Jugoinfo

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Sulla sentenza Mladić

1) Intervista a Cristopher Black, ex legale canadese di Milosevic (A. Bianchi, 23.11.2017)

2) Klaus Hartmann und Hannes Hofbauer sprechen an Sputnik (22.11.2017)


Vedi anche / pročitaj još:

Ratko Mladic, Abdelfatah al Sisi e i Fratelli Musulmani di casa nostra (di Fulvio Grimaldi, 27.11.2017)

Пресуда Новог свјетског непоретка (др Дарио Видојковић, историчар, 23 новембар 2017)
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/881-presuda-novog-svetskog-neporetka.html


Flashbacks:
Srebrenica Flashback: Mladic Speaks (2015)
The untold truth about Ratko Mladic (2011)
R. Dolecek: Talks with General Mladic (2009)
Ratko Mladic, Tragic Hero (2006)
Intervju / Interview with Ratko Mladić (13.8.1995)

La disinformazione strategica su Srebrenica (dossier sul sito Jugocoord)


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L\'ex legale canadese di Milosevic: \"Mladic è un capro espiatorio per coprire i crimini della NATO\"

All\'AntiDiplomatico Cristopher Black rivela: \"L’ICTY è un tribunale fantoccio che ha utilizzato metodi fascisti di giustizia per attuare l\'agenda Nato di conquista dei Balcani\"


Tutti i mezzi di informazione di massa hanno dato ieri e per l’intera giornata la notizia della condanna da parte del tribunale delle Nazioni Unite del generale Ratko Mladic. I giudici del Tribunale Onu hanno ritenuto colpevole il generale serbo della maggior parte delle accuse risalenti alla guerra del 1992-1995, in particolare il famigerato massacro di Srebrenica. Mladic si era sempre dichiarato non colpevole di tutte le accuse.

Il giudice presidente Alphons Orie ha dichiarato alla lettura della sentenza che il Tribunale ha scoperto che le azioni di Mladic durante la guerra erano \"tra le più atroci conosciute dal genere umano\" e costituivano un “genocidio”. Mladic, che ha ascoltato il verdetto da una stanza limitrofa dopo che ha tentato varie volte di disturbare la lettura, è stato condannato all’ergastolo. Secondo quello che riporta il figlio del generale, Darko, in un’intervista a TASS,  suo padre in aula ha detto: \"Sono tutto bugie, questo è un tribunale della NATO!\"

Come AntiDiplomatico abbiamo ascoltato per un commento Cristopher Black, canadese, uno dei giuristi penali internazionali più importanti al mondo e colui che per anni è stato il legale che ha difeso l’ex presidente serbo Slobodan Milosevic dalle accuse mossegli dallo stesso Tribunale ONU. In pochi conoscono la storia del Tribunale per l\'ex Jugoslavia come lui.

L\'intervista

Signor Black, il Tribunale criminale internazionale per le Nazioni Uniti ha condannato all’ergastolo per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra il generale Ratko Mladic. Quali sono i suoi primi commenti?

C.B. Si tratta di un’altra umiliazione per la Jugoslavia e la Serbia da parte della Nato. E’ chiaro a tutti che dalla sua creazione, dal finanziamento, dai metodi e dall’arruolamento del personale che questo è stato un Tribunale della Nato. Quello che dico è confermato da quanto dichiarava ieri poco dopo la lettura del verdetto proprio il Segretario Generale delle Nazioni Unite che ha detto di ‘accogliere positivamente la decisione… i Balcani occidentali sono di importanza strategica per la nostra Alleanza’. 
In altre parole, questa condanna aiuta la Nato a consolidare la sua presa sui Balcani, tenendo i serbi e i socialisti intimiditi e sottomessi. Il Generale Mladic è un capro espiatorio per i crimini di guerra dell’Alleanza Atlantica. Crimini commessi in tutta la Jugoslavia che il Tribunale ONU ha coperto. L’ICTY ha in questo modo agevolato la Nato a commettere ulteriori crimini di guerra da allora. 



Secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, il giordano Zeid Raad al-Hussein, \"Mladic è l’incarnazione del Male, ma non è scappato alla giustizia”. Quale è la sua opinione di Mladic nel lungo studio che ha compiuto sui fatti tragici accorsi in Ex Jugoslavia?  


C.B.: Il Generale Mladic è un soldato falsamente accusato dal Tribunale della Nato. E questo perché ha cercato di difendere il suo popolo da un’aggressione. Lui è, come ho detto in precedenza, il capro espiatorio per coprire i crimini della NATO. E’ un uomo che ha  avuto il coraggio di combattere il male, vale a dire l’impero della Nato e i suoi alleati locali. E’ una vittima.


Come ex legale di Milosevic, come giudica il lavoro del Tribunale ad hoc per i crimini commessi in ex Jugoslavia che, dopo la sentenza Mladic, si scioglierà tra pochi giorni?

C.B.: L’ICTY si è dimostrato essere esattamente quello che doveva essere, un tribunale fantoccio che ha utilizzato metodi fascisti di giustizia e che si è impegnato nel portare avanti un processo selettivo per attuare l\'agenda della NATO di conquista dei Balcani. E questo come preludio all\'aggressione contro la Russia che stiamo osservando in questi giorni. Quello che i media non scrivevano ieri nel racconto che hanno dato del verdetto Mladic è che la Nato ha utilizzato il tribunale come un mezzo di propaganda per fabbricare una storia assolutamente falsa sugli eventi, al fine di coprire i suoi crimini, per mantenere le ex repubbliche di Jugoslavia sotto il suo dominio e per giustificare quell\'aggressione e l\'occupazione. E’ un’onta per tutta la civiltà.


Alessandro Bianchi


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Kritik an „Skandalurteil“ gegen Mladic: „Illegales Tribunal im Auftrag der Nato“

Sputnik, 22.11.2017

Von einem \"Skandalurteil auf Basis vorgefasster Meinungen\" gegen den bosnisch-serbischen Ex-General Ratko Mladic am Mittwoch spricht Klaus Hartmann, Vorsitzender des Freidenker-Verbandes und Beobachter der Ereignisse. Der Journalist Hannes Hofbauer sieht im Urteil eine juristische Fortsetzung des Nato-Vorgehens gegen Jugoslawien.

Mit deutlicher Kritik haben langjährige Beobachter der Ereignisse, Prozesse und Hintergründe beim Zerfall Jugoslawiens auf das Urteil des UN-Sondertribunals in Den Haag vom Mittwoch gegen den ehemaligen bosnisch-serbischen Militärchef Ratko Mladic reagiert. Dieser wurde zu lebenslanger Haft verurteilt, weil der heute 75-Jährige des Völkermordes, Kriegsverbrechen und Verbrechen gegen die Menschlichkeit während des Bosnien-Krieges (1992 bis 1995) schuldig sei. Der Ex-General war in elf Fällen angeklagt worden. Dazu zählte laut den Berichten die Ermordung von 8000 muslimischen Jungen und Männern in Srebrenica, die vom UN-Tribunal als Völkermord eingestuft wurde.

Es war der letzte Völkermord-Prozess des Tribunals. Ende des Jahres wird das Gericht laut der Nachrichtenagentur dpa nach 24 Jahren seine Arbeit abschließen. Wegen des angeblichen Völkermordes in Srebrenica waren mit Mladic 16 Personen schuldig gesprochen worden.

„Kriegsbefürworter und Kriegstreiber zufriedengestellt“

Für unbedarfte Zuschauer klinge das Urteil „eigentlich gerecht“, schätzte der österreichische Journalist und Verleger Hannes Hofbauer gegenüber Sputnik ein.

„Es ist aber nicht gerecht“, fügte der langjährige Beobachter der Entwicklung auf dem Balkan hinzu. Das UN-Tribunal sehe nur „auf einem Auge scharf, nämlich auf dem serbischen Auge, und ist auf allen anderen Augen blind“.

Für Klaus Hartmann handelt es sich um ein „Skandalurteil auf Basis vorgefasster Meinungen“. Der Bundesvorsitzende des Deutschen Freidenker-Verbandes hat die Vorgänge seit Jahren verfolgt und die Verfahren in Den Haag wie das gegen den ehemaligen jugoslawischen Präsidenten Slobodan Milosevic deutlich kritisiert. Das Tribunal sei auch gegen Mladic einseitig der Nato-Auffassung gefolgt und habe in allen Verfahren einseitig antiserbisch entschieden, erklärte er gegenüber Sputnik. Dazu gehöre, dass die Rolle der Nato in den jugoslawischen Teilungs-Kriegen in den 1990er Jahren nicht hinterfragt worden sei.

Die Kriegsbefürworter und —treiber seien mit dem Urteil gegen Mladic „nun zufriedengestellt“. Es werde nicht mehr nach den Ursachen und Tatsachen gefragt, so Hartmann. Das hätte mit Blick auf die inneren und äußeren Zusammenhänge, die zum jugoslawischen Zerfallsprozess führten, erfolgen müssen, bestätigte Verleger Hofbauer. Er schloss dabei auch die externen Faktoren wie die Rolle Deutschlands und Österreichs mit ein – „die ja eigentlich seit 1991 zu dieser Sezession Bosniens getrieben haben und immer wieder von serbischer Seite gewarnt worden sind, dass das nicht ohne Krieg funktionieren wird.“

Unterlassene Fragen nach Rolle der Nato

Hofbauer verwies darauf, dass in dem Krieg Morde und Überfälle nicht nur von einer Seite erfolgten. So hätten kroatische Einheiten 1995 die UN-Schutzzone „Sektor West“ in Slawonien überfallen, was nie thematisiert worden sei. Das zeige, dass es sich um „ein ungleichgewichtiges Tribunal“ handele. Freidenker Hartmann widersprach unter anderem der vom Gericht behaupteten Belagerung Sarajevos durch die bosnischen Serben:

„Es wird negiert, dass Sarajevo in diesen Jahren immer eine geteilte Stadt war, in der Serben und Kroaten und bosnische Muslime in unterschiedlichen Stadtteilen wohnten und, aufeinander gehetzt, sich gegenseitig beschossen haben. Eine Belagerung fand in dieser Hinsicht nie statt.“

Der Freidenker-Vorsitzende betonte, der Vorwurf, Mladic habe befohlen, UN-Blauhelme als menschliche Schutzschilde gegen Nato-Bomben zu missbrauchen, sei konstruiert. Das unterlasse die Frage, ob die Nato-Bombenangriffe 1994 völkerrechtlich legitimiert waren. „Es gab für nichts dergleichen einen UN-Sicherheitsratsbeschluss.“

Merkwürdiger „Kronzeuge“ für Srebrenica

Hartmann ging ebenso darauf ein, dass Mladic die mutmaßlichen Massaker von Srebrenica 1995 mit angeblich etwa 8000 Toten und „Völkermord“ vorgeworfen wurden. Letzteres sei 2010 nach einer Klage Bosnien-Herzegowinas vom Internationalen Gerichtshof (IGH) in Den Haag nur für diesen einen Fall bestätigt worden, allerdings ohne jegliche eigene Ermittlungen.

Das UN-Sondertribunal stütze sich bei den Vorwürfen zu Srebrenica auf allein ein Verfahren und die immer wieder voneinander abweichenden Aussagen eines einzigen „Kronzeugen“ namens Drazen Erdemovic, stellte Hartmann klar. Erdemovic habe als bosnischer Muslim auf Seiten der Serben gekämpft. Dabei gebe es die „verblüffende Situation“, dass kein einziger von ihm benannter angeblicher Mittäter verhaftet und befragt worden sei. Es handele sich um einen „merkwürdigen, gekauften Zeugen“. Als Slobodan Milosevic in seinem Verfahren 2003 Erdemovic befragen wollte, habe der vorsitzende Richter das untersagt.

Im Interview machte der Freidenker-Vorsitzende darauf aufmerksam, dass in die wiederholt genannte Gesamtzahl der Opfer anscheinend verschiedene Zahlen von Opfergruppen auf allen beteiligten Seiten von verschiedenen Kämpfen und Ereignissen zusammengerechnet wurden. Diesen Widersprüchen bei den Zahlen gehe bis heute niemand nach, beklagte Hartmann. Journalist Hofbauer findet die Frage wichtig, ob es sich wie behauptet um eine „willentliche Ausrottung“ gehandelt hat. Er machte dabei auf ein Problem aufmerksam: „Seit die Europäische Union mit einem Beschluss 2007 die Leugnung von Völkermord – und dabei war insbesondere Srebrenica gemeint – unter Strafe stellt, ist die offene Debatte darüber nicht möglich.“

Das sei für ihn kritikwürdig. Alle Beteiligten in dem bosnischen Bürgerkrieg von 1992 bis 1995 seien darauf aus gewesen, die jeweils andere Bevölkerung von ihren jeweiligen Gebieten zu vertreiben und auch zu vernichten. „Das ist kein Alleinstellungsmerkmal eines Bürgerkrieges.“ Für Hofbauer ist es „ungerecht, das nur einer Seite vorzuwerfen“. Niemand von der kroatischen, der bosnisch-muslimischen und auch der albanisch-kosovarischen Seite sei vor Gericht gestellt worden.

