LE UNIVERSITA' DI ROMA E TORINO ALL'AVANGUARDIA
NELLA FORMAZIONE DELLE NUOVE FIGURE PROFESSIONALI

Per le sempre piu' frequenti operazioni di ricolonizzazione - nei
Balcani, in Africa Orientale ed altrove - si rende ormai necessaria una
adeguata preparazione professionale.
Per questo aumentano i corsi universitari per la formazione di
"operatori" quali: i "peacekeepers", gli "amministratori dei
protettorati", i "bombaroli chirurgici", gli "interventisti umanitari",
i "missionari umanitari", i "caschi bianchi", i "militari per la pace",
eccetera. Si tratta di figure professionali inedite: alcune di queste
entrano in scena nelle fasi avanzate del processo di colonizzazione,
altre operano invece nelle aree di crisi perche' esse diventino
effettivamente tali, praticando ad esempio ad esempio: la
destabilizzazione del quadro politico e sociale attraverso operazioni
di intelligence e disinformazione strategica, l'appoggio ai settori
politici piu' criminali e servili, ed eventuali bombardamenti
chirurgici su obiettivi selezionati quali i petrolchimici o le sedi
della Croce Rossa. (Andrea)

BALCANI: 'SAPIENZA' PROMUOVE MASTER A BELGRADO E SARAJEVO
(ANSA) - BELGRADO, 29 NOV - Lavori preparatori per la creazione di un
master in amministrazione statale e sostegno umanitario sono in corso a
Belgrado, organizzati dalle universita' 'La Sapienza' di Roma e dagli
atenei di Belgrado e Sarajevo, col patrocinio della Cooperazione
italiana, della Farnesina e dall'Ambasciata d'Italia in Jugoslavia.
L'apertura del master e' prevista a Roma il 10 dicembre, presso
l'istituto diplomatico del ministero degli esteri italiano, a Palazzo
Madama. Saranno presenti i rettori delle universita' di Belgrado Marjia
Bogdanovic, di Sarajevo Boris Tihi e i responsabili di altri atenei del
sud est europeo. Una delegazione della Sapienza composta dal
coordinatore per le relazioni internazionali, prof. Dino Gueritore, dal
prof. Giuseppe Burgio e dal dott. Massimo Cavena ha messo a punto con i
rettori Bogdanovic e Tihi gli ultimi dettagli organizzativi, assistiti
dall'ambasciata italiana a Belgrado. ''E' giunto il momento - ha detto
la signora Bogdanovic - di preparare i nostri giovani a riprendere
confidenza con la speranza in un futuro migliore di pace e sviluppo del
paese. L'universita' ha un ruolo importante in questo''. Il programma
comune, ha aggiunto Tihi, ''vedra' i nostri atenei come coordinatori
nei Balcani di questo ambizioso progetto''. L'iniziativa conta anche
sul supporto delle Nazioni unite e delle forze di pace presenti a
Sarajevo, che contribuiranno a fornire docenti, supporto logistico e di
sicurezza.(ANSA). COM-OT
29/11/2001 19:30

> http://www.ansa.it/balcani/jugoslavia/20011129193032061598.html

-------- Original Message --------
Subject: Professionisti italiani nelle operazioni di pace
Date: Wed, 28 Nov 2001 19:41:40 +0100
From: "Nello Margiotta"
To: <pck-pace@...>


PROFESSIONE PEACEKEEPER

(News ITALIA PRESS) "Fornire ai laureati competenze professionali che li
rendano capaci di operare in aree di crisi": questo l'obiettivo
dichiarato dal professor Alberto Antoniotto, direttore del
corso "Peacekeeping e interventi umanitari" presentato ieri nell'Aula
magna dell'Università di Torino, che partirà a gennaio.
Alla presenza di un pubblico prevalentemente maschile, con una numerosa
presenza di militari, il professor Miozzo dell'Università di Torino, il
generale Orofino comandante del Centro Operativo Interforze, il dottor
Piva del Ministero degli Esteri e il dottor Machin, responsabile dello
Staff College di Torino hanno illustrato gli obiettivi del corso che si
svolgerà per il secondo anno consecutivo, citando esperienze concrete di
operazioni in corso e le possibilità lavorative che si sono rivelate
per gli studenti dello scorso anno.
Gli interventi umanitari "da 20 anni portano l'Italia a essere operatore
nelle zone di crisi" ha detto il dottor Miozzo e "hanno portato gli
italiani in tutto il mondo": contingenti militari, ma anche volontari
italiani delle ONG. Dall'intervento in Libano, alla Somalia, alla
Bosnia, per poi citare i più recenti esempi del Kosovo e
dell'Afghanistan. Chiamati ad operare in scenari sempre diversi e in
situazioni molto delicate "i peacekeeper che il corso vuole formare
devono avere competenze e esperienza sul terreno: è un universo che
deve essere conosciuto, di cui fanno parte i militari, ma anche
volontari, ONG e organismi internazionali. La formazione proposta serve
a sapere dove e perché si va" spiega il direttore Antoniotto ed è quindi
necessario "un approccio culturale al peacekeeping" come lo ha definito
il dottor Machin. "Si tratta di voler insegnare una certa umiltà nel
rapporto con altre culture e di inserirsi neutralmente nelle zone di
conflitto".
Consulente del corso sarà generale Giuseppe Orofino che ha maturato
esperienza nel settore delle operazioni umanitarie: a lui abbiamo
chiesto il significato della formazione di peacekeeper italiani e quale
sia la consistenza dei contingenti di pace impegnati in territori di
crisi.

