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Subject: Mariella Cataldo - Appunti di viaggio della
delegazione dell'associazione Most za Beograd (6)
Date: Sun, 2 Dec 2001 23:47:03 +0100
From: "most za Beograd" <most.za.beograd@...>

Most za Beograd - Un ponte per Belgrado in terra di Bari
Associazione culturale di solidarietà con la popolazione jugoslava

via Abbrescia 97, 70121 BARI - CF:93242490725 - tel/fax 0805562663

e-mail: most.za.beograd@...
conto corrente postale n. 13087754




Mariella Cataldo

Le foglie morte di Belgrado

Appunti di viaggio della delegazione dell'associazione
Most za Beograd

31 ottobre 2001. Alle 12 e 45 saluto Belgrado mentre
sorvolo i suoi campi rigati dalle coltivazioni triennali o
quadriennali. All'aeroporto ci attende l'autista del pullmino
della Zastava che ci porterà a Kragujevac attraverso
un'autostrada rappezzata. Lungo tutto il percorso, Claudio, il
medico di Napoli che ha "adottato" ben quattro bambini, rivela
insospettabili capacità di intavolare con l'autista, in un
serbo-napoletano vocal-gestuale, una conversazione che trova il
suo acme nella comune conoscenza - a me e ad Andrea, ahimé,
ignota - dei nomi dei calciatori delle squadre di calcio
italiane, a partire, va da sé, da quelli jugoslavi. Paola
sembra invece intenta ad evitare che il prezioso dono - un
computer portatile! - che la sua amica Brigitta le ha affidato
per la quattordicenne Jasna subisca eccessivi contraccolpi di
qualche buca impietosa.

Mentre circumnavighiamo la periferia di Belgrado coi suoi
palazzi di cemento, tra cui si intravede qualche cupola a
cipolla, lungo la strada ci salutano tante casette bianche in
prati verdi e tante foglie gialle di tiglio e aceri in un
agonizzante autunno balcanico.

Quando varchiamo il portoncino della sede del sindacato
Samostalni, ci accolgono un pesante odore di fritto dal
ristorante sottostante ed una raggiante Rajka, e Srba, giovane
segretario del sindacato e poi l'esuberante Milja, che è stata
licenziata e collabora ora al progetto di adozioni a distanza
come volontaria Ci sembra di tornare a casa! Saluti, abbracci,
feste. Un bicchierino di rakija e anche due, per festeggiare
l'incontro con vecchi amici. Bisogna mettere a punto subito il
programma, intensissimo, degli incontri di questi giorni, e
preparare la busta con i soldi per ognuna delle 215 famiglie.
Andrea è ben lieto di liberarsi dei 31.900 marchi che gli
gonfiavano le tasche, Srba e Claudio vanno in banca a cambiare
i biglietti da 1000 marchi in tagli più piccoli, mentre noi
rimaniamo a parlare con Rajka, che ci racconta di cose che
purtroppo in gran parte conosciamo già: 15.000 lavoratori
licenziati, nessuna seria prospettiva di ripresa della
produzione, la Zastava scorporata in diverse imprese per minare
la compattezza dei lavoratori, che, nonostante tutto, in tutta
la Serbia hanno scioperato il 18 ottobre contro la "Carta del
lavoro" proposta dal nuovo governo che prevede "libertà di
licenziamento"...

Oggi, 31 ottobre, comincia per i bambini serbi la veronauka
(l'insegnamento della religione serbo-ortodossa nelle scuole)
con cui il "laico" Djindjic ha voluto bruciare sul tempo il
"religioso" Kostunica. Segno dei nuovi tempi - e nuovo non
sempre vuol dire migliore: nella Jugoslavia di Tito e nella
"piccola Jugoslavia" (Serbia e Montenegro) governata dai
socialisti (fino al 5 ottobre 2000) la scuola era laica, a
garanzia della multietnicità e convivenza con pari dignità di
tutti i popoli che abitavano questo paese.

Nel Parco della memoria - dedicato alla terribile esecuzione
nazista di 7000 persone in un sol giorno - mi sveglia all'alba
una folata di vento tra gli alberi; danzano per l'aria in una
sinfonia d'autunno centinaia di foglie morte come grandi
fiocchi di neve gialla ed io rimango incantata a respirare a
pieni polmoni l'aria del mio "ritorno a casa", con la finestra
aperta a due gradi sottozero.

Con Srba attraversiamo il quartiere zigano con casette e
appartamenti e orticelli di crisantemi; Paola intravede anche i
caprioli. Qui, gli zigani sono perfettamente integrati nella
società e non sono emarginati come da noi. Tante vecchie
"Seicento" (che la Zastava costruiva sul modello FIAT). La
televisione è sempre accesa, anche a casa di Dusan, dove il
papà, che non ha voluto tagliare l'albero di fico per sistemare
la casa, ci dice: "La vita è come se si fosse fermata dieci
anni fa, ora la nostra vita ce la mangiamo così, la sprechiamo,
cercando di arrangiarci per sopravvivere, ma questa non è vita,
non è la vita alla quale pure abbiamo diritto".

Dalibor, uno dei bambini adottati a distanza da Claudio, è
figlio di profughi. Nella stanza fa caldo, con la cucina a
legna già accesa (ci viene forte il sospetto che sia così in
attesa di freddolosi ospiti italiani). Il papà ci racconta la
sua fuga dal Kosovo. Lì ben prima del '99, in molte zone, la
vita per i serbi era diventata invivibile. In Kosovo era
importante conoscere la lingua albanese, ma lui non la
conosceva e non ha saputo mimetizzarsi ed è dovuto scappare.
Scappò con il trattore, senza armi, nel '92. Poco dopo ritornò
per riprendersi alcune cose che aveva lasciato nella sua casa e
portare anche suo zio fuori dal Kosovo. Si nascose sotto il
trattore quando attraversò una strada disabitata e sentì gli
spari. Riuscì a riprendere il frigorifero, un po' di farina, ma
lasciò lì tutte le provviste dell'inverno: fagioli, carote, e
le mucche. Dopo la guerra del '99, la terribile "guerra
umanitaria" della NATO, provò forte il desiderio di rivedere,
senza fermarsi, il luogo dov'era la sua casa. Lo accompagnarono
gli uomini della KFOR. Non c'era traccia di casa, c'era solo la
terra spianata. Aveva un bosco che valeva 10.000 marchi e che
suo nonno voleva tenere per il matrimonio di Dalibor; ora hanno
perso tutto. Ora, a chi potrà far vedere le carte della
proprietà?

Pranzo a casa di Maja, con il pesce e i dolci leggerissimi
della festa di San Luca: nonna splendida, la piccola Milica, la
cuginetta di Maja, dispettosa e desiderosa di essere al centro
dell'attenzione, la nuora Bilja in attesa di un fratellino per
Milica, assorta, in silenzio... e poi le dalie rosa per
ringraziarci e il nonno con una grande valigia piena di dolci,
marmellate e rakija, tutto fatto in casa naturalmente. E non si
può dire di no. I serbi accettano il tuo aiuto e ti sono molto
riconoscenti, ma intendono ricambiare, per come possono, per
quel che sanno fare. Accade talvolta che ti regalino un
centrino da tavola fatto a mano, come è tradizione da queste
parti, ore e ore e ore di lavoro sapiente.

Maja è cresciuta, è alta, è una bella signorina e ci sorride di
un sorriso dolcissimo velato di tristezza. Le sue condizioni
sembrano ora stazionarie, va periodicamente a Belgrado per la
visita oculistica, c'è la speranza - tenue, con tanti forse, se
e ma - che riesca a salvare l'unico occhio che le è rimasto
vivo. Il suo sguardo si illumina quando le prometto che le
comprerò l'abito da sposa, e diventa perplesso quando aggiungo
che il suo sposo dovrà essere bravo, onesto, lavoratore e,
soprattutto, dovrà piacere a nonna Rada. Milja scherza: "Ma è
il ragazzo di Maja o della nonna?"

I ragazzi spostano a gran fatica un pianoforte a coda nel
liceo di Kragujevac, dove un lontano ma ancora vivo nella
memoria 21 ottobre 1941 furono fucilati 300 liceali e il
professore disse ai suoi carnefici nazisti: "sparate pure, io
continuo la mia lezione". Nelle scuole serbe non esiste un
bidello di professione: gli alunni più grandi, a turno, per un
giorno all'anno svolgono questo compito e Boris, il figlio di
Rajka, non vede l'ora che arrivi il suo turno.