„Gericht im Auftrag der Nato und privater Finanziers“

Freidenker Hartmann bezeichnete das Tribunal in Den Haag als „voreingenommenes Gericht, das im Auftrag der Nato agiert“. Das bestätigte Hofbauer: „Das, was die Nato, Deutschland und die USA voran, in dem jugoslawischen Zerfallsprozess gemacht haben, nämlich sich auf eine Seite zu stellen, die immer antiserbisch war, das haben sie dann mit diesem Jugoslawien-Tribunal juristisch untermauert.“

Hartmann stellte fest: „Man kann einfach jedes Operettentribunal hier im Hinterzimmer einer Gaststätte gründen. Hauptsache ist, man platziert es in Den Haag und schon profitiert es vom Nimbus dieser Stadt, weil dort eine Reihe von internationalen legalen Gerichten tätig sind.“ Das Sondertribunal zu Jugoslawien sei ein „illegales Gericht“, weil es vom UN-Sicherheitsrat einberufen wurde. Das dürfe dieses Gremium laut UN-Charta aber überhaupt nicht, stellte Hartmann klar.

Nur die UN-Vollversammlung könne internationale Gerichte in Kraft setzen und begründen. Mit dem Sondertribunal seien rechtliche Grundsätze verletzt worden, auch durch sein einseitiges Vorgehen gegen die serbische Seite. Die Nato sei nicht nur Auftraggeber, sondern auch Nutznießer. Zudem dürften UN-Gremien nicht privat finanziert werden, was in diesem Fall aber geschehen sei. Auch die „Open Society Foundation“ von George Soros und die Rockefeller-Stiftung hätten dabei mitgemacht, erinnerte Hofbauer. Es sei die Frage, wie solche Quellen, die die Teilung Jugoslawiens unterstützten solch ein Tribunal mitfinanzieren können. Diese „Schieflage dokumentieren die Prozesse“, so der Journalist.

Für Hartman schreibt das Urteil gegen Mladic „Unrechts-Geschichte“, mit dem „die Kolonialgerichtsbarkeit der Nato über ungehorsame Staaten zum Vorbereiten ihrer Zerschlagung, Entmachtung und des Regime-Changes bekräftigt und beglaubigt“ werde. Der Freidenker-Vorsitzende hob hervor: „Es ist ein Bruch des Rechts und hat nichts zu tun mit den Nürnberger Kriegsverbrecherprozessen. Wer das in diese Reihe stellt, verharmlost den Faschismus in Deutschland.“

Tilo Gräser


Das Interview mit Klaus Hartmann, Freidenker-Verband, zum Nachhören: https://soundcloud.com/sna-radio/skandalurteil-gegen-mladic-illegales-tribunal-im-auftrag-der-nato






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L\'Italia sul risorgere del nazismo si astiene. Di nuovo.
 
1) Il ponziopilatismo UE e italiano sull’antinazismo (F. Poggi)
2) L’ONU adotta la risoluzione russa contro il nazismo, gli USA votano contro (TASS)
 
 
Sull\'episodio precedente di astensione dell\'Italia di fronte al neonazismo si vedano:
 
Quelli che non condannano il nazismo (di Giulietto Chiesa, 24 novembre 2014)
http://www.antimafiaduemila.com/rubriche/giulietto-chiesa/52584-quelli-che-non-condannano-il-nazismo.html
 
Sulla neutralità (sic) dello Stato italiano in tema di nazismo (dic 2014)
 
Verso la Giornata della Memoria: la UE dalla parte dei nazisti (gen 2015)
 
 
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Il ponziopilatismo UE e italiano sull’antinazismo

 
di Fabrizio Poggi, 18 novembre 2017
 

Con il voto contrario di USA e Ucraina, il Terzo comitato dell’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la risoluzione proposta da Russia e altri 49 Paesi, tra cui Bielorussia, Venezuela, Egitto, India, Kazakhstan, RPDC, Cuba, Serbia, Siria e Sud Africa, contro la eroicizzazione di nazismo, neonazismo e altre pratiche di discriminazione. 

La risoluzione esprime profonda preoccupazione per la celebrazione degli ex membri delle Waffen SS e “i continui tentativi di deturpare o distruggere i monumenti dedicati a quanti lottarono contro il nazismo durante la Seconda guerra mondiale”. Si lancia anche l’allarme sulla progressiva attività di raggrumanti neonazisti e “sul numero crescente di posizioni di rilievo occupate da rappresentanti di partiti razzisti o xenofobi in tutta una serie di assemblee legislative nazionali e locali”. 

A favore della risoluzione hanno votato 125 Paesi; tra i 51 astenuti: gli immancabili Paesi della UE, insieme a Turchia, Georgia, Australia e altri. La risoluzione verrà esaminata dall’Assemblea generale ONU il prossimo dicembre.

Chiarissimo il riferimento alla situazione dell’Ucraina golpista e non manca nemmeno quello, evidentemente, alla Polonia nazionalista, in cui da tempo si stanno distruggendo uno a uno i monumenti eretti ai caduti dell’Armata Rossa per la liberazione dal nazismo.

Intanto, Der Spiegel pubblica l’ennesimo allarme a proposito del battaglione neonazista ucraino “Azov”, lanciato alla “salvezza dell’Europa” e alla “sua nuova conquista”, con i propri ranghi rafforzati da neonazisti tedeschi e di altri Paesi europei. Secondo la rivista tedesca, il lavorio propagandistico svolto negli ultimi tre anni da “Azov” gli avrebbe assicurato la crescita da circa 850 agli attuali 2.500 membri. 

Discreto successo sembra aver avuto la campagna di reclutamento condotta lo scorso luglio in Germania: durante il festival Rechtsrock dell’estrema destra a Themar, in Turingia, cui hanno partecipato oltre seimila persone, “Azov” ha distribuito volantini con il richiamo a “entrare nelle file dei migliori” .

In aggiunta al servizio di Der Spiegel, Dmitrij Rodionov ricorda su Svobodnaja Pressa come lo scorso anno la polizia brasiliana avesse condotto un’operazione nello stato di Rio Grande do Sul contro reclutatori di “Azov” e neonazisti locali che si apprestavano a partire per il Donbass. Nel maggio scorso, addirittura la Camera dei rappresentanti del Congresso USA aveva proposto di vietare all’Ucraina di devolvere i fondi occidentali al battaglione neonazista e di proibire agli istruttori militari di addestrarne gli affiliati. Cosa, evidentemente, difficile da prendere sul serio, dato che da anni, molto prima ancora del golpe del febbraio 2014 – anzi: proprio in vista di tale svolta – istruttori non solo USA, ma anche di altri Paesi occidentali, stanno addestrando le forze dell’Ucraina golpista, compresi reparti di diversi battaglioni neonazisti, accusati di crimini di guerra anche da organizzazioni non certo “comuniste”, quali Human Rights Watch и Amnesty International.

E la “conquista dell’Europa” non è solo un’espressione figurata. Secondo il politologo Igor Šatrov, da quando “le operazioni nel Donbass si sono convertite per lo più in un conflitto di posizione, diversi elementi dei battaglioni, tra cui “Azov” si sono portati in Europa in cerca di nuove occasioni per mostrare il proprio “talento”, tanto che anche Der Spiegel è stata costretta a notarlo”. Purtroppo, continua Šatrov, in molti paesi europei “la retorica ufficiale incoraggia la diffusione dell’ideologia neofascista, con il ripetersi dell’idea di nazioni superiori ad altre, di sistemi sociali, economici e politici superiori ad altri ecc.”.

Per quanto riguarda specificamente il battaglione (ora reggimento) “Azov”, sorto dal programma “Patriota ucraino”, il politologo Eduard Popov ricorda come, già nel 2009, si diffondesse “la strategia di una confederazione di popoli centro-europei, formata da Ucraina, Bielorussia, stati baltici e balcanici e la successiva unione con i radicali dell’Europa occidentale, che a loro volta avrebbero preso il potere con “rivoluzioni nazionali”. Quando “Azov” guerreggiava nel Donbass” continua Popov, “lo si ignorava. Ora che gli adepti del “führer” Andrej Biletskij dilagano anche in Germania, i media tedeschi cominciano a preoccuparsi. E bisogna sottolineare che non si tratta di nazionalisti, bensì di aperti nazisti”.

Secondo Popov, gran parte dei reclutati da “Azov”, oltre che dalla Germania, proviene dai paesi scandinavi. Per quanto riguarda altri paesi europei, raggruppamenti di destra, ad esempio greci o cechi: è noto che si sono sempre espressi contro majdan. Sembra invece che un certo sostegno ad “Azov” venga dall’Italia. Nessuna meraviglia, in un paese in cui si inaugurano mausolei ai più feroci “eroi” del ventennio fascista, in cui amministrazioni socialfasciste intitolano strade e piazze agli esponenti moderni del neofascismo e neonazismo italico; in cui le massime autorità repubblicane firmano protocolli d’intesa con rappresentanti, come scritto ora nella risoluzione ONU, “di partiti razzisti o xenofobi” che occupano “posizioni di rilievo” in “assemblee legislative nazionali e locali”; un paese in cui partiti che legiferano e attuano oltreconfine pratiche da lager, hanno eliminato dalle proprie piattaforme – in modo conseguente, verrebbe da dire – ogni riferimento all’antifascismo.

Nessuna meraviglia nemmeno per un paese, l’Ucraina appunto, in cui la pratica neonazista è attuata contro la propria stessa popolazione e in cui, come riporta la rivista Luxembourg Herald, Marina Porošenko, consorte del golpista N° 1, riesce, tramite l’apparato presidenziale e la società “Ucraina forte”, a dirottare sui conti di compagnie offshore e imprese private la cosiddetta beneficienza internazionale per i bimbi ucraini orfani o invalidi.

Nel giro di pochissimi giorni, l’Italia è così riuscita a incamerare da parte dell’ONU una bacchettata diretta, per una politica che, nei deserti nordafricani, riecheggia in stile moderno strategie imperiali di funesta memoria e un’altra indiretta, per strette di mano e accordi ufficiali con gli eredi moderni degli scagnozzi del Drittes Reich. Avanti così…

 
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L\'ITALIA NUOVAMENTE ASTENUTA SUL DOCUMENTO ONU CONTRO IL NAZISMO
 
19 NOVEMBRE 2017
 
L’ONU adotta la risoluzione russa contro il nazismo, gli USA votano contro
 
 
 
Come l\'anno scorso, contro l\'adozione della risoluzione, hanno votato gli Stati Uniti e l\'Ucraina

ONU, 16 novembre/TASS/. Il terzo comitato dell\'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, giovedì ha maggioranza ha approvato la risoluzione presentata dalla Russia sulla lotta alla glorificazione del neonazismo e altri tipi di discriminazioni, respingendo l\'appello degli Stati Uniti di modificare sostanzialmente il testo del documento. Come l\'anno scorso, contro la risoluzione si sono espressi solamente due paesi: Stati Uniti ed Ucraina.
 
A sostegno del documento ricevuto, si sono espressi 125 paesi, fra cui Bielorussia, Venezuela, Egitto, India, Kazakistan, Corea del Nord, Cuba, Serbia, Siria e Sud africa. 51 i paesi astenuti, tra cui i membri dell\'Unione Europea (anche l’Italia ndt), Australia, Georgia e Turchia. I co-autori della risoluzione sono stati oltre 50 paesi.
 
Nella risoluzione dell’Assemblea generale ONU viene espressa la sua profonda preoccupazione \"in merito alla glorificazione in qualsiasi forma\" del movimento nazista e degli ex membri dell\'organizzazione \"Waffen SS\", anche attraverso la costruzione di loro memoriali ed anche attraverso \"incessanti tentativi di profanazione e distruzione di monumenti in memoria di chi ha lottato contro il nazismo nella Seconda guerra mondiale\". Inoltre, il documento richiama l\'attenzione sull\'attivazione di gruppi nazisti e \"l\'aumento del numero di seggi occupati da rappresentanti di partiti estremisti razzisti o xenofobi e della loro metamorfosi di un certo numero di parlamenti nazionali e locali\". In questa situazione l’Assemblea generale ha invitato i paesi \"a prendere misure concrete, tra cui leggi specifiche in materia di istruzione, al fine di evitare la revisione dei risultati della Seconda guerra mondiale e la negazione dei crimini contro l\'umanità e dei crimini di guerra commessi durante la Seconda guerra mondiale\".
 
Prima del voto la delegazione degli Stati Uniti aveva proposto di modificare il documento, rimuovendo una serie di disposizioni, tra cui il punto in cui si esprime preoccupazione per la sempre più frequente profanazione e distruzione di monumenti ai combattenti contro il nazismo. La proposta americana è stata respinta con una maggioranza schiacciante: a suo sostegno si sono espressi solamente Israele, Stati Uniti e Ucraina, mentre 81 Stati, tra cui i paesi dell\'Africa e dell\'America Latina, si sono espressi contro. Gli stati dell’Unione Europea (fra cui l’Italia ndt) al momento del voto si sono astenuti.
 
Come previsto nel prossimo dicembre la risoluzione sarà presa in esame nella sessione plenaria dell\'Assemblea Generale. L\'anno scorso un uguale documento era stato sostenuto da 136 paesi e contro si espressero solo gli Stati Uniti e l\'Ucraina. 48 paesi, tra cui Germania, Italia, Polonia, Francia e gli altri membri dell\'unione Europea al momento del voto si erano astenuti
 
Подробнее на ТАСС: http://tass.ru/mezhdunarodnaya-panorama/4736393
 
 
 

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Ucraina/Crimea/Donbass: Strategia della tensione e terrorismo di Stato


1) EURO-MAJDAN: Parlano i cecchini assoldati per sparare sulla folla
– Il reportage di G. Micalessin (Matrix, 15.11.2017)
– Chaos säen (I – GFP 24.11.2017)
– Une étude universitaire montre que le massacre de Maidan était planifié par les putschistes (RV 2016)
– The “Snipers’ Massacre” on the Maidan in Ukraine, by Ivan Katchanovski (2016)
– and more...

