(italiano / castellano)


Hasta la victoria
In memoria di Fidel


1) Il carteggio tra Fidel Castro e Slobodan Milošević (1999)
2) Riflessioni di Fidel Castro sul Kosovo (2007)
3) Condannatemi, non importa, la Storia mi assolverà (Fidel Castro Ruz, 1953)


*** Chi volesse firmare il il registro delle condoglianze per il compagno Fidel Castro Ruz potrà farlo fino al quattro dicembre, presso l'Ambasciata cubana, in via Licinia 7 a Roma, a pochi metri da Viale Aventino ***


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Alla nostra pagina sul CARTEGGIO CASTRO-MILOŠEVIĆ 
si vedano anche:

Fidel Castro: Il ruolo genocida della NATO (ottobre 2011 - estratto)
Fidel Castro: A Silent Complicity (October 2007)
Castro says Spain's Aznar sought to bomb Serb media (Reuters - Sep 30, 2007)
Fidel Castro on Kosovo and US tyranny (June 2007)


Dalla stessa pagina, di seguito si riportano testi 
- sulla lettera di Casto a Milosevic del 25 marzo 1999 (en castellano)
- la lettera di risposta di Milosevic a Castro del 30 marzo 1999
- i messaggi di Castro a Milosevic del 2 e 5 aprile 1999 e una nuova risposta. 

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Las guerras ilegales del imperio

Cuando se inicia la guerra de Estados Unidos y sus aliados de la OTAN en Kosovo, Cuba definió de inmediato su posición en la primera página del periódico Granma, el 26 de marzo de 1999. Lo hizo a través de una Declaración de su Ministerio de Relaciones Exteriores con el título de “Cuba convoca a poner fin a la injustificada agresión de la OTAN contra Yugoslavia.”

Tomo párrafos esenciales de aquella Declaración:

“Después de un conjunto de dolorosos y muy manipulados sucesos políticos, prolongados enfrentamientos armados y complejas y poco transparentes negociaciones en torno a la cuestión de Kosovo, la Organización del Tratado del Atlántico Norte lanzó al fin su anunciado y brutal ataque aéreo contra la República Federativa de Yugoslavia, cuyos pueblos fueron los que más heroicamente lucharon en Europa contra las hordas nazis en la Segunda Guerra Mundial. “Esta acción, concebida como ‘castigo al gobierno yugoslavo’, se realiza al margen del Consejo de Seguridad de la ONU. [...]

“La guerra lanzada por la OTAN reaviva los justos temores de la humanidad por la conformación de un unipolarismo insultante, regido por un imperio guerrerista, erigido a sí mismo en policía mundial y capaz de arrastrar a las acciones más descabelladas a sus aliados políticos y militares, de manera similar a como ocurriera a principios y en la primera mitad de este siglo con la creación de bloques belicistas que cubrieron de destrucción, muerte y miseria a Europa, dividiéndola y debilitándola, en tanto los Estados Unidos fortalecían su poderío económico, político y militar. “Cabe preguntarse si el uso y el abuso de la fuerza solucionarán los problemas del mundo y defenderán los derechos humanos de las personas inocentes que hoy mueren bajo los misiles y las bombas que están cayendo sobre un pequeño país de esa culta y civilizada Europa. “El Ministerio de Relaciones Exteriores de la República de Cuba condena enérgicamente esta agresión de la OTAN contra Yugoslavia, liderada por los Estados Unidos [...]

“En estos momentos de sufrimiento y dolor para los pueblos de Yugoslavia, Cuba convoca a la comunidad internacional a movilizar sus esfuerzos para poner inmediato fin a esta injustificada agresión, evitar nuevas y aún más lamentables pérdidas de vidas inocentes y permitirle a esta nación retomar la vía pacífica de las negociaciones para la solución de sus problemas internos, asunto que depende única y exclusivamente de la voluntad soberana y la libre determinación de los pueblos yugoslavos. [...]

“La ridícula pretensión de imponer soluciones por la fuerza es incompatible con todo razonamiento civilizado y los principios esenciales del derecho internacional. [...]

De continuarse por este camino, las consecuencias podrían ser impredecibles para Europa y para toda la humanidad.”

Con motivo de estos hechos, había enviado el día anterior un mensaje al presidente Milosevic, a través del embajador yugoslavo en La Habana y de nuestro embajador en Belgrado. “Le ruego comunique al presidente Milosevic lo siguiente:

"Después de analizar cuidadosamente todo lo que está sucediendo y los orígenes del actual y peligroso conflicto, nuestro punto de vista es que se está cometiendo un gran crimen contra el pueblo serbio y, a la vez, un enorme error de los agresores, que no podrán sostener, si el pueblo serbio, como en su heroica lucha contra las hordas nazis, es capaz de resistir.

“De no cesar tan brutales e injustificables ataques en pleno corazón de Europa, la reacción mundial será aún mayor y mucho más rápida que la que desató la guerra en Vietnam. “Como en ninguna otra ocasión en los últimos tiempos, poderosas fuerzas e intereses mundiales están conscientes de que tal conducta en las relaciones internacionales no puede continuar.

“Aunque no tengo relación personal con él, he meditado mucho sobre los problemas del mundo actual, creo tener un sentido de la historia, un concepto de la táctica y la estrategia en la lucha de un pequeño país contra una gran superpotencia y siento un odio profundo hacia la injusticia, por lo que me atrevo a transmitirle una idea en tres palabras:

“Resistir, resistir y resistir".

“25 de marzo de 1999.”

Fidel Castro Ruz.

1º de octubre de 2007

 6:14 p.m.

