(français / italiano)

La «Tempesta nel deserto» e la fase che viviamo

1) I REPORT della giornata nazionale contro la guerra (16 gennaio)
– Migliaia in piazza contro la guerra a Roma e Milano. L’inerzia è finita (Piattaforma Sociale Eurostop)
– Porre le basi per lo sviluppo capillare del movimento contro la guerra (Fausto Sorini, PCdI)
2) 1991–2016: 25 ANNI DI GUERRA CONTRO LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA
– Guerra del Golfo 1991, uno spartiacque tragico che ci rese apolidi (di Marinella Correggia)
– La «Tempesta nel deserto» apriva la fase che viviamo (di Manlio Dinucci)
– COMMEMORAZIONE DELL'ARTICOLO 11 (di Manlio Dinucci)


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I REPORT della giornata nazionale contro la guerra (16 gennaio)


ROMA E MILANO IN PIAZZA CONTRO LA GUERRA A 25 ANNI DALL’INIZIO DELLA GUERRA DEL GOLFO (AICANEWS.it Agenzia Videoreporter, 16 gen 2016)
Venticinque anni fa, nelle prime ore del 17 gennaio 1991, iniziava l’operazione «Tempesta del deserto», la “guerra del golfo”. Si apriva così una fase storica. Oltre 5000 persone hanno manifestato a Roma e circa 2000 a Milano. Le piattaforme No Guerra No Nato e Eurostop sono state le promotrici della giornata di mobilitazione e anche a fronte di importanti differenze hanno promosso i cortei e la giornata di lotta...

Manifestazione No Nato – Basta Guerra – LIVE (PandoraTV 16.1.2016.)
(interviste in diretta streaming streaming 3h1m17s)
Sabato 16 gennaio 2015 manifestazione nazionale contro la guerra, a 25 anni di distanza dalla prima guerra in Iraq...
VIDEO: http://www.pandoratv.it/?p=5809 oppure https://www.youtube.com/watch?v=6h_QtOsD8CM


--- ROMA

La manifestazione No War di Roma, alcuni video (Redazione Contropiano, 18 Gennaio 2016)

I media mainstream (e anche molti di quelli 'alternativi', a dir la verità) non hanno speso un rigo o un servizio di telegiornale per raccontare la manifestazione contro la guerra, l'imperialismo, le spese militari, il giro di vite sulle libertà fondamentali che sabato ha percorso le vie del centro di Roma in contemporanea con una analoga iniziativa indetta a Milano, anche in quel caso convocata dalla Piattaforma Sociale Eurostop ed alla quale hanno aderito altre forze sociali e politiche. Per fortuna c'è la rete...

Roma - Venticinque anni di guerre? BASTA! (Pressenza Italia, 16 gen 2016)
Roma, 16 gennaion 2016. Mobilitazione nazionale contro la guerra e gli armamenti in occasione dei 25 anni dall'inizio della Guerra del Golfo. Alcuni momenti della manifestazione (A cura di Dario Lo Scalzo)

Roma 16 Gennaio 2016: SE 25 ANNI DI GUERRA VI SEMBRANO POCHI (Unione Sindacale di Base, 16 gen 2016)
DURATA 1h39m28s - Trasmesso dal vivo in streaming il 16 gen 2016

Roma - NO ALLA GUERRA PERMANENTE : In piazza 25 anni dopo (Libera.Tv, 16 gen 2016)


--- MILANO

STOP THE WAR! 16 GENNAIO 2016, MILANO (ITALY) (etruscanwarrior, 16 gen 2016)
Vedute del corteo che si è snodato da piazza San Babila a Milano, lungo via Larga, piazza Fontana, piazza del Duomo, via Torino e corso di Porta Ticinese, fino ad arrivare alla Darsena dove si è concluso con il lancio di variopinte lanterne colorate...

