Riproduciamo di seguito una intervista ed uno scritto di Mirjana (Mira)
Markovic, leader della Jul - Sinistra Unita Jugoslava http://www.jul.org.yu
- rispettivamente del 1998 e del 1993, riapparsi in questi giorni
sulla edizione completa in CD-Rom di LIMES 1993-1999 (nelle edicole a
30mila lire).

Una nota solamente sui giudizi espressi dalla Markovic sulla leadership
serba di Bosnia: come si puo' vedere gia' nello scritto del 1994, la
Markovic contesta la linea nazionalista di Pale, ed accusa pesantemente
anche Biljana Plavsic, di li' a poco "protetta" della NATO nella fase
post-Dayton. Viceversa usa parole di apprezzamento per Milorad Dodid,
il "moderato" salito in auge ancor piu' di recente. Negli ultimi mesi
tuttavia i rapporti tra la sinistra jugoslava e l'area di Dodik sono
stati compromessi dalle posizioni sempre piu' smaccatamente
filo-occidentali di quest'ultimo. Anche l'alleanza di governo tra i
socialisti (Partito Socialista della Repubblica Serba, di Radisic, vicino
all'SPS ed alla JUL) e la coalizione di Dodik si e' rotta.


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FAREMO GLI STATI UNITI DEI BALCANI

Conversazione con Mira MARKOVIC, professoressa di sociologia
all’Università di Belgrado e leader della Jul


(da LIMES 3/1998)

LIMES Perché si è disintegrata la Jugoslavia di Tito? Chi ne è stato
maggiormente responsabile?

MARKOVIC Quella Jugoslavia, che lei chiama la Jugoslavia di Tito, ed io
così come effettivamente si chiamava - Repubblica Socialista Federativa di
Jugoslavia - si è disintegrata perché questa disintegrazione faceva parte
del progetto di liquidazione del s ocialismo nei paesi dell’Europa
orientale. Suppongo che gli ideologi di questo progetto si trovino in
Occidente, in quei centri economici e politici consapevoli dell’importanza
storica dell’idea della parità di diritti tra i popoli e tra i cittadini,
i qu ali avevano motivo di temere quest’idea, nonché la capacità di
fermarne lo sviluppo. Un ruolo enorme nella disintegrazione della
precedente Jugoslavia fu dunque svolto da fattori esterni.

Ma questo ruolo, per quanto grande possa essere stato, non è stato
decisivo. Il ruolo decisivo fu dunque, e purtroppo, svolto da fattori
interni. Questi fattori interni erano, infatti, le debolezze intrinseche
alla precedente Jugoslavia. Tra queste, la pr incipale debolezza fu il
nazionalismo. Credo che esso si sia manifestato già negli anni Settanta,
anche se in forma moderata. Tito, con l’enorme influenza che esercitava
sulla vita della Jugoslavia di allora, riusciva a tenere questo
nazionalismo sotto co ntrollo, ad arrestarlo prima che si trasformasse in
un fattore di rilievo. Tuttavia, immediatamente dopo la sua morte, i suoi
successori che ogni anno si avvicendavano alla guida dello Stato, senza la
sua reputazione, il suo influsso e il suo potere, non erano più in grado
di fare nulla per sopprimere il nazionalismo. Direi, anzi, che molti lo
incentivavano. Magari non consapevolmente, e forse non direttamente, ma
certo agivano in una maniera che alimentava il nazionalismo. Lo facevano
perché, volendo raf forzare la propria posizione al vertice jugoslavo,
facevano leva sulla propria nazione incentivandola a nutrire sospetti e
suscitando una certa intolleranza nei confronti degli altri popoli
jugoslavi. Fino alla fine della mia vita resterò convinta che non
fossero consapevoli di quello che poteva nascere da una tale
manipolazione del sentimento nazionale. Erano tempi diversi quelli, senza
pericoli, sereni.

Quando però entrò in azione il piano contro i paesi socialisti, in primo
luogo contro quelli dell’Est europeo, fu proprio nel nazionalismo che
debolmente ardeva nella Jugoslavia che gli ideologi e gli attuatori di
questo piano trovarono un alleato serio e leale. Il nazionalismo dormiente
all’improvviso si trasformò in fiamma. Cominciò a manifestarsi in maniera
aggressiva, come separatismo, come sciovinismo, come il male che infine
distrusse la Jugoslavia.

Sempre, in tutte le occasioni che ho avuto, ho indicato anche un terzo
fattore. Nella disintegrazione della precedente Jugoslavia è stato molto
rilevante il ruolo svolto dagli emigranti politici provenienti da tutti i
popoli della precedente Jugoslavia. All’inizio degli anni Novanta, quando
si resero conto che la Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia era
in pericolo, si affrettarono subito a rafforzare il ruolo
dell’emigrazione. Tutto quello che possedevano - in termini materiali,
morali e politi ci - fu messo a disposizione dei nemici della Jugoslavia,
sia all’interno del paese che fuori di esso. Non ho mai in vita mia visto
un odio così appassionato come quello manifestato da questi emigranti nei
confronti del proprio paese d’origine, né tanta g ioia oscura mentre il
loro paese soffriva, moriva.