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Lettera di Milosevic a Castro del 30 marzo 1999

Tratto da: RIFLESSIONI DEL COMANDANTE IN CAPO: LA RISPOSTA DI MILOSEVIC
di Fidel Castro Ruz - 2 ottobre 2007 - 5:32 p.m. (Fonte: Ambasciata delle Repubblica di Cuba, via email - Jugoinfo - Reflexiones del Comandante en Jefe)

Nelle sue "Riflessioni" datate lunedì 1 ottobre 2007Fidel Castro ha scritto di un messaggio di solidarietà da lui inviato a Milosevic il 25 marzo 1999, nel corso della aggressione della NATO contro il paese di cui Milosevic era il presidente.
Il 2 ottobre 2007, lo stesso Castro ha rivelato di aver ricevuto da Milosevic il seguente testo di risposta:

“Eccellentissimo Signor Presidente:

“Ho ricevuto il suo messaggio del 25 marzo 1999 con interesse e sincera gratitudine. La ringrazio per le sue decise parole d’appoggio e di stimolo alla Iugoslavia, e inoltre per la condanna all’aggressione della NATO espressa da Cuba e dai suoi rappresentanti durante le sedute delle Nazioni Unite. La Repubblica Federale dI Iugoslavia è sottoposta da parte degli  Stati Uniti e della NATO a un’aggressione, la più grande a livello mondiale dai tempi delle aggressioni di Hitler. È stato commesso un crimine non solo contro la Repubblica Federale di Iugoslavia quale Stato pacifico, sovrano e indipendente, bensì un’aggressione contro tutto ciò che nel mondo intero possiede un valore alle porte del XXI secolo: al sistema delle Nazioni Unite, al Movimento dei Paesi Non Allineati, alle fondamenta stesse della legalità, ai diritti umani e alla civiltà in generale. Mi sento orgoglioso di poterle comunicare che l’aggressione ha solamente reso più omogenea e ha rafforzato la determinazione dei popoli della Iugoslavia a resistere e a difendere la libertà, la sovranità e l’integrità territoriale. Le nostre forze armate e il popolo sono decisi e disposti ad assolvere il loro compito. Per questo per noi è benvenuta e, oltretutto, necessaria, la solidarietà e l’aiuto degli amici di tutto il mondo, nella maniera più ampia e forte possibile.
           
“Il comportamento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riguardo all’aggressione della NATO alla Repubblica Federale di Iugoslava rappresenta una sconfitta per le Nazioni Unite. È un segnale molto negativo e un monito importante per il mondo intero, specialmente per i paesi medi e piccoli, sebbene non lo sia solo per loro. Sono sicuro che Lei è informato di come la Repubblica Federale di Iugoslava e la Repubblica Serba si siano continuamente e sinceramente impegnate nel cercare una soluzione politica per il Kosovo e la Metohija sempre nell’interesse di tutte le comunità nazionali che vivono lì e che rispettano il nostro ordine costituzionale. La prego, signor Presidente, di far sì che l’amicizia di Cuba continui la sua azione in seno al Movimento al fine di convocare l’Ufficio di Coordinamento dei Non Allineati e che il gruppo d’amici condanni risolutamente l’aggressione della NATO alla Repubblica Federale di Iugoslavia. Sono altresì convinto che il Suo prestigio personale sarebbe di grande utilità per incoraggiare i paesi dell’America Centrale e del Sud e, più in generale, i paesi Non Allineati ad alzare la voce per esprimere una forte condanna di questa vandalica aggressione. Ancora una volta, nel ringraziare per la solidarietà e per l’appoggio alla Repubblica Federale di Iugoslavia, esprimo la speranza che rimarremo in stretto contatto. Voglia ricevere, signor Presidente, l’espressione del mio più profondo rispetto.
           
“Firmato Slobodan Milosevic” 

(30 marzo 1999)

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Fonte: Ambasciata di Cuba in Italia, Reflexiones del Comandante en Jefe

Testo della riflessione del Comandante in Capo Fidel Castro Ruz, dal titolo “IL 2° ED IL 3° MESSAGGIO A MILOSEVIC E LA SUA RISPOSTA”, del 4 ottobre 2007.

IL 2° ED IL 3° MESSAGGIO A MILOSEVIC E LA SUA RISPOSTA.


Il 2 aprile 1999 inviai a Milosevic, tramite la nostra Missione all’ONU, il secondo messaggio:

“Sarebbe consigliabile non processare i tre prigionieri nordamericani. L’opinione pubblica internazionale è molto sensibilizzata al riguardo e si creerebbe un forte movimento contro i serbi.”

Il 5 aprile 1999 gli trasmisi un terzo messaggio attraverso le nostre Missioni all’ONU ed in Iugoslavia: 

“Ci congratuliamo per la decisione presa, secondo quanto informano le agenzie di stampa, nei riguardi dei tre prigionieri. È molto intelligente e corretto aver promesso di trattarli bene e di liberarli quando cesseranno i bombardamenti. Ha annullato la manovra che gli Stati Uniti stavano realizzando per sensibilizzare contro la Serbia l’opinione pubblica interna, molto divisa nei riguardi dell’aggressione. Gli spietati bombardamenti contro obbiettivi civili e l’eroica resistenza del popolo serbo stanno provocando un impatto all’interno e fuori dell’Europa, anche in seno alla stessa NATO.”

Lo stesso 5 aprile 1999 riceviamo la risposta di Milosevic, per mezzo del suo ambasciatore all’ONU:

"Desidero estendere la mia gratitudine al Presidente ed al popolo della Repubblica di Cuba per la loro simpatia e per la solidarietà veso il nostro popolo ed il nostro paese, vittime dell’aggressione degli Stati Uniti e della NATO. 

“Spero che continueranno i suoi utilissimi sforzi con i capi di stato, in particolare con i leader dei paesi Non Allineati affinché comprendano l’estremo pericolo per le relazioni  internazionali nel loro insieme derivante dal precedente creato dall’aggressione degli Stati Uniti e della NATO contro la sovranità e l’indipendenza di un piccolo paese.  Desidero invitarla e chiederle di inviare un messaggio personale ai presidenti Mandela, Nujoma, Mugabe, Obasanjo, Rawlings e Vajpayee, per chiedere loro di condannare l’aggressione e, nel caso lo avessere già fatto, chiedere di riaffermare tale condanna affinché si continui a respingere l’aggressione allo scopo di mobilitare l’appoggio più ampio possibile dei Non Allineati alla Iugoslavia in questo momento tanto importante. Riceva i miei più sentiti e calorosi saluti. Per quanto riguarda i 3 militari nordamericani imprigionati, apprezzo molto  il suo amichevole suggerimento e desidero informarla che questi soldati penetrarono, abbondantemente armati, in profondità in territorio iugoslavo servendosi di alcuni  blindati. Sono in corso indagini sull’accaduto. Essi sono trattati in modo umano e serio.  Il suo suggerimento è stato capito e praticamente accettato.  Non abbiamo fretta di portare i soldati davanti alla giustizia. Non lo faremo ora.  Forse successivamente, o forse non lo faremo. Non lo faremo in fretta."

