La "topografia" dei clan croato-erzegovesi si trova alle URL:

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"Il Manifesto", 2 Marzo 2001

"I croati van da soli"
Bosnia: si rompe la Federazione musulmano-croata. Salta Dayton
GIACOMO SCOTTI

La previsione de il manifesto sulla Bosnia-Erzegovina si è avverata:
la Federazione musulmano-croata, seconda entità accanto alla
Repubblica serba, dello Stato bosniaco-erzegovese, si sta
frantumando. Il massimo esponente della comunità croata in quel
paese tormentato, Ante Jelavic, membro della presidenza tripartita
dello Stato e presidente del partito nazionalista Hdz, ha annunciato
solennemente che domani, sabato 3 marzo, il Parlamento nazionale
croato della Bosnia-Erzegovina (un organismo creato lo scorso
novembre e dichiarato illegale dalle autorità tutorie dell'Onu a
Sarajevo) si riunirà a Mostar per "emanare una storica decisione".
Lo stesso Jelavic l'ha già anticipata, preannunciando l'uscita dalla
presidenza tripartita e dichiarando che i croati bosniaco-erzegovesi
"ritengono illegale e illegittimo l'attuale governo della
Bosnia-Erzegovina" e pertanto "da oggi la Federazione
bosniaco-erzegovese è un'entità nazionale musulmana, senza i
croati". E' sottinteso: i croati formeranno una terza entità
politico-territoriale soltanto per loro. Gli accordi di Dayton, almeno
per quanto riguarda i croati, finiscono nella carta straccia.
L'annuncio è stato fatto da Ante Jelavic l'altro ieri in un comizio di
fronte a cinquemila croati bosniaci convenuti per onorare come loro
eroi i criminali di guerra Kordic e Cerkez, a Busovaca, loro città
natale (Dario Kordic è stato condannato dal tribunale dell'Aja a 25
anni di carcere, il generale Mario Cerkez a 15 anni). Busovaca giace
nella Bosnia centrale, in quella Valle del Lasva nella quale milizie
croato-bosniache dell'Hvo sterminarono centinaia di civili
musulmani, incendiandone i villaggi.
L'annunciata "decisione storica" segnerebbe dunque la separazione
dallo Stato bosniaco e dalla Federazione musulmano-croata di
Bosnia dei territori abitati in prevalenza da croati e amministrati
dall'Hdz, e quindi il ripristino di quella "Repubblica croata di
Erzeg-Bosnia" che nella guerra 1992-1995 fu la causa dei sanguinosi
scontri fra croati e musulmani inizialmente alleati contro i serbi. Per

la conservazione di quell'entità secessionista, il governo della
Croazia sotto la guida di Tudjman mandò in Bosnia una parte delle
sue truppe, compiendo in sostanza un'aggressione contro un paese
riconosciuto dall'Onu.
A Busovaca, Jelavic ha definito le condanne affibbiate dai giudici
dell'Aja a Kordic e Cerkez, e prima di loro al generale Blaskic, "un
tentativo di criminalizzare il popolo croato della Bosnia-Erzegovina",
un esempio di come agisce la comunità internazionale "a danno dei
croati, cementando in Bosnia due entità, la serba e la musulmana:
questo i croati non lo permetteranno mai". Conclude Jelavic: "per i
croati questo governo è illegale, illegittimo, e non accetteremo
nessuna delle sue decisioni", e "il Parlamento nazionale croato" (da
lui convocato in sessione a Mostar domani) "segnerà una nuova fase
della lotta per l'eguaglianza politica dei croati in
Bosnia-Erzegovina".
L'Hdz di Jelavic, si noti bene, già da quattro mesi boicotta il
parlamento centrale dello Stato bosniaco e quello della Federazione
croato-musulmana, e ha ritirato i propri rappresentanti dai due
governi dove gli unici rappresentanti dei croati sono esponenti
socialdemocratici. In altre parole, i nazionalisti croati hanno da
tempo creato le condizioni, o meglio i pretesti, per la secessione.
Chiarendo che la scissione non sarà seguita da una richiesta di
annessione del territorio secessionista alla Croazia (tanto più che il
governo democratico di Zagabria, decisamente contrario alla
creazione di un terzo staterello in Bosnia, si accinge a varare
perfino una legge che impedirà ai croati bosniaci di mandare propri
deputati nel parlamento di Zagabria), Jelavic ha detto: "La
Bosnia-Erzegovina non è in questione, ma vogliamo una
Bosnia-Erzegovina con tre entità nazionali su posizioni paritarie, e
questa sarà la nostra decisione a Mostar". Come reagirà l'Onu a
questa aggressione accadizetiana all'unità della Bosnia-Erzegovina?
Per la cronaca, al comizio di Busovaca, preannuncio di una serie di
azioni eversive e provocatorie che potrebbero portare nuovamente
sulla strada della guerra civile, almeno nel territorio della
Federazione croato-musulmana, hanno preso la parola pure il
vicepresidente dell'Hdz bosniaca Marko Topic, l'ex generale
dell'esercito croato-bosniaco (Hvo) e dell'esercito croato (Hv)
Slobodan Praljak, resosi "famoso" per aver ordinato il
cannoneggiamento e la distruzione del Ponte Vecchio di Mostar già
simbolo della convivenza plurietnica e gioiello dell'architettura, e
una decina di altri papaveri neoustascia, alcuni con il crocifisso in
mano.
Praljak ha accusato la comunità internazionale di condurre una
"politica filoserba" e i musulmani di Bosnia di non essersi battuti
contro i serbi nella scorsa guerra. Secondo lui non sarebbero stati i
croati ad aggredire i musulmani nella Bosnia centrale, ma i
musulmani ad aggredire i croati. I quali, guidati da Kordic, Cerkez e
altri "patrioti", si difesero scannando centinaia di bambini, donne e
vecchi ed altri bruciandoli nelle loro case. Perché non c'era posto per

