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L’assemblea costitutiva del CEAIS a Trieste, 17 maggio 1945



AMMINISTRAZIONE JUGOSLAVA DI TRIESTE

Il 17 maggio 1945 si costituì a Trieste il Comitato Esecutivo Antifascista Italo-Sloveno (CEAIS), organo di amministrazione civile della città.

Di seguito la relazione dell’assemblea, pubblicata sul quotidiano triestino Il Nostro Avvenire.

Vogliamo evidenziare, al di là dei contenuti politici degli interventi, che il palcoscenico era “addobbato con i colori triestini e italiani, aventi in mezzo il tricolore jugoslavo ed ai lati le bandiere delle nazioni alleate”; che il primo inno ad essere eseguito fu l’Inno di Garibaldi, e dopo di esso l’Inno jugoslavo e che in seguito furono eseguiti anche gli inni sloveno, americano, russo ed inglese, nell’ordine.

E ricordiamo che quando il 12 giugno gli Jugoslavi lasciarono Trieste, ad un’amministrazione civile eletta dal popolo subentrò un governo militare.

Claudia Cernigoi, 17 marzo 2015


L’ASSEMBLEA COSTITUZIONALE DI TRIESTE

È sorto un nuovo organismo democratico, che rappresenterà, a fianco del Consiglio di Liberazione, il nostro popolo, padrone del proprio destino.

La manifestazione di ieri dopopranzo al Politeama Rossetti – La Consulta della città – Il popolo, attraverso i suoi rappresentanti, discute dei fondamentali problemi della vita cittadina – Fronte unico della forze sane e ricostruttive tese verso un migliore avvenire.

Chiare parole degli esponenti politici.

Ha avuto luogo al Politeama Rossetti, con inizio alle ore 18, la storica assemblea generale della città di Trieste. Nei giorni precedenti si sono tenute le riunioni nei singoli settori e aziende per l’elezione veramente democratica dei rispettivi rappresentanti.

L’enorme sala presenta un aspetto insolito per la presenza di un pubblico d’eccezione: questa volta è qui convenuto tutto il popolo lavoratore della città, con tutti i ceti e tutte le categorie. Il servizio di guardia è disimpegnato dai garibaldini della brigata “Trieste”, quei provati combattenti che sono la più pura espressione del nostro popolo. Sul palcoscenico, addobbato con i colori triestini e italiani, aventi in mezzo il tricolore jugoslavo ed ai lati le bandiere delle nazioni alleate, siedono ad un tavolo ricoperto d’azzurro i componenti l’Assemblea.

Parla il compagno Giuseppe Gustincich.

Il compagno Gustincich prende per primo la parola. Egli, prima di aprire la seduta, porge i saluti ai delegati di tutti i ceti sociali, saluta il glorioso esercito jugoslavo, la IV armata in special modo, le gloriose forze garibaldine in seno all’armata jugoslava, la brigata d’assalto “Trieste”, la brigata “Fontanot” e la “Picelli”, i rappresentanti delle forze armate inglesi, delle forze armate americane, la missione militare sovietica, la missione militare americana e la missione militare britannica. Poi egli dice:

“In questo momento in cui Trieste vive in un’atmosfera tale che giammai essa ne conobbe una comparabile, in questo momento in cui un avvenimento di capitale importanza ci ha portato ad una svolta decisiva nella storia della nostra bella città, indubbiamente una nuova era democratica si è aperta, pregna di fecondo sviluppo e di grande avvenire. Noi siamo consapevoli  di vivere quest’epoca, di parteciparvi con tutta la nostra anima, con tutta la nostra fede, sapendo ciò che vogliamo, sapendo che Trieste non potrà essere che ciò che tutti i Triestini desiderano ed aspirano non solo oggi, ma da molti e molti anni. Questo avvenimento si profila ormai in un modo così sincero, così schietto, in un modo così palpitante che nessuno può mettere in dubbio il suo esito. Vi ho detto che sarò breve, ma sento che, trascinato da questo stato di cose a cui tutti noi partecipiamo ,vorrei parlare molto, e non certo per fare il poeta o il tragico, ma veramente non posso.

“Perciò prima di chiudere, mi sia permesso di esprimere la speranza, che tutta la cittadinanza di Trieste, da voi rappresentata, potrà dire, non solo alla nostra Trieste, non solo alla nostra provincia e all’Europa, ma al mondo intero ciò che i Triestini vogliono”.

