70.mo Liberazione / 6: 
Il ruolo dell’URSS nella II G.M.


(Sullo stesso tema vedi anche:
4: Moscow hosts Victory Day Parade
3: NOVE MAGGIO 1945–2015


Orig.: LE RÔLE DE L’URSS DANS LA DEUXIÈME GUERRE MONDIALE (1939-1945) 
par Annie Lacroix-Riz, professeur émérite d’histoire contemporaine, Paris 7 – Mai 2015




Il ruolo dell’Unione Sovietica nella seconda guerra mondiale (1939-1945) 

di Annie Lacroix-Riz

In questo 8 Maggio 2015, la nostra compagna, la storica Annie Lacroix-Riz, torna per www.initiative-communiste.frsul ruolo dell’Unione Sovietica nella Seconda Guerra Mondiale.

Annie Lacroix-Riz, professore emerito di storia contemporanea, Parigi 7

Maggio 2015

Due anni dopo la sua vittoria sulla Wehrmacht e il nazismo, inizia ufficialmente la “guerra fredda”, l’Armata Rossa, cara a tutti i popoli europei fin dal giugno 1941, si trasformò per l’”Ovest” in una minaccia [1]. Oggi la storiografia francese, la sua mutazione filoamericana vecchia di trent’anni compiuti, si è dedicata alla calunnia pubblica dell’URSS sia per la fase del patto di non aggressione tedesco-sovietico che ormai anche per quella della “Grande Guerra Patriottica”. I nostri manuali, equiparando il nazismo e il comunismo, surclassano gli storici dell’Europa dell’Est riciclati in Occidente. I grandi media, che incensano gli “storici dei consensi” [2] per lo “spirito libero da ogni settarismo”[3], hanno trasformato lo sbarco “americano” (anglo-americano, Commonwealth incluso) del 6 giugno 1944 nell’evento militare decisivo (Leggi qui). Martellamento efficace. I sondaggi IFOP sul rispettivo contributo dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti alla condotta militare della Seconda Guerra Mondiale, o “alla vittoria sui nazisti” si sono, tra il maggio 1945 e il maggio 2015, direttamente invertiti: 57% per l’URSS alla prima data (20% per gli Stati Uniti); 54% per gli Stati Uniti oggi, fino al 59% tra quelli sotto i 35 anni [4], vittime principali della rottura dell’insegnamento della disciplina storica.

Questa inversione politica stabilisce il doppio trionfo in Francia dell’egemonia americana e un’inquietante russofobia dal 1917, limitata per decenni dall’esistenza di un potente partito comunista presente sul terreno della storia, ma notevolmente accentuata dal crollo dell’Unione Sovietica. Essa non è correlata alla tabella che si ha sulle fonti originali del ruolo svolto dall’URSS durante la Seconda Guerra Mondiale.

Dal sabotaggio dell’Accordo franco-anglo-polacco al patto tedesco-sovietico

Ciò che fece l’Unione Sovietica quando il Blitzkrieg schiacciò l’Europa (settembre 1939 – maggio 1941) ha attirato negli ultimi decenni molti lavori scientifici, in particolare anglofoni [5]. Essi si ricollegano in generale alla tesi, fermamente sostenuta tra la guerra e il 1960, dai prestigiosi Lewis B. Namier, AJP Taylor (storici) e dal giornalista Alexander Werth [6], il padre di Nicolas, che simboleggia tanto la russofilia di guerra e del dopoguerra quanto suo figlio incarna la russofobia contemporanea.

L’argomento in questione è semplice e reale. L’ostinazione franco-britannica, sostenuta dagli Stati Uniti [7], nella politica di capitolazione alle potenze fasciste denominata “Appeasement” ha rovinato il progetto sovietico, chiaramente enunciato nel 1933-1934, di “sicurezza collettiva” dei paesi europei, dell’Est e dell’Ovest, minacciato anche dalla politica di espansione del Reich tedesco. Lo stroncamento sul nascere dei patti franco-sovietico e ceco-sovietico (2 e il 16 maggio 1935), e il rifiuto ostinato occidentale del “l’alliance de revers”, di cui la prima guerra mondiale aveva dimostrato l’efficacia, porta contro l’URSS gli accordi di Monaco per i quali, nella notte del 29-30 settembre 1938, Parigi, Londra, Berlino e Roma smembrarono la Cecoslovacchia (consegnando i Sudeti alla Germania dal 1° ottobre 1938). Dopo l’assalto finale del 14-15 marzo 1939 (satellizzazione della Slovacchia e annessione di Boemia e Moravia), condotto dalla Wehrmacht contro il moncone dell’ex alleato principale ufficiale della Francia, l’URSS isolata fu costretta a mantenere una rigorosa linea, nonostante la leggenda di una “svolta” politica estera franco-britannica, lasciando al Reich “mano libera in Oriente”: questa espressione familiare per tutti gli “Apaiseurs” francesi, inglesi e altri (tra cui il ministro della Guerra e presidente del Consiglio, il radicale Edouard Daladier) è stata comunemente utilizzata nelle trattazioni del 1938-1939 tra i ministri degli esteri francese e tedesco, Georges Bonnet e Ribbentrop. L’URSS si rassegnò a firmare il patto tedesco-sovietico del 23 agosto 1939 che la risparmiava temporaneamente. [8]

Così finì la missione franco-britannica inviata a Mosca dall’11 al 24 Agosto 1939 per calmare le opinioni che esigevano dal 15 marzo, il fronte comune con l’URSS che questa proponeva. Mosca, iniziatrice dei negoziati tripartiti dopo il colpo di Stato che metteva fine alla Cecoslovacchia, chiedeva la ricostituzione dell’alleanza difensiva automatica e reciproca del 1914. L’accordo militare avrebbe dovuto associare la Polonia e la Romania, feudi del “cordone sanitario” antibolscevico dal 1919 di cui Parigi e Londra avevano nel marzo-aprile 1939 “garantito” unilateralmente i confini (senza la minima intenzione di difenderli né con attrezzature né con l’invio di truppe) e gli Stati baltici, vitali per la difesa della “Russia Europea” (Augostin-Anthony Palasse, addetto militare francese) [9].

