ONORE A SADDAM !

Messa a punto sul "dittatore sanguinario"
a partire da un mondo governato da
assassini di massa e che intitola strade
a killer mercenari.

MONDOCANE FUORILINEA
12/1/06

di Fulvio Grimaldi


L'unico mezzo d'informazione che ha difeso la propria dignità, insieme
alla verità incontrovertibile dei fatti, è stato – e mi s/piace – "il
Manifesto". Di contro avevamo un autentico uragano trasversale, dal
fascista Fini a Piero Sansonetti di "Liberazione" (già distintosi per
quel suo "nostri ragazzi" di altra occasione), a confermarci una volta
di più nella surreale constatazione che non più di due destre si
tratta in questo paese, quella che si vanta tale e quella che si
mimetizza da centrosinistra, ma addirittura di tre. Perché non mi
potrete negare che la vicenda di Fabrizio Quattrocchi, andato in Iraq
con i suoi compari, armato come Rambo per ammazzare coloro che non si
peritavano di rivoltarsi contro un invasore carnefice, costituisca una
pietra di paragone tra chi, necessariamente a sinistra, al di là delle
totalmente irrilevanti modalità della morte (manipolate, pare, a fini
di "eroismo patriottico"), sta con la Resistenza irachena contro i
barbari nazisionisti e chi lo definisce "eroico protettore di gente
impegnata nella ricostruzione" (Mensurati, Radio Rai1) e "educato,
dignitoso, fiero…ricordo dolente di tutti noi (sic!)…ucciso da
terroristi… con affetto per la sorella di Fabrizio (sic!)…di cui
capisco perfettamente e apprezzo la commozione e l'orgoglio
(sic!)…" Parole del direttore di "Liberazione", quello dei
"nostri(sic!)ragazzi", che poi culmina in vette di aberrazione
mettendo nello stesso mattatoio dei 200.000 iracheni ammazzati da
invasori e loro ascari, mentre difendevano patria, sovranità, dignità,
socialismo, libertà, vita, come "vittima di questa guerra" colui e
coloro che ne sono stati i macellai e aiuto-macellai. Cosa non si fa
per stare al governo con D'Alema e i delinquenti di Tel Aviv e
Washington! Chissà se il personaggio ha sentito bruciarsi sulla faccia
gli schiaffi di un informato, onesto e coraggioso analista come Manlio
Dinucci sul "Manifesto", quando ci parla dei compiti di questi
"contractors", come "quello dell'interrogatorio dei prigionieri nelle
sale delle tortura di Abu Ghraib", o quando ci ricorda che il correo
di Quattrocchi, Salvatore Stefio, offriva "i suoi servizi a governi
che necessitano di una rapida risoluzione dei problemi di carattere
militare, di difesa e sicurezza interna…" Sberle che un anche minimo
soffio etico, prima ancora che politico, avrebbe dovuto far rimbalzare
sulle mosce guance di un sindaco, noto per amministrare la capitale
peggio messa d'Europa e in cambio aver spergiurato "mai stato
comunista", dopo una vita di prebende e onori tutta trascorsa nel PCI.
Sindaco che è asceso al Parnaso delle facce di bronzo quando ha
proposto di intitolare una strada al noto Quattrocchi. Non a Enzo
Baldoni, non ai bambini iracheni arrostiti dal fosforo, non ai
giornalisti non embedded fucilati o rapiti dagli occupanti. A
Quattrocchi. Fa il paio con quel governatore di Puglia, crociato dei
diritti PACS, che, coerentemente, intitola l'aeroporto di Bari al
compagno Woytila. La ripugnanza monta e noi lasciamo questi sicofanti
all'immondezzaio della storia e alla considerazione degli iracheni.