LIMES Cosa significava per lei prima e cosa significa oggi Tito, nel senso
storico e politico? In che senso l’attuale Jugoslavia è l’erede di quella
di Tito?

MARKOVIC Tito era alla guida di tutti i popoli jugoslavi nella loro
magnifica lotta eroica contro il fascismo, lotta che i popoli jugoslavi
hanno vinto suscitando l’ammirazione di tutto il mondo. Tito era a capo
del paese che dopo la seconda guerra mondia le con molta pazienza,
perseveranza e con grande successo si riprendeva dalle conseguenze di una
quasi inimmaginabile distruzione materiale. Tito era il garante della
salvaguardia della parità dei diritti nazionali tra i cinque popoli
jugoslavi e tra le n umerose minoranze nazionali. Non c’è mai stato, e per
molto tempo ancora non ci sarà un paese con tale parità di diritti
nazionali come quella esistente nella precedente Jugoslavia. Dopo la morte
di Tito, uno dei presidenti della Jugoslavia, l’albanese Fadilj Hoxha, è
appartenuto a una nazione di minoranza.

Tito era anche un uomo di Stato mondiale, che godeva di una grande
reputazione in tutto il mondo. Era egualmente apprezzato sia all’Est che
all’Ovest, sia da coloro che ne condividevano le opinioni che dai suoi
avversari. E soprattutto godeva di una grande stima tra i popoli poveri
dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. Credo che questa grande
stima nei suoi confronti permanga a tutt’oggi. Ritengo che Tito sia
diventato un personaggio storico non solo del proprio popolo, ma anche a
livello mondiale . Molti suoi contemporanei si ricordano ancora dei suoi
funerali. Vi erano presenti tutti i capi di Stato del mondo. Come se
l’intero pianeta si fosse riunito per congedarsi da Tito.

No, l’attuale Jugoslavia non è l’erede di quella di Tito. L’attuale
Jugoslavia vuole soltanto salvaguardare l’idea jugoslava e la Jugoslavia
come Stato.

LIMES Cosa vuol dire per lei essere jugoslava? Esiste oggi un’identità
jugoslava anche fuori della Serbia e del Montenegro?

MARKOVIC Per me essere jugoslava vuol dire sentirmi appartenente alla
Jugoslavia che è la mia patria. Io mi considero jugoslava, pur essendo
serba, perché considero mia patria la Jugoslavia. Anche se non ci fosse
questa Jugoslavia in cui oggi mi trovo a v ivere, io mi sentirei comunque
jugoslava, perché sono nata in questo paese, vi ho vissuto per tutta la
mia vita, e l’ho amata più di qualsiasi altro paese al mondo. Le sembra
che una francese, tedesca o italiana, se per caso le dovesse essere
distrutto il suo paese, potrebbe improvvisamente cessare di esserlo? Forse
più tardi ciò potrà valere per qualche altra generazione di francesi,
tedeschi o italiani. Forse, un giorno, altre persone residenti nell’area
di una Jugoslavia ormai inesistente, potranno aver motivo per non sentirsi
più jugoslavi. Ma noi ora - io adesso - non lo possiamo fare. Suppongo che
l’identità jugoslava sia presente anche in altre part i della precedente
Jugoslavia. Solo che lì quest’identità non si può esprimere. Può darsi che
da quelle parti quest’identità non sia così espressa come in Serbia e nel
Montenegro, ma sono certa che anche lì permane comunque, forse in attesa
di altri tempi.

LIMES Pensa che la guerra in Bosnia sia stata inevitabile? Se non lo è
stata, che responsabilità hanno avuto i serbi di Bosnia e quelli di Serbia
per questo conflitto?

MARKOVIC La guerra in Bosnia non era inevitabile. La separazione tra i tre
popoli poteva avvenire anche in un altro modo, meno sanguinoso e meno
tragico.

Non capisco, veramente, perché mi chiede che responsabilità hanno avuto i
serbi per questa guerra. La guerra fu combattuta tra tre popoli - serbi,
musulmani e croati. Tutti i tre popoli sono ugualmente responsabili per
l’inizio della guerra, per la sua du rata e per le vittime che la guerra
ha provocato. Io, come le ho già detto prima, sono serba. Ma non ho mai
detto che i serbi di Bosnia non fossero responsabili della guerra in
Bosnia. Questo, suppongo, mi dà il diritto di dire anche un’altra verità:
i responsabili di quella guerra non sono solo i serbi. Una responsabilità
almeno analoga va attribuita anche ai musulmani e ai croati. Questa è
l’unica verità. Non ne dovete dubitare. Se no, rischiate di offendere le
vittime innocenti di questa guerra inutile, terribile ed insensata.

LIMES Ma non c’era un accordo tra Tudman e Milosevic per la spartizione
della Bosnia?

MARKOVIC No.