Dopo l’inno di Garibaldi eseguito dall’orchestra ed entusiasticamente accolto dai presenti, il compagno Radich interpretando il pensiero di tutti i lavoratori e cittadini presenti, porge un cordialissimo saluto al Consiglio di Liberazione della città di Trieste.

Eseguito ancora l’inno jugoslavo, si passa alla trattazione dell’ordine del giorno. Il compagno Rudi Ursichlegge la relazione sulla situazione politica della città.

La relazione del segretario del Consiglio

“Compagni e compagne! Signori e signore!

Un avvenimento non normale, non comune, ci trova oggi riuniti. La democratizzazione degli ordinamenti, della rappresentanza della nostra città, fa un altro gigantesco passo in avanti. Per la prima volta nella storia di Trieste si verifica il fatto che la stragrande maggioranza della popolazione ha, in una forma veramente democratica, senza costrizioni, senza paure, manifestato la sua volontà con l’elezione dei delegati.

La maggior parte di costoro sono vecchi combattenti antifascisti che hanno, nei giorni decisivi dell’insurrezione armata, impugnato le armi, che hanno dimostrato di sapere, all’occorrenza, esporre la propria esistenza per la causa democratica, per il benessere della propria città. Una cosa risulta evidente da tutto l’andamento della vita cittadina: la volontà di tutte le persone oneste di normalizzare quanto prima la vita della città stessa, di voler quanto prima dare alla città l’assetto che le assicuri l’avvenire. Nessuna tendenza, da parte delle grandi masse, a drammatizzare gli avvenimenti, nessuna tendenza a voler rendere pesanti i rapporti tra la cittadinanza e la direzione politica ed amministrativa della città stessa, ma piena comprensione dei gravi momenti che la città sta attraversando.

Problemi di carattere tecnico e politico, amministrativo e talora militare si accavallano, e la loro soluzione richiede una sempre più grande responsabilità, una sempre maggiore decisione, nonché una larga base su cui dovrà poggiare il Consiglio di Liberazione. I problemi da risolvere destano l’interesse di tutta la cittadinanza; per tale ragione si richiede che tutta la popolazione concorra in modo adeguato, in modo attivo, all’amministrazione della città attraverso i propri delegati, attraverso la propria rappresentanza legale.

Dobbiamo constatare che la soluzione attuale è caratterizzata da un senso di provvisorietà in via di coagulamento, con separazione netta tra elementi sinceramente democratici, i quali vedono nella soluzione di Trieste autonoma in seno alla nuova Jugoslavia, del porto franco di Trieste senza alcuna barriera doganale, senza alcun proibizionismo, senza alcun vieto quanto vano ostruzionismo per il commercio continentale e intercontinentale, che trova la sua via più naturale dal centro e dall’oriente europeo in Trieste, l’unico mezzo per realizzare le aspirazioni popolari e democratiche che devono stare alla base di ogni ordinamento realmente democratico, nonché, dicevamo, separazione netta dagli elementi reazionari o tendenzialmente reazionari, comunque, ancora accecati da quello spirito sciovinistico che trascende, che nega, che calpesta i reali effettivi interessi del popolo. Elementi reazionari i qual spingono a soluzioni di vario genere (prevalentemente  soluzione italiana), ma che hanno tutti un fondo comune: lotta contro la democrazia progressiva jugoslava, avamposto del mondo democratico: lotta contro ciò che rappresenta progresso incondizionato manifestatosi nella forma della guerra di liberazione nazionale, lotta contro il potere popolare negatore di ogni cricca, di ogni marcio compromesso, di ogni lavorio subdolo atto ad assicurare il dominio a singole caste: in breve, lotta contro la democrazia conseguente.

Qualcuno vorrà chiedersi quale è la causa che ha permesso una così sollecita e decisiva vittoria contro i tedeschi ed i loro complici locali, con conseguente liberazione della città, una così sollecita normalizzazione della vita cittadina.

Dobbiamo rilevare che l’avanzata addirittura fulminea della IV Armata dell’esercito jugoslavo, avanzata caratterizzata dalla nuova strategia che ha dell’eccezionale, secondo le dichiarazioni di esperti militari, e l’insurrezione armata delle masse cittadine, sono le cause che hanno portato al rapido disfacimento dell’apparato bellico tedesco collegato a quello dei suoi complici locali.

