Attorno al martirologio di Norma Cossetto
 
1) Dichiarazioni di Ferdinando Cerni, testimone diretto dell'esame della salma di Norma Cossetto
2) A Reggio Emilia e Quattro Castella finalmente uno stop alle intitolazioni di strade a Norma Cossetto
3) Ancora sulla adozione, nelle scuole pubbliche italiane, di pubblicazioni di propaganda fascista
– Un fumetto neofascista nelle scuole medie: Foiba rossa (N. Bourbaki)
Foiba rossa. È questa l'immagine della violenza alle donne che si vuole dare a scuola? (N. Mandolini)
 
 
=== 1 ===
 
fonte: pagina FB "La Nuova Alabarda ELCDD", 12 gennaio 2021
LA VERITA' SU NORMA COSSETTO

Dichiarazioni di Ferdinando Cerni, cancelliere del Tribunale di Feltre e corrispondente de “l’Arena di Pola”:
“La salma della laureanda in lettere Norma Cossetto venne estratta nella seconda quindicina del novembre 1943 dalla foiba di Villa Surani presso Antignana. Sono in grado di attestare ciò con piena sicurezza in quanto funsi da segretario della commissione giudiziaria che procedette all’identificazione della salma. Aggiungo che, dato lo stato di avanzatissima putrefazione, il perito medico, dott. G. Materazzo, non poté accertare sul corpo segni di sevizie”.
Queste dichiarazioni dovrebbero definitivamente mettere a tacere la volgare e pervicace mistificazione che da anni si conduce sulla triste vicenda di Norma Cossetto.
La fonte è Luigi Papo, che firmò questo libro con lo pseudonimo di Paolo De Franceschi, in quanto al momento della pubblicazione era ancora latitante, ricercato perché il suo nome era stato inserito nell’elenco dei 750 criminali di guerra di cui la Jugoslavia aveva chiesto l’estradizione: "L’onorevole Mario Scelba, allora ministro dell’Interno, sollecitato dall’on. Nino de Totto (che fu poi fondatore del Movimento Sociale a Trieste, n.d.a.) e dall’Autore (cioè lo stesso Papo, n.d.a.) si adoperò per l’archiviazione della richiesta di estradizione presentata dalla Jugoslavia", ha narrato lo stesso Papo in un suo libro più recente.
 
[C. Cernigoi]
 
 
=== 2 ===
 
Fonte: pagina FB di Alessandro Fontanesi, 29/12/2020
https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1417801601885058&id=100009656960251&comment_id=1417874095211142&notif_id=1609279734343928&notif_t=comment_mention&ref=notif

<< Anche a Quattro Castella non ci sarà nessuna via dedicata a Norma Cossetto. 

12 contrari e 3 favorevoli rispediscono al mittente un mese di provocazioni, di cialtronate revisioniste e la ridicola retorica della pacificazione. Fare di una fascista un simbolo, sarebbe stato l'ennesimo oltraggio alla memoria dei nostri partigiani, con l'aggravante di millantare per vero, un falso storico clamoroso, che è stato smascherato anche agli occhi dei fanatici della memoria condivisa. Fondamentale è stata questa volta la presa di posizione decisiva della sezione ANPI Quattro Castella - Ente Morale
E ora gli amministratori lascino in pace la storia e facciano quello per cui la gente li ha votati. >>
 
---
 
La scorsa notte "i soliti ignoti" revisionisti neo e post fascisti hanno pensato di lordare le vie del Foscato, con il solito rituale scaduto e scadente, coprendo con una velina il nome di Via Tito. Un penoso copione che si ripropone ormai in maniera ridicola e lo sciatto delirio contro la Resistenza ed i partigiani. Da giorni i medesimi si lagnano perché finalmente (ma lo si sapeva da anni) è stato smascherato il falso della vicenda di Norma Cossetto e non ci sarà nessuna via nella città Medaglia d'oro per la Resistenza che porterà il nome di un presunto "martire" fascista. Prontamente questa mattina i compagni hanno ripulito la zona, chiarendo ancora una volta che il fascista troverà Stalingrado in ogni città. E in questo caso in ogni via.
 