i "diversi" in una terra "che noi croati abitiamo dal settimo secolo e
dove resteremo in eterno". Sparando a zero anche lui contro i
"nemici" dei croati in Bosnia e nel mondo, Marko Topic ha
parafrasato lo slogan urlato dai neofascisti a Spalato, Zagabria e in
altre città della Croazia da circa tre settimane a questa parte: "Noi
tutti siamo Dario Kordic". Criminali? No, "eroi, difensori della
propria
patria".
E' stato infine deciso che la data del 26 febbraio, giorno in cui
Kordic e Cerkez furono condannati dai giudici dell'Aja, sia
proclamata "Giornata dei patrioti croati della Bosnia-Erzegovina".

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"Il Manifesto" del 4 Marzo 2001

Va in pezzi la Bosnia di Dayton
GIACOMO SCOTTI

L' aria di Mostar, resa leggera dal soffio che viene dal mare
attraverso la vallata della Neretva, ieri era politicamente pesante.
La città si presentava più che mai divisa, non dal fiume ma da un
invisibile quanto solido muro fra croati e musulmani. Case ed alberi
nel settore croato (ormai "ripulito" da serbi e musulmani) erano
tappezzati da manifesti che invitavano "tutti i croati della
Bosnia-Erzegovina" a raggiungere Mostar per "essere testimoni di
storici eventi". Un invito che ha fatto affluire in città decine di
migliaia di persone con cartelli e bandiere, molte nere, in una
scenografia ben nota: quella delle adunate neoustascia. Gli urli, gli
slogan e le canzoni erano di guerra, di odio. Faceva paura stare lì in
mezzo.
Ma quali sono state le "storiche decisioni"? Ecco: la cosiddetta
"Assemblea nazionale croata", costituitasi in novembre per volere
del partito Hdz, si è riunita a Mostar, già capitale della "Repubblica
croata di Erzeg-Bosnia" di triste memoria, per decretare la
resurrezione di quell'entità sotto il nome di "Autorità autonoma dei
territori croati", separata dalla Federazione musulmano-croata che
accanto alla Respublika srpska formava il secondo corno dello stato
unitario di Bosnia-Erzegovina.
La (ri)nascita della terza entità statale croata non è affermata a
chiare lettere nei documenti approvati dai secessionisti, ma la
sostanza non cambia, come è facile capire dalle decisioni prese:
dalla creazione di istituzioni parallele croate in Bosnia al ritiro dei

