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Date sent: Sun, 2 Jul 2000 04:40:08 -0700 (PDT)
From: di noia luigi <dinoialuigi@...>
Subject: recensione sull'uranio impoverito
To: pck-armamenti@...

Segnalo la pubblicazione da parte del Centro di
Documentazione Wilhelm Wolff del testo “Il metallo
del disonore: l’uranio impoverito” a cura dello
statunitense International Action Center. L’opera più
completa e vigorosa di denuncia delle armi all’uranio
impoverito. Riporto qui la presentazione:

“Prefazione

Questo è un libro importante, da conoscere e far
conoscere.
Esso contiene la denuncia documentata, scientifica,
militante della guerra condotta con armi all’uranio
impoverito: il nuovo tipo di guerra totale che il
Pentagono, la Nato, l’Occidente tutto hanno inaugurato
dieci anni fa sperimentandola sulle carni del popolo
irakeno, ed hanno poi gloriosamente replicato in
Bosnia, in Kosovo ed in Serbia contro i popoli
jugoslavi.
Parliamo di guerra totale perché le armi all’uranio
impoverito (dai missili ai proiettili d’ogni calibro),
oltre a seminare la morte immediata con più efficacia
delle armi convenzionali tradizionali, hanno anche il
”pregio” di seminare, tra le popolazioni prese a
bersaglio, la morte lenta, differita nel tempo. Tumori
di ogni genere (ai polmoni, al cervello, alla pelle,
ai bronchi, alla vescica, alla stomaco, al seno),
leucemia, abbattimento permanente di tutte le difese
immunitarie (un effetto simile a quello che provoca
l’AIDS): ecco cosa sono in grado di produrre le armi
all’uranio impoverito, capaci contemporaneamente di
devastare l’esistenza delle future generazioni con
l’enorme aumento di terribili alterazioni congenite
nei nuovi nati ed un’altrettanta micidiale caduta di
fertilità e della funzionalità sessuale. E non è
finita. Infatti, i bombardamenti all’uranio impoverito
hanno un altro gravissimo effetto letale: contaminare
per milioni e milioni di anni (arrestatevi per un
istante a riflettere su questo “particolare” tempo) la
terra, l’acqua, l’intero ambiente naturale dell’uomo.
Si tratta, insomma, della perfetta fusione tra guerra
nucleare, chimica e biologica, alla faccia
dell’infinità di convenzioni e risoluzioni
internazionali che “mettono al bando” le armi di
distruzione di massa...
Ecco perché si deve chiamare con la massima energia
tutti coloro che si sentono bollire il sangue dinanzi
ad un simile crimine a mobilitarsi, a lottare per
porre fine ad esso, e -tanto per incominciare- a
raccogliere e a diffondere sulla più larga scala
possibile questa denuncia.
Viceversa, la consegna dei poteri economici, politici
e militari che stanno dietro questa vera e propria
pratica del genocidio, è quella del silenzio. Il
silenzio totale. Oppure, quando vengono chiamati in
causa in modo stringente, è quella della irrisione:
“l’uranio impoverito è tanto radioattivo e nocivo
quanto la cassa del mio orologio” (un generale
italiano), “è meno pericoloso di un fiammifero acceso”
(un portavoce K-for). In ogni caso, si garantisce, non
esistono prove inconfutabili che produce dei danni. Ed
invece questo testo fornisce proprio una inconfutabile
analisi delle mostruose conseguenze che l’ultimissima
forma della guerra di distruzione capitalistica
produce. Un’analisi che necessariamente contiene, per
il suo rigore, qualche parte tecnica di lettura un po’
difficile (e forse non indispensabile) per i profani,
ma che altri interventi sanno tradurre in modo
adeguato anche per i non specialisti. Di essa si deve
tenere a mente almeno un dato “tecnico”: non esiste
alcuna soglia di sicurezza per le radiazioni, per cui
in questa materia ogni forma di minimizzazione è in
sprezzo della salute e della vita dell’uomo e della
natura. Ma non meno rilevante è un dato politico: il
feroce embargo imposto alle popolazioni irakene e
serbo-jugoslave, rendendo praticamente impossibile ad
esse approvvigionarsi delle apparecchiature e delle
medicine indispensabili, potenzia al massimo gli
effetti devastanti dei bombardamenti radioattivi.
Guerra nucleare-chimica-biologica combinata con la
guerra economico-politica: in Irak sono state falciate
in questo modo, in dieci anni, oltre un milione e
mezzo di vite!
Ci fermiamo qui per ora. Invitiamo i lettori ad
esaminare attentamente i materiali e diamo loro
appuntamento al termine del libro, alla postfazione,
nella quale svolgeremo qualche nostra considerazione.
Che, s’intende, nulla vieta, a chi lo voglia, di
guardare in anticipo.

