Informazione


Non-notizia dell'estate


N.B. sulla criminalità albanese alla conquista dell’Europa, persino l'Open Society di Soros – che li ha appoggiati in ogni maniera in funzione eversiva – recentemente ha pubblicato un allarmante rapporto, e Osservatorio Balcani Caucaso, ubbidiente, ne ha riferito:
La criminalità albanese alla conquista dell’Europa 31/07/2018
Albania, la promessa tradita della lotta alla marijuana 28/06/2018
Dossier droga Albania introduzione 31/05/2018

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Misteri albanesi, suicida a sei colpi con rimbalzi italiani

L’autista personale del ministro degli Interni col fratello narcotrafficante condannato in Italia morto nel garage della Guardia della Repubblica.
-Suicidio con tre o sei colpi alla tempia. Il suicida più caparbio della storia.
-Poi, sul ministro dalle parentele pericolose, altra disattenzione italiana.

Di Remocontro [Ennio Remondino], 3 luglio 2018

Il suicida a tutti i costi

Misteri albanesi, suicida a sei colpi. Voleva proprio morire, prova a sostenere la polizia dei Tirana, con ‘qualche forzatura’. Shkelzen Qordja, 31 anni, autista del Ministro degli Interni Fatmir Xhafaj, si è suicidato sparandosi alla tempia destra seduto al posto del guidatore in un’auto di servizio, leggiamo dalla cronaca locale. È accaduto in un garage della Guardia della Repubblica, il reparto che si occupa delle scorte e della sicurezza dei politici albanesi, chiuso da dentro e inaccessibile da fuori, dove sarebbero stati trovati tre bossoli, versione ufficiale della polizia, che è già un bel insistere nel premere il grilletto a testa già fracassata. Altra fonte, ufficiosa ma sempre sbirresca, parla addirittura di sei bossoli per un fanta suicidio.

Shkelzen Qordja era un militare della Guardia da poco piu’ di un anno. Prima di diventare l’autista di Fatmir Xhafaj era stato l’autista di Engjell Agaçi, il segretario generale della Presidenza del Consiglio albanese, già avvocato penalista a Roma -leggiamo da Exit News- «noto per aver difeso tutti i principali criminali albanesi nei tribunali italiani, notoriamente buon amico di Fatmir Xhafaj (il ministro col fratello narco)». Strane e insistite connessioni di famiglia lì attorno. Il presunto suicida col fratello Ermal, anche lui militare della Guardia, prima di essere arruolati, sono stati autisti personali di Xhafaj, il ministro, e in amicizia stretta con il fratello Agron, il narcotrafficante.

La scena del delitto. Un comunicato della Polizia, non rilanciato della Procura, riferisce di varie ferite di arma da fuoco sparate da destra a sinistra, e l’arma di servizio nella mano destra e con il selettore nella posizione di tiro a raffica. Ricostruzione poco credibile, in attesa di ben altre certificazioni. Ma per la politica tutto è chiaro da subito: suicidio per il governo, già alle prese con lo scandalo del fratello narco del ministro; regolamento di conti di tipo mafioso, per l’opposizione. Malizie contrapposte e certo interessate, ma le circostanze non aiutano. Circa due settimane prima il Comandante del Servizio Operativo della Guardia della Repubblica, Martin Nika, era stato travolto e ucciso da un’auto lanciata contro e poi dileguata. Col sospetto di omicidio mirato..

[FOTO: Il ministro dell’interno albanese e la sentenza italiana di condanna del fratello]

Fratello narco del ministro
con altre questioni italiane

Altra storiaccia albanese, che mette a rischio lo stesso governo di Tirana e che coinvolge in parte l’Italia. Agron (Geron) Xhafaj, condanna esecutiva in Italia per narco traffico, ma mai realmente cercato (né da noi, né da loro). Una registrazione fornita dal Partito Democratico (la destra d’opposizione in Albania) che chiamerebbe personalmente in causa il ministro. Vera, falsa, montatura, depistaggio? La registrazione sospetta, sempre Exit News e stampa albanese (Shqiptarja.com e da Syri.net), non si sa se e quando sarà certificata in Italia, dove è stata mandata per accertamenti scientifici. Problemi burocratici italiani, viene detto, utili localmente per stemperare molte tensioni.

Coinvolgimento italiano in questa faida politica albanese, con tanto di ambasciata finita nel mezzo. Vicenda di cui remocontro.it (tra i pochi in Italia) ha raccontato. Ora sappiamo della richiesta di perizia in Italia da parte della Procura di Tirana, ma dopo tre settimane non è arrivata neppure un ‘ricevuto’. E si parla, fonte albanese, di un conflitto di competenze tra i due ministeri italiani (Giustizia, che riceve le rogatorie, e Interni, che dispone del laboratorio), palleggio che allungherebbe la procedura. Lettura ovviamente contrapposta in casa albanese su reali o presunte complicità politiche italiane e a favore di chi.


AVEVAMO DETTO
Albania, narco-fratello del ministro, l’Italia e l’estradizione scomparsa (di Remocontro, 14 giugno 2018)
L’attuale ministro degli interni albanese con un fratello condannato in Italia a 7 anni per traffico di stupefacenti, condanna esecutiva ma mai eseguita.
-Lui, il ‘non ricercato’ se ne va a spasso perché non c’è richiesta di estradizione.
-Lo scandalo con l’intervento dell’ambasciatore italiano che fa da benzina sul fuoco.





Lettera aperta al presidente Trump sulle conseguenze dell’11 Settembre 2001

di  Thierry Meyssan
RETE VOLTAIRE | DAMASCO (SIRIA)  | 31 AGOSTO 2018  

Signor Presidente,
i crimini dell’11 Settembre 2001 non sono mai stati giudicati nel suo Paese. Le scrivo in quanto cittadino francese che ha denunciato per primo le incongruenze della versione ufficiale, aprendo un dibattito a livello mondiale su chi siano i veri colpevoli.
Se fossimo giurati in un tribunale penale dovremmo decidere della colpevolezza o dell’innocenza del sospettato ed eventualmente stabilire la pena. Dopo i fatti dell’11 Settembre, l’amministrazione Bush Jr. ci ha detto che il colpevole era Al Qaeda e che la punizione sarebbe stata il rovesciamento di chi l’aveva aiutata: i Talebani afgani, poi il regime iracheno di Saddam Hussein.
Tuttavia, c’è una grande quantità d’indizi che attesta l’insostenibilità di simile tesi. Se fossimo giurati, con obiettività decideremmo che i Talebani e Saddam Hussein sono innocenti. Naturalmente, questo non basterebbe a farci conoscere il vero colpevole e ne saremmo frustrati. Ma è per noi inconcepibile che degli innocenti vengano condannati solo perché non abbiamo saputo, o potuto, trovare i colpevoli.
Noi tutti abbiamo capito che alte personalità istituzionali stavano mentendo quando il segretario di Stato per la Giustizia e il direttore dell’FBI, Robert Mueller, hanno rivelato i nomi dei 19 presunti pirati dell’aria: avevamo già sotto gli occhi le liste dei passeggeri imbarcati, diffuse dalle compagnie aeree, e su queste liste non figurava alcuno dei sospettati.
Da allora abbiamo cominciato a dubitare fortemente del «governo di continuità», l’istanza incaricata di sostituirsi alle autorità elette, qualora queste perissero in un attacco nucleare. Abbiamo formulato l’ipotesi che gli attentati mascherassero un colpo di Stato conforme al metodo ideato da Edward Luttwak: conservare un esecutivo di facciata, imponendogli però tutt’altra politica.
Nei giorni successivi l’11 Settembre l’amministrazione Bush prese diverse decisioni. 
*  Fu istituito l’Office of Homeland Security e adottato un voluminoso Codice Antiterrorismo, pronto però già da molto tempo, l’USA Patriot Act. Per fatti che l’amministrazione stessa giudica «di terrorismo», questo testo sospende la Bill of Rights, che è stata, signor presidente, la gloria del suo Paese. L’USA Patriot Actdestabilizza le vostre istituzioni. Due secoli dopo ha sancito il trionfo dei grandi proprietari che stesero la Constitution e la sconfitta degli eroi della guerra d’indipendenza che pretesero che vi fosse aggiunta la Bill of Rights
*  Il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, creò l’Office of Force Transformation, al comando dell’ammiraglio Arthur Cebrowski, che presentò immediatamente un piano, pronto già da molto tempo, per il controllo delle risorse naturali dei Paesi del Sud attraverso la distruzione delle strutture statali e della vita sociale della metà del mondo non ancora globalizzata. Simultaneamente, il direttore della CIA lanciò la «Matrice dell’Attacco Mondiale», un insieme di operazioni segrete nelle 85 nazioni dove Rumsfeld e Cebrowski volevano distruggere le strutture statali. Ritenendo che soltanto quei Paesi le cui economie erano globalizzate si sarebbero mantenuti stabili, mentre gli altri sarebbero stati distrutti, gli uomini dell’11 Settembre misero le Forze armate statunitensi al servizio di interessi finanziari transnazionali. Tradirono gli Stati Uniti e li trasformarono nel braccio armato di siffatti predatori .
Da 17 anni vediamo cosa porta ai suoi concittadini il governo dei successori di quelli che redassero la Constitution e si opposero, all’epoca senza successo, alla Bill of Rights: i ricchi sono diventati super-ricchi, la classe media è stata ridotta a un quinto e la povertà è aumentata.
Vediamo anche i risultati della messa in atto della strategia Rumsfeld-Cebrowski: conflitti – le cosiddette «guerre civili» – che hanno devastato quasi per intero il Medio Oriente Allargato; intere città cancellate dalla carta geografica, dall’Afghanistan alla Libia, passando per l’Arabia Saudita e la Turchia, che tuttavia non erano in guerra.
Nel 2001 soltato due cittadini statunitensi denunciarono le incoerenze della versione bushiana: il democratico Jimmy Walter, costretto poi all’esilio, e lei stesso, che entrò in politica e ora è presidente.
Nel 2011 abbiamo visto il comandante dell’AfriCom venire rimosso ed essere rimpiazzato dalla NATO perché si era rifiutato di supportare Al Qaeda nel rovesciamento della Jamahiriya Araba Libica. Poi abbiamo visto il LandCom della NATO organizzare il sostegno occidentale agli jihadisti in generale e ad Al Qaeda in particolare per rovesciare la Repubblica Araba Siriana.
Così gli jihadisti, considerati «combattenti per la liberta» contro i sovietici, e poi, dopo l’11 Settembre, «terroristi», tornarono a essere gli alleati dello Stato profondo, cosa che in realtà non cessarono mai di essere.
Abbiamo anche seguito con immensa speranza la sue azioni per sopprimere, uno a uno, ogni sostegno agli jihadisti. Ed è con la medesima speranza che la vediamo oggi dialogare con il presidente russo per ristabilire la vita nel Medio Oriente devastato. Ed è invece con pari preoccupazione che vediamo Robert Mueller, ora procuratore speciale, accanirsi nel distruggere la patria, attaccando la posizione che lei ora occupa.
Signor presidente, la diarchia che si è installata nel suo Paese dopo l’11 Settembre causa sofferenza non soltanto lei e ai suoi concittadini: ne è vittima il mondo interno.
Signor presidente, l’11 Settembre non è storia passata. È il trionfo di interessi transnazionali che conculcano non soltanto il suo popolo, ma l’intera umanità che aspira alla libertà.
Thierry Meyssan ha aperto il dibattito a livello mondiale sui veri responsabili dell’11 Settembre. Ha lavorato come analista politico a fianco di Hugo Chavez, di Mahmoud Ahmadinejad e di Mouamar Gheddafi. Oggi è rifugiato politico in Siria.