---
 
 
Il martirio di Norma Cossetto ? “Balle fasciste” 
Bloccata l’intitolazione della via a Reggio 

Incredibile decisione della commissione toponomastica
 
(...) la commissione toponomastica del Comune di Reggio Emilia (Chiara Piacentinidelegata del sindaco,  Massimo Storchi di Istoreco, Giuseppe Adriano Rossi per la Deputazione di Storia Patria, il dirigente Marco Bertani, l’assessore Lanfranco De Franco) nella riunione del 27 ottobre ha bloccato la delibera del consiglio comunale, mettendo in discussione le circostanze stesse della morte di Norma Cossetto, e sollevando il dubbio che a Roma sia stata fatta “un’istruttoria approfondita” in sede di assegnazione della medaglia d’oro. Da qui “la sospensione di ogni parere – si legge nel verbale della commissione –  in attesa di formalizzare la richiesta alla Presidenza della Repubblica, e di ricevere da quest’ultima risposta”. (...)
Nel documento si legge che è stato Massimo Storchi, interpellato in proposito, a illustrare alla Commissione la presunta mancanza di “notizie storiche certe e verificate riguardanti le vissi citudini che hanno portato alla cattura e all’uccisione della Cossetto . “Infatti – si legge nel verbale – esistono solo fonti verbali circa l’accaduto tutte provenienti da una unica fonte, la famiglia (aderente al fascismo anche durante la repubblica di Salò – aggiunge Storchi – e il padre morì combattendo a fianco dei nazisti durante la repressione antipartigiana in Istria)”. A seguito di queste affermazioni, e in considerazione che è stata concessa una medaglia d’oro, nella stessa riunione  Giuseppe Adriano Rossi ha chiesto se sia stata fatta un’istruttoria approfondita a Roma, e se sia possibile procedere con richiesta di accesso agli atti. Da qui la conclusione di sospendere la pratica Cossetto, in attesa della risposta daRoma. 
Significativo il fatto che Storchi, a ben leggere il verbale, abbia calcato la mano sulle “vissicituini” che portarono alla cattura e alla morte della Cossetto: una famiglia fascista, un padre podestà e inquadrato nella Milizia, morto in azione contro i partigiani etc. (...)
Peccato (...) che il 9 gennaio 2005 l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi abbia conferito a Norma Cossetto la medaglia d’oro al merito civile, alla memoria, con la dicitura “Giovane studentessa istriana, catturata e imprigionata dai partigiani slavi, veniva lungamente seviziata e violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in una foiba. Luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio. 5 ottobre 1943 . Villa Surani (Istria)“ (...)
 
 
 
=== 3 ===
 
Rilanciamo la documentazione già pubblicata [ https://www.cnj.it/home/it/informazione/jugoinfo/9331-9177-criminalizzazione-dell-antifascismo.html ] , in merito al fumetto di propaganda fascista "Foiba Rossa" fatto adottare nelle scuole piemontesi e venete, integrando con un estratto dall'analisi di Nicoletta Bourbaki ""Gli incontrollati fantasy su Norma Cossetto"
 
 
 
Estratto da 
"Gli incontrollati fantasy su Norma Cossetto, 3a parte | Leggende metropolitane e ricatti morali. Con un appello agli storici: rialzate la testa!"
di Nicoletta Bourbaki, 05.02.2019
 

Un fumetto neofascista nelle scuole medie: Foiba rossa

 

Da Foibe rosse sono stati tratti diversi adattamenti teatrali e al libro di Sessi si è liberamente ispirato un fumetto, fin dal titolo: Foiba rossa. Norma Cossetto, storia di un’italiana, pubblicato nel 2018 da Ferrogallico.

