Jugoinfo
“Miniature dal mondo. A Venezia il mecenatismo alla Benetton”. Troneggia così sulla Home Page di Repubblica l’ennesima marchetta dedicata alle iniziative filantropiche di questa famiglia di “imprenditori illuminati”, già padroni di autostrade e aeroporti (ad essi regalati, anzi “privatizzati”, dal PD) e, quindi, padroni del Gruppo editoriale Espresso-La Repubblica. Della mostra e del servilismo dei Maître à penser del PD verso i Benetton non credo valga la pena di parlarne, non così di un’altra notizia riguardante (passata quasi sotto silenzio): Benetton è l’unico dei grandi marchi a non aver ancora versato nemmeno un dollaro al fondo ONU per risarcire le vittime del Rana Plaza. Rana Plaza? Chi se lo ricorda più? Nell’aprile 2013 morirono 1.100 operai, seppelliti nel crollo di una fabbrica. Una fabbrica, come tante, fatiscente posta nel Bangla Desh. Dove, per un dollaro l’ora realizzavano magliette per conto dei Benetton. Ricordatelo la prossima volta che vi comprate una maglietta, o Repubblica.
Francesco Santoianni
http://pecorarossa.tumblr.com/post/127800141934/la-prossima-volta-che-vi-comprate-una-maglietta
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58980
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59178
www.resistenze.org - popoli resistenti - spagna - 30-09-14 - n. 513
Partito Comunista del Popolo di Catalogna (PCPC) | pcpc.cat
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
27/09/2014
Il Partito Comunista del Popolo di Catalogna, nel quadro della Conferenza Nazionale sulla questione nazionale e del cosiddetto processo "sovranista", prende posizione davanti alla consultazione convocata per il prossimo 9 novembre dalla maggioranza delle forze politiche del Parlamento catalano.
In primo luogo, il PCPC ribadisce che ha sempre difeso e sempre difenderà il diritto del popolo di Catalogna all'autodeterminazione, in virtù del carattere nazionale della Catalogna e pertanto del carattere di soggetto politico del popolo catalano.
In secondo luogo, il PCPC intende che il diritto all'autodeterminazione della Catalogna non è un diritto meramente formale, e che il suo esercizio non deve avere restrizioni politiche e temporali, e che pertanto, questo diritto include la capacità del popolo di Catalogna a rendersi indipendente dallo Stato spagnolo.
In terzo luogo, il PCPC chiama la classe operaia catalana a partecipare alla consultazione.
Infine, il PCPC, davanti al doppio quesito referendario e in generale davanti a tutto il processo sovranista, considera che esso sia funzione degli interessi della borghesia catalana al fine di far partecipare la Catalogna al polo imperialista europeo e alla NATO. La classe operaia catalana non ha nulla da guadagnare sotto il progetto della borghesia e dell'imperialismo, e pertanto chiama durante l'esercizio di voto in segno di protesta a introdurre schede che manifestino il rifiuto all'UE e alla NATO.
Nel capitalismo, all'interno delle strutture economiche, politiche e militari dell'imperialismo europeo e nord-americano non c'è sovranità. Non possiamo parlare di una Catalogna sovrana sotto lo stivale dell'imperialismo.
La classe operaia catalana dietro le bandiere della borghesia, non troverà altro che miseria, guerra e sfruttamento.
Il Partito Comunista del Popolo di Catalogna chiama tutti i lavoratori e lavoratrici della Catalogna a non lasciarsi ingannare dal nazionalismo spagnolo e catalano. C'è solo una classe internazionale e la classe operaia catalana troverà la libertà e la sovranità solo nel Socialismo ed esercitando l'internazionalismo proletario, archiviando il capitalismo nel passato.
La recente brutale esecuzione di Khaled al Assad, anziano ed eroico archeologo siriano, ha generato un’indignazione in Occidente e in Italia a dir poco ipocrita. Da una parte si compiange lo scienziato morto per difendere la cultura, in quanto ha celato alla furia devastatrice dello Stato islamico i tesori dell’antica Palmira, dall’altra ci si è resi responsabili nel determinare una situazione che sta mettendo a rischio sia le vite umane e l’esistenza e l’indipendenza della Siria, sia un patrimonio storico-artistico e culturale di ineguagliabile importanza. Infatti, dal momento in cui i l’Occidente – insieme ad Israele, alla Turchia, all’Arabia Saudita e alle monarchie del Golfo – ha posto nel suo mirino l’obiettivo di cancellare la sovranità di un Paese troppo indipendente, non ha fatto altro che armare e finanziare organizzazioni antigovernative, costituite in gran parte da guerriglieri islamici provenienti spesso dall’estero, i quali hanno finito per alimentare il fenomeno dell’Isis.