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista 


See : Memoranda for the President on 9/11: Time for the Truth — False Flag Deep State Truth!, by : Kevin Barrett; Scott Bennett; Christopher Bollyn; Fred Burks; Steve De’ak; A. K. Dewdney; Gordon Duff; Aero Engineer; Greg Felton; James Fetzer; Richard Gage; Tom-Scott Gordon; David Ray Griffin; Sander Hicks; T. Mark Hightower; Barbara Honegger; Eric Hufschmid; Ed Jewett; Nicholas Kollerstrom; John Lear; Susan Lindauer; Joe Olson; Peter Dale Scott; Robert David Steele; and indirectly, Victor Thorn and Judy Wood.





En FRANÇAIS: Ponts écroulés et ponts bombardés (par Manlio Dinucci, 28.8.2018)
Alors que nous avons tous été horrifiés par l’écroulement du pont Morandi de Gênes, Manlio Dinucci nous rappelle que la société gestionnaire de cet ouvrage a été privatisée… pour payer la destruction par l’armée italienne des ponts de Serbie. C’était en 1999, sous les ordres de l’Otan...
http://www.voltairenet.org/article202625.html

https://ilmanifesto.it/ponti-crollati-e-ponti-bombardati/

Ponti crollati e ponti bombardati

di Manlio Dinucci 
su Il Manifesto del 28.08.2018

«L’immagine è davvero apocalittica, sembra che una bomba sia caduta sopra questa importantissima arteria»: così un giornalista ha descritto il ponte Morandi appena crollato a Genova, stroncando la vita di decine di persone. Parole che richiamano alla mente altre immagini, quelle dei circa 40 ponti serbi distrutti dai bombardamenti Nato del 1999, tra cui il ponte sulla Morava meridionale dove due missili colpirono un treno facendo strage dei passeggeri.

Per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane fornite dal governo D’Alema, 1100 aerei effettuarono 38 mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili. Furono sistematicamente smantellate le strutture e infrastrutture della Serbia, provocando migliaia di vittime tra i civili. Ai bombardamenti parteciparono 54 aerei italiani, che effettuarono 1378 sortite, attaccando gli obiettivi stabiliti dal comando statunitense. «Per numero di aerei siamo stati secondi solo agli Usa.

L’Italia è un grande paese e non ci si deve stupire dell’impegno dimostrato in questa guerra», dichiarò D’Alema. Nello stesso anno in cui partecipava alla demolizione finale dello Stato jugoslavo, il governo D’Alema demoliva la proprietà pubblica della Società Autostrade (gestore anche del ponte Morandi), cedendone una parte a un gruppo di azionisti privati e quotando il resto in Borsa. Il ponte Morandi è crollato fondamentalmente per responsabilità di un sistema incentrato sul profitto, lo stesso alla base dei potenti interessi rappresentati dalla Nato. L’accostamento tra le immagini del ponte Morandi crollato e dei ponti serbi bombardati, che a prima vista può apparire forzato, è invece fondato.

Anzitutto, la scena straziante delle vittime sepolte dal crollo ci dovrebbe far riflettere sulla orrenda realtà della guerra, fatta apparire dai grandi media ai nostri occhi come una sorta di wargame, con il pilota che inquadra il ponte e la bomba teleguidata che lo fa saltare in aria. In secondo luogo ci dovremmo ricordare che la Commissione europea ha presentato il 28 marzo un piano d’azione che prevede il potenziamento delle infrastrutture della Ue, ponti compresi, non però per renderle più sicure per la mobilità civile ma più idonee alla mobilità militare (v. il manifesto, 3 aprile 2018). Il piano è stato deciso in realtà dal Pentagono e dalla Nato, che hanno richiesto alla Ue di «migliorare le infrastrutture civili così che siano adattate alle esigenze militari», in modo da poter muovere con la massima rapidità carri armati, cannoni semoventi e altri mezzi militari pesanti da un paese europeo all’altro per fronteggiare «l’aggressione russa».

Ad esempio, se un ponte non è in grado di reggere il peso di una colonna di carrarmati, dovrà essere rafforzato o ricostruito. Qualcuno dirà che in tal modo il ponte diverrà più sicuro anche per i mezzi civili. La questione non è però così semplice. Tali modifiche verranno effettuate solo sulle tratte più importanti per la mobilità militare e l’enorme spesa sarà a carico dei singoli paesi, che dovranno sottrarre risorse al miglioramento generale delle infrastrutture.

È previsto un contributo finanziario Ue per l’ammontare di 6,5 miliardi di euro, ma – ha precisato Federica Mogherini, responsabile della «politica di sicurezza» della Ue – solo per «assicurare che infrastrutture di importanza strategica siano adatte alle esigenze militari». I tempi stringono: entro settembre il Consiglio europeo dovrà specificare (su indicazione Nato) quali sono le infrastrutture da potenziare per la mobilità militare. Ci sarà anche il ponte Morandi, ricostruito in modo che i carri armati Usa/Nato possano transitare sicuri sulla testa dei genovesi?





È morto Caino

1) È morto John McCain, capo di un ramo del servizio segreto dei «Cinque Occhi» (Rete Voltaire, 27 Agosto 2018)
2) Fulvio Grimaldi su John McCain: Morto un eroe della civilta’ nei cui valori integrare i migranti


Si vedano anche:

John McCain era "il simbolo del libero pensiero anti-russo" (Sputnik, 26.08.2018)
... Il Capo del Comitato internazionale del Consiglio della Federazione Konstantin Kosachev ha definito McCain "uno specchio dell'era della guerra fredda", caratterizzato da una chiara divisione del mondo in "loro e gli altri"...

"McCain era un fervente nemico della Russia" (Sputnik, 26.08.2018)
Oleg Morozov, membro della commissione Esteri del Consiglio della Federazione Russa: "E' morto un nemico. Onore per il suo odio franco, per la sua aperta invidia, per la sua chiara intransigenza."

Jurij Trushechkin, l’eroe che abbatté John McCain (da Fishki, 26 agosto 2018)
.... va ricordato il nostro veterano sovietico, il Tenente-Colonnello Jurij Trushechkin, che partecipò alla guerra del Vietnam. Faceva parte dell’unità missilistica che distrusse nel cielo del Vietnam l’aereo pilotato dal futuro candidato presidenziale John McCain e che prese persino come trofeo i suoi documenti personali! Per l’aereo di McCain abbattuto, Trushechkin ricevette l’Ordine della Stella Rossa ...
http://aurorasito.altervista.org/?p=2194

John McCain: "Bomb Iran" (with bonus footage) 

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Centinaia di articoli apparsi su JUGOINFO negli ultimi vent'anni hanno indicato John McCain tra i principali artefici di guerre fratricide, aggressioni imperialiste e terrorismo globale:
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/search/messages?query=McCain

Si vedano in particolare:

The Beatification of John McCain (Neil Clark, Jul 29, 2017)

Lobbysti USA a favore di ISIS e Ucraina (13 nov 2014)
... USA, UE, Turchia, Israele aiutano l'ISIS. E John McCain si vanta di frequentarli / tre caporioni delle milizie nazi-europeiste a Washington per incontrare John McCain

USA, a "bipartizan" policy (4 nov 2008)
John McCain is supported by the Albanian American Civic League!

Romantici guerriglieri del Kosova... (13 mar 2000)
John McCain e la "Dioguardi-UCK connection" / I repubblicani albanesi salutano McCain / McCain saluta la nomina di Demaci a "leader politico" dell'UCK / La lobby pan-albanese nel congresso USA


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È morto John McCain, capo di un ramo del servizio segreto dei «Cinque Occhi»