Passiamo a un'altra, questa volta di maggiore rilevanza storica e
politica, cartina di tornasole: il presidente legittimo dell'Iraq,
Saddam Hussein. Ricordo una riunione dei compagni dell' "Ernesto",
corrente che si vuole di sinistra nel PRC, in cui discutemmo di
Saddam, con me appena tornato dall'Iraq massacrato da 13 anni di
embargo totale, ma sempre in piedi e baluardo antimperialista. Una
figura di primissimo piano della dirigenza del partito, Bianca Bracci
Torsi, tra l'altro protagonista dell'annosa – e faticosa nel PRC -
battaglia per la memoria partigiana ed antifascista, che sentenziò:
"Uno che ha sterminato migliaia di comunisti, che ha gassato i curdi e
che è servito da strumento degli americani non può certo essere
annoverato nel campo dei progressisti". Il tutto condito dai soliti
riferimenti al "dittatore sanguinario", al "repressore del proprio
popolo", al "torturatore degli oppositori". Insomma, pari pari gli
stereotipi della propaganda imperialista elaborata scientificamente
dalle centrali governative della disinformazione, a partire dagli anni
'80, allo scopo di preparare l'opinione dei complici, degli ingenui e
dei fessi allo squartamento del paese più ricco di petrolio del mondo
e socialmente, industrialmente, politicamente più avanzato, insieme a
Cuba, del Sud planetario. Echi di Bush padre, che bombardò a morte
qualcosa come 100.000 civili iracheni, di Clinton che proseguì nella
garrota economica e bombarola di 2 milioni di innocenti, di Bush
figlio che s'illuse di completare l'opera cancellando l'intero paese
dalla faccia della Terra, salvo i pozzi di petrolio, i tagliagole
curdi e i preti collaborazionisti di obbedienza iraniana. Ma anche
echi, fedelmente ripetuti, dal suo ex-leader Massimo D'Alema, complice
di tutto questo e denunciato dai giuristi del PRC come criminale di
guerra per la cogestione dello scannatoio jugoslavo. E, decisivi, echi
dall'ex-grande punto di riferimento Leonida Brezhnev, che s'inventò la
strage dei comunisti per garantire un miserabile alibi al suo
tradimento del patto di amicizia e mutua difesa URSS-Iraq (1972),
quando si schierò con l'integralista espansionista Khomeini (lui, sì,
strumento di Israele e USA: ricordare l'Iran-Contras, le armi e i
piloti israeliani a Tehran, gli aiuti finanziari del Congresso USA dal
1980 al 1988, l'aggressione all'Iraq anche stimolando, armando e
pagando la rivolta dei curdi iracheni dopo aver sterminato quelli
iraniani, il rifiuto per sei anni della pace offerta da Saddam). Echi,
tutti questi, che evidentemente hanno saputo far sprofondare
nell'oblio l'antica consapevolezza nei compagni di come colonialismo e
poi imperialismo tratteggiarono ai propri fini figure come Fidel, Ho
Ci Min, Mao, Ben Bella e Boumedienne, Gheddafi, Yomo Keniatta
liberatore del Kenia (il "Mau Mau assiso tra i rami vestito di pelli
di leopardo, pronto con i suoi finti artigli a strappare il cuore ai
civilizzatori britannici") e chiunque abbia guidato il rifiuto armato
dei popoli alla schiavitù capitalista straniera. Risparmiando il non
violento Ghandi, ovviamente, visto che, persa per persa l'India nel
grande processo di decolonizzazione dopo la II guerra mondiale, il
nudo digiunatore della casta nobiliare quanto meno ti garantiva la
permanenza dell'India nel girone capitalista filobritannico del
Commonwealth, così sottraendo la vittoria e il potere alle forze
popolari di sinistra che per decenni avevano condotto la lotta
vincente contro viceré britannici e marajà indigeni.

Naturalmente il connubio coesistente antiracheno tra URSS e USA aveva
delle volgari basi geostrategiche. All'Occidente e ai suoi corifei
italioti nel nuovo colonialismo globale conveniva sabotare, con la
proiezione di un Saddam cialtrone doppiogiochista, finto
antimperialista e servo degli USA, l'eventualità di un'insidiosa
solidarietà con l'Iraq assediato, affamato, bombardato e infine
calpestato, da parte di "sinistre", un tempo ancora a sinistra, aduse
a schierarsi politicamente e anche materialmente a fianco delle lotte
di liberazione e per il riscatto dei "proletari di tutto il mondo". A
Brezhnev e al suo codazzo terzinternazionalista, rassegnati al
socialismo in un solo paese grazie alla vergogna di Yalta, interessava
tenersi caro il fanatico oscurantista e anticomunista, confinante con
le proprie regioni musulmane già in processo di autonomia dall'Unione
e questo valeva, nel 1979-80, il tradimento dei trattati con l'Iraq
laico ed antimperialista e la criminalizzazione di Saddam
"massacratore di 5000 comunisti", magari "su indicazione Cia". Una
balla megagalattica, quanto quella sui curdi di Halabja gassati nel
1988, smentita, oltrechè dai giornalisti sul posto, dagli stessi
servizi delle grandi potenze, Cia in testa (furono gli iraniani a
lanciare il gas contro truppe irachene vicine a quel villaggio: vedi,
tra le altre fonti, il "New York Times" del 31 gennaio 2004). Una
balla che si ridusse a quei 140 dirigenti del PC iracheno processati e
giustiziati per alto tradimento, secondo le stesse ammissioni
dell'attuale PCI collaborazionista e partecipe del governo fantoccio
insediato dagli USA, per aver obbedito a Mosca facendo la spia, o
essendo andati a combattere contro il proprio paese nella guerra
Iraq-Iran.