Dopo mesi di tergiversazioni offensive per i russi e mortali per i confini dei paesi europei, Londra e Parigi delegarono nei confronti dei capi militari sovietici l’ammiraglio britannico Reginald Drax e il generale francese Joseph Doumenc. Questi due oscuri ufficiali, “richiedenti” partiti “a mani vuote” (Doumenc) con una nave mercantile molto lenta (cinque giorni di traversata), erano stati incaricati di far portare ai sovietici esclusivamente il cappello della “farsa di Mosca”: l’obiettivo era, si illudeva Londra, al momento in cui il Reich avesse ammassato le sue truppe ai confini della Polonia per l’assalto imminente, di “lasciare la Germania sotto la minaccia di un patto militare anglo-franco-sovietico e guadagnare così l’autunno o l’inverno ritardando la guerra”. Quando il Commissario di Guerra e comandante in capo dell’Armata Rossa Kliment Vorošilov, “preciso, diretto”, propose ai due emissari impotenti, il 12 agosto, “l’esame concreto dei piani di operazioni contro il blocco degli Stati aggressori” e presentato i suoi pieni poteri, essi confessarono di non essere abilitati a firmare un accordo militare.

Parigi e Londra erano determinati a non fornire alcuna assistenza economica o militare ai loro “alleati” dell’Est. Avevano delegato il compito all’URSS rendendoglielo assolutamente impossibile: Varsavia (soprattutto) e Bucarest (che dagli anni 1920 avevano concluso accordi politici e militari reciproci rivolti esclusivamente contro l’URSS) avevano rifiutato il diritto di passaggio (con i loro tutori occidentali) all’Armata Rossa. Ma questa clausola era la conditio sine qua non geografica del suo intervento, dal momento che l’URSS non aveva alcuna frontiera comune con la Germania dal trattato di Versailles. Avendo “garantito” senza consultare la Polonia (che non voleva da loro “garanzie”), Francia e Regno Unito si vincolarono al preteso veto, incoraggiando alla vista di tutti, Sovietici inclusi, la cricca filo-tedesca che regnava a Varsavia. Degno emulo del suo “alleato” tedesco in materia di antisemitismo, il capo del “regime di colonnelli polacchi”, il colonnello Jozef Beck, uomo di punta di Hitler e Ribbentrop che si erano serviti di lui, tra gli altri, come delegato e informatore alla Società delle Nazioni ufficialmente abbandonata dal Reich nel mese d’ottobre del 1933, essendo stato la “iena” o “avvoltoio” (termine utilizzato da tutte le cancellerie straniere, tra cui l’AuswärtigesAmt, Ministero degli Affari Esteri), complice dello smembramento tedesco della Cecoslovacchia del 1938.

La sua vendetta insaziabile contro Praga – la stessa di quella del suo predecessore e capo Pilsudski – aveva guadagnato alla Polonia la mancetta, effimera, della concessione del territorio della Slesia di Teschen strappato alla Cecoslovacchia dopo Monaco: la ricompensa dei suoi misfatti durò meno di un anno fino all’invasione tedesca. Con la Wehrmacht alle porte, Beck invocò, lirico, “il testamento” di Pilsudski, “Con i tedeschi rischiamo di perdere la nostra libertà, con i russi, perdiamo la nostra anima”. [10]

Il dossier aveva altre molle, meno spirituali. La Polonia aveva preso ai Sovietici nel 1920-21 con l’aiuto militare francese (Maxime Weygande, aiutato in particolare da De Gaulle) la Galizia orientale dell’ex impero russo, popolata da Ucraini e Bielorussi (l’attuale Ucraina occidentale). Cieco, più che mai dopo il 1933, agli appetiti territoriali tedeschi, perseguitando allegramente le popolazioni maggioritarie, non-polacche, essa tremava al fatto che l’Armata Rossa aveva preso il controllo di questi territori a meno di 150 Km a Est della “linea Curzon”: questo limite etnico tra Polonia e Russia era stato fissato nel dicembre 1919 dal Ministero degli Esteri britannico, certo di cacciare presto dal potere i bolscevichi e mettere a disposizione dei “Bianchi” queste zone, poiché l’intento era quello di cedere le ricchezze del Caucaso (Bakou e Grozny) alla Royal Dutch Shell di Sir Henry Deterding: questo araldo dell’anticomunismo, petroliere, finanziatore di tutti i complotti “ceceni” del periodo tra le due guerre fino alla sua morte (4 febbraio 1939) e grande fornitore di petrolio al III Reich, apprezzava tanto questo regime e i suoi capi che risiedette a Berlino dopo il suo ritiro ufficiale nel 1936.