Fidel Castro Ruz
4 ottobre 2007
6:23 p.m.


=== 2 ===

Source: [JUGOINFO] 19 luglio 2007Reflexiones del Comandante en Jefe

FIDEL CASTRO SUL KOSOVO

Elaborazione e traduzioni di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova.


http://www.adnki.com/index_2Level_English.php 
ADN Kronos International (Italy) - 12 giugno 2007

Kosovo: Castro discute su Bush “tiranno”

Havana - Il leader di Cuba Fidel Castro ha rivolto un severo rimprovero al Presidente degli Stati Uniti George W. Bush per le sue osservazioni, riguardanti l’indipendenza del Kosovo secessionista, rilasciate domenica scorsa durante la sua visita nella capitale Albanese, Tirana.
In un documento dal titolo “Il Tiranno visita Tirana” diffuso dall’agenzia stampa di Cuba, Castro ha criticato aspramente Bush per l’appoggio espresso all’indipendenza del Kosovo, “senza il minimo rispetto per gli interessi di Serbia, Russia e dei vari paesi Europei che si sono dimostrati sensibili al destino della Provincia, che è stata lo scenario dell’ultima guerra della NATO.”                          

Il documento dell’ottuagenario Castro continuava così: “Bush ha ammonito la Serbia che avrebbe ricevuto aiuti economici solo appoggiando l’indipendenza del Kosovo, la culla della cultura di quel Paese. Prendere o lasciare! Bush è bramoso di affetto. Ha goduto del tutto per le accoglienze senza proteste a lui riservate in Bulgaria. Ha parlato con quei militari del Paese che hanno preso parte alle guerre in Iraq e in Afghanistan. Ha cercato di impegnarli ulteriormente per versare sangue generoso in queste guerre per la pace.” 

Il lunedì, Bush aveva fatto visita alla Bulgaria – un fedele alleato degli USA – come tappa finale di un giro Europeo di otto giorni, che aveva visto la sua partecipazione al summit dei G8 in Germania, e le visite alla Repubblica Ceca, alla Polonia, all’Italia e all’Albania. 
Commentando l’arrivo in settembre di più di 3.000 militari USA in una nuova base in Bulgaria, come parte della politica USA di spostare molte delle sue forze Europee più vicino al Medio Oriente, Castro ha affermato: “Da duemila a cinquemila soldati di Bush saranno movimentati a rotazione costante attraverso le tre basi militari impiantate dall’impero... Come se noi stessimo vivendo nel più felice dei mondi possibili!”  


http://www.plenglish.com/article.asp?ID=%7BC9C6116D
Prensa Latina - 14 giugno 2007

Nuove riflessioni di Fidel Castro

Havana – Il Presidente Cubano Fidel Castro si è espresso sull’appoggio dato all’Albania da parte del Presidente USA George W. Bush  per il suo ingresso immediato nella NATO e sulla decisione di Bush di domandare l’indipendenza per la provincia Serba del Kosovo.  
Data l’importanza, Prensa Latina riproduce integralmente le riflessioni del Presidente Cubano: 

 “In cerca di affetto”

Effettivamente è stata l’Albania l’unico posto dove Bush ha ricevuto un qualche affetto; per voler essere larghi, questo vale per l’accoglienza in Bulgaria dove diverse migliaia di persone lo hanno atteso sventolando bandierine Americane, comunque sembrando fredde nei suoi confronti.   
L’appoggio di Bush dato all’Albania per il suo ingresso immediato nella NATO e la sua decisione di esigere l’indipendenza per la provincia del Kosovo hanno fatto diventare non pochi Albanesi un po’ pazzi. 
Giornali ed altri mezzi di comunicazione riportano che molti di costoro, interrogati singolarmente, hanno risposto: “Bush è un simbolo di democrazia. Gli Stati Uniti sono i protettori della libertà dei popoli.” Migliaia di soldati e poliziotti Albanesi disarmati, condizione richiesta dalle autorità Yankee, facevano ala su due colonne, che andavano dall’aeroporto alla capitale, per più di 20 chilometri.                                                                                                                                                         In Europa, lo spinoso problema dell’indipendenza di una parte della Serbia è veramente controverso, e creerebbe un precedente che potrebbe essere seguito in diversi Paesi da altre regioni che reclamano la sovranità all’interno degli attuali confini.    
E così l’Albania passerebbe da una situazione sociale di sinistra ad una di destra estrema. 
Vivere per vedere! Vedere per credere! 
La Serbia riceve un duro colpo non solo politico ma anche economico. Il Kosovo possiede il 70% delle risorse energetiche della Serbia. 

Tra il 1998 e il 1999, l’anno della guerra della NATO contro la Serbia, la Provincia ha contribuito per il 70% dello zinco e dell’argento. 
È stato valutato che il Kosovo possiede l’82% delle possibili riserve di questi metalli, ed inoltre le più grandi riserve di  bauxite, nickel e cobalto. La Serbia perde industrie, territori e proprietà ed è lasciata sola con l’imposizione di pagare il debito estero incorso per gli investimenti in Kosovo, prima del 1998. Ho ricevuto proprio adesso un dispaccio dall’AFP che mi obbliga alla lettura di poche righe. Il comunicato letteralmente recita: 

“ Mosca, 13 giugno 2007. La Russia accusa l’Occidente di tenere incontri segreti relativi all’indipendenza del Kosovo. Secondo un comunicato rilasciato dal Ministro Russo per gli Affari Esteri, la Russia ha censurato le nazioni Occidentali che mercoledì si sono adoperate in segreto e unilateralmente per preparare l’indipendenza del Kosovo. Il portavoce del Ministero, Mikhail Kamynin, con riferimento all’incontro delle potenze Occidentali tenutosi a Parigi martedì, in assenza del governo di Mosca, ha puntato l’indice contro i colloqui segreti che hanno indotto a sospettare che sia stato preparato unilateralmente uno scenario per la sovranità del Kosovo. Kamynin ha continuato: ‘Questo comportamento è intollerabile. La Russia non è stata invitata all’incontro e questo risulta incompatibile con le dichiarazioni che andavano nel senso di una soluzione, in apparenza, di accomodato.' ”