Non è questa l'occasione per andare a rovistare nell'immenso letamaio
di menzogne rovesciate su Saddam e sul partito Baath allo scopo di
cancellare un modello sociale e politico incompatibile con Pensiero
Unico e Nuovo Ordine Mondiale, rubare il petrolio e normalizzare
sionisticamente il Medio Oriente, al di là di ogni ipotesi di
riunificazione araba di cui l'Iraq è stato, dopo Nasser e Boumedienne,
il massimo polo. Letamaio cui è stato consentito di inquinare e
lobotomizzare chi avrebbe dovuto avere maggiore capacità di
discernimento, specialmente dopo analoghe campagne di satanizzazione
all'indirizzo di difensori di sovranità, progresso sociale, libertà
come Slobodan Milosevic o Fidel Castro. Certe idiozie grottesche si
sono già dissolte al sole della razionalità o delle rivelazioni dei
pochi investigatori sottrattisi all'omologazione praticata dai vocati
al servilismo: la finta infermiera e vera figlia dell'ambasciatore del
Kuweit a Washington che piagnucola su "neonati kuweitiani strappati
dalla soldataglia irachena dalle incubatrici e scagliati a terra a
morire"; il tritaplastica in cui "Saddam infilava gli oppositori
politici a piedi in giù", inventato da una deputata laburista per
agevolare le bugie guerrafondaie di Blair; i calciatori che, persa una
partita, venivano prima "picchiati sulle piante dei piedi e poi fatti
allenare con palle di ferro" dal presidente della società Uday
Hussein, figlio del presidente che, tra le altre efferatezze, girava
per Baghdad "sequestrando fanciulle e gettandole nel pozzo dopo averne
abusato"; lo sterminio di popolazioni scite in rivolta dopo la prima
aggressione imperialista (Bellini e Cocciolone), dove si trattava
invece di milizie iraniane infiltrate con la copertura degli ayatollah
iracheni oggi al fianco degli occupanti; l'analogo massacro di curdi,
laddove il Curdistan iracheno era stato l'unico spazio in cui quel
popolo diviso aveva ottenuto autonomia, autogoverno e pari dignità e
ruolo nel governo nazionale e si trattava di fermare la rivolta, sotto
guida israelo-statunitense, di due capitribù narcotrafficanti, Barzani
e Talabani, quest'ultimo oggi capo dello "Stato" in virtù di servigi
ai genocidi. Si potrebbe continuare per ore incidendo da tutte le
parti il tumore dell'antisaddamismo coltivato con iniezioni ventennali
di menzogne, fino a ridurlo alle sue vere dimensioni di truffa dalle
proporzioni cristiane ( e gli amici atei sanno cosa intendo).

Ne parlerà con grande conoscenza di causa un libro di Valeria Poletti,
di prossima pubblicazione per i tipi di Achab e di cui si darà la più
diffusa comunicazione. Un volume documentatissimo che ci racconta
l'Iraq dalla colonizzazione, attraverso la rivoluzione, l'incredibile
riscatto economico e sociale, fino ai giorni dell'incubo imperialista
e dell'eroica resistenza di un popolo che, preparato da tempo alla
bisogna, riesce a costruire il fronte avanzato e decisivo dello
scontro con i più sanguinari "padroni del mondo" che siano mai
comparsi. Non per nulla merita il riconoscimento di tutte le persone
perbene, come Fidel e Chavez ci insegnano Un lavoro che svergogna una
volta di più la pigra e silente indifferenza della nostra
informazione, quella presunta alternativa compresa, verso la realtà di
un paese, un popolo, un nodo geopolitico che pure rappresentano il
massimo dramma mondiale del dopoVietnam. Ricordo la grande attenzione,
gli occhi strabuzzati e le bocche spalancate delle migliaia di persone
che ho incontrato durante tre lustri di dibattito e conferenze e con
le quali ho dovuto essere il primo a illustrare il vero Iraq, il vero
Saddam, la vera ragione di uno scontro epocale, pur essendo i dati che
riferivo, a parte la mia trentennale frequentazione del paese,
ampiamente disponibili in rapporti e statistiche ONU, Unicef, Unesco,
PAM, Banca Mondiale e altre istituzioni internazionali che registrano
i percorsi economici e sociali dei popoli.