L’insurrezione armata delle masse popolari cittadine è stata possibile, dal punto di vista militare, in grazia alla lotta che la IV Armata svolse nelle immediate vicinanze della città; dal punto di vista politico, in grazie alla raggiunta unione dell’elemento italiano e sloveno della città. L’insurrezione armata, a sua volta, ha fortificato, ha cementato questa unione, dandole il carattere di solidarietà, togliendo, se ve n’erano dei leggeri veli che, eventualmente, potevano offuscare i rapporti tra i due popoli. La lotta è stata il catalizzatore che ha affrettato questa fusione, dandole una veste ed un contenuto non comune, non occasionale. L’unione, già realizzata sul piano politico dall’elemento sloveno ed italiano, doveva passare sul banco di prova, doveva affrontare una prova tale che collaudasse tutto l’insieme e contemporaneamente tutte le singole parti componenti: doveva, affrontando tale prova, o consolidarsi o perire. Tale prova fu l’insurrezione armata ed essa fu brillantemente superata.

Cause ed effetti trasformantisi le une e gli altri, mostrano chiaramente che la sorte militare e politica della nostra città era ed è strettamente, inscindibilmente collegata al problema generale militare e politico della nuova Jugoslavia che ha per base essenziale la fratellanza dei popoli, la cui armata regolare è un esercito sorto dall’insurrezione popolare. Ricorrendo a immagini, potremmo dire che Trieste  è troppo vicina al focolaio su cui si forgiano i destini della nuova Jugoslavia, in nome della più profonda e conseguente democrazia, per non sentire nell’aria una soluzione qual è quella da noi prospettata, per non sentire nella nostra stessa carne quanto tutti i popoli jugoslavi hanno sentito, per non vedere qual’è la via maestra che conduce ad un futuro pregno di fecondi sviluppi nell’armoniosa collaborazione dei popoli.

La lotta non soltanto ha cementato l’unione degli italiani e degli sloveni della città, ma ha pure ravvicinato, affratellato Trieste al complesso jugoslavo nel suo insieme. I Croati e Dalmati, nonché i Montenegrini della IV Armata si sono presentati alla città quali liberatori, quali democratici, quali elementi che hanno lottato, sofferto, sparso il proprio sangue, e con ciò hanno mostrato l’intimo legame venuto a stabilirsi fra la nostra città ed il complesso jugoslavo. Non è soltanto il patriota triestino che ha lottato e lotta per la propria città, sono pure i figli dei vari popoli jugoslavi, che hanno inteso il dovere di liberare la nostra città, che hanno versato il proprio sangue pur di cacciare l’odiato occupatore. I tremila morti della IV Armata sulle alture circostanti hanno gettato un ponte indistruttibile fra Trieste e la restante Jugoslavia: le decine di morti e i più che 400 feriti sono l’anello di sposa offerto da Trieste alla democratica e federativa Jugoslavia di Tito.

L’insurrezione armata ha impedito la distruzione della città da parte delle orde naziste e dei loro servi, ha sventato le manovre dei reazionari locali camuffati da democratici, i quali non hanno esitato a scendere a trattative col nemico, pur di afferrare la direzione politica della città, pur d’insediarsi nei posti direttivi dell’amministrazione cittadina. Questa insurrezione ha permesso che venga distrutto l’apparato statale dell’occupatore e dei suoi complici locali, con la costruzione conseguente di un altro apparato nelle mani delle masse popolari.

L’insurrezione ha riconfermato in modo inequivocabile il principio partigiano: “Tanta libertà avrai quanto per essa sacrificherai”. La liberazione della città  però ci ha apportato nuovi compiti, più importanti ancora che non quello, sotto certi aspetti negativo, dell’insurrezione armata: bisogna ricostruire, bisogna ricostruire presto, bisogna attivare tutte le nostre forze per dimostrare al mondo che i triestini sono capaci di governarsi altrettanto bene quanto gli altri. Quanto prima riattiveremo le nostre industrie, i nostri trasporti, il nostro porto, il nostro commercio, insomma tutta la nostra vita economica, tanto più presto rafforzeremo il blocco delle forze antifasciste cittadine, tanto più consolideremo la fratellanza fra l’elemento italiano e sloveno della nostra città.

Non deve formarsi una generica occasionale collaborazione che presupponga intendimenti, programmi ed ideologie diversi, bensì un’unica massa che lavora ed agisce con unici intendimenti, con unici programmi ed ideologie. Non esiste in città una parte di popolazione che debba collaborare con un’altra parte che comandi, bensì tutta la popolazione avente come unico fine il benessere della città ed il suo prosperoso avvenire, si mette all’opera e lavora per il conseguimento di tale fine.

