Riportiamo l'intervista di Alberto Moravia a Josip Broz "Tito" apparsa su L'Espresso del 1 agosto 1971

 


Esclusivo / Il Maresciallo Tito risponde a Moravia sui temi del momento: Cina, Europa, Medio Oriente, socialismo, guerriglia

 

COSÌ ANDRÀ IL MONDO


Dalla costa istriana, Brioni dista soltanto tre chilometri. C'è stato un temporale stanotte; mentre il motoscafo avanza a velocità ridotta, fendendo senza rumore l’acqua diafana e lucida, l'isola si delinea all'orizzonte sotto il cielo ancora rannuvolato. Si vede una piccola baia, due edifici lunghi e bassi che sembrano due alberghi, un molo. Sono le nove. Alle nove e mezzo il presidente Tito mi riceverà per un'intervista della durata di un'ora e mezzo.
Poco più tardi, un'automobile ci porta con dolcezza ministeriale per una strada asfaltata, intorno all'isola. Attraversiamo una boscaglia mediterranea di pini, di lecci, di lauri, di cipressi, così fitta da essere in più punti quasi buia. Ogni tanto la boscaglia si apre intorno a grandi prati bruciati dal sole sui quali pascolano, incredibili, numerosi cervi chiari e scuri, con le teste chinate a brucare, simili alle pitture delle grotte preistoriche. Siamo in un'isola del Mediterraneo, certo: ma la Mitteleuropa romantica non è lontana. Guardando a quella boscaglia oscura e a quei prati da plenilunio e da fantasmi, viene fatto di pensare piuttosto a Böklin che a Matisse.
La macchina si ferma di fronte ad un porticato sopra il quale sventola la bandiera jugoslava. La villa è immersa tra i fiori. Dal bosco giungono i ruggiti cavernosi e annoiati delle belve del piccolo zoo. Scendiamo, entriamo. Il presidente Tito sta in piedi, a destra della porta, insieme con la moglie, aspettandoci. Il presidente è vestito di blu, con la camicia bianca e la cravatta scura. La moglie è vestita di bianco. Siamo presentati, il presidente e la moglie ci stringono la mano. In gruppo ci avviamo verso un grande salone rettangolare in fondo al quale c'è un divano e alcune poltrone. Tito siede in una poltrona, io nel divano a destra di Tito. Di fronte a me sta l'interprete che via via tradurrà dall'italiano le mie domande e dallo slavo le risposte di Tito.
Probabilmente qualsiasi intervista ad un personaggio dell'importanza di Tito non può non cominciare con qualche frase di compiacimento ammirativo da parte dell'intervistatore. In molti casi, suppongo che queste frasi siano puramente convenzionali. Qualche volta potranno anche essere addirittura menzognere. Ma nel caso di Tito, nel momento stesso che lo ringrazio di ricevermi e gli manifesto il sentimento che mi ispira il fatto di trovarmi in sua presenza, mi accorgo di essere sincero. Il fatto è che Tito, a quasi 80 anni, è uno dei pochissimi personaggi oggi viventi che si possono chiamare storici con completa identificazione della storia con la loro vita individuale. Tito, per quella adesione spontanea al ritmo del mondo che, secondo la filosofia cinese tradizionale, è la massima virtù umana, è stato "storico", per così dire, fin dalla nascita. Quando Tito nasce, nel 1892, esistono ancora gli imperi europei di Germania e d'Austria, l'impero ottomano, l'impero cinese, gli imperi coloniali francese e britannico, l'impero zarista. Impero è parola che indica stabilità, vastità, potenza. Tuttavia tutti questi imperi oggi non ci sono più; e senza dubbio Tito è stato uno di coloro che hanno contribuito più validamente alla loro scomparsa.