In serata ci riservano una sorpresa: assisteremo alle prove del
gruppo folcloristico della Zastava. In uno scantinato, che
durante i bombardamenti della nefasta primavera del '99 era
servito da rifugio, bambini e ragazzi - dai tre ai vent'anni,
ci dice con un certo orgoglio l'istruttrice di danza - alcuni
con impaccio, altri con scioltezza e leggiadria , intrecciano
un ballo popolare, accompagnati da un'immancabile fisarmonica e
dalla voce profonda e armoniosa di una giovane cantante. Alle
prove i ragazzi sono vestiti in modo molto semplice e modesto,
non ci sono soldi per comprarsi abiti nuovi, soprattutto ora,
quando 15.000 operai sono stati licenziati.

Ma anche chi ha avuto la "fortuna" di conservare il lavoro deve
stringere la cinghia oltre il dovuto e oltre l'immaginabile.
Per le strade di Kragujevac le vetrine di negozi desolatamente
deserti espongono in bella mostra scarpe a tre-quattromila
dinari (circa 120.000 lire). Concludiamo che troviamo di meglio
e a minor prezzo nelle vetrine di corso Cavour a Bari. Eccetto,
forse, soltanto il pane, fermo a 20-30 dinari al chilo (600-900
lire), tutto costa quanto da noi, con la differenza che qui i
salari sono sette-otto volte più bassi dei nostri salari più
bassi. Al supermercato, ora che la Serbia di Djindjic si è
aperta all'Occidente, si trovano anche costosissimi dentifrici
"Colgate" e spaghetti "Granoro", che non hanno forse molti
acquirenti. Ma qualsiasi cosa sembra avere ormai "prezzi
occidentali". Chiediamo a uno stupito Srba di accompagnarci in
un negozio di materiale elettrico: anche una semplice lampadina
costa come da noi, 1.500 lire, e rimane fitto il mistero di
come in questo paese riescano ancora a vivere con dignità.

Ma i ragazzi del gruppo folcloristico danzano, Milija,
accompagnata dalla giovane nuora che parla un ottimo inglese e
le assomiglia come una figlia, non riesce a star ferma e si
inserisce tra loro, la vita continua, nonostante tutto, e
mentre si danza si scaccia la malinconia e non si pensa al
presente. A pensarci troppo si cade in depressione. Sta
crescendo il numero di suicidi. E' la mancanza di prospettive
ad ammazzarti più di ogni altra cosa. Ci diceva Boba, che molto
spesso, da Napoli, telefona ai suoi parenti a Belgrado: "Prima
c'era l'embargo, si stava male, ma c'era la speranza che
finisse e l'economia si riprendesse; c'era la guerra, si stava
peggio, ma la guerra prima o poi sarebbe finita, si stringevano
i denti e si tirava avanti sperando nel futuro. Poi hanno fatto
credere alla gente che le cose andavano male perché c'era
Milosevic; Milosevic ora non c'è, venduto per trenta denari al
tribunale dell'Aja, e la vita è peggiorata molto di più. Ora
non c'è più nulla a cui appigliarsi, non c'è speranza, il
futuro si prospetta più nero del presente...".

La direttrice del gruppo artistico ci mostra le foto degli
spettacoli e i premi vinti dal gruppo, ne è fiera, spera che
questi bravissimi ragazzi possano essere invitati in Italia.
Per la verità, sarebbero dovuti venire lo scorso anno, a
luglio, nell'ambito di alcune iniziative di solidarietà, ma poi
la cosa sfumò, con grande amarezza e delusione. Paola ci dice
che se ne potrebbe parlare col sindaco di Alberobello,
organizzare uno scambio di gruppi folcloristici. Riceviamo in
dono un libro di poesie e ci accompagnano a visitare il gruppo
di pittura. Milorad, l'insegnante, quando sente che siamo
italiani, ci saluta emozionato, credendo di scorgere sui nostri
visi i cromosomi del grande Leonardo, ma gli spieghiamo che
siamo solo i conterranei incazzati di D'Alema, che ha avallato
la "guerra umanitaria" contro questo popolo che, nonostante
tutto, ricorda l'Italia come terra di artisti e di brava gente,
mai di soldati!

In una stanza poco distante vi sono una dozzina di postazioni
di personal computer, si tengono corsi di riconversione per i
lavoratori, che imparano l'uso di alcuni programmi di base: due
timidi, ma affettuosi scolaretti - Ruzica e George, gli ex
presidente e segretario del sindacato - ci salutano molto
calorosamente.

Nella delegazione dell'associazione ci sono due medici, Paola,
neurologa, e Claudio, medico del lavoro; Rajka ci propone di
visitare il presidio sanitario della Zastava. Lì c'è la apoteka
humanitarna, costituita dal sindacato con farmaci donati
dall'estero. Apprendiamo che ora qualsiasi visita o analisi,
che prima per gli operai era gratis, costa 20 dinari di
"participacija": il nuovo governo ha importato dall'Occidente
la moda dei ticket, insieme con quella di abolire i prezzi
politici di luce, gas, affitto di casa. Qui tutto è vecchio di
vent'anni (come la macchina audiometrica e l'apparecchio
mammografico), molte cose sono italiane e niente basta (servono
urgentemente medicine per cardiopatie, come la digitalina).
Mentre visitiamo i reparti (dentistica, oftalmologia,
dermatologia, il gabinetto di spirometria, radiologia, medicina
del lavoro o medicina rada) le infermiere, intorno ad un
tavolo, tagliano garze. Nel reparto di neuropsichiatria (dove
hanno solo l'elettroencefalogramma) un baffuto serbo dà una
pacca sulla spalla ad Andrea (non sappiamo se è un medico, un
paziente, un operaio, un amico). Lo rincontreremo più tardi e
Andrea riceverà un'altra pacca e ricambierà come a un vecchio
amico. L'apparecchio mammografico, di cui sulla parete c'è
anche una vecchia raffigurazione ad olio, è stato portato più
di un anno fa da una delegazione del coordinamento RSU
Lombardia, ma purtroppo non può ancora essere messo in
funzione, manca qualche pezzo che non si riesce a trovare, e
così per fare l'esame mammografico le donne di Kragujevac
devono andare a Belgrado spendendo 150 marchi, praticamente il
salario di un mese.

In casa di Ivan arriviamo attraversando un ponticello di legno
su un ruscello. La casa è misera, in un prato con un enorme
albero di noci, e l'aria è fina. Il nonno è nero ed è di sangue
zigano. Viene dal Kosovo ed era stampatore alla Zastava. Ha
fatto la Resistenza ed ha partecipato, dopo la guerra, alla
ricostruzione del paese, ha costruito la ferrovia di Sarajevo.
Per accogliere gli ospiti italiani hanno preparato una pagnotta
di pane per noi e poiché erano indaffaratissimi nei
preparativi, hanno lasciato il nonno a guardia del pane nel
forno, ma lui si è addormentato ed il pane è diventato nero
come la sua faccia. Poiché i bambini non mangiano con noi e noi
li invitiamo a farlo, il papà ci rassicura: "da noi prima
mangiano i bambini, poi i vecchi, poi i genitori".



Sulla via del ritorno, Rajka ci dice che durante e dopo i
bombardamenti la gente era incazzata ma era in grado di essere
felice o infelice. Ora non è in grado di essere né felice né
infelice, è semplicemente apatica, indifferente, e aggiunge:
"chi restituirà l'infanzia a Boris? È nato nel 1989, quando
cominciava a sbriciolarsi la Jugoslavia ed è vissuto sempre
nella precarietà e nell'insicurezza. Era il suo compleanno quel
24 marzo 1999 quando sono iniziati i bombardamenti".

La casa di Jasna è in un villaggio sperduto lontano una
ventina di chilometri da Kragujevac - se ne vanno almeno una
quarantina di minuti per arrivarci. In un cortile con pavoni,
galline, tacchini e una gatta incinta, un nonno sanguigno ci
saluta dicendo: "Io sono jugoslavo!". Noi rispondiamo che siamo
internazionalisti. Il nonno si commuove quando racconta la
storia di un italiano che si rifugiò nella sua casa durante la
seconda guerra mondiale (come accadde a tanti altri, scampati
al bombardamento americano del campo di prigionia tedesco di
Zemun, alla periferia di Belgrado), quando lui aveva cinque
anni e il papà era fuori in guerra. L'italiano mangiava
peperoncini - fortissimi, se sono come quelli che ci hanno
offerto qui - e gli fece un po' da padre, poi ripartì per
l'Italia portandosi nella valigia i semi dei peperoncini, ma
non poté piantarli, perché perì in mare sulla via del ritorno.
Si commuove a sentir parlare italiano.