Varsavia aveva firmato con Berlino, il 26 gennaio 1934, una “dichiarazione di non-aggressione e d’amicizia”, chiamato “trattato tedesco-polacco” concluso per dieci anni. Redatto dall’AuswärtigesAmt, questo pezzo di carta le interdiceva formalmente, tra gli altri obblighi, ogni accordo con l’URSS e con i suoi vicini slavi: essa applicava scrupolosamente da parte sua tutte le condizioni, in primis russofobe e antisemite, di un testo che s’inseriva nel dispositivo generale di preparazione, in bella vista dei suoi “alleati” occidentali, della sua liquidazione territoriale. La Romania temeva di perdere la Bessarabia che aveva preso ai Russi nel 1918 e conservato dopo (ufficialmente, nel 1924) solo grazie al sostegno della Francia, capofila ufficiale insieme a Londra, dell’antibolscevismo mondiale. Comunque bisogna dire che essa aveva più paura del Reich che della cricca dei colonnelli storicamente attaccati alla tutela austriaca e prussiana. L’URSS non ottenne dagli Apaiseurs francesi e inglesi “garanzie” delle frontiere dei Paesi Baltici, la cui “indipendenza” dal 1919-1920 era tutta al servizio della realizzazione del “cordone sanitario”. Parigi e Londra ridacchiarono prontamente alle sue richieste dopo il marzo-aprile 1939: in compagnia degli ambasciatori americani, essi accusarono Mosca di pensare solo a “bolscevizzare” questi satelliti del Reich [11].

L’URSS dopo il marzo e soprattutto il maggio 1939 fu corteggiata da Berlino, che logicamente preferiva una guerra su un fronte, avendo quella su due fronti portato alla disfatta. La Germania promise, appena prima di prendersi la Polonia, di rispettare la sua “sfera d’influenza” in Galizia orientale, nel Baltico e in Bessarabia. Mosca cedette alle pressanti istanze all’ultimo momento (Geoffrey Roberts lo ha dimostrato nei suoi primi lavori) e non alle fantasie immaginarie della “rivoluzione mondiale”, mito del “Drang nachWesten” (marcia verso l’Ovest), creato per far dimenticare la sola marcia che ha avuto luogo, quella tedesca verso l’Est [12]. Londra e Parigi continuavano a lusingare Berlino [13], l’Unione Sovietica rifiutava d’”essere implicata da sola nel conflitto con la Germania”: questa era la sua unica preoccupazione, come ha confessato, nel maggio 1939, Lord Halifax, segretario del Ministero degli Esteri britannico e sostenitore dell’Apaisement britannico [14]. Il 23 agosto 1939, alla firma del patto di non-aggressione tedesco-sovietico, l’”Occidente” finse stupore, come Churchill, davanti al “nuovo disastro che esplode sul mondo come una bomba” [15]: è così che il capo della coalizione antisovietica dopo il 1918, che aveva abdicato all’Apaisement abbastanza presto, denunciò il volta-faccia, il tradimento, la lunga menzogna dell’antifascismo del nuovo “alleato” di Berlino.

L’indignazione, finta, faceva parte dell’impostura. Diplomatici e addetti militari francesi e inglesi di stanza a Mosca giocavano alle Cassandre dopo l’arrivo degli hitleriani al potere, a partire dal 1933. Per colpa della Triplice Intesa e quindi dell’alleanza di opposizioni difensive e formali, se si fossero ripetute regolarmente da quel momento, l’URSS sarebbe stata costretta ad affrontare immediatamente Berlino: questo per lei era l’unico mezzo per guadagnare la “tregua” (Roberts), indispensabile per mettere sul piede di guerra nel modo meno imperfetto possibile, la sua economia e il suo esercito di fronte ad un avversario tedesco in quel momento ancora molto superiore. I più solerti ma molto realistici arci-antibolscevichi, questi informatori consapevoli ribadirono il loro avvertimento fino all’ultimo giorno [16], e annunciarono anche che il patto non modificava i problemi. Il 29 agosto 1939, il tenente-colonello Charles-Antoine Luguet, addetto diplomatico d’aviazione a Mosca e futuro eroe gollista della squadriglia Normandie-Niémen, certifica (come Doumenc) la buona fede di Vorošilov e descrive Stalin come “glorioso successore […] di Alexandre Nevsky e di Pietro I°”: “il trattato è stato pubblicato” scrisse “completato da una convenzione segreta, che definisce a distanza delle frontiere sovietiche una linea che le truppe tedesche non devono oltrepassare e che sarà considerata dall’URSS una sorta di sua posizione di copertura” [17]. Un “protocollo segreto” integra in effetti la Polonia orientale e gli Stati baltici nella “sfera d’influenza” dell’URSS [18], avente come obiettivo immediato di migliorare le condizioni e la durata della sua mobilitazione, e di occupare un terreno che venne, durante gli ultimi preparativi dell’assalto tedesco, sottratto alla Wehrmacht.

Francesi e Inglesi non mancheranno di osservare, dopo l’evento, che l’Armata Rossa entrò in Polonia (il 17 settembre 1939) solo dopo la disfatta ufficiale di questa, poi in Bessarabia e nei Paesi Baltici se non nel giugno 1940, dopo la Débâcle della Francia [19].

L’URSS in pace durante la guerra

La Germania aprì il conflitto generale il 1° settembre 1939, in assenza dell’Intesa che nel settembre 1914 aveva salvato la Francia dall’invasione totale. Michael Carley incrimina l’Apaisement nato dalla “paura della vittoria contro il fascismo” dei privilegiati inglesi e francesi, allarmati dal fatto che il ruolo dirigente promesso all’URSS in una guerra contro la Germania avrebbe esteso il suo sistema a tutti i belligeranti: egli considera “l’anticomunismo”, decisivo in ogni fase chiave dal 1934-35, come “una causa importante della Seconda Guerra mondiale” [20].