Il ministro Franceschini urla impotente: “Questo orribile atto non può rimanere senza risposta”. Renzi annuncia che Khaled al Assad verrà ricordato in tutte le feste dell’Unità, perché “non bisogna rassegnarsi alla barbarie”. Eppure il Partito Democratico fin dagli inizi del conflitto siriano ha diffuso la favola secondo la quale la guerra siriana sarebbe stata una rivolta degli oppressi dal regime sanguinario di Bashar al Assad, non denunciando, quindi, ma appoggiando le manovre internazionali che destabilizzavano la Siria e facevano emergere l’ISIS. Le stesse posizioni del PD sono in realtà condivise dalla maggior parte delle testate giornalistiche e delle forze politiche italiane, tanto che SEL, invece di prendere apertamente posizione o contro o a favore dell’imperialismo, nel pieno della recrudescenza del conflitto faceva appello ad un presunto movimento non violento e nella sostanza equiparava aggressori ed aggrediti.
Se poi spostiamo il nostro sguardo alla Libia, dove era chiaro fin dall’inizio che il rovesciamento violento del regime di Gheddafi avrebbe provocato solo un tremendo caos, possiamo constatare che altri siti archeologici di importanza mondiale sono a rischio distruzione, come quello dell’antica Leptis Magna, città natale di Settimio Severo. Pure in questo caso gran parte della politica italiana, anche di sinistra, esultava più o meno esplicitamente per la fine del “dittatore”, dimostrando di essere o serva cosciente delle logiche imperiali o incapace di abbozzare una riflessione storica riguardo alle caratteristiche di un dato Paese.
Le guerre imperialiste, anche quelle per procura come è quella in Siria, hanno tra le loro conseguenze il saccheggio dei beni culturali. Chi si ricorda della guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein nel 2003? Sì, proprio quella che, come nei casi più vicini a noi della Libia e della Siria, è stata giustificata con una serie di vili e assurde menzogne. In particolare, ci si ricorda, in aggiunta alle distruzioni causate dalle bombe occidentali, del saccheggio dell’Iraq Museum di Baghdad, avvenuto senza che le truppe degli invasori facessero nulla per evitare che i beni lì esposti fossero depredati. È risaputo che, quando si vuole cancellare una nazione, è necessario distruggerne anche la memoria storica e le testimonianze culturali. È ciò che è avvenuto nel Kosovo, dove i guerriglieri albanesi dell’UCK, alleati della NATO nella guerra scatenata da quest’ultima nel 1999 in seguito alla messa in scena del finto massacro di Racak, cominciarono una massiccia distruzione delle chiese e dei monasteri serbo-ortodossi, alcuni patrimonio dell’UNESCO, in un territorio che vide svolgersi nel 1389 la battaglia della Piana dei Merli, un evento molto importante per la storia serba e, in generale, per il cristianesimo europeo.
I pochi esempi addotti dimostrano quanto le aggressioni imperialiste della NATO siano all’origine delle distruzioni e dei saccheggi del patrimonio culturale dei popoli aggrediti e della morte di coloro che, come Khaled al Assad, si sono battuti per preservarlo.
L’imperialismo, però, non produce solo la distruzione o il saccheggio del patrimonio culturale attraverso la guerra; in quanto risorse sempre più lucrative i beni culturali diventano appetibili per il grande capitale, come sta accadendo in Grecia, dove il ricatto finanziario viene agitato per costringere a privatizzare, in primis a favore del capitale tedesco, tutto il patrimonio pubblico, tra cui i beni culturali. Se ciò non è saccheggiare, poco ci manca. Graecia capta ferum victorem cepit: il capitale moderno è molto più brutale dei Romani e il patrimonio culturale della Grecia moderna gli interessa solo ed esclusivamente per i profitti che può trarne.
Piuttosto che piangere lacrime di coccodrillo di fronte alla morte di Khaled al Assad, magari mettendo inutilmente le bandiere a mezz’asta, bisognerebbe denunciare le guerre per le risorse e i mercati scatenate dall’Occidente a guida statunitense e far uscire l’Italia da quell’Alleanza atlantica che è un’organizzazione chiaramente contraria al rispetto dei tanto decantati diritti umani, tra i quali rientra anche la salvaguardia della cultura mondiale.
« Nous devons réduire les emprises terroristes sans préserver Assad. Les deux ont partie liée. »« En même temps, il nous faut chercher une transition politique en Syrie, c’est une nécessité.La première, c’est la neutralisation de Bachar el-Assad ».La diplomatie française a toujours mis comme préalable à toute solution le départ du « boucher Assad » [*] qui « ne mériterait pas d’être sur la terre » [**].Elle aurait voulu le liquider. Elle n’a pas réussi. Sa « neutralisation » n’est-elle qu’une variante de la liquidation ?Par ailleurs, comment Hollande peut-il faire une symétrie entre les groupes terroristes et Bachar el-Assad qui – fort de son gouvernement et du soutien de la grande majorité des Syriens – les combat depuis quatre ans et demi ?Comment peut-il se contenter de « réduire les emprises terroristes » ?Les Syriens qui les craignent et subissent leurs atrocités ont-ils leur mot à dire?Quoi qu’il en soit, par son obstination à écarter Assad, la France continue d’ouvrir la route de Damas aux coupeurs de têtes d’al-Nosra et compagnie[***].Silvia Cattori | 26 août 2015* François Hollande et Manuel Valls ont qualifié Bachar el-Assad de « boucher« .
