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Sulla "rivolta dei fiori" in Slovenia

1) Ima li nade za demonstrante u Republici Sloveniji?
2) La rivolta dei fiori in Slovenia


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IMA LI NADE ZA DEMONSTRANTE U REPUBLICI SLOVENIJI?

Piše: doc. dr. Pavle Vukčević - Udruženje "Naša Jugoslavija" 
e-mail: pavlevukcevic @ gmail.com

S obzirom na tijek zbivanja u Republici Sloveniji, stvorena je volja građana da se isti bude protiv sistema. Neposlušnost prema vladi jedan je od najprirodnijih činova građana, i zar je onda čudno što oni koji su obespravljeni, nezaposleni, eksploatirani, kojima je oduzeto pravo na slobodu, pravo na dostojan život, dostojanstvo i sreću - demonstriraju.
To - biti protiv - postaje ključ za svako aktivno političko stajalište. Možda i samooslobođenje. Tijek zbivanja u Republici Sloveniji vodio je od nade do straha, od strepnje i zabrinutosti do razočarenja. Izuzetno izraženi socijalni strahovi multipliciraju osobnu, ekonomsku, egzistencijalnu, političku i svaku drugu nesigurnost. Trpi se otuđenje, eksploatacija, obmana i zapovjedanje kao neprijatelja. Pri tome se teško prepoznaju neprijatelji. Ne zna se sa sigurnošću gdje locirati "proizvodnju" tlačenja.
Građani u svojoj volji da demonstriraju, da budu protiv svoje želje samo za oslobođenjem, se moraju progurati kroz „Imperiju srama“ (neoliberalizam), jer samo nezadovoljstvo nije dovoljan uvjet za bilo kakvo političko angažiranje. Neophodno je potrebno da se nezadovoljstvo politički interpretira, prevede u značajne političke ciljeve (naglašavanje političkog karaktera nezadovljstva, lociranje uzroka nezadovoljstva, utvrđivanje ciljeva, ali i sredstava i načina za njihovo ostvarivanje). Korupcija i kompromitacija, nepostojanje morala, etike, odgovornosti stoje nasuprot stvaranju. Posvuda ih ima i "kamen su temeljac i ključ prevlasti".
Sve to leži u različitim i prepoznatljivim oblicima. U zakonodavnoj i izvršnoj vlasti, njihovim vazalnim upravama, lobijima neoliberalnog kapitalizma, mafijama društvenih skupina, političkoj religiji, parlamentarnoj diktaturi, stranačkim lobijima, financijskim konglomeratima i svakidašnjim ekonomskim transakcijama. Korupcija se lako zapazi, pojavljuje se kao oblik nasilja, kao uvreda, kao bolest i osakaćenje. Njena specifičnost, i posljedica, je raspad sistema.
Najtotalitarnija ideologija koja štiti korupciju tvrdi da je država Republika Slovenija demokratska i pravna i da je u stalnom privrednom rastu, jer bi se u suprotnom raspala i ne bi ništa ostalo od neovisnosti i suverenosti. Ideolozi ili zaboravljaju ili ne znaju da nema demokracije bez ekonomske i socijalne demokracije i vladavine prava. Demonstracije su očito otkaz poslušnosti lažnim vođama kako bi se usredotočili na bitne sadržaje ljudskog bivstvovanja - težak je to put humanističkog i demokratskog oslobađanja čovjeka. Pitanje je, gdje je granica od koje frustracija, strahovi, egzistencijalna nesigurnost i neizvjesnot prerastaju u artikulirano nezadovoljstvo (organiziranu akciju i građanski neposluh), a odatle u spontano izražavanje nezadovoljstva, gnjev i rušilački radikalizam.
Dakle, fluidno je i stalno promjenljivo razmeđe između mirne i odlučne protestne akcije i spontane nekontrolirane pobune, s često fatalnim posljedicama koje je nemoguće ukalkulirati, a pogotovo kontrolirati. Ulični su prosvjedi nepredvidljivi, spontani, neorganizirani i nekontrolirani. Bez jasnog vodstva sa ljudskim zasićenim bijesom i mržnjom. Demonstranti se moraju čuvati, ali nisu sigurni da će spriječiti infiltraciju rukovodstva koalicionih političkih partija ubačenih organa bezbjednosti.


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Non si fermano, nella Slovenia sull’orlo della bancarotta, le proteste degli operai, dei disoccupati e degli studenti partite nel pieno delle elezioni presidenziali che hanno visto l’affermazione del socialdemocratico Pahor contro la corruzione della classe politica e i tagli alla spesa pubblica e sociale imposti dall’Unione Europea al governo di centro-destra guidato dal premier Janez Janša, leader del Partito Democratico Sloveno. Il piccolo Paese centro-orientale è in crisi verticale, con l’11,5% di disoccupazione, un’economia troppo dipendente dalle esportazioni e quindi a picco a causa della crisi, e con un governo che cerca di far cassa imponendo tagli orizzontali a cultura, sanità, istruzione, lavoro e pensioni.

