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Operazione OLUJA: La Croazia più nera festeggia i suoi delitti

1. La Croazia più nera festeggia i suoi delitti (G. Scotti)

2. Ten years on, Croatian Serb refugees have no hope of return (F. Rodic)
3. More links


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http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/09-Agosto-2005/art81.html

il manifesto - 09 Agosto 2005 REPORTAGE

La Croazia più nera festeggia i suoi delitti

Ustascia e fascisti a Knin inneggiano alla sanguinosa pulizia etnica
del `95


La cacciata dalla Krajina dei civili serbi - i profughi furono oltre
300mila - si protrasse per una decina di giorni, durante i quali i
militari croati saccheggiarono, uccisero, fecero saltare o
incendiarono le case dei serbi, massacrando quasi tutti i civili che,
per vecchiaia, malattie o altri motivi erano rimasti nelle case
GIACOMO SCOTTI

KNIN - Nel 1991, su un territorio di oltre diecimila chilometri
quadrati comprendente le regioni croate della Lika, Kordun e Banija
abitate sin dal XV secolo da popolazioni serbo-ortodosse fuggite dai
territori invasi dai turchi, fu costituita la secessionista
«Repubblica serba di Krajina». Con l'operazione «Tempesta»,
protrattasi dalle 5 del mattino del 4 agosto 1995 alle ore 18 del 7
agosto, un esercito croato di 150mila uomini invase ed occupò quel
territorio, ripulendolo dell'intera popolazione che in interminabili
colonne abbandonò i campi, le case, le greggi, ogni bene, perfino i
pasti ancora caldi sulla tavola per raggiungere con auto, trattori ed
altri mezzi la Bosnia e la Serbia. Molti restarono morti lungo la
strada, mitragliati da terra e dal cielo o vittime di sassaiole e
linciaggi mentre attraversavano i territori croati. Sul piano militare
l'operazione durò 84 ore, ma la cacciata dal territorio delle
popolazioni civili - i profughi serbi ammontarono ad oltre 300mila -
si protrasse per una decina di giorni, durante i quali i «liberatori»
misero la regione abbandonata a ferro e a fuoco: saccheggiarono,
uccisero, fecero saltare in aria con la dinamite o distrussero col
fuoco le case dei serbi, massacrando quasi tutti i civili che, per
vecchiaia, malattie o altri motivi erano rimasti nelle case. Le
uccisioni e le distruzioni continuarono per circa due anni. Chi scrive
le ha documentate nel suo libro "Croazia, Operazione Tempesta", uscito
nel 1996 [Gamberetti editore, ndCNJ] e nella raccolta di testimonianze
dei superstiti pubblicate in Storie di profughi e massacri del 2001.
Il numero finora accertato dei civili massacrati supera i 2.500.

Uccisi anche al ritorno

Dei profughi finora sono tornati alle loro case poco più di 100mila,
in gran parte vecchi. Di essi una ventina sono stati uccisi al
ritorno, dopo il ripristino della democrazia. Il rientro degli esuli,
già ostacolato in ogni modo da Tudjman, anche con azioni terroristiche
dei suoi «eroi» di guerra, incontra difficoltà anche oggi. Nei passati
giorni di luglio un vecchio è stato ucciso dai soliti ignoti a Karin e
due fratelli ultrasettantenni sono stati selvaggiamente bastonati.
Certo, sono atti di terrorismo sporadici, la situazione è molto
migliore che in passato: gran parte delle case distrutte sono state
ricostruite, grazie anche agli aiuti internazionali; sono centinaia i
consiglieri serbi eletti nelle Assemblee comunali e cittadine da un
capo all'altro dell'ex «Krajina»; a Knin, il capoluogo, per un pelo
non hanno conquistato la maggioranza nelle elezioni amministrative
della scorsa primavera; nel parlamento croato i serbi hanno tre
deputati, nel governo una decina di sottosegretari di stato. Ma la
presenza in quella che fu la Krajina di parecchie decine di migliaia
di «croatissimi» bosniaci con i quali Tudjman tentò di colonizzare la
regione, riuscendoci in parte, e di quei «superpatrioti» che già
durante la guerra arraffarono tutto quel che poterono arraffare e
tuttora restano radicati nelle case tolte ai serbi, insieme alle
provocazioni non solo politiche dei neoustascia che scorrazzano
dappertutto, rende l'atmosfera pesante, la vita difficile, la
convivenza fra le etnie diverse quasi impossibile. Come se non
bastasse, manca il lavoro.