Il computer portatile che Brigitta ha regalato a Jasna perché
impari l'inglese è come un mostro sacro che viene aperto con
grandissima circospezione su un tavolinetto del cucinino,
l'unico che abbia a portata di mano una vecchia presa elettrica
in questa piccola casa contadina, dove non c'è acqua corrente e
bisogna usare quella del pozzo, con una pompa a mano; la
"toilette" è fuori casa, in un angolo del cortile, una piccola
cabina di vecchie assi di legno e una porta sgangherata. La
"modernità" sembra irrompere in questa casa a turbare sonni
contadini. La mamma e i nonni di Jasna, che ci hanno preparato
una calorosissima accoglienza (il papà non ha avuto il permesso
di assentarsi dal lavoro), hanno sui visi, stampata, la
consapevolezza della gravità di una "svolta epocale" nella loro
vita.

Al primo pomeriggio di venerdì 2 novembre è fissato l'incontro
con le 24 famiglie che la provincia di Napoli, da oltre un anno
e mezzo - da quando i delegati della Zastava giunti in Italia
per una serie di manifestazioni organizzate dalla nostra
associazione e dai compagni della RSU Lombardia ebbero un
incontro con il presidente Lamberti - si era impegnata a
sostenere. Difficoltà burocratiche e continui rinvii avevano
fatto incancrenire la situazione. Per poterla sbloccare, dopo
ripetuti incontri non sempre sereni e pacati, abbiamo dovuto
anticipare personalmente le somme e inviarle ad ogni singola
famiglia con vaglia postale, in attesa del rimborso,
augurandoci che la poco solerte burocrazia napoletana non ci
giochi qualche brutto scherzo... Poiché non ci fidiamo delle
poste, abbiamo portato con noi le copie delle ricevute, ma ci
rendiamo conto che per quelle famiglie che aspettano da tanto
tempo, quel pezzo di carta potrebbe anche apparire una beffa.
Miracolosamente le poste hanno funzionato e oltre la metà -
dopo appena 5 giorni, con uno festivo in mezzo - ha già
incassato la somma; sono venuti tutti a ringraziarci di cuore.
Claudio, emozionatissimo e teso, quasi non proferisce parola.

Sabato mattina i bambini della Zastava ricevono da noi 31.900
marchi e una montagna di cioccolatini. C'è la televisione
locale e nazionale che ci dedicheranno alcuni minuti di
trasmissione, sottolineando che ci siamo opposti alla guerra
contro il loro paese. Il presidente del sindacato Samostalni,
Radosav Bjeletic, introduce con poche essenziali parole.

Nel mio discorso ricordo di essere stata colpita dalla dignità
conservata da questo popolo nelle ingiuste sofferenze che gli
sono state inflitte; nei pochi giorni trascorsi qui l'anno
passato, il mio cuore era diventato così pesante di emozioni
che era impossibile metterlo in valigia e riportarlo in Italia,
perciò avevo deciso di seppellirlo a Kragujevac sotto un albero
di betulle. Ed ora sono qui a riprendermelo. Con la mia
presenza ho intenzione di disonorare la guerra, perché la
guerra possa diventare per le future generazioni una curiosità
filologica. La mia speranza è che in futuro i bambini di tutto
il mondo, quando troveranno sui libri di storia la parola
"guerra" non sapranno cos'è e andranno a cercarne il
significato sul vocabolario. Purtroppo, i bambini jugoslavi,
palestinesi, iracheni, afgani, hanno provato sulla loro pelle
che cosa significa la parola "guerra", ma ho speranza che i
loro figli vivranno in un mondo di pace. Il futuro, il mondo,
dobbiamo schiodarlo dalle corna del toro di Wall Street. Il
futuro, il mondo, è nelle nostre mani, nei nostri cuori,
dobbiamo correre a riprenderlo! Dobbiamo rispondere con
l'internazionalismo e la solidarietà ai nazionalismi, agli
etnicismi e agli egoismi che sono stati coltivati in
laboratorio dai signori della guerra come arma batteriologica
per fare ammalare e dividere i popoli di tutto il mondo. Ai
signori della guerra dobbiamo rispondere con un unico grido:
lavoratori di tutto il mondo uniamoci!

Prima che si consegni il denaro, ricordo all'assemblea che è
morto un lavoratore della Zastava mentre faceva legna nel bosco
per riscaldare i suoi bambini, e la famiglia, come non aveva i
soldi per vivere, adesso non ha i soldi per seppellirlo.
Improvvisiamo una colletta tra i lavoratori e raggiungiamo
quasi 300 marchi a cui aggiungiamo altri 300 come associazione
Most za Beograd. I bambini si divertiranno come matti a contare
i soldi.

I fiammeggianti parchi belgradesi ci attendono. È impossibile
contare le foglie morte lungo i viali. È straziante vedere
cadere le foglie come assistere all'agonia di un malato
terminale che ha imboccato la strada di una freccia nel tempo.

A Belgrado siamo ospiti di Gordana, vedova di un tenente medico
morto in guerra in Croazia. È dell'associazione Decie Istina
(la verità dei bambini) che si occupa dei profughi cacciati
dalla Croazia, dalla Bosnia, dal Kosovo. L'associazione non è
finanziata da nessuno: vi lavorano tante donne che fanno
microprogetti per intervenire concretamente nelle piccole
situazioni. In tutta la Jugoslavia arrivano aiuti che loro
distribuiscono anche ai pensionati.

Con il ricavato di una festa di beneficenza in una sera
d'estate alla casa in campagna di Andrea Navach a Mola di Bari,
si è riusciti ad adottare alcuni di questi sfortunati bambini.

A casa di Iljana e Mikolina che ha cominciato a studiare
l'italiano all'Università, siamo in un caseggiato misero
all'ultimo piano, dove un torrente di sole inonda la stanza.
Vengono da Spalato, hanno perso il papà in guerra ("Operazione
Tempesta", agosto 1995, quando gli americani armarono i croati
e fecero un blitz scacciando 200.000 serbi). Pagano 200 marchi
per questo appartamento diviso con la figlia del proprietario.
La pensione del papà morto in guerra è di 350 marchi. Il
paniere dei beni di prima necessità è di circa 400 marchi. In
tutta la casa ci sono icone di legno (San Basilio, la madonna
di Costantinopoli). Mikolina - un po' d'inglese e qualche
parola d'italiano - ci dice che il governo croato è rimasto
nazionalista e xenofobo. Anche la loro casa in Croazia è stata
rasa al suolo.

Petar è semicieco e così la sorella. La madre ha un tumore al
cervello. L'appartamento è misero, ma stranamente è privo di
odori (come tutti gli altri visitati). In una minuscola stanza
vivono tutti insieme. In un armadio senza porte si vedono
coperte ripiegate - serviranno come giaciglio per la notte.
Petar ci fa vedere con orgoglio la sua collezione di biglietti
per le partite di calcio. Ha anche una fotografia della squadra
"Stella rossa" che vinse al San Nicola di Bari. Li regalerà
tutti ad un Andrea piuttosto riluttante e restio a portarsi via
quei biglietti che per Petar evidentemente significano tante
cose, tante passioni, speranze, illusioni, sogni. Petar ha
scritto con scrittura incerta una lettera per Andrea Navach.
Dovranno lasciare la casa tra un anno. E la madre e i due
ragazzi infermi a cui il "perfido" Milosevic aveva assicurato
la casa per dieci anni, saranno cacciati in un gelida strada di
Belgrado dal "democratico" Djindjic. Mentre ascolto,
dall'albero di platano, al di là del vetro, nel cortile, cadono
tante foglie gialle, così come sfioriscono prematuramente i
fiori di questa giovinezza mai sbocciata.

Anche Slavko è semicieco, anche il suo è un povero
appartamentino all'ultimo piano, una stanza un cucinino e un
bagno. Da una finestra sconquassata si vede - ormai è buio - il
cielo sopra Belgrado, in cui è conficcata una stella
tremolante, come una foglia malata che sta per cadere: è la
metafora di queste vite appese ad un filo che la nostra
solidarietà tiene ancora teso. Il padre di Slavko è morto nel
'94, la famiglia viveva a Zagabria. Slavko fa il tifo per il
Kinder, Andrea, colto di sorpresa, e sprovvisto della spalla di
Claudio, in visita turistica nella capitale in cui non era mai
stato, si dice tifoso dell'Inter, ma è preoccupato di essere
interrogato sui giocatori di cui non conosce neppure il nome.
La prima volta scapparono da Zagabria, la seconda volta nel '95
da Knin, nella Krajna. I trisavoli erano bosniaci, sono serbi
di Bosnia e Croazia. Slavko e Mikolina dagli occhi sgranati
vengono inghiottiti dalla notte come dall'orco di una favola
dei fratelli Grimm e si chiudono a chiave mentre la mamma ci
accompagna a piazza della Repubblica.

