo,
occorrerà riflettere su tutto questo. E tenere conto di una stranezza
nel
mondo variegato delle tangenti. Quelle che nella ricostruzione fornita
da
Repubblica appaiono come tangenti e subtangenti, sono
percentualmente identiche sul lato greco e su quello italiano dei
pagamenti; e questo farebbe pensare a compensi richiesti da chi vende
e non a quattrini per un intermediario dei compratori pagato due volte.

Ma si può anche pensare che approfittando di un intervallo tra due
periodi di sanzioni e embarghi, presumibilmente breve - e questo
Miloseviuh lo sapeva più di chiunque altro - i serbi incercassero di
tenere quattrini all'estero per avere fondi per gli usi pubblici o
privati,
militari o finanziari; chiunque avesse l'autorità di farlo. Certo c'è
quel
mattacchione di Milosevich che indica "quei mafiosi degli italiani"
come i
destinatari finali delle tangenti, ma non è necessario dargli retta.
Poi ci sono i serbi. Gli operai guadagnavano quando la Telekom era
loro,
sui 200 marchi al mese. Pochissimo certo, ma molto di più - più del
doppio - di quanto prendano ora, dopo che la Telekom è stata
modernizzata, venduta agli italiani (29%) e ai greci (20%) e poi
bombardata dagli stessi che l'avevano comprata due anni prima. Sì,
perché anche questa è una bella storia che potrebbe essere presa a
esempio da chi volesse spiegare la periodica autodistruzione che il
capitale realizza per aumentare il proprio tasso di profitto. E inoltre
da
quattro mesi gli stipendi non sono pagati e così i lavoratori
scioperano,
con manifestazioni. Italiani e Greci non sono popolari alla Telekom
serba.

"Il Manifesto" 03 Marzo 2001

Telekom Serbia, ancora sciopero?
I lavoratori chiedono aumenti salariali. E temono un "terzo
concorrente"
TOMMASO DI FRANCESCO

Ultimissime dalla vicenda Telekom-Serbia. I lavoratori dell'azienda
multinazionale che il 24 febbraio scorso avevano deciso di "congelare"
il
loro sciopero per dieci giorni, potrebbero tornare la prossima
settimana
in lotta, già a partire da mercoledì prossimo. Se, come promesso dal
nuovo governo serbo, i problemi in questo periodo non saranno risolti.
I belgradesi dunque, forse, li vedranno ancora una volta sfilare e
distribuire volantini. Nella loro piattaforma ufficiale chiedono con
forza
un aumento salariale del 100% e la costituzione del nuovo consiglio
d'amministrazione. Il loro salario medio è di circa 5.000 dinari (più
2.000 dinari per il pranzo) - dunque circa 7.000 dinari al mese, 230
marchi tedeschi (il tasso di cambio è da novembre fisso: 1 Dm=30
Dinari).
Gli impiegati laureati nell'azienda hanno il salario di circa 10.000
dinari
(più 2.000 per il pranzo) - in totale circa 400 Dm. I pagamenti - ci
dicono i lavoratori che abbiamo ascoltato - sono abbastanza regolari:
metà dello stipendio il 1 del mese, la seconda metà il 15, ed il pranzo
il
7 di ogni mese.
Naturalmente non ci sono solo questioni salariali (questi salari sono
bassissimi, ma quelli degli altri lavoratori sono da fame). Dietro la
voce
salariale non nascondono infatti le preoccupazioni per la stabilità del

posto di lavoro, sia per la gestione italiana e greca di questa
privatizzazione, ma soprattutto dopo le rivelazioni sull'"affare"
politico
internazionale che starebbe dietro la privatizzazione della telefonia
serba (del resto lo stesso sistema "segreto" utilizzato per tutte le
privatizzazioni a Est). Così, a mezza bocca, quelli che siamo riusciti
a
sentire direttamente parlano anche del timore che il governo,
attraverso
una proposta di legge del ministro delle telecomunicazioni Boris Tadic,

possa chiedere la costituzione di un nuovo polo di telefonia, il famoso

"terzo concorrente". In buona sostanza il governo, per prendere le
distanze dalla gestione della telefonia nel tempo di Milosevic, vuole
agevolare la presenza di un nuovo interlocutore. Si parla di interessi
tedeschi (che non sia servita anche a questo la vicenda delle
"rivelazioni"?).
Del resto le loro preoccupazioni sulla stabilità del posto di lavoro
sono
confermate da troppe voci. A Roma, quando abbiamo incontrato il nuovo
presidente del Parlamento, Dragoliub Micunovic, si è detto preoccupato
che tanto rumore alla fine non spingesse la Telekom a non mantenere i
propri impegni. Il presidente Colaninno non a caso decide di correre a
Belgrado. E che un terzo concorrente potrebbe insidiare le posizioni
della Telekom-Serbia è dato anche dai voraci appetiti che la telefonia
sollecita nei Balcani - dove, fatto surreale, proprio il livello
violento di
non-comunicazione tra individui e popoli ha contribuito alla
devastazione della guerra. Ma gli affari stanno tutti lì: così è andato
per
gli interessi tedeschi, della Siemens e della Telekom internazionale
nella telefonia dell'alleata Croazia, così è stato per i
favoreggiamenti
espliciti dell'ex Amministratore Onu del Kosovo, il francese Bernard
Kouchner, che ha facilitato, a dir poco, l'ingresso nella regione
martoriata dell'Alcatel, leader francese della telefonia mobile.
Surreale come la considerazione (del nostro Guglielmo Ragozzino su il
manifesto di venerdì 1 marzo) che - come da manuale, nell'intento del
capitale di avviare la propria periodica autodistruzione - è accaduto
che
i paesi che avevano investito nella telefonia di Belgrado siano stati
gli
stessi che hanno approvato, solo due anni dopo, i bombardamenti
"umanitari" sugli stabilimenti privatizzati (e sulle case dei
lavoratori).

---

Questa lista e' provvisoriamente curata da componenti
dell'ex Coordinamento Nazionale "La Jugoslavia Vivra'",
oggi "Comitato Promotore dell'Assemblea Antimperialista".

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opinioni delle realta' che compongono questa struttura, ma
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