2) CRIMEA: Infiltrazioni dall\'Ucraina per sabotare e spargere il terrore
– Ancora provocazioni in Crimea (PTV News 02.11.17)
– Terrorismo ucraino in Crimea e nel Donbass  (Contropiano, 10.11.2016)
– Sabotatore ucraino catturato in Crimea: \"Preparavamo atti di sabotaggio contro la Russia\" (ago 2016)
– Incursione ucraina in Crimea. Per Putin è “stupida e criminale” (F. Poggi, 11.8.2016)
– and more...

3) DONBASS: Chi sono i responsabili delle \"esecuzioni mirate\"? 
– I mandanti e le ragioni degli attentati terroristici contro i dirigenti della Repubblica Popolare di Donetsk
– Sabotatori ucraini confessano attentati terroristici nel Donbass (marzo 2017)
– Donbass. Chi piazza le bombe contro i comandanti di LNR e DNR? (F. Poggi, 9.2.2017)
– Ucciso il comandante Givi (febbraio 2017)
– Una squadra di sabotatori Ukrop intercettata e neutralizzata mentre tentava di infiltrarsi a Jalaboch
– Donetsk: ucciso in un attentato il comandante ‘Motorola’ (ottobre 2016)
– Terrorismo contro i civili a Donetsk e Lugansk, estate 2016
– Attentato al presidente della LNR Plotnitskij  (7.8.2016)
– Assassinio di Pavel Dremov, comandante dei cosacchi di Stachanov (12.12.2015)


=== 1: EURO-MAJDAN ===

Il massacro di Kiev [Majdan] guidato da agenti USA per fomentare il golpe antirusso (Fort Rus, 16 nov 2017)
Le confessioni di Revazishvilli e di altri due georgiani - raccolte da chi scrive nel documentario «Ucraina, le verità nascoste» andato in onda il 15 Novembre 2017 sul programma italiano Matrix, svelano ancora una volta quella verità che i mass media occidentali hanno per anni colpevolmente taciuto e nascosto. La verità di una strage ordita e attuata dalla stessa opposizione che accusò Yanukovich e i suoi alleati russi, una opposizione farlocca legata mani e piedi ai servizi di intelligence USA. Revazishvilli e i suoi due compagni - incontrati e intervistati nel documentario - sono un ex membro dei servizi di sicurezza dell\'ex presidente georgiano Mikhail Saakashvili e due ex militanti del suo stesso partito. Ingaggiati a Tbilisi da Mamuka Mamulashvili consigliere militare di Saakashvili vengono incaricati di appoggiare - assieme ad altri “volontari” georgiani e lituani - le dimostrazioni in corso a Kiev in cambio di un compenso finale di 5mila dollari a testa...

La versione dei cecchini sulla strage di Kiev: «Ordini dall\'opposizione» (Gian Micalessin - Mer, 15/11/2017)
Nel 2014 in Ucraina morirono 80 persone. Le accuse contro il fronte anti Yanukovich
http://www.ilgiornale.it/news/politica/versione-dei-cecchini-sulla-strage-kiev-ordini-1463409.html

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Chaos säen (I)

24.11.2017

KIEW/BERLIN(Eigener Bericht) - Vier Jahre nach dem Beginn der Maidan-Proteste werden schwere Vorwürfe gegen führende Aktivisten der damaligen prowestlichen Regierungsgegner laut. Demnach sind die Scharfschützen-Morde, die am 20. Februar ein Massaker auf dem Maidan auslösten, von der damaligen Opposition in Auftrag gegeben und mit praktischer Hilfe vorbereitet worden. Dies berichten drei Georgier, die sich selbst der Tatbeteiligung bezichtigen, gegenüber italienischen Medien. Ihre Aussagen bestätigen frühere, zum Teil öffentlich getätigte Geständnisse weiterer Scharfschützen. Während die ukrainischen Behörden untätig bleiben, ist in dieser Woche der vierte Jahrestag des Protestbeginns in Kiew begangen worden - in einem Land, dessen Bevölkerung sich einer Umfrage zufolge zu mehr als drei Vierteln in Zerfall und Chaos versinken sieht. Die Macht der ukrainischen Oligarchen ist ungebrochen; die Korruption nimmt überhand. Lediglich antirussische Maßnahmen werden mit Erfolg exekutiert, darunter auch solche, die massive Einschränkungen der Pressefreiheit mit sich bringen.

Die Macht der Oligarchen

Vier Jahre nach dem Beginn der Maidan-Proteste am 21. November 2013 dauern die Missstände, die damals zu den Auslösern der Demonstrationen zählten, in der prowestlich gewendeten Ukraine an. Dies gilt unter anderem für die ungebrochene Macht der ukrainischen Oligarchen. Bereits vor einem Jahr stellten Experten fest, dass sich zwar Verschiebungen zwischen den unterschiedlichen Oligarchenfraktionen vollzogen hatten (german-foreign-policy.com berichtete [1]). Das ändere jedoch, hieß es, nichts daran, dass sie weiterhin die Kiewer Politik in hohem Maß unter Kontrolle hätten. Aktuelle Untersuchungen bestätigen das. In den vergangenen zwei Jahrzehnten habe sich gezeigt, \"dass die periodischen politischen Regimewechsel in der Ukraine nur eine begrenzte Wirkung auf das oligarchische System gehabt\" hätten, urteilen etwa die Autoren einer Analyse der Swedish International Development Cooperation Agency (Sida). Auch nach dem Umsturz vom Februar 2014 beherrschten Oligarchen \"strategische Wirtschaftszweige\"; so kontrollierten sie - nur ein Beispiel - rund 80 Prozent des Fernsehmarkts.[2] Bei dem Brüsseler Think-Tank Bruegel heißt es ebenfalls, nach dem Umsturz habe sich \"nicht viel geändert\"; der Einfluss mancher Oligarchen habe sich sogar noch verstärkt.[3] In der Tat lenkt seit 2014 mit Petro Poroschenko ein Oligarch ganz offiziell die Geschicke des Landes - als Staatspräsident.

Korruption und Fake News

Entsprechend hält die Korruption auf hohem Niveau an. Erst kürzlich ist - beispielsweise - ein Fall bekannt geworden, bei dem der Sohn von Innenminister Arsen Awakow Rucksäcke an die Armee verkaufte - für das Sechsfache des üblichen Preises. Von einem Schaden in einer sechsstelligen Euro-Höhe war die Rede. Als das Nationale Antikorruptionsbüro die Wohnung des Mannes durchsuchte, schritt die dem Innenminister unterstehende Nationalgarde ein und stoppte die Maßnahme - unter dem Vorwand, eine Bombendrohung für das Haus erhalten zu haben und nun die Wohnung räumen zu müssen.[4] Der Fall war im Vergleich zu anderen geringfügig. Mit scharfer Kritik meldet sich immer wieder Sergej Leschtschenko zu Wort, ein überzeugter Befürworter des Umsturzes, der von 2000 bis 2014 als investigativer Journalist für die prowestliche Tageszeitung Ukrainska Prawda arbeitete, sich danach ins ukrainische Parlament wählen ließ und dort dem Antikorruptionskomitee angehört. Im Parlament, berichtet Leschtschenko, \"liegt die Korruption in der Luft\"; das werde bei Abstimmungen über den Haushalt besonders deutlich: Dann dauerten \"die Parlamentssitzungen ... bis fünf Uhr morgens, weil die korrupten Interessen aller politischen Einflusszentren befriedigt werden müssen\".[5] Leschtschenko zufolge wird nicht nur die Generalstaatsanwaltschaft vom Präsidenten persönlich kontrolliert, sondern auch der Geheimdienst, der \"zivilgesellschaftliche Aktivisten, unabhängige Journalisten und Oppositionspolitiker\" überwacht und \"bei der Regelung von Unternehmenskonflikten\" eingreift. Ergänzend ist zur Diskreditierung von Kritikern unter anderem \"eine ukrainische Trollfabrik\" eingerichtet worden - \"ein Zentrum zur Produktion von fiktiven Internetnutzern und Fake-News für Informationsattacken gegen Regimegegner\".

Zerfall und Chaos

Oligarchenherrschaft und Korruption in unverändert desaströser sozialer und wirtschaftlicher Lage schlagen sich mittlerweile ganz erheblich auf die Stimmung in der ukrainischen Bevölkerung nieder. So sind lediglich 17 Prozent aller Ukrainer der Auffassung, im Land finde eine - wie auch immer zu definierende - \"Konsolidierung\" statt. 75 Prozent hingegen beschreiben die aktuelle Entwicklung als \"Zerfall\", während 85 Prozent die Lage schlichtweg als \"Chaos\" bezeichnen. 69 Prozent geben sich überzeugt, landesweite Proteste gegen die prowestliche Regierung seien ohne weiteres denkbar.[6] Die Zustimmung zur Amtsführung von Präsident Poroschenko ist dramatisch abgestürzt: Sie liegt aktuell nach verschiedenen Umfragen bei zwei bis sechs Prozent.[7]

Angriff auf die Pressefreiheit

Dabei bringt die ukrainische Regierung nicht nur mit ihrer Korruption, sondern auch mit so manchem antirussischen Exzess sogar ausländische Maidan-Sympathisanten gegen sich auf. So führte etwa die im Mai gefällte Entscheidung von Präsident Poroschenko, nicht nur russischen Fernsehsendern die Lizenzen in der Ukraine zu entziehen, sondern auch populäre russische soziale Netzwerke wie VKontakte (\"im Kontakt\") und Odnoklassniki (\"Klassenkameraden\") sowie den E-Mail-Provider mail.ru zu sperren, zu empörten Protesten: Die Menschenrechtsorganisation Human Rights Watch kritisierte die Maßnahme als \"zynische, politisch kalkulierte Attacke auf das Informationsrecht von Millionen von Ukrainern\"; Reporter ohne Grenzen klagte, es handle sich um einen \"nicht hinnehmbare[n] Angriff auf die Meinungs- und Pressefreiheit\".[8] Kiew hat zudem vor kurzem ein neues Sprachengesetz verabschiedet, das den Gebrauch von Minderheitensprachen im Land empfindlich einschränkt. Vor allem trifft dies die russischsprachige Minderheit, die auch nach der Abspaltung der Krim und von Teilen der Ostukraine noch recht zahlenstark ist. Weil die Maßnahme allerdings unter anderem auch die ungarischsprachige Minderheit in der Ukraine trifft, hat die ungarische Regierung angekündigt, Kiews Annäherung an die EU und die NATO bis zur Rücknahme des Gesetzes zu blockieren.

Im Auftrag prowestlicher Kräfte

Während die politischen Spitzen der prowestlich gewendeten Ukraine in dieser Woche feierlich den vierten Jahrestag des Beginns der Maidan-Demonstrationen begangen haben, sind neue Berichte bekannt geworden, denen zufolge das Kiewer Blutbad am 20. Februar 2014, das den letzten Anstoß zur Eskalation der Proteste sowie zum Sturz der Regierung Janukowitsch gab, von Scharfschützen-Morden im Auftrag von Regierungsgegnern ausgelöst wurde. Einer der Scharfschützen hatte dies schon im Februar 2015 eingeräumt und damit bestätigt, was sich bereits wenige Tage nach dem Blutbad in Kiew herumgesprochen hatte: Der estnische Außenminister Urmas Paet hatte gegenüber der EU-Chefaußenpolitikerin Catherine Ashton Anfang März 2014 in einem mitgeschnittenen Telefongespräch berichtet, der Verdacht mache die Runde, \"jemand aus der neuen Koalition\" in der ukrainischen Hauptstadt könne die Scharfschützen-Morde in Auftrag gegeben haben (german-foreign-policy.com berichtete [9]). Im Februar 2016 hat sich der Maidan-Aktivist Iwan Bubentschik dazu bekannt, im Verlauf des Massakers ukrainische Polizisten erschossen zu haben. Bubentschik bestätigte dies in einem Film, der internationale Beachtung fand.[10]

\"Wahllos schießen\"

In der vergangenen Woche haben nun ein Bericht in der italienischen Tageszeitung Il Giornale und eine Reportage des TV-Senders Canale 5 weitere Details enthüllt. Darin berichten drei Georgier, an jenem Tag ebenfalls als Scharfschützen eingesetzt worden zu sein - im Auftrag der damaligen Regierungsgegner. Demnach sei ihnen explizit befohlen worden, sowohl auf Polizisten als auch auf Demonstranten zu schießen - um \"Chaos zu säen\".[11] Trifft das zu, dann bricht die offizielle, auch von Berlin vertretene Behauptung, die ukrainischen Repressionskräfte hätten das Massaker am 20. Februar gezielt gestartet, in sich zusammen. Schwer wiegt zudem, dass die drei laut Eigenaussage tatbeteiligten Georgier nicht nur sich selbst schwer belasten; ihre Aussagen begründen zudem einen gravierenden Verdacht gegen teils einflussreiche Politiker in der heutigen, prowestlich gewendeten Ukraine. german-foreign-policy.com berichtet in Kürze.

 

[1] S. dazu Zauberlehrlinge (III).

[2] Wojciech Konończuk, Denis Cenușa, Kornely Kakachia: Oligarchs in Ukraine, Moldova and Georgia as key obstacles to reforms. Swedish International Development Cooperation Agency 24.05.2017.

[3] Marek Dabrowski: Ukraine\'s oligarchs are bad for democracy and economic reform. bruegel.org 03.10.2017.

[4] Reinhard Lauterbach: Solide zerstritten. junge Welt 04.11.2017.

[5] Sergej Leschtschenko: Markenzeichen Korruption. zeit.de 05.05.2017. S. auch Das korrupteste Land in Europa.

[6] Umfragen zur Entwicklung der sozialen Lage und zur Proteststimmung in der Bevölkerung. In: Ukraine-Analysen Nr. 191, 15.11.2017.