Non vediamo l'ora di scappare da Belgrado che ci ha depresso!
La visita ai profughi ci ha fatto uscire dalla festosa
atmosfera di Kragujevac, dove ci sentivamo a casa nostra.

E' l'ora della visita al prof. Niksa Stipcevic nel suo
bell'appartamento pieno di libri, molti in lingua italiana,
rari anche per noi, che dall'Italia veniamo. Abita in una via
che ancora l'anno scorso si chiamava Srpski Vladara ed ora,
invece, Kralja Milana. Nell'arco di 10 anni molte strade hanno
cambiato più volte i loro nomi: quelli legati alla resistenza
antinazista, o alla tradizione comunista ne hanno fatto
impietosamente le spese. La gatta Milica, in assenza di
Svetlana, come una sultana, si stira sul tappeto mentre scansa
vasi preziosi facendoci trattenere il fiato. Ha gli occhi rossi
e Niksa mi avverte che è pericolosa. Il discorso
immancabilmente scivola sulla guerra: l'Afghanistan è una terra
infelice! Lì si sono impantanati Alessandro Magno, Tamerlano, i
sovietici. Riguardo la nostra associazione si esprime in
maniera lusinghiera: le azioni dell'associazione sono
memorabili e incrementeranno l'amore jugoslavo verso l'Italia.
L'Italia è nel cuore degli jugoslavi. L'ambasciatore Sessa è
stato l'unico italiano insieme a tre diplomatici a rimanere
durante i 78 giorni di bombardamento a Belgrado, nonostante
l'ordine di tornare. Da un punto di vista sociologico c'è una
cosa interessantissima: negli ultimi 10 anni, lo studio della
lingua Italiana supera quello dell'Inglese all'Università di
Belgrado. Su un massimo di 100 punti di ammissione ai corsi,
l'Italianistica ha chiuso ad 88, l'Inglese ad 82, il Francese a
55. Durante i bombardamenti, c'erano per le strade alcuni
italiani; nessuno li ha offesi, perché i piloti italiani hanno
buttato le bombe in Adriatico e non sulle popolazioni civili. A
lui piace pensare così, e forse anche a noi... Molti suoi amici
di Belgrado sanno che esiste Most za Beograd, che contribuisce
a rafforzare l'amicizia tra due popoli. Le prime maestranze
della Zastava di Kragujevac venivano dall'Italia (dalla
fabbrica di Agnelli). Nel frattempo Milica si è adagiata sotto
l'abat jour e approva con la testa.

Il lunedì mattina, dopo aver fatto visita alla sede
dell'associazione Decie Istina, veniamo accompagnati
all'aeroporto da Ranka, presidente dell'associazione, e Ivka,
profuga dal Kosovo. Ivka sembra Medea, sembra fuggita or ora
dal Kosovo, è tutta scarmigliata, arruffata. Ivka è fuggita con
una busta di plastica da Pec, in essa conserva tutto ciò che
per lei è significativo: un portafoglio sgualcito in cui sono
racchiuse le foto delle figlie.

Al momento della partenza, mentre sbrighiamo le
pratiche d'imbarco, all'aeroporto di Belgrado scoppia un
piccolo giallo. Un gelido doganiere balcanico mi chiede se ho
nulla da dichiarare e mi intima di aprire borsa e valigia.
Fruga dappertutto e, come se sapesse cosa cercare, a colpo
sicuro mi sequestra un carillonino cinese che una bambina della
Zastava mi ha regalato. Da esso proviene un forte ticchettio,
come di una bomba ad orologeria, in esso batte il mio cuore che
ho da poco disseppellito a Kragujevac con l'intenzione di
riportarmelo in Italia, nascosto tra foglie morte raccolte nei
parchi. Io mi faccio piccola piccola e imploro il cortese
doganiere, cercando di spiegare che trattasi solo del mio
piccolo cuore, che esso mi appartiene... ma come posso fare a
sopravvivere senza... che esso è solo un'arma di legittima
difesa che mi ha permesso di sopravvivere quando il mondo
crollava addosso ai nostri amici della Zastava, al
petrolchimico di Pancevo, e alla Jugoslavia tutta. Certo, ne ho
fatto un uso improprio, internazionalista, perché le leggi
italiane ne vietano espressamente l'esportazione ... ma qui
siamo in Jugoslavia ed è assurdo che le sue frontiere me lo
trattengano senza motivo. Non me l'hanno sequestrato neppure a
Fiumicino... lì sì che si trattava di esportazione illegale di
materiale altamente pericoloso... Signor doganiere, come potrò
continuare la mia attività del Most za Beograd? Andrea cerca di
convincerlo parlando in russo. Niente da fare. Il cortese
doganiere balcanico, soddisfatto del suo bottino, mi attraversa
con un gelido sguardo come se io fossi un trasparente fantasma
e, sequestrato il carillonino, mi dà il permesso di partire.
Ormai ho perso anche le foglie gialle che vi erano racchiuse.

Le foglie gialle le porterò ormai solo nei miei ricordi come
sigla del mio viaggio d'autunno balcanico, come la metafora di
un popolo che muore per colpa della nostra dimenticanza. Mentre
il rombo dell'aereo culla i miei ricordi e mi procura
sonnolenza, come un rosario sgrano nella mia mente i versi del
mio poeta preferito, il turco Nazim Hikmet:

Veder cadere le foglie mi lacera dentro

soprattutto le foglie dei viali

soprattutto se sono ippocastani

soprattutto se passano dei bimbi

soprattutto se il cielo è sereno

soprattutto se ho avuto, quel giorno

una buona notizia

soprattutto se il cuore quel giorno

non mi fa male!

soprattutto se credo quel giorno

che quella che amo mi ami!

soprattutto se quel giorno

mi sento d'accordo con gli uomini

e con me stesso.

Veder cadere le foglie mi lacera dentro

soprattutto le foglie dei viali

dei viali di ippocastani!

Arrivederci Belgrado! questa volta mi hai imprigionata nel
cerchio stregato del tuo fiammeggiante barocco danubiano, la
cui polvere dorata mi è rimasta impiastricciata tra le mani!

Ormai sono passati 15 giorni dal nostro rientro in Italia:
stamattina il postino citofona invitandomi giù a ritirare una
raccomandata. Firmo e, con occhi impazienti leggo dalla
intestazione della busta che essa proviene dalle dogane
jugoslave. La apro e cade per terra una minuscola foglia dorata
di tiglio. La lettera è scritta in serbo e c'è anche la
traduzione italiana. Sono informata in perfetto linguaggio
burocratico, con mille scuse, che il materiale sequestratomi,
per uno spiacevole errore dalla polizia di frontiera, è
custodito in località segreta a Kragujevac e che, poiché mi
appartiene (trattasi di sequestro e non di confisca), è
trattenuto solo momentaneamente dalle autorità locali e che
sarò la ben accetta in Jugoslavia quando vorrò andarmelo a
riprendere. Dopo aver letto, riletto e ripiegato la lettera, mi
chino per terra a raccogliere la minuscola foglia dorata di
tiglio che il cuore balcanico di un austero funzionario del
ministero degli esteri jugoslavo ha voluto inviarmi per
invogliarmi a tornare a Kragujevac.

TUTE E GUERRE

FULVIO GRIMALDI PER "L'ERNESTO"