Vani però sarebbero i nostri sforzi per la ricostruzione, se non si conducesse a fondo l’opera di epurazione di tutti gli elementi fascisti e profascisti, i quali cercheranno di colpirci proprio nel campo della ricostruzione economica, giacché politicamente essi sono già sconfitti e non hanno la possibilità di affrontarci di fronte. Intensificare bisogna l’epurazione, accelerarle, renderla realtà e non pio desiderio. Colpire bisogna tutti quei fascisti che hanno ora indossato la casacca democratica trasformandosi da fascisti in paladini della democrazia, pur continuando a covare i loro tenebrosi sogni di asservimento della società. Tale opera  di epurazione potrà essere intensificata solo nel caso in cui l’unione degli elementi italiano e sloveno si rafforzi, soltanto nel caso in cui vi sia rispetto nazionale reciproco.

Riconosciamo senz’altro, che qua e la si sono verificati degli spiacevoli incidenti, casi d’incomprensione. Certi elementi, con le loro azioni inconsulte, hanno fatto intravedere tendenze sciovinistiche presso certi elementi sloveni, che sarebbe però errato voler generalizzare.

Bisogna assolutamente chiarificare l’atmosfera, bisogna in modo ragionevole togliere gli ostacoli che consapevolmente o inconsapevolmente sono frapposti fra l’elemento italiano e sloveno, bisogna mostrare al mondo che la lotta in comune ha realmente generato la fratellanza indistruttibile dell’elemento italiano e sloveno. Non sterili risentimenti, non vane rampogne, bensì opere di chiarificazione. Accanto a ciò sta l’imprescindibile necessità di mobilitare quanto prima tutte le forze atte al rafforzamento, sulla base del volontariato, del nostro esercito popolare, il quale condurrà a termine l’opera di epurazione di tutti gli agenti hitleriani e dei vari Quisling. Deve essere parola d’ordine nostra, sentimento di responsabilità di ogni giovane valido, orgoglio di ogni padre, ambizione di ogni madre, il sapere che il proprio fratello, che il proprio figlio, che il proprio padre è un soldato dell’esercito di Tito.

Soltanto una disciplina cosciente, un sentimento di responsabilità collettiva e contemporaneamente individuale, permetterà l’assolvimento di tutti i compiti. Uno spirito di disciplina nel quadro della fratellanza italo – slovena è la base essenziale per ogni futuro sviluppo, per ogni futura miglioria, per ogni prosperoso avvenire della nostra città. Non esiste avvenire per la nostra città all’infuori della fusione delle volontà degli italiani e degli sloveni della città stessa. In vista di ciò dobbiamo lavorare avendo a base delle nostre aspirazioni tale principio e considerando l’impossibilità di altra soluzione all’infuori di quella prospettata.

Poi l’orchestra suona l’inno sloveno, sottolineato da clamorose acclamazioni alla fratellanza italo – slovena, alla autonomia di Trieste in seno alla democratica Jugoslavia, al maresciallo Tito e al maresciallo Stalin.

Parla quindi il compagno Bevk, che porta il saluto del Comitato regionale di liberazione nazionale.

Il discorso del compagno France Bevk.

Egli rileva che la riunione della Assemblea cittadina avrà un’importanza storica per Trieste, come è stato d’importanza storica il momento in cui le truppe del maresciallo Tito hanno liberato la città dall’occupatore tedesco e dai fascisti.

A ognuno che pensi onestamente, è perfettamente chiaro che noi non siamo entrati nella città come occupatori, ma come liberatori e non abbiamo portatola vendetta o l’odio, ma la convivenza pacifica.

Malgrado i dolorosi ricordi degli ultimi 25anni, abbiamo soffocato ogni traccia di sciovinismo nazionale. Vogliamo la collaborazione più stretta colla popolazione democratica italiana, nel reciproco interesse e per la felicità, lo sviluppo e il progresso di Trieste e del suo retroterra naturale. Per più di quattro anni abbiamo sanguinato e combattuto contro l’occupatore tedesco e l’oppressore fascista, non solo per la nostra libertà nazionale e i nostri diritti democratici, ma anche per le libertà nazionali e per i diritti democratici degli altri popoli.

