LA SEZIONE ANPI-VZPI DEL CORO PARTIGIANO TRIESTINO
INTITOLATA A QUATTRO CADUTI ANTIFASCISTI:

BIDOVEC - MARUSIC - MILOS - VALENCIC

Trieste, 24 aprile 1988

Il territorio del Litorale, occupato dall'esercito
italiano nel 1918 e annesso all'Italia con l'accordo
di Rapallo del 1921 veniva comunemente identificato
nel periodo tra le due ultime guerre con il nome di
Venezia Giulia. Dopo il 1924 anche la citta' di
Fiume apparteneva all'Italia.
Si puo' stimare che dopo la grande guerra sul
territorio identificato comunemente come Venezia
Giulia vivevano almeno 550.000 sloveni e croati, dei
quali oltre 300.000 sloveni, cioe' - secondo i dati
di allora - quasi 1/3 del popolo sloveno.
Con l'annessione della regione all'Italia crollava
anche un sistema economico che aveva assicurato al
territorio un costante sviluppo: i nuovi confini
statali limitarono gli scambi economici, le
relazioni con l'entroterra naturale venivano
interrotte. Ne segui' un'inevitabile crisi
economica e sociale che colpi', come sempre, le
classi piu' deboli: i contadini e gli operai,
costretti ad emigrare. Il periodo che precedette
la prima guerra mondiale fu caratterizzato
dall'emigrazione dalle campagne nelle citta',
quello successivo dall'emigrazione verso l'estero.
Nel periodo tra le due guerre l'emigrazione degli
sloveni e dei croati divenne un fenomeno di massa,
provocato dalla nuova situazione socio-economica,
ma influenzato in maniera determinante dalle
pressioni di carattere nazionale e politico.

Nei primi anni che seguirono la guerra, emigrarono
- o meglio furono costretti ad emigrare - gli
sloveni ed i croati che erano venuti nel Litorale
per ragioni di servizio: impiegati, ferrovieri,
maestri, in genere i dipendenti del pubblico
impiego. Soprattutto gli intellettuali, ritenuti
elementi pericolosi per il sistema, venivano
sistematicamente discriminati dalle autorita'
italiane che facevano di tutto per costringerli
ad andare oltre confine, in Jugoslavia. Molti
preferirono andarsene anche per sfuggire all'incerto
clima politico, le scarse prospettive economiche
non potevano che favorire il fenomeno. Dopo il 1926
con l'accentuarsi delle pressioni del regime
fascista l'emigrazione degli sloveni raggiunse
il culmine. Furono obbligati ad andarsene tutti
gli uomini politici, gli uomini di cultura, gli
insegnanti, gli impiegati, i contadini che
perdevano le proprie terre in quanto non erano
in grado di restituire i prestiti che avevano
contratto a tassi di usura per sfamare le proprie
famiglie. Le ragazze contadine andavano a lavorare
come domestiche, o meglio allora come �serve�,
presso le famiglie benestanti di tutta l'Italia;
molte emigrarono in Egitto. Un'ondata particolare
si ebbe nel 1935, quando molti giovani scapparono
in Jugoslavia per sottrarsi alla guerra di Abissinia.
Nel periodo tra le due guerre se ne andarono in
Jugoslavia almeno 70.000 tra sloveni e croati,
30.000 emigrarono nell'America del Sud (20.000
nella sola Argentina), oltre 5.000 trovarono una
sistemazione nei vari paesi europei. Si tratta di
cifre impressionanti, che parlano da sole ed
indicano chiaramente a quali pressioni veniva
sottoposta la popolazione slava della Venezia
Giulia. Nel frattempo era nato un notevole flusso
immigratorio: dall'interno dell'Italia giungevano
i funzionari statali, i poliziotti, i miliziani
fascisti, i medici, gli insegnanti ecc. Tra la
fine della guerra ed il 1931 immigrarono nella
Venezia Giulia oltre 130.000 italiani.