Civitavecchia, Giovedì 27 agosto 2015
alle ore 18:30 al Parco dell'Uliveto – nell'ambito della festa dell'Unità
PIETRO BENEDETTI
in
DRUG
GOJKO
REGIA DI
ELENA MOZZETTA
TRATTO DAI RACCONTI
DEL PARTIGIANO NELLO MARIGNOLI
IDEATO DA GIULIANO CALLISTI E SILVIO ANTONINI
TESTI TEATRALI - PIETRO BENEDETTI
CONSULENZA LETTERARIA - ANTONELLO RICCI
MUSICHE - BEVANO QUARTET E FIORE BENIGNI
FOTO - DANIELE VITA
UN RINGRAZIAMENTO PARTICOLARE A NELLO MARIGNOLI
«QUELLO CHE DICO, DICO POCO»
Note di Antonello Ricci sullo spettacolo Drug Gojko di Pietro Benedetti
L’inizio è sul dragamine Rovigno: una croce uncinata issata al posto del tricolore. Il finale è l’abbraccio tra madre e figlio, finalmente ritrovati, nella città in macerie.
Così vuole l’epos popolare. Così dispiega la sua odissea di guerra un bravo narratore: secondo il più convenzionale degli schemi, in ordine cronologico.
Ma mulinelli si aprono, di continuo, nel flusso del racconto. Rompono la superficie dello schema complessivo, lo increspano, lo fanno singhiozzare magari fino a contraddirlo: parentesi, divagazioni, digressioni, precisazioni, correzioni, rettifiche, commenti, esempi, sentenze, morali.
Così, proprio così Nello racconta il suo racconto di guerra. Nello Marignoli da Viterbo: gommista in tempo di pace; in guerra, invece, prima soldato della Regia Marina italica e poi radiotelegrafista nella resistenza jugoslava.
Nello è narratore di straordinaria intensità. Tesse trame per dettagli e per figure, una dopo l’altra, una più bella dell’altra: la ricezione in cuffia, l’8 settembre, dell’armistizio; il disprezzo tedesco di fronte al tricolore ammainato; l’idea di segare nottetempo le catene al dragamine e tentare la fuga in mare aperto; il barbiere nel campo di prigionia: «un ometto insignificante» che si rivela ufficiale della Decima Brigata Herzegovaska; le piastrine degli italiani trucidati dai nazisti: poveri figli col cranio sfondato e quelle misere giacchette a -20°; il cadavere del soldato tedesco con la foto di sua moglie stretta nel pugno; lo zoccolo pietoso del cavallo che risparmia i corpi senza vita sul sentiero; il lasciapassare partigiano e la picara«locomotiva umana», tutta muscoli e nervi e barba lunga, che percorre a piedi l’Italia, da Trieste a Viterbo; la stella rossa sul berretto che indispettisce i camion anglo-americani e non li fa fermare; la visione infine, terribile, assoluta, della città in macerie.
Ma soprattutto un’idea ferma: la certezza che le parole non ce la faranno a tener dietro, ad accogliere e contenere, a garantire forma compiuta e un senso permanente all’immane sciagura scampata dal superstite (e testimone). «Quello che dico, dico poco».
Da qui riparte Pietro Benedetti col suo spettacolo Drug Gojko. Da questa soglia affacciata su ciò che non si potrà ridire. Da un atto di fedeltà incondizionata al raffinato artigianato del ricordo ad alta voce di Nello Marignoli. Il racconto di Nello è ripreso da Pietro pressoché alla lettera, con tutti gli stigmi e i protocolli peculiari di una oralità “genuina” e filologica, formulaica e improvvisata al tempo stesso. Pausa per pausa, tono per tono, espressione per espressione. Pietro stila il proprio copione con puntiglio notarile, stillandolo dalla viva voce di Nello.
Questa la scommessa (che è anche ipotesi critica) di Benedetti: ricondurre i modi di un canovaccio popolare entro il canone del copione recitato, serbando però, al massimo grado, fisicità verace del narrare e verità delle sue forme.
Anche per questo la scena è scarna. Così da rendere presente e tangibile il doppio piano temporale su cui racconto e spettacolo si fondano (quello dei fatti e quello dei ricordi): sul fondo un manifesto antipartigiano firmato Casa Pound, che accoglie al suo ingresso Nello-Pietro in tuta da lavoro; sulla sinistra un pneumatico da TIR in riparazione; al centro il bussolotto della ricetrasmittente.
Andiamo a cominciare.
Sulla testimonianza di Nello Marignoli, partigiano italiano in Jugoslavia, si vedano anche:
* il libro "Diario di guerra" (Com. prov. ANPI, Viterbo 2004)
* il documentario-intervista "Mio fratello Gojko" (di Giuliano Calisti e Francesco Giuliani - DVD_60’_italia_2007)
Sullo spettacolo vedi anche: https://www.cnj.it/CULTURA/druggojko.htm