A questi principi di libertà, noi democratici popolari, rimarremo fedeli fino alla fine. Questo viene chiaramente dimostrato dal fatto che il nostro potere militare dopo alcuni giorni ha già consegnato l’amministrazione della città al Consiglio di Liberazione di Trieste, cioè nelle mani del suo popolo.

Speriamo e desideriamo che la situazione politica permetterà che questa amministrazione si trovi presto nelle mani delle masse popolari oneste e democratiche di Trieste. Così Trieste potrà essere finalmente autonoma nella Jugoslavia di Tito, dove si promette alla città col suo largo retroterra uno sviluppo continuo ed un benessere crescente. Quell’autonomia che il fascismo ha tolto a Trieste e che ora le sarà restituita, sta in perfetto accordo coi principi su cui si fonda la nuova Jugoslavia del compagno Tito.

Spettabile assemblea, oggi gli occhi del mondo sono fissi su di noi. Tutte le masse amanti di libertà e veramente democratiche guardano a noi e desiderano il nostro accordo, la costruzione pacifica del nostro avvenire più felice.

Ma anche la reazione mondiale guarda a noi. Quella reazione che ha appoggiato e appoggia ancora l’imperialismo fascista: quella reazione che è stata l’avversaria della democrazia e dei diritti dei popoli e che per i propri calcoli impedì la creazione e il mantenimento della pace delle nazioni in questa parte d’Europa.

Alla campagna contro la nostra libertà, contro la democrazia popolare, il vicepresidente compagno Edoardo Kardelj ha dato la risposta che vi è già nota dai giornali e perciò io non la ripeterò. Non ho neppure nulla da aggiungere alle sue parole chiare e inconfutabili. Sottolineo soltanto che malgrado tutti i diritti all’autodecisione, non intendiamo porre nessuno davanti al fatto compiuto e siamo coscienti che le questioni internazionali non si possono risolvere da una parte soltanto, ma davanti al foro internazionale.

Ma ammaestrati dalle amare esperienze del passato, dobbiamo tuttavia avere oggi garanzie abbastanza solide perché le vecchie ingiustizie non si rinnovino più.

Potrebbe però avvenire che s’incominci nuovamente là dove abbiamo cominciato nel ’18 per finire logicamente là dove abbiamo finito nel ’39, cioè in una nuova guerra. Questo però dobbiamo impedirlo ad ogni costo, nell’interesse della futura pace e per la felicità di tutta l’umanità.

Compagni e compagne! I fascisti sono stati vinti soltanto esteriormente, ma il fascismo non è ancora morto. (Voci: Morirà!).

Allo scardinamento del fascismo, del più grande nemico delle libertà umane e del progresso, dobbiamo consacrare tutte le nostre forze. Lo colpiremo con la nostra democrazia popolare, che è frutto della nostra lotta di liberazione, quella democrazia popolare che dà alle masse di tutti i ceti e di tutte le nazionalità la più larga possibilità di partecipare alle decisioni in tutte le questioni politiche, economiche e culturali: quella democrazia che ci ha dato il nostro potere popolare, i nostri comitati di liberazione nazionale ed i comitati regionali di liberazione nazionale, che oggi rappresentano i più alti poteri nel paese; quella democrazia popolare che ha dato alla città di Trieste la sua autonomia. Essa ha legato nella lotta per la libertà le masse del Litorale, per le quali incomincia una nuova vita, insieme alla certezza  che la vecchia non ritornerà mai più.

Viva Trieste autonoma nella federazione democratica jugoslava!.

I discorsi del comandante e vicecomandante della città.

Annunciato dal compagno Radich parla il maggiore generale Dušan Kveder, comandante della città.

Triestini e Triestine! In nome dello Stato Maggiore della IV Armata e in nome del Comando della città di Trieste, saluto questa prima assemblea della città di Trieste. Alle nostre truppe che secondo un piano magnifico e sotto la direzione del maresciallo Tito hanno liberato l’Istria, il Litorale sloveno, Trieste, Monfalcone e Gorizia, questa vostra manifestazione dà grande soddisfazione. E dà soddisfazione perché questa regione noi l’abbiamo liberata colle nostre forze, dopo duri combattimenti e con numerose vittime. Dà soddisfazione  perché attraverso a questa vostra manifestazione viene messo ancora una volta in luce il fatto che la popolazione di Trieste ci ritiene come benvenuti nella città. Dà soddisfazione perché attraverso questa manifestazione viene confermato che la popolazione di Trieste ritiene il nostro esercito come un esercito liberatore e perché noi sentiamo che attraverso l’onore tributato al nostro esercito voi prendete in considerazione la nuova Jugoslavia democratica.