Qui interessa piuttosto, alla luce di uno dei processi più simili a
quelli dell'Inquisizione cattolica e a cui Saddam sta tenendo testa in
modo, questo sì, eroico, non meno di Milosevic nella vergognosa burla
giuridica dell'Aja, ripercorrere brevemente le orme del cammino di un
paese che, lasciato dai colonialisti inglesi nel più abietto
sottosviluppo, senza ospedali, senza scuole, senza industria, in pochi
anni, cacciati i colonizzatori quasi a mani nude, seppe, attingendo
alle radici della più antica e ai suoi tempi progressiva civiltà del
mondo, forgiarsi in nazione e diventare un modello di giustizia
sociale e di coerenza antimperialista. Saddam sta in un carcere e
porta i segni delle torture dei "portatori di democrazia", giudicato
da un banda di venduti pseudomagistrati, accusato da testimoni
occulti, nascosti, anonimi, che leggono filastrocche preparate dagli
sgherri di un occupante che detta ogni aspetto e ogni mossa politica
ed economica del paese al fine di completarne la distruzione e il
saccheggio. Fuori gli squadroni della morte dei collaborazionisti
sciti e curdi, creati dagli angloamericani insieme al fantasmatico
burattino Al Zarkawi (cui tutti offrono ormai scandalosa credibilità)
e addestrati e pagati dai pasdaran iraniani, giustiziano a migliaia
coloro che appartengono a quell'82% di iracheni che rifiutano
l'occupazione; il resto sono curdi ammaestrati da Israele e pescicani
dell'esilio rientrati per le briciole del banchetto). Fuori, le armate
terroristiche degli occupanti, di fronte a un'impossibile vittoria sul
terreno e all'indomabile resistenza di città e villaggi, hanno
quintuplicato i bombardamenti aerei indiscriminati, le incursioni a
fini di rastrellamenti (60.000 i detenuti) pure indiscriminati, gli
stupri di massa, il furto ai feriti e uccisi di organi destinati al
mercato dei plutocrati statunitensi, gli attentati stragisti da
attribuire alla Resistenza la devastazione e rapina degli un tempo
smisurati beni archeologici e culturali, l'uso a tutto spiano di armi
di distruzioni di massa dai gas al napalm e al fosforo, le torture,
insomma tutto quello che dovrebbe servire a terrorizzare e convincere
alla resa un popolo che deve pagare per aver già sconfitto una volta
la criminalità statuale internazionale e per aver imparato che a
resistere si vince.

Dentro sta Saddam. Fuori stanno, a conferma dei peggiori tempi vissuti
dall'umanità da secoli a questa parte (il nazifascimo, se non altro,
era territorialmente e temporalmente più circoscritto), Sharon, boia
di Sabra e Shatila e promotore della "soluzione finale" per
palestinesi e arabi; Bush, i suoi santoli e padrini della cabala
nazisionista e narcotrafficante, tra i cadaveri e le macerie degli
attentati "islamici", da costoro orditi per poter sequestrare e
sfoltire l'umanità; Blair, tardovittoriano alla ricerca degli scarti
dell'altrui colonialismo, connivente del complotto criminale e che con
il socio d'oltreatlantico ha freddamente costruito le bugie della
demonizzazione e dell'integralismo islamico; Berlusconi, D'Alema,
soldati di ventura Nato-USA, esecutori sul posto degli ordini dei
carnefici imperiali; tutta la Grande Armada dello storico terrorismo
di Stato USA, fin da coloro che governavano le stragi e i terrorismi
in Italia e continuano a governarli, dalla Grecia all'America Latina,
a Libano, Spagna, Egitto, Turchia, Giordania, Kosovo e ovunque gli
pare funzionale far apparire la propria agenzia di provocazioni, Al
Qa'ida: i Rumsfeld, Wolfowitz, Ledeen, Negroponte, North, Abrams,
Posada Carriles, Orlando Bosch., Khalilzad e i mille e mille
subordinati esteri, da Delle Chiaie in giù.