> http://www.lernesto.it

Agosto 2001


Quello che nell'agire del "Movimento" tra
Seattle e Genova ha maggiormente sconcertato
gli analisti seri, tra i quali non vanno
inclusi gli scomposti innamorati del "nuovo"
(che poi pare essere qualsiasi assembramento un
po' massiccio, dalla Belgrado del 5 ottobre
2000 alla marcia zapatista), è stata l'assoluta
assenza della tematica della guerra e
l'indifferenza-silenzio con cui è stato coperto
il ruolo del suo protagonista assoluto, gli
Stati Uniti. Qualcuno si è spinto fino a
sospettare, ingiustamente per la stragrande
maggioranza dei partecipanti al grandioso
corteo di venerdì 21 luglio, per metà compagni
o simpatizzanti di una fin troppo umile
Rifondazione Comunista, che tutta la
straordinaria mobilitazione contro il G8
potesse risultare, quanto meno oggettivamente,
un gigantesco diversivo rispetto a un mondo
aggredito da guerre imperialiste, con l'Italia
nel cuore strategico di una militarizzazione
"civile" e bellica senza precedenti dai tempi
dell'ultima guerra mondiale. Del resto anche
l'aggettivo "capitalista", sul quale solitaria
insisteva Rifondazione, è del tutto estraneo
alla definizione da sempre data dal "movimento"
a una globalizzazione ristretta nel suo ambito
commerciale e sociale. Può sconcertare, ma non
può sorprendere chi abbia osservato da vicino e
scevro da sbandamenti nuovistici il percorso
delle varie componenti del "movimento" e, in
particolare, quello della sua minoritaria, ma
vociferante e mediaticamente egemone anima
antipolitica e sociale. Tute bianche, Ya Basta,
Centri sociali del Nord-Est, Meltin', Cantieri
Sociali (e il loro house-organ "Carta") e altre
titolazioni sono sigle diverse di una realtà
unica, quantitativamente ridotta ma con una
professionale capacità di assumere, o
millantare, rappresentanza e direzione, in ciò
favorita anche dalla monotematicità delle
altre correnti nel flusso antiglobal: quelli
del debito da rimettere, quelli delle
speculazioni finanziarie da tassare, quelli
dell'ambiente, quelli del commercio equo,
quelli del no profit, quelli della democrazia
partecipativa, quelli dei diritti umani. I
leader delle Tute Bianche,o come diavolo si
chiamano, pur privi di una cultura politica di
un qualche spessore e ancor più privi di un
progetto che non sia la mera "difesa degli
esclusi", immigrati, nomadi, gay, donne, o
indios che siano, sostenuta da formulette
localistiche di chiara marca criptoleghista
(non per nulla, ai vessilliferi ideologici alla
Marco Revelli e Toni Negri, associano padrini
politico-economici tipo Benetton o Cacciari),
non perdono occasione per esprimere, come
costante teorica, un anticomunismo viscerale.
Formule come "democrazia municipale", mutuata
dalle comunità maja del Chiapas, "scuola
territoriale", "partecipazione" (e qui
l'idolatrato punto d'arrivo è quel Porto Alegre
in cui alle popolazioni dei quartieri si è
concesso di ascoltare le decisioni delle
autorità locali, rigorosamente non in conflitto
con quelle ultraliberiste centrali, di
esprimere un parere consultivo e di tornarsene
a casa senza aver minimamente inciso sul
processo decisionale; un po' quello che nei '70
capitò a studenti e genitori con i famigerati
"decreti delegati") si sublimano nella
possibilità di "un altro mondo" di cui vengono
accuratamente taciuti i connotati politici e,
dio non voglia, le contrapposizioni di classe.
Queste ultime sono sussunte e annegate nella
formula ramonetiana della "società civile",
espressione di una dialettica che non vede più
separati sfruttati e sfruttatori, oppressi e
oppressori, lavoro e capitale, ma chi gestisce
un potere centrale, magari nazionale, e chi,
bossianamente, rivendica un potere "reticolare"
innestato sui campanili. In sostanza, un ruolo
proprio che dia il diritto a un posto a tavola
in un capitalismo attutito e corretto, con
spazi di compassione e carità per i poveri,
da affidare al "volontario" no-profit,
successore di quella figura consunta che era
il "militante" impegnato ad accompagnare le
masse (oggi evangelicamente "moltitudini")
verso un rovesciamento dello stato di cose
esistente. Ma torniamo alla questione "tute e
guerre".

Frequentatore assiduo di centri sociali, nella
maggioranza profondamente sospettosi, se non
ostili, al protagonismo luddista e
violentemente non-violento, ma con mimetizzate
forme di intese istituzionali, dei leader del
Nord-Est, come alla pratica di un esasperato
verticismo fatto di brutali emarginazioni dei
dissidenti e di funzioni dirigenziali mai
sottoposte a verifiche democratiche, fui con Ya
Basta in Chiapas. I tanti bravissimi ragazzi e
non-ragazzi, che si erano spinti nella Selva
Lacandona per trovare una via politica
nuovamente rivoluzionaria all' antagonismo
istintivo maturato nel mondo dei Craxi,
D'Alema, Wojtyla, Reagan, Bush e Clinton e
nell'era del revisionismo obliterazionista
delle lotte e vittorie di popoli e classi,
venivano istruiti, alla mano delle fiabe
adolescenziali di Marcos e alla vista degli
zapatisti, con passamontagna davanti agli
obiettivi e senza quando gli strumenti
diripresa riposavano, sui supremi valori della
non violenza, dell'antinazionalismo parificato
con l'antistatalismo, e del rifiuto del potere.
Massimo obiettivo, la nicchia. Degli indios nel
Chiapas, in totale noncuranza verso gli immani
sommovimenti anticapitalisti ed antimperialisti
del Messico e dell'America Latina tutta, come
dei centri sociali in Europa. Obiettivo poi
consacrato nella marcia zapatista, "protetta"
dalle tute bianche, della primavera scorsa e
nella deposizione definitiva delle armi, poi
dichiarata da Marcos nonostante l'esiguità dei
risultati ottenuti con il prezioso
riconoscimento tributato al più liberista e
amerikano dei presidenti che il Messico abbia
avuto. Armi del resto silenziate fin dal 1
gennaio 1994, quando l'insurrezione zapatista
pose fine a un decennio di focolai armati nel
Chiapas, contigui a tanti negli altri stati
messicani, che - quelli sì-avevano messo
radicalmente in discussione la presa di
militari, paramilitari, latifondisti,
multinazionali e narcotrafficanti sullo stato
più ricco di risorse del paese.



La tematica guerra entra inevitabilmente nelle
mobilitazioni dei padovani (chiamiamoli così
per semplicità, senza trascurare il peso del
Leoncavallo e di alcuni centri sociali del
Centro) quando tutto il paese si chiede il
perché del suo coinvolgimento in una guerra
Nato, fortissimamente voluta dagli USA e, in
sotterranea competizione, da una Germania
rilanciata da Schroeder sulla pista bismarkiana
e hitleriana delle conquista degli spazi
energetici e di mercato attorno ai mari caldi.
Ma è un coinvolgimento raffinatamente ambiguo
che unisce nella sfera della non violenza la
condanna paritetica alla guerra Nato e
l'esecrazione della dittatura nazionalista (per
le Donne in Nero addirittura "fascista") di
Slobodan Milosevic. Strumento di mobilitazione
contro un popolo serbo che, in tutta evidenza,
"se l'è voluta", tutti gli stereotipi della
diffamazione scientifica occidentale, dalle
"pulizie etniche" al "despota iniziatore di
tutte le tragedie balcaniche", espressi con
particolare scaltrezza da un video realizzato
dal "movimento" (anche lì !) a Belgrado.
Anniversario della morte di Tito. Da tutta la
Federazione jugoslava, ancora non sbranata da
secessionismi, quelli davvero di natura
fascistoide, per quanto consacrati da
Washington, Vaticano e Marco Panella in
mimetica, convergono nella capitale operai e
contadini, vecchi partigiani, sindacati,
partiti di sinistra. Dalle finestre della
famosa Radio B92 (referente della padovana
Radio Sherwood e vista come portavoce del
ribellismo giovanile e democratico serbo, poi
risultata anello della catena informativa CIA
in Est Europa) giovani della borghesia
belgradese frammisti a elementi provenienti dal
sottoproletariato di periferia, lo stesso mix
che, volendo, si può constatare all'opera nei
giorni del colpo di stato USA, si vedono
inveire contro i manifestanti. Poi scendono in
strada e con mazze e spranghe aggrediscono il
corteo. Si rompono teste a operai inermi, si
strappano foto di Tito e Milosevic, si fa
scorrere sangue. Quando la polizia, molto
lentamente, si mette in mezzo, i "ragazzi non
violenti di B92" gli infilano fiori nei
taschini. In assenza dei leader del Corto
Circuito, centro sociale romano dove avviene la
proiezione, riesco subito dopo a proiettare un
mio video girato sotto le bombe: "Jugoslavia,
il popolo invisibile". Abbeverati a TG3, con
una cronista particolarmente necrofila e
bugiarda come Giovanna Botteri, e ai comunicati
e filmati di B92, i ragazzi del centro
s'imbattono per la prima volta in una
controinformazione. Restano genuinamente
sconvolti e commossi. Segno della grande
riserva di genuinità e ingenuità su cui operano
personaggi come Luca Casarini, colui che "non
violentemente" dichiarò guerra al G8 e, con i
non sufficientemente ridicoli giochetti di
invasione della zona rossa, poi "disubbedienza
civile", per settimane alimentò la psicosi
terroristica dei media e spianò la strada alla
militarizzazione della regione.

Questo giornale ha già avuto occasione di
illustrare altri aspetti della politica di
questa componente del movimento in relazione
alla Jugoslavia, in particolare i legami
organici - oggi discretamente messi in ombra da
protagonisti e corifei esterni - con i
movimenti serbi di contestazione al governo che
difendeva il paese contro lo smembramento e il
genocidio operato da Nato e banditi UCK, oggi
anche in Macedonia, con bombe, uranio,
contaminazioni chimiche, e stragi etniche.
Prima con Alleanza Civica, che guidava,
ampiamente e apertamente finanziato dallo
speculatore FMI George Soros (coerenza delle
proteste contro il FMI!) e dagli USA, le
manifestazioni, bandiere a stelle e strisce in
testa, degli anni '97-'98. E poi con Otpor , la
formazione messa in piedi, pagata, e istruita a
Budpaest e Sofia dalla CIA , come ebbero ad
ammettere fieramente i suoi leader, da Vesna
Pesic a Sonia Licht, ripetutamente ospiti dei
padovani in Italia.