Espansione serba e montenegrina

LIMES Cosa pensa di Karadzic e degli attuali dirigenti della Republika
Srpska (Plavsic, Dodik)?(83)

MARKOVIC Nel 1991 io sono stata una dei pochi, solitari opponenti della
politica nazionalista condotta in Bosnia ed Erzegovina dai serbi, dai
musulmani o dai croati. Già nel 1992 scrissi che condannavo la politica
nazionalista sviluppata da Karadzic come leader dei serbi. Ritenevo fosse
mio dovere, essendo serba, esprimere la mia opinione su quello che era
negativo nel mio popolo, mentre quello che era negativo nel popolo
musulmano e croato avrebbe dovuto essere condannato da parte dei musulmani
e croati, che come me, erano di orientamento jugoslavo e di sinistra. La
mia posizione, dunque, l’avevo espressa pubblicamente già da tempo,
all’inizio della tragedia in Bosnia.

Oggi che è stata avviata una vera e propria caccia contro Karadzic, per di
più da parte di coloro che lo avevano sostenuto e adorato - gli stessi che
nel 1992 mi condannavano per aver espresso la mia posizione - non intendo
partecipare a questa caccia.

Per quanto riguarda Biljana Plavsic, già dall’inizio degli anni Novanta la
conosciamo tutti come più nazionalista di Karadzic. Oggi tutti sono assai
perplessi sulla sua svolta copernicana, quando dopo l’elezione (o alla
vigilia dell’elezione) a presidente della Republika Srpska, divenne
un’alleata della politica occidentale, tollerante nei confronti di tutti i
popoli dell’ex Bosnia ed Erzegovina, magnanima rispetto a tutte le mosse
della comunità internazionale e critica nei confronti di Radovan Karadzic.
Non so quando sia stata insincera, quand’era nazionalista, oppure quando è
diventata opponente dei nazionalisti. Probabilmente in entrambi i casi.
Del resto, nella Bosnia socialista lei era stata il decano di una facoltà.
Difficilmente lo avrebbe potuto essere se si fosse opposta a quella
società, come nel 1992 si vantava di aver fatto. Ha studiato a Zagabria.
Parla croato, non serbo, nemmeno la variante bosniaca della lingua serba (*).
Lei è una di quelle personalità polivalenti su cui non si può mai contare
in nessuna occasione, e soprattutto non in un’occasione importante.

Dodik non è nazionalista. Nelle attuali circostanze in Bosnia questo è
molto importante, cioè molto positivo.

LIMES C’è stato in Bosnia un genocidio? In caso affermativo, perché il
Tribunale dell’Aja non ha dato nessun risultato?

MARKOVIC In Bosnia c’era la guerra. Tre popoli hanno combattuto gli uni
contro gli altri. La guerra, come tutto il mondo sa, e soprattutto come sa
la popolazione della Bosnia, è stata atroce. Non so, veramente, quale
possa essere il ruolo di un tribunale internazionale in tutto questo. Se
esistono i criminali di guerra in Bosnia, devono essere giudicati dai loro
popoli.

Quando il Tribunale internazionale per i crimini di guerra dell’Aja avrà
condannato tutti i criminali di guerra attivi in tutto il mondo dal
momento della costituzione di questo Tribunale, allora vengano pure a
prendersi anche questi criminali di Bosnia.

In realtà questo Tribunale, come tutto quanto si definisce internazionale,
già da tempo non è affatto internazionale. Tutte le istituzioni
apparentemente internazionali sono state messe al servizio di un unico
interesse e rappresentano l’espressione di un ’unica volontà.

LIMES Perché i serbi hanno un’immagine così cattiva nei media americani e
in quelli occidentali in generale?

MARKOVIC Perché i serbi si sono rifiutati di sottomettersi a questa unica
volontà; perché hanno rifiutato di mettersi in funzione di questo
interesse unico. Perché hanno un forte senso di libertà, di indipendenza
statale, di dignità nazionale. La “cattiva immagine” del popolo serbo nei
media occidentali, e soprattutto nei media americani, è una rappresaglia
per questo modo di essere del popolo serbo. Tuttavia, a dire la verità,
questa “cattiva immagine” è dovuta anche all’assenza di qualsiasi
tentativo se rio da parte serba di renderla meno brutta, migliore. I
serbi, in modo ingenuo, troppo ingenuo, erano convinti che la verità
sarebbe venuta fuori da sola, che la giustizia avrebbe prevalso. Sono un
popolo irrazionale. Ma di popoli ce ne sono anche così. U n po’
utopistici, abbastanza romantici, irrazionali in modo quasi infantile.

LIMES Nel corso degli ultimi anni, le lobby croate e slovene e le loro
diaspore in Europa e in America si sono adoperate a difendere le posizioni
della Slovenia e della Croazia. Perché anche i serbi non si sono
comportati nella stessa maniera?