D'altra parte la vita di Tito è notevole non soltanto perché ha fatto tante cose ma perché le ha fatte in un arco di tempo così lungo. Paragonando la storia ad una pista per corse automobilistiche, si vede che Tito, tra i tanti corridori in lizza, è stato uno dei più resistenti, più abili e più intrepidi. Alcuni dei concorrenti hanno abbandonato la corsa per limiti di età; altri sono usciti disastrosamente dalla pista e sono bruciati, loro e la loro macchina, altri ancora si sono fermati per un guasto. Soltanto Tito, partito senza particolari punti a suo favore, anzi con alcuni forti svantaggi, sembra essere destinato a portare l'impresa fino in fondo. Così che si può affermare che nella corsa della storia egli ha lasciato indietro molti e non è stato superato quasi da nessuno.
Mentre penso queste cose, un cameriere serve delle bevande e Tito nonostante l'ora mattutina si fa dare un grande bicchiere di whisky con soda e ghiaccio. Lo guardo. Paragonato a certe fotografie famose, per esempio quella col berretto da partigiano inclinato sulla fronte e la pipa tra i denti o quella che lo ritrae nella grotta di Dvar, ridente, mentre, in una pausa della guerriglia, gioca a scacchi, certamente si è ispessito molto nel volto e nella persona. Ma le due fotografie che ho citato lo ritraggono com'era nella seconda parte della sua vita, la parte da lui vissuta come capo militare e politico, a partire dalla seconda guerra mondiale. Invece, appuntando gli occhi sulla sua maschera di uomo di Stato, vorrei ritrovare i lineamenti del Tito della prima parte della vita, la parte, voglio dire, da lui vissuta nell'oscurità prima come operaio metallurgico e modesto militante socialista, poi come soldato nell'esercito austroungarico, alfine come prigioniero dei russi in Siberia tra i kirghisi e come testimone straniero a Pietrogrado nei giorni di Lenin, di Trotzki e di Kerenski.
Perché vorrei ritrovare il volto di Tito ventenne o trentenne sotto i tratti del Tito di oggi? Perché la sorte ha voluto che Tito, per così dire, vivesse due volte gli eventi più importanti della sua carriera, una prima volta come esordiente ingenuo e una seconda volta come scaltrito veterano. Con questo voglio dire che c'è nella vita di Tito una specie di ritorno o di ripetizione fortunata e misteriosa. L'esperienza militare durante la prima guerra mondiale doveva, venticinque anni dopo, servirgli non poco nella lotta partigiana; l'esperienza della cospirazione politica "in patria" doveva, anch'essa dopo un quarto di secolo, giovargli enormemente nella sua lotta contro lo stalinismo e contro Stalin.
A riprova di questa simmetria delle esperienze militari e politiche, si possono notare nella sua carriera due anticipazioni significative: l'interesse per l'arte militare e l'idea della lotta politica tra il popolo e con il popolo, senza aiuti finanziari stranieri, contando soltanto sulle risorse popolari. L'interesse per l'arte militare si desta in Tito nelle condizioni più sfavorevoli, cioè quando era soldato in una guerra che non avrebbe voluto combattere, nei ranghi di un esercito, l'austroungarico, di cui si augurava la disfatta. Quanto all'idea della lotta politica tra il popolo e con le risorse finanziarie del popolo, essa risale al 1938, anno in cui Tito, dopo essere vissuto a lungo a Mosca e nelle città principali d'Europa, si convinse che la rivoluzione jugoslava andava preparata in Jugoslavia e con finanziamento jugoslavo. L'interesse per l'arte militare (Tito dice, nella biografia di Vladimir Dedijer: mi interessava soprattutto, nell'arte militare, la ricognizione esplorativa, perché richiede una straordinaria lucidità e freddezza di mente), come abbiamo notato, doveva permettergli di affrontare con successo la più terribile guerra partigiana della seconda guerra mondiale. Quanto all'idea della rivoluzione, preparata "sul luogo" e coi mezzi del luogo, essa contiene già in germe la concezione del socialismo di autogestione, nazionale, antistalinista e anticentralizzatore.
Condenso tutte queste riflessioni, dicendo a Tito che ha avuto una bella vita. Risponde con un sorriso che è stata una vita difficile. Ribatto a mia volta: difficile ma bella. Così comincia l'intervista.