Il 17 settembre, l’URSS, travolta dall’avanzata tedesca in Polonia, che era stata sconfitta in meno di 24 ore – per la Francia ci sarebbero volute meno di 48 ore – proclamò la sua “neutralità” nel conflitto e occupò la Galizia orientale. Essa esigette in settembre-ottobre da Berlino “garanzie” per i paesi baltici: questa “occupazione “mascherata” fu accolta con rassegnazione” da parte dell’Inghilterra. Questa aveva assecondato il Reich nel suo piano d’assalto marittimo contro l’URSS, firmando con esso “il trattato navale” del 18 Giugno 1935, che autorizzava la costruzione di una marina di guerra tedesca pari al 35% di quella britannica, questo accordo bilaterale aveva lasciato alla Germania “mano libera” nel Baltico (Finkel e Leibovitz). Ma Londra era ormai preoccupata tanto per l’espansione tedesca che per “la spinta russa in Europa” [21].

Dopo aver richiesto alla Finlandia, alleato da lunga data di Berlino che minacciava la sicurezza di Leningrado, una rettifica di frontiera (con sostanziale compensazione territoriale), che venne respinta, l’Unione Sovietica entrò alla fine di novembre 1939 nella “Guerra d’Inverno”. I tamburi della propaganda si scatenarono: la Francia singhiozzava così come il Vaticano e il mondo intero (capitalistico) per la piccola vittima ed esaltò il suo valore contro una Armata Rossa inetta. Weygand e Daladier seguiti da Reynaud pianificano, “sognano” e “delirano”, su una guerra contro l’URSS nel Grande Nord e poi nel Caucaso [22], allo stesso tempo in cui continuavano a sabotare, come i capi dell’esercito, il “fronte Nord-Est”: pomposo soprannome del confine francese con la Germania, dove, precisamente, non c’era alcun “fronte”. L’Inghilterra sacrificata all’ideologia anticomunista, così utile in ogni circostanza, applaudì al compromesso sovietico-finlandese del 12 marzo 1940. Si congratulò in seguito con la nuova avanzata dell’Armata Rossa consecutiva all’ignominioso crollo francese, ossia, dell’occupazione a metà giugno 1940 dei Paesi Baltici, alla fine di giugno della Bessarabia-Nord Bucovina. Poi, in attesa della tappa successiva del conflitto generale, inviò a Mosca Stafford Cripps, l’unico filosovietico di un establishment britannico volto all’antisovietismo tanto delirante almeno quanto quello delle élites francesi [23].

Nella crisi aperta nel giugno 1940, le relazioni dei cosiddetti “Alleati” tedeschi e sovietici giungono alla rottura a novembre, come sapevano tutte le capitali “occidentali”. “Tra il 1939 e il 1941”, l’URSS aveva notevolmente sviluppato i suoi armamenti terrestri e aerei e portato l’Armata Rossa “da 100 a 300 divisioni” (“da 2 a 5.000.000 di uomini”), ammassati “lungo o in prossimità dei suoi confini occidentali.”[24]

La vittoria militare di un paese indebolito

Il 22 giugno 1941 il Reich lanciò l’attacco annunciato dal settembre 1940 dall’assembramento delle sue truppe in Romania “satellite”, noto a tutte le capitali straniere – e all’Unione Sovietica, Stalin compreso: l’ultimo libro di Roberts fa definitivamente giustizia della leggenda di uno Stalin stordito e paralizzato dall’assalto del suo caro Hitler. Nicolas Werth postula il “crollo militare del 1941” al quale sarebbe succeduto (nel 1942-1943) “un [misterioso] sussulto del regime e della società” [25], ma a Vichy il generale Paul Doyen, capo delegazione francese alla Commissione tedesca d’Armistizio, annunciò il 16 luglio 1941 la morte del Blitzkrieg e quindi la sconfitta tedesca molto probabile se l’incredibile resistenza sovietica fosse durata, come tutto faceva prevedere: “Se il Terzo Reich riporta in Russia certi successi strategici, la svolta presa dalle operazioni non risponde affatto all’idea che si erano fatti i suoi leader. Essi non si aspettavano una resistenza talmente feroce del soldato russo, un fanatismo così appassionato della popolazione, una guerriglia talmente estenuante nelle retrovie, perdite così gravi, il più completo vuoto davanti all’invasore, difficoltà così notevoli di rifornimento e comunicazione […] Senza pensare al cibo di domani, il russo incendia col lanciafiamme il suo raccolto, fa saltare i suoi villaggi, distrugge il suo materiale rotabile, sabota le sue aziende”[26]. Il Vaticano, la migliore rete di intelligence globale, si allarmò fin dai primi di settembre davanti l’ambasciatore di Francia delle difficoltà “dei Tedeschi” e insieme “di come Stalin sarebbe stato chiamato a organizzare la pace di concerto con Churchill e Roosevelt” [27]: così egli pose “il punto di svolta della guerra” prima dell’arresto della Wehrmacht a Mosca (fine ottobre) e ben prima di Stalingrado. L’insieme dei circoli “bene informati”, militari e civili, condivideva questo giudizio, e nello stesso momento. [28]

Fu così confermato fin dall’invasione il giudizio, che faceva Palasse da quando arrivò (fine 1937) e soprattutto dal 1938 sulla “situazione morale” e la potenza militare sovietiche. L’Armata Rossa, epurata dopo la repressione del mese di giugno 1937, dal “complotto Tuchacevskij” ordito dal maresciallo sovietico con l’alto comando della Wehrmacht, svelato e non creato da Stalin [29], progrediva costantemente. I suoi legami con il popolo generavano un “patriottismo” inaudito: lo stato dell’esercito, l’addestramento militare dei soldati e della popolazione, per primi i giovani, e la propaganda efficace “manteneva[no] tese le energie del paese e gli diede[ro] l’orgoglio delle gesta compiute dai suoi […] e l’incrollabile fiducia nella [sua] forza difensiva.”[30] C’erano, come tutti gli altri osservatori militari rilevarono dopo l’agosto 1938 le perdite giapponesi negli scontri sulla frontiera tra URSS, Cina e Corea [31]. La qualità, così attestata, dell’Armata Rossa guidata da Zhukov, servì da lezione a Tokyo: a dispetto di Hitler, il Giappone firmò a Mosca 13 Aprile 1941 un “patto di neutralità”, che ha rispettato fino alla fine della guerra. Il prudente ritiro giapponese liberò l’URSS dalla sua ossessione, dopo l’attacco contro la Manciuria (1931) e poi di tutta la Cina (1937), di una guerra su due fronti [32].