MARKOVIC Le ho già detto poco fa - perché erano convinti che la verità e
la giustizia avrebbero prevalso da sole. Perché credono che lassù nel
cielo vi è un Dio che alla fine proteggerà i buoni e gli innocenti. Ma
anche perché non hanno soldi. La Serbia, come sapete, è allo stremo. Per
anni è stata soggetta alle sanzioni. Inoltre, ha accolto un enorme numero
di profughi. Ha aiutato il proprio popolo durante la guerra in Bosnia, ma
anche dopo, in tempi di pace. Ora sta raccogliendo aiuti per gli albanesi
c he, dalle foreste dove si erano rifugiati fuggendo davanti ai terroristi
albanesi, stanno rientrando nelle proprie case saccheggiate da questi
stessi terroristi. Naturalmente, si raccolgono aiuti anche per i serbi le
cui case sono state bruciate dai terro risti e i loro beni portati via…

Dove li prende un popolo come questo i fondi per pagare i giornalisti a
New York e a Londra affinché scrivano che i serbi si comportano veramente
così come ho scritto io, che non sono stati loro a provocare la guerra in
Bosnia, come in realtà non sono sta ti, che non stuprano le donne
albanesi, come veramente non fanno, e che non perseguitano nessuna
minoranza, come in realtà non la perseguitano… Io questo lo capisco
perfettamente. È come se lei dovesse pagare qualcuno per scrivere che lei
è un italiano, u n giornalista e un uomo.

LIMES Perché la crisi nel Kosovo, annunciata da anni, è esplosa senza che
nessuno cercasse di prevenirla? Qual è la possibile soluzione per questa
crisi?

MARKOVIC La crisi nel Kosovo è iniziata nel momento in cui nella
cosiddetta comunità internazionale fu deciso che iniziasse. Gli albanesi
hanno ricevuto il segnale di avviare la guerra santa per la secessione
dalla Serbia. I serbi e gli albanesi convivono nel Kosovo da molti anni.
Periodi di tolleranza seguivano periodi di intolleranza. Così avviene in
tutte le comunità plurinazionali. E in ciascuna di esse vi è motivo per
credere che il prossimo secolo possa portare alla limitazione
dell’intolleranza e a ll’estensione della zona di tolleranza, di buona
volontà, di comprensione. Sarà così, credo, nel secolo venturo.
L’espansione dell’odio, dell’intolleranza e della violenza un anno e mezzo
prima dell’inizio di questo nuovo secolo non può essere altro che i l
risultato di spinte particolarmente perfide, di un male programmato,
motivato da un forte, molto egoistico e crudele interesse - nazionale,
sociale, politico, e il più delle volte, un interesse di gruppo.

La crisi si risolverebbe in tempi relativamente brevi e assai facilmente
se dall’area colpita dalla crisi se ne andassero via coloro che l’hanno
provocata, per i quali qui non c’è posto. Tutti gli estranei, soprattutto
quelli malintenzionati, intriganti e faccendieri tra politici,
diplomatici, apparenti operatori umanitari, innumerevoli negoziatori ed
osservatori, tutta questa gente vana che invece di occuparsi dei problemi
del proprio paese e della propria famiglia si occupa di quelli di un paese
e delle famiglie altrui.

LIMES Nella stampa jugoslava spesso si può leggere che il Kosovo è la
Gerusalemme serba”. Lei è d’accordo con questo?

MARKOVIC No.

LIMES Cosa pensa della divisione del Kosovo?

MARKOVIC L’attuale generazione di serbi, la mia generazione di serbi, non
può pensare alla divisione del Kosovo. La sua generazione di italiani
pensa forse alla divisione dell’Italia settentrionale?

Cosa ne penseranno i futuri serbi ed italiani, oggi nessuno lo sa dire.
Io, comunque, credo che le divisioni, i confini e gli Stati saranno
attuali ancora per un po’ di tempo, forse molto breve. Davanti a noi vi è
un mondo senza confini. Vivremo tutti su questo pianeta che sarà la nostra
patria.

LIMES Se lei fosse un’albanese e vivesse nel Kosovo, cosa farebbe?

MARKOVIC Ecco cosa farei. Se io, albanese, sentissi il Kosovo come la mia
terra, la terra ove trascorrere la mia vita, farei tutto il possibile per
trovare un linguaggio comune con i serbi del Kosovo, e con loro e con
tutti gli altri mi adopererei a costr uire un posto comune sotto il sole.
Se invece i miei sentimenti fossero di odio e di intolleranza nei
confronti dei serbi, se la Serbia e la Jugoslavia mi fossero estranee,
allora mi trasferirei in Albania, nel peggiore dei casi, o meglio a
Lugano. Lì ci sono molti albanesi. Però, in Svizzera non sono equiparati
nei diritti con gli svizzeri come lo sono con i serbi nel Kosovo. Questa
mancata parità di diritti rispetto agli svizzeri, tuttavia, non suscita
nessuna tensione, perché non si illudono che, malgr ado la loro numerosa
presenza, Lugano possa mai diventare una repubblica albanese, nonostante
che pure lì possano presto diventare una popolazione maggioritaria.