HO IL MIO PAESE DA RIORGANIZZARE

MORAVIA. Da ultimo c'è stata in Jugoslavia una situazione di tensione politico-ideologica. A quali cause attribuite questa situazione?

TITO. La causa va fatta risalire alle differenze di sviluppo economico delle singole repubbliche. Noi stiamo adesso procedendo ad una riorganizzazione del nostro sistema statale. Ci studiamo di risolvere il problema dando maggiori diritti sia politici sia strutturali alle diverse nazionalità. Questo processo di riorganizzazione incontra la resistenza di elementi che hanno ambizioni centralistiche; i quali a loro volta trovano aiuti e consensi, all'estero, presso nazioni e gruppi di potere che non vedono di buon occhio una Jugoslavia unita e tuttavia organizzata secondo il principio dell'autogestione. Indubbiamente c'è stato da ultimo un accentuarsi delle forze centrifughe, al quale abbiamo cercato di porre rimedio con delle modifiche alla Costituzione. A questo scopo è stata istituita la presidenza della Repubblica socialista di Jugoslavia, supremo organo dello Stato, composto di 22 membri, tre per ciascuna repubblica e due per ogni provincia autonoma, eletti per sette anni dalle assemblee repubblicane e provinciali. Questa presidenza eleggerà a sua volta dalle sue file il vicepresidente per la durata di un anno. Il presidente della Repubblica è al tempo stesso presidente della presidenza.
Un altro problema che abbiamo dovuto affrontare è stato quello degli investimenti sempre maggiori che richiede lo sviluppo economico del paese. Mancavano i fondi, per cui si è verificato uno sbilancio crescente tra riserve e spese. Il costo della vita è rincarato e questo ha contribuito ad acuire la tensione politico-ideologica. Tuttavia sarebbe ingiusto non sottolineare che il tenore di vita, nonostante queste e altre simili difficoltà, non ha fatto che elevarsi. Il progresso economico generale, in altri termini, non è stato ottenuto a spese del progresso economico individuale.

MORAVIA. E' vero che a Mosca c'è un gruppo di cominformisti jugoslavi che con l'aiuto dell'Urss cerca di provocare cambiamenti politici in Jugoslavia?

SOVRANITÀ LIMITATA ? CHE CI PROVINO

TITO. Sì, ci sono questi gruppi a Mosca e anche a Praga. Ma non sono abbastanza forti per provocare mutamenti nel paese. Noi li conosciamo e sappiamo pure chi li sostiene. Alcuni sono rientrati in Jugoslavia sia come turisti sia come cittadini ai quali è stato permesso di rimpatriare. Si tratta insomma di stalinisti che vorrebbero che si tornasse al centralismo staliniano di prima del 1947. Noi conosciamo le loro mosse e li teniamo d'occhio.

MORAVIA. Cosa pensate della teoria della sovranità limitata, enunziata da Breznev a proposito dell'intervento sovietico in Cecoslovacchia? Quali pericoli può rappresentare per la Jugoslavia? A quali interventi può portare?

TITO. Possiamo dare una risposta soltanto parziale. Dunque dobbiamo dichiarare con assoluta franchezza che non riconosciamo alcuna legittimità ed esistenza ad una simile dottrina la quale ci pare, per dirla in una parola sola, inammissibile. Comunque essa non rappresenta alcun pericolo per la Jugoslavia. Siamo in grado di affrontare adeguatamente qualsiasi situazione che fosse originata dall'applicazione della dottrina. A questo punto, sento il dovere di notare che da ultimo, in un incontro con un gruppo di rappresentanti francesi, personaggi ufficiali sovietici hanno smentito l'esistenza della teoria della sovranità limitata. E poi, chiediamo, sarà più pericoloso parlare di sovranità limitata oppure imporre la sovranità limitata con le armi come stanno facendo gli Stati Uniti nel Vietnam?