Dopo un 60° anniversario storicamente avventato dello sbarco anglo-americano in Normandia e un 70° ancora peggiore, ricordiamo che lo sforzo militare dal giugno 1941 fu quasi esclusivamente sovietico. Il Reich imperiale era stato sconfitto nel 1917-1918 in Occidente, in particolare dalla Francia, che aveva dovuto la sua sopravvivenza o la sua non invasione all’alleanza degli opposti o al “rullo compressore” russo e in nessun caso alla “battaglia della Marna”, operazione di “comunicazione” di inusuale longevità. Come ricordato nel marzo 1939 da Robert Vansittart, Sottosegretario di Stato permanente del Ministero degli Esteri britannico, che era stato a lungo “operatore di pace” e germanofilo come i suoi coetanei: “La Francia non avrebbe avuto la minima possibilità di sopravvivenza nel 1914 se non ci fosse stato un fronte orientale”.[33] Il Reich hitleriano, fermato a partire dall’estate del 1941 nei suoi successi ininterrotti dal 1938-1939, fu sconfitto nel 1943-1945 in Oriente dalla sola Armata Rossa.

Dopo l’agosto-settembre 1941, Stalin aveva richiesto continuamente ma invano, per alleggerire l’enorme pressione tedesca, l’apertura di un “secondo fronte” occidentale ricostituendo di fatto l’alliance de revers della Prima Guerra Mondiale: l’invio di divisioni alleate in URSS e, soprattutto, uno sbarco sulle coste francesi. Dovette accontentarsi delle lodi di Churchill, ben presto seguite da quelle di Roosevelt, per “l’eroismo delle forze combattenti sovietiche” e di un “prestito” americano, rimborsabile nel dopoguerra. Uno storico sovietico ha stimato l’ammontare complessivo a 5 miliardi di rubli (uno storico americano a 11), cioè il “4% del reddito nazionale” sovietico degli anni 1941-1945 [34]. Roberts ha ricordato che questo contributo economico degli Stati Uniti allo sforzo sovietico non fu solamente modesto, ma che esso fu accordato per la sua quasi totalità solo dopo la straordinaria impresa di Stalingrado – cioè, quando gli Stati Uniti ebbero acquisito la certezza definitiva che l’Armata Rossa avrebbe trionfato, entro un periodo di tempo limitato, sugli invasori. L’ostinato rifiuto del secondo fronte e l’emarginazione dell’URSS nelle relazioni inter-alleate, nonostante la sua presenza ornamentale a Teheran nel novembre del 1943 [35], sono evidenziate da tutti i tipi di fonti e dalla corrispondenza di guerra Stalin-Churchill-Roosevelt. Gli obiettivi e le manovre degli anglo-americani, guidati da Washington, legittimamente riproposero la paura sovietica di tornare al “cordone sanitario” e alle “mani libere in Oriente”.

La questione delle forze in Europa si acuì quando la capitolazione di von Paulus a Stalingrado (2 febbraio 1943) mise all’ordine del giorno le condizioni per la pace futura. Washington contava sulla sua egemonia finanziaria per sfuggire alle norme militari di risoluzione dei conflitti. Roosevelt rifiutava quindi sistematicamente di negoziare sugli “scopi militari” che Stalin aveva presentato a Churchill nel luglio 1941, vale a dire il ritorno ai confini europei dell’ex impero, recuperati nel 1939-1940: l’ottenimento di una “sfera di influenza” sovietica che restringeva quella americana, che non poteva subire alcun limite [36] (questa regola dell’imperialismo dominante fu rigorosamente applicata contro Londra: Washington emise un veto anche formale contro i suoi rivali imperialisti inglesi). Il miliardario Harriman, ereditiere di un immenso impero finanziario, ambasciatore a Mosca dal 1943 al 1945 e futuro campione del Piano Marshall e dell’Unione Europea, annunciò al Dipartimento di Stato, nel febbraio-marzo 1944, che l’URSS devastata non avrebbe ricavato alcun vantaggio, neanche territoriale dalla sua vittoria. “Impoverita dalla guerra e alla ricerca della nostra assistenza economica […] una delle nostre principali leve per orientare una azione politica compatibile con i nostri principi”, non avrebbe la forza di invadere dall’Est dell’Europa. Ridotta in miseria per le sue distruzioni, sarebbe obbligata a soddisfare una promessa di aiuto finanziario degli Stati Uniti per il dopoguerra, che ci permetterà di “evitare lo sviluppo di una sfera di influenza dell’Unione Sovietica sull’Europa orientale e i Balcani”. [37]

Ma non teneva conto delle conseguenze a breve termine di Stalingrado, dove si erano scontrati dal luglio 1942 “due eserciti di oltre un milione di uomini”. L’esercito sovietico ha vinto questa “feroce battaglia”, seguita con passione ogni giorno da tutta l’Europa occupata, che “superava in violenza tutte quelle della Prima Guerra mondiale […] per ogni casa, ogni torre d’acqua, ogni cantina, ogni pezzo di rovina”. La sua vittoria “mise l’URSS sulla via della potenza mondiale” come quella “di Poltava nel 1709 [contro la Svezia] aveva trasformato la Russia in potenza europea”. [38]