Ingenuità? Errori? Comunanza anticomunista?
Vituperio di quel residuo di socialismo reale,
orrendamente statalista e nazionalista, che era
la multietnica e democratica Federazione
Jugoslava, eternamente sulla difensiva dalla
Nato, da banditi come Tudjman e Izetbegovic e
dai non-violenti in Italia? O qualcosa di
peggio, come darebbe ad intendere l'ostinato
silenzio sulle guerre, che, approfittando del
diversivo G8, che annacquava le assolutamente
dominanti responsabilità USA in un concerto di
diseguali e addirittura concorrenti (Kyoto,
Nato d'attacco nucleare, Scudo spaziale, mine,
nucleare, guerre batteriologice, OGM, Balcani,
Medio oriente, protezionismo USA), proprio nei
giorni di Genova permetteva di mettere la
sordina alla soluzione finale in atto in
Palestina, alla frantumazione della Macedonia,
al genocidio rurale operato in Colombia con lo
sterminatore di coltivazioni e vite della
Monsanto, Roundup, al sotterramento della
liquidazione dei curdi, alla spaventosa
accelerazione riarmistica funzionale alle
conquiste imperialistiche, alla sottomissione
di alleati perplessi, al rilancio di
un'economia USA in gravissima recessione.

Bisognerebbe essere ciechi per non vedere, da
critici della globalizzazione neoliberista e
protagonisti del pacifismo, come lo strumento
risolutivo, universalmente e massicciamente in
corso d'opera, di questa globalizzazione, che
realizza come meglio non potrebbe l'assunto
leninista dell'imperialismo come stadio supremo
del capitalismo, siano i missili israeliani,
gli obici dell'UCK, le bombe e l'embargo
genocidi all'Iraq, e, nelle retrovie, le basi
USA in Italia e il guerrafondaismo del nuovo
regime proconsolare e fascistizzante
berluscofiniano, il tribunale dell'Aja, il
rullo compressore dell'informazione unificata
nell'oligarchia mediatica compartecipe del
complesso militar-industriale, nel quale, pure,
qualcuno si ostina di individuare spazi
democratici.

Che il conflitto di classe - concetto espunto
radicalmente dai neoradicali del movimento -
si sia trasformato in guerra generale lo ha
dimostrato il golpe neanche tanto bianco di
Genova con il messaggio : "se sei contro e lo
vuoi manifestare,rischi di morire". E' la
logica della guerra di bassa intensità in casa
propria e dei vassalli, e di alta intensità
contro i paesi che "mettono a rischio la
sicurezza e gli interessi degli Stati Uniti" .
Non mettere al centro questo dato di fatto, che
caratterizza in modo tragico e totalizzante
l'inizio millennio; non cercare di dare,
superando immaturità ed ambiguità, alle forze
che si oppongono a questa vera e propria
ricolonizzazione militarista e schiavista USA
del mondo una coscienza di classe e una
direzione consapevole e unitaria, con un
progetto unificante per classi e popoli
subalterni che non sia un "altro mondo", ma un
mondo inevitabilmente socialista ed
antimperialista, significa suicidio. O, peggio,
collusione. L'ossimoro (sia detto agli
specialisti degli ossimori) della disobbedienza
civile, o della resistenza non-violenta, è il
drammatico - per gli oppressi - retaggio di
mezzo secolo di disarmo morale e politico, di
disintegrazione del principio addirittura
biologico dell'autodifesa (vedi Chiapas),
operato dalle centrali della smobilitazione
culturale, politica e fisica proletaria.
Attualizzato prima dalla mistificazione
ghandiana di Marco Panella e fratelli, a
sostegno vuoi della pulizia etnica croata, vuoi
del sionismo stragista in Israele, vuoi del
massacro operaio dell'impresa
ulivista-berlusconide, ha trovato nelle
componenti del movimento che abbiamo
considerato una nuova, più pericolosa
nell'urgenza dell'aggressione,
sistematizzazione. La parola d'ordine di non
dover mettersi in gioco per l'impresa più dura
di tutte, la sottrazione del potere alla
borghesia, pur potendo blaterare contro lo
Stato (che poi non è altro che la
disintegrazione dal basso dell'analogo processo
condotto dall'alto dall'imperialismo
privatizzante) e di mettersi al sicuro
dall'eccessiva cattiveria della repressione con
non violenza, scudi di plexiglass e gommapiuma,
si è dissolta nella sanguinosa catastrofe
genovese. Scudi e giochino di disobbedienza
civile hanno agevolato la messa in atto di un
stato d'assedio prefascista. L'assenza di uno
strumento di protezione interna ed esterna come
l'eterno, irrinunciabile servizo d'ordine di
tutte le manifestazioni di opposizione, ha dato
una mano. Ma il delitto vero è stato quello di
farci dimenticare la guerra. Tanto d'averla
subita ignari e inermi.

Un ottimo analista delle questioni balcaniche,
Tommaso di Francesco del "Manifesto",
ha scritto, con accenti di disperazione, che se
il popolo di Genova avesse dedicato solo un
grammo della sua passione all'Intifada e alla
tragedia palestinese, ecco che quel popolo
sarebbe stato meno solo. E anche noi.e tutti
coloro che subiscono la globalizzione finale
con la guerra.

Ma ci sarebbe voluta un'altra direzione
politica. Bisogno che si sente in misura sempre
più intensa. Non per nulla nei giorni del
dopo-Genova,tutti i teorici e portavoce del
tutabianchismo hanno tentato di mascherare la
loro disfatta e il conseguente disvelamento
politico con massicci interventi su organi di
stampa ospitali,a sostegno di un movimento
"senza leader", vale a dire con i leader
ademocratici che ci hanno portato in un vicolo
cieco. Il vicolo cieco dei senza-partito. Degli
anti-partito.

Data: 03/12/2001 20:58
Da: chefare.roma
A: jugocoord@...
Oggetto: solidarietà con i lavoratori jugoslavi

cari compagni,

vi mandiamo per conoscenza la lettera che abbiamo mandato "All’Ufficio
adozioni – Ufficio rapporti internazionali" ed ai lavoratori della
Zastava riguardo l'appello per l'adozione a distanza.


ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA
redazione romana del che fare
internet: www.chefare.org
per contatti scrivere a:
che fare casella postale 7032 - 00162 Roma - tel/fax 06 4456462
oppure a chefare@...

=*=

All’Ufficio adozioni – Ufficio rapporti internazionali
(alla c.a. di Raika Veljovic)