RETE VOLTAIRE | 27 AGOSTO 2018 

Il senatore John McCain è morto il 25 agosto 2018; aveva 81 anni. La stampa internazionale lo saluta come «eroe del Vietnam», «uomo integerrimo», «che non cede a compromessi» di fronte al presidente Trump.
L’azione in Vietnam di questo «difensore della libertà» si limita a un bombardamento di civili: nel 1967, mentre stava distruggendo una centrale elettrica, l’aereo da lui pilotato fu abbattuto dalla contraerea sovietica. McCain, figlio di un ammiraglio che diventerà comandante in capo del PaCom, fu catturato e rimase cinque anni in prigione, dove fu a lungo torturato.
Dapprima, nel 1982, fu eletto alla Camera dei rappresentanti, poi, nel 1986, al Senato. Quest’uomo che si vuol far credere integerrimo, è stato in realtà uno dei cinque senatori (i «Keating five») che Charles Keating corruppe per coprire le truffe perpetrate in danno dei piccoli risparmiatori. Nelle primarie repubblicane del 2000 McCain si misurò con George Bush Jr., che non credeva al suo eroismo in Vietnam e lo accusò di aver tradito il Paese (aveva firmato delle confessioni sotto tortura).
Nel 2008 McCain, candidato del Partito Repubblicano contro Barack Obama, dovette affrontare le rivelazioni del New York Times, secondo cui la sua campagna elettorale sarebbe stata finanziata da società come contropartita delle posizioni da lui assunte quale presidente della Commissione per il Commercio.
Inclassificabile sul piano della politica interna, McCain ha sostenuto sia il reato penale per l’aborto sia il rifiuto della tortura.
Dal 1993 John McCain ha cumulato al mandato di senatore la presidenza dell’IRI (International Republican Institute, ndt), organizzazione finalizzata a corrompere i partiti politici di destra nel mondo. L’IRI è una delle principali propaggini della National Endowment for Democracy (il servizio segreto che hanno in comune i «Cinque Occhi», cioè Australia, Canada, Stati Uniti, Nuova Zelanda e Regno Unito). Nonostante la complessità giuridica della struttura, la funzione di McCain era esecutiva. L’ha esercitata per 25 anni, in violazione del principio della separazione dei poteri, fino all’inizio di questo mese, quando è stato sostituito dal senatore Dan Sullivan, suo amico.
In qualità di presidente dell’IRI, McCain ha preso parte all’organizzazione di numerosissimi colpi di Stato e ha sostenuto tutte le guerre di Stati Uniti e Regno Unito, senza eccezioni. Per esempio, ha preparato il fallito colpo di Stato contro il presidente costituzionale del Venezuela, Hugo Chavez, il rovesciamento del presidente costituzionale di Haiti, Jean-Bertrand Aristide, il tentato rovesciamento del presidente costituzionale del Kenya, Mwai Kibaki e, più recentemente, il rovesciamento del presidente costituzionale ucraino, Viktor Janukovych.
A febbraio 2011, in una riunione al Cairo dei servizi segreti alleati, McCain, vero direttore d’orchestra della «primavera araba», varò le guerre di Libia e di Siria. Si recò poi in Libano per affidare l’approvvigionamento militare degli jihadisti in Siria al deputato harirista Okab Sakr. Con l’occasione visitò Ersal e decise d’impiantarvi una retrovia che gli jihadisti avrebbero utilizzato contro la Siria.
A maggio 2013, sotto protezione israeliana, si recò illegalmente nel nord della Siria. Vi incontrò diversi jihadisti, in particolare Mohammad Nour che aveva appena sequestrato 11 civili libanesi. Ci risulta che in quell’occasione incontrò anche Abu Bakr al-Baghdadi, futuro califfo di Daesh, fatto che però la sua segreteria smentisce.
Eppure, un anno dopo, il 16 settembre 2014, ospite del Sean Hannity’s Show (Fox News), criticò un articolo che riferiva della precarietà del cessate-il-fuoco tra jihadisti «moderati» e jihadisti «estremisti». Affermò poi di avere conoscenza diretta della situazione siriana e, riferendosi alla propria esperienza in Vietnam, difese l’idea di appoggiarsi su tutti quanti i «ribelli» per rovesciare la Repubblica Araba Siriana; rivelò altresì di aver incontrato i leader di Daesh e di essere in contatto permanente con loro.

[John McCain admet être en contact permanent avec l'EIIL

McCain, con determinazione e totale indifferenza, ha contribuito alla distruzione di una porzione di mondo.

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista 



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John McCain ---- MORTO UN EROE DELLA CIVILTA’ NEI CUI VALORI INTEGRARE I MIGRANTI

di Fulvio Grimaldi – lunedì 27 agosto 2018

[FOTO: John McCain con lo sponsor George Soros]

Per  un tumore al cervello, è morto il 26 agosto 2018 John McCain, senatore degli Stati Uniti, sodale di George Soros, già prigioniero di guerra dei vietnamiti dai quali affermava di essere stato torturato. Altri raccontano che i nordvietnamit lo chiamavano “John  il canterino”  per la sua collaborazione “cantante”, onde ottenere un trattamento migliore. Aveva 81 anni. Battuto da Bush e da Obama in due corse per la presidenza, si incise nella storia delle campagne presidenziali soprattutto per aver scelto come suo vice un fenomeno da baraccone come Sarah Palin, quella del Tea Party e degli Stati Uniti in armi contro tutti, poveri in prima linea. Un suo affetto duraturo fu anche George Soros, di cui condivideva tutte le battaglie, dalle rivoluzioni colorate, agli spostamenti di popoli chiamati migrazioni, ai movimenti tipo Metoo e che lo ricambiava finanziandone la Fondazione famigliare con la sua Open Society Foundation.

 I media e politici della destrasinistra e sinistra destra, che si riconoscono nella guida degli Usa e nei valori dell’Occidente, lo descrivono come esemplificato dai due dei principali quotidiani italiani  che hanno affidato il necrologio alle proprie penne di maggior prestigio. Sono questi media e i loro editori di riferimento in politica ed economia ad alternare alle loro accuse di populismo, razzismo, xenofobia, incitazione alla violenza, fascismo, rivolte a critici e antagonisti, l’esaltazione di un personaggio che per tutta la sua vita matura ha fatto delle guerre imperiali, del terrorismo al servizio delle guerre imperiali, degli sterminii di interi popoli il valore suo e quello della “democrazia” da lui abitata. Il corto circuito di questi campioni delle fake news è quello per cui individuano razzismo, xenofobia, fascismo in chi si oppone alle deportazioni riconosciute come nuovo colonialismo, nuova tratta degli schiavi, nuovo strumento di dumping sociale, quando la forma estrema e più letale di razzismo, xenofobia e fascismo sta in quanto perseguito dall’eroe americano da loro rimpianto e additato a modello. 

Seguono, in fondo, alcune note biografiche  da me compilate.

Federico Rampini, La Repubblica
I vecchi soldati non muoiono mai…McCain, a differenza di Trump, è stato un vero patriota… Veniva da una tradizione gloriosa, in cui anche l’élite bianca andava al fronte, rischiava la vita…A un uomo di quella tempra Trump fece l’oltraggio più ignobile…La requisitoria implacabile di McCain: viviamo in un paese fatto di ideali, non di terra e di sangue… McCain incarna la tradizione repubblicana più nobile e onesta, quella che diede all’America Abraham Lincoln… fu tra i primi a ostacolare l’idillio con Trump e varò le sanzioni contro la Russia al Congresso…”

Vittorio Zucconi, La Repubblica
McCain era l’ultimo leone del mondo pre-Twitter… pre-populismo, un mondo senatoriale e togato, spazzato via dalla furia distruttiva del trumpismo e dei suoi piccoli emuli di provincia…l’eroismo di McCain… In McCain l’idea dell’America era nel principio fondamentale di un governo di leggi, non di persone…era la cesura tra la concezione dispotica portata da Trump a Washington e la cultura del compromesso fra campi opposti per ottenere il meglio possibile…… la rappresentazione esemplare del cambio storico tra democrazia mediata, faticosa, di do ut des per costruire maggioranze bipartisan che tenessero conto anche degli sconfitti, e il nuovo tempo delle forzature e delle intimidazioni… era l’ultimo senatore repubblicano che ancora credeva nella Costituzione”.

Stefano Pistolini, Il Fatto Quotidiano
Addio al campione dell’altra America… McCain ha incarnato l’americano ideale, il modello dell’uomo da sposare, del padre da avere, dell’interprete dello spirito di altruismo ed empatia, sentimento fondante della nazione, il valore originale coltivando il quale si è arrivati fin qui” (come sanno bene i pellerossa, coreani, vietnamiti, latinoamericani, haitiani, yemeniti,  iracheni, libici, siriani, afghani, somali…n.d.r.)… “a cominciare dall’inestinguibile slancio a battersi per le buone cause… prototipo inossidabile dell’immaginario americano, conservatore indipendente e romantico, colto e spiritoso… ispirato a un culto del buonsenso e ai principi del buon vicinato, del mutuo soccorso… il testimone dei valori nazionali… era quello dell’onore prima di tutto e de ‘il mondo è un bel posto’ per cui vale la pena di battersi… un monumento stabile a qualcosa che non c’è più e di cui sentire una grandissima mancanza”.

Bernie Sanders, Partito Democratico
Il portabandiera della sinistra Statunitense, quello fatto fuori da un colpo di mano del Comitato Nazionale Democratico a favore di Hillary Clinton, quello che per la sinistra sinistra italiana (“manifesto” e affini) rappresenta lo standard aureo della politica statunitense, così si esprime su John McCain: “John McCain era un eroe americano, un uomo di decenza e onore e un mio amico. Non ci mancherà solo nel Senato Usa, ma a tutti gli americani che rispettano integrità e indipendenza.”

Le opere e i giorni di John McCain

Il critico più feroce del presidente Trump per i suoi tentativi, più o meno riusciti, ma probabilmente sinceri nella misura in cui riusciva a sfuggire alla tenaglia dello Stato Profondo Usa, di arrivare a un’intesa con Russia e Nord Corea e a un mondo con meno guerre, McCain ha un curriculum da vero eroe americano, come lo definiscono gli agiografi qui citati, contrassegnato da una serie lunga e ininterrotta di atti che, dalle parti che li subirono, furono definiti crimini di guerra e contro l’umanità. I suoi suggerimenti per risolvere problemi geopolitici erano fermi e costanti: fare guerra a Libia, Siria, Iraq, Afghanistan, Sudan, Cina, Russia, Ossezia del Sud, Ucraina, Eritrea e altre sentine del vizio di non obbedire a Washington e Israele. Ovunque, in intima intesa e collaborazione con il terrorismo del luogo, salafita o nazista che fosse. Echeggia ancora in Senato la sua invocazione: “Bomb, bomb, bomb… bomb, bomb Iran”.
A dispetto del suo estremismo guerrafondaio, a McCain fu consentito da Obama di gestire all’interno del Comitato per i Servizi Militari del Senato un illegale dipartimento di politica estera, grazie al quale potè assumere il ruolo di inviato speciale del Congresso e della Presidenza in situazioni di conflitto.
Afghanistan e Iraq. Il 12/9 2001, un giorno dopo l’attentato alle Torri Gemelle e al Pentagono, McCain elencò in tv i paesi che avrebbero ospitato Al Qaida e che avrebbero dovuto essere ripuliti. In testa, Afghanistan e Iraq.  
Siria e Libia. Nella lista del 2001 era inclusa la Siria sotto lo slogan “Assad va eliminato”, gridato fino all’ultimo dei suoi giorni. Fu il primo a esigere massicci armamenti per le bande jihadiste e bombardamenti sui centri abitati. Sulla Libia invocò dal primo giorno della “rivoluzione colorata” una no-fly zone e bombardamenti a tappeto. Se la Libia fu ridotta allo stato della pietra e a piattaforma di partenza della tratta degli schiavi, è anche merito suo. Sia in Siria che in Libia, McCain si incontrò e concordò piani d’azione terroristica con i massimi dirigenti sia di Al Qaida che dell’Isis, compreso l’agente Mossad Al Baghdadi. Ne esiste un’ampia documentazione fotografica e video. Dal momento che ufficialmente gli Usa erano impegnati nella guerra a queste formazioni terroriste, i rapporti di McCain con esse si configurano come alto tradimento e collaborazione col nemico. MCain perorò anche interventi militari e di Forze Speciali in Mali, Nigeria e Sudan. Nessun Obama mai  lo ostacolò. Anzi.