Le autorita italiane erano giunte nel Litorale
completamente impreparate: non avevano previsto
l'incontro con un'altra comunita' nazionale ed
avevano affrontato il problema con il ricorso
alle misure di polizia, con l'intento di eliminare
tutto cio' che avrebbe potuto in qualsiasi maniera
minacciare i cosiddetti �interessi nazionali�
dello stato italiano.
I1 13 luglio 1920 i fascisti bruciarono la Casa di
cultura Balkan a Trieste, sede di tutte le
principali organizzazioni politiche, economiche e
culturali, il segnale era chiaro: agli sloveni ed
ai croati che vivevano in Italia non si doveva
permettere alcuna forma di sviluppo nazionale.
Due mesi dopo il criminale incendio del Balkan
fu proclamato nella Venezia Giulia uno sciopero
generale; gli operai chiedevano l'abolizione
delle leggi speciali e volevano impedire la
crescita del movimento fascista, che aveva gia'
iniziato ad attaccare ed a distruggere le sedi
operaie. L'insuccesso dello sciopero rafforzo'
il movimento nazionalista, i fascisti si posero
alla testa di tutte le forze conservatrici.

La violenza fascista si estese rapidamente ed
assunse nel 1921 il carattere di una vera e
propria offensiva che duro' fino all'ascesa dei
fascisti al potere nell'ottobre del 1922. Il
movimento fascista - con l'appoggio finanziario
della borghesia - si era rafforzato
numericamente ed era in grado di sviluppare la
violenza e di terrorizzare la popolazione. Le
squadre di azione fascista, formate da 30 - 50
uomini armati iniziarono delle vere e proprie
spedizioni punitive contro gli sloveni ed i
croati, sia nelle citta' che nei paesi.
Il terrore raggiunse il culmine durante la
campagna elettorale nell'aprile e maggio del
1921. Secondo i dati degli storici italiani
sino alla fine del 1921 vennero bruciati o
distrutti nella Venezia Giulia 134 edifici, tra
i quali 100 sedi delle associazioni culturali
slovene, del partito comunista o del movimento
operaio, oltre a 21 case operaie e tre
cooperative. Tutte le autorita' costituite,
comprese il commissariato civile, l'esercito,
la polizia ed i carabinieri appoggiavano i
fascisti, che potevano cosi liberamente
svolgere le proprie azioni criminose.
La violenza e la sopraffazione fascista, ormai
generalizzate in tutta la penisola, raggiunsero
dei toni particolarmente aspri nella Venezia
Giulia, dove due erano gli avversari da colpire:
il movimento operaio e gli sloveni ed i croati.
La crescita del fascismo fu favorita da vari
fattori: soprattutto dalla mentalita'
antidemocratica e nazionalista della classe
borghese, dall'incapacita' operativa delle forze
progressiste e del movimento operaio, della
profonda crisi economica, dall'atteggiamento
permissivo e di fatto fiancheggiatore delle
autorita'.

Da una parte quindi la subordinata posizione
economica degli sloveni e dei croati aveva
costituito la premessa per lo sviluppo del
comunismo, dall'altro il nazionalismo e lo
sciovinismo avevano fatto da molla per il
successo del fascismo. Da qui anche
l'equiparazione del fascismo con l'italianita'
e del comunismo con lo slavismo. Gli scontri
sociali tra il comunismo ed il fascismo
riaccesero vecchi rancori nazionali tra gli
sloveni e gli italiani. In questa situazione
conflittuale il fascismo si identificava con
la difesa degli interessi nazionali italiani;
la lotta contro il movimento operaio era in
realta' una lotta contro lo sviluppo della
comunita' slava. Il fascismo si erse cosi' a
difensore ufficiale dell'italianita' di queste
terre che l'Italia voleva da parte sua assimilare
ed italianizzare. Questa �missione� venne di
fatto mitizzata e rappresento' nello stesso tempo
la linea politica statale.