--- TRIESTE

Manifestazione contro le guerre, quaranta in piazza della Borsa (FOTO) (di Luca Marsi, 16.1.2016)
Una quarantina di triestini ha preso parte al presidio odierno in piazza della Borsa per dire basta a tutte le guerre...
http://www.triesteprima.it/cronaca/manifestazione-contro-guerre-quaranta-piazza-della-borsa-16-gennaio-2016.html

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16 gennaio No War: non avrete la vostra "generazione Bataclan" (Campagna Noi Restiamo - Bologna, 17 Gennaio 2016)
... Nella logica perversa della competizione globale, l'UE da un lato riversa le sue ambizioni coloniali nei paesi attorno a sé (l'area mediorientale ma anche l'Ucraina), dall'altra conduce da anni una guerra di classe dall'alto verso il basso nei confronti dei propri lavoratori e dei propri cittadini...
http://contropiano.org/interventi/item/34777-16-gennaio-no-war-non-avrete-la-vostra-generazione-bataclan

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http://www.eurostop.info/migliaia-in-piazza-contro-la-guerra-a-roma-e-milano-linerzia-e-finita/

Migliaia in piazza contro la guerra a Roma e Milano. L’inerzia è finita

17 gennaio 2016

E’ finita la colpevole inerzia nella denuncia dei pericoli di guerra. In occasione del venticinquesimo anniversario della prima Guerra del Golfo (1991), oggi migliaia di persone, attivisti sociali, antimilitaristi, sindacalisti sono scesi in piazza a Roma, a Milano e in altre città, per dire No alla guerra che sta caratterizzando questo primo quindicennio del XXI Secolo. A Roma un corteo di massa, animato anche dalle orchestre popolari di diversi quartieri ha sfilato da Piazza Esquilino a Piazza Madonna di Loreto. A Milano il corteo è partito da Piazza San Babila arrivando fino alla Darsena dove sono state lanciate in cielo decine di lanterne. Altre manifestazioni locali più piccole si sono svolte a Trieste e a Sassari, un’altra ci svolgerà domenica mattina a Sigonella in Sicilia davanti alla base militare Usa.

In piazza, tra le numerose bandiere No War, palestinesi, siriane o del sindacato Usb, si sono visti anche molti immigrati africani e asiatici, le comunità palestinesi, libanesi e siriane che si oppongono al terrorismo dell’Isis ma anche all’intervento militare destabilizzante degli Usa, dell’Unione Europee e delle petromonarchie del Golfo. I cortei ha denunciato i pericoli di guerra che oggi indicano una escalation proprio nell’area mediterranea, sia est (in Siria e Iraq) sia a sud in Libia. Ed è proprio lo scenario libico quello che i manifestanti hanno denunciato con forza. L’Italia si appresta ad essere capofila dell’operazione di intervento militare in Libia e dall’Isis già giungono minacce su rappresaglie nelle città italiane. Ancora volta saranno le popolazioni, sia in Libia che in Italia, a pagare il prezzo di sangue più alto per le scelte dei governi. Negli interventi in piazza i partecipanti alle manifestazioni hanno denunciato la pericolosa connessione tra guerra esterna e guerra interna le cui prime avvisaglie sono lo stato d’emergenza costituzionalizzato in Francia e praticato in Italia, il via libera alle spese militari al di fuori del Patto di Stabilità imposto dalla Unione Europea che falcidia invece i servizi sociali, i salari, le pensioni, il lavoro. A Roma durante il corteo una bandiera dell’Unione Europea è stata bruciata dai manifestanti.
La giornata di mobilitazione di oggi è stata lanciata lo scorso 21 novembre dalla Piattaforma Sociale Eurostop nel corso della sua prima assemblea nazionale. Eurostop è nata per rompere con i “piloti automatici” – l’Unione Europea/Eurozona e la Nato – che stanno provocando una politica antipolare di austerity e crescenti pericoli di guerra. Si tratta di due apparati sovranazionali che trascinano i paesi aderenti dentro scelte pericolose e antisociali ormai visibili a tutti. La costituzionalizzazione dello stato d’emergenza in Francia indica come il clima di guerra cominci a ipotecare seriamente gli spazi democratici nei paesi coinvolti.
Oggi è stata una vera giornata di mobilitazione attesa da tempo per affermare che anche nel nostro paese c’è chi resiste contro la guerra, per combattere l’unica guerra giusta: quella contro la miseria e lo sfruttamento.