[7] Reinhard Lauterbach: Solide zerstritten. junge Welt 04.11.2017.

[8] Zitiert nach: Steffen Halling: Kritiklos heraus aus dem Netz des Feindes? In: Ukraine-Analysen Nr. 186, 14.06.2017. S. 2f.

[9] S. dazu Die Kiewer Eskalationsstrategie und Von Račak zum Majdan.

[10] Katya Gorchinskaya: He Killed for the Maidan. foreignpolicy.com 26.02.2016.

[11] Gian Micalessin: La versione dei cecchini sulla strage di Kiev: \"Ordini dall\'opposizione\". ilgiornale.it 15.11.2017.


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Kiev: due anni dopo confessano i cecchini neonazisti di euromajdan (di Fabrizio Poggi, 20 Febbraio 2016)
... Il 20 febbraio 2016, mentre qualcuno degli “attivisti” di due anni fa, ricorda, con macabra dovizia di particolari, come avesse fatto fuoco sugli agenti indifesi (quelli che vari media occidentali definirono i “feroci mastini” di Janukovič), sparando loro alla nuca con fucili di precisione, alcune centinaia di manifestanti sono tornati sul Kreščatik, la via principale di Kiev. Del resto, la verità su chi fossero i cecchini che quel giorno avevano sparato sia sugli agenti che sulla folla, non era rimasta a lungo nascosta. I “bravi” non avevano tardato a prendersi il merito delle fucilate e già il 26 febbraio 2014, di ritorno da Kiev, l\'allora Ministro degli esteri estone Urmas Paet, in una conversazione telefonica con l\'ex responsabile degli affari esteri UE, Catherine Ashton, le raccontava come i cecchini di euromajdan fossero collegati ai caporioni della rivolta...

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Une étude universitaire montre que le massacre de Maidan était planifié par les putschistes

RÉSEAU VOLTAIRE | 12 JANVIER 2016 

Ivan Katchanovski, professeur de sciences politiques à l’université d’Ottawa, a réalisé une étude sur le massacre perpétré par des snipers sur la place Maidan de Kiev, en février 2014.
Ce document, issu d’une présentation faite à l’Association américaine de sciences politique, à San Franciso en septembre 2015, est la première étude académique sur cet évenement.
Il utilise la théorie du choix rationnel et la théorie wébérienne de la rationalité instrumentale pour examiner les actions des principaux acteurs à la fois du gouvernement Ianoukovitch, spécifiquement de divers services de police et des forces de sécurité, et de l’opposition, en particulier des éléments d’extrême droite et oligarchiques, pendant le massacre.
Le document analyse une grande quantité de matériaux provenant de différentes sources disponibles : environ 1 500 vidéos et enregistrements provenant d’internet et de la télévision de différents pays (environ 150 gigaoctets), les bulletins et les messages des médias sociaux d’une centaine de journalistes couvrant le massacre de Kiev, quelque 5 000 photos, et près de 30 gigaoctets d’interceptions radio des tireurs d’élite et des commandants de l’unité Alfa du Service de sécurité de l’Ukraine et de troupes du ministère de l’Intérieur, enfin les enregistrements des procès du massacre. Cette étude s’appuie également sur des recherches sur le terrain sur le site du massacre, des rapports de témoins des deux camps, des commandants des unités spéciales, des déclarations faites par les fonctionnaires anciens et actuels du gouvernement, les estimations des approximatives balistiques trajectoires, les balles et les armes utilisées, et les types de blessures dans les deux camps. Cette étude établit un calendrier précis pour divers événements du massacre, les emplacements des tireurs, et le calendrier précis et les lieux de la mort de près de 50 manifestants.
Cette enquête universitaire conclut que le massacre était une opération sous fausse bannière, qui était rationnellement planifié et exécuté, ayant pour but le renversement du gouvernement et la prise du pouvoir.
Ivan Katchanovski enseigne à l’École d’études politiques de l’université d’Ottawa. Il a été chercheur invité au Centre Davis d’études russes et eurasiennes de l’université de Harvard, professeur adjoint invité au département de sciences politiques à l’université d’État de New York à Potsdam, stagiaire post-doctoral au département de science politique à l’université de Toronto et Kluge postdoctoral au Centre Kluge à la Bibliothèque du Congrès.

DOWNLOAD: The “Snipers’ Massacre” on the Maidan in Ukraine, by Ivan Katchanovski (PDF - 1.9 Mo)

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IL MASSACRO DI MAIDAN - Esclusiva traduzione italiana dal russo (byoblu, 12 ago 2015)
La giustizia Ucraina ha già trovato i colpevoli di quello che ormai viene ricordato con il nome di Maidan: il massacro di piazza Maidan. Il documentario che vi mostriamo però vuole focalizzare l’attenzione su ciò che non è stato preso in considerazione dagli investigatori e che non è stato detto dai media. Chi ha davvero ucciso oltre 50 persone il 20 febbraio 2014, nella piazza principale di Kiev?...

Maidan Massacre (by John Beck-Hofmann, 14.2.2015)
English version of documentary investigation into the shootings which occurred February 20, 2014 in Kiev’s Independence Square, also known as “Maidan”. Directed by John Beck-Hofmann. The film clearly shows forces – US sponsored and trained foreign forces sniping at protesters...

The untold story of the Maidan massacre (By Gabriel Gatehouse - BBC News, 12 February 2015)
A day of bloodshed on Kiev\'s main square, nearly a year ago, marked the end of a winter of protest against the government of president Viktor Yanukovych, who soon afterwards fled the country. More than 50 protesters and three policemen died. But how did the shooting begin? Protest organisers have always denied any involvement - but one man told the BBC a different story...

L\'altra verità su piazza Maidan: cecchini ucraini arruolati per portare il paese alla guerra civile (di Matteo Carnieletto - Ven, 13/02/2015)
Alcuni uomini vicini al movimento di piazza Maidan avrebbero fornito armi ai cecchini affinché cominciassero a sparare sulla polizia e sui manifestanti per far crescere la tensione in Ucraina...
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/laltra-verit-su-piazza-maidan-cecchini-ucraini-arruolati-1093489.html

Maidan, i cecchini c\'erano, ma erano filogovernativi (di Matteo Carnieletto - Gio, 05/02/2015)
Durante la rivolta di piazza Maidan, degli uomini vicini al governo avrebbero sparato contro i manifestanti per incrementare l\'odio contro i russi...
VIDEO: I cecchini governativi di piazza Maidan / 
VIDEO: Ucraina, Nato: \"Pronti a intervenire militarmente\"

Ecco chi erano i cecchini di Maidan: dovevano uccidere poliziotti e manifestanti per creare il caos (Pandora TV, 30/01/2015)
L’inchiesta è stata insabbiata. Non c’è ancora risposta ufficiale su chi fossero i cecchini che il 20 febbraio 2014 a Maidan hanno ucciso 14 poliziotti, 45 manifestanti e ferito circa 85 persone. In realtà è sempre più forte il sospetto che nel bagno di sangue del 20 febbraio in piazza Maidan fossero coinvolti individui, che avevano l’ordine di sparare per uccidere su manifestanti e poliziotti con l’obiettivo di creare il caos...

Ukraine: Secretive Neo-Nazi Military Organization Involved in Euromaidan sniper shootings (by F. William Engdahl 22.11.2014) 


=== 2: CRIMEA ===

Ancora provocazioni in Crimea (PTV News 02.11.17)

Кадры с задержанным в Крыму украинским диверсантом (10.8.2016)

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Terrorismo ucraino in Crimea e nel Donbass  (di Redazione Contropiano / FP – 10 novembre 2016)

Il FSB, i servizi di sicurezza russi, hanno comunicato questa mattina l\'arresto di un gruppo di sabotatori ucraini in Crimea, trovati in possesso di materiale esplosivo, armi, munizionamento e mappe di possibili obiettivi, civili e militari e in procinto di compiere attentati  nell\'area di Sebastopoli. Nel pomeriggio, il GRU (l\'intelligence) del Ministero della difesa ucraino ha negato che propri sabotatori siano stati sorpresi in Crimea.
La Tass scrive che, a partire dal marzo 2014, si sono registrati in Russia una decina di arresti di agenti e sabotatori, ucraini, russi e di altri paesi europei. Alcuni di essi, bloccati e condannati, sono stati successivamente graziati e scambiati con cittadini ucraini, rinchiusi nelle prigioni golpiste perché accusati di separatismo; altri cittadini ucraini, accusati di spionaggio militare, sono stati semplicemente espulsi e privati del diritto di entrare in Russia. Fino allo scorso agosto (un altro caso si era verificato a inizio ottobre) comunque, si era trattato quasi esclusivamente di attività di spionaggio o di tentativi di carpire segreti militari. Il 7 agosto scorso era stato invece sventato un tentativo terroristico da parte di un gruppo di sabotatori ucraini, sorpresi nei pressi di Armjansk, all\'estremo nord della Crimea, nelle immediate vicinanze del confine ucraino. Nel conflitto a fuoco che aveva preceduto l\'arresto dei sabotatori, un agente del FSB e un militare russo erano rimasti uccisi.
Che Kiev abbia scelto la strada delle incursioni di gruppi terroristici lo testimoniano anche le ultime azioni compiute nel Donbass, a partire dai ripetuti attentati, per fortuna finora falliti, contro i leader di DNR e LNR, Aleksandr Zakharčenko e Igor Plotnitskij e il più tragico e più recente, andato purtroppo a segno, contro il comandante della brigata “Sparta”, Arsenij Pavlov, \'Motorola\', il 16 ottobre scorso. A proposito di quest\'ultimo atto terroristico, proprio oggi Aleksandr Zakharčenko ha accusato pubblicamente Vitalij Marikov, che cura le attività ucraine di diversione e spionaggio nel Donbass, di essere coinvolto nell\'assassinio. “Siamo in possesso della lista completa dei nomi dei responsabili”, ha detto Zakharčenko, che si è però limitato a rendere pubblico solo un altro nome, quello del capo dei Servizi di sicurezza ucraini per la regione di Donetsk (la parte controllata dai golpisti), Aleksandr Kuts.

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Sabotatore ucraino catturato in Crimea: \"Preparavamo atti di sabotaggio contro la Russia\" (Fort Rus, 28 ago 2016)
Lo scorso 8 Agosto i servizi di sicurezza della Federazione Russa hanno arrestato in Crimea un gruppo di sabotatori mandati dal Ministero della Difesa del regime ucraino per compiere atti di terrorismo nella penisola russa. Uno degli arrestati è Evgeny Panov, proveniente da Energodar (Zaporozhye), nel sud dell\'Ucraina. Nell\'interrogatorio, Panov parla degli ordini di compiere atti terroristici ricevuti a Kiev. Ricordiamo che durante il tentativo di irruzione sono morti due soldati russi...

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Incursione ucraina in Crimea. Per Putin è “stupida e criminale”

di Fabrizio Poggi, 11.8.2016

“La Russia non lascerà senza risposta l’uccisione di propri militari e ricorrerà a misure di sicurezza supplementari”: raramente alle parole di Vladimir Putin non sono seguiti fatti e questa volta, c’è da scommetterci, non passerà molto tempo tra le dichiarazioni e le azioni. “Noi non passeremo sopra a tali cose”, ha detto il presidente russo.

La notizia è di ieri: nella notte dal 6 al 7 agosto, nella zona di Armjansk (pochissimi km dal confine con la regione ucraina di Kherson) elementi di reparti speciali dell’intelligence militare ucraina hanno tentato di penetrare in Crimea, per mettervi a segno alcune azioni di sabotaggio contro infrastrutture e di terrorismo nei centri turistici della penisola. L’incursione, secondo Interfax, è stata coperta da un fitto fuoco proveniente dal territorio ucraino e da mezzi blindati di Kiev. Secondo un comunicato emesso ieri dal Servizio di sicurezza russo (FSB), nuovi tentativi di incursione sarebbero stati intrapresi da reparti ucraini nella notte dal 7 al 8 agosto. Nello scongiurare l’azione, nel conflitto a fuoco con gli incursori ucraini, un agente del FSB e un militare del Ministero della difesa sono rimasti uccisi. Gli incursori ucraini sarebbero stati neutralizzati mentre portavano materiale esplosivo per un equivalente di 40 kg di tritolo, munizionamento e armi dei reparti speciali ucraini. Questa mattina, secondo il servizio stampa del Cremlino, Putin ha tenuto una riunione operativa del Consiglio di Sicurezza, per discutere “ulteriori misure a garanzia della sicurezza dei cittadini e delle infrastrutture vitali della Crimea. Sono state esaminate dettagliatamente le misure di sicurezza anti-terrorismo sui confini terrestre, marino e dello spazio aereo della Crimea”.

“Vorrei rivolgermi ai nostri partner americani e europei” aveva dichiarato ieri Putin; “credo sia evidente a tutti, che l’attuale leadership di Kiev non cerca la soluzione dei problemi al tavolo delle trattative, ma passa al terrore. E’ una cosa molto preoccupante. A prima vista, sembrerebbe un’azione stupida e criminale. Stupida, perché non può influire positivamente sugli abitanti della Crimea e criminale, perché sono morte delle persone. Ma io penso che la situazione sia ancora più preoccupante, perché l’atto non ha altro senso che quello di distrarre l’attenzione del proprio popolo dalla drammatica situazione economica, dalla dolorosa situazione di un gran numero di cittadini”. Secondo Vladimir Vladimirovič, il tentativo di provocare uno scoppio di violenza e il conflitto aperto serve a “sviare l’attenzione della società da quelle persone che continuano a depredare il proprio popolo per mantenersi più a lungo possibile al potere”.