MORAVIA. Esiste una penetrazione sovietica nei Balcani. Quali ne sono gli scopi? Su quali paesi conta l'Urss per questa penetrazione?

TITO. Non crediamo che si possa parlare di penetrazione sovietica nei Balcani. Piuttosto, c'è reciproca sfiducia tra Est e Ovest.

MORAVIA. La presenza dell'Urss come potenza navale nel Mediterraneo creerà secondo voi nuovi rapporti di forze? E quali riflessi avrà nelle relazioni tra Jugoslavia e Urss?

TITO. Per ora non ci sono, che noi si sappia, riflessi della presenza navale sovietica nel Mediterraneo. La flotta sovietica ci sembra soprattutto destinata a sostenere moralmente i paesi arabi nella loro difesa contro l'aggressione israeliana. Ben più pericolose, per l'Urss, ci sembrano la flotta e le basi americane. Alla lunga, la presenza nel Mediterraneo delle due flotte americana e sovietica potrebbe anche provocare un conflitto. Come dice il proverbio: quando si fanno risuonare le armi, alla fine si fa la guerra. Per questo è urgente che venga trovata al più presto una soluzione al conflitto del Medio Oriente; di modo che le due flotte degli Stati Uniti e dell'Urss se ne tornino a casa lasciando il Mediterraneo ai paesi rivieraschi ai quali soli appartiene: la Jugoslavia, l'Italia, la Francia, la Spagna, la Turchia, i paesi arabi, ecc. ecc.

NEL MONDO ARABO VINCE L’ASSURDO

MORAVIA. Qual è il vostro pensiero sul problema del Medio Oriente? Sulla riapertura del canale di Suez? Sulla questione del popolo palestinese?

TITO. Una soluzione del problema del Medio Oriente è difficile perché la situazione, di per sé confusa, è resa ancora più confusa dall'allargamento internazionale del conflitto e dal fatto che non esiste un accordo tra i palestinesi stessi. Ad ogni modo qualsiasi soluzione presuppone il ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati durante la guerra dei sei giorni. So che alcuni gruppi dirigenti palestinesi vorrebbero il ritorno puro e semplice del loro popolo nei territori originari; ma temo che si tratti di un'illusione, in quanto gli israeliani hanno cambiato profondamente questi territori.
Certo, si potrebbe studiare la possibilità di una nuova sistemazione dei palestinesi nei territori della Cisgiordania e di Gaza: ma questa eventualità è respinta dagli israeliani. Tre anni fa, ad Algeri, ho parlato dei loro problemi con i rappresentanti palestinesi. Essi hanno sottolineato il fatto che arabi ed ebrei hanno vissuto insieme in pace, per secoli, fino all'arrivo dei sionisti. Bisognerebbe, secondo i palestinesi, creare un nuovo Stato laico e democratico nel quale arabi ed ebrei potrebbero convivere senza attriti. Naturalmente resta da vedere fino a che punto questo progetto va incontro al desiderio generale dei palestinesi e degli arabi. Ancora oggi credo che una parte di loro desiderino puramente e semplicemente liquidare Israele. Il che io ritengo inammissibile. E l'ho detto ogni volta che l'ho stimato necessario agli uomini di governo e ai capi arabi.
Per ora, comunque, le cose vanno di male in peggio. In Giordania i beduini del re Hussein sparano sui poveri profughi palestinesi invece di adoperare le armi per liberare i territori occupati. Questo contegno assurdo si spiega con la paura che alcuni paesi arabi hanno del socialismo. Questa paura è pure all'origine di non pochi dissensi tra i paesi arabi. Per tutti questi motivi non credo che il piano federativo proposto dai palestinesi almeno per ora possa essere discusso seriamente. Oltre tutto esso suscita l'ostilità degli Stati Uniti, che hanno interesse a impedire la diffusione del socialismo nel Medio Oriente. A dire il vero, all'inizio gli israeliani si erano orientati verso il socialismo; ma negli ultimi anni si direbbe che se ne stanno allontanando.
Quanto al canale di Suez, penso che la riapertura del canale sia di grande utilità per tutti i paesi del Mediterraneo, e dunque anche per noi. Tuttavia non siamo disposti ad accettare la riapertura a qualsiasi costo. Pensiamo che il canale debba essere riaperto soltanto dopo il ritiro dalla sponda delle truppe israeliane. Naturalmente gli Stati Uniti sono contrari alla riapertura in quanto temono l'espansione dell'Urss nell'Oceano Indiano. Questo timore è condiviso dagli inglesi. Stati Uniti e Gran Bretagna sono infatti interessati a che l'Unione Sovietica non contesti il loro predominio nella parte meridionale del continente africano. L'Africa del Sud e la flotta americana minacciano nazioni anticolonialiste come la Tanzania e la Zambia. La flotta sovietica fa da freno all'influenza degli Stati Uniti in queste nazioni.