Dà soddisfazione perché comprendiamo che attraverso questa  manifestazione voi condannate tutto il passato di schiavitù nell’ultimo secolo. Condannate il passato di Trieste nella monarchia austro-ungarica, un regime di oppressione e di odio; condannate la schiavitù fascista che ha portato la città verso la sua rovina economica e che ha distrutto qualsiasi resto di democrazia in Trieste.

Dà soddisfazione perché, nella vostra manifestazione, vediamo la vostra volontà per la pacifica convivenza della popolazione italiana e slovena. Desiderio del nostro esercito è di vedere Trieste come desiderate di vederla voi: Trieste felice, democratica, antifascista nel quadro della forte, democratica, federale e progressista Jugoslavia. Il nostro esercito è lieto di salutare in voi i rappresentanti della maggioranza, della grande maggioranza, del popolo triestino.

Viva Trieste autonoma nella federazione democratica jugoslava.

Il magg. Giorgio Jaksetich, vicecomandante della città, porge il saluto dei garibaldini combattenti nell’esercito del maresciallo Tito.

Diverse – egli dice – furono le difficoltà e i disagi della lotta, superiori a quanto si possa credere; mai però abbiamo mancato al nostro dovere, quello della lotta armata per cacciare il nemico e farla finita col fascismo. Gli anni della dominazione fascista, che hanno provocato la rovina economica della città, ci hanno spinto a lottare fino in fondo per poter por fine a questa situazione.

Dall’altra parte la visione dell’avvenire di Trieste era uno stimolo tanto grande che nessun sacrificio poteva allontanarci dal conseguire l’attuale risultato. Sui monti del retroterra abbiamo fuso le forze italo – slovene per combattere il comune nemico: il nazifascismo. Per i veri democratici, per i veri figli del popolo amanti della pace, questa unione tra italiani e sloveni non è nuova: essi si sono già trovati nelle prigioni del fascismo, nelle isole del confino e, insieme, nella lotta più grande, quella contro la peste del fascismo. Ora ci aspetta di lottare ancora insieme per ricostruire e fare sì che Trieste possa godere della pace, del lavoro, del benessere, della felicità.

Nelle fabbriche, negli uffici, tra le donne e la gioventù si deve formare il più stretto fronte unico delle forze sane e costruttive, perché dobbiamo dare alla nostra città quanto si merita ed avviarla sulle vie del progresso. Noi non ci lasciamo distrarre e distogliere dal nostro compito, dalle chiacchiere, dalle calunnie e dalle offese. Noi abbiamo la certezza del perché combattiamo. Tito sta in testa alla lotta.

La seconda parte

Si chiude la prima parte della Assemblea, e dopo un breve intervallo, durante il quale vengono suonati gli inni americano, russo e inglese, s’inizia la discussione sulla relazione politica tenuta dal compagno Ursich. Intervengono vivamente parecchi compagni.

La discussione certe sull’esigenza immediata della costituzione di un tribunale del popolo per compiere efficacemente l’opera di epurazione nella nostra città. Molti altri problemi sono affrontati e si rileva come la compattezza e l’unità del popolo potranno aver ragione di ogni altra difficoltà. Il compagno Regent traccia la linea da seguire per la ricostruzione e l’avviamento deciso verso la piena attuazione della democrazia popolare e ribadisce ancora la necessità dell’unione stretta tra italiani e sloveni per il successo della lotta. Dà lettura quindi del testo dei telegrammi da inviare all’eroe nazionale maresciallo Tito, al maresciallo Stalin, al presidente degli Stati Uniti d’America Truman, al premier del governo della Gran Bretagna Churchill, al vicepresidente del governo della Jugoslavia e ministro per la costituente Kardelj, al presidente dei ministri della Slovenia, Kidrič al vicepresidente del consiglio dei ministri italiano Palmiro Togliatti, al presidente del comitato popolare provinciale di liberazione Bevk. I presenti approvano con vivissimi applausi.

Poi avviene l’elezione, fatta dai delegati presenti, dei compagni che dovranno costituire la Consulta generale della città di Trieste. Il popolo rappresentato dimostra la sua maturità politica, l’interesse e l’entusiasmo che lo anima. Viene approvata infine la proposta che il Consiglio di liberazione possa aggregarsi altri membri.