croati, a cominciare dai ministri, "da ogni carica ricoperta nelle
istituzioni della Federazione e dello stato bosniaco".
Sull'intero territorio a maggioranza etnica croata sarà riconosciuto
un solo partito, l'Hdz; saranno considerate illegittime le
amministrazioni a guida socialdemocratica nei comuni conquistati
dai non nazionalisti nelle elezioni di novembre. Sul medesimo
territorio non saranno valide leggi e direttive emanate dall'Alto
rappresentante dell'Onu e dell'Osce, né quelle del governo della
Federazione croato-musulmana. Il massimo organismo dell'Autorità
autonoma croata sarà il suo presidente e costui - un "duce",
considerati i poteri assoluti che gli vengono concessi - sarà Ante
Jelavic, leader massimo dell'Hdz bosniaco-erzegovese. Questi,
avendo calpestato la costituzione della Bosnia-Erzegovina di cui è
co-presidente assieme ai rappresentanti eletti dai serbi e dai
musulmani, rischia ora di essere dichiarato decaduto dalla carica e
cacciato dalla presidenza tripartita.
A dar forma e risalto alla scissione sono pure le decisioni prese dal
"parlamento" dei croati sulla struttura del governo dell'Autorità
autonoma: è prevista la creazione di un Consiglio esecutivo
provvisorio con una dozzina di ministeri, di un organo legislativo
pure provvisorio (l'attuale Assemblea nazionale croata dell'Hdz) e di
un Consiglio della magistratura. Imposte, tasse, dazi e dogane
saranno riscossi dall'Autorità autonoma per finanziare lo staterello
croato; il cui governo porrà sotto il proprio controllo, recitano le
decisioni, anche corpi di polizia e forze armate. Qualora le truppe
internazionali (Sfor) dovessero bloccare le caserme dell'esercito
bosniaco-croato (Hvo, attualmente parte integrante delle forze
armate della Federazione bosniaco-erzegovese) quell'esercito sarà
sciolto. Chi controllerà i confini? Questo ed altri problemi restano
aperti.
Per dare una cornice legalitaria al colpo di mano che definiscono
"storico evento", gli organizzatori hanno invitato esponenti di tutti i

paesi firmatari degli accordi di Dayton. Ma l'unico paese ad aderire è
stato la Croazia. I capi dell'Hdz bosniaco-erzegovese hanno
giustificato questa nuova scissione con la "volontà di contribuire
alla ristrutturazione interna della Bosnia-Erzegovina".
La reazione dell'autorità tutoria internazionale in Bosnia-Erzegovina
è stata rapida e tuttavia moderata - almeno per il momento. L'Alto
rappresentante dell'Onu e dell'Osce a Sarajevo non esclude la
possibilità di espellere Jelavic dalla presidenza dello stato bosniaco,

come ha dichiarato il suo portavoce Oleg Milisich, aggiungendo la
minaccia della messa fuori legge della stessa Hdz. Secondo l'Alto
rappresentante, "Jelavic mette in pericolo la pace in Bosnia".
Non meno severo si è dimostrato il portavoce dell'Osce, Luka
Zahner. Ricordando che qualche anno addietro l'autorità
internazionale cacciò dalla presidenza dello stato centrale bosniaco
il rappresentante serbo Nikola Poplasen, radicale, per aver violato
gli accordi di Dayton, Zahner ha detto che "il tentativo dell'Hdz di
creare uno staterello croato in Bosnia non è dettato dalla
preoccupazione per la posizione nazionale e culturale dei croati in
questo paese ma nasconde il disegno dei capi di instaurare il
proprio controllo sulle risorse finanziarie del territorio. Spero che
la
gente si renderà conto dell'insostenibile situazione economica in cui
Jelavic e l'Hdz possono trascinare il paese". Alla domanda, però, se
l'Alta autorità internazionale ricorrerà a sanzioni contro Jelavic e il

suo partito, Zahner ha risposto: "Non intendiamo trasformare in
martiri dei violatori della costituzione".

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"Il Manifesto" del 9 Marzo 2001

Chiusi in un ghetto i secessionisti croati in
Bosnia
Durissime sanzioni dell'amministrazione internazionale, a Zagabria
chiesto un
ruolo attivo per isolare Jelavic e l'Hdz
GIACOMO SCOTTI