Ma perché dire queste cose oggi, a dieci anni dalla «vittoriosa
conclusione dell'Operazione Tempesta», mentre ancora riecheggiano gli
echi della festa nazionale croata, durante la quale l'«antica capitale
dei re croati», Knin, ha ospitato i massimi esponenti della Croazia
per le celebrazioni? C'erano tutti a Knin, eccetto il generale Ante
Gotovina, già comandante del settore sud di quell'operazione - un
generale da quattro anni in fuga, ricercato per crimini di guerra dal
Tribunale internazionale dell'Aja. C'erano anche gli altri generali
suoi amici e c'erano coloro che presero parte ai massacri, ai
saccheggi e distruzioni durante e dopo la «Tempesta». A Knin le
celebrazioni sono state due, parallele: da una parte il capo dello
stato Stipe Mesic e il premier Ivo Sanader con tutte le autorità,
uniti nei discorsi, sulla tribuna davanti alla quale sono sfilati i
reparti dell'esercito e in altre cerimonie; dall'altra una ventina di
generali «superpatrioti» cacciati da Mesic dall'esercito per
indegnità, che - insieme ad alcune centinaia di neoustascia e altri
fascisti - hanno progettato ed attuato provocazioni, sfilate,
cerimonie religiose. Sull'intera Croazia splendeva il sole ma su Knin
e sul tratto della Dalmazia dominato dalla catena del Velebit, dalla
quale una parte dell'esercito croato si precipitò sulla Krajina dieci
anni fa, infuriava una vera tempesta, con bora che soffiava a duecento
all'ora. Il terribile vento ha anche stracciato l'enorme bandiera
lunga venticinque metri che fu piantata da Tudjman sulla fortezza
turco-veneziana di Tenin/Knin il 7 agosto del `95, quando il defunto
«Supremo» esclamò: «Finalmente il tumore serbo è stato strappato dalla
carne croata!». Alludeva alla finalità, raggiunta, della «Tempesta»:
la pulizia etnica.

Nel suo discorso, il capo dello stato Mesic ha avuto il coraggio -
affrontando bordate di fischi e di insulti, tra cui il solito
«Zingaro, zingaro», a lui rivolte da alcune centinaia di superpatrioti
allo stadio - di condannare i crimini compiuti durante e dopo la
«Tempesta». Ha additato alla Croazia «la strada da percorrere in
futuro: quella della tolleranza, della convivenza nel pluralismo,
senza più odi». I neoustascia hanno scandito, interrompendolo: «Ante,
Ante!». Hanno voluto esaltare due «eroi»: Ante Pavelic, il «duce» che
nel 1941-1945 terrorizzò la Croazia alla cui testa era stato posto da
Mussolini e Hitler, facendo trucidare centinaia di migliaia di serbi,
zingari ed ebrei, ed Ante Gotovina, l'«eroe» fuggiasco la cui immagine
è stata riprodotta su centinaia di magliette e su grandi fotografie
che i suoi sostenitori neri andavano offrendo provocatoriamente per le
strade di Knin, cantando inni fascisti e sventolando stendardi
nero-teschiati. Una gigantografia di Gotovina è stata piantata e
cementata sulla pietraia carsica. I promotori delle provocazioni, i
generali a riposo, hanno dato un nome alle loro contro-celebrazioni:
«Insorgiamo per la Croazia», un invito alla rivolta contro lo stato
democratico. Uno dei pochi serbi che si sono arrischiati a sporgere il
naso fuori della porta di casa, una donna, ha voluto stringere la mano
al presidente Mesic dicendogli semplicemente: «Stipe, sole mio!».