Da parte sua, proprio il presidente golpista ha definito le accuse russe “insensate e ciniche”, è tornato ad accusare la Russia di presenza nel Donbass e ha proclamato che “l’Ucraina condanna fermamente il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni e, di conseguenza, respinge l’utilizzo di qualsiasi azione terroristica per fermare l’occupazione della Crimea. L’Ucraina si attiene al ripristino della propria integrità territoriale e sovranità, tra cui la fine dell’occupazione della Crimea, unicamente con mezzi politico-diplomatici”, ha giurato di fronte al mondo Petro Porošenko, come se nessuno ricordasse i legami tra il medžlis dei tatari di Crimea e i terroristi dei “Lupi grigi” turchi e i loro tentativi di portare attacchi armati alla penisola, oppure il blocco dei trasporti organizzato da Pravyj Sektor sul lato ucraino del confine o gli embarghi energetici proclamati direttamente dal governo di Kiev ai danni della Crimea.

Così, per non apparire troppo sulla difensiva, in riferimento alle accuse di terrorismo, Kiev si è rivolta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, riportando le dichiarazioni di Petro Porošenko. Il Ministero degli esteri ucraino ha definito l’arresto dei sabotatori ucraini “una provocazione organizzata dal Cremlino” e ha respinto “come infondate tutte le accuse”. Il segretario del Consiglio nazionale di sicurezza Aleksandr Turčinov – colui che, in qualità di presidente ad interim ucraino e comandante in capo delle forze armate dal 23 febbraio al 7 giugno 2014, diede inizio all’attacco al Donbass – ha detto che “Le dichiarazioni di Putin secondo cui l’Ucraina ha iniziato il terrore contro la Russia e che i russi non ce lo perdoneranno, testimoniano del fatto che la Russia si prepara metodicamente all’inasprimento della situazione e al fallimento degli accordi di Minsk”.

Per contro, ha detto ieri Putin nel corso della conferenza stampa conclusiva dell’incontro col presidente armeno Serž Sargsjan, alla luce degli avvenimenti, “appare privo di senso un incontro del “quartetto normanno” – Merkel, Hollande, Putin e Porošenko; inizialmente ipotizzato a lato del prossimo G20 in Cina – “perché, a quanto pare, le persone che a suo tempo hanno preso il potere a Kiev e continuano a tenerlo, invece di cercare i mezzi per soluzioni pacifiche, sono passati alla pratica del terrore”.

Putin ha fatto appello ai paesi che sostengono Kiev, perché facciano pressione per arrivare a un autentico processo di pace.

Difficile per Kiev, in questa situazione, almeno sul momento e in maniera scoperta, anche contare sul sostegno diretto di Ankara, mai mancato in altre occasioni e anche con mezzi militari: la Turchia nei giorni scorsi ha infatti accusato Kiev di essere implicata nell’organizzazione del fallito colpo di stato, per il fatto che in Ucraina operano scuole legate al predicatore islamico Fethullah Gülen.

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Russian FSB foils terrorist attacks plotted by Ukrainian intel agents in Crimea (RT, 10 Aug, 2016)
... A group of infiltrators was discovered near the town of Armyansk in northern Crimea near the Ukrainian border in a special FSB operation over the weekend, the agency said, adding that fire was exchanged as the terrorists were being apprehended...

‘Kiev has turned to terrorism’: Putin on foiled sabotage plot in Crimea (RT, 10 Aug, 2016)
... Given that the Main Directorate of Intelligence of the Ministry of Defense of Ukraine (HUR MOU) was allegedly behind the thwarted terrorist attacks in Crimea, it is “pointless” to meet with Ukraine’s current authorities to seek a solution to the country’s crisis, Putin said...


=== 3: DONBASS ===


I mandanti e le ragioni degli attentati terroristici contro i dirigenti della Repubblica Popolare di Donetsk

di Kazbek K. Taysaev*
6 Ottobre 2017, da kprf.ruTraduzione dal russo di Mauro Gemma

Ancora pochi giorni fa, nella Repubblica Popolare di Donetsk ha avuto luogo una serie di attentati terroristici. Due esplosioni hanno sconvolto il centro di Donetsk, nel quartiere Prospekt Mira. Un\'altra esplosione vicino al Boulevard Shevchenko è stata provocata da un dispositivo mobile che ha fatto impazzire gli allarme antifurto di diversi locali vicini al luogo dello scoppio. Fortunatamente non ci sono stati feriti.

Ma un altro incidente si era verificato pochi giorni prima nel centro della città, dove sabotatori hanno fatto saltare in aria l\'automobile del ministro delle entrate e delle imposte della Repubblica Popolare di Donetsk (DNR) Aleksandr Timofeev. Secondo i primi dati dell\'inchiesta, sotto l\'automobile era stato collocato un dispositivo esplosivo azionato a distanza. Forse si è trattato di una mina anti-uomo del tipo di quelle dei tempi dell\'URSS. E\' stato anche riferito che, in conseguenza dell\'attentato terroristico, otto persone sono rimaste ferite.

Il governo della DNR ha confermato ufficialmente l\'attacco al ministro: “In conseguenza del sabotaggio è stata fatta saltare l\'auto del vice-premier, ma Alexandr Timofeev è sopravvissuto. Al momento la sua salute e la sua vita non sono minacciate. Poco dopo l\'incidente il vice-premier ha compiuto una visita di lavoro in una serra della DNR”.

I media della vicina Ucraina, mentendo, hanno riferito che il funzionario si trova in rianimazione, in condizioni critiche.

Ma è stato lo stesso Aleksandr Timofeev a smentire tale manovra disinformativa, intervenendo lo stesso giorno alla televisione locale. Invitato a parlare della sicurezza degli approvvigionamenti della repubblica e dei piani per il suo sviluppo economico, il ministro ha affrontato anche la questione dell\'attentato nei suoi confronti.

In particolare, egli ha dichiarato che l\'Ucraina, in quanto tale, ha già da tempo smesso di esistere, se non come “territorio del terrore”. Secondo lui, i metodi usati nella guerra contro i civili da parte delle forze di sicurezza ucraine sono simili a quelli utilizzati oggi in Russia dall\'organizzazione terroristica proibita “Stato Islamico”: esplosioni, sabotaggi e tentativi di avvelenamento.

Non è difficile immaginare chi stia dietro a questi attentati terroristici. Li ha chiamati in causa lo stesso ministro che ha subito l\'attentato alla sua auto. A suo parere, ciò è opera di un gruppo di sabotatori ucraino. E infatti, nella DNR per simili episodi è già in carcere un intero gruppo di sabotatori ucraini formato da sei persone.

Prima dell\'ultimo episodio i gruppi di sabotatori ucraini si e

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OTTOBRE / 3: 

Liberazione nazionale, liberazione della donna

Fonte: Gramsci Oggi, numero speciale (Nov. 2017) dedicato al Centenario
http://www.gramscioggi.org/index_file/Gramsci%20oggi-004-2017.pdf

1) La Rivoluzione d\'Ottobre e i movimenti di liberazione nazionale – di Spartaco A. Puttini

2) 1917-2017: Donne e famiglia nella russia bolscevica  – di Cristina Carpinelli

Ricordiamo che alla nostra pagina https://www.cnj.it/INIZIATIVE/1917.htm è riportata una rassegna di documenti fondamentali assieme al calendario delle iniziative promosse nel centenario della Rivoluzione d\'Ottobre


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Fonte: Gramsci Oggi, numero speciale (Nov. 2017) dedicato al Centenario

La Rivoluzione d\'Ottobre e i movimenti di liberazione nazionale

di Spartaco A. Puttini

A un secolo dall’assalto al palazzo d’Inverno cosa resta dell’Ottobre?

Cosa resta della rivoluzione russa, dopo il crollo dell’URSS e la dissoluzione del campo socialista? Dopo il collasso dei sistemi politici novecenteschi e la fine del compromesso tra capitale e lavoro che ha caratterizzato la seconda metà del XX secolo, in seguito alla vittoria sovietica nella seconda guerra mondiale e all’ombra della competizione bipolare?

A un primo sguardo sommario una risposta potrebbe essere “non molto”. Eppure molte delle conquiste che sono scaturite dal ’17, secondo un processo tortuoso e mai rettilineo, continuano a interessare il nostro mondo.

Una su tutte: il risveglio dei molti Sud del pianeta dalla colonizzazione di cui sono stati vittime nel ciclo storico imperialistico precedente la rivoluzione del ’17.

Come ha scritto lo storico britannico Geoffrey Barraclough, “Quando la storia della prima metà del ventesimo secolo […] verrà scritta in una più ampia prospettiva, è difficile che un solo tema si riveli più importante della rivolta contro l’Occidente”1.

La condanna delle spedizioni militari nei paesi africani e asiatici e la condanna dei crimini e delle repressioni compiute dalle truppe coloniali oltremare erano già oggetto di attenzione da parte dei partiti socialisti della II Internazionale. L’agitazione di queste forze era per lo più incline a sottolineare il valore dell’antimilitarismo, tradotto nello slogan: “più burro, meno cannoni”. Ma i socialdemocratici non erano mai arrivati a comprendere fino in fondo la causa dei popoli oppressi e il legame che correva tra la loro liberazione e l’emancipazione delle classi lavoratrici nelle metropoli imperialiste. Non senza scopi polemici un pamphlet del Partito comunista francese, risalente all’incirca al 1927 ed indirizzato ai militanti e ai quadri di partito per spiegare loro l’importanza della questione nazionale e coloniale, così stigmatizzava la posizione della II Internazionale in merito:

“[la questione nazionale] era allora limitata quasi esclusivamente alla questione dell’oppressione delle nazioni ‘civili’. Irlandesi, ungheresi, polacchi, finlandesi, serbi: questi erano i principali popoli più o meno asserviti le cui sorti interessavano la II Internazionale. Quanto ai milioni di asiatici, ed africani, schiacciati sotto il giogo più brutale, quasi nessuno se ne preoccupava. Sembrava impossibile mettere sullo stesso piano i bianchi e i neri. I ‘civili’ e i ‘selvaggi’. L’azione della II Internazionale in favore delle colonie si limitava a rare e vaghe risoluzioni dove la questione dell’emancipazione delle colonie era cautamente evitata”2.

Lenin, con la sua analisi dell’imperialismo, lega indissolubilmente il problema della liberazione dei popoli oppressi (includendovi i popoli colonizzati) con la lotta del proletariato nelle metropoli. Questione nazionale e questione coloniale vengono così fuse. Da allora la questione nazionale e la categoria di imperialismo entrarono a far parte della più ampia visione dell’internazionalismo propria del movimento comunista.

Quando i bolscevichi conquistano il potere nel 1917 chiamano alla sollevazione il proletariato europeo. Con i primi passi dello Stato sovietico si rivolgono apertamente ai popoli coloniali. Le colonie vengono allora raffigurate come le “retrovie” dell’imperialismo, dove questo può attingere risorse per restare in piedi. La rivolta delle retrovie assume pertanto un rilievo prioritario per lo Stato sovietico e per il movimento comunista internazionale.

Al III Congresso del Komintern Lenin rilevò come “Centinaia di milioni di uomini (praticamente la stragrande maggioranza della popolazione mondiale) appaiono ora sulla scena come fattori rivoluzionari autonomi ed attivi, ed è chiaro che nelle prossime decisive battaglie della rivoluzione mondiale il movimento della maggioranza della popolazione del globo, che in origine era orientato verso la liberazione nazionale, si rivolgerà contro il capitalismo e contro l’imperialismo e assumerà probabilmente un ruolo rivoluzionario molto più importante di quanto non ci aspettiamo”3.

Alcuni anni dopo, al XII Congresso del partito bolscevico, Stalin ribadì con estrema chiarezza il significato che le lotte dei popoli coloniali rivestivano nel quadro della lotta tra la rivoluzione e l’imperialismo: “Una delle due: o noi mettiamo in movimento le retrovie profonde dell’imperialismo, i paesi coloniali e semicoloniali dell’Oriente, infondiamo loro lo spirito rivoluzionario e acceleriamo così la caduta dell’imperialismo, oppure non ci riusciamo, e allora rafforziamo l’imperialismo e indeboliamo la forza del nostro movimento. La questione si pone in questi termini”4.

Nel 1920 venne convocato a Baku il Congresso dei popoli dell’Oriente. L’evento era indicativo dell’orientamento che aveva preso tanto il movimento comunista internazionale, quanto la Russia sovietica e rappresentò una “pietra miliare”5 per lo sviluppo dei movimenti di liberazione asiatici. Per la prima volta circa 2mila delegati provenienti da ogni parte dell’Asia si incontrarono per confrontarsi tra loro su come liberarsi dalla dominazione occidentale.

Nel suo II Congresso il Komintern aveva stabilito un’analisi della situazione coloniale e aveva avanzato la tesi dell’alleanza dei comunisti con le forze che nei paesi coloniali e semicoloniali si battevano conseguentemente contro l’imperialismo e per la conquista della piena indipendenza. A queste correnti andava fornito tutto l’appoggio possibile, sia da parte dei locali partiti comunisti, che sulla base della loro piena autonomia erano chiamati a stabilire con le correnti del nazionalismo rivoluzionario un’organica alleanza strategica, sia da parte dell’Unione Sovietica.

Nelle tesi del IV Congresso del Komintern sulla questione orientale si sostiene chiaramente l’appoggio alle correnti del nazionalismo-rivoluzionario in lotta contro l’imperialismo6.