Ante Jelavic, massimo leader della filiale bosniaca dell' Hdz, il
partito nazionalista croato, è stato radiato dalla presidenza
tripartita della Bosnia-Erzegovina, la più alta autorità dello stato,
ed è stato dichiarato decaduto anche dalla carica di presidente
dell'Hdz bosniaco-erzegovese. La delibera, inappellabile, è stata
firmata dall'Alto rappresentante della comunità internazionale (Onu,
Osce, Sfor) che esercita nel paese balcanico il potere tutorio
supremo, Wolfang Petritsch.
Jelavic è l'uomo che ha cercato di riportare la Bosnia-Erzegovina sul
sentiero di una nuova guerra civile separando i territori a
maggioranza croata dalla Federazione musulmano-croata,
costituendo la terza entità politico-territoriale detta "Autorità
autonoma dei territori croati" nelle medesime regioni che già
formarono a suo tempo la Repubblica croata di Erzeg-Bosnia". Oltre
a lui, la gravissima sanzione ha colpito tutte le massime autorità
secessioniste: Marko Tokic, vicepresidente dell'Hdz e presidente del
"governo" dei territori croati in Bosnia, Ivo Andric-Luzanki,
vicepremier, e Zdravko Batinic membro della "Presidenza" dello
staterello.
Tutti costoro, cacciati da qualsiasi carica in ogni regione del paese,
non potranno esercitarne alcuna in Bosnia-Erzegovina nemmeno in
futuro. Petritsch ha chiarito che seguiranno anche sanzioni
amministrative, finanziarie ed economiche, e che "la comunità
internazionale sarà più che determinata nel controllare e distruggere
tutti i canali illegali finanziari che alimentano l'Hdz
bosniaco-erzegovese, e "destabilizzano e strutture legali del potere
in Bosnia-Erzegovina".
La reazione di Jelavic e soci è stata rabbiosa: loro resteranno "i
rappresentanti legittimi del popolo croato in Bosnia-Erzegovina", e
l'"Autorità autonoma dei territori croati" comincerà a funzionare in
pieno, con i propri simboli statali, da lunedì prossimo. Opposizione
totale, dunque, alla comunità internazionale che "con le sanzioni
non fa che omogeneizzare maggiormente i croati
bosniaco-erzegovesi e approfondirne lo sdegno, che si propaga
anche nella Repubblica di Croazia".
E le sanzioni contro i secessionisti, secondo fonti bene informate,
prevedono ulteriori misure: divieto di ingresso nei paesi occidentali
e in Croazia per alcuni gerarchi dell'Hdz bosniaca, divieto di
investimenti stranieri in Erzegovina finché a governarla saranno i
vertici dell'Hdz. La Croazia, inoltre, su richiesta della comunità
internazionale, potrebbe dover revocare tutti i passaporti concessi
ai croati di Bosnia dal precedente regime di Tudjman. Si parla di
denunce penali, nei prossimi giorni, contro esponenti dell'Hdz
bosniaca coinvolti in organizzazioni criminali di stampo mafioso, e
della richiesta alla Croazia di spiccare mandato di arresto contro l'ex

generale e deputato al parlamento croato Ljubo Cesic Rojs, oriundo
bosniaco, ritenuto uno dei promotori del putsch in Bosnia. In merito,
l'Alto rappresentante della comunità internazionale ha infatti
sottolineato: "abbiamo informazioni esatte sull'esistenza di una
collaborazione molto stretta, in tutta l'operazione, fra l'Hdz di
Jelavic in Bosnia-Erzegovina e l'Hdz-madre in Croazia".
La risposta del governo croato è stata diplomatica, ma anche
propositiva. Il ministero degli esteri di Zagabria afferma che la
rimozione di Jelavic e camerati "era attesa", e si spera che "il
provvedimento contribuisca alla stabilizzazione della
Bosnia-Erzegovina". Il premier Racan ha dichiarato che "la politica
del popolo croato in Bosnia-Erzegovina non viene creata né decisa a
Zagabria come una volta, ma in Bosnia-Erzegovina". La Croazia,
come firmataria degli accordi di Dayton, "desidera aiutare nella
soluzione dei problemi, ma non arbitrare", "è interessata ai buoni
rapporti con l'intera Bosnia-Erzegovina e non solo con una sua
parte". Mettendo in moto la propria diplomazia, il governo di
Zagabria è alla ricerca di una via d'uscita da una situazione
pericolosamente conflittuale e, al tempo stesso, proporrà uno
schema di ristrutturazione della Bosnia-Erzegovina che "superi gli
accordi di Dayton.
La proposta, presentata come "progetto per arrestare la guerra",
prevede: l'abolizione delle due entità "Repubblica serba" e
"Federazione musulmano-croata", e la costituzione di uno Stato
bosniaco unitario e federalista, composto da 12-14 Cantoni che non
avrebbero il potere di instaurare speciali rapporti con i paesi vicini
né quello della secessione, ma godrebbero di ampie autonomie. Al
vertice, un parlamento bicamerale il cui Senato garantirebbe
l'uguaglianza dei popoli costitutivi serbo, musulmano e croato e i
diritti delle minoranze. "E' tempo di una nuova fondazione della
Bosnia- Erzegovina", ha detto il premier croato Racan.

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