Slogan ustascia nell'osteria

In osteria riconosco un gruppo di uomini che urlano slogan ustascia
esibendo magliette con l'effige dell'«eroe» Gotovina. Li riconosco,
avendone vista la fotografia sui giornali più volte alcuni anni
addietro; furono processati e condannati per strage di civili nell'ex
Krajina. Le pene furono basse, poi intervennero amnistie ed eccoli di
nuovo liberi a ubriacarsi. Ecco dall'osteria subito dopo averli
riconosciuti, son gente pericolosa, mi dico. Fuori, sulla strada, mi
ferma un istriano di Pola che mi chiama per nome e cognome. E' stato
combattente dell'esercito croato con una brigata istriana nel `95;
insieme a croati e italiani di Pola, Dignano, Gallesano, Albona, fu
impegnato dapprima nella «liberazione» della Krajina e poi nei
rastrellamenti. Il conoscente polese mi racconta un aneddoto mai prima
d'ora sentito.

La sua ed altre brigate addette a rastrellare i boschi e i monti
avevano l'ordine di non fare prigionieri, dice. Un giorno, durante il
rancio, gli istriani intonarono un canto popolare istro-veneto, «La
mula de Parenzo», seguita dalla nostalgica canzone «Varda la luna,
come che la cammina, la passa i monti, il mare e la marina». Nel bel
mezzo, il canto venne interrotto dall'apparizione sulla scena di una
ventina di soldati nell'uniforme della Krajina con i fucili e mitra a
tracolla e le braccia alzate. Si arrendevano. A quel punto, con un
secco comando in lingua croata, il comandante del reparto istriano,
istriano pure lui, ordinò ai suoi uomini di raccogliere le armi
offerte dal nemico. Solo allora, ascoltando quell'ordine nella comune
lingua croato-serba, i serbi compresero di essersi arresi all'esercito
di Tudjman. La loro morte, pensarono, era sicura. Spiegarono, dopo, di
essere stati tratti in inganno dalle canzoni. Una lingua straniera,
dunque erano soldati dell'Uncro, soldati dell'Onu... Il comandante del
reparto, nel consegnarli al più alto comando, consegnò pure la lista
di nomi e cognomi dei prigionieri, dicendo: «Verremo a trovarli, e
vogliamo trovarli tutti vivi!». Forse lo sono ancora, gli unici
sopravvissuti fra i prigionieri fatti nella «Tempesta».

Il battaglione Garibaldi

Voglio raccontare anche un altro aneddoto, più breve. I serbi della
Krajina si vantavano dicendo che nel loro esercito operasse un
battaglione di volontari italiani, il «Garibaldi». Si seppe, a guerra
finita, che un battaglione con quel nome c'era stato, ma di italiani
in esso ce n'era uno solo: un cittadino di Zara, esattamente di Borgo
Erizzo, discendente da albanesi. Non ricordo più il suo nome, ma sua
moglie fu coinvolta in uno dei massacri di cui furono vittime i civili
in fuga dalla Krajina.

La incontrai la prima e ultima volta l'8 agosto in una sacca di pochi
chilometri quadrati nei boschi fra Topusko e Glina. A proteggere il
ritiro dei profughi c'era anche il «Trattorista» come Tudjman
perfidamente soprannominò l'ambasciatore americano Peter W.Galbraith,
insieme a diversi giornalisti, anche stranieri. Avevamo attraversato
Ogulin, Josipdol, Vojnic, Plaski, Licko Jesenice e Saborsko: tutto un
deserto. Fra Topusko e Dvorna Uni decine di migliaia di civili erano
imbottigliati. Di tanto in tanto arrivava qualche cannonata da
lontano. I profughi stavano lì da quarantotto ore, erano forse
cinquantamila, ammassati sul confine tra la Bosnia e la Serbia. Dai
campi attraversati dalla strada che porta al confine i contadini
serbo-bosniaci correvano per offrire cibo ed acqua ai profughi
oppressi dal caldo e dalla sete.