Postfazione

risulterà ora più chiaro perché i poteri economici,
politici e militari che stanno ricorrendo alla
pratica, alla pianificazione, del genocidio attraverso
le armi all’uranio impoverito - poteri che fino a ieri
non si sarebbe esitato a definire imperialisti -
esigano, il silenzio su tutta la vicenda. Il silenzio,
l’occultamento di questo estremo crimine di guerra in
cui si stanno specializzando le democrazie “amanti e
custodi della pace”, sono la migliore garanzia di
poter proseguire indisturbate ed impune su questa
strada.
Per contro, rompere la consegna del silenzio,
contro-informare, è il primo, elementare dovere di
tutti coloro i quali si sentono il bisogno di opporsi
per davvero alle guerre di sfruttamento e di dominio
di cui l’Occidente si rende protagonista. Può esserci
d’aiuto, in questo, l’esperienza passata.
La storia degli effetti letali dell’uranio, infatti,
non è nuova. Non comincia né con la “sindrome del
Golfo” che - oltre la popolazione irakena - ha
colpito, come s’è visto, i soldati statunitensi e
britannici (migliaia dei quali sono già morti, tanto e
smentire l’inganno della guerra a costo zero per
l’occidente), né con le strazianti malformazioni dei
bimbi iracheni o dei figli dei soldati statunitensi
nati dopo la guerra: comincia con la stessa storia del
nucleare. Assai opportunamente il libro contiene la
denuncia delle ferite irreversibili inferte ai popoli
Navajo od alle genti delle isole Marshall, dallo
sfruttamento delle miniere di uranio fatta per decenni
senza nessuna precauzione, dai depositi di scorie
nucleari disseminati un po’ dovunque, dagli
esperimenti nucleari compiuti dagli stati uniti (che
sono oltre la metà degli esperimenti totali).E lascia
intravedere sullo sfondo gli orrori, arrivati proprio
in questi giorni perfino sulle pagine della Washington
Post, di luoghi come Paducah, la cittadina del
Kentucky nei cui impianti di lavorazione dell’uranio
migliaia di operai sono stati usati come cavie umane
negli anni cinquanta e sessanta. Alla faccia di coloro
che ancora si ostinano a distinguere il nucleare
civile da quello militare, supponendo che il primo sia
sicuro, innocuo, o addirittura benefico...
Dunque: da Hiroshima e Nagasaki fino alle isole
Marshall, dalle riserve Navajo a Paducah, da Three
Miles Island fino a Cernobyl, la storia dei tremendi
danni da uranio è lunga (nei soli stati Uniti sono
oltre 4.000 i luoghi contaminati, e nel mondo si
stimano in circa 20 milioni le persone morte
prematuramente a causa dell’inquinamento nucleare). Ma
in essa la guerra all’uranio impoverito segna un salto
di qualità: sia per la scala territoriale a cui è
stata seminata morte per milioni e milioni di anni,
poiché ora ad essere colpiti nuclearmente sono interi
paesi; sia per la capacità acquisita dagli Stati uniti
e dalle altre potenze occidentali di ridurre e
minimizzare l’allarme sociale imponendo il segreto di
stato intorno a questa catena di delitti, già di per
sé meno immediatamente percepibili perché ad effetti
differiti nel tempo; sia, infine, perché l’embargo
impedisce ai paesi colpiti di accedere ai mezzi
necessari per tentare se non altro di contenere la
diffusione del Morbo nucleare. A maggior ragione la
denuncia e la lotta contro questo “crimine contro
l’umanità” non deve conoscere timidezze, né tregue.
Tanto per essere chiari: i curatori di questa