LIMES Quale è oggi il ruolo delle mafie nei Balcani?

MARKOVIC In tutti i paesi ex socialisti c’è stata una crescita della
criminalità. In questi paesi prima la criminalità era marginale. Tutti i
paesi socialisti erano posti dove si poteva vivere sicuri. Con il
cambiamento del sistema sociale si è avuta una grande espansione della
criminalità in quei paesi, insieme ad altre forme di distruzione della
società.

LIMES Ma nell’area balcanica ed ex jugoslava, in particolare, c’è una
compenetrazione fra mafie e nazionalismi?

MARKOVIC Io mi sono già segnalata come avversaria del nazionalismo. Credo
di aver detto tutto quello che di brutto si può dire dei nazionalismi.
Però è difficile trovare un legame fra criminalità e nazionalismi. Non
trovo, veramente, nessun punto in comun e tra questi due fenomeni, tra
questi due mali. Qui da noi una cosa del genere è fuori questione.

Anzi, penso che la criminalità non abbia nessun senso per le nazioni, i
confini e gli Stati. Ha piuttosto un effetto integrativo, è molto
internazionale. Questo naturalmente è ironico, perché dovrebbero essere i
valori positivi a collegare i popoli. Ma se parliamo della criminalità in
questo secolo, le cose stanno proprio così.

LIMES Esiste, secondo lei, il progetto di una “dorsale verde” che dovrebbe
collegare i musulmani della Bosnia con quelli del Sangiaccato, di Novi
Pazar, del Montenegro, del Kosovo e dell’Albania?

MARKOVIC Non saprei, veramente, se esiste proprio un progetto del genere.
Però, esiste una solidarietà musulmana in tutto il mondo. I musulmani
dell’Africa e dell’Asia sono popoli che hanno sofferto molto, per cui è
logico che vogliano uscire da questo st ato di povertà, di arretratezza e
di subordinazione rispetto ai popoli occidentali ed europei. Io penso che
debbano uscirvi non fondandosi sulla religione, ma attraverso lo sviluppo
materiale ed economico, attraverso l’instaurazione di legami con altri po
poli, altre culture ed altre esperienze.

Per quanto riguarda invece i musulmani dei Balcani, quelli ai quali lei fa
riferimento, per loro tutto quanto ho appena detto non vale. Loro, pur
essendo musulmani, non erano né più poveri né più arretrati rispetto agli
altri popoli con cui convivevano ne i Balcani. E soprattutto, non erano
subordinati agli altri popoli balcanici. La posizione dei musulmani nei
Balcani va risolta in base ai princìpi di una razionale, economica,
sociale, umana e moderna vita culturale con gli altri. Il rispetto e
l’attuazio ne di questi princìpi darà un impulso maggiore e più rapido
allo sviluppo di queste regioni musulmane di quanto lo possa dare la
medievale illusione di un’integrazione su basi religiose.

LIMES Esiste, secondo lei, un’“Internazionale ortodossa”, un rapporto
privilegiato che collega in particolare la Russia, la Grecia e la
Jugoslavia?

MARKOVIC No.

LIMES Come giudica la posizione americana nella crisi balcanica? E quella
dei paesi europei, in particolare di Germania, Francia e Italia?

MARKOVIC Alla grave crisi dei paesi balcanici hanno contribuito molto
anche gli Stati Uniti d’America e alcuni influenti paesi dell’Europa
occidentale. Io, naturalmente, non so quale sia stato il contributo
apportato da ciascuno di questi paesi europei. A lcuni di loro sono più
responsabili per il dramma balcanico, altri meno. Penso che il contributo
dell’Italia a questa triste vicenda sia stato modesto. Questo non lo dico
per cortesia, per il fatto d’avere lei come interlocutore.

LIMES Potrebbe definire i confini dei Balcani?

MARKOVIC I confini dei Balcani per me oggi restano quelli che mi sono
stati insegnati durante le lezioni di geografia quando frequentavo il
liceo. Tra l’Ungheria a nord e la Grecia a sud. Tra la Slovenia a ovest e
la Romania a est. A lei, quando frequenta va la scuola, hanno forse
insegnato diversamente?

LIMES Quale configurazione dovrebbe avere secondo lei l’area balcanica nel
futuro?

MARKOVIC Per quanto riguarda il futuro dei Balcani, io lo vedo come una
comunità dei popoli che vivono nei Balcani. In nessun’altra parte del
mondo, o almeno in nessun’altra parte d’Europa, esistono tanti popoli che
vivono insieme in una sola regione. In Ungheria ci sono molti rumeni, in
Romania molti bulgari, in Bulgaria i turchi, in Turchia i greci, in Grecia
gli albanesi, in Albania i montenegrini, nel Montenegro i serbi, in Serbia
i croati, in Croazia gli sloveni, in Slovenia i bosniaci.