Il primo esempio e il banco di prova di questa strategia fu la rivoluzione nazionalista cinese del 1925-1927. La decisione unilaterale assunta dalla Russia di rinunciare ai privilegi strappati alla Cina dal regime zarista, avevano convinto il vecchio agitatore nazionalista Sun Yat-sen a guardare verso le cupole del Cremlino impostando in modo nuovo la questione della liberazione della Cina. Sun comprese che la comparsa sulle scene dell’Unione Sovietica creava una situazione nuova a livello internazionale. “La nascita della Russia rivoluzionaria aveva rotto oggettivamente il fronte internazionale imperialistico ed aveva creato un polo di riferimento per ogni lotta antimperialistica”7. Dopo aver riformato il Kuomintang (partito nazionalista rivoluzionario del popolo) su basi nuove stabilì un’alleanza con i comunisti (accettati all’interno del KMT) e con l’Unione Sovietica e accettò il ruolo e le rivendicazioni degli operai e dei contadini. Il suo programma si spostò notevolmente a sinistra rispetto al passato. Stabilito il suo governo a Canton, iniziarono ad arrivare gli aiuti sovietici in armi, istruttori militari e consiglieri politici. Questi sforzi miravano a consentire a Sun di disporre di una forza militare rivoluzionaria per unificare la Cina e schiacciare i “signori della guerra” feudali, alleati dell’imperialismo. Fu il primo passo della rivoluzione cinese che, dopo un tortuoso percorso, sarebbe sfociata nell’avvento al potere dei comunisti di Mao nel 1949.

L’Asia orientale è oggi un’area in prepotente ascesa, trainata soprattutto dalla spettacolare crescita della Repubblica popolare cinese. Che impatto ebbe la rivoluzione russa sull’Asia?

Una testimonianza significativa in proposito è quella del nazionalista vietnamita Nguyen Ai Quoc, il futuro Ho Chi Minh. Ho ha ricordato questo cruciale passaggio della sua vita in un articolo pubblicato nel luglio 1960 dal titolo significativo : Il cammino che mi ha condotto al leninismo. Il leader vietnamita ha rievocato le assidue riunioni nelle sezioni socialiste alla fine della prima guerra mondiale:

“A quell’epoca, nelle sezioni del partito…, si discuteva ardentemente per decidere se bisognava restare nella Seconda Internazionale, o creare un’internazionale due e mezzo, o aderire alla Terza Internazionale di Lenin. Assistevo regolarmente a tutte queste riunioni…All’inizio non ne comprendevo interamente il contenuto. Perché discutere con tanto accanimento? […] Si poteva fare la rivoluzione, perché accanirsi a discutere? … La questione che mi bruciava sapere era quale fosse l’Internazionale che sosteneva le lotte dei popoli oppressi. Nel corso di una riunione sollevai questa questione. Alcuni compagni risposero: è la Terza Internazionale e non la Seconda. E un compagno mi diede le Tesi di Lenin sui problemi delle nazionalità e dei popoli coloniali… Le tesi suscitarono in me una profonda emozione, un grande entusiasmo, una grande fiducia e mi aiutarono a vedere chiaramente il problema…Da allora ebbi fiducia in Lenin e nella Terza Internazionale. […] Dopo la lettura delle tesi di Lenin mi lanciai nella discussione…Il mio unico argomento consisteva nel domandare: ‘compagni, se voi non condannate il colonialismo, se non sostenete i popoli oppressi, quale è dunque la rivoluzione che pretendete fare?’”8.

Ma il racconto più singolare ed anche più significativo è quello dello stesso Sun Yat-sen, che tra l’altro non divenne mai comunista. Dopo la rivoluzione ed in seguito alla costituzione dello Stato sovietico Sun ebbe a dire: “Noi non guardiamo più verso Occidente. I nostri occhi sono rivolti alla Russia”9. Nel manifesto del 1919 disse:

“Se il popolo della Cina vuole essere libero come il popolo russo, e vuole gli sia risparmiato il destino che gli alleati hanno preparato per lui a Versailles…deve essere ben chiaro che nella lotta per la libertà nazionale i suoi soli alleati e fratelli saranno gli operai ed i contadini russi che combattono nell’Armata Rossa”10.

Queste opinioni sono piuttosto esemplari di un diffuso atteggiamento. Stando al diplomatico e storico indiano Panikkar,

“La sola esistenza di una Russia rivoluzionaria diede senza dubbio a tutti i movimenti nazionalisti asiatici une grande forza morale”11.

“La Dichiarazione dei diritti dei popoli della Russia, firmata da Lenin e da Stalin, proclamava la sovranità e l’eguaglianza di tutti i popoli della Russia, e il diritto delle minoranze nazionali al proprio libero sviluppo. Fu, questa, una dichiarazione veramente esplosiva, e destò una nuova speranza in tutte le nazioni asiatiche che stavano lottando per la propria libertà”12.

L’appoggio sovietico cambiò anche l’atteggiamento dei movimenti nazionalisti sotto molti punti di vista. Anche quei movimenti che non furono egemonizzati dai comunisti o che non evolsero mai verso il marxismo- leninismo iniziarono a inserire la loro lotta in un quadro diverso. Iniziarono a dare maggiore importanza al coinvolgimento del popolo nel processo rivoluzionario e furono quindi spinti a prenderne, almeno parzialmente, in considerazione le istanze. Secondariamente l’esempio di sviluppo e crescita economica dell’URSS durante i piani quinquennali, che cambiò completamente il profilo di una nazione arretrata, costituì un punto di riferimento per quei paesi che si trovavano ai margini del mercato capitalistico mondiale. Iniziarono a comprendere che la sola indipendenza politica li avrebbe relegati ad accontentarsi di una indipendenza puramente formale e che per ottenere un’effettiva sovranità dovevano puntare anche sull’indipendenza economica.

I lasciti furono dunque numerosi, ben oltre il breve periodo.

L’URSS continuò a svolgere il ruolo di sponda dei movimenti di liberazione anche in seguito, nonostante tutti gli eventuali errori che i dirigenti sovietici commisero in questo o quel frangente. Questo fatto viene ampiamente riconosciuto, ad esempio, dai protagonisti della rinascita araba tra gli anni ’50 e ’60. La scomparsa dell’Urss ha lasciato un vuoto in questo campo. Ma l’ascesa della Cina, il ritorno della Russia e la spinta per la costituzione di un equilibrio multipolare lasciano presagire che il mondo globalizzato è in forte competizione dal punto di vista dei mercati e ancor di più dal punto di vista politico. L’emergere dei paesi del Sud del mondo si fa sempre più marcato. La loro emancipazione non punta solo all’indipendenza politica formale, come nella stagione d’oro della decolonizzazione. Ora il prossimo traguardo viene intravisto nell’emancipazione economica, nella rottura dei meccanismi di dipendenza delle periferie del sistema-mondo dal centro del capitalismo sviluppato. La contradditoria emancipazione del Sud del mondo suggerisce che la spinta propulsiva della rivoluzione d’Ottobre non sia affatto esaurita. 

Note

1 G. Barraclough, Guida alla storia contemporanea, Torino Laterza 1989, pp.157-158

2 Le communisme et la question nationale et coloniale par Lénine, Staline et Boukharine; Paris Bureau d’Editions [1927?], p.9

3 A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol.1.2 (1919-1923); Ed. Riuniti 1974, p.762

4 A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol. 2.2 (1924-1928), p.591

5 Così la definisce Jan Romein nel suo libro Il secolo dell’Asia; Einaudi, 1975

6 Tesi del IV Congresso sulla questione orientale (novembre 1922), cit. in: A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol. 1.2, pp.791-792

7 P.Santangelo, Dominazione imperialista in Cina; in: Storia dell’Asia; Einaudi 1980, pp.33-34

8 J. Lacouture, Ho Chi Minh; Parigi Seuil 1967, pp.25-27

9 Panikkar, Storia della dominazione europea in Asia: dal cinquecento ai nostri giorni; Torino Einaudi, 1958, p.262

10 Ibidem, p.364

11 Ibidem, p.262

12 Ibidem, p.261


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Fonte: Gramsci Oggi, numero speciale (Nov. 2017) dedicato al Centenario

1917-2017: Donne e famiglia nella russia bolscevica 

di Cristina Carpinelli

Introduzione

Il programma a favore dell\'emancipazione della donna e della famiglia prese avvio in un paese che era molto arretrato rispetto ad altri paesi europei. Prevalevano ancora il diritto contadino (sotto forma di consuetudine), le concessioni agli usi tribali delle popolazioni siberiane e asiatiche o alle usanze islamiche di quelle musulmane. In questo paese vi era un sistema economico che presentava limitate possibilità di crescita e che per realizzare il \"grande balzo in avanti\" dovette adottare un piano accelerato di crescita industriale e di modernizzazione dell\'agricoltura con il ricorso a misure eccezionali.

La Russia sovietica fu, inoltre, costretta ad affrontare enormi sforzi e sacrifici inimmaginabili per la propria difesa, e se pure uscì trionfante dalla dura prova della Seconda Guerra Mondiale, perse, tuttavia, metà dei suoi centri industriali e 15 milioni di giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni.

In una certa misura, l\'arretratezza in cui versava la Russia, all\'indomani della rivoluzione, favorì il processo di emancipazione femminile. Un qualsiasi governo avrebbe avuto buone possibilità di riuscita, in un contesto dove era necessario per le donne conquistare le libertà più elementari. Allo stesso tempo, la scarsità di mano d\'opera consentì già da subito l\'impiego massiccio delle donne nel mercato del lavoro, che era una condizione indispensabile per la realizzazione della parità tra i sessi.

Nel corso della Prima Guerra Mondiale, a Pietrogrado, tra il 1914 e il 1917, le operaie arrivarono a costituire un terzo della popolazione attiva (nota1), negli anni Trenta con la collettivizzazione agraria di massa e l\'industrializzazione su vasta scala, le donne occupate raggiunsero il 38% di tutti gli occupati (nota 2). La punta massima fu toccata nel 1945, quando era al lavoro il 56% delle donne, mentre nel dopoguerra la percentuale cadde bruscamente al 46% (nota 3).

Terminata l\'emergenza, l\'esperienza produttiva agricola e industriale della donna subì fasi alterne a seconda che l\'accento fosse posto sul lavoro femminile in quanto semplice risorsa addizionale o come mezzo indispensabile per l\'emancipazione femminile. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, con l\'Editto staliniano di famiglia del 1944, la donna fu spinta entro le mura domestiche.

Il piano di emancipazione femminile e di sostituzione della forma di famiglia patriarcale con una struttura familiare che non fosse in contraddizione con la più ampia rivoluzione in atto nei rapporti economici e sociali si rivelò come uno dei compiti più difficili e ambiziosi del governo rivoluzionario bolscevico. Nella Russia che era stata sempre patriarcale dove, prima della nascita del nuovo stato, l\'80% del paese era contadino, con la relativa cultura, la rivoluzione nei costumi e dentro gli aggregati domestici familiari si abbatté come una tempesta sulla vita delle persone.

Non sempre questo percorso di emancipazione fu di facile attuazione. Anzi, esso fu pervaso da una moltitudine di contraddizioni. Ma al di là di esse, credo che la Russia sovietica non abbia completamente fallito nel promuovere la liberazione della donna e della famiglia, poiché gli ideali utopistici della Kollontaj non trovarono attuazione.

Le note Commissioni femminili del partito (ženotdely) svolsero un ruolo straordinario nel tentativo di coinvolgere il più possibile le donne nella vita pubblica. Barbara Clements Evans, a piena ragione, sottolinea al proposito che i successi sovietici non sono per niente paragonabili a quelli di altri stati contemporanei europei che, ai tempi in cui furono fondate le Commissioni femminili nella Russia sovietica, stavano appena estendendo il diritto di voto alle donne (nota 4).

Attiviste dei ženotdely viaggiarono, ad esempio, per l\'Asia centrale. E anche in quelle terre così lontane, fu possibile cogliere già subito dopo la rivoluzione i primi rarefatti segnali di una difficile emancipazione femminile. È importante sottolineare che la condizione della donna centro-asiatica scontava il peso del condizionamento di tradizioni preislamiche: poligamia, velo, segregazione, costituivano, in larga misura, il lascito di precedenti civiltà dominate dal politeismo e dal tribalismo.

Pur incontrando una resistenza ostile nel loro tentativo di emancipare le donne musulmane, le attiviste del ženotdel s\'impegnarono a fondo perché anche a queste donne fosse riconosciuto il diritto al lavoro e all\'istruzione in precedenza proibiti. In più, i primi due codici russi sul matrimonio e la famiglia costituiscono ancora oggi, per diversi aspetti, la punta più avanzata della legislazione sulla donna e sulla famiglia in molti paesi del mondo (nota 5).

È meritevole di nota che anche il reverendo Hewlett Johnson, nominato decano di Canterbury nel 1929, nel suo libro, The Soviet Power (nota 6), riservi parole entusiaste sulla nuova vita della donna dopo il rovesciamento del crudele regime dello \"knut\" (frusta) della Russia degli zar. H. Johnson porta molti esempi a testimonianza del riscatto della donna: da essere demoniaco, cui erano riservati in chiesa i posti inferiori, da essere, cui non era concesso avvicinarsi all\'altare e il cui anello matrimoniale era di ferro (e non d\'oro come per l\'uomo), a persona, cui furono accordati dal paese dei Soviet, \"diritti uguali a quelli degli uomini, in tutti i campi della vita economica, statale, culturale, politica e sociale\" (nota 7) sanciti, oltre che dai due codici russi sul matrimonio e la famiglia (1918 e 1926) anche dall\'art. 122 della Costituzione staliniana del 1938: \"Alle donne sono accordati nell\'U.R.S.S. Diritti uguali a quelli degli uomini, in tutti i campi della vita economica, statale, culturale, politica e sociale…La possibilità di esercitare questi diritti viene assicurata alle donne garantendo loro lo stesso diritto degli uomini al lavoro, al riposo, all\'assicurazione sociale e all\'istruzione, provvedendo alla tutela, da parte dello Stato, degli interessi della madre e del bambino, accordando alle donne un congedo di maternità con mantenimento del salario e grazie a una vasta rete di case di maternità, di nidi e giardini di infanzia\" (nota 8).