traduzione sono schierati incondizionatamente dalla
parte dei lavoratori e degli oppressi di tutto il
mondo. Pertanto non si sentono neppure sfiorati dal
ricatto che i governi e i mass media occidentali
imbastiscono intorno ai nomi di Saddam e di Milosevic
(per cui non abbiamo alcuna simpatia). Coloro che lo
mettono in atto, infatti, lungi dall’agire per motivi
“umanitari” ed “antiterroristici”, sono i massimi
responsabili delle guerre terroristiche che
l’Occidente, che il “nostro” paese, ha fatto e
continua a fare, anche per mezzo di altrettanto
delittuosi embarghi, ai popoli dell’Irak e della
Jugoslavia. A costoro rispondiamo al modo in cui i
palestinesi di Ramallah hanno risposto al sig. Jospin:
You are terrorist. Siete voi, governanti e generali
dell’Occidente, i veri, grandi terroristi che
insanguinano la terra! E sappiamo molto bene che
l’insanguinate non per salvare i “poveri” kuwaitiani,
kosovari o timoresi di cui non ve ne può fregare di
meno, ma per chiarissimi, riconoscibilissimi,
luridissimi, interessi di rapina e di oppressione.
Il grande merito di Metal of Dishonor è proprio quello
di sbattere sul banco degli imputati precisamente i
poteri, a cominciare dal Pentagono, che
pretenderebbero di “amministrare la giustizia” e di
“preservare la pace” nel mondo. E di farlo con
coraggio dall’interno degli Stati Uniti, che sono il
centro direttivo mondiale della guerra ai “popoli
ribelli” del Terzo Mondo e la potenza che detiene il
semi-monopolio della produzione e della vendita delle
armi di sterminio di massa, senza alcun timore di
“fare il gioco del nemico”. Poiché per i Catalinotto,
per le Flounders e per gli altri il nemico non è
l’irakeno o lo jugoslavo, come ieri per loro e per
quelli come loro, non era il vietnamita: il nemico è
in casa propria, è il Pentagono e -aggiungiamo noi- il
coacervo di interessi economici e politici che sta
dietro e sopra il Pentagono.
Ma questa pubblicazione dell’International Action
Center ha anche il merito di non far alcuna
distinzione tra i colpiti americani (non a caso
appartenenti in larghissima parte alla “bassa truppa”
di estrazione proletaria e, in molti casi, di colore),
i nativi, gli irakeni, i bosniaci, gli jugoslavi,
inclusi i terribili “orchi” serbi. In un’Occidente
imbevuto fino alle midolla di razzismo verso le
popolazioni non europee, non “occidentali”,
considerate alla stregua di sotto-razze, sotto-popoli,
sotto-uomini predestinati a servire come schiavi la
super-razza bianca che abita l’Occidente, questo
atteggiamento alieno da sciovinismo deve insegnare
qualcosa a tutti noi. E ci deve essere d’insegnamento
e di sprone anche il fatto che gli attivisti dell’IAC
abbiano voluto e organizzato proprio a Baghdad un
incontro internazionale di denuncia delle armi
all’uranio impoverito che ha visto insieme, contro i
veri signori della guerra, militanti e studiosi
statunitensi, irakeni, tedeschi, inglesi. Ciò che, nel
piccolo, esprime l’esigenza di una nuova
collaborazione, di una nuova unità militante tra le
classi lavoratrici del mondo intero, contro le guerre
capitalistiche e contro le false “paci”
capitalistiche, altrettanto strangolatorie, che ne
sono la continuazione.
Dice la Flounders: “Oggi il Pentagono non teme alcuna
arma. Teme una sola cosa: la mobilitazione delle
masse, la loro consapevolezza, la loro attivazione, la