Tra gli Stati balcanici ci saranno sempre - nel migliore dei casi -
tensioni, per non dire scontri. Per mille anni ancora, continueranno a
scontrarsi per un villaggio o un fiume, per una battaglia del passato o
per l’alfabeto. Ci vorrà ancora un secolo di chiarimenti e litigi su
questioni come chi tra loro sia stato il primo ad insediarsi nei Balcani,
chi il più coraggioso nel passato, chi abbia apportato il maggior
contributo alla cultura, chi goda della migliore reputazione nella
comunità internazionale , chi abbia la religione più antica, la
letteratura più famosa…

Queste tensioni e questi scontri potranno essere fermati soltanto da una
comunità dei popoli - da un’Unione, Confederazione o Stati Uniti dei
Balcani, una qualsiasi di queste forme, ma solo una comunità di questo
tipo potrà costituire il presupposto per l a pace e lo sviluppo di questa
parte del mondo.

Negli Stati Uniti dei Balcani tutti gli albanesi, tutti i serbi, tutti i
bulgari, tutti i croati eccetera potranno vivere in un solo Stato. Uso il
termine “Stati Uniti” perché vedo gli Stati Uniti d’America come un
esempio di successo nella convivenza. Le differenze fra coloro che hanno
costituito gli Usa erano molto più grandi di quelle che separano i popoli
balcanici. Se in America tedeschi, portoricani, irlandesi e giapponesi
possono vivere insieme, perché non potrebbero riuscirvi serbi, bulgari,
croat i, montenegrini e albanesi, popoli molto simili ormai da secoli?

LIMES Il territorio degli Stati Uniti era vergine, quello dei Balcani è
carico di storia…

MARKOVIC Non è detto che questo fosse un vantaggio per gli americani e sia
un punto debole per noi. Se certo il fatto che gli spazi nel Nuovo Mondo
fossero vuoti era un vantaggio, è anche vero che le differenze fra i
popoli che vi si insediarono erano eno rmi. Sotto il profilo religioso,
etnico e culturale le differenze erano molto spiccate, e poi si trattava
spesso di persone di struttura molto aggressiva. Ciò nonostante gli
americani sono riusciti a creare la base di uno Stato comune.

Per quanto riguarda noi balcanici, è vero che la nostra lunga storia può
essere un punto debole negli sforzi volti a creare uno Stato comune. Ma
può essere anche un vantaggio. Proprio perché la nostra lunga storia
comprende giorni difficili, guerre sangui nose. Una tale esperienza
storica può dare impulso alla ricerca della convivenza comune. Può
facilmente accadere che un giorno le persone più intelligenti che vivono
nei Balcani dicano: “Basta! Adesso bisogna cambiare!”.

Non deve credere che questa soluzione sia troppo radicale, irrealistica. A
volte mi si dice che sono un’utopista. E io non mi adopero troppo a
smentirlo. Tutte le utopie si sono finora, in sostanza, realizzate: nella
scienza, nella tecnologia, nella cultu ra, nella politica e nella vita
sociale. Naturalmente mi riferisco alle cosiddette utopie felici. Per
quanto attiene a quelle nere, finora non se ne è realizzata nessuna.

LIMES Fra quanto tempo avremo dunque gli Stati Uniti dei Balcani? Anni,
decenni, secoli?

MARKOVIC Io spero che si tratti di anni. La storia della fine di questo
secolo è piena di sorprese. Vi sono molti motivi razionali e morali che
fanno sperare che i popoli balcanici possano nel prossimo secolo vivere
sotto un cielo nuovo, più felice.

Jugoslavia 1945-1991

LIMES E quali saranno i confini degli Stati Uniti dei Balcani?

MARKOVIC Se si costituisse una comunità di tali popoli, questa si
troverebbe sul territorio oggi da loro abitato, la penisola balcanica.
Come le ho detto, per me i confini dei Balcani sono compresi tra Ungheria,
Romania, Grecia e Slovenia. Ma io spero che alla fine del prossimo secolo
non ci siano più né confini né Stati.

Oggi i separatisti e secessionisti sono all’offensiva. Tuttavia io penso
che sia una forma di resistenza medievale alla tendenza al cosmopolitismo,
al mondialismo che prevarrà. Il vecchio mondo sta resistendo al nuovo con
le sue ultime forze. La parte più scura della notte è quella che precede
l’alba.

Noi siamo alla vigilia della società universale. Sotto l’aspetto
tecnologico, scientifico, culturale, delle comunicazioni questo mondo è
già molto unito. L’idea del villaggio globale, del pianeta come patria di
tutti, è oggi un’idea reale, che deriva dal modo di vita moderno. Per me i
separatismi che stanno emergendo in questi anni - dal Kosovo alla Corsica
al Paese Basco al Québec - sono semplicemente assurdi, grotteschi. È il
canto del cigno di un mondo che sta morendo.

LIMES Secondo lei la politica di Belgrado è coerente con questa sua utopia?