MORAVIA. Cosa pensate della diga di Cabora Bassa nel Mozambico? Credete che costituisca un pericolo per i paesi africani? Credete che venga costruita per rafforzare il colonialismo portoghese?

TITO. Sì, credo di sì.

L' ALBANIA SI COMPORTA MICA MALE

MORAVIA. Quali sono i problemi più importanti tra Jugoslavia e Albania, tra Jugoslavia e Bulgaria?

TITO. Non abbiamo problemi con l'Albania. Le relazioni col nostro paese sono molto migliorate e di recente c'è stato pure uno scambio di ambasciatori. Tra noi e l'Albania è importante che vi siano buoni rapporti in quanto il litorale adriatico è in grandissima parte jugoslavo. Quanto alla Bulgaria, il fondo del dissenso è costituito dal fatto che essa non riconosce l'esistenza della nazione macedone. Eppure la Macedonia, si è sviluppata in maniera notevole e non soltanto economicamente ma anche a livello culturale. Questo atteggiamento della Bulgaria è naturalmente fonte di irritazione per i macedoni e per tutti gli jugoslavi. Noi non chiediamo di annettere alla Macedonia i macedoni che si trovano in Bulgaria ma chiediamo che essi godano, di tutti i diritti di una minoranza.

CON VOI ITALIANI NESSUN PROBLEMA

MORAVIA. Con l'Italia, la Jugoslavia ha rapporti amichevoli. Non è sempre stato così. Perché?

TITO, Difficile dirlo. In gran parte le difficoltà erano dovute agli irredentisti. Ma è interesse sia per l'Italia che per la Jugoslavia avere buoni rapporti in quanto ad ambedue preme la stabilità di questa parte del mondo. Sono stato recentemente in Italia. Ho avuto modo di constatare che i rapporti tra Jugoslavia e Italia sono ottimi. Anche il problema di certe minori correzioni di frontiere può essere risolto gradualmente.

MORAVIA. Come vedete l'incremento dei rapporti culturali tra Jugoslavia e Italia?

TITO. Direi che c'è una tendenza ad una sempre maggiore collaborazione a livello culturale, favorita dagli sviluppi dei rapporti tra i due Stati.

UNA CORTINA DI BAMBÙ PIÙ ELASTICA

MORAVIA. Cosa pensate della rivoluzione culturale in Cina? Non credete che vi si debba vedere un tentativo riuscito di creare un socialismo nazionale come in Jugoslavia?

TITO. Per quanto riguarda la Jugoslavia, bisogna parlare non già di socialismo nazionale ma di socialismo di autogestione. Circa la Cina, penso che ci sia stata in quel paese una reazione salutare a contraddizioni interne. Mi sembra che i cinesi sono riusciti a risolvere queste contraddizioni, superando parecchie gravi difficoltà; e questo, debbo aggiungere, ha consentito loro di assumere posizioni più flessibili in politica estera.

MORAVIA. Cosa pensate della situazione a Cuba?

TITO. Non la conosco troppo bene. Sono convinto che Cuba, avendo conquistato la libertà con le proprie forze, riuscirà alla fine a creare una sua forma di socialismo. Cuba ha avuto bisogno dell'assistenza sovietica. Dipende da essa di regolare in futuro gli sviluppi dei suoi rapporti con l'Urss.