L’apertura del “secondo fronte” si trascinò fino al giugno 1944, quando l’avanzata dell’Armata Rossa oltre i confini del luglio 1940 dell’Unione Sovietica liberata esigeva la ripartizione di fatto delle “sfere d’influenza” che Roosevelt e i suoi avevano rifiutato di diritto. La conferenza di Yalta che, nel febbraio del 1945, ha rappresentato l’acme, molto provvisoria, delle acquisizioni dell’URSS, belligerante decisivo, non è il risultato dell’astuzia di Stalin che spoglia la Polonia martire contro un Churchill impotente e un Roosevelt morente, ma dei rapporti di forza militari del momento [39]. Ormai, si era in procinto di cadere nell’inseguimento della resa negoziata della Wehrmacht “alle forze armate anglo-americane e riposizionamento delle forze in Oriente”: alla fine di marzo, “26 divisioni tedesche rimanevano sul fronte occidentale” (per evacuare dai porti del Nord le truppe verso i “buoni” nemici così indulgenti) “contro 170 divisioni sul fronte orientale” dove i combattimenti imperversano fino alla fine. I guadagni di Yalta realizzati sulla carta sarebbero stati poi rimessi puntualmente in discussione, a cominciare dal principio dei 10 miliardi di dollari di “riparazioni”, il 50% del totale (per perdite stimate in diverse centinaia di miliardi, tra 200 e 600).

Il bilancio dell’operazione Sunrise, l’esempio meno sconosciuto dei tentativi di inversione dei fronti che si succedettero senza sosta dopo il 1943, nell’alleanza “Occidente”-Reich contro i Soviet e con febbrile intensità dal 1944, irritò Mosca. Roosevelt aveva affidato al capo europeo dell’Ufficio dei Servizi Strategici (precursore della CIA), installato dopo il novembre del 1942 a Berna per preparare l’avvenire dell’Europa in generale, e della Germania in particolare, il finanziere Allen Dulles, associato come il suo fratello maggiore, il John Foster di “Dulles, Sullivan e Cromwell”, uno dei principali uffici americani d’affari internazionali, intimamente legato al capitale finanziario tedesco. Dulles, futuro capo della CIA di Eisenhower e Kennedy (ed eroe del fiasco cubano della “Baia dei Porci”), negoziò nel marzo-aprile del 1945, con il generale delle SS Karl Wolff, “capo dello stato-maggiore personale di Himmler” responsabile dell’“assassinio di 300.000 ebrei”, la capitolazione dell’esercito Kesselring in Italia. Questo avvenne, in assenza dei Sovietici, il 2 maggio 1945[40].

Era pertanto politicamente escluso che Berlino cadesse nell’immediato nelle mani degli Occidentali: dal 25 aprile al 3 maggio, la penultima “sanguinosa battaglia” (Praga, luogo dell’ultima, cadde solo il 9 maggio) [41] uccise ancora 300.000 soldati sovietici. L’equivalente cioè del totale delle vittime americane, “unicamente militari”, dei fronti europei e giapponesi dal dicembre 1941 ad agosto 1945[42].

La guerra tedesca di sterminio

Secondo Jean-Jacques Becker, “a parte (sic) che si è dispiegata in aree molto più ampie, a parte il costo esagerato dei metodi di combattimento obsoleti dell’esercito sovietico, sul piano strettamente militare, la Seconda Guerra è stata un po’ meno violenta della prima”[43]. Questo confronto tra le due guerre mondiali, altamente fantasioso, imputa anche all’URSS, accusa che è diventata corrente nella storiografia dominante francese, l’enormità delle sue perdite (oltre la metà dei 50 milioni del totale generale 1939-1945) nella guerra di sterminioche il Terzo Reich aveva programmato per liquidare, oltre agli ebrei, dai 30 ai 50 milioni di slavi[44]. La Wehrmacht, roccaforte pangermanista che era stata facilmente nazificata e che riteneva “i russi ‘asiatici’ degni del disprezzo più assoluto” [45], ne fu l’artefice principale: la sua ferocia anti-slava, antisemita e anti-bolscevica, descritta al processo di Norimberga (1945-1946), brevemente ricordata in Germania da esposizioni itineranti dalla fine del 20° secolo [46] e ormai, Francia inclusa, sepolta nel silenzio, privò l’URSS delle “leggi della guerra” (Convenzioni dell’AIA del 1907). Nel momento in cui si osa tutto, la propaganda mediatica la ritiene una cosa logica, in quanto l’URSS non ha firmato la Convenzione: non la firmarono allora neanche, la Grecia, la Jugoslavia, la Polonia, l’Europa occidentale, oggetto, nell’estate del 1944, degli ordini del Comandante in Capo “Ovest” della Wehrmacht, von Rundstedt, estendendo a questa zona i metodi di guerra dell’Est, origine delle atrocità commesse in Italia e in Francia, a Oradour-sur-Glane, che erano state sistematicamente praticate fin dall’inizio, a decine di migliaia di casi, sul fronte Orientale[47]?