MARKOVIC Il fatto che io stessa abbia usato il termine utopia non vuol
dire che lo debba usare anche lei. Tutto nello sviluppo economico,
politico e culturale del mondo contemporaneo ci indica che il mondialismo
non è una visione utopistica, ma una vision e scientifica del mondo.
Quanto alla politica di Belgrado, come quelle di Tokyo, di Washington o di
Londra, non è fondata sulla scienza. O almeno non in modo particolare, non
in modo sufficiente. Tuttavia, il grado attuale di sviluppo della scienza
in gen erale, e soprattutto delle scienze sociali, fa venir meno i motivi
per cui la politica era sinora costretta a fondarsi sulle improvvisazioni.
E incentiva la politica a utilizzare di più il metodo scientifico per
capire la società, le consente di pianifica re meglio lo sviluppo.

LIMES Quale sarebbe il rapporto fra Stati Uniti dei Balcani ed Europa?

MARKOVIC L’Europa, la cui parte più progressiva tende ad integrarsi in una
comunità associata, non potrà mai raggiungere questo obiettivo finché non
ci sarà anche un’integrazione della penisola balcanica. L’integrazione dei
Balcani è il presupposto non so lo per la pace e lo sviluppo dell’area
balcanica, ma anche la condizione per la pace e lo sviluppo in Europa.
L’Europa non potrà essere un continente pacifico, sviluppato e
progressivo, senza che lo siano tutte le sue parti, ivi compresa quella
alla quale l’Europa rinuncerebbe volentieri. Ma non si può. I Balcani
restano parte dell’Europa, sono Europa. Perciò l’Europa deve investire
nella pace e nello sviluppo di questa sua parte, per assicurare la pace e
lo sviluppo a se stessa. Non faccio appello all’um anesimo e alla
giustizia dell’Europa, ma conto sul suo egoismo e sulla sua ragione.

(a cura di Lucio Caracciolo)

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Tutti i colori possono stare insieme tranne il nero

di Mira Markovic
(da "Notte e giorno - Diario", BMG Belgrado 1995;
in italiano su LIMES 3/1996)

Dal diario di una testimone d’eccezione del dramma jugoslavo, la moglie
del presidente serbo Milosevic. Un’invettiva contro Biljana Plavsic, la
dama di ferro’ di Pale, proiettata sul palcoscenico internazionale dopo
il ritiro formale di Karadzic.

Belgrado, 10 settembre 1993

Le dichiarazioni di Biljana Plavsic - che propone di espellere tutti i
musulmani dal territorio della Bosnia orientale e di concedere loro una
parte della ex Bosnia-Erzegovina, per non doversi trovare a contatto con
loro - sono nazismo puro e semplice. Ch i conosce il nazismo non può avere
dubbi in proposito; ma vedo che anche gente a cui le teorie del nazismo
non sono familiari e che sa poco della sua storia è stata turbata da
queste dichiarazioni, le quali non presagiscono niente di buono non solo
per i musulmani ma nemmeno per i serbi. In tutta la loro storia i serbi
non sono mai stati aggressori; hanno combattuto, al contrario, per
resistere alle aggressioni altrui. Hanno combattuto con molto valore, ma
anche con molto onore; e non sono mai stati incli ni alla vendetta.
Durante la seconda guerra mondiale i serbi sono stati i primi tra i popoli
jugoslavi, e tra i primi in Europa, a prendere posizione contro il
fascismo. Hanno combattuto contro il fascismo con tutta l’anima,
impegnandosi completamente e d ando alla lotta un contributo forse
maggiore di quello che immaginavano di poter dare.

La nazione serba ha lasciato la sua impronta sulla storia mondiale e sulla
civiltà mondiale del XX secolo, specie nella seconda metà, in virtù del
suo coraggio e della sua dirittura morale. Non si vuol dire con ciò che
noi non veniamo accusati, per lo più giustamente, di avere alcuni difetti;
ma nessuno ci ha mai negato i nostri pregi. Al contrario.

Per la prima volta l’immagine della nazione serba si è offuscata agli
occhi del mondo. Per la prima volta si parla e si scrive di noi come di
aggressori e criminali. Anche fra di noi, naturalmente, non sono mancate
le mele bacate, gente che ha fatto del m ale ad altri popoli e nazioni (e
ai suoi stessi connazionali e consanguinei); ma questa genia non è mai
stata prevalente, ed è stata controbilanciata dall’amore per la libertà e
dalle qualità umane coltivate dai serbi di tutte le generazioni, nel corso
de i secoli.

A mio parere non dovremmo turbarci troppo per la nuova e brutta immagine
del popolo serbo a cui negli ultimi anni è stata data tanta pubblicità.
Dobbiamo, invece, cercare di analizzare questa immagine.

In primo luogo, non è vero che tutti ci odiano. Non è vero che tutto il
mondo, e neanche la maggior parte, nutre avversione per il popolo serbo.
Ho l’impressione che nemmeno i tedeschi, da noi considerati come il nostro
nemico numero uno nel XX secolo, ab biano un atteggiamento negativo verso
l’insieme della nazione serba. In secondo luogo, dobbiamo cercare di
vedere in che misura siamo noi stessi responsabili di questa brutta
immagine. La cattiva fama acquistata dalla Serbia non è tutta colpa
nostra; ma c erto il biasimo ricade in parte su di noi.