Il 9 agosto finalmente il governo croato concede che i profughi escano
dalla sacca e raggiungano la Serbia muovendo da Topusko, Petninja e
Dvor. E' una colonna infinita di trattori, carri agricoli che passano
accanto ad altri trattori e carri capovolti e bruciati abbandonati da
chi li ha preceduti. Si vedono abbandonati anche coperte, letti,
frigoriferi ed altri oggetti, perfino documenti personali. Nei pressi
di Dvor, un casco blu danese è testimone di un episodio di inutile
crudeltà, uno dei tanti: cinque anziani serbi, handicappati, vengono
fatti uscire dalla colonna, trascinati in un edificio e trucidati a
sangue freddo. Uno dei cinque viene freddato e resta sulla sedia a
rotelle. Nei pressi di Sisak, alla presenza di soldati e poliziotti
croati, alcune monache ortodosse vengono fatte scendere, massacrate,
uccise a bastonate e calci sferrati da civili con odio bestiale. Qui
scomparve anche la moglie, serba, di quell'unico «garibaldino» italiano.



SCHEDA: I quattro giorni della Tempesta


L'operazione ebbe inizio venerdì 4 agosto 1995 all'alba. Le truppe
croate mosse da Zagabria, Karlovac, Gospic, Spalato e da altri trenta
punti, occupano quel giorno 720 kmq di territorio incontrando scarse
resistenze. Mentre le artiglierie e i carri armati sputano sui serbi
tonnellate di proiettili e granate e dal cielo li martellano gli aerei
della Nato, decollati dalla portaerei «Roosevelt» di stanza
nell'Adriatico, radio Zagabria diffonde un ipocrita messaggio di
Tudjman, il «Supremo» croato, che invita le popolazioni serbe a
restare nelle loro case e a non aver paura. Coloro che accolgono
l'invito finiscono di lì a poco trucidati. Sabato 5 agosto, alle 10, i
soldati croati entrano a Knin, già capitale della «Repubblica serba di
Krajina». La città è stata cannoneggiata oltre ogni limite di
opportunità militare, per 24 ore di seguito. Nello stesso giorno le
truppe di «liberazione» entrano nelle deserte cittadine di Drnis,
Vrlika, Kijevo, Benkovac, raggiungono e in certi punti superano il
confine bosniaco. Domenica 6 agosto, i soldati e le milizie di Tudjman
entrano anche a Petrinja, Kostajnica, Vrgin Most (ribattezzata Gvozd),
Glina, Korenica, Slunj, Plitvice, Cetingrad, Vrhovine ed altre
località. Nel pomeriggio Tudjman arriva in elicottero a Knin per
issare in cima alla fortezza un interminabile tricolore con la
scacchiera. Alle ore 17 Radio Zagabria annuncia che «la cosiddetta
Krajina non esiste più». Il 7 agosto, lunedì, le forze croate entrano
a Dvor na Uni, a Topusko, Donji Lapc, Srb, Vojnic e in altri centri...
disabitati. La sera dell'8 agosto il ministro della difesa Gojko
Susak, un ustascia erzegovese importato dal Canada, l'uomo che ha
introdotto nell'esercito croato il saluto hitleriano, dichiara
conclusa l'Operazione Tempesta.


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http://www.reliefweb.int/rw/RWB.NSF/db900SID/VBOL-6EYGL8?OpenDocument

Agence France-Presse - August 5, 2005

Ten years on, Croatian Serb refugees have no hope of return

By Filip Rodic


BELGRADE - Ten years after the key military operation
which ended the 1991-95 Serbo-Croat war, some 500 Serb
refugees from Croatia have only a crumbling and
dilapidated barracks for shelter.

And no hopes of returning home.

The barracks, originally used as temporary
accomodation for construction workers near Belgrade,
have also been home to Serb refugees from Bosnia and
Kosovo, the other flashpoint zones which blew up
following the bloody break-up of the old Yugoslavia in
the early 1990s.

"We live in abominable conditions. Ten years of
uncertainity. Ten years in a tiny room with shared
toilets. I can't remember when was the last time I had
meat for a meal," one of the inhabitants of the
refugee center, 60-year old Zivko Manojlovic, told AFP
in a low voice.

Manojlovic fled his village of Drnis in south-eastern
Croatia with his family, including an eight-day-old
baby, in August 1995, following a Croatian military
operation that ended rebel Serb occupation [sic] of
the area.

In Operation Storm the Croatian army regained control
over a major part of its territory which had been held
by Belgrade-backed breakaway Serbs, retaking the
central Knin region.

It triggered the flight of some 200,000 Serbs into
today's Serbia-Montenegro and Bosnia, while hundreds
of civilians were killed, according to the UN war
crimes court.