Testimoniano la barbarie pangermanista, di cui i nazisti hanno preso l’eredità, gli ordini firmati dai capi della Wehrmacht, Keitel e soci: il decreto detto “del commissario” dell’8 giugno 1941 ordinò l’esecuzione dei “commissari politici” comunisti integrati nell’Armata Rossa; l’ordine di “non fare prigionieri” causò l’esecuzione sul campo di battaglia, a combattimenti terminati, di 600.000 prigionieri di guerra, e fu esteso nel mese di luglio ai “civili nemici”; von Reichenau firmò l’ordine di “sterminio definitivo del sistema giudaico-bolscevico”, ecc. [48]. 3,3 milioni di prigionieri di guerra, cioè più dei 2/3 del totale, subirono nel 1941-1942 la “morte programmata” per fame e sete (80%), tifo, lavoro schiavistico. I prigionieri, classificati come “comunisti fanatici”, consegnati dalla Wehrmacht alle SS, furono le cavie della prima gassificazione con lo Zyklon B ad Auschwitz nel dicembre del 1941 [49].

L’esercito tedesco era con le SS e la polizia tedesca “ordinaria” un agente particolarmente attivo della distruzione dei civili, ebrei e non ebrei. Essa aiutò le SS Einsatzgruppen responsabili delle “operazioni mobili di abbattimento” (Hilberg), come quello del Gruppo C nel burrone di Babi Yar, alla fine di settembre del 1941, dieci giorni dopo l’entrata delle sue truppe a Kiev (quasi 34 000 morti): fu uno degli innumerevoli massacri perpetrati con degli “ausiliari” polacchi, baltici (lettoni e lituani) e ucraini [50], descritti dallo struggente Libro nero sullo sterminio scellerato degli ebrei da parte degli invasori fascisti tedeschi nelle regioni temporaneamente occupati dell’URSS e nei campi di sterminio in Polonia durante la guerra del 1941-1945 [51]. Slavi ed ebrei (1,1 milioni su 3,3) perirono nelle decine di migliaia di Oradour-sur-Glane e nei campi di sterminio e di lavoro. I 900 giorni di assedio di Leningrado (luglio 1941 – gennaio 1943), con Stalingrado simbolo supremo della sofferenza e dell’eroismo sovietico, dove morirono un milione di abitanti su 2.5, di cui “più di 600.000” durante la carestia dell’inverno del 1941-1942. “1.700 città, 70.000 villaggi e 32.000 imprese industriali furono distrutte”. Un milione di Ostarbeiter (“lavoratori dell’Est”, sovietici), deportati in Occidente furono sfiniti o annientati dal lavoro e le sevizie delle SS e dei “kapò” nei “kommandos” dei campi di concentramento, miniere e fabbriche dei Konzerne e delle filiali dei gruppi stranieri, come Ford, che fabbricò (come Opel-General Motors) tonnellate di camion (tedeschi) per il fronte orientale [52].

L’8 maggio 1945, l’URSS esangue aveva già perso il beneficio della “Grande Alleanza” che aveva imposto agli anglo-americani l’enorme contributo del suo popolo, sotto le armi o no, all’eclatante vittoria degli Stati Uniti, prevista da Doyen nel suo testo del 16 luglio 1941, dove pronosticava la disfatta tedesca. Il cosiddetto “contenimento” (Containment), della “Guerra fredda” fu in realtà e da subito un “ripristino” (rollback), ora messo in luce da alcuni lavori scientifici. Ormai sotto l’egida di Washington, con rapida associazione alle imprese delle zone occidentali della Germania, questa linea era ritornata, anche prima della fine della guerra in Europa, con la “Prima Guerra fredda”, politica di liquidazione dei Soviet, del “cordone sanitario” o della “Santa Alleanza” che Londra e Parigi avevano diretto, in compagnia di Berlino, dal 1918 al 1939 [53].

[1] Annie Lacroix-Riz, « 1947-1948. Du Kominform au “coup de Prague”, l’Occident eut-il peur des Soviets et du communisme? », Historiens et géographes (HG) n° 324, agosto-settembre 1989, p. 219-243.

[2] Diana Pinto, « L’Amérique dans les livres d’histoire et de géographie des classes terminales françaises », HG n° 303, marzo 1985, p. 611-620; citazione, Robert Soucy, storico americano del fascismo francese, e Lacroix-Riz, L’histoire contemporaine toujours sous influence, Paris, Delga-Le temps des cerises, 2012.

[3]Le Figaro, 11 gennaio 2007, recensione di Olivier Wieviorka, Histoire du débarquement en Normandie : Des origines à la libération de Paris 1941-1944, Paris, Seuil, 2007, opera incensata dai media e dalle istituzioni ufficiali come quella che nega l’interesse militare della Resistenza e che omette la sua componente comunista, Histoire de la Résistance : 1940-1945, Paris, Perrin, 2013.

[4] Sondaggi 1944-1945 e 2004, Lacroix-Riz, « Le débarquement du 6 juin 1944 du mythe d’aujourd’hui à la réalité historique », http://www.lafauteadiderot.net/Le-debarquement-du-6-juin-1944-du, giugno 2014; 7 mai 2015, http://www.metronews.fr/info/sondage-exclusif-8-mai-1945-a-qui-les-francais-disent-ils-merci-pour-la-victoire-sur-les-nazis/moef!FRK7nFX0GWZds/

[5] Geoffrey Roberts, The Unholy Alliance : Stalin’s pact with Hitler, Londra, Tauris, 1989; The Soviet Union and the origins of the Second World War. Russo-German Relations and the Road to War, 1933-1941, New York, Saint Martin’s Press, 1995; e soprattutto, Stalin’s Wars: From World War to Cold War, 1939-1953. New Haven & London: Yale University Press, 2006, tradotto, Les guerres de Staline, Paris, Delga, 2014; Gabriel Gorodetsky, Soviet Foreign Policy, 1917-1991 : a retrospective, Londres, Frank Cass, 1993 (da cui Teddy J. Uldricks, « Soviet Security in the 1930s »); Michael J. Carley, 1939, the alliance that never was and the coming of World War 2, Chicago, Ivan R. Dee, 1999 (tradotto in francese, PU de Montréal, 2001); Hugh Ragsdale, The Soviets, the Munich Crisis, and the Coming of World War II, Cambridge, Cambridge UP, 2004; Jonathan Haslam, The Soviet Union and the struggle for collective security in Europe, 1933-1939, Londra, Macmillan Press Ltd, 1984, più timido.