E adesso, dopo i discorsi di Biljana Plavsic, direi perfino che noi siamo
da biasimare fortemente. Ci sono stati parecchi discorsi del genere, e
comportamenti conformi; e spesso non hanno suscitato nel pubblico serbo la
debita reazione. Oggi, 10 settembre , voglio parlare non delle
dichiarazioni nazistoidi di Biljana Plavsic, ma della tiepida reazione che
le ha accolte. Le parole crudeli della Plavsic non mi feriscono e non mi
preoccupano più di tanto. Nella nostra nazione serba persone del genere ci
sono sempre state, prima dei turchi ottomani e sotto i turchi ottomani,
prima dei fascisti, sotto i fascisti e dopo i fascisti... sempre. Ma mi
preoccupa la risposta debole, appena percettibile, a simili opinioni: che
data l’alta posizione politica della loro autrice possono avere e
probabilmente hanno avuto conseguenze pratiche. Le sue parole possono
stimolare determinate azioni, e forse l’hanno già fatto.

Il “mondo” ci ritiene colpevoli della pulizia etnica operata dai serbi
bosniaci a danno dei musulmani. Noi neghiamo ogni responsabilità. Perché,
allora, reagiamo in modo così apatico alle brutali dichiarazioni del
vicepresidente della Repubblica serba, il nuovo Stato serbo, invocanti una
pulizia etnica nella ex Bosnia-Erzegovina? Queste dichiarazioni naziste
avrebbero dovuto suscitare qui in Serbia un’ondata di proteste, da parte
della destra e della sinistra, del governo e dell’opposizione, da parte di
t utti. Invece le proteste sono state fiacche. Dai comunisti non si è
udita una sillaba; i socialisti si sono limitati a borbottare qualcosa in
un breve e anemico comunicato stampa del vicepresidente del partito;
qualche protesta è venuta dai democratici, m a tutte sono state sovrastate
da altre proteste che al momento ci toccano più da vicino e sono quindi
considerate più importanti.

Ho parlato con molta gente di questo episodio; e tutti all’unanimità hanno
convenuto sul carattere brutale, fascista e nazista di tali dichiarazioni.
Ho tuttavia l’impressione che molti sottovalutino il pericolo che qui da
noi si cada in preda al fascismo . Pensano che nel nostro paese una cosa
simile non potrebbe mai accadere, che i discorsi fascisti e nazisti non
vanno presi sul serio perché chi li fa non merita di essere preso sul
serio. Forse è vero che il fascismo non metterà mai radici in Serbia o tr
a i serbi nostri vicini. Eppure io personalmente ritengo che il minimo
sintomo di fascismo sia motivo di preoccupazione e meriti una risposta
vigorosa. Meglio reagire con troppa forza che in modo fiacco e incerto;
meglio troppo presto che troppo tardi.

A questo riguardo la storia recente dovrebbe servire di monito. Fino
all’ultimo momento, fino al trionfo elettorale di Hitler, le persone colte
e intelligenti lo presero sottogamba, considerandolo un buffone, un
predicatore di assurdità che non avrebbe ma i attecchito nella patria di
Goethe.

Temo, ogni giorno di più, che il popolo serbo confidi troppo nello spirito
espresso da Branko Radicevic in Kolo, poema umanistico sulla fratellanza
di tutte le nazioni slavo-meridionali, esaltante una vita in comune. Temo
che il popolo serbo sia troppo co nvinto e compiaciuto della propria
nobiltà d’animo per riconoscere che nel suo seno si annida la vipera
dell’odio per altre nazioni e di un potenziale fascismo.

Se la Serbia ha bisogno di una qualche coalizione, alleanza o fronte
comune, si tratta di una coalizione, alleanza o fronte comune per una
campagna contro la violenza e il pericolo fascista; una campagna che
dovrebbe indurre tutte le persone normali a uni re le proprie forze.
Davanti a un male di questa natura, anche le differenze tra i vari partiti
politici, che oggi eccitano tante controversie, impallidiscono e diventano
irrilevanti, e così ogni altra differenza: di educazione, origine, età e
professione , di religione e di nazionalità. Qualunque alleanza è
necessaria e morale tranne una. Tutti i colori possono stare insieme
tranne il nero.

Il tempo ci saprà dire, e non in un futuro remoto. I fatti mi daranno
ragione.

(traduzione di Riccardo Ricci)

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(*) NOTA DEL CRJ
Questo parere della Markovic e' per noi incomprensibile.
La Plavsic non puo' usare la "lingua croata", perche' questa non esiste
(la lingua di tutte le popolazioni della Bosnia-Erzegovina e' il
serbocroato), a meno che non si voglia dire che la Plavsic usa il lessico
artificialmente reintrodotto in questi anni anni dal "MinCulPop" di
Tudjman, il che ci sembra inverosimile.


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