Il 28 ottobre del 1922 il fascismo assunse con la
marcia su Roma anche formalmente il potere. Nella
Venezia Giulia questa svolta non porto' a dei
mutamenti radicali in quanto il fascismo aveva di
fatto gia' in precedenza assunto il controllo
della situazione. Il governo fascista soppresse
nel 1926 tutte le istituzioni democratiche e
diede vita ad un regime totalitario. I rapporti
del fascismo con la comunita' slovena e croata
rappresentano un capitolo a parte. La
snazionalizzazione e la assimilazione divennero
due punti fermi della politica del regime e si
fondavano sulla concezione nazionalimperialistica
che gli slavi erano una razza inferiore.
Oltre alle leggi speciali, che colpivano in modo
indiscriminato tutte le forze democratiche, si
dimostrarono come fatali per l'esistenza delle
comunita' nazionali slovena e croata le decisioni
ad hoc assunte dai segretari del partito fascista
delle province di confine nella conferenza del
12 giugno 1927, ratificate poi dai prefetti
competenti e dallo stesso Mussolini. I gerarchi
fascisti constatarono �che gli insegnanti ed i
preti sloveni, le loro associazioni culturali e
tutto il resto rappresentavano qualcosa di
anacronistico ed anomalo che non poteva essere
tollerato in una regione annessa�. Logica
conseguenza di questa tesi fu la richiesta di
una rapida italianizzazione di queste province;
la soppressione definitiva di quello che era
rimasto delle scuole, dei circoli della stampa
slovena ecc. La lingua slovena doveva essere
considerata come un semplice dialetto destinato
a scomparire ed a trasformarsi, sotto l'influsso
delle citta', in �dialetto italiano�.
Il programma della totale fascistizzazione ed
assimilazione degli sloveni stilato nel 1927
non fu altro che la conseguenza di un'azione
condotta in tal senso gia' da otto anni e
rappresento' il colpo di grazia per quel poco
che era rimasto delle organizzazioni slave.

La dittatura fascista, nata e fondata sulla
violenza, provoco' la reazione e l'opposizione
di tutte le forze democratiche italiane e le
piu' svariate forme di lotta. Nella comunita'
slovena l'opposizione al fascismo assunse un
carattere plebiscitario e si estese a tutti
gli strati sociali, sotto la guida prevalente
di due organizzazioni clandestine: quella
comunista e quella nazionalrivoluzionaria.
Il movimento comunista della Venezia Giulia -
che operava ormai da anni nella clandestinita'
ed includeva gli operai italiani, sloveni e
croati - fu colpito duramente dalle leggi
speciali fasciste e subi' delle perdite
maggiori rispetto a quelle sofferte dal
movimento patriottico. I suoi dirigenti piu'
in vista furono costretti ad emigrare o
vennero confinati, il loro posto fu preso
dalle giovani leve. Il numero degli attivisti
e degli iscritti comunisti fluttuava
continuamente sia per gli arresti che per
l'emigrazione, ed e' quindi difficile
stabilire l'entita' esatta. Il partito, pur
operando nella clandestinita', organizzo' un
movimento sindacale, dei comitati antifascisti,
curo' il cosiddetto �soccorso rosso� a favore
delle vittime del regime. Il giornale �Delo�
(II Lavoro), portavoce degli ideali comunisti
tra gli sloveni, veniva diffuso clandestinamente
sin dal 1926, nel 1927 e 1928 nella periferia di
Gorizia, nel 1929 a Lubiana, tra il 1933 ed il
1935 a Rence ed a Volcja Draga, tra il 1937 ed
il 1940 anche a Sgonico e Divaccia. Gli
attivisti comunisti tendevano soprattutto a
diffondere e consolidare gli ideali rivoluzionari
ed antifascisti, mobilitando le masse.
II Partito comunista italiano non aveva dedicato
negli anni immediatamente susseguenti alla sua
costituzione (1921-1926) una particolare
attenzione al problema delle minoranze nazionali:
riconosceva il principio generale dell'auto-
determinazione a favore di tutti i popoli ed
identificava la soluzione del problema nazionale
con la vittoria della rivoluzione proletaria.
Dopo ii 1924 i comunisti sloveni constatarono
che avrebbero potuto mantenere ed anche aumentare
la loro influenza sulle masse facendo proprie le
richieste delle minoranze nazionali, collegando
la lotta per lo sviluppo sociale con quella per
i diritti nazionali. Un gruppo di giovani
comunisti indico' la soluzione del problema
nazionale secondo i principi leninisti: bisognava
riconoscere agli sloveni ed ai croati il diritto
all'autodeterminazione, con il conseguente
distacco dall'Italia e la costituzione di
repubbliche operaie e contadine, riunite in una
federazione di repubbliche balcaniche. Il
principio fu accolto nel 1926 dal terzo congresso
del Partito comunista italiano, che inizio'
successivamente ad adoperarsi attivamente per la
costituzione di un fronte unitario tra tutti gli
strati sociali della popolazione slovena. Le
associazioni culturali clandestine erano le
migliori portatrici, il veicolo ideale, per la
diffusione di questo spirito unitario, che aveva
come punto fermo la lotta al fascismo.