Ferrogallico, aka Signs Publishing S.r.l., è una casa editrice di fumetti vicinissima all’estrema destra, nel cui consiglio d’amministrazione siedono, tra gli altri, il cantautore fascista Federico Goglio, nome d’arte Skoll, e i dirigenti di Forza Nuova Alfredo Durantini (segretario provinciale a Milano) e Marco Carucci (responsabile della comunicazione, noto alle cronache per aver annunciato un rogo di libri «inneggianti all’omosessualità»).

Ferrogallico è anche unita da un «accordo di collaborazione» a un’altra casa editrice, Altaforte, che è espressione di Casapound e in particolare del suo esponente Francesco Polacchi, titolare anche del marchio d’abbigliamento Pivert. Sul sito di Altaforte c’è la categoria «Ferrogallico», il che produce una forte impressione di subalternità: Ferrogallico sembra proprio una collana di Altaforte. Giusto per capire chi oggi ha l’egemonia nella galassia nera.

Gli autori di Foiba rossa sono Beniamino Delvecchio (disegni) ed Emanuele Merlino(soggetto e sceneggiatura). Quest’ultimo è figlio di Mario Merlino, nome notissimo del neofascismo italiano.

La vicinanza al fascismo, del terzo o del secondo millennio, trasuda fin dalle prime vignette e balloon di quest’opera, dedicati alla storia dell’Istria, esposta con le omissioni e i falsi storici tipici della vulgata fascista: il passato mitico puramente italico con la presenza slava, pur millenaria, completamente rimossa; la riproduzione di una falsa ordinanza di pulizia etnica anti-italiana nel Trentino e sull’Adriatico orientale che sarebbe stata firmata dall’imperatore austriaco Francesco Giuseppe in persona (p. 13, completamente smentita dai fatti), per arrivare infine alla rappresentazione di un plebiscitario anelito all’Italia che si sarebbe espresso, secondo gli autori, nei nomi finalmente italiani dei fanciulli istriani dopo l’annessione al Regno d’Italia (p. 17) – mostrando dunque come entusiastica e spontanea quella che fu in molti casi un’italianizzazione forzata e una snazionalizzazione violenta.

Come al solito, l’anelito all’Italia si concretizza nell’anelito al fascismo: il buon patriarca italico di casa Cossetto esibisce la camicia nera in scene di altruismo e magnanimità e tutti i saluti fra i popolani assomigliano decisamente a saluti romani, persino le risposte all’appello dei bambini a scuola. Sembra quindi ovvio che, arrivati alla guerra, quando Tito ordina di cacciare i fascisti un suo compagno risponda perplesso «Ma anche in Istria? Li sono quasi tutti italiani», a completa sovrapposizione delle due categorie (p. 47). Così si arriva a un falso ordine di Tito, simile a quello di Francesco Giuseppe, che avrebbe ordinato sic et simpliciter di cacciare gli italiani dall’Istria (p. 48).

Insomma il solito bric-à-brac fascista che mischia imperialismo, razzismo, irredentismo oltranzista e vittimismo, di cui non varrebbe neanche la pena occuparsi se non fosse di questi giorni la notizia che la Regione Veneto ha deliberato di distribuire il fumetto nelle scuole secondarie di primo grado in occasione del prossimo Giorno del Ricordo (10 febbraio). Ne ha dato annuncio alla fine di gennaio l’assessore regionale all’istruzione, la solita Elena Donazzan. Per Ferrogallico è un colpaccio: migliaia di copie piazzate non sul mercato – dove ci sarebbe il rischio d’impresa – ma grazie al potere politico, che le acquista coi soldi di tutti, anche degli antifascisti.

Il fumetto sarà distribuito assieme a «un opuscolo informativo curato dallo storico [ancora lui, N.d.R.] Guido Rumici che inquadra le complesse vicende storiche del confine orientale”».