I primi accenni di protesta ci sono stati il 26 novembre a Maribor – seconda città della Slovenia per grandezza e prima per disagio sociale e numero di disoccupati- dove varie migliaia di persone avevano chiesto le dimissioni del sindaco e della giunta comunale, accusati di corruzione e di malgoverno. La protesta, pacifica, degenerò con l’intervento a gamba tesa della polizia che sgomberò con violenza la piazza, tanto che vi furono alcuni feriti e persino arresti. Dopo le cariche contro i manifestanti di Maribor, i collettivi e gruppi sociali attivi in Slovenia hanno invitato a scendere in piazza anche nelle altre città del Paese “contro la corruzione e le politiche di austerità”.

E infatti già Il 30 novembre si sono svolte nel piccolo paese sorto dal collasso della Jugoslavia di Tito le prime grandi manifestazioni contro il Governo cui hanno partecipato secondo gli organizzatori almeno 10 mila persone nella sola capitale Lubiana e altre decine di migliaia in quasi tutte le principali città del Paese: la giornata si concluse con una nottata di violenti scontri davanti ai palazzi del potere partiti a seguito del tentativo da parte di un gruppo di manifestanti di irrompere nel Parlamento, tentativo cui il reparto di polizia antisommossa – il famigerato “Bestie Ninja”- ha risposto utilizzando manganelli, gas lacrimogeni e cannoni ad acqua ed effettuando più di 30 arresti.

Il 12 dicembre, intanto, i rappresentanti dei lavoratori statali hanno depositato 13.280 firme per avviare l’iter referendario relativo alla legge di bilancio appena approvata dal Parlamento. La domanda è esplicita: «Volete abrogare la legge relativa al bilancio dello Stato 2013-2014 approvata dal Parlamento nella seduta del 6 dicembre 2012?» Per avviare l’iter bastavano 3mila firme. Il presidente della Confederazione sindacale del settore pubblico, Branimir Štrukelj ha affermato che se avessero aspettato un solo giorno in più le firme sarebbero state molte, ma molte di più. Štrukelj ha precisato inoltre che lo sciopero generale del pubblico impiego proclamato per il prossimo 23 gennaio è confermato e si svolgerà soprattutto per protestare contro i paventati licenziamenti. «Ma non ci fermeremo qui – ha precisato il leader sindacale – gli scioperi, dopo il 23 gennaio, si svilupperanno a macchia di leopardo nelle varie regioni slovene»

Tutto sembra intanto tacere nelle piazze , ma la notte del 21 dicembre alcune donne lanciano addosso ai poliziotti in presidio al Parlamento centinaia di garafoni rossi: da allora sulle pagine dei principali quotidiani nazionali – e poi esteri- non si parla che di “rivolta dei fiori”. Il giorno dopo, il 22 dicembre, anniversario del plebiscito con cui si sancì l’indipendenza dalla Jugoslavia socialista, in migliaia sono di nuovo in piazza per manifestare…non come gli anni scorsi la gioia per la “festa d’indipendenza”, ma tutta la loro rabbia “contro il governo democratico, i deputati e le istituzioni” e non poca nostalgia verso “l’era socialista”.

Mauro Manzin, giornalista de “Il Piccolo” inviato in quei giorni a Lubiana, ha raccontato che c’era in piazza “la gente che guadagna 600 euro al mese e non ce la fa più: le famiglie, gli studenti, i lavoratori e i disoccupati che vedono di giorno in giorno peggiorare la propria vita”. Un popolo, spiega, autoconvocato con il tam tam di facebook. “C’erano i reduci della guerra d’indipendenza con le bandiere slovene listate a lutto. C’erano genitori e bambini, coppie di pensionati, femministe arrabbiate che urlavano la loro rabbia in faccia ai poliziotti. C’erano bandiere anarchiche e bandiere dell’ex Unione sovietica. Bustine di partigiano in testa, molti anziani rivendicavano il proprio onore mutilato, a loro dire, da uno Stato infingardo e ladro. C’era un uomo vestito da giraffa che portava in mano un cartello con su scritto:«Le vostre dita sono più lunghe del mio collo». E poi un maiale di cartapesta a raffigurare i deputati. Le vuvuzelas – continua il giornalista- facevano un chiasso infernale, assieme a fischietti e tamburi. Gli operai gridavano: «Restituiteci le nostre fabbriche, vogliamo lavorare». Improvvisamente, dal nulla, sbucò un enorme sanpietrino di plastica gonfiato e la gente se lo passava sulle proprie teste come fosse un pallone. «Noi siamo lo Stato» si gridava. E il rimpianto per la «dittatura del proletariato» si insinuava tra il malessere della gente al tramonto del capitalismo. Gli “arrabbiati” voltavano le spalle alla sede della Nova Ljubljanska Banka. Sull’ingresso dell’istituto di credito era stato attaccato un cartello: «Banchieri siete finiti», recitava. «Gotovi», «gotovi», siete finiti, siete finiti, scandiva la massa che ondeggiava contro le transenne”.
E a due giorni di distanza, il 24 dicembre, in 5000 sono tornati a invadere nonostante il giorno di festa le strade della Capitale.


S.

5 gennaio 2013