Saddam sta dentro. Non era un santo, Saddam. Era il governante di un
popolo, già annegato nell'uranio, che sopravviveva a forza di lacrime,
sudore e sangue, sbaragliando insidie mortali a ogni angolo e da ogni
parte, provocatori, spie, affamatori, infiltrati, sobillatori per
conto dell'imperialismo, aggressori armati, sabotatori interni e
internazionali, durante tutti i quasi cinquant'anni del suo cammino di
emancipazione. Un popolo che, dopo aver sparso saggezza e scienza nel
mondo, durante gli ultimi mille anni non aveva subito che regimi
autocratici imposti da fuori e a cui non si poteva certo chiedere una
maturazione illuministica verso la democrazia in quattro e
quattr'otto, tanto più che quella democrazia si presentava e si
presenta negli abiti marci della democrazia borghese. Un popolo che
non poteva "essere gentile", come dice Brecht, non stava a capotavola
di un pranzo di gala. Questo lo dico, mentre mi incombono i Bush, gli
Sharon della "Sinistra per Israele", i D'Alema del paesicidio
jugoslavo, i Giuliano Ferrara che vanno in orgasmo per ogni strage
sionista o teocon, le Fallaci onorate di paginoni dal Corriere, i
Magdi Allam che sul tabloid scandalistico "La Repubblica"
s'inventavano i campi di Al Qa'ida in Iraq là dove c'erano campi
militari ufficiali, visitati cento volte da ispettori ONU,
vasellinatore del nuovo razzismo universale islamofobico, e tanta,
tanta gentaccia. Questo lo dico avendo vissuto di persona, da metà
degli anni '70 in poi, tempi dell'unica nazionalizzazione del
petrolio, difesa per trent'anni fino al 9 aprile 2003, arrivo dei
vandali, l'esaltante esperienza di un popolo che prendeva coscienza di
sé, della sua storia offuscata, della sua dignità negata, del suo
ruolo da protagonista nello scontro tra giusti e delinquenti. Il
processo di acquisizione, dopo secoli di polvere e esclusione,
dell'autostima. Qualcosa che oggi si vive nel Venezuela di Chavez. Un
popolo, infine. La cui non ultima nobiltà è stata di essere rimasto
fino all'ultimo giorno, unico, a fianco del popolo palestinese e alle
sue intifade.

E quest'uomo, che non era un santo, ma che, dopo aver partecipato a
una rivoluzione e poi guidato l'altra, sfidando l'impossibile e il
mondo coalizzato, con l'eccezione, allora, dei paesi socialisti, di
questo processo è stato l'inventore, il simbolo, il coagulatore. Per
primo, i diritti umani. Non quelli che tanto agitano i nostri
vessilliferi di democrazie al polistirolo. Quelli che interessano ai
popoli, agli esclusi, ai fuori-dalla.-storia. Agli eterni proletari.
La conoscenza per essere soggetto di cultura e quindi di politica e
quindi di destino. Un'alfabetizzazione totale in un paese totalmente
analfabeta. Una sanità di altissimo livello con professionisti che dal
processo in cui erano inseriti avevano tratto un'etica un po' diversa
dai nostri primari d'ospedale e dalle nostre larve nel formaggio delle
cliniche private, tanto da dover essere ammazzati dagli occupanti
perché smettano di curare un popolo destinato all'estinzione. Orari di
lavoro, sindacati, maternità, previdenza, pensioni, anziani, bambini,
donne libere e ad ogni livello di produzione e direzione; scienza,
agricoltura, industria, arti che invadevano e accendevano il mondo
arabo e oltre. E orgoglio. E consenso. E come si potrebbe non avere
consenso quando un partito, il Baath, socialista, arabo e la sua
direzione, per la prima volta nella storia e nella regione,
distribuiscono la ricchezza in maniera equa, senza satrapi e senza
mendicanti. Diritti umani che hanno consentito al governo di
distribuire le armi da tenere in casa a sei milioni di cittadini,
praticamente tutti quelli in grado di impegnarsi nella difesa, senza
temere quell'insurrezione che si sarebbe verificata se solo il
"regime" fosse stato quello descritto, o strumentalmente o vilmente,
dall'universo mondo. Sei milioni che oggi tengono testa, in nome di
noi tutti, alla più possente criminalità di Stato di tutti i tempi.
Diritti umani che hanno messo un popolo in condizione di difendersi
oltre ogni immaginazione, oltre ogni ottuso e ignorante pregiudizio,
sulla base di una coscienza politica, sociale e nazionale che ne fa
oggi l'avanguardia della risposta degli uomini ai loro terminator.
Sicuramente non tutto è stato fatto da Saddam, chè corollario della
costruzione di una nazione è la formazione di una classe politica
all'altezza. Il merito massimo va a un popolo che in Saddam si è
riconosciuto, ma che per la meta dell'emancipazione e della sovranità
si è battuto incessantemente, con coraggio e intelligenza, tra
sacrifici inenarrabili. Ovviamente i media non ce le raccontano le
mille manifestazioni con i ritratti del presidente in tante città
irachene, e la sinistra, intrisa di spocchia eurocentrista, avvitata
nella sua opportunistica "spirale guerra-terrorismo". ovviamente le
snobba, attribuendole a un perverso indottrinamento, non ancora
risanato dalla "democrazia".