Non varrebbe la pena, dicevamo, occuparsi di questo fumetto, dal momento che la sua qualità – da tutti i punti di vista: artistico, storiografico e anche come mero prodotto editoriale – è tale da renderlo pressoché insuscettibile di valutazione critica. L’attuale normativa sul copyright ci impedisce di riprodurre le immagini: dovete fidarvi se vi diciamo che è disegnato in modo [segue eufemismo:] dilettantesco.

Dal punto di vista ideologico, il fumetto è una sorta di anello di congiunzione tra Foibe rosse di Frediano Sessi e il film Red land – Rosso Istria. Il film non è che il grottesco punto d’arrivo di un «processo di produzione e demonizzazione del nemico» (Umberto Eco) che è già presente nel libro di Sessi e che viene fortemente accentuato nel fumetto.

Nel fumetto, infatti, è già nettissima e manichea la contrapposizione fra italiani, tutti buoni e generosi, e slavocomunisti tutti vili e perfidi. Emblematico da questo punto di vista è il personaggio di Drazen, uno dei contadini che lavorano le terre della famiglia Cossetto. A p. 31, prima della guerra, Giuseppe Cossetto gli salva la vita; a p. 54 lo stesso Giuseppe Cossetto, ferito in un agguato tesogli dai partigiani iugoslavi mentre sta correndo in soccorso di sua figlia, viene ucciso proprio da Drazen, che sul punto di finirlo con un colpo di pistola («Drazen… Ma sei tu? Come puoi farlo?») pronuncia la fatidica frase: «Istra je naš». Un improbabilissimo errore grammaticale: dice infatti «l’Istria è nostro», anziché «Istra je naša», nostra. Per avere la traduzione corretta basta Google Translate, ma sarebbe stata troppa fatica: Merlino Jr. ha semplicemente ricalcato alla cieca il motto partigiano «Trst je naš».

Si direbbe che gran parte dei vertici delle associazioni che si arrogano la rappresentanza degli esuli «giuliano-dalmati» si siano dati convegno per la redazione di queste strisce. In appendice al volume sono infatti presenti interventi di Renzo Codarin (presidente nazionale ANVGD), Antonio Ballarin (presidente Federazione Associazioni Esuli Istriani Fiumani e Dalmati) e Michele Pigliucci (presidente Comitato 10 Febbraio).

Stupisce la recente esternazione di sdegno da parte di Codarin per le strumentalizzazioni politiche, tra gli altri di Casapound, del film Red Land – Rosso Istria, quando lo stesso Codarin ha partecipato a una pubblicazione del genere.

Da segnalare il capitolo «Le foibe» ( pp. 70-72) vergato da un vero esperto del settore: Lorenzo Salimbeni, uno dei tre membri del BUS (Buttignon – Urizio – Salimbeni) che qualche anno fa innescò la bufala della cosiddetta «foiba volante». La sua è una pagina di storia patria che contiene un unico, fuggevole accenno (una riga) a una minuzia come l’invasione nazifascista della Iugoslavia.

Interessante anche il valzer delle cifre degli infoibati nello stesso volume, prima quantificati in 10.000 (nel fumetto, p.60), poi  8.000 (da Codarin, p. 66) quindi da 5.000 a 12.000 (Salimbeni, p. 71). Si mettessero almeno d’accordo tra loro.

Sempre per illustrare la qualità generale di un volume che fra pochi giorni sarà distribuito nelle scuole della Regione Veneto: a p. 69 la sedicente «esule di terza generazione» di «sangue dalmata» Carla Isabella Elena Cace ci spiega che se «il nome è davvero lo specchio, come ritenevano i latini, del destino, quello della giovane istriana Norma Cossetto è legato indissolubilmente ai versi pucciniani». Il riferimento sarebbe alla Norma di Vincenzo Bellini (1801-1835), qui confuso con Giacomo Puccini (1858-1924).
Del resto a p. 62 ci viene detto che la Norma è stata «realizzata da Vincenzo Bellini nel 1931», spostando quindi in avanti esattamente di un secolo la data della prima rappresentazione.
 