Sino al 1930 era rilevante anche l'attivita'
clandestina dell'organizzazione nazional-
rivoluzionaria �BORBA �, formata dai giovani
patrioti progressisti che sostenevano la
necessita' di una lotta armata contro il
fascismo, alla violenza ed alla sopraffazione
del regime bisognava rispondere con la forza.
Il movimento BORBA crebbe nel 1927, dopo lo
scioglimento di tutti i circoli culturali sloveni.
II suo programma d'azione prevedeva delle azioni
violente contro le organizzazioni fasciste, in
modo da richiamare l'attenzione dell'opinione
pubblica mondiale sul problema delle minoranze
nazionali che vivevano in Italia e di intimorire
cosi' i portatori ed i fautori della politica
snazionalizzatrice. Bisognava inoltre convincere
le masse che una resistenza attiva ed armata era
possibile, divulgare l'odio contro il fascismo;
impedire l'attivita' dei rinnegati e dei traditori,
collegare la lotta per l'esistenza nazionale con
quella per la giustizia sociale. Queste azioni
fecero guadagnare al movimento l'attenzione e la
simpatia delle masse. Nella maggioranza dei casi
il regime non riusci' ad individuare gli
esecutori materiali degli episodi di lotta, pur
arrestando un gran numero di persone. Nel 1929
la polizia arresto' in Istria un gruppo di
nazionalrivoluzionari, il processo si svolse a
Pola tra il 14 ed il 17 ottobre davanti al
Tribunale speciale fascista e si concluse con la
fucilazione di Vladimir Gortan.
Nella parte slovena della Venezia Giulia
l'organizzazione venne scoperta nella primavera
del 1930 in seguito all'attentato dinamitardo
contro la sede della redazione del quotidiano
�Il Popolo di Trieste�. Dall'1 al 5 settembre si
svolse davanti al Tribunale speciale fascista il
noto primo processo triestino: Ferdo Bidovec,
Franjo Marusic, Zvonimir Milos e Alojz Valencic,
quattro giovani eroi, vennero condannati a morte
e fucilati a Basovizza. Le condanne a morte
sortirono pero' l'effetto contrario a quello
atteso dalle autorita' fasciste.