Guardiamo Saddam nella gabbia dello pseudoprocesso condotto da chi,
dopo aver ammazzato due milioni di iracheni e tentato di disintegrare
l'anima di quel popolo liquidandone la memoria storica, la cultura,
l'intelligenza, tutto il patrimonio umano, spera, con un'esecuzione
prestabilita da colui che è il vero dittatore sanguinario d'Iraq,
quello a stelle e striscie, di decapitarlo definitivamente e di
consegnarne le membra sparse ai tirapiedi con turbante che già lo
avevano servito quando recava la britannica croce di Sant'Andrea.
Guardiamo e ascoltiamo Saddam, senza farci ottundere dai veleni
somministratici dai cerusici di tutti gli inganni e di tutte le
superstizioni. Da un uomo senza l'ombra di una paura, ma con tutta la
sacrosanta collera che, dopo aver fatte sue le aspirazioni del suo
popolo alla giustizia e al benessere, ne soffre l'agghiacciante
ingiustizia e tragedia, ascoltiamo: "Ovviamente non sono colpevole, ma
so benissimo che mi vogliono morto. Ma

essendo il comandante in capo, preferisco essere fucilato da un
plotone d'esecuzione. Combatto la tirannia USA in nome degli iracheni,
degli arabi, dei popoli di tutto il mondo. Sono certo che gli Stati
Uniti non saranno in grado di imporre un Nuovo Mondo. Quanto a me, ho
operato per gli arabi e ho fatto il mio dovere. Sono convinto che il
popolo iracheno combatterà fino all'ultimo. Non accetterà mai un
dominio straniero. All'aggressione si resisterà fino a quando l'ultimo
degli americani, dei loro alleati e fantocci, sarà stato cacciato
dall'Iraq.

Non m'importa di morire, non è che sono molto attaccato a questa vita.
Per ogni essere umano c'è un tempo per andare. La vita di ogni singolo
iracheno vale quanto la mia."Ascoltiamo. E forse non ci
scandalizzeremo del titolo di questo articolo.

Saddam verrà ucciso. Ma io, che mi sono mescolato a quelle genti
quando rinascevano, crescevano, resistevano, morivano, so che non
finiranno di piangerlo mai. C'è qualcuno che possa dire lo stesso di
Bush, Blair, Clinton, D'Alema, Prodi? A dispetto della spaventosa
regressione in cui papi, ayatollah, rabbini, presidenti serial killer,
generali fosforizzanti, terroristi travestiti, mercenari torturatori,
finte sinistre, idolatri ed egolatri, dirittiumanisti, stanno
trascinando il mondo intero, gli iracheni non si arrendono. Continuano
ad andare avanti. Magari non con i diktat delle tavole di Mosè,
piuttosto con il Codice di Hammurabi che, primo, fece gli uomini
uguali davanti alla legge. Merito anche di Saddam Hussein. La storia
gliene renderà merito.