Piattaforma Sociale Eurostop
Info: www.eurostop.info

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http://www.comunisti-italiani.it/2016/01/18/porre-le-basi-pe-rlo-sviluppo-capillare-del-movimento-contro-la-guerra/

Porre le basi per lo sviluppo capillare del movimento contro la guerra

di Fausto Sorini, segreteria nazionale PCdI (responsabile esteri), coordinamento nazionale Associazione per la ricostruzione del partito comunista

Come comunisti consideriamo nell’insieme positivo il bilancio della giornata di lotta del 16 gennaio contro la guerra, con le manifestazioni di Milano, Roma e in altre città, promosse da un insieme di forze.
Anche se l’entità complessiva dei partecipanti è quello delle migliaia (non è il tempo delle folle oceaniche), va posto l’accento sul fatto che si è trattato – dopo molti anni di sostanziale assenza dalle piazze italiane – di un segno importante di ripresa militante e qualificata di un’embrionale ricostruzione di un movimento contro la guerra su posizioni avanzate.
Pur in presenza di analisi e posizionamenti diversi rispetto al quadro internazionale e alla individuazione delle responsabilità, esso ha posto in modo convergente il tema qualificante dell’uscita dell’Italia dalla Nato e dal sistema di guerra atlantico di cui essa fa parte; e che nel nostro Paese si concretizza nella presenza di oltre un centinaio di basi militari degli Usa e della Nato (non certo russe, cinesi, francesi o tedesche..), alcune delle quali con la presenza di armi nucleari e di sterminio di massa.  
Il nostro partito e l’Associazione per la ricostruzione del partito comunista hanno dato un contributo significativo e convinto alla riuscita delle iniziative. Tale impegno, in corso da tempo, e che in alcune città (come ad esempio Milano) ha portato alla costruzione di importanti comitati locali contro la guerra, deve oggi continuare e tradursi nella costruzione sui territori di una rete più diffusa e permanente di Comitati unitari anti-guerra, a partire dalla nostra appartenenza comune e fin dalle sue origini al Movimento NO Guerra NO Nato: il più affine nell’analisi internazionale alle nostre valutazioni sulle ragioni della guerra, in quanto chiama le cose col loro nome e indica negli Stati Uniti e nella Nato – non già in un generico “scontro tra potenze” non meglio identificate – i principali responsabili della spinta alla guerra; e indica nei BRICS e nei paesi non allineati all’imperialismo americano ed euro-atlantico (e in particolare in alcuni di essi) il principale bastione e contrappeso mondiale all’imperialismo.
Tale impegno di ricostruzione di un movimento unitario contro la guerra deve svolgersi (come abbiamo cercato di fare anche in occasione del 16 gennaio) in convergenza unitaria con altre forze con cui ci accomunano non solo il richiamo rigoroso al rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, ma anche la sottolineatura del carattere imperialista dell’Unione europea e le sue pesanti responsabilità nella partecipazione o connivenza nella più parte delle guerre degli ultimi 25 anni, tra cui la guerra contro la Libia e contro la Jugoslavia, in cui la partecipazione dei governi italiani è stata particolarmente diretta, operativa e odiosa. Trattandosi per giunta di paesi in cui l’Italia aveva svolto in passato e tornava a svolgere un ruolo oppressivo e coloniale, con connivenze indicibili, vergognose e criminali.   
E’ a partire dal rapporto unitario con tutte le componenti più avanzate e consapevoli del movimento contro la guerra (ivi comprese quelle, importantissime, del mondo cattolico) che esso va sviluppato a livello popolare e capillare, sui territori, nelle scuole, nel mondo del lavoro, bandendo ogni settarismo o logica di gruppo o personalistica.
Non è solo a ristrette avanguardie, pur essenziali, che dobbiamo rivolgerci, come ci insegna la migliore tradizione del PCI, del movimento comunista internazionale e dei Partigiani della pace, ma all’insieme del nostro popolo; il quale, sia pure con diversi livelli di sensibilità e consapevolezza delle dinamiche del quadro mondiale, nella sua quasi totalità – al di là di differenze politiche, ideologiche, religiose – ripudia la guerra. Ed aspira ad una collocazione dell’Italia in un quadro di affermazione della propria sovranità nazionale e con una politica estera di cooperazione e di pace con tutti i paesi e i popoli del mondo: coerente coi principi e i valori della Costituzione