[ FOTO: McCain e leader di Al Qaida-Isis 
FOTO: McCain con Al Baghdadi ]

Iran. Il bersaglio di più lunga durata nell’elenco delle nazioni che, per McCain, avrebbero dovuto essere obliterate, è stato l’Iran. In perfetta sintonia con il premiere israeliano Netaniahu, ha incessantemente accusato Tehran di insistere segretamente nella costruzione di armi nucleari e di volere estendere il proprio dominio, comportante la distruzione di Israele, su tutto il Medioriente.

Bosnia e Kosovo. Sostenitore accanito delle guerre di Clinton-Woytila contro la Jugoslavia, ha favorito e coperto il trasferimento di jihadisti, con tanto di vessilli di AlQaida, in Kosovo e Bosnia negli anni ’90. Ha chiesto e ottenuto che gli Usa rifornissero di armi e sostenessero nei media la formazione terrorista UCK, impegnata nel traffico di stupefacenti e organi, diretto da Hashim Thaci, poi presidente del Kosovo proclamatosi indipendente.
Ucraina. A Kiev McCain è apparso per collegarsi alle formazioni politiche e militari naziste come Svoboda e il battaglione Azov, impegnate, tra l’altro, nella guerra terrorista ai resistenti delle repubbliche libere del Donbass che, secondo McCain, non sarebbero altro che mercenari russi inviati da Putin.

Russia. L’odio di McCain per la Russia e il suo costante incitamento  a provocarla, assediarla e attaccarla, risale alla guerra fredda. Un odio per il comunismo che poi si è evoluto in Russofobia, come condivisa dalle nostra sinistre sinistre. In  occasione dell’attacco lanciato dalla Georgia alla Russia nell’Ossezia del Sud, McCain fu il più virulento portavoce del partito della guerra alla Russia, invocando l’intervento del Consiglio del Nord Atlantico per un immediato attacco della Nato in “difesa della sicurezza della Georgia”. McCain approfittò anche dell’accusa, mossa dall’intelligence Usa e dai media liberal alla Russia, di aver interferito nelle elezioni americane, per esigere che questa ingerenza fosse definita un “atto di guerra”, con tutte le conseguenze del caso.
Corea del Nord. Anche questo paese era stato incluso da McCain nella famigerata lista del 12 settembre 2001. Profondamente irritato per le aperture di Trump verso Pyongyang e per il riavvicinamento tra le due Coree divise dagli Usa nel 1950, McCain attaccò duramente il presidente e non cessò di sostenere la necessità di un attacco anche nucleare.

Il bottino di un eroe americano

Questo è il curriculum di un eroe americano che, secondo i nostri media, ha difeso i valori di un’America come non ce l’abbiamo più e verso la quale proveremo una grande nostalgia. Possiamo consolare lo spirito inquieto del senatore amico di tutti i terroristi e fautore di tutte le guerre: quell’America, l’America emersa dall’oceano di sangue dei suoi popoli nativi, confermatasi negli assalti all’America Latina e negli orrori delle dittature da essa installate, rinnovatasi nel soggiogamento dell’Europa attuato nel segno della lotta al nazifascismo, lanciatasi nel futuro di un Nuovo Ordine Mondiale globalizzato mediante ininterrotte guerre e colpi di Stato ai danni di Stati liberi e non sottomessi. Il tutto al costo di appena 50 milioni di morti ammazzati dal 1945, di cui, a me noti e famigliari, 3 milioni di iracheni e, forse (hanno smesso di contarli), mezzo milioni di siriani, altri milioni di afghani, libici, somali, yemeniti, latinoamericani. Un bel bottino per l’eroe americano.

Del suo odio per Donald Trump gli resta un merito, o demerito, a seconda dei punti di vista: quello di averlo reso un punto d’onore per Trump. Gli resta un altro merito, quello di aver sostenuto l’immigrazione e conseguente integrazione. Visti i valori ai quali coloro che fuggono dai disvalori di Africa, Asia, Medioriente, Latinoamerica dovranno essere assimilati, abbiamo potuto capire meglio  con chi stiano e cosa vogliano i nostri, di fautori di migrazioni, accoglienze e integrazioni.




Quanti dei turisti che visitano la Croazia nei più bei giorni d'estate sono consci dello scempio in atto da anni su quei territori?

Nelle principali mete turistiche il visitatore viene "accolto" con pezzi da novanta della propaganda di guerra. A Dubrovnik, non si può fare a meno di incappare nel piccolo museo allestito in pieno centro per quella che chiamano la "guerra patriottica", con le fotografie di caduti e bandiere e simboli militari che richiamano la tradizione ustascia. Ai Laghi di Plitvice, nel centro visita del parco non solo si possono acquistare pubblicazioni dedicate ai primi scontri del 1991, ma anche negli opuscoli prettamente dedicati alle meraviglie naturali c'è sempre una sezioncina in cui la esplosione della guerra civile viene raccontata in maniera selettiva e distorta, come opera di "terroristi serbi" – e su questa falsariga un monumento è stato eretto a poche centinaia di metri, anche in lingua inglese per "orientare" il turista... Persino a Brioni, nella multinazionale e tollerante Istria, i gruppi in visita alla residenza estiva della Presidenza della Jugoslavia socialista vengono letteralmente "portati in giro" da una guida che li illumina, tra l'altro, sulla "aggressione serba" che la Croazia avrebbe subìto. E così via.

Ad altre aree della Croazia i turisti nemmeno si avvicinano. Un servizio televisivo un anno fa mostrava lo spopolamento e la depressione in cui versa la Slavonia orientale: 


La Slavonia occidentale ed il resto dei territori "di confine" (Krajine) non fanno differenza. Chi bisogna ringraziare per questo abbandono? D'altronde, anche quest'anno, la pulizia etnica di quei territori, culminata nella "Operazione Tempesta", è stata festeggiata a pochi chilometri dalle spiagge affollate di "anime belle" europee:

Caccia israeliani partecipano, al fianco di quelli croati, alla parata per il 23 anni della pulizia etnica delle Krajine

Nell'articolo che riportiamo di seguito si parla dell'insulto alla memoria di 11 familiari del grande scienziato Nikola Tesla, che furono vittime degli ustascia: la lapide sulla loro tomba, presso Gospić (Slavonia occidentale) è stata distrutta nella guerra degli anni Novanta, mentre nel penitenziario da dove nel 1941 i serbi venivano trasportati al lager di Jadovno, oggi si trovano tranquillamente allestiti il tribunale, la prigione e parte dei servizi civili. La piazza è dedicata ad Alojzije Stepinac mentre davanti all' edificio si trovano le statue di Stepinac e Franjo Tudjman.

(a cura di Italo Slavo)

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Grobnica gde su ustaše ubile 11 rođaka Nikole Tesle

Ploča sa obeležjem na grobnici uništena u ratu devedesetih godina, a u nekadašnjoj kaznioni, odakle su 1941.. godine Srbi odvođeni u logor Jadovno, danas su smešteni sud, zatvor i delom civilne službe, lokalni trg se zove Trg Alojzija Stepinca, a ispred su spomenici Stepincu i Franji Tuđmanu

nedelja, 19.08.2018.

GOSPIĆ - Od Gospića, preko Smiljana, do Jadovna danas živi desetak srpskih porodica, za razliku od pre poslednjeg rata, kada je tu bilo više od 50 odsto srpskog stanovništva, a gospićko-smiljanski jerej Dragan Mihajlović u Smiljan dolazi kada dođu turisti, koji bi, osim rodne kuće Nikole Tesle, hteli da vide i unutrašnjost crkve u kojoj je njegov otac, prota Milutin Tesla službovao, a svetski poznati naučnik kršten.

Malo ko bi da obiđe i masovnu grobnicu, na pravoslavnom groblju, u kojoj je sahranjeno 530 Srba iz Smiljana i okoline, koje su ustaše ubile za vreme Drugog svetskog rata.

U toj masovnoj grobnici nalazi se i 11 rođaka Nikole Tesle.

Jerej Mihajlović kaže da je do rata devedesetih godina grobnica bila obeležena, ali je za vreme rata ploča razbijena.

I ne samo ta ploča.

U zgradi nekadašnje Kaznionice u Gospiću, odakle su u proleće 1941. godine Srbi odvođeni u logor Jadovno, danas su smešteni sud, zatvor i delom civilne službe.

To mesto, simbol stradanja, na trgu je koji se danas zove Trg Alojzija Stepinca, a ispred su spomenici Stepincu i Franji Tuđmanu.

Jadovno je danas Nacionalni park Jadovno.

U Jadovnu, u Lici, na Velebitu, u maju 1941. godine, formiran je jedan od sedam logora u kompleksu logora Gospić - Jadovno - Pag, u kojima su logoraši boravili samo privremeno, dok ne dođu na red da budu likvidirani u nekoj od mnogih kraških jama i useka, kojima to područje obiluje.

Zatočenici su bili uglavnom Srbi, ali i Jevreji i protivnici ideologije NDH, a za tri meseca stradalo tu je stradalo ukupno 40.000 ljudi.

„Na ovom mestu je formiran logor polovinom maja 1941. godine, da bi 24. juna dosegao svoje konačne granice. Prema izjavi malog broja preživelih, svakodnevno su prepodne i popodne iz pravca Gospića, peške dovođene kolone zatočenike u dvoredima, vezanih ruku sa jednim kanapom ili lancem između njih. Oni koji bi na tom putu, dugom 20 kilometara od Kaznionice u Gospiću, bili malaksali, izmučeni, bili bi ubijani u jednoj od usputnih jama, kao što je Šaranova jama, jama pod Grginim bregom...”, podseća za Tanjug predsednik Udruženja Jadovno 1941. Dušan Bastašić.

Prema njegovim rečima, drugi zatočenici bi bili dopremani u logor, koji nije bio radni, već „likvidacioni centar”.

„Ovde se ništa nije radilo, ovde se samo čekalo na likvidaciju”, kazao je Bastašić.

U logoru je polovinom avgusta, zbog italijanske reokupacije, poslednjih 1.500 zatočenika, od kojih 1.200 Srba i 300 Jevreja, likvidirano, zakopano i tu im je i danas masovna grobnica.

„Ta tela nikada nisu ekshumirana, propisno sahranjena. Na ovom mestu se nije dolazilo nakon 1945. godine i Jadovno je, do poslednjih par godina, ispalo samo jedna jama - Šaranova jama, a jama Jadovno ne postoji”, kaže Bastašić.

Prvi likvidacioni centar formiran je upravo u selu Jadovno, jer su, kaže Bastašić, tu likvidacije mogle da budu brze, a računalo se i sa dobrom železničkom infrastrukturom, koju Gospić ima.