Infine, nel fumetto, a p. 21, il verso «tempra ancor lo zelo audace», dall’aria Casta diva, diventa «Tempra ancora lo zero audace». Un consiglio a Merlino Jr.: meglio che non s’avventuri su terreni che non conosce.

La sciatteria non risparmia nemmeno i propri associati: è clamorosamente sbagliato anche il cognome di Andreina Bresciani, storpiato in «Benassi».

Ma la mancanza di rispetto persino per le persone che dicono di celebrare si evince soprattutto nella rappresentazione pruriginosa dello stupro presunto di Norma Cossetto con una vignetta finale esplicita con tanto di seno scoperto e schizzo di sangue tra le gambe, le cui macchie vanno a finire sul fantomatico titolo della sua tesi «Istria rossa». Un accostamento indecente come indecente è sottoporre questa roba ai ragazzi delle scuole medie.

 
 
Foiba rossa. È questa l'immagine della violenza alle donne che si vuole dare a scuola?

di Nicoletta Mandolini, 21.2.2020
 
La recente decisione della Regione Piemonte di unirsi alle iniziative degli amministratori del Veneto nella promozione del graphic novel Foiba rossa nelle scuole ha già sollevato, e a ragione, numerose polemiche. Il testo a fumetti, edito da Ferrogallico nel 2018 e firmato da Beniamino Delvecchio ed Emanuele Merlino, abbozza infatti una rappresentazione dei controversi eventi dell'occupazione jugoslava dell'Istria, avvenuta a ridosso della seconda guerra mondiale. L'espediente utilizzato per tracciare un sedicente quadro storico che ben si sposi al discorso - spesso ideologicamente connotato - sulla giornata del Ricordo e sulle foibe è il riferimento alle vicende che hanno visto come protagonista la giovane Norma Cossetto, studentessa istriana e figlia del dirigente fascista Giuseppe Cossetto, il cui cadavere fu rinvenuto in una foiba nel 1943.
 
Molto è già stato scritto sulle inesattezze storiche che caratterizzano il testo e sulla chiara matrice neofascista dell'operazione editoriale che ha dato vita a Foiba rossa. L'obiettivo di questo contributo è quello di capire, per mezzo di una breve analisi delle dinamiche rappresentative proposte nel fumetto, quale immagine della violenza contro le donne studentesse e studenti si troveranno di fronte una volta che il libro arriverà sui loro banchi di scuola. Tale operazione si dimostra necessaria a fronte del largo spazio che il lavoro di Delvecchio e Merlino concede alla descrizione della presunta violenza sessuale subita da Norma Cossetto prima di essere infoibata ad opera di alcuni membri delle milizie titine . Fin dall'introduzione redatta da Ronzo Codarin, inoltre, il testo dimostra un esplicito interesse a trattare la storia della donna come "la storia di un femminicidio", proponendo quindi un chiaro rimando al tristemente popolare termine femminista introdotto per isolare concettualmente il fenomeno della violenza letale di genere. 
 