18 gennaio 2016


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1991–2016: 25 ANNI DI GUERRA CONTRO LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA


VENTICINQUE ANNI FA LA PRIMA GUERRA DELLA REPUBBLICA ITALIANA
per la serie: La Notizia di Manlio Dinucci, su Pandora TV del 19/01/2016

UNA GUERRA CHE DURA DA VENTICINQUE ANNI
per la serie: La Notizia di Manlio Dinucci, su Pandora TV del 16/01/2016

PAOLO VOLPONI: DISCORSO CONTRO LA GUERRA DEL GOLFO (1991)
In occasione del 25° anniversario della Guerra del Golfo riproponiamo l’intervento che tenne in Senato per il gruppo di Rifondazione Comunista lo scrittore Paolo Volponi nella seduta del 20 febbraio 1991...

IRAQ 2003: selezione di 20' dal docufilm di Fulvio Grimaldi "UN DESERTO CHIAMATO PACE"
Il film è stato girato in Iraq durante la guerra del 2003 che ha inteso avviare la soluzione finale per la nazione irachena. Parla di informazione falsa e bugiarda, di un popolo forte, dignitoso, antico  e fiero, decimato dalla barbarie occidentale, della sua resistenza, della sua indescrivibile sofferenza...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=RdRQzfCAxIw

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Guerra del Golfo 1991, uno spartiacque tragico che ci rese apolidi

di Marinella Correggia, 16 Gennaio 2016 

La guerra del Golfo o «Tempesta nel deserto» iniziata nella notte fra il 16 e il 17 gennaio 1991 contro l’Iraq fu un tragico spartiacque nella storia del Medioriente ma anche nella vita di chi si scopriva cittadina/o di un paese che andava a uccidere dal cielo un altro popolo, violando ogni norma etica. Maledetti governi, maledetti parlamenti! Sotto Montecitorio in segno di protesta avevamo passato giorni interi, e c’eravamo anche la notte fra il 16 e il 17 gennaio. Solo quando per radio arrivò la notizia che l’indicibile era cominciato capimmo che non c’era più nulla da sperare. Ci eravamo illusi per mesi, malgrado i tamburi di guerra risuonassero perfidi fin dall’agosto 1990. 
Per sdegno nei confronti di un’Italia guerrafondaia, forse in molti furono attraversati dal pensiero dell’esilio: chiedere rifugio etico a un paese di pace, un paese che si fosse opposto a quella guerra, la prima di una lunga serie di aggressioni italiane dai nomi fantasiosi. Per mesi la piccola Cuba, membro di turno in Consiglio di Sicurezza, disse no fino alla fine, sola, insieme allo Yemen, disse no a mettere il mantello dell’Onu a una guerra statunitense. Perché non farsi accogliere a Cuba? Perché ostinarci a cercare di uccidere la guerra da qui, da una provincia dell’Impero diventata perfida, che di guerre ne avrebbe poi fatte molte altre? 
Scoprimmo anche il malvagio potere della disinformazione di massa. Menzogne e omissioni. La bugia fondatrice delle incubatrici kuwaitiane. L’occultamento totale dei morti ammazzati iracheni, ignorati dai media che mandavano in onda fuochi d’artificio verdognoli sui cieli di Baghdad. Ci fu dunque chi decise di darsi, almeno in parte, al giornalismo. La disinformazione aiuta le guerre? Informiamo, dunque, per la pace.
Tuttavia, allora i pacifisti avevano una consolazione. A protestare erano in tanti. Una minoranza, certo, ma non piccola. In tanti modi si resisteva. Inventammo la Rete di informazione contro la guerra, che insieme alle radio popolari, al manifesto, ad avvenimenti, senza cellulari né internet né email né facebook teneva in collegamento centinaia di focolai di pace, centinaia di forme di protesta, per mesi e mesi in tutta Italia. Una buona parte di quelle iniziative fu raccolta in un dossier, salvato dalla polvere di 25 anni.
A leggere nel 2016 di tante e varie e fantasiose proteste, pare impossibile. (...)