Dopo il 1930 il Partito comunista italiano
inizio' a conformare la propria attivita' alle
posizioni dei comunisti jugoslavi. I due partiti
si consultarono nel gennaio del 1930 e si
accordarono per un'azione unitaria; tra l'altro
decisero che il giornale �Delo� doveva diventare
la voce ufficiale dei due partiti per gli
sloveni che vivevano in Italia ed in Jugoslavia.
II �Delo� usci' tra il 1930-35 come organo
ufficiale comune dei due partiti e dedico' una
particolare attenzione alla problematica slovena.
Nel 1934 il Partito comunista italiano, quello
austriaco e quello jugoslavo votarono un
documento comune in merito alla soluzione del
problema nazionale sloveno, si dichiararono
contrari alla divisione coatta del popolo sloveno
e si impegnarono a sostenere il suo diritto alla
autodeterminazione. Si era verificato cosi' un
importante passo qualitativo nei confronti della
politica nazionale, per i comunisti sloveni dei
tre paesi la dichiarazione segno' l'inizio di
una nuova era che porto' successivamente alla
lotta di liberazione nazionale, con il fine di
costituire una Slovenia unita ed indipendente.
La dichiarazione dei tre partiti comunisti venne
assunta in circostanze molto delicate ed ha un
rilevante valore storico, significo' anche la
volonta' della ricerca di un collegamento tra
tutte le forze democratiche, al fine di arrivare
alla costituzione di un fronte unitario
antifascista.
Come logica conseguenza della ricerca di una
azione unitaria fu concordato nel 1936 un patto
di collaborazione tra i comunisti ed i nazional-
rivoluzionari TIGR. Le due parti si impegnarono
a dar vita ad un fronte popolare sloveno e croato
e di collegarlo con quello italiano. Il Partito
comunista italiano siglo' cosi' per la prima
volta un accordo con un movimento non operaio.

L'unita' operativa raggiunta tra il Partito
comunista italiano ed il movimento nazional-
rivoluzionario non era altro che il riflesso
dell'atteggiamento assunto in tal senso dalle
masse. L'antifascismo era tra gli sloveni ormai
generalizzato; dopo lo scioglimento coatto
delle associazioni economiche, sportive,
assistenziali, creditizie, in genere di tutte
le attivita' delle minoranze nazionali,
l'attivita' delle stesse continuo' nella
clandestinita', si svolse nelle case, durante
le escursioni e le gite, si trasferi' nelle
chiese ecc. Ogni casa slovena si trasformo' in
scuola, in ogni chiesa venivano diffuse la
lingua slovena ed i canti popolari. Era
necessario lottare uniti contro il nemico
comune per mantenere l'identita' nazionale e
per sopravvivere come popolo; le tradizionali
differenze ideologiche tra i cattolici ed i
liberali si affievolirono, fino a scomparire
del tutto, soprattutto nei paesi.

Nacque cosi' un unitario fronte nazionale
antifascista, come movimento di massa molto
attivo, il che traspare chiaramente anche dai
verbali della polizia. Unitamente a quelle
rosse apparvero anche le prime bandiere slovene,
si moltiplicarono le scritte contro il regime,
si distribuivano volantini, giornali;
l'atteggiamento antifascista della popolazione
diventava sempre piu' evidente. L'elevatissimo
numero delle denunce spiccate dalla polizia
rappresenta una prova evidente della crescente
attivita' antifascista, che si accentuo' con
l'approssimarsi della guerra. Il sistema
adotto' contro gli sloveni dei metodi di
repressione molto duri: dall'ammonimento, al
domicilio coatto, al confino, alle condanne del
Tribunale speciale fascista per la difesa dello
Stato. Tra il 1927 ed il 1943 si svolsero 131
procedimenti processuali contro 544 imputati
sloveni e croati. Il rapporto tra le condanne
emesse contro gli antifascisti italiani e
quelli sloveni o croati era di uno contro dieci;
delle 42 condanne a morte, ben 33 riguardavano
imputati sloveni e croati. Dieci esecuzioni
capitali vennero richieste dal Tribunale
speciale nel periodo che precedette l'inizio
della lotta di liberazione nazionale.

Con l'avvicinarsi del nuovo conflitto mondiale
l'attivita' antifascista si intensifico' in
tutti i settori. In tali circostanze si offriva
ai comunisti sloveni un'occasione favorevole per
l'organizzazione di un fronte antifascista. In
particolare Pinko Tomazic percepi' le condizioni,
allora particolarmente favorevoli, e stese dopo
il 1937 un nuovo programma che rivendicava la
costituzione di una repubblica autonoma slovena
di tipo sovietico, che doveva nascere
dall'unione di tutte le forze progressiste
slovene in un unico fronte antifascista,
collegato con il movimento progressista italiano.
Pinko Tomazic ed i suoi compagni riuscirono a far
conoscere questo loro programma con l'attivita'
clandestina dei circoli culturali, in modo
particolare tra la gioventu' triestina e
goriziana. Negli anni 1939-40 si puo' gia' parlare
dell'esistenza nella Venezia Giulia di un fronte
antifascista sloveno, secondo le previsioni
programmatiche del Tomazic. Si era ormai
consolidata la collaborazione e l'unita' operativa
tra la gioventu' comunista e quella nazional-
liberale e cristianosociale; veniva anche
mantenuto il collegamento operativo tra i
nazionalrivoluzionari ed i comunisti.