La storica riunione popolare è chiusa a sera tarda.

Il discorso del maggiore comandante la Milizia popolare di Trieste Rudi Greif in occasione dell’Assemblea generale della città, tenutasi ieri l’altro al Politeama Rossetti.

Io saluto in nome della Milizia popolare di Trieste la vostra prima assemblea. Io la saluto in nome di coloro che a Trieste per primi impugnarono le armi, di coloro che assieme al nostro esercito regolare liberarono Trieste. Soprattutto mi sento in dovere di rispondere alle calunnie che vanno diffondendo certi elementi fascisti dell’ex CLN che se ne fuggirono a Roma. Essi affermano che noi, cioè l’armata jugoslava, abbiamo soffocato la rivolta organizzata, si crede, da loro. Compagni! Ciò è vero: noi abbiamo impedito che coloro che fino a ieri servirono fedelmente l’occupatore tedesco, come la Guardia civica, la X Mas, ecc., che coloro che fino a ieri perseguitavano e uccidevano i combattenti antifascisti triestini, venissero considerati eguali a noi. tutto ciò abbiamo raggiunto con l’avere già sotto l’occupazione tedesca organizzato e costituito a Trieste, dalle file delle masse democratiche slovene ed italiane, delle unità armate. In queste nostre formazioni accorsero tutti coloro che volevano una Trieste libera, cioè migliaia di operai delle fabbriche triestine, i cittadini , tutta Trieste ad eccezione di coloro che si trovavano al servizio dell’occupatore. Noi li abbiamo chiamati, dicendo loro di abbandonare il servizio di Hitler e di aggregarsi a noi, ma essi rimasero sordi.

Venne l’ora della rivolta: le truppe di Tito si avvicinavano a Trieste, Trieste impugnava le armi per liberarsi assieme alle truppe di Tito. Prima che le nostre unità giungessero dal di fuori, noi abbiamo disarmato parte dei servi di Hitler e attaccato reparti dell’esercito tedesco della città; dopo l’arrivo delle nostre unità operanti, che hanno espugnato in una lotta accanita i numerosi centri di resistenza degli arrabbiati nazifascisti, il nostro esercito triestino si trasformò in Difesa Popolare Triestina, che oggi ha la cura dell’ordine e della tranquillità di Trieste. Molti che fino a ieri furono sordi ai nostri richiami, molti che fino a ieri servivano fedelmente Hitler nelle varie Brigate Nere, nella Guardia civica ecc., cercano oggi di attaccare sul berretto la stella rossa, ma per costoro non c’è posto in mezzo a noi: il posto di costoro è nei campi di concentramento. Noi sappiamo che in mezzo a loro si trovano uomini che furono ingannati, che senza dubbio potranno collaborare con noi, ma prima devono dimostrare che non sono responsabili dei delitti che le formazioni dell’occupatore, e con loro la Guardia civica, perpetrarono ai danni delle masse democratiche in generale e delle masse democratiche di Trieste in particolare. Coloro che fuggirono da Trieste, con ciò solo dimostrarono di non avere le mani pulite nei loro rapporti con queste formazioni armate dall’occupatore.

Proprio coloro che cercano oggi a Roma di parlare in nome del C.L.N. triestino volevano, nei momenti decisivi, giocare a Trieste a mosca cieca. Trattarono con la Guardia civica, cioè con una formazione armata dell’occupatore, ed ostacolarono con ciò i nostri sforzi per conseguire lo sfasciamento della medesima al fine di attrarre i suoi componenti nelle forze armate del movimento antifascista della città.

Che chiacchierino e minaccino pure i vari fascisti da Roma o da qualsiasi altro luogo: le masse democratiche triestine hanno oggi nelle loro mani le armi, hanno la loro Difesa Popolare, la difesa che si trova al loro servizio, e non più al servizio dei neri criminali fascisti. Chi cerca, chiunque esso sia, di asservire di nuovo Trieste, troverà una resistenza incrollabile nelle masse democratiche italiane e slovene, le quali, come aiutarono a liberarla col proprio sangue, così sapranno anche con le proprie armi, e con la propria Difesa Popolare, difendere tutto ciò che hanno conquistato in questa lotta.

 

(dal Nostro Avvenire, 18 e 19 maggio 1945)