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en français: La guerre des vingt-cinq ans (par Manlio Dinucci, Il Manifesto 16.11.2016)
L’opération Tempête du désert, initiée par Washington à la chute du Mur de Berlin, il y a exactement 25 ans, ne s’est jamais terminée. Elle marque la fin d’un monde bipolaire, celui de la Guerre froide, et le début d’une ère dominée par les seuls États-Unis, qui n’a pris fin que le 30 septembre 2015, avec le retour de l’armée russe sur la scène internationale (opération anti-terroriste en Syrie). Cette guerre US avait été précédée d’une autre, fomentée par les USA mais réalisée par les seuls Irakiens, contre la Révolution iranienne. À l’issue de ces 35 ans de conflit ininterrompu, il apparaît que la domination états-unienne vise d’abord à empêcher le développement des peuples du Proche-Orient et, pour cela, passe par la destruction méthodique de leurs États...



La «Tempesta nel deserto» apriva la fase che viviamo

di Manlio Dinucci
da il manifesto, 16 gennaio 2015

Nelle prime ore del 17 gennaio 1991, inizia nel Golfo Persico l’operazione «Tempesta del deserto», la guerra contro l’Iraq che apre la fase storica che stiamo vivendo. Questa guerra viene lanciata nel momento in cui, dopo il crollo del Muro di Berlino, stanno per dissolversi il Patto di Varsavia e la stessa Unione Sovietica. Ciò crea, nella regione europea e centro-asiatica, una situazione geopolitica interamente nuova. E, su scala mondiale, scompare la superpotenza in grado di fronteggiare quella statunitense. «Il presidente Bush coglie questo cambiamento storico», racconta Colin Powell. Washington traccia subito «una nuova strategia della sicurezza nazionale e una strategia militare per sostenerla». L’attacco iracheno al Kuwait, ordinato da Saddam Hussein nell’agosto 1990, «fa sì che gli Stati uniti possano mettere in pratica la nuova strategia esattamente nel momento in cui cominciano a pubblicizzarla».
Il Saddam Hussein, che diventa «nemico numero uno», è lo stesso che gli Stati uniti hanno sostenuto negli anni Ottanta nella guerra contro l’Iran di Khomeini, allora «nemico numero uno» per gli interessi Usa in Medioriente. Ma quando nel 1988 termina la guerra con l’Iran, gli Usa temono che l’Iraq, grazie anche all’assistenza sovietica, acquisti un ruolo dominante nella regione.
Ricorrono quindi alla tradizionale politica del «divide et impera». Sotto regia di Washington, cambia anche l’atteggiamento del Kuwait: esso esige l’immediato rimborso del debito contratto dall’Iraq e, sfruttando il giacimento di Rumaila che si estende sotto ambedue i territori, porta la propria produzione petrolifera oltre la quota stabilita dall’Opec. Danneggia così l’Iraq, uscito dalla guerra con un debito estero di oltre 70 miliardi di dollari, 40 dei quali dovuti a Kuwait e Arabia Saudita. A questo punto Saddam Hussein pensa di uscire dall’impasse «riannettendosi» il territorio kuwaitiano che, in base ai confini tracciati nel 1922 dal proconsole britannico Sir Percy Cox, sbarra l’accesso dell’Iraq al Golfo.