Generale Orofino, come giudica la realizzazione di questo corso e quali
prospettive offre per la presenza degli italiani in operazioni di pace?

Un corso di questo genere può contribuire innanzitutto a far conoscere
tutti gli interventi di questo tipo che gli italiani realizzano e hanno
realizzato, dal momento che spesso non si conoscono: questa integrazione
di conoscenza é molto utile perché va a costituire il famoso 'sistema
Italia' nel campo del Peace-keeping che stiamo realizzando e che
porterà a un maggiore e maggiormente qualificato contributo alle azioni
internazionali da parte del nostro Paese, verso le popolazioni che
hanno bisogno del nostro aiuto. Si vuole offrire una molteplicità di
conoscenze che formino peacekeepers con competenze che spaziano nei
campi giuridico, amministrativo, culturale, sociologico. E' un corso
che significa, per chi vuol frequentarlo, un primo passo verso una
scelta di vita dedita agli aiuti umanitari.

Che significato ha per il nostro Paese l'impegno in operazioni di
peacekeeping?

Le operazioni umanitarie sono in generale coordinate all'interno di un'
azione internazionale e vanno realizzate a vantaggio della comunità
internazionale stessa, nei confronti di persone e Paesi che vivono
situazioni di difficoltà e che stanno male. Il popolo italiano è un
popolo sensibile e incoraggia la partecipazione ad operazioni
umanitarie. Si tratta, inoltre, di inserire in questo modo il nostro
Paese nella contesto internazionale, ma il problema contingente è una
situazione esplosiva alle porte di casa nostra e quindi oggi è ancora
più opportuno realizzare queste partecipazioni a accollarsi un impegno
di questo genere.

Quale evoluzione ha avuto la realizzazione degli interventi umanitari
italiani?

Abbiamo cominciato negli anni Ottanta in Libano e poi siamo andati
avanti fino agli interventi attuali, abbiamo cominciato con piccole
operazioni di pace e siamo giunti a una presenza più significativa.
Esiste una differenza che è maturata in questi vent'anni di
peacekeeping italiano e consiste nel numero di interventi realizzati,
di uomini impegnati e nell'esperienza accumulata nel settore, che oggi
mettiamo al servizio di che voglia frequentare il corso in questione.

Quale pensa sia il ruolo delle Forze Armate negli interventi umanitari e
in che modo si inserisce la loro presenza in un corso di questo tipo?

La presenza delle Forze Armate con la loro esperienza deriva dal fatto
che esse sono Peacekeeper per eccellenza, sia singolarmente che come
complesso di forze che ha realizzato un servizio nelle aree di crisi per
popolazione e territorio: mi sembra un buon motivo per partecipare alla
docenza e fornire un supporto accademico per l'esperienza vissuta e le
conoscenze accumulato.

Che tipo collaborazione esiste tra le ONG e le forze armate? Ricorda
casi di contrasti nella gestione dei conflitti?

Direi che si può parlare di un'ottima collaborazione: c'è uno scambio di
informazione, di conoscenze, di esperienze e di aiuto, soprattutto per
quanto riguarda alcuni servizi che le ONG necessitano e che possono
essere, per esempio, garanzie di sicurezza.
Non mi sono mai capitati casi di divergenze. Nel corso della mia
esperienza, dal 1997 al 2001, non ho mai avuto occasione di poter
constatare l'esistenza di contrasti tra le diverse componenti che
partecipavano alle operazioni di peacekeeping.

Esiste un modello di peacekeeping italiano?

Non ci sono modelli perché ogni operazione umanitaria è diversa e
indipendente: ci possono essere esperienze e osservazioni recepite dalle
precedenti occasioni che e possono essere d'aiuto nelle future
operazioni.

Nello

change the world before the world changes you