Ai lavoratori della Zastava


Cari compagni,
abbiamo ricevuto il vostro appello relativo alle "adozioni a distanza
dei figli dei lavoratori della Zastava" e di questo vi ringraziamo
sentitamente.
In generale la nostra Organizzazione non si
impegna direttamente in questo tipo di iniziative perché riteniamo che
la solidarietà tra sfruttati deve essere innanzitutto un’azione
politica che chiama i lavoratori allo schieramento contro i crimini
dell’imperialismo. Nondimeno vi comunichiamo che ci attiveremo per
diffondere il vostro appello - che noi intendiamo come appello alla
solidarietà tra lavoratori e sfruttati - tra la nostra rete di
simpatizzanti e non solo, affinché esso venga fatto proprio e preso
seriamente in carico. In particolare ci rivolgeremo a quei settori di
lavoratori (all’oggi ancora minoritari) che nell’autunno del 1999
manifestarono la loro opposizione all’aggressione alla Jugoslavia
scendendo in piazza contro i bombardamenti e che assieme a noi
aderirono alla raccolta dei fondi per i lavoratori della Zastava, dando
così un segnale tangibile di solidarietà di classe tra lavoratori di
diverse nazioni.
Cari compagni,
le difficoltà in cui vi trovate sono grandi e con molta chiarezza sono
espresse nella vostra lettera ma sbaglieremmo reciprocamente se non
cercassimo insieme di affrontare le cause di fondo del vostro attuale
isolamento politico per poterlo superare insieme in avanti.
Sappiamo benissimo, e lo ribadiamo anche in
questa occasione, che le maggiori responsabilità di questa situazione
sono "nostre", stanno qui, sono dei lavoratori italiani e occidentali
che durante i bombardamenti sulla Jugoslavia appoggiarono molto
(troppo!) tiepidamente e condizionatamente la vostra lotta di
resistenza e non scesero in campo apertamente contro i propri governi e
stati aggressori. I lavoratori occidentali non seppero riconoscere
nell’attacco che vi veniva portato un attacco rivolto anche contro se
stessi, contro l’unità e la forza di tutta la classe operaia
internazionale, per indebolirla dividerla e schiavizzarla sempre più ai
diktat del mercato e del profitto capitalistico. Quando i raid aerei
finirono e iniziò da parte dei paesi imperialisti l’operazione
di "pace" con l’invio delle truppe di occupazione di terra, le
direzioni riformiste del "movimento operaio ufficiale" (sia quelle
politiche presenti con i DS nel governo D’Alema sia quelle sindacali
che considerarono i bombardamenti una "contingente necessità" – vedi
nella fattispecie la Cgil di Cofferati) tirarono un "sospiro di
sollievo", concorrendo ad illudere i lavoratori che un altro "pericolo"
portato alla loro "tranquillità" metropolitana era stato in qualche
modo superato. Se questo è vero, cari compagni, allora, quando noi
rilanciamo tra i lavoratori di qui il dovere della solidarietà, lo
facciamo per chiamare i lavoratori, italiani e jugoslavi, a compiere un
passaggio in avanti verso l’assunzione dei compiti della battaglia
politica a difesa degli interessi generali della nostra classe
internazionale e contro il comune nemico imperialista. E dunque non
intendiamo sorvolare sui nodi politici di fondo che il proletariato
occidentale - e non solo - si attarda a non voler vedere e affrontare.
Per questo noi continuiamo a denunciare senza remore o timidezze
l’opera di rapina, controllo e repressione che l’imperialismo italiano
ha portato e sta continuando a portare avanti in tutta l’area balcanica
e chiamiamo su questo allo schieramento e alla lotta i proletari di qui
in modo inequivocabile e incondizionato. Ciò è fondamentale soprattutto
oggi quando una nuova aggressione da parte dei gangster occidentali
viene portata contro le masse sfruttate arabo-islamiche e nella quale
l’imperialismo italiano è in primissima fila. Strettamente legato a
ciò, chiamiamo i lavoratori italiani e occidentali alla difesa
incondizionata e militante di tutti gli immigrati (balcanici, arabi,
africani, latino-americani) che sono stati costretti a venire qui
dall’opera affamatrice e oppressiva che l’Italia e le altre nazioni
ricche hanno portato e portano avanti in tutto il mondo, proletari che
una volta giunti qui subiscono ogni giorni razzismo e sfruttamento da
parte dei padroni e dello stato italiano. Affinché la condizione del
proletariato non sia sempre più ricacciata nel degrado dalla feroce
offensiva dell’imperialismo (non solo nel Sud e nell’Est del mondo, ma
anche qui) occorre assumerci questi compiti politici decisivi per il
futuro nostro e di tutta l’umanità lavoratrice mondiale. Saluti
comunisti


Roma, 28.11.2001

ORGANIZZAZIONE COMUNISTA INTERNAZIONALISTA

In Serbia, il governo delle destre ha presentato un disegno di legge
che, nell'ambito del processo di liquidazione della proprieta' sociale
e pubblica, introduce pesanti elementi di precarizzazione, gabbie
salariali, e mina alle fondamenta il sistema dei contratti collettivi
di lavoro.
Riportiamo di seguito un volantino dell'Unione dei Sindacati della
Serbia, nel quale si descrive nel dettaglio il progetto di legge.
In fondo la traduzione in italiano.

(a cura della redazione di "Voce Jugoslava" su Radio Citta' Aperta,
Roma)

=*=

Savez Sindikata Srbije

sve zaposlene u Srbiji na generalni strajk

STRAJK

pocinje u utorak, 16.oktobra 2001. U 8 casova i traje do povlacenja
Zakona o radu iz Skupstinske procedure

Zaposleni u Srbiji, bez obzira gde rade i kom sindikatu pripadaju,
nemaju kud. Svi zajedno pritereani smo uza zid. Mi moramo u napad, jer
to nam je jedina odbrana.
Idemo svi u Generalni strajk. Stanimo sada na kratko, da ne bismo sutra
za stalno. Srbija se mora zaustaviti, da bi mogla da krene. Ovakav
zakon ne sme proci ni po koju cenu. Sledi nam presudna bitka za novi i
pravedniji zakon. Udruzimo se svi za bolji zakon o radu. Neka vlada
suzbija korupciju, a ne prava radnika. Ovo je bitka za nas i nasu decu.

SAD ILI NIKAD

Strajkacki odbor Saveza Sindikata Srbije

Savez sindikata Srbije
1991
1901
Sindikat metalaca Srbije
11000 Beograd, M. Pijade 14/VI, tel/fax (011)3231641

KLJUCNE PRIMEDBE NA NACRT ZAKONA O RADU

I. Dovodi se u pitanje postojanje pojedinacnog kolektivnog ugovora

U clanu I Nacrta zakona o radu ostavljena je mogucnost izbora da se
prava, obaveze i odgovornosti po osnovu rada uredjuju kolektivnim
ugovorom ili pravilnikom o radu ili ugovorom o radu.
U kapital - odnosima realno se moze izvuci zakljucak da ce buduci
vlasnici kapitala izbeci kolektivne ugovore kao akte gde ce se u
dogovoru sa sindikatom uredjivati prava, obaveze i odgovornosti po
osnovu rada, vec ce pribeci drugim alternativama iz pomenutog clana I,
sto je sigurno nepovoljnije za zaposlene.

II. Poslodavac nema obavezu da oglasi slobodna radna mesta

Clanom 14. Stav2. Nacrta zakona o radu jamci se sloboda rada, slobodan
izbor zanimanja i zaposlenja i ucesce u upravljanju.
Ova odredba je prakticno neprimenljiva jer u poglavlju "Zasnivanje
radnog odnosa" nije, u postupku zasnivanja radnog odnosa, predvidjena
obaveza poslodavca da slobodna radna mesta, uz posredovanje Zavoda za
trziste rada, oglasi u sredstvima javnog informisanja i na oglasnoj
tabli Zavoda, pa tako zainteresovani radnici ne mogu saznati koja su
radna mesta slobodna, da bi na njih konkurisali.
Jamcenje ucesca u upravljanju u pomenutom clanu, takodje prakticno moze
biti neprimenljivo, jer ako se drustveno preduzece privatizuje
restruktuiranjem, nema besplatnih akcija pa samim tim nema ni ucesca u
upravljanju.

III. Favorizuje se rad na odredjeno vreme

Radni odnos na odredjeno vreme, poslodavac moze da zasnuje sa
zaposlenim na odredjeno poslove, samo za period koji neprekidno ili sa
prekidima traje najduze pet godina.
Kako ce se ova odredba (zlo) upotrebljavati komentar nije potreban.

IV. Umanjena prava po osnovu materinstva

U uslovima kada u mnogim delovima Srbije vlada "bela kuga" autor
Nacrta zakona o radu smanjuje duzinu porodiljskog odsustva sa jedne,
odnosno dve godine na tri meseca.

V. Nema ugovaranja najnize cene rada

Nacrt xakona o radu ne predvidja da poslodavac i sindikat ugovaraju
najnizu cenu rada i tako se sndikat lisava svoje osnovne funkcije da na
osnovu rezultata rada utice na nivo zarade zaposlenog.
Tako se rusi godinama izgradjivan sistem zarada koji se bazirao na
najnizoj ceni rada, ceni rada posla, koeficijentu radnih mesta i radnom
ucinku.

VI. Nedorecen clan 90. Nacrta zakona o radu

Po ovom clanu zaposleni ima pravo na naknadu zarade u visini 45% zarade
koju bi ostvario da radi za vreme prekida rada zbog kojeg je doslo bez
krivice zaposlenog, najduze 45 radnih dana u kalendarskoj godini.
Da li ovaj clan regulise duzinu i naknadu zarade za vreme
t.zv. "prinudnog placenog odsustva" ?
Nije definisano sta ako prekid rada traje duze od 45 dana. Ima li
zaposleni pravo u daljem procesu, na naknadu zarade, sta je sa
penzijskim i zdravstvenim osiguranjem ili je nesto drugo u pitanju.

VII. Otkaz

Poslodavac moze zaposlenom da otkaze ugovor o radu ako je njegovo
ponasanje takvo da ne moze da nastavi rad kod poslodavca. (cl.104, stav
1. Tacka 4) Clan 106. Nacrta zakona o radu omogucava poslodavcu da
zaposlenom moze ponuditi zakljucivanje ugovora o radu pod izmenjenim
uslovima. Zaposlenom koji odbije da zakljuci ugovor o radu pod
izmenjenim uslovima, poslodavac moze da otkaze ugovor o radu.