Washington lascia credere a Baghdad di voler restare fuori dal contenzioso. Il 25 luglio 1990, mentre i satelliti del Pentagono mostrano che l’invasione è ormai imminente, l’ambasciatrice Usa a Baghdad, April Glaspie — come spiegò poi nella sua intervista a Jeune Afrique -, assicura Saddam Hussein che gli Stati uniti desiderano avere le migliori relazioni con l’Iraq e non intendono interferire nei conflitti inter-arabi. Saddam Hussein cade nella trappola: una settimana dopo, il 1° agosto 1990, le forze irachene invadono il Kuwait.
A questo punto Washington, formata una coalizione internazionale, invia nel Golfo una forza di 750 mila uomini, di cui il 70 per cento statunitensi, agli ordini del generale Schwarzkopf. Per 43 giorni, l’aviazione Usa e alleata effettua, con 2800 aerei, oltre 110 mila sortite, sganciando 250 mila bombe, tra cui quelle a grappolo che rilasciano oltre 10 milioni di submunizioni. Partecipano ai bombardamenti, insieme a quelle statunitensi, forze aeree e navali britanniche, francesi, italiane, greche, spagnole, portoghesi, belghe, olandesi, danesi, norvegesi e canadesi. Il 23 febbraio le truppe della coalizione, comprendenti oltre mezzo milione di soldati, lanciano l’offensiva terrestre. Essa termina il 28 febbraio con un «cessate-il-fuoco temporaneo» proclamato dal presidente Bush. Alla guerra segue l’embargo, che provoca nella popolazione irachena più vittime della guerra: oltre un milione, tra cui circa la metà bambini.
Subito dopo la guerra del Golfo, Washington lancia ad avversari e alleati un inequivocabile messaggio: «Gli Stati uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un’influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Non esiste alcun sostituto alla leadership americana» (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, agosto 1991).
La guerra del Golfo è la prima guerra a cui partecipa sotto comando Usa la Repubblica italiana, violando l’articolo 11 della Costituzione. La Nato, pur non partecipando ufficialmente alla guerra, mette a disposizione sue forze e strutture per le operazioni militari. Pochi mesi dopo, nel novembre 1991, il Consiglio Atlantico vara, sulla scia della nuova strategia Usa, il «nuovo concetto strategico dell’Alleanza». Nello stesso anno in Italia viene varato il «nuovo modello di difesa» che, stravolgendo la Costituzione, indica quale missione delle forze armate «la tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario».
Nasce così con la guerra del Golfo la strategia che guida le successive guerre sotto comando Usa, presentate come «operazioni umanitarie di peacekeeping»: Jugoslavia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003, Libia 2011, Siria dal 2013, accompagnate nello stesso quadro strategico dalle guerre di Israele contro il Libano e Gaza, della Turchia contro i curdi del Pkk, dell’Arabia Saudita contro lo Yemen, dalla formazione dell’Isis e altri gruppi terroristi funzionali alla strategia Usa/Nato, dall’uso di forze neonaziste per il colpo di stato in Ucraina funzionale alla nuova guerra fredda contro la Russia. Profetiche, ma in senso tragico, le parole del presidente Bush nell’agosto 1991: «La crisi del Golfo passerà alla storia come il crogiolo del nuovo ordine mondiale».