Nell'estate del 1940 il servizio segreto fascista
(0VRA) riusci' a colpire in modo vitale il
movimento unitario nella sua fase di sviluppo.
Riusci' a scoprire nove depositi clandestini di
armi e munizioni, una stazione ricetrasmittente,
tre tipografle ed una montagna di pubblicazioni
illegali. Vennero arrestate 300 persone; 240
vennero condannate al confino, al domicilio
coatto o vennero ammonite in modo formale. I
sessanta elementi piu' rappresentativi,
considerati come i maggiori responsabili,
vennero consegnati dalla polizia al Tribunale
speciale fascista, che li divise in tre gruppi:
26 comunisti, 12 nazionalrivoluzionari, 22
intellettuali. Tutti insieme vennero sottoposti
al cosiddetto secondo processo triestino, nel
dicembre del 1941. Tutto il movimento aveva un
fine comune anche se traeva la propria origine
in matrici ideologiche diverse, il che emerse
chiaramente dagli atti processuali. Il fine
comune era rappresentato dalla liberazione di
tutte le comunita' nazionali iugoslave dalla
dittatura fascista. Il processo si svolse tra
il 2 ed il 14 dicembre del 1941, quando nel
Litorale gia' divampava la lotta di liberazione
nazionale. Le condanne del Tribunale speciale
furono molto dure; il regime fascista voleva
cosi' intimorire la popolazione che si stava
ormai ribellando apertamente. Il 15 dicembre
del 1941 vennero fucilati nel poligono di
Opicina il comunista Pinko Tomazic ed i
nazionalrivoluzionari Viktor Bobek, Simon Kos,
Ivan lvancic e Ivan Vadnal. Essi divennero con
Vladimir Gortan ed i quattro eroi fucilati a
Basovizza il simbolo della lotta antifascista
per la liberazione degli sloveni del Litorale.

La costituzione del fronte di liberazione
nazionale sloveno nell'aprile del 1941 segno'
l'inizio di una generale resistenza armata che
inizio' nel Litorale contestualmente a quella
delle altre regioni slovene; il fine era comune:
scacciare l'occupatore, riunire tutti gli
sloveni e trasformare la struttura sociale. Il
fronte di liberazione nazionale non avrebbe
potuto comunque svilupparsi tanto rapidamente
nel Litorale se nel periodo precedente non vi
fosse stato un forte movimento antifascista. La
lotta armata non fu che la logica conseguenza
della resistenza precedente e si concretizzo'
nel 1945 con la sconfttta del fascismo e la
liberazione nazionale.
Ricordando questi fatti storici dobbiamo anche
cercare di cogliere il collegamento con il
presente; la conoscenza del passato puo' e
deve aiutarci a comprendere la situazione attuale.
II consolidamento della nostra identita'
nazionale deve accompagnarsi ad una sempre
maggiore collaborazione ed alla ricerca
dell'appoggio delle forze democratiche e
progressiste italiane. Gli ideali della
resistenza e della lotta di liberazione
nazionale vanno tramandati ai giovani, che
devono farli propri. Solo cosi' saremo certi
che i sacrifici sostenuti dalle precedenti
generazioni, dai compagni caduti, avranno un
seguito ideale. Cerchiamo di prendere ad esempio
coloro che hanno vissuto, lottato e sacrificato
la propria vita per la liberta', per una societa'
piu' equa, per un domani migliore, per la vittoria
contro l'oscurantismo fascista.

---

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