Pitanje je je li slučajno što je baš na tom području rođen i ideolog ustaštva Ante Starčević, kao i što se tridesetih godina prošlog veka tu desio i Brušanski ustanak protiv jedne žandarmerijske stanice, odnosno oružana akcija, koju su organizovali pripadnici organizacije Ustaša - Hrvatska revolucionarna organizacija (UHRO), kojoj je na čelu bio Ante Pavelić.

Koliko je taj logor bio dobro čuvan govori i podatak da su samo tri muškarca uspela da pobegnu iz njega.

„Samo jedan od njih je preživeo Drugi svetski rat i samo je jedan Srbin uspeo da odavde bude pušten”, kazao je Bastašić.

Nedaleko od logora u Jadovnu, na nekih 40 - 50 metara, nalazila se jedna od 32 kraške jame, u kojima su ubijane žrtve.

„Za tu jamu zanimljivo je reći da je Branko Cetina, jedan od trojice koji je uspeo da pobegne odavde, svedočio kako bi tokom noći slušao negde iz blizine glas koji dopire iz dubine zemlje i koji je na hebrejskom, kako je kasnije saznao od jednog prijatelja Jevrejina, govorio 'Bože, spasi me'“, ispričao je Bastašić, koji je inače i potomak nastradalih u logoru na Jadovnu.

Prema njegovim rečima, šezdesetih godina prošlog veka ta jama je pokrivena betonskom pločom, na kojoj je izgrađen spomenik, ali je on srušen u ratu devedesetih.

„Jadovno je mesto koncetracionog logora u Drugom svetskom ratu za koje se lokacija do 2010. godine nije znala, a preteča je logora u Jasenovcu. U vreme dok su se ovde vršili ti strašni zločini, Jasenovac nije ni planiran”, kazao je Bastašić.

Nakon italijanske reokupacije logora na Jadovnu, svega negde oko 2.000 zatvorenika, koje ustaše nisu stigle da ubiju, transportovano je u Jasenovac i postali su prvi jasenovački logoraši, a kako je naveo Bastašić, mali broj njih je dočekao kraj 1941. godine. (Tanjug)




[Nuovi testi di Mira Marković, pubblicati sul sito della Associazione SloboDA per la serie "Prognana a neizgubljena" ("Esiliata ma non persa"). Per i testi precedenti si vedano: 
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8892
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8875
Per altri testi di e su Mira Marković si veda alla nostra pagina https://www.cnj.it/MILOS/miramarkovic.htm 
A cura di I. Slavo]
 
Prognana a neizgubljena jul-avg. 2018.god.
 
1) МОНЕТИЗАЦИЈА И ЕСТРАДИЗАЦИЈА У ФУНКЦИЈИ ДЕПЕРСОНАЛИЗАЦИЈЕ И ПАЦИФИКАЦИЈЕ (21.август 2018)
2) ЕСТРАДИЗАЦИЈА ПОЛИТИКЕ И ОСТАЛОГ (28.jул 2018)
3) ЕВРОАТЛАНСКА СУБОРДИНАЦИЈА И ЕВРОПАЗИЈСКА КООРДИНАЦИЈА (14.jул 2018)
4) КРАТАК ПРЕГЛЕД ОПШИРНИХ РАЗЛОГА (7.jул 2018)
 
 
=== 1 ===
 
 
Прогнана а неизгубљена

МОНЕТИЗАЦИЈА И ЕСТРАДИЗАЦИЈА У ФУНКЦИЈИ ДЕПЕРСОНАЛИЗАЦИЈЕ И ПАЦИФИКАЦИЈЕ
 
Пише: Мира Марковић  
21.август 2018 
 
Хуманистичка улога спорта била је мотив са којим је дошло до његове интеграције у човеков социјални и индивидуални живот. 
Таква улога је континуирано била присутна, али је ту улогу нарушавала злоупотреба којој је спорт врло рано и нажалост био изложен. 
Његова биолошка и социјална злоупотреба почела је брзо и одвијала се паралелно са напорима у првим цивилизацијама да он допринесе менталном и физичком здрављу. 
То јест, брзо се показало да се, када је реч о здрављу, оно односило само на здравље мушке популације владајуће класе. 
Том здрављу и квалитету њиховог укупног живота је требало да допринесу припадници невладајућих социјалних средина. Њихова физичка активност, која је требало да се третира као спорт, била је у функцији социјалних и културних, а у ствари доколичарских потреба естаблишмента. 
То је била улога гладијаторских игара у Старом веку, на пример, и лова у европским монархијама неколико векова касније. 
Постмонархистичко, модерно доба, учинило је све што је сматрало да треба учинити да би та прошлост остала далеко, углавном запамћена по злу. 
Спортско образовање је институцијализовано, а бављење спортом је временом постајало масовно. Временом је такође дошло и до првих облика његове професионализације. 
Њена сврха била је мотивисана потребом да спортска активност у свим областима буде испољена на највишем нивоу, професионализам је могао да је у том смислу најбоље или највише репрезентује. 
И то се наравно почело да догађа. Бар у почетку. 
Финансијски, и уопште материјално, а затим и организационо, готово институцијализоване, многе спортске гране су своја најбоља својства могла да изразе у професионалном аранжману који је био под покровитељством државе. 
Најпре спортски клубови, затим репрезентације и међународна такмичења клубова, односно светска такмичења државних репрезентација, учинили су спорт темељним обележјем савременог друштва и на националном и на глобалном нивоу. 
Слаба страна професионализације спорта била је, између осталог, и комерцијализација, најпре у националним размерама а затим и у међународним. 
Почело је да се формира спортско тржиште у већини спортова, а нарочито у масовним, односно у најпопуларнијим. Пре свега у фудбалу. 
Фудбалски клубови су постали у многим срединама агенције за продају и куповину играча. Играчи су постали роба. Додуше, скупа и све скупља. 
Од цене те робе живели су играчи, али и организатори и власници игре. 
Монетаризација спорта је компромитовала професионализам и деградирала спорт. 
Ако се има у виду да се истовремено одвијао и процес естрадизације и спорта и учесника спорта – играча пре свега, али и тренера, менаџера и осталих руководиоца, постала је реална опасност да спорт губи своју примарну улогу – допринос физичком и психичком здрављу и интегритету личности и хуманој индивидуалној и групној социјализацији. 
Та опасност је утолико већа уколико долази из сфере у којој је спорт требало да се манифестује на најбољи начин. Монетаризација и естрадизација врхунског спорта угрожавају сврху спорта уопште, његов смисао. 
Спорт је постао ексклузиван, елитистички, скуп и мотивисан материјалним интересима и потребом за естрадним експонирањем. 
А масовност, као један од његових циљева, бар у двадесетом веку, је суспендована. Некадашњи, односно потенцијални учесници спорта су се полако трансформисали у навијаче. Уместо физички и социјално активних личности, заинтересованих играча, они постају пасивне и деперсонализоване индивидуе, посматрачи туђе игре, лишени жеље да у њој и сами учествују, али и задовољни позицијом у којој се налазе. 
Њихову могућу енергију за игру апсорбовало је посматрање игре. Агресивност, или у бољем случају живописно екстравертно испољавање емоција, емитују енергију која би иначе била коришћена у спорту када би у њој учествовали. 
Оваква слика спортске стварности показује да и у сфери спортске игре и у сфери оних који је активно подржавају постоји огромна физичка и социопсихолошка енергија. Природа те енергија је ирационална и несврсисходна. Њена прилична, често велика снага, би у поштеном али и рационалном свету могла да буде искоришћена у социјално праведније, друштвено корисније сврхе. 
У сврхе организованог колективног ангажовања, протестног и креативног, за промене у циљу хуманизације и еманципације и данашњег и сутрашњег дана.
 
 
=== 2 ===
 
 
Прогнана а неизгубљена

ЕСТРАДИЗАЦИЈА ПОЛИТИКЕ И ОСТАЛОГ
Пише: Мира Марковић  
28.jул 2018 
 
Техничко-технолошка револуција у другој половини двадесетог века омогућила је, између осталог, мобилност и транспарентност информација у мери толико импресивној и моћној да се доба у коме се та револуција догодила са оправданим разлогом, и у научној литератури и у јавном животу, назива информационом епохом. 

Доступност информација све већем броју људи олакшала им је разумевање времена у коме живе и указала на могућност утицаја на то време.

  Не би тај утицај у двадесетом веку могао да буде од пресудног значаја за карактер времена, али је и мањи од пресудног утицаја позитивна цивилизацијска промена у односу на претходно време. 

Често је и у оним зонама у којима је утицај на прилике био политички могућ, несукобљен са степеном развоја политичке и осталих слобода, фактички био лимитиран одсуством потребних информација на које је требало да се ослања одлучивање, или бар јавно деловање. 

Отклањање те препреке се може сматрати великом цивилизацијском тековином двадесетог века. 

Али, као и друге, односно, као и све велике позитивне тековине у историји, и ова је временом показала и своју лошу страну. 

Односно, злоупотребу коју није могла да избегне. 

Или је можда могла, па није. 

Нешто због потцењивања опасности које би могле да се догоде због неопрезности у домашају употребе информација. А нешто и због намерног, циљаног стављања информација у функцију интереса чији су носиоци били у стању да их у те сврхе користе. 

Ти интереси су испољавани на свим нивоима и у свим срединама. Дакле, и вертикално и хоризонтално су били присутни у политичком, економском, социјалном, културном, професионалном смислу .... 

Свако ко је у тим подручјима схватио да коришћење информација доприноси његовим интересима није пропустио прилику да их у том смислу употреби. 

Тако су се информације од објективног селиле у зону субјективног. Од друштвено корисне улоге постале су средство манипулације. 

У том смислу су нарочито захватиле зону политике. 

Зато што је политика имала највише разлога и највише услова да их користи за своје и дневне потребе и дугорочне циљеве. У сфери политике је, дакле, могућност злоупотребе информација била највећа, али и најопаснија. 

Једна од последица те злоупотребе или манипулативног коришћења информација била је естрадизација политике. 

Спектакуларно скретање пажње на одлуке које су у интересу оних који су их доносили имало је за циљ да те одлуке прећутно, спонтано, стекну подршку јавности или да бар пацификују реакцију од оних од којих се могла очекивати као негативна. И у томе се успевало, временом све више. 

Томе је допринела и планирана естрадизација личности које су у одређеној политици, односно у њеним одлукама, учествовале или имале задатак да их јавно промовишу. Њихово позитивно, интригантно али опрезно, дозирано присуство у јавности, путем медија, имало је за циљ да афирмише политику чији су били заступници као креатори или као њихови сарадници. 