Conviene innanzitutto chiarire la dubbia appropriatezza del termine femminicidio - usato per descrivere l'assassinio di una donna per motivi di genere e non l'assassinio di una donna tout court - in riferimento al caso Cossetto. Precedenti ricerchehanno infatti appurato come gli eventi che hanno portato all'uccisione della donna - ivi compresa la violenza sessuale - non siano mai stati confermati e non possano più esserlo, data la distanza temporale e l'intricata rete di dicerie su cui si è costruita la corrente vulgata. L'impossibilità di garantire la veridicità storica del movente di genere e di dimostrare la violenza sessuale rende quindi problematico l'impiego del termine femminicidio e getta luce sulla natura del procedimento narrativo che caratterizza l'opera, il quale consiste nel presentare come fatti verificati eventi che, in alcuni casi, risultano essere solamente supposti. Considerato l'ampio spazio che altrove è stato dedicato a questa tecnica compositiva e alle criticità che la stessa comporta da un punto di vista etico, ci si limiterà ad aggiungere che è proprio la narrazione per immagini del fumetto a supportare la presunta oggettività del racconto. Nonostante le numerose potenzialità che il medium garantisce in termini di rappresentazione complessa (possibilità sicuramente non sondate in Foiba rossa), la storia a fumetti può, di fatto, fare a meno di una voce narrante e, conseguentemente, si relaziona agli eventi partendo da un'immaginaria posizione di obiettività o di distacco (Hatfield 2005; Barbieri 2017). Va poi aggiunto il fatto che la narrazione apparentemente oggettiva di fatti non verificabili risulta particolarmente problematica nel caso di rappresentazioni incentrate sulla figura di una donna e interessate alla questione di genere. Non sono le mistificazioni sulla vicenda di vita di Norma Cossetto e la sua strumentalizzazione parte di quella tendenza, diffusa nella cultura patriarcale italiana e non solo, a silenziare e a oggettificare il femminile? A questo proposito, un'analisi dettagliata del testo incentrata sul trattamento riservato al personaggio della donna non può che confermare la matrice sessista dell'operazione editoriale Foiba rossa.
 
In una delle note introduttive che aprono il romanzo grafico, quella firmata da uno degli autori, Emanuele Merlino, la protagonista Norma Cossetto viene presentata come donna in grado di impersonare le doti fondamentali dell'innocenza e dell'esemplarità, così da poter essere eretta a modello vittimario. Da una parte si ribadisce l'estraneità di Norma alle vicende politiche che avrebbero concorso alla sua morte e si insiste sul suo candore (caratteristica tipicamente muliebre, direbbero alcuni), in un procedimento retorico teso a confermare l'associazione tra le idee di vittima e di femminilità. Poco oltre, la donna è presentata invece come studentessa e insegnante interessata a perseguire la propria autonomia. L'intento di controbilanciare l'immagine di Norma come soggetto debole appare chiaro, a testimonianza del tentativo di ricoprire con una patina di politically correct che faccia l'occhiolino al discorso ormai mainstream sull'indipendenza femminile l'operazione di iconizzazione della donna. 
 
L'attacco del fumetto tradisce lo stesso approccio politically correct, il quale si trasla addirittura nella scelta di adottare uno schema rappresentativo in voga tra le narrazioni femministe contro il femminicidio: quello dell'affidamento di dignità letteraria alla donna uccisa. Gli autori propongono infatti la scena fittizia della discussione della tesi di laurea di Norma Cossetto presso l'Università di Padova, scena a cui la donna prende parte nonostante la morte avvenuta precedentemente. Tale tecnica mira a riassegnare voce e agentività al soggetto vittimizzato e a contrastare sul piano del racconto l'oggettificazione a cui il femminile viene sottoposto nella realtà. 
Eppure, nonostante l'assenza di criticità che caratterizza la cornice con cui Foiba rossa è imbellettato, il resto del fumetto non manca di fare pericolosamente appello al regime simbolico patriarcale che fomenta la violenza stessa. 
 
Dopo una lunga parentesi nella quale viene introdotta la questione istriana (dalla dominazione asburgica, passando per il terremoto della Marsica fino agli eventi dell'annessione fascista di Fiume) la storia di Norma Cossetto entra nel vivo con una narrazione che segue il filo cronologico degli eventi a partire dalla sua nascita e dalla decisione dei genitori, entrambi istriani di lingua italiana, di battezzarla assegnandole il nome dell'opera belliniana. L'assegnazione del nome avviene parallelamente all'associazione, suggerita dal padre, tra Norma e una giovane pianta che la bambina avrà il compito di curare e far crescere. Facile simbolo dell'attaccamento alla terra e alla "patria" istriano-italiana, la pianta riemergerà nella narrazione di Foiba rossa a costellare il percorso esistenziale di Norma: comparirà rigogliosa in occasione dei ritorni a casa negli anni trascorsi dalla ragazza come studentessa fuori sede, si spezzerà improvvisamente in occasione del suo stupro. 
 