Concordo con il decano di Canterbury quando sostiene che la Russia sovietica svolse un lavoro encomiabile nel promuovere la liberazione della donna e della famiglia dall\'oppressione del patriarcato feudale zarista. Tuttavia, se le norme del codice matrimoniale e familiare del 1926 rimasero immutate per dieci anni, poi nel 1936 e 1944 furono approvate due leggi che modificarono alla radice i punti chiave della nuova rivoluzionaria normativa familiare.

Furono gli avvenimenti, le incoerenze drammatiche della società che stava crescendo e trasformandosi a fornire la spinta decisiva alla revisione della legislazione familiare in direzione del rafforzamento dell\'ordine, della stabilità sociale e dell\'istituto familiare. L\'aborto fu abolito: di fronte al numero impressionante delle interruzioni di gravidanza e al calo costante del tasso di natalità, il governo di Stalin tornò a proibirlo.

L\'ossessione nei confronti della crescita delle nascite, in una situazione storica d\'emergenza, fu tale da legittimare e tutelare in seguito - nello stesso momento in cui venivano esaltati il matrimonio registrato e la famiglia legale - la maternità in stato di nubilato. Negli anni Quaranta, il matrimonio non fu più l\'unico modello socialmente riconosciuto per la maternità. Se da una parte l\'Editto di famiglia del 1944 sancì che solo i matrimoni registrati potevano beneficiare della protezione legislativa, dall\'altra l\'impressionante squilibrio demografico della popolazione (31 milioni di uomini a fronte di 52 milioni di donne) - venutosi a creare, a seguito degli sconvolgimenti provocati dalla Seconda Guerra Mondiale -, aveva provocato una spinta \"oggettiva\" ai rapporti fuori del matrimonio.

L\'esercito delle madri nubili andava in qualche modo tutelato, tenuto conto delle immense perdite umane subite. Fu così che queste (insieme alle madri sposate) poterono beneficiare di sussidi elevati, secondo il numero di figli da mantenere, ma furono, d\'altro canto, private del diritto di ricerca della paternità, comportando numerosi conflitti e problemi per i bambini nati da queste unioni. Il rafforzamento della famiglia legale da un lato, e la protezione della maternità in stato di nubilato dall\'altro, furono la causa di molte contraddizioni tra legge e coscienza, tra morale pubblica e privata. Si dovette attendere la legislazione del 1968 per mettere fine, ad esempio, alla palese discriminazione tra figli legittimi e non.

Oltre al divieto di aborto, negli anni Trenta fu apportata qualche restrizione alla procedura di divorzio, pur restando ancora libero. Le restrizioni al divorzio dipesero dal fatto che a metà degli anni Trenta, le separazioni avevano superato i matrimoni registrati, ponendo gravissimi problemi alla società: mantenimento dei figli, disordine sociale, insufficienza di abitazioni. La prostituzione iniziò ad essere perseguita, poiché \"non poteva esistere un fenomeno sociale peculiare ad una società dominata dal capitalismo decadente\".Tuttavia, dalle molte testimonianze dell\'epoca si sa con certezza che essa continuò ad essere praticata anche se clandestinamente. Infine, già dalla fine degli Trenta, il Soviet aveva abbandonato la concezione che la funzione primaria della donna fosse la produzione sociale e che la maternità dovesse essere accessoria a quella funzione, valorizzando sempre di più il ruolo della donna come \"angelo del focolare\".

I codici rivoluzionari del 1918 e 1926

I nuovi decreti rivoluzionari di famiglia furono adottati nel 1917, in un momento, cioè, in cui gli aggregati domestici familiari riproducevano al loro interno comportamenti patriarcali e semifeudali. Con questi decreti, gli istituti del matrimonio e del divorzio furono \"laicizzati\", perdendo tutte le loro caratteristiche religiose e confessionali. Essi furono, poi, rielaborati l\'anno successivo dalla loro promulgazione, e i loro contenuti recepiti in un testo apposito comunemente chiamato codice di famiglia del 1918.

Il codice del 1918 trae la sua \"ratio\" dall\'aspirazione rivoluzionaria di spazzare via le passate tradizioni e, oltre ad essere dichiarativo di un nuovo ordine, esso svela soprattutto il suo forte spirito di reazione all\'ordine secolare preesistente considerato nocivo per la costruzione di una società socialista. In tal senso, corretta è l\'osservazione fatta dallo storico E. Carr nel suo libro Il socialismo in un solo paese (1924-1926), secondo cui l\'atteggiamento radicale e iconoclasta dei rivoluzionari nei riguardi della donna e della famiglia può essere compreso solo come una reazione alle condizioni anteriori alla rivoluzione, in quanto la famiglia tradizionale del contadino o dell\'operaio, caratterizzata dalla sottomissione e dai maltrattamenti delle donne e dallo sfruttamento infantile, era una conseguenza della miseria russa ed un simbolo dell\'arretratezza russa (nota 9). Per tale ragione, si può considerare questo codice come un \"documento intensamente rivoluzionario\", come uno \"statuto di principi rivoluzionari\".

Ecco i punti salienti: annullamento del matrimonio religioso e istituzione del matrimonio civile come il solo valido; introduzione del divorzio consensuale. Nei casi in cui il divorzio fosse stato richiesto da uno solo dei due coniugi, interveniva il tribunale, che aveva il compito di decidere sull\'assegnazione dei figli e sul loro mantenimento, e sulle condizioni per il pagamento degli alimenti al coniuge privo di autonomi mezzi di sussistenza. Con il codice del \'18 fu previsto l\'accertamento giudiziale della paternità, ma solo alle madri nubili. I bambini nati da un matrimonio non registrato godevano degli stessi diritti dei bambini nati da un\'unione legale.

L\'uguaglianza dei diritti dei figli naturali e di quelli legittimi garantiva indirettamente pari cittadinanza alla famiglia naturale con quella legale, la cui distinzione nel codice era motivata con la necessità di non dare alcuna possibile scappatoia giuridica alle unioni religiose e alla poligamia molto diffusa nelle regioni dell\'Asia centrale a prevalente religione musulmana. Furono, inoltre, aboliti gli istituti della potestà maritale (il marito non poté più imporre alla moglie cognome, domicilio e nazionalità) e della proprietà comune dei coniugi, poiché il matrimonio fu
inteso come \"un\'unione volontaria\" basata sull\'affectio maritalis.

Infine, il codice proibiva l\'adozione di minori da parte delle famiglie. Quest\'ultima era una misura drastica che mirava a stroncare il costume, assai diffuso nelle campagne, di mascherare sotto la forma dell\'adozione lo sfruttamento feroce della manodopera infantile. Centro e promotore della tutela del minore abbandonato diventava ora lo stato. Sorsero istituti d\'infanzia e sezioni minorili di previdenza sociale. Il potere sovietico, in quanto potere dei lavoratori, fin dai primi mesi della sua esistenza, aveva da subito introdotto nella legislazione riguardante la donna e la famiglia un rovesciamento decisivo. Le leggi, che, utilizzando proprio la condizione sociale più debole della donna, ponevano quest\'ultima in condizioni d\'inferiorità e in certi casi d\'umiliazione (le norme sul divorzio e sui figli fuori del matrimonio, o quelle sugli alimenti), furono spazzate via in un batter d\'occhio.

Questi primi anni di governo costituirono ciò che Lapidus definisce come Soviet style \"affirmative action program\" a favore delle donne: numerosi interventi abolirono la discriminazione sessuale sul posto di lavoro e nella società, tutelarono il lavoro delle donne incinte e introdussero nelle fabbriche i congedi obbligatori di maternità. Maggiori opportunità professionali e d\'istruzione aprirono ad esse spazi e carriere nuove riservate prima solo al sesso forte. Nella vita politica, molti furono i reclutamenti al femminile a posizioni dirigenziali, ben simboleggiati dalle note Commissioni femminili (ženotdely) del partito comunista (bolscevico), fondate nel 1919.

Non mancarono, tuttavia, anche nella Russia sovietica, alla fine della Prima Guerra Mondiale, nonostante la rivoluzione, tentativi in parte bloccati di liquidazione del lavoro femminile operaio. La politica adottata dal governo, durante il comunismo di guerra, fu quella del \"numero chiuso della forza lavoro\" da impiegare, con lo scopo di assicurare un salario ad ogni nucleo familiare. La documentazione di quel periodo sul servizio obbligatorio del lavoro testimonia la progressiva liquidazione del lavoro femminile in fabbrica e il tentativo di ricostituire il nucleo familiare sulla base di un solo salario erogato all\'operaio maschio adulto, calcolando le \"bocche\" a carico.

Numerosi furono i casi in cui i comitati di fabbrica, di fronte alla diminuzione del volume del lavoro, cercarono di licenziare in primo luogo le donne. Nel febbraio 1918, Nadežda Krupskaja intervenne sulla Pravda, con un lungo articolo, per pronunciarsi con decisione contro il licenziamento dalla produzione delle donne. La battaglia per l\'emancipazione della donna fu intesa da alcuni dirigenti del partito anche come un momentodi profondo rinnovamento del costume e della morale sessuale, che culminò nella nota teoria del \"bicchiere d\'acqua\" (cioè del sesso facile e senza complicazioni - come appunto bere un bicchiere d\'acqua) o nella politica del \"libero amore\" (free love).

Subito dopo la rivoluzione del 1917, nel bel mezzo del fermento politico, sociale e culturale, i giornali e le riviste d\'avanguardia del tempo assunsero toni spregiudicati e possibilisti riguardo alla nuova morale sessuale propagandata. Ancora nel 1926, già in piena NEP e alle soglie dell\'introduzione del secondo codice rivoluzionario russo di famiglia, il regista Abram Room produsse uno dei film più anticonformisti dell\'epoca sull\'emancipazione femminile e la liberazione sessuale. In effetti, Tre in uno scantinato è un film che mette in discussione i rapporti tradizionali fra i sessi. Esso fece scalpore poiché affrontava arditamente la questione dell\'amore a tre e, più in generale, della liberazione dei costumi.

Come afferma Annie Goldmann, l\'inizio degli anni Venti, nella Russia sovietica, offrì un laboratorio traboccante d\'idee, d\'iniziative e di audacie che a quel tempo neppure Parigi e Berlino raggiunsero (nota 10). Si viveva ancora nel clima entusiasmante della rivoluzione, nella certezza di creare una società nuova, libera dai pregiudizi e dagli stereotipi del vecchio regime zarista. Tuttavia, le idee sul libero amore si svilupparono fino a raggiungere posizioni considerate \"astruse\" non solo dai compagni più conservatori, ma anche dai rivoluzionari della prima generazione (nota 11). Lo stesso Lenin sentì il bisogno d\'intervenire sulla questione. La nostra gioventù, osservò, \"si è scatenata con questa teoria del bicchiere d\'acqua\" (nota 12). Jonov, in un articolo sulla Pravda, apparso nel dicembre del 1926, scrisse: \"Non abbiamo nessun complesso nei confronti della fisiologia. Non la consideriamo affatto vergognosa. Tuttavia, ricordiamo che il comunismo, oltre a molte altre cose, significa l\'instaurazione di rapporti realmente umani tra le persone, e quindi anche tra maschio e femmina\".

Le teorie del libero amore e del sesso facile si erano, tra l\'altro, diffuse in un momento in cui la famiglia riportava pesanti ferite, a causa di anni ininterrotti di conflitti e guerre. Spazzare via principi, radicati a fondo nelle credenze e nei costumi popolari, non fu certo un compito facile,soprattutto in campagna. Ciò fu sin dall\'inizio chiaro a Lenin, secondo cui l\'unico modo per combattere ed eliminare il pregiudizio stava nell\'estirpare miseria e ignoranza, attraverso la propaganda e l\'istruzione: (…)

La Repubblica dei soviet ha prima di tutto il compito di abolire ogni restrizione dei diritti della donna. Il procedimento giudiziario per il divorzio, questa vergogna borghese, fonte di avvilimento e di umiliazione, è stato completamente abolito dal potere sovietico. Da un anno esiste ormai una legislazione assolutamente libera sul divorzio. Abbiamo promulgato un decreto che abolisce la differenza tra figli legittimi e illegittimi e tutta una serie di restrizioni politiche. In nessun altro paese sono state realizzate in modo più completo l\'uguaglianza e la libertà delle donne lavoratrici. Noi sappiamo che tutto il peso delle leggi tradizionali ricade sulla donna appartenente alla classe operaia.

Per la prima volta nella storia la nostra legge ha cancellato tutto ciò che trasformava le donne in esseri senza diritti. Ma qui non si tratta della legge. La legge sulla piena libertà del matrimonio sta prendendo piede nelle nostre città e nei nostri centri industriali, ma nelle campagne resta molto spesso lettera morta. Nelle campagne continua a predominare il matrimonio religioso. Questo si deve all\'influenza dei preti, ed è un male che si combatte più difficilmente della vecchia legislazione. I pregiudizi religiosi vanno combattuti con estrema prudenza; coloro che, nel corso di questa lotta, offendono il sentimento religioso ci procurano grave danno.