Истовремено, на политичкој естради су се налазили и противници текуће, владајуће политике, представници политике која је, иако невладајућа, била довољно моћна да се у средствима информисања наметне, са циљем да се противници политички и лично прикажу у светлу које их компромитује или доводе у питање вредност политике коју заступају. А, углавном, са циљем да се постигне и једно и друго. 

Временом ће естрадизација политике преузети улогу коју је некада имала њена елаборација. 

Оно што је у њој сложено биће симплифицирано, оно што је опширно сведено на кратко, оно што је битно трансформисаће се у банално, сериозност ће бити популаризована, а суштина пероснализована. 

На крају ће и најкрупније одлуке бити у сенци визуелног доживљаја оног ко их образлаже, или ће се у бољем случају, налазити у истој равни са њим. 

Показало се да је то ефикасан начин да се на мек начин прихвате одлуке, односно, политика, која би без тог меког начина наишла на неприступачан терен. А и да се на индиректан и такође мек начин стварна, а поготово велика политика, безбедно лоцира и задржи у ексклузивном поседу њених креатора. 

Естрадизација њихове политике скреће пажњу јавности са њене суштине, са њеног значаја за јавност, односно са њеног значаја за последице које би она за грађане имала, лишава креаторе политике бриге за њену краткорочну, а некад и за њену дугорочну судбину, омогућава им интересно спокојство, чини им руке слободним за даље потезе, пацификује и анестезира јавност, чини је неприродним, апсурдним и лојалним савезником у доношењу одлука које нису у њеном интересу. 

На крају друге деценије дведесет првог века све је више одлука које се доносе о судбини човечанства и све више начина да се избегне његово учешће у креирању природе те судбине. 

Естрадизација политике је један од тих начина. Она је непланирана негативна последица информационе револуције.

  Али се ипак може десити да естрадизација у сукобу са планираним позитивним намерама и тековинама информационе револуције не изађе као победник. 

Наравно, под крхком али могућом претпоставком и готово историјски оправданом надом да ће антиципаторски механизми информационе епохе ипак лимитирати и демонтирати њене манипулативне сурогете. 

Сличан, мање сложен, али не много мање значајан са историјске тачке гледишта, је и процес естрадизације у сфери културе, у сфери уметности и њених деривата. 

Естрадизација културних вредности, односно естрадизација њихових аутора или представника, има за циљ да компензира скромну или никакву вредност. 

Умножио се број књижевника у односу на сва претходна времена. Већина тих књижевника је дала већ број интервјуа о свом приватном животу, о свом мишљењу о моди, НАТО пакту, свом јеловнику, надарености своје деце за спорт, и тако даље, него што је број књига које су написали, па некад и број страница једне књиге. Лапидарност садржаја ових интервју има за задатак да прикрије одсуство мисаоног и стваралачког садржаја у „књижевности“ којом се ови књижевници баве. И у томе, захваљујући медијима, су успевали. Јавност ће их више знати по томе како су се обукли, нарочито кад су у питању женски писци, него по томе шта су написали. 

Слично је и са сликарима. Изложбе неких од њих, на самом старту су конципиране тако да се у јавности више или чак једино извештава ко је на њима био и како је изгледао, него шта су ликовни стручњаци о тој изложби рекли. 

А затим, и најбољи глумци су пристали на естрадизацију своје улоге у професији и своје личности уопште. Чине то прихватајући тривијалне улоге у тривијалним, а популарним телевизијским серијама, не само из финансијских разлога, већ и због медијског експонирања кога су тумачењем Ибзенових и Хамсунових ликова у позоришту лишени. Бирајући између велике уметности и популарности бирају ово друго, популарност је пробитачнија и ласка егу коме камерна природа позорници није довољно провокативна. 

По природи ствари, најнижи степен отпорности на естрадизацији је присутан у музици, пре свега народној и забавној, али од те склоности није заштићена ни сфера класичне, сериозне музике. До недавно мање присутна, сада естрадизација увелико ипак куца и на та врата. 

А што се тиче народне, а нарочито забавне музике, та су врата естрадизацији широм отворена. Односно, практично су уклоњена. Као и прозори. 

У сфери забаве њени учесници суспендују своје дарове за забаву – игру, песму, имитацију, и тако даље, у прилог баналног и вулгарног, сводећи, не само своју уметничко-забавну активност, већ и себе као личност на кловновско арлекинску слику без циркуса. 

Такозвана естрада, иако је нижег културног нивоа од књижевности, вајарства, сликарства, балета, опере и позоришне уметности, нема разлога да не буде у добрим односима са етичким и естетским вредностима, дислоцирана од морала и лепоте, чак и од обичне пристојности. 

Ако би успела да буде у добрим односима са елементарним цивилизацијским вредностима не би, наравно, привукла њима наклоњене антиподе, оставила би незадовољним њихове „конзументе“, али би савладала у себи јефтину, мада и понижавајућу потребу за простачким саморекламирањем свог спољног и унутрашњег састава и тако би допринела, бар донекле, крхким темељима еманципације чијој је деградацији у масовним размерама својом примитивном егоманијом допринела. 

Та индивидулано и друштвено неконтролисана естрадна егоманија разара здраво ткиво националног бића и на дуге стазе чини га слабим на готово инфективне провокације које стижу са самог цивилизацијског дна. 

Хуманистичка еманципација путем обједињених напора науке, образовања и политике представља неопходан и ефикасан начин заштите од естрадизације као цивилизацијске деградације. Ти обједињени напори науке, образовања и политике били би један од примарних доприноса, не само хуманистичкој трансформацији постојеће цивилизације, већ и њеном прогресу.
 
 
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Прогнана а неизгубљена

ЕВРОАТЛАНСКА СУБОРДИНАЦИЈА И ЕВРОПАЗИЈСКА КООРДИНАЦИЈА
Пише: Мира Марковић  
14.jул 2018
 
Слабе тачке Европске уније су добиле право грађанства и у земљама чланицама. Дуго су их наводили и образлагали представници земаља које Унији нису припадале или зато што оне нису хтеле да јој припадају или зато што она није хтела да јој припадају. 

На почетку формирано уверење да је Европска унија оптималан облик организације европског живота временом су довеле у питање многобројне тешкоће које су се увећавале. 

Данас би се оне симплифицирано могле свести на следеће. 

1. Неравноправан однос између чланица Уније. Хијерархија која међу њима постоји поделила их је на европску метрополу и на европске провинције. С тим што и међу провинцијама постоји хијерархија. 

2. Одлучујућу улогу у метрополи од почетка су имале три најјаче еворпске економије – немачка, британска и француска. Мада је и међу њима постојала лака хијерархија – временом су немачка економија, па прама томе и немачка политика, постале доминантне. 

3. Европска унија функционише као наддржава којом влада имперсонална моћ европског тржишта. 

4. Процес одлучивања ове наддржаве се одвија по бирократско-административној процедури која би била конкуретнта и Левијатану да се догодио. 

Политички став који је заузет у метрополи, а који се односи на провинције, реализује се по процедури која је апсолутистички нормативна и средњевековном окрутношћу временски пролонгирана. 

Овим процесом доношења одлука Европске уније обухваћене су често и земље које нису њене чланице. Европска унија је у своју надлежност укључила и оне средине за које је проценила да има интереса за надлежност над њима, односно, за које је добила сагласност од прекоокеанске администрације за право на надлежност над њима. 

5. Чланице Европске уније су у перманентној опасности да доведу у питање свој идентитет. 

Рестриктиван однос Европске уније према њиховој националној биографији својих чланица, а посебно према традицији, заснован је на образложењу да је то цивилизацијски прилог креирању заједничког, европског друштва (бића). 

Међутим, његова својства још нису дефинисана и неће бити у догледној будућности, али се у међувремену може десити да својства појединих народа и нација буду трајно угрожена. 

6. Земље чланице су такође суочене са праксом укидања или довођења у питање социјалних тековина које су у њима постигнуте и које су их својевремено чиниле „квалификованим“ за чланство у Европској унији. 

Ради се о правима везаним за рад, становање, здравствену заштиту, образовање, .... 

Степен у коме су та права била заступљена учинио их је респектабилним адресама за чланство у Европској унији и био најава цивилизацијског стандарда којим се Унија одликује и на чијим темељима има намеру да гради своју будућност. 

Међутим, те социјалне тековине су у многим земљама, чланицама Уније, суспендоване и са правом изазвале незадовољство.

 Грађански и синдикални протести нису донели резултате јер су националне владе тврдиле да мењање социјалних прилика не спада више у њихову надлежност. Та надлежност је пренесена на Европску унију, која је, међутим, била генератор социјалних промена које су у овим земљама доживљене као социјална катастрофа. 

7. На незадовољство чланица Европске уније приликама у земљи генерисаним из политике Европске уније, која се повремено манифестује као жеља за напуштањем Уније, она, Унија, одговара претњама. 

Те претње су политичке, економске и социјалне природе.

  Колико су оне реалне, односно погубне, тешко је предвидети. За сада је извесно да Европска унија може да формира своје, дакле, марионетске владе, тамо где је за то заинтересована. Уз мање или више прећутну сагласност прекоокеанског „партнера“. 

8. Однос Европске уније са САД се формално третира као партнерски, а фактички се ради о субординацији. Тога су свесне и чланице Европске уније, чак и оне које имају доминантну улогу у њеном функционисању, али тај однос за сада не може да се промени. 

Огромна економска моћ Европске уније не кооренсподира са одговарајућом политичком улогом Европске уније у свету. 

Домашај те улоге креира цивилизацијски џин који би либералнијим односом према Европи направио од ње свог конкурента. 

Зато су многи потези од стране америчке администрације усмерени ка пауперизацији Европе. И према потреби, и ка њеној дестабилизацији. 

9. Истовремено, политика Европске уније, кад је у питању Руска федерација, не доприноси јачању економске и политичке сарадње. Напротив. Та се сарадња минимизира и пролонгира. 

Постоји билатерална сарадња појединих чланица Европске уније са Руском федерацијом, али таква одговарајућа није успостављена са Руском федерацијом на нивоу Уније. 

Ових, и других слабих тачака Европске уније свесна је већина земаља у Европи, чак су их свесне и земље које су њене чланице. 

Разуме се да је свест о приликама у Европској унији, и у самој Европи, присутна у свету уопште. 

Реакције на слабости Европске уније су различите и често противуречне. 

Једни се надају да ће Европска унија решити текуће проблеме и да ће се ипак трансформисати у заједницу европских народа које ће бити у њиховом интересу. 

Други верују да су квантитет и квалитет проблема толики и такви да Европска унија нема шансе за дужи живот, да ће се у најбољем случају сама угасити, немоћна да савлада тешкоће које је сама изазвала или да ће се, у горем случају, то догодити кроз сукцесивне социо-политичке трауме у којима ће се наћи земље чланице и тиме демонтирати заједницу која је била жртва империјалног егоизма своје метрополе. 