=== 3 ===


www.resistenze.org - popoli resistenti - cuba - 12-09-06 

Condannatemi, non importa, la storia mi assolverà
 

Fidel Castro

 

 

Il seguente testo e' un estratto del testo di difesa pronunciato da Fidel Castro, avvocato di se' stesso, di fronte al Tribunale che lo processava con l'accusa di "attentato ai Poteri Costituzionali dello Stato e insurrezione"  per l'eroico assalto al Quartiere Moncada [1] dell'Esercito, effettuato il 26 luglio 1953, a seguito del quale venne arrestato insieme a molti altri compagni, la maggior parte dei quali fu poi giustiziata in carcere, dopo barbare e inenarrabili torture (tratto dall'edizione completa: La Historia me absolvera', Nuestra America Editorial [2], 2005, Buenos Aires, Argentina )... [a cura di Paolo Teobaldelli] 
 

 

Signori Giudici,

 

mai un avvocato ha dovuto esercitare il suo ufficio in tal difficili condizioni; mai contro un accusato sono state commesse un tal cumulo di irregolarita' schiaccianti. L'uno e l'altro sono in questo caso la stessa persona. Come avvocato, non ho potuto vedere il verbale ne' lo vedro' e, come accusato, da settantasei giorni sono chiuso in una cella solitaria, totalmente e assolutamente isolato, oltre tutte le prescrizioni umane e legali.

 

Chi sta parlando aborrisce con tutta la sua anima la vanita' puerile e non sono parte del suo animo ne' del suo temperamento qualsiasi posa da tribuno ne' sensazionalismi di nessun tipo. Se ho dovuto assumere la mia propria difesa davanti a questo tribunale e' per due motivi. Il primo perche' praticamente mi si privo' di essa completamente; il secondo perche' solo chi era stato ferito tanto profondamente e aveva visto tanto indifesa la patria e avvilita la giustizia, puo' parlare in una occasione come questa con parole che siano sangue del cuore e organi vitali della verita'. [...] 
Signori Giudici, quante pressioni si sono esercitate affinche' mi si spogliasse anche di questo diritto consacrato a Cuba da lunga tradizione. Il tribunale non pote' acconsentire a tali pretese perche' era gia' lasciare un accusato al colmo della mancanza di difesa. Questo accusato che sta esercitando ora questo diritto, per nessuna ragione al mondo omettera' di dire quello che deve dire. [...]
Vi ricordo che le vostre leggi di procedimento stabiliscono che il giudizio sara' "orale e pubblico"; senza dubbio, si e' impedito al popolo l'entrata a questa sessione. Solo hanno lasciato passare due avvocati e sei  giornalisti, nei periodici dei quali la censura non permettera' pubblicare una sola parola. Vedo che ho per unico pubblico, in sala e nei corridoi, circa cento tra soldati e ufficiali. Grazie per la seria e amabile attenzione che mi state prestando! Che appaia di fronte a me tutto l'Esercito! Io so che un giorno ardera' dal desiderio di lavare la terribile macchia di vergogna e di sangue che le ambizioni di un gruppo di persone senza anima ha lanciato sopra le uniformi militari. [...]

 

Per ultimo devo dire che non si lascio' passare nella mia cella nessuno trattato di Diritto Penale. Solo posso disporre di questo minuscolo codice che mi ha prestato un avvocato, il valente difensore dei miei compagni: il Dott. Baudilio Castellanos. Allo stesso modo si proibi' che giungessero nelle mie mani i libri di Marti' [3]: sembra che la censura del carcere li considero' troppo sovversivi. O sara' forse perche' io dissi che Marti' era l'autore intellettuale del 26 luglio? [...]
Non importa in assoluto! Porto nel cuore le dottrine del Maestro [4] e nel pensiero le nobili idee di tutti gli uomini che hanno difeso la liberta' di tutti i popoli.
Solo una cosa chiedo al tribunale; spero che me la conceda, come compensazione di tanto eccesso e arbitrarieta' che ha dovuto soffrire questo accusato senza protezione alcuna delle leggi: che si rispetti il mio diritto ad esprimermi in piena liberta'. Senza di cio' non potrete soddisfare neanche la mera apparenza di giustizia e l'ultimo anello della catena sarebbe, piu' di nessun altro, di ignominia e codardia.

 

Confesso che qualcosa mi ha sorpreso. Pensavo che il Pubblico Ministero sarebbe venuto con una accusa terribile disposto a giustificare sino alla sazieta' le pretese e i motivi per i quali in nome del diritto e della giustizia - e di quale diritto e di quale giustizia? - mi si deve condannare a ventisei anni di prigione. Pero' no. Si e' limitato esclusivamente a leggere l'articolo 148 del Codice di Difesa Sociale, secondo il quale, piu' circostanze aggravanti, sollecita per me la rispettabile quantita' di ventisei anni di prigione. Due minuti mi sembrano molto poco tempo per chiedere e giustificare che un uomo passi al chiuso piu' di un quarto di secolo. E' forse per caso il Pubblico Ministero disgustato del Tribunale? [...] Comprendo che e' difficile, per un Pubblico Ministero che ha giurato fedelta' alla Costituzione della Repubblica, venire qui in nome di un governo incostituzionale, statuario, di nessuna legalita' e minor moralita', a chiedere che un giovane cubano, avvocato come lui, chissa' ... altrettanto decente come lui, sia inviato a ventisei anni di carcere. Pero' il Pubblico Ministero e' un uomo di talento e io ho visto persone, con meno talento di lui, scrivere lunghe arringhe [...]

 

Signori Giudici: perche' tanto interesse a che io taccia? [...] E' che manchi completamente la base giuridica, morale e politica per focalizzare seriamente la questione? E' che si teme tanto la verita'? E' che si desidera che anche io parli per due minuti e che non tocchi qui i punti che non lascia dormire a certa gente dal 26 luglio? [...] non accettero' mai questo bavaglio, perche' in questo giudizio si sta dibattendo qualcosa in piu' della semplice liberta' di un individuo: si discute di questioni fondamentali di principio, si dibatte delle basi stesse della nostra esistenza come nazione civilizzata e democratica. [...]
[...] il Pubblico Ministero non merita neanche un minuto di replica. [...] 
E' un principio elementare del Diritto Penale che il fatto imputato debba accordarsi esattamente al tipo di delitto prescritto dalla legge. Se non c'e' legge esattamente applicabile al punto controverso, non c'e' delitto.