Bisogna lottare per mezzo della propaganda e dell\'istruzione. Agendo brutalmente rischiamo di irritare le masse; una simile lotta acuisce la divisione delle masse per motivi religiosi; la nostra forza sta invece nell\'unità. La sorgente più profonda dei pregiudizi religiosi è nella miseria e nell\'ignoranza: contro questi mali dobbiamo batterci. La situazione della donna è tuttora quella di una schiava; la donna è schiacciata dal lavoro domestico e può trovare la sua liberazione soltanto nel socialismo…\" (nota 13).

Con l\'avvio della NEP, s\'imposero i problemi non indifferenti derivanti dalla contraddizione tra le avanzatissime norme del diritto familiare e le situazioni di fatto: quella dei figli abbandonati, della disgregazione sociale e familiare, cui era strettamente connesso l\'incremento della delinquenza giovanile. La guerra civile del 1918-1921 e la carestia del 1920-21, che seguirono dopo tre disastrosi anni di guerra, accelerarono indubbiamente lo scioglimento delle vecchie forme di vita dopo la rivoluzione. Ma tale scioglimento, in alcuni casi, assunse aspetti pericolosi.

Migliaia di famiglie, le popolazioni d\'interi villaggi dovettero emigrare nel tentativo di trovare cibo in altre regioni. In non pochi casi, le madri abbandonarono i figli, e gli uomini le mogli, lungo il cammino. Molte donne si prostituirono per nutrire se stesse e i figli. Dopo parecchie discussioni sul progetto del secondo codice di famiglia, quest\'ultimo fu approvato nel 1926 dal Soviet supremo. Contrariamente all\'opinione diffusa tra gli studiosi borghesi occidentali, secondo cui tale codice si propose di superare le contraddizioni insite in quello del 1918, esasperando le posizioni del primo legislatore in materia di libertà individuali e sessuali, esso, in realtà, rappresentò un ritiro ideologico da quello del \'18 su molti punti importanti quali il matrimonio, il divorzio, la paternità, l\'adozione e la proprietà coniugale.

Se la NEP rappresentò la risposta al caos economico e al disorientamento causati da anni di guerra estera e civile, il codice di famiglia del \'26 fu, invece, la risposta al caos sociale e familiare generato da quella situazione. Esso, in definitiva, costituì uno sforzo per tenere insieme una società profondamente disgregata. Fatto rilevante di questo codice fu il riconoscimento della validità del matrimonio non registrato, in presenza di determinate condizioni accertate dal tribunale (convivenza sotto lo stesso tetto per almeno un numero di anni, comune educazione dei figli, ecc.). Parificando le unioni \"di fatto\" a quelle registrate, il legislatore tentò di risolvere alcune situazioni concrete.

Il quadro storico di riferimento della Russia di allora era drammatico: proprio in quegli anni essa conobbe il fenomeno dilagante del rifiuto dei bambini che si tradusse con la pratica degli aborti, degli abbandoni e degli infanticidi. La moltiplicazione dei divorzi in città e, seppure in numero inferiore, in campagna, significò la crescita del numero delle unioni di fatto. Fu, quindi, necessario regolare queste unioni. La procedura di divorzio subì un\'ulteriore semplificazione, poiché nel caso in cui fosse stata consenziente una sola parte era ora sufficiente un suo atto dichiarativo presso l\'ufficio dello stato civile (dispensando tale coniuge dalla necessità di recarsi presso il tribunale). Il tribunale veniva chiamato in causa, se vi fosse stato disaccordo sugli alimenti. Nel disciplinare l\'istituto della paternità, la legge eliminò il concetto di \"responsabilità materiale collettiva\" (introdotta dal codice del \'18) dei padri putativi nei confronti del nascituro.

L\'eliminazione della responsabilità collettiva di più uomini ebbe l\'intento di provvedere ad una migliore protezione del bambino, poiché l\'esperienza sotto il codice precedente aveva dimostrato che laddove più padri putativi erano congiuntamente responsabili del suo mantenimento materiale, nessuno di loro, in realtà, si sentiva in obbligo. Al contrario, il nuovo dispositivo dette la facoltà al tribunale, in situazioni di dubbio sull\'accertamento della paternità, di responsabilizzare materialmente il padre \"presunto\" con il reddito più alto. La ricerca della paternità fu estesa anche alle madri sposate. Il diritto all\'aborto era sempre possibile, e per far fronte al fenomeno dilagante dei besprizorniki (i fanciulli abbandonati) fu ripristinato l\'istituto dell\'adozione.

Il governo, nel 1923, prendendo atto della dimensione spaventosa che stava assumendo il fenomeno dei bambini in stato di abbandono, decise di reintrodurre l\'istituto dell\'adozione, ponendolo sotto il controllo diretto dello stato e dei suoi dipartimenti di educazione. Altro provvedimento del codice fu la reintroduzione della proprietà coniugale comune riconosciuta anche per i matrimoni \"di fatto\". Se il codice del \'18 aveva come suo fondamento l\'eliminazione di ogni elemento coercitivo nei confronti della famiglia, il codice del \'26 tentò di risolvere problemi immediati e, in particolare, di tutelare meglio gli interessi delle donne e dei bambini sotto la NEP. Con questo spirito, fu reso legale il matrimonio non registrato e reintrodotta la proprietà coniugale comune. In quel periodo, molte donne erano prive di qualsiasi specializzazione lavorativa, non potevano facilmente inserirsi nella produzione sociale e in più, nelle relazioni economiche, non godevano degli stessi diritti degli uomini. La rottura di relazioni spesso pesava su di loro.

Con il ripristino della proprietà coniugale comune si vollero tutelare quelle donne che, in caso di divorzio, non avrebbero ottenuto alcun beneficio economico. Ovviamente, entrambi i codici del \'18 e del \'26 non riuscirono a cambiare da un momento all\'altro la mentalità arcaica di un paese in cui la servitù era stata abolita solo nel 1861. Le masse contadine, che costituivano la maggioranza, non erano pronte ad accettare da un giorno all\'altro dei cambiamenti tanto radicali. Numerosi furono ancora i matrimoni religiosi, e nei villaggi ci si schierò contro la legalizzazione delle unioni di fatto. Nel contesto degli anni Venti, la gente contadina ripiegava ancora sulla famiglia e il villaggio godendo di una pace relativa, e temeva qualsiasi aggressione da parte dello stato o qualsiasi spaccatura che potesse verificarsi entro il nucleo domestico.

La legge del 1936 e l\'Editto del 1944

Le norme del codice del \'26 rimasero immutate dieci anni. Poi, nel 1936 e nel 1944, intervennero due leggi a modificare alla radice i punti chiave della normativa matrimoniale e familiare. Gli anni Trenta conobbero un\'immensa emigrazione contadina verso le città. Dal 1926 al 1939, la popolazione urbana aumentò di 30 milioni, 25 dei quali erano contadini che lasciarono il villaggio per andare a lavorare nelle fabbriche (nota 14). La meccanizzazione dell\'agricoltura, durante la collettivizzazione, oltre a raddoppiare la produzione, lasciò liberi milioni di lavoratori per l\'industria.

La crescita veloce e abnorme dei centri industriali portò inizialmente a una nuova crescita (dopo quella, già notevole, degli anni Venti) del numero dei divorzi, degli aborti e a una forte diminuzione della natalità. Nel campo dei rapporti tra i sessi, all\'emancipazione femminile, con l\'accesso di milioni di donne al lavoro e allo studio, non corrispose quell\'emancipazione dei rapporti \"uomo-donna\", della famiglia e dei sentimenti sessuali e amorosi prospettata nel corso dei primi anni Venti. Anzi, il consolidamento in senso tradizionale della famiglia fu sempre più visto come una garanzia contro i fenomeni preoccupanti di disgregazione morale e sociale.

Allo scopo di agevolare le madri che lavoravano, nello svolgimento della loro doppia funzione (lavoro domestico e di cura e lavoro produttivo sociale), lo stato intervenne con una serie d\'iniziative nel settore dei servizi sociali ed educativi. Ancora alla fine degli Trenta, nonostante la tendenza ormai indiscussa a valorizzare il ruolo della donna soprattutto come moglie e madre, il tasso di presenza della forza lavoro femminile sul mercato del lavoro era alta. L\'industrializzazione, avviata con il primo piano quinquennale, aveva offerto alle donne lo strumento più importante per la loro emancipazione. Afferma la giornalista americana Anna Louise Strong: (…)

Nell\'Inghilterra capitalista la fabbrica apparve come uno strumento di profitto e di sfruttamento. Nell\'Unione sovietica, essa non fu solo uno strumento di ricchezza collettiva, ma un mezzo consapevolmente usato per spezzare vecchie catene\" (nota 15).

I provvedimenti successivi relativi al matrimonio e la famiglia furono pubblicati sotto forma di editto l\'8 luglio 1944. Innanzitutto, fu confermato ed esteso, nell\'Unione sovietica distrutta dalla guerra, il piano per la costruzione intensiva d\'istituti per l\'infanzia. Le immense perdite umane subite dall\'Unione Sovietica, durante la guerra, spiegarono l\'accresciuto aiuto materiale dello stato alle madri sposate e nubili. L\'evoluzione giuridica in materia matrimoniale e familiare, abbozzata nel 1936, proseguì nel 1944: soltanto i matrimoni registrati beneficiarono della protezione della legge (le norme del 1926 sul valore giuridico del matrimonio di fatto furono annullate); le madri di famiglie numerose ricevevano vari titoli onorifici e medaglie, ma la donna che abortiva rischiava di essere perseguita penalmente. I divorzi furono tutti soggetti a procedura giudiziaria.

Le leggi emanate nel \'36 e nel \'44 ebbero come conseguenza l\'aumento degli aborti clandestini e il dimezzamento dei divorzi. Le ragioni dei provvedimenti legislativi assunti nel \'44, in materia matrimoniale e familiare, devono essere ricercate negli sconvolgimenti che seguirono alla guerra del 1941-1945: vista la gravità della discrepanza numerica tra i sessi che si era venuta creare dopo la Grande Guerra Patriottica, e il bisogno di un incremento notevole dei tassi di fertilità, Stalin scelse la strada della ricostruzione del nucleo familiare, non solo riconoscendo le famiglie legali ma, legittimando - com\'è stato detto - la \"maternità in stato di nubilato\". Nel 1943, la coeducazione (classi miste) fu abolita.

Stalin motivò l\'abolizione della coeducazione per evitare \"qualsiasi copertura delle specifiche caratteristiche di genere della popolazione a forte rilevanza sociale\": \"Nella fase che è passata, lo stato sovietico ha pienamente e speditamente eliminato dalle menti della gente ogni idea dell\'ineguaglianza sociale dei sessi e ogni espressione di quest\'idea dalla vita quotidiana. Ora noi affrontiamo un nuovo e non meno importante compito. Esso è, soprattutto, quello di rafforzare la nostra primaria unità sociale, la famiglia socialista, sulla base del pieno sviluppo delle caratteristiche maschili e femminili nel padre e nella madre, come capi della famiglia con eguali diritti. L\'istruzione nelle nostre scuole fu nel passato coeducazionale allo scopo di superare, il più velocemente possibile, l\'ineguaglianza sociale dei sessi, radicata nei secoli. Ma ciò che noi dobbiamo ora costruire è un sistema attraverso cui la scuola sviluppi ragazzi che saranno buoni padri ma soprattutto combattenti per la patria socialista e ragazze che saranno madri intelligenti idonee ad allevare le nuove generazioni\" (nota 16).

I contraccolpi negativi delle leggi sulla donna e la famiglia del \'36 e \'44 si fecero sentire presto, man mano che la società sovietica ritrovava un suo equilibrio e si avviava verso la normalità, dopo la convulsa e drammatica fase della ricostruzione post-bellica. Bisognerà aspettare, tuttavia, la legislazione di famiglia del 1968 per vedere di nuovo modificato a fondo l\'impianto dato a questo settore dalla legge del \'44, largamente ispirata al familismo e alla concezione della donna come \"angelo del focolare\".

Note

1) C. Carpinelli, Donne e famiglia nella Russia sovietica. Caduta di un mito bolscevico, Franco Angeli, Milano, 1998, p. 8.

2) I.A. Kurganov, \"Ženščiny v narodnom chozjajstve\" in Ženščiny i Kommunizm, New-York, 1968, pp. 57-107.

3) C. Carpinelli, Donne e povertà nella Russia di E\'lcin. L\'era della transizione liberale, Franco Angeli, Milano, 2004, p. 131. 16 Novembre 2017 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli

4) B. Clements Evans, Daughters of Revolution: a History of Women in the Ussr, Davidson, Inc., Arlington Heights, ILL, 1994.

5) Si fa qui riferimento ai primi due codici russi del 1918 e del 1926.

6) H. Johnson, The Soviet Power, International Publisher, New York, 1940

7) Ivi, p. 228.

8) Ivi, p. 221. Antonio Gramsci oggi 17 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli

9) E.H. Carr, Il socialismo in un solo paese, tomo I, Einaudi, 1970, pp. 29-30.

10) A. Goldmann, Gli anni ruggenti (1919-1929), Giunti, Firenze, p. 90.

11) R. Schlesinger, The Family in the Ussr: Documents and Readings, London, 1949, p. 15.

12) M. Geller, A. Nekrič, Storia dell\'Urss, cit., p. 191.

13) V.I. Lenin, Polnoe sobranie sočinenij, 4 ediz., vol. XXVIII, Moskva, p. 160. Antonio Gramsci oggi19 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli

14) N. Werth, Storia dell\'Unione Sovietica, il Mulino, 1993, p. 310.

15) A.L. Strong, L\'era di Stalin, Edizioni Rapporti Sociali, 1997, p. 78. 20\' Novembre 2017 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli

16) Citato in M. Tsuzmer, Soviet War News, n. 6, nov. 1943, p. 8.



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