Истовремено, прилике у Европској унији су подстакле процесе удруживања широм планете које имају за циљ или да се супроставе империјалној политици Европске уније или да само покажу на свом примеру како би процес повезивања и удруживања нација и држава (па и људи уопште) требало да изгледа у савременом свету. 

Односно, како да тај процес буде у интересу оних који у њему учествују, а при том не на штету оних који су ван њега. Осим, наравно, ако они ван њега нису ненаклоњени онима у њему. 

Тако је, између осталог, дошло и до концепта Евроазијске уније. 

Тај концепт претпоставља, пре свега, принцип равноправности чланица заснован на равноправности интереса. 

А, затим и принцип солидараности – богатији у заједницу улажу више на почетку, а то улагање би требало да им се врати у оном временском периоду који заједно процене да је потребан да се пројекат у коме сви учествују реализује. 

При том би улога државе у контроли финансијског капитала била одлучујућа, чиме би он био заштићен од корпоративних интереса и манипулација.  

Овај начелни концепт захтева додатну операционализацију. 

Време ће показати да ли ће та концепција и њена операционализација бити не само антипод Европској унији, не само евроазијски одговор евроатлантским проблемима, већ и ефикаснији и хуманији цивилизацијски образац за повезивање и удруживање народа и држава у првој половини двадесет првог века. 

Тај век је имао динамичан историјски и старт и ток, па се могу очекивати нови потези којима би требало да буду превазиђени недостаци претходног времена. 

Ни једно доба није пропустило прилику да се потруди да буде боље од претходног. У целини је и успевало да то буде.
 
 
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Прогнана а неизгубљена

КРАТАК ПРЕГЛЕД ОПШИРНИХ РАЗЛОГА
Пише: Мира Марковић  
7.jул 2018 
 
Опозициони однос према текућој власти кроз читаву историју, не само у савременом парламентарном свету, заснива се на три мотива. 

1. Прво на идеолошко-политичким мотивима. 

Несагласност, одбојност идеолошко-политичке природе, је логичан и у моралном смислу оправдан разлог за испољавање сваке, и јавне и нејавне, несагласности са политиком и властима које су супротне идеолошко-политичке оријентације. 

Левичар има све идеолошке, политичке и моралне разлоге да се опозиционо односи према десничарској политици и властима које је заступају. 

На такав исти однос имају право националисти према мондијалистима или апотридима на власти, односно њиховој политици. И тако даље.

2. Друга група мотива је само политичке природе. Према текућој политици је испољавају са њом несагласни представници политике која има примедбе на текућу унутрашњу и спољну политику. 

На пример – на функционисање банкарског система, на пореску политику, на организацију комуналних служби, на буџет планиран за војску или просвету, на природу сарадње са суседним земљама, на оправданост војних савеза, и тако даље. 

Ови мотиви су само политички, дубљи идеолошки карактер би се евентуално могао налазити само индиректно, али често тих индиректних веза између текућег политичког реаговања и идеолошких разлика у позадини нису свесни ни они који ту политичку реакцију испољавају. 

Прагматична политичка природа ових мотива чини их оправданим и политички и етички. 

У мери, разуме се, у којој опозициона реакција није непринципијелно исфорсирана, сведена на неслагање ради неслагања, лишена оправдане намере да се са свог, другачијег, аспекта допринесе бољем решењу од текућег. 

3. Траћа група мотива није политичке природе, а поготово није идеолошке. 

Има лични карактер и углавном се односи на одсуство поверења у заступнике текуће политике и носиоце власти и на одбојност према засупницима текуће политике и носиоцима текуће власти. 

Одсуство поверења се заснива на уверењу да заступници текуће политике нису њени најбољи представници – да је не разумеју најбоље или да не умеју да је афирмишу на најбољи начин. А кад је реч о носиоцима власти, одсуство поверења у њих заснива се и на уверењу да многи или неки међу њима не располажу потребним образовањем и одговарајућим моралом да би то могли да буду. 

А затим, одбојност се односи и на начин на који многи протагонисти текуће политике и текуће власти на нижим хијерархијским позицијама испољавају своју улогу у политици и власти. Као и на начин на који политику и власт на свим нивоима подржавају неке њихове присталице. 

Тај начин се у јавности, и индивидуално и колективно, може доживљавати као материјалним и статусним интересима мотивисан избор, као предозирана а неискрена лојалност врху естаблишмента, као привидљива спремност на активну услужност сваком политичком обрту и њиховим носиоцима, као пуко, вулгарно и нескривено пузалаштво .... 

Тај доживљај, наравно, може да буде субјективан, или у бољем случају недовољно објективан, али се он, без обзира на то, не може занемарити јер и кад је најсубјективнији великим делом креира енергију опозиције у целини. 

Мада тај доживљај пузалаштва, неискрености, користољубља и превртљивости не мора обавезно да се заснива на субјективном. Напротив. 

Сваку владајућу политику и власт која је заступа, одувек, од кад постоје политика и власт, прате и користољубље и пузалаштво. Углавном су они, користољубље и пузалаштво, у пару, користољубље се ослања на пузалаштво, а пузалаштво се нада користи. 

Али, некад, и не баш ретко, склоност ка пузалаштву је изван сфере користољубља, изван сваког интереса. Улизица је то често генетски, није циљано, није сврсисходно. Стоји на услузи свакој власти и сваком ауторитету (који као такав доживљава) у чијем се домашају налази. На микро и на макро нивоу. 

Као што у структури неке личности може да доминира солидарност, брзоплетост, лењост, одговорност, тако исто може да буде доминантно пузалаштво. Социјално окружење, образовање, васпитање, као и индивидуални степен самосвести могу доминацију или присутност неких особина ограничити, кориговати, и тако даље, али је некад нека од њих савршено отпорна да све социо-психолошке, образовне и васпитне колективне или индивидуалне подухвате. Пузалаштво, на пример, спада у те отпорне, виталне, тешко угрозиве особине личности. 

У целини, ова група мотива генерисаних из доживљаја неетичког (па и неестетског) понашања носиоца власти и њиховог окружења може понекад у структури мотива за опозициони однос према властима да буде високо, а некад и пресудно заступљена. 

Темељна, научно заснована анализа би то вероватно потврдила. Али и без ње са том претпоставком би свака власт морала да рачуна. Не само док је власт, већ и пре него што то постане, ако има намеру да то буде и да то остане, без трауме, док јој траје мандат, ако не и дуже.
 


Sullo stesso tema si veda anche: 
ANVGD chiede revoca dell’onorificenza a Tito (24 maggio 2013) / Lettera Aperta ad ANPI e ANVRG sulla onorificenza a Tito (Redazione Diecifebbraio.info, 25 luglio 2013)
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Nell'Italia disastrata a cosa deve pensare il Governo? Modificare legge per revocare onorificenza a Tito. Una mozione alla regione FVG

di Marco Barone, 21 agosto 2018

[FOTO: Tito a Ciampino

E' una loro ossessione. Sono anni che ci provano, ma non ci riescono.  Nel 1969  Josip Broz Tito, venne insignito della distinzione di Cavaliere di Gran Cordone quale Presidente della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia in occasione di una visita di Stato.  L'onorificenza in questione è quella di Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana assegnata con decreto del 2 ottobre del 1969. 

Cosa dice la normativa 

Come si legge nella normativa di riferimento le onorificenze sono conferite con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Giunta dell'Ordine. L'Ordine "Al Merito della Repubblica Italiana", secondo gli scopi indicati dalla legge 3 marzo 1951, n. 178, che lo istituisce, è destinato a ricompensare benemerenze acquistate verso la Nazione nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti, dell'economia e nel disimpegno di pubbliche cariche e di attività svolte ai fini sociali, filantropici ed umanitari, nonché per lunghi e segnalati servizi nelle carriere civili e militari. Ma anche per benemerenze di segnalato rilievo nel campo delle attività indicate nell'articolo precedente e per ragioni di cortesia internazionale il Presidente della Repubblica può conferire onorificenze all'infuori della proposta e del parere richiesti dal primo comma dell'art. 4 della legge 3 marzo 1951, n. 178. Il decreto di concessione è controfirmato dal Presidente del Consiglio. 

Il problema per la revoca è data dall'articolo 10 del   D.P.R. 13 maggio 1952, n. 458 (Norme per l'attuazione della legge 3 marzo 1951, n. 178, concernente la istituzione dell'Ordine "Al Merito della Repubblica Italiana" e la disciplina del conferimento e dell'uso delle onorificenze).
Fuori dei casi previsti dagli articoli precedenti, le onorificenze possono essere revocate solo per indegnità. Il Cancelliere comunica all'interessato la proposta di revoca e gli contesta i fatti su cui essa si fonda, prefiggendogli un termine, non inferiore a giorni venti, per presentare per iscritto le sue difese, da sottoporre alla valutazione del Consiglio dell'Ordine. La comunicazione è fatta a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento nell'abituale residenza dell'interessato, o se questa non sia nota, nel luogo ove fu data partecipazione del decreto di concessione. Decorso il termine assegnato per la presentazione delle difese, il Cancelliere sottopone gli atti al Consiglio dell'Ordine, per il parere prescritto dall'art. 5 della legge.

In sostanza essendo Tito morto l'onorificenza riconosciuta dalla Repubblica italiana non può essere revocata. E contro ciò si sono scontrati già tutti coloro che hanno questa ossessione. Non è come revocare insomma una cittadinanza onoraria, il discorso è più complesso.

Ed allora ci penserà la regione del FVG, forse. Come?

Modificare la legge per revocare onorificenza riconosciuta a Tito  

Sul sito della regione FVG si legge:  "Far sì che la Giunta regionale si adoperi nei confronti del Governo per modificare la legge che disciplina la concessione delle onorificenze (legge 178/1951), al fine di revocare quelle "Al merito della Repubblica italiana" conferite a Josip Broz Tito, dal 1945 primo ministro e dal 1953 al 1980 presidente della Repubblica socialista federale di Jugoslavia. È questo il senso della mozione depositata in Consiglio regionale, che vede come primo firmatario l'assessore regionale a Politiche comunitarie e corregionali all'estero, Pierpaolo Roberti, e punta a far decadere qualsiasi riconoscimento assegnato dallo Stato italiano nei confronti del Maresciallo per i crimini perpetrati contro le popolazioni italiane in Istria, Venezia Giulia e Dalmazia durante il suo periodo alla guida della Jugoslavia. Roberti ha evidenziato che "anche se è inusuale che un assessore proponga e sia primo firmatario di una mozione, ho scelto questa via per dare all'azione di pressing sul Governo una base condivisibile da tutte le forze politiche. La mozione, già depositata, è infatti aperta alla sottoscrizione di chiunque voglia contribuire a far in modo che quell'onorificenza ingiusta ed irrispettosa venga revocata". L'assessore ha quindi precisato che "quest'azione non può e non deve essere vista come un ritorno al passato ma, anzi, come la volontà di volgere lo sguardo al futuro. Revocare le onorificenze a Tito consentirà di relegare al passato una storia che ha lacerato le nostre terre, creando contrapposizioni che solo riconoscendo la verità potranno essere completamente e finalmente sanate".