 

L'articolo in questione dice testualmente: "Si imporra' una sanzione di privazione della liberta' da tre a dieci anni all'autore di un atto diretto a promuovere un sollevamento di gente armata contro i Poteri Costituzionali dello Stato. La sanzione sara' la privazione da cinque a dieci anni se si porta ad effetto l'insurrezione" In che paese sta vivendo il Pubblico Ministero? Chi le ha detto che noi abbiamo promosso un sollevamento contro i Poteri Costituzionali dello Stato? Due cose risaltano alla vista. In primo luogo, la dittatura che opprime la nazione non e' un potere costituzionale, ma semmai incostituzionale; nacque contro la Costituzione, oltre la Costituzione, violando la Costituzione legittima della Repubblica. La Costituzione legittima e' quella che emana direttamente dal popolo sovrano. [...] In secondo luogo, l'articolo parla di Poteri Costituzionali, vale a dire, al plurale, non al singolare, perche' considera il caso di una Repubblica retta da un Potere Legislativo, un Potere esecutivo e un Potere Giuridico che si equilibrano e si contrappesano uno con l'altro. Noi abbiamo promosso una ribellione contro un potere unico, illegittimo, che ha usurpato e riunito in uno solo i Poteri  Legislativo, Esecutivo e Giuridico della Nazione, distruggendo tutto il sistema che precisamente cercava di proteggere l'articolo del codice che stiamo analizzando. [...]
Vi avverto che vo a iniziare. Se nelle vostre anime resta ancora un pezzetto di amore per la patria, di amore per l'umanita', di amore per la giustizia, ascoltatemi con attenzione. So che mi si obblighera' al silenzio per molti anni; so che cercheranno di occultare la verita' con tutti i mezzi possibili; so che contro di me si alzera' la congiura dell'oblio. Pero' non per questo la mia voce si risparmiera' [...]

 

Ascoltai il dittatore il lunedi' 27 luglio [...] L'accumulo di menzogne e calunnie che pronuncio' nel suo linguaggio turpe, odioso e ripugnante, solo si puo' comparare con l'enorme quantita' di sangue giovane e limpido che dalla notte prima stava spargendo, con sua conoscenza, consenso, complicita' e plauso, la turba piu' crudele di assassini che possa mai concepirsi. [...]
E' necessario che mi occupi un po' del considerare i fatti. Si disse, da parte del governo stesso, che l'attacco fu realizzato con tanta precisione e perfezione che evidenziava la presenza di esperti militari nella elaborazione del piano. Niente di piu' assurdo. Il piano fu tracciato da un gruppo di giovani nessuno dei quali aveva esperienza militare; e rivelo i loro nomi, meno due di loro che non sono ne' morti ne' catturati: Abel Santamaria, Jose' Luis Tasende, Renato Guitart Rosell, Pedro Miret, Jesus Montane' e colui che parla. La meta' sono morti, e con giusto tributo alla loro memoria posso dire che non erano esperti militari, pero' avevano patriottismo sufficiente per dare, a parita' di condizioni, una sonora lezione a tutti quanti i generali del 10 marzo (allusione ai generali che appoggiarono il colpo di Stato di Fulgencio Batista il 10 marzo del 1952, N.d.T.) che non sono militari ne' patrioti. [...]

 

E' ugualmente certo che l'attacco si realizzo' con coordinazione magnifica. [...]
Abel Santamaria con ventuno uomini aveva occupato l'Ospedale Civile; con lui c'erano un medico e due nostre compagne per accudire i feriti. Raul Castro, con dieci uomini, occupo' il Palazzo di Giustizia; e a me tocco' attaccare l'accampamento con il resto, novantacinque uomini. Arrivai con un primo gruppo di quarantacinque, preceduto da un'avanguardia di otto  [...] Il gruppo di riserva, che era in possesso di quasi tutte le armi lunghe, dato che le corte andavano all'avanguardia, prese per una via sbagliata e si perse completamente in una citta' che non conoscevano. [...]
Si fecero sin dai primi momenti numerosi prigionieri, circa venti, e ci fu un momento in cui tre nostri uomini  [...] Ramiro Valdez, Jose Suarez e Jesus Montane', riuscirono ad entrare in una baracca e a detenere li' per un certo tempo circa cinquanta soldati. Questi prigionieri testimoniarono davanti al Tribunale, e tutti senza eccezione hanno riconosciuto che furono trattati con assoluto rispetto, senza dover soffrire neanche una parola di insulto. [...] 

 

La disciplina da parte dell'Esercito fu abbastanza scarsa. Vinsero alla fine per il numero, che dava loro una superiorita' di 15 ad uno, e per la protezione  che loro forniva la difesa della fortezza. [...]
Quando mi convinsi che tutti i nostri sforzi per prendere la fortezza erano gia' vani, cominciai a ritirare i nostri uomini a gruppi di otto e dieci. La ritirata fu protetta da sei cecchini che al comando di Pedro Miret e di Fidel Labrador, bloccarono eroicamente il passo all'Esercito. Le nostre perdite nella lotta erano state insignificanti. Il gruppo dell'Ospedale Civile non ebbe piu' di una vittima; il resto fu vinto dal situarsi delle truppe dell'esercito di fronte all'unica uscita dell'edificio, e soltanto deposero le armi quando non rimaneva loro piu' neanche un proiettile. Con loro stava Abel Santamaria, il piu' generoso, amato ed intrepido dei nostri giovani, la cui gloriosa resistenza lo rende immortale davanti alla storia di Cuba. Vedremo la sorte che loro tocco' e come desidero' sradicare Batista la ribellione e l'eroismo della nostra gioventu'.