[6] Lewis B. Namier, Diplomatic Prelude 1938-1939, Macmillan, Londra, 1948; A.J.P. Taylor, The origins of the Second World War, Middlesex, Penguin Books,1961; Alexander Werth, La Russieen guerre, 2 vol., Paris, Stock, 1964 (riedizione, Paris, Tallandier, 2011).

[7] Arnold Offner, American Appeasement : United States Foreign Policy and Germany 1933-1939, New York, W.W. Norton & C°, 1969; The origins of the Second World War : American Foreign Policy, 1914-1941, New York, Praeger, 1975.

[8] Roberts, op. cit. e «From détente to partition : Soviet-Polish Relations and the origins of the Nazi-Soviet pact, 1938-1939» in Christoph Koch, ed., Gab eseinen Stalin-Hitler-Pakt? Charakter, Bedeutung und Deutung des deutsch-sowjetischen Nichtangriffsvertrags vom 23. August 1939 » (« Y eut-il eu un pacte Staline-Hitler? Caractère, signification et interprétation du pacte de non-agression germano-soviétique»), Francoforte, Peter Lang, 2015, p. 89-106; Lacroix-Riz, Le choix de la défaite : les élites françaises dans les années 1930, et De Munich à Vichy, l’assassinat de la 3e République, 1938-1940, Parigi, Armand Colin, 2010 (2e édition) et 2008; e « La France entre accord avec le Reich et alliance tripartite, de Munich au pacte de non-agression germano-soviétique (octobre 1938-23 août 1939) », in Koch, ed., Stalin-Hitler-Pakt?, p. 35-88; Ivan Maïski, Qui aidait Hitler? Souvenirs de l’ancien ambassadeur d’URSS en Grande-Bretagne, Parigi, Delga, 2014; basato sugli archivi (soviétici) concordanti.

[9] Lettere 585/S a Édouard Daladier (ministro della Guerra), Mosca, 5 giugno 1939, 7 N, 3123, archivi Armée de terre (SHAT), e riferimenti dalla n. 7.

[10] Rapporti Doumenc e Willaume (sottolineati nel testo) sulle loro missioni, 7 N, 3185, SHAT. Sul ruolo della Polonia, réf. n. 7 e Lacroix-Riz, « Polen in der außenpolitischen Strategie Frankreichs (Oktober 1938-August 1939) », comunicazione al colloquio sulla campagna di Polonia, Varsavia, 15-17 ottobre 2009, Atti non apparsi, Polenundwir, n° 3, 2014, p. 11-17 (versione francese, «La Pologne dans la stratégie politique et militaire de la France (octobre 1938-août 1939)», www.historiographie.info).

[11] Archivi MAE (e Documents diplomatiques français), SHAT, e riferimenti dalla n. 7.

[12] Piano d’espansione sovietico a Ovest creato dal pubblicista d’estrema destra Ernst Nolte, appoggiato da Yves Santamaria, Le pacte germano-soviétique, Bruxelles, Complexe, 1999, opera redatta senza la minima consultazione d’archivio, che fa da riferimento sulla questione alla storiografia dominante francese.

[13] N. 3, Robert A. Parker, Chamberlain and the Appeasement : British policy and the coming of the Second World War,, Londra, Macmillan Press Ltd, 1993, e Alvin Finkel e Clement Leibovitz, The Chamberlain-Hitler Collusion, Rendlesham, Merlin Press, 1997.

[14] Halifax, 6 maggio 1939, Documents on British Foreign Policy (DBFP)3nd Series, V, p. 411.

[15] Churchill, memorie, vol. I, The gathering storm, Boston, Houghton Mifflin Company, 1948, p. 346.

[16] 7 N, 3185-3186, SHAT. Dopo il 1933 : serie URSS Quai d’Orsay (MAE);DDF; attachés militare in URSS da SHAT; DBFP, ecc. e tutte le op. cit.

[17] Lettere D. 463 a Guy de la Chambre, ministro dell’Aria, Mosca, 29 agosto 1939, 7 N, 3186, SHAT.

[18] Lituania annessa al Reich fin dal secondo protocollo del 28 settembre 1939, Roberts, Soviet Union.

[19] Tél. Palasse, Mosca, 14 maggio 1940, 5 N, 581, SHAT, et Roberts, Soviet Union, p. 122-126.

[20] Carley, 1939, p. 256-257;Finkel, Leibovitz e Lacroix-Riz,op. cit.

[21] Lettere 771 di Charles Corbin, ambasciatore a Londra, 28 ottobre 1939, URSS 1930-1940, 962, archivi del ministero degli Affari esteri (MAE).

[22] Jean-Baptiste Duroselle, L’Abîme 1939-1945, Parigi, Imprimerie nationale, 1983, cap. IV. Lacroix-Riz, op. cit. Le Vatican, l’Europe et le Reich 1914-1944, Parigi, Armand Colin, 2010, cap. 10.

[23] Gabriel Gorodetsky, Stafford Cripps’ mission to Moscow, 1940-42, Cambridge, Cambridge UP,1984., Maïski, Qui aidait Hitler?