Storia dell'onorificenza riconosciuta a Tito   

Il 2 ottobre del 1969 Saragat e Moro si recheranno a Belgrado, per una visita ufficiale che durerà cinque giorni. Sarà questa la prima visita compiuta da un Presidente della Repubblica italiana in Jugoslavia dalla fine della guerra. Moro ripartirà prima di Saragat, per impegni già concordati, poiché a New York, doveva partecipare all'assemblea delle Nazioni Unite. Si affrontarono varie questioni, dagli investimenti italiani nelle infrastrutture Jugoslave, alla possibilità di prevedere ulteriori contratti tra la Zastava e la FIAT per arrivare alla produzione da 50 mila auto a 180 mila annue. Il 4 ottobre durante una partecipata ed attesa conferenza stampa Tito accetterà l'invito rivolto pubblicamente da Saragat, ovvero venire in Italia e si parlerà pubblicamente del 1970 e la dimostrazione che i rapporti erano non buoni ma ottimi venne evidenziata da un colloquio non programmato tra i due Presidenti tanto che Tito per la prima volta aprì alla possibilità di ridiscutere la questione dei confini con l'Italia. 

La difficile visita di Tito tra attentati e colpi di stato 

Intanto, contestualmente a ciò, a Trieste ed al confine di Gorizia ci saranno attentati antisloveni, chiaramente collegati alla visita di Saragat in Jugoslavia, ed il 12 dicembre 1969 giorno in cui ci sarà l'espulsione della Grecia dal Consiglio d'Europa, giorno in cui, a Lubiana, si doveva svolgere il difficile incontro, per ovvi motivi, tra Tito e Bascev, ministro degli esteri della Bulgaria, uno dei Paesi che riconobbe la reggenza del regime greco, a Milano esploderà anche la nota bomba di Piazza Fontana.
E veniamo al 7/8 dicembre 1970 ed alla mancata visita di Tito, programmata e come comunicata pubblicamente già ne '69. In Italia si doveva realizzare il noto golpe. Non è un mistero che durante il dibattimento in ordine ai fatti del golpe Borghese emerse che a detta di alcuni il motivo della visita di Tito era lo scorporo della zona B di Trieste per cui il contro-ordine fu emanato nel momento in cui Borghese seppe che l'arrivo di Tito era stato rinviato. Ed emerse anche  che l'azione eversiva era stata suggerita dai servizi Segreti proprio per la visita di Tito.  
Sarà interessante quanto riporterà anche il The Guardian ovvero che solamente due giorni prima della visita di Tito si era svolto in Italia il tentato colpo di stato e che dovevano essere state coinvolte anche alcune centinaia di emigranti sloveni che avrebbero avuto il compito di dare una mano ai gruppi neofascisti e di rendere impossibile la visita dello statista jugoslavo.( George Armstrong: Italians ready for Tito’s postponed visit. The Guardian, 22. 3. 1971. Il ritaglio si trova per es. in TNA FCO 28/1640 ). Ma a quanto pare la "notte della Madonna" doveva non solo coinvolgere Roma ma contestualmente anche Zagabria e la commissione d'inchiesta come istituita da Tito, che nel marzo del '71 presentò le conclusioni, fece trapelare che il tutto, per quanto riguardava le vicende croate, sembrava essere ricondotto ad un mero intrigo dei servizi segreti locali. 

Il messaggio dell'ANPI per la visita del '71 di Tito

L'importante visita avverrà nel marzo del 1971. Il 24 marzo 1971, il giorno antecedente la vista di Tito in Italia, l'ANPI saluterà il tutto in modo positivo così scrivendo: “la visita affonda le sue radici ideali nella comune resistenza al nazismo, quando tutti e due i nostri popoli lottarono non solo per la cacciata dell'invasore straniero ma anche per il radicale rinnovamento delle vecchie strutture politico sociali ed economiche che avevano fino ad allora impedito lo sviluppo dei nuovi ordinamenti democratici e popolari (...) Nell'impegno che ci deriva dal comune passato di lotte nel nome di una amicizia che nell'odierna visita trova una ulteriore conferma ed alimento. salutiamo il maresciallo Tito, da partigiani a partigiano, col vecchio grido di guerra della resistenza: " Morte al fascismo. libertà ai popoli”. Nel primo comunicato congiunto emesso tra le autorità Jugoslave e quelle Italiane si evidenziava innanzitutto che “le due parti hanno concordato circa la necessita di continuare ad adoperarsi per un rafforzamento di un clima di fiducia e di distensione internazionale che consenta di individuare adeguate soluzioni alle crisi che tuttora turbano la pace nel mondo”. Tito visiterà anche la FIAT e sarà nota la foto sorridente tra Tito ed Agnelli con una delegazione dello stabilimento di Torino, visita che si ripeterà nel 1973. Probabilmente l'elemento più importante della visita di Tito in Italia sarà l'incontro, di oltre due ore, avuto con il Papa Paolo VI. La Jugoslavia veniva considerata come l'unico Paese socialista europeo che aveva completamente normalizzato le proprie relazioni diplomatiche con il Vaticano. 

Il messaggio del Papa  

A conclusione dell'incontro il Papa, rivolgendosi a Tito ed alla Jugoslavia, riconobbe che “non senza interesse abbiamo visti affermati nei fondamenti della vostra Carta principi come quelli della umanizzazione dell'ambiente sociale e del rafforzamento della solidarietà e della collaborazione fra gli uomini e del rispetto della dignità umana”.


Nell'Italia disastrata, dove succede di tutto e di più, a cosa deve pensare giustamente il Governo? Quale la sua priorità? Modificare legge per revocare la giusta onorificenza riconosciuta a Tito ai cui funerali parteciparono tutti i più importanti capi di Stato del mondo, a partire dal nostro.




Nell'anniversario della strage di Vergarolla, un nuovo approfondimento a cura di Claudia Cernigoi


https://www.facebook.com/notes/la-nuova-alabarda/la-strage-di-vergarolla/769410839896151/

La Nuova Alabarda, domenica 19 agosto 2018


VERGAROLLA, 18 AGOSTO 1946
Parliamo della strage di Vergarolla, che provocò un centinaio di morti ed un numero imprecisato di feriti tra i partecipanti ad una festa popolare[1], iniziando dai ricordi dell’ex agente della Decima Mas Maria Pasquinelli[2]. Scrive Turcinovich:
«Ricorda Vergarolla? Certo che ricorda, posa la fronte sul palmo della mano: ci dovevo essere anch’io, ci andavo spesso, ma scelsi una spiaggia diversa proprio in quel giorno, fu terribile»[3].
Quel giorno, il 18/8/46 a Vergarolla il circolo canottieri Pietas Julia di Pola aveva organizzato una festa sportiva popolare che prevedeva, oltre alle gare di canottaggio, chioschi gastronomici ed intrattenimenti. E proprio in quel giorno (leggiamo in un articolo di Lino Vivoda) il padre della futura esule Marina Rangan si impuntò per non andare a Vergarolla: «remava mio padre perché aveva deciso che si andava a fare il bagno proprio lì e non a Vergarolla con il barcone pieno di gente, come avrebbe voluto mia madre. Normalmente lui l’accontentava sempre, per il quieto vivere, invece quella volta si impuntò, forse per un provvidenziale sesto senso»[4].
Curiose queste forme di telepatia preammonitrice, considerando anche che «l’annuncio della riunione», come scrive Lino Vivoda, «venne pubblicato per parecchi giorni sul quotidiano locale italiano (…) come un implicito appello per la partecipazione in massa», perché «ormai qualsiasi occasione di pubblica riunione era diventata per la cittadinanza motivo di corale dimostrazione d’italianità». Ciononostante la patriota Pasquinelli proprio quel giorno disertò la spiaggia di Vergarolla, spiaggia sulla quale «giacevano accatastate ventotto mine marittime, residuato di guerra, prive di detonatori ma non vuotate dell’esplosivo in esse contenuto. Nottetempo quel deposito di morte fu riattivato da emissari criminali, giunti da fuori città, con l’inserimento di detonatori collegati ad un congegno per il comando a distanza dello scoppio»[5]. E le mine scoppiarono, poco dopo le 14, provocando una strage.
Nei fatti, nel corso della bonifica del porto, sulla spiaggia erano state ammassate le mine (di fabbricazione tedesca e francese, contenenti tritolo) che erano state raccolte e disinnescate da artificieri provenienti dal Comando Marina di Venezia comandati dal capitano Raiola che dichiarò successivamente che i lavori di disinnesco e controllo erano stati condotti da tre squadre, e che «era materialmente impossibile che avvenisse l’esplosione delle mine, perché il tritolo (…) sarebbe esploso solo con l’innesco di un detonatore»[6].
E questo detonatore sarebbe stato collegato ad un congegno per il comando a distanza, del quale avrebbe denunciato la presenza, in una cava vicino alla spiaggia, il poeta e futuro esule Giuseppe Bepi Nider, già ufficiale dell’esercito italiano ed all’epoca membro dell’API (Associazione Partigiani Italiani, cui era iscritto anche quel Mario Merni, che a proposito di Maria Pasquinelli dichiarò: «Veniva spesso a rincuorarci, garantiva il suo aiuto e ci parlava di un “colpo di stato caldo”»[7]), che si era recato in sopralluogo subito dopo l’esplosione assieme ad un maggiore inglese della FSS. Nider avrebbe anche fatto notare all’ufficiale «le tracce indicanti apparati per l’innesco di apparecchiature per il contatto che comandava a distanza lo scoppio di detonatori», aggiungendo che tali inneschi sarebbero stati «uguali a quelli che usavano nelle miniere dell’Arsa»[8].
Tali circostanze sarebbero state confermate anche da altre testimonianze, come quella di Claudio Bronzin, undicenne all’epoca, che così racconta «ho sentito nitidamente una detonazione (tipo colpo di fucile), secca ed unica (…) ho visto innalzarsi una immensa colonna di fuoco che è durata qualche secondo prima di diventare fumo. L’immane e terrificante boato dell’esplosione è arrivato dopo l’innalzarsi della colonna di fuoco»[9].