VIII. Kolektivni ugovori

U clanu 136. Nacrta zakona o radu predvidjeno je razbijanje Opsteg i
Posebnog kolektivnog ugovora na delatnosti ?
Osim toga je predvidjeno da se posebni kolektivni ugovor zakljucuje za
teritoriju jedinice, teritorijalne autonomije ili lokalne samouprave.
(Clan 137)
U clanu 141. Nacrta zakona o radu definisani su procenti clanova
sindikata da bi isti bio reprezentativan. Tako, da bi sindikat bio
reprezentativan kod poslodavca treba da je u isti uclanjeno najmanje
15% zaposlenih, a da bi sindikat bio reprezentativan na nivou
Republike, odnosno jedinice teeritorijalne autonomije ili lokalne
samouprave u isti treba da bude uclanjeno najmanje 10% zaposlenih u
grani ili delatnosti za koje se zakljucuje kolektivni ugovor, odnosno
ukupnog broja zaposlenih za zakljucivanje kolektivnog ugovora koji se
odnosi na sve zaposlene na teritoriji odredjene teritorijalne jedinice.
Definicijom ovog clana prakticno ce se napraviti mnostvo
reprezentativnih sindikata. Ocena je da to nece dobro funkcionisati i
samo ce doprineti slabljenju pregovaracke moci sindikata.

Potpresednik Sindikata Metalaca Srbije

Zoran Vujovic

=*=

L’UNIONE DEI SINDACATI DELLA SERBIA

INVITA
TUTTI I LAVORATORI IN SERBIA AD ADERIRE ALLO
SCIOPERO GENERALE

Lo sciopero inizia martedì, 16 ottobre 2001, alle ore 8 e durerà
fintantoché non verrà annullata la legge sul lavoro dalla procedura
assembleare.
Nessuno dei lavoratori, senza distinzione rispetto a dove sono
impiegati ed a quale sindacato appartengano, ha scampo. Tutti insieme
siamo messi al muro. Dobbiamo andare all’attacco, perché questa è
l’unica nostra difesa.
Partecipiamo tutti allo sciopero generale. Fermiamoci ora un momento,
perché un domani non dobbiamo fermarci per sempre.
La Serbia deve fermarsi, per poi ripartire. Questa legge non deve
passare in nessun modo. Ci aspetta una lotta decisiva per una nuova e
più giusta legge.
Uniamoci tutti per una migliore legge sul lavoro.
Che il governo combatta la corruzione e non il diritto dei lavoratori.
Questa lotta e’ per noi e per i nostri figli.

ORA O MAI PIU !

Il Comitato di sciopero dell’ Unione dei Sindacati della Serbia

UNIONE SINDACATI DELLA SERBIA
1991
1901
SINDACATO DEI METALMECCANICI DELLA SERBIA

11000 Beograd, Mosa Pijade 14/VI, tel/fax (011)3231641

OBIEZIONI-CHIAVE SUL DISEGNO DI LEGGE SUL LAVORO

I. Si mette in questione l’esistenza del contratto individuale
collettivo

All’articolo 1 del Disegno di legge sul lavoro è lasciata la
possibilità di scelta del diritto, degli obblighi e delle
responsabilità in base al lavoro regolato con l’accordo collettivo
oppure con il regolamento sul lavoro oppure con l’accordo sul lavoro.
Si può davvero trarre la conclusione che nelle relazioni capitalistiche
i futuri proprietari del capitale eviteranno gli accordi collettivi
come atti in cui, con l’accordo del sindacato, regolare diritti,
obblighi e responsabilità sul lavoro, per ricorrere ad altre
alternative del succitato art.1, sicuramente più sfavorevoli ai
lavoratori impiegati.

II. Il Datore di lavoro non è obbligato a rendere noti i posti di
lavoro liberi

Con l ’art. 14, p.2 del Disegno di legge sul lavoro si
garantisce la libertà del lavoro, la libertà della scelta della
professione e dell’impiego e la partecipazione nella gestione.
Questo intendimento è praticamente inapplicabile perché nel
capitolo "Accordi sul contratto del lavoro" non è inserito, nella
stessa contrattazione, l’impegno del datore di lavoro, attraverso
l’Istituto per il mercato del lavoro, di rendere noti i posti di lavoro
liberi con annunci pubblici o all’Ufficio di collocamento. Perciò i
lavoratori interessati non potranno sapere quali posti di lavoro sono
liberi per poter concorrere ad essi.
Nell’articolo citato, il diritto alla partecipazione nella gestione può
essere anch’esso inapplicabile perché, se una azienda sociale
[drustveno preduzece] viene privatizzata e ristrutturata, non saranno
disponibili titoli azionari gratuiti e dunque nemmeno la partecipazione
alla gestione.

III. Si favorisce il lavoro a tempo determinato

Il datore di lavoro può formulare un contratto di lavoro a tempo
determinato per determinati incarichi, soltanto per un periodo di
lavoro che, continuativamente o con interruzioni, duri non più di 5
anni.
Ogni commento è superfluo su come questa decisione si possa (ab)usare.

IV. Diminuiti i diritti sulla maternità

In una situazione in cui in molte parti della Serbia regna "la
collera bianca" [? "bela kuga"], l’autore del Disegno di legge sul
lavoro diminuisce il periodo di assenza per causa maternità da uno,
ovvero due anni, a tre mesi.

V. Non c’è contrattazione sul costo minimo del lavoro

Il Disegno di legge sul lavoro non prevede che il datore di
lavoro e il sindacato contrattino il costo minimo del lavoro, e cosi il
sindacato viene privato dalla sua funzione essenziale, cioe’ quella di
influenzare il livello del salario dell’operaio in base ai risultati
del lavoro.
Così viene distrutto il preesistente sistema di lavoro che si
basava sul salario minimo, sul costo relativo alla tipologia di lavoro,
sugli indici relativi al posto di lavoro e al risultato del lavoro.

VI. L’ermetico art.90 del Disegno di legge sul lavoro

Secondo questo articolo il lavoratore ha diritto al sussidio
del 45% della paga percepita, somma che realizzerebbe se lavorasse per
un massimo per 45 giorni lavorativi nel calendario di un anno, durante
un’interruzione del lavoro avvenuta per causa non attribuibile al
lavoratore stesso.
Viene regolamentato con questo articolo anche il tempo ed il
sussidio per il tempo cosiddetto "di ferie forzate retribuite"?
Non è stato definito cosa debba succedere quando
l’interruzione del lavoro duri più di 45 giorni. Il lavoratore ha
diritto all’indennizzo, nel proseguimento? Cosa succede con la
pensione e con l’assicurazione sanitaria? O c’e’ qualcos’altro in
questione?

VII. Il licenziamento

Il datore di lavoro può licenziare il lavoratore se il suo
comportamento e’ tale da non poter continuare a lavorare presso quel
datore. (Art. 104, c.1, p.4)
L’articolo 106 del Disegno di legge sul lavoro permette al
datore di lavoro di offrire al lavoratore di contrarre l’accordo di
lavoro ad altre condizioni. Il datore di lavoro può rifiutarsi di
assumere il lavoratore che rifiuti di firmare il contratto di lavoro
alle nuove condizioni.

VIII. Accordi collettivi

Nell’art. 136 del Disegno di legge sul lavoro e’ prevista la
rottura del Contratto collettivo, Generale e Speciale
sulle attività ?
Oltre a questo è stato previsto che i contratti collettivi
particolari si possano stipulare per il territorio dell’unità,
dell’autonomia territoriale oppure dell’autonomia locale. (art.137)
Nell’art. 141 della Legge sul diritto del lavoro sono
definite le percentuali dei membri del sindacato perché esso sia
considerato rappresentativo. Cosi’, affinché il sindacato sia
rappresentato presso il datore di lavoro, devono essere iscritti ad
esso almeno il 15% degli impiegati, e perché il sindacato sia
rappresentato al livello repubblicano, ovvero al livello dell’unità
territoriale autonoma o di autogestione locale, allo stesso bisogna che
siano iscritti almeno il 10% degli impiegati nel ramo o nell’attività
per la quale si stipula il contratto collettivo di lavoro, ovvero
almeno il 10% del numero totale di lavoratori nel caso di stipula di
un contratto collettivo relativo a tutti gli impiegati sul territorio
di una determinata unità territoriale.
Con la definizione di questo articolo praticamente si
costituiranno molte rappresentanze sindacali. Riteniamo che questo
sistema non funzionerebbe bene e contribuirebbe solamente
all’indebolimento del potere contrattuale del sindacato.


Il testo è stato redatto dal Vicepresidente del S.M. della Serbia
Zoran Vujovic