Il binomio donna - terra che l'accostamento tra Norma e la pianta supporta risulta altamente problematico se si pensa a come, nella produzione culturale e scientifica occidentale, l'associazione tra natura e femminilità sia stata funzionale alla simbolizzazione della donna come 'altro' rispetto al concetto di civiltà, tradizionalmente incarnato dal maschile, e a come la stessa associazione abbia contribuito a relegare il femminile nella sfera dell'istintuale, dell'irrazionale, dell'occulto (Woman and Nature di Susan Griffin è solo uno dei capisaldi del femminismo su questo tema). La problematicità del nesso persiste anche nel caso si associno alla terra caratteristiche positive, le quali generalmente coincidono con la capacità di curare e di nutrire, entrambe qualità che riconducono al lavoro di cura e riproduttivo affidato alla donna dalla società patriarcale. Non stupirà quindi la scelta degli autori di Foiba rossa di disegnare Norma bambina con le fattezze di una donna adulta che, mentre gioca con la sorella, contempla felicemente il matrimonio in abito bianco come suo destino.
 
La scena della presunta violenza sessuale subita da Norma, con cui il testo raggiunge l'apice della tensione narrativa e si avvia verso la conclusione, merita poi una riflessione a parte, la quale tuttavia non può che intersecarsi con le considerazioni fatte finora sulla rappresentazione di genere proposta nell'opera. Dopo essere stata rapita da membri delle milizie titine in una rappresaglia mirata a rintracciare il padre, la protagonista viene disegnata inchiodata ad un tavolo e semi-spogliata, in vista dell'imminente stupro. Una pagina nera con la scritta "Oggi ci prendiamo tutto quello che vogliamo perché, da oggi, tutto quello che è vostro diventa nostro" e una bandiera tricolore riversa a terra segue la vignetta appena descritta e ne anticipa una terza in cui Norma è raffigurata priva di sensi, con seni e gambe scoperti e insanguinati. Sottolineare come l'iconografia utilizzata in quest'ultimo panel sia esattamente conforme a quella che attiviste/i e studiose/i impegnate a sensibilizzare sulla corretta rappresentazione della violenza alle donne scongiurano (perché, banalmente, (ri)oggettifica la vittima riproducendo le dinamiche dello sguardo maschile che qualifica la donna come oggetto sessuale) dovrebbe essere operazione ridondante. Ciò che preme mettere in luce è, piuttosto, l'ennesima riproposizione dell'associazione tra donna (vittimizzata) e terra (invasa). La frase sopra riportata, chiaramente affibbiata ai miliziani comunisti, instaura infatti un parallelo implicito tra lo stupro - assassinio di Norma Cossetto e l'occupazione jugoslava dell'Istria. Ecco quindi che l'atto di "prendere" la terra d'Istria coincide, con il "prendere" (non a caso, verbo spesso usato per descrivere eufemisticamente l'atto dello stupro) la donna. Ecco quindi che la contrapposizione retorica tra il "nostro" (degli jugoslavi) e il "vostro" (degli italiani) non fa altro che avallare il riconoscimento della donna-terra come bottino, come oggetto di contesa. Ecco quindi che la donna, solo apparentemente protagonista, indipendente e simbolo della lotta alla prepotenza di genere, viene di fatto spogliato di ogni dignità e autonomia. 
 
È davvero questa l'immagine della violenza alle donne che si vuole dare a scuola nell'Italia del 2020?