Croatia marks on Friday the tenth anniversary of the
fall of Knin, the stronghold of Serb rebels, to the
Croatian army on the second day of Operation Storm.

Manojlovic looks back on his days in Croatia with
fondness, but holds out no hope of return.

"I had a nice house and land in Croatia. But the house
is destroyed and no one can think of returning there.
But here, no one thinks of us, I haven't received a
single (Serbian) dinar from the government since I
arrived," he complained.

Although the houses and flats the Serbs living in
Croatia fled ten years ago are probably more
comfortable than the refugee center they now live in,
most of the refugees think a return to their villages
is impossible.

"To return, why? To have some frustrated Croat killing
my son? No, I don't think so," said Milan Pjevalica, a
former biology professor from Knin.

Besides the fear of reprisal attacks by extremists and
the slow pace of reconstruction of their destroyed or
damaged property, many refugees - especially those who
fought during the 1991-1995 war - also worry that they
might be arrested and charged with war crimes.

"Unlike most people, I refused to leave Knin before
the Croatian forces came in, because I hadn't done
anything. But I was arrested and held in a camp for 45
days before being transferred to Serbia," Pjevalica
said.

"Blasts confirming the destruction of Serb houses
could be heard during these days. During the trip (to
Serbia), houses in flames could be seen everywhere,"
he remembered, sitting among sunflowers he has planted
in front of his room in the centre.

He is the only inhabitant of the refugee center who
has tried to improve his surroundings.

The other barracks look the same, giving the
impression that the people who live here arrived the
day before and will leave the next morning.

However, the refugees expect to stay there some time
yet, and the centre's manager, Milorad Bobar, has
promised it will remain open until at least 2007.

As Croatia marks the tenth anniversary of the fall of
Knin on Friday, the Belgrade authorities have a
different view of history.

During a visit to the center, Rasim Ljajic,
Serbia-Montenegro's minister for Minorities and Human
rights, said operation Storm was in fact an "ethnic
cleansing" exercise.

"When more than 200,000 people flee their homes in
only couple of days, it is an ethnic cleansing, no
matter how it was done," he said.

Serbia's commissioner for refugees Dragisa Dabetic
said that some 540,000 Serb refugees had fled their
homes in Bosnia and Croatia between 1991 and 1995.
Only 120,000 of them have returned, among them 58,000
to Croatia.

Ljajic said that in the first half of 2005 less then
1,900 refugees had returned to Croatia. The low number
was due to reports of arrests of returnees whose names
were on secret lists of those indicted for war crimes,
as well as numerous incidents committed against other
refugees.


=== 3 ===

SEE ALSO:

Operation Storm in Croatia
http://www.transnational.org/features/2005/Coll_OperationStorm.html

Blic: Serbs in sorrow, Croatia celebrates
http://www.slobodan-milosevic.org/news/blic080405.htm

Croatian Helsinki Committee (HHO) issues statement on occasion 'Storm'
anniversary
http://www.hina.hr/nws-bin/genews.cgi?TOP=hot&NID=ehot/politika/H8070998.4yc

"(Storm)... was carried out according to all rules of war and
international conventions"
http://www.hina.hr/nws-bin/genews.cgi?TOP=hot&NID=ehot/politika/H8050692.4yc

Storm was a legitimate and irreproachable offensive
http://www.hina.hr/nws-bin/genews.cgi?TOP=hot&NID=ehot/politika/H8050678.4yc

"We Are Proud of Operation Storm"
http://www.balkanalysis.com/modules.php?name=News&file=print&sid=544

AI: Still no justice ten years on
http://www.balkanpeace.org/hed/archive/aug05/hed7119.shtml

Home again... (by Neven Crvenkovic)
http://www.unhcr.ch/cgi-bin/texis/vtx/news/opendoc.htm?tbl=NEWS&id=42f38b084

RTRS: Croatia obstructing refugee return with discriminatory laws
http://www.slobodan-milosevic.org/news/rtrs080305.htm

[JUGOINFO] TEN YEARS AGO - Clinton made 1995 Ethnic Cleansing in
Krajina Possible
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4519

[JUGOINFO] Operation "Storm": Serbia mourns, Croatia celebrates
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4526