loro rabbia”. Esattissimo. E’ la forza organizzata
delle masse lavoratrici statunitensi e mondiali la
sola che può mettere con le spalle al muro il
Pentagono, la Nato ed i loro soci nel crimine.
Coagularla e dispiegarla non sarà facile, non è cos di
un giorno o di un mese o di un anno; ma se davvero si
vuole tagliare il male la radice, è questa l’arma
vincente, e la sola via da percorrere. Non ce ne sono
altre di più facili e più brevi, tantomeno se si
tratta di scorciatoie dettate dalla disperazione.
Per questo, ci sia permesso dirlo con franchezza, non
possiamo condividere gli appelli al diritto o alle
istituzioni internazionali di cui è pieno il testo.
Non è sul terreno del diritto, infatti, che si possono
contrastare e lottare efficacemente i pianificatori
del genocidio, ma su quello dei rapporti di forza sul
campo. Non saranno certo le istituzioni internazionali
che da sempre esprimono gli interessi degli Stati
uniti, della Nato, dei paesi ricchi sfruttatori e
affamatori del Terzo Mondo, quelle istituzioni
internazionali che hanno benedetto la guerra di Corea,
l’assassinio di Lumumba, le aggressioni Usa, Onu e
Nato al Vietnam, all’Irak, alla Jugoslavia, che hanno
permesso per oltre mezzo secolo ad Israele di vessare
liberamente con ogni mezzo il popolo palestinese e
libanese, che legittimano il neocolonialismo
finanziario e termonucleare oggi imperante nel mondo,
che soffocano con l’embargo i popoli riottosi a
piegarsi ai diktat del Fmi e delle cancellerie
occidentali; non saranno certo queste istituzioni che
rispondono ai supremi interessi delle multinazionali,
del mercato, del profitto, del capitale, ad impedire
che l’orrenda storia delle guerre all’uranio
impoverito continui. (Si tenga presente, per dirne
una, che l’Organizzazione mondiale della sanità che fa
capo all’Onu si è finora rifiutata di svolgere la
benché minima indagine sulle conseguenze della guerra
in Irak: si tratta, dopotutto, soltanto di arabi,
peggio se islamici, irakeni..., “surplus people”, come
dice il testo, da far fuori senza convenevoli e senza
rimpianti.)
Né, crediamo, si può star a distinguere tra armi di
sterminio lecite e illecite, come se avesse senso
prevedere uno sterminio regolato, “umanitario”, magari
sotto la supervisione di tribunali presuntamente
indipendenti chiamati a giudicare quali massacri sono
legittimi, e quali non lo sono. No! Il diritto
internazionale non è altro che il diritto del più
forte spadroneggia sulla scena internazionale. Cioè il
diritto di Wall Street, del Pentagono, della Nato, dei
padroni dell’Occidente a fare dappertutto tutto quello
che è nel loro insindacabile interesse. Non facciamo
rientrare dalla finestra quello che abbiamo cacciato
dalla porta. Non appelliamoci alla ragionevolezza e
alla sensibilità di quegli stessi poteri che abbiamo
appena finito di denunciare come criminali.
E’ tutt’altra la direzione in cui dobbiamo rivolgerci.
“La mobilitazione delle masse, la loro consapevolezza,
la loro attivazione, la loro rabbia”, la loro
organizzazione internazionale di lotta: è questa la
grande forza, oggi largamente inespressa, su cui
puntare. La sola che può mettere davvero fine ai
macelli in corso. La sola che può trasformare in
realtà il vecchio “sogno” autenticamente umano della
fine delle guerre di sfruttamento e di dominio.”

Luigi Di Noia

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