MORAVIA. Cosa pensate della prossima conferenza sulla sicurezza europea?

TITO. Si deve preparare bene. Se è destinata a fallire è meglio che non la si faccia. Non dovrebbe essere una conferenza per blocchi; bensì una riunione di tutti i paesi europei, senza blocchi. Beninteso non ci facciamo illusioni che in una conferenza possano essere risolti certi problemi. Noi siamo ad ogni modo per il superamento dei blocchi. Il problema potrà essere risolto non subito ma forse dopo la seconda o la terza conferenza.

IN INDOCINA QUALCOSA SI MUOVE

MORAVIA. Credete che vi sia qualche cosa di nuovo per la pace nel Vietnam?

TITO. (In italiano, sorridendo) "Eppur si muove". Dipende dagli Stati Uniti e soprattutto dagli sviluppi della situazione interna americana. Nixon, finora, non ha avuto successo con la sua politica. E' stato un fallimento, come si è visto in Cambogia. Quanto alla vietnamizzazione, essa è un'assurdità. D'altra parte, se non si riesce a vincere in una zona limitata, è assurdo allargare la zona del conflitto; non si riesce che a mettere i popoli gli uni contro gli altri. Tre anni fa è venuto in Jugoslavia Harriman e abbiamo discusso il problema del Vietnam. Gli ho detto che una soluzione sarebbe l'istituzione a Saigon di un governo provvisorio con rappresentanti dei vari partiti. Un governo non proprio socialista ma democratico. Harriman approvò questa soluzione. Noi jugoslavi abbiamo fatto l'esperienza, alla fine della guerra, di un governo di coalizione in cui si trovavano anche dei rappresentanti del governo in esilio. All'estero si pensava che questi ultimi alla fine avrebbero prevalso. Ma, non fu così. Il paese voleva il socialismo. Anche nel Vietnam si potrebbe istituire un governo di questo genere, con rappresentanti delle parti avverse.

IL VERO NEMICO RESTA IL BUROCRATE

MORAVIA. In futuro, come vedete lo sviluppo del socialismo in Jugoslavia? Credete che in Jugoslavia il socialismo saprà sfuggire alla fatale tendenza alla burocratizzazione?

TITO. Noi lottiamo contro la burocratizzazione. Gli ultimi cambiamenti che si sono verificati in Jugoslavia sono stati appunto dovuti alla lotta contro la burocratizzazione. L'autogestione non è stata ancora portata fino in fondo. Bisogna creare condizioni favorevoli affinché i lavoratori possano disporre di tutto il loro reddito. In Jugoslavia, per combattere la burocratizzazione, c'è il sistema della rotazione dei funzionari, i quali non possono restare in carica più di quattro anni.

MORAVIA. Non pensate che vi sono differenze eccessive tra il livello economico dei burocrati e quello dei lavoratori?

TITO. Le differenze non sono tra burocrati e lavoratori. Ci sono in realtà categorie che si arricchiscono a danno di altre categorie. Commercianti, speculatori, intermediari. A questi, purtroppo, non si può applicare il metodo della rotazione. Ma noi faremo in modo che nel futuro spariscano anche queste sperequazioni. Un giorno si apprenderà che abbiamo deciso di sottoporre ad inchiesta anche queste fonti di arricchimento. Perché non c'è democrazia senza una base economica; in Jugoslavia questa base di chiama autogestione. Il marxismo, d'altra parte, non è un dogma. Abbiamo creato una democrazia socialista basata sull'autogestione perché senza il socialismo la libertà democratica, come succede spesso nei paesi occidentali, non è che una formalità.

MORAVIA. Grazie, signor presidente.

TITO. Come vede, abbiamo risposto a tutte le vostre domande.


 

L'intervista è disponibile anche in formato PDF come scansione dal fascicolo originale:

 

 

(documentazione reperita e adattata da I. Serra)