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En français: Constitution italienne : commémoration de l’article 11 (par Manlio Dinucci, Il Manifesto 19.11.2016.)
Au lendemain de la Seconde Guerre mondiale, c’est-à-dire après l’épisode fasciste, la République italienne —comme le Japon et l’Allemagne fédérale— s’interdisait d’avoir recours à la guerre. Bien que toujours présent dans sa Constitution, cette prohibition a volé en éclats lors de la guerre du Golfe sans provoquer la moindre réaction des grands partis politiques...
http://www.voltairenet.org/article190003.html



COMMEMORAZIONE DELL'ARTICOLO 11

di Manlio Dinucci
su il manifesto, 19 gennaio 2016

Un importante anniversario va ricordato nel quadro del 25° della prima guerra del Golfo: essa è la prima guerra a cui partecipa la Repubblica italiana, violando il principio, affermato dall’Articolo 11 della Costituzione, che «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». 
Nel settembre 1990, su decisione del sesto governo Andreotti, l’Italia invia nella base di Al Dhafra negli Emirati Arabi Uniti una componente aerea di cacciabombardieri Tornado. Nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 1991, 8 Tornado italiani decollano per bombardare obiettivi iracheni stabiliti dal comando Usa, in quella che l’Aeronautica ricorda ufficialmente come «la prima missione di guerra compiuta dall’Aeronautica italiana, 46 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale». 
A questa missione (durante la quale un Tornado viene abbattuto e i due piloti fatti prigionieri) seguono altre missioni di bombardamento sempre sotto comando Usa, per complessive 226 sortite, tutte «coronate da pieno successo». Si aggiungono 244 missioni italiane di velivoli da trasporto e 384 di velivoli da ricognizione, «operanti in Turchia nel quadro della Ace Mobile Force Nato» (a conferma che la Nato, pur senza intervenire ufficialmente, partecipa in realtà alla guerra con sue forze e basi). 
Questa «prima missione di guerra» è decisiva per il varo del «nuovo modello di difesa» subito dopo la guerra del Golfo, sulla scia del riorientamento strategico Usa/Nato. Nell'ottobre 1991 il Ministero della difesa pubblica il rapporto «Modello di Difesa / Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. negli anni '90». Il documento riconfigura la collocazione dell'Italia, definendola «elemento centrale dell'area geostrategica che si estende unitariamente dallo Stretto di Gibilterra fino al Mar Nero, collegandosi, attraverso Suez, col Mar Rosso, il Corno d'Africa e il Golfo Persico». 
Stabilisce quindi che «gli obiettivi permanenti della politica di sicurezza italiana si configurano nella tutela degli interessi nazionali, nell'accezione più vasta di tali termini, ovunque sia necessario», in particolare di quegli interessi che «incidono sul sistema economico e sullo sviluppo del sistema produttivo». 
Il «nuovo modello di difesa» passa quindi da un governo all’altro, senza che il parlamento lo discuta mai in quanto tale. 
Nel 1993 – mentre l’Italia partecipa all’operazione militare lanciata dagli Usa in Somalia, e al governo Amato subentra quello Ciampi – lo Stato maggiore della difesa dichiara che «occorre essere pronti a proiettarsi a lungo raggio» per difendere ovunque gli «interessi vitali». 
Nel 1995, durante il governo Dini, afferma che «la funzione delle forze armate trascende lo stretto ambito militare per assurgere a misura dello status del paese nel contesto internazionale». Nel 1996, durante il governo Prodi, si ribadisce che «la politica della difesa è strumento della politica estera». 
Nel 2005, durante il governo Berlusconi, si precisa che le forze armate devono «salvaguardare gli interessi del paese nelle aree di interesse strategico», le quali comprendono, oltre alle aree Nato e Ue, i Balcani, l’Europa orientale, il Caucaso, l’Africa settentrionale, il Corno d’Africa, il Medio Oriente e il Golfo Persico. 
Attraverso questi e successivi passaggi, si demolisce un pilastro fondamentale della Repubblica italiana, per mano dei governi di ogni tinta e con la complicità di un parlamento che, in stragrande maggioranza, acconsente o resta inerte. Mentre l’Italia, sempre sotto comando Usa direttamente o nel quadro Nato, passa di guerra in guerra.