 

I nostri piani erano di proseguire la lotta sulle montagne in caso di insuccesso dell'attacco al reggimento. Potei riunire un'altra volta, a Siboney, un terzo delle nostre forze; pero molti si erano gia' persi d'animo. Una ventina decisero di consegnarsi; gia' vedremo che cosa fu di loro. Il resto, diciotto uomini, con le armi e l'attrezzatura che rimanevano, mi seguirono sulle montagne. Il terreno era a noi perfettamente sconosciuto. Durante una settimana occupammo la parte alta della Cordigliera della Grande Pietra e l'Esercito occupo' la base. Ne' noialtri potevamo scendere ne' loro si decisero a salire. Non furono, dunque, le armi; furono la fame e la sete che vinsero l'ultima resistenza. Dovetti distribuire gli uomini in piccoli gruppi: alcuni riuscirono a filtrare attraverso le linee dell'esercito, altri  furono consegnati da monsignor Perez Serantes. Quando solo restavano con me due compagni: Jose Suarez e Oscar Alcalde, tutti e tre totalmente stremati, all'alba di sabato 1° di agosto, una forza al comando del tenente Sarria ci sorprese dormendo. Gia' la mattanza dei prigionieri era cessata in seguito alla tremenda reazione che provoco' nella cittadinanza, e questo ufficiale, uomo di onore, impedi' che alcuni assassini ci uccidessero  [...]

 

Si e' ripetuto con molta enfasi da parte del governo che il popolo non assecondo' il movimento. mai avevo udito una affermazione tanto ingenua e, al tempo stesso, tanto piena di malafede. Pretendono evidenziare con cio' la sottomissione e codardia del popolo  [...] Se il Moncada fosse caduto in mano nostra persino le donne di Santiago di Cuba avrebbero impugnato le armi!
Molti fucili furono caricati ai combattenti dalle infermiere dell'Ospedale Civile! Anch'esse combatterono. Questo non lo dimenticheremo mai. [...]
Il Pubblico Ministero era molto interessato a conoscere le nostre possibilita' di successo. Queste possibilita' si basano su ragioni di ordine tecnico-militare e di ordine sociale. 
Si e' desiderato instaurare il mito delle armi moderne come certezza della totale impossibilita' della lotta aperta e frontale del popolo contro la tirannia. Le sfilate militari, le grandi parate di materiale bellico, hanno per obiettivo il fomentare questo mito e creare nella cittadinanza un complesso di assoluta impotenza. Nessun arma, nessuna forza e' capace di vincere a un popolo che si decide a lottare per i propri diritti. Gli esempi storici passati e presenti sono incontestabili. E' ben recente il caso della Bolivia, dove i minatori, con cartucce di dinamite, sconfissero e distrussero a reggimenti dell'esercito regolare. 

 

Pero noi cubani non dobbiamo cercare esempi in altri paesi, perche' nessuno e' tanto eloquente come quello della nostra patria. Durante la guerra del 1895 c'erano a Cuba circa mezzo milione di soldati spagnoli in armi [...] I cubani non disponevano in generale di altra arma che il machete, perche' le sue cartucciere erano quasi sempre vuote. C'e' un passaggio indimenticabile della nostra guerra di indipendenza narrato dal generale Miro' Argenter [...] " la gente  [...] in maggior parte provvista di solo machete, fu decimata [...] Attaccarono agli spagnoli con i pugni, senza pistola [...]"
Cosi' lottano i popoli quando desiderano conquistare la propria liberta': tirano pietre agli aerei e deviano i carri armati a morsi! [...]
Dissi che la seconda ragione sulla quale si basava la nostra possibilita' di riuscita era di ordine sociale. Perche' avevamo la sicurezza di contare sul popolo? Quando parliamo di popolo non intendiamo i settori concilianti e conservatori della nazione, a quelli per cui va bene qualsiasi regime di oppressione, qualsiasi dittatura, qualsiasi dispotismo, prostrandosi dinanzi al reggente di turno sino a rompersi la fronte contro il pavimento.
Intendiamo per popolo, quando parliamo di lotta, la grande massa irredenta, quella a cui tutti offrono e quella che tutti ingannano e tradiscono, quella che anela una patria migliore, piu' degna, piu' giusta [...]

 

Noi chiamiamo popolo se di lotta si tratta, ai seicentomila cubani che stanno senza lavoro desiderosi di guadagnarsi il pane con onore senza dover emigrare dalla propria patria in cerca di sostentamento; ai cinquecentomila operai stagionali della campagna che abitano in baracche miserabili, che lavorano quattro mesi e soffrono la fame per il resto dell'anno dividendo con i propri figli la miseria, che non hanno un fazzoletto di terra per seminare e la cui esistenza dovrebbe muovere a piu' compassione se non ci fossero tanti cuori di pietra; ai quattrocentomila operai industriali e braccianti le cui pensioni, tutte, sono rapinate, [...] la cui vita e' il lavoro perenne e il cui riposo e' la tomba; ai centomila piccoli agricoltori che vivono e muoiono lavorando una terra che non e' loro, contemplandola sempre tristemente come Mose' alla terra promessa, per poi morire senza mai giungere a possederla, che devono pagare per i fazzoletti di terra come servi feudali una parte dei propri prodotti, che non possono amarla, ne' migliorarla, ne' abbellirla, o piantare un cedro o un arancio perche' non sanno se un giorno verra' un funzionario a dirgli che deve andarsene; ai trentamila maestri e professori tanto pieni di abnegazione, di sacrifici e necessari al destino migliore delle future generazioni e che tanto male li si tratta e paga; ai ventimila piccoli commercianti appesantiti dai debiti, rovinati dalle crisi e ammazzati dalla piaga di funzionari filibustieri e venali; ai diecimila giovani professionisti: medici, ingegneri, avvocati, veterinari, pedagoghi, dentisti, farmaceutici, giornalisti, pittori, scultori, ecc., che escono dalle aule con i propri titoli desiderosi di lotta e pieni di speranza per trovarsi poi in un vicolo senza uscita, tutte le porte chiuse, sorde alle suppliche e al clamore. Questo e' il popolo! Quello che soffre tutte le sue disgrazie ed e' pertanto capace di combattere con tutto il coraggio! A questo popolo il cui cammino di angustia e' lastricato di inganni e false promesse, non andavamo a dire: "Ti daremo" ma semmai: "Ecco prendi, lotta ora con tutte le tue forze perche' siano tue la liberta' e la felicita'!". [...]

 

Cuba potrebbe albergare splendidamente una popolazione tre volte maggiore; non ci sono dunque ragioni perche' esista la miseria  fra i suoi attuali abitanti. [...]
A quelli che mi chiamano per questa convinzione sognatore, io rispondo con le parole di Marti': "Il vero uomo non guarda da che lato si vive meglio, ma da che lato sta il dovere; e questo e' l'unico uomo pratico il cui sogno di oggi sara' la legge del domani, perche' colui che ha posto gli occhi agli organi vitali universali e visto ribollire i popoli, tra lamenti e sangue, nella conca dei secoli, egli sa che il divenire, senza nessuna eccezione, sta dal lato del dovere".
Unicamente inspirati a tali elevati propositi e' possibile concepire l'eroismo di quelli che caddero a Santiago di Cuba. Gli scarsi mezzi materiali, sui quali dovemmo contare, impedirono il sicuro successo. [...]

 

I politici spendono nelle loro campagne milioni comprando coscienze, e un pugno di cubani che desiderarono salvare l'onore della patria dovette affrontare la morte con le mani vuote per carenza di risorse. Cio' spiega da chi e' stato governato il paese sino ad ora, non da uomini generosi e fedeli, ma dal bassofondo della politicheria [...] Con maggior orgoglio che mai dico che conseguente ai nostri principi, nessun politico di ieri ci ha visti bussare alla sua porta chiedendo un centesimo, che i nostri mezzi furono messi insieme con esempio di sacrificio che non ha paragoni, come quello del giovane Elpidio Sosa che vendette la sua attrezzatura e si presento' da me un giorno con trecento pesos "per la causa; Fernando Chenard, che vendette la apparecchiatura del studio fotografico con il quale si guadagnava da vivere; Pedro Marrero che impegno' il suo stipendio di molti mesi e al quale fu necessario impedire che vendesse persino i mobili della sua casa; Oscar Alcalde, che vendette il suo laboratorio di prodotti farmaceutici; Jesus Montane', che consegno' il denaro che aveva risparmiato per piu' di cinque anni, e cosi' nello stesso stile molti altri, spogliandosi ognuno di quel poco che aveva. 

 

Bisogna avere una fede molto grande nella propria patria per agire cosi', e questi ricordi di idealismo mi portano direttamente al capitolo piu' amaro di questa difesa: il prezzo che fu fatto loro pagare dalla tirannia per il desiderio di liberare Cuba dalla oppressione e dalla ingiustizia. [...]
I fatti sono ancora recenti, pero' quando gli anni passeranno e il cielo della patria si schiarira', quando gli animi esaltati si quieteranno e la paura non turbera' piu' gli spiriti, si iniziera' allora a vedere in tutta la sua spaventosa realta' la magnitudine del massacro, e le generazioni future rivolgeranno terrorizzate gli occhi a questo atto di barbarie senza precedenti nella nostra storia. Pero' non desidero che l'ira mi accechi, perche' ho bisogno di tutta la chiarezza della mia mente e la serenita' del cuore distrutto per esporre i fatti cosi' come occorsero, con tutta semplicita', senza drammatismi, perche' sento vergogna come cubano, che alcuni uomini senza anima, con i suoi crimini inqualificabili, abbiano disonorato la nostra patria dinanzi al mondo.
Non fu mai il tiranno Batista un uomo di scrupoli che tentenna prima di dire al popolo la piu' fantastica menzogna. [...]

 

Le cose che affermo' il dittatore dal poligono dell'accampamento di Columbia, sarebbero degne di risa se non fossero cosi' impappate di sangue. Disse che gli attaccanti erano un gruppo di mercenari tra i quali c'erano molti stranieri; [...] disse che l'attacco era stato ideato dall'ex-presidente Prio e con suo denaro, e si e' provato sino alla sazieta' l'assenza assoluta di ogni relazione tra questo movimento e il regime passato; disse che eravamo armati di mitragliatrici e granate a mano, e qui i tecnici dell'Esercito hanno dichiarato che avevamo solo una mitragliatrice e nessuna granata a mano; disse che avevamo sgozzato la postazione di guardia, e qui sono apparsi a verbale i certificati di morte e i certificati medici corrispondenti a tutti i soldati morti o feriti, dai quali, risulta che nessuno presentava lesioni di arma bianca. [...]
Quando un capo di stato o chi pretende esserlo fa dichiarazioni al paese, non parla per parlare: alberga sempre qualche obiettivo, persegue sempre un effetto, lo anima sempre una intenzione. Se eravamo gia' stati militarmente vinti, se gia' non rappresentavamo piu' un pericolo per la dittatura, perche' ci si calunniava in questo modo? Se non e' chiaro che era un discorso sanguinario, se non e' evidente che si pretendeva giustificare i crimini che si stavano commettendo dalla notte prima e che si andavano a commettere dopo, che parlino per me i numeri: il 27 luglio, nel suo discorso dal poligono militare, Batista disse che gli attaccanti avevano avuto trentadue morti; alla fine della settimana i morti salivano a piu' di ottanta. In quale battaglia, in quali luoghi, in quali combattimenti morirono questi giovani? Prima che parlasse Batista si erano assassinati piu' di venticinque prigionieri; dopo che parlo' se ne assassinarono cinquanta.

 

Che grande senso dell'onore quello di quei militari modesti, tecnici e professionisti dell'Esercito, che al comparire dinanzi al tribunale non deformarono i fatti, e relazionarono attenendosi alla stretta verita'. Questi si che sono militari che onorano l'uniforme, questi si che sono uomini! Ne' il militare ne' l'uomo vero e' capace di macchiare la sua vita con la menzogna o il crimine. Io so che sono terribilmente indignati con i barbari omicidi che si commisero, io so che sentono con ripugnanza e vergogna l'odore di sangue omicida che impregna sino all'ultima pietra il Quartiere Moncada.
Esorto il dittatore a ripetere ora, se puo', le sue vili calunnie contro le testimonianze di questi onorevoli militari, lo esorto a che giustifichi davanti al popolo di Cuba il suo discorso del 27 luglio, che non taccia, che parli! Che dica se la Croce d'Onore che pose nel petto agli eroi del massacro era per premiare i crimini ripugnanti che si commisero; che assuma sin da ora la responsabilita' davanti alla storia e non pretenda di dire poi che furono i soldati senza suoi ordini, che spieghi alla nazione i settanta omicidi; fu molto il sangue! La nazione ha bisogno di una spiegazione, la nazione lo domanda, la nazione lo esige. [...]

 

Non si ammazzo' durante un minuto, un'ora o un giorno intero, ma una intera settimana, i colpi, le torture, [...] non cessarono un istante come strumento di sterminio maneggiato da perfetti artigiani del crimine. Il Quartiere Moncada si converti' in un laboratorio di tortura e morte, e alcuni uomini indegni convertirono l'uniforme militare in pannelle da macellai. I muri si incrostarono di sangue; nella parete le pallottole restarono incrostate con frammenti di pelle e capelli umani [...]
Le mani criminali che reggono il destino di Cuba avevano scritto per i prigionieri all'entrata di quell'antro di morte, la scritta dell'inferno: "LASCIATE OGNI SPERANZA". [...]
Conosco molti dettagli di come si realizzarono questi crimini, per bocca di alcuni militari che pieni di vergogna, mi riferirono le scene di cui erano stati testimoni. [...]
Il primo prigioniero assassinato fu il nostro medico Mario Muñoz, che non portava armi ne' uniforme e vestiva il suo camice di medico, un uomo generoso e competente che aveva prestato cura con la stessa devozione tanto all'avversario quanto all'amico ferito. Nel cammino dall'Ospedale Civile al Quartiere gli spararono un colpo alla schiena e lo lasciarono li' con la bocca rivolta in basso in una pozza di sangue. Pero' la mattanza di prigionieri non comincio' sino alle tre del pomeriggio. Fino a questa ora si aspettarono ordini. Arrivo' dunque dall'Avana il generale Martin Diaz Tamayo, il quale porto' istruzioni concrete uscite da una riunione dove si trovavano Batista, il capo dell'Esercito, il capo del SIM (Servizio di Intelligence Militare, N.d.T) e altri. Disse che "era stata una vergogna e un disonore per l'Esercito aver avuto nel combattimento tre volte piu' vittime degli attaccanti e che si dovevano uccidere dieci prigionieri per ogni soldato morto" Questo fu l'ordine! [...]

 

Quello di cui questi uomini avevano bisogno era precisamente questo ordine. Nelle loro mani peri' il meglio di Cuba: i piu' valorosi, i piu' onorati, i piu' idealisti. Il tiranno li chiamo' mercenari, e li' essi stavano morendo come eroi in mano di uomini che ricevono uno stipendio dalla Repubblica e i quali con le armi che essa ha dato loro perche' la difendano, servono piuttosto gli interessi di un manipolo e assassinano i migliori cittadini. 
Per mezzo della tortura offrivano loro la vita se tradendo la propria posizione ideologica si prestavano a dichiarare falsamente che Prio [6] aveva dato loro il denaro, e come essi rifiutavano indignati la proposta, continuavano torturandoli orribilmente. [...]
Le fotografie non mentono e quei cadaveri appaiono distrutti. [...]
Questo lo fecero per molti giorni e assai pochi prigionieri di quelli che erano detenuti sopravvissero. [...]

 

Signori Giudici, dove stanno i nostri compagni detenuti nei giorni 26, 27, 28 e 29 luglio che si sa erano settanta nella zona di Santiago di Cuba? Solamente tre e le due ragazze sono ricomparsi; [...]
Dove stanno i nostri compagni feriti? Solo cinque sono comparsi; i restanti furono ugualmente assassinati. Qui, al contrario, hanno sfilato venti militari che furono nostri prigionieri e che secondo le loro stesse parole non ricevettero neanche una offesa. Qui hanno sfilato trenta feriti dell'Esercito, molti di loro in combattimenti sulla strada, e nessuno di essi fu giustiziato. Se l'Esercito ebbe diciannove morti e trenta feriti, com'e' possibile che noi abbiamo avuto ottanta morti e cinque feriti? [...]

 

Come puo' spiegarsi la favolosa proporzione di sedici morti per un ferito, se non giustiziando i feriti nell'ospedale stesso e assassinando poi gli indifesi prigionieri? Questi numeri parlano senza possibile replica. "E' una vergogna e un disonore per l'Esercito aver avuto nel combattimento un numero di vittime tre volte superiore agli attaccanti; bisogna ammazzare dieci prigionieri per ogni soldato morto ..." Questo e' il concetto che hanno dell'onore i caporali divenuti generali il 10 di marzo [7], e questo e' l'onore che desiderano imporre all'Esercito nazionale. Onore falso, onore di apparenza che si basa sulla menzogna, la ipocrisia e il crimine; assassini che plasmano con il sangue una maschera di onore. Chi disse loro che morire combattendo e' un disonore? Chi disse loro che l'onore di un Esercito consiste nell'assassinare feriti e prigionieri di guerra? In guerra gli eserciti che assassinano i prigionieri si sono sempre guadagnati il disprezzo e l'esecrazione del mondo. [...]
Il militare di onore non assassina il prigioniero indifeso dopo il combattimento, ma lo rispetta; non giustizia il ferito, ma lo aiuta; impedisce il crimine e se non puo' impedirlo fa come quel capitano spagnolo che sentendo gli spari con cui si fucilavano gli studenti ruppe indignato la sua spada e rinuncio' di continuare a servire quell'esercito. [...]

 

Per i miei compagni morti non chiedo vendetta. Dato che le loro vite non avevano prezzo, non potrebbero pagarla con la loro tutti i criminali messi insieme. Non e' con il sangue che si puo' pagare la vita dei giovani che morirono per il bene di un popolo; la felicita' di questo popolo e' l'unico prezzo degno che si puo' pagare per quelle vite.
In piu' i miei compagni non sono dimenticati, ne' morti; vivono oggi piu' che mai e i suoi assassini devono vedere terrorizzati come sorge dai loro cadaveri eroici lo spettro vittorioso delle loro idee. Che parli per me l'Apostolo: "C'e' un limite al pianto durante la sepoltura dei morti, ed e' l'amore infinito per la patria e la gloria che si vede sopra i loro corpi, che non teme, non si abbatte ne' mai si indebolisce; perche' i corpi dei martiri sono l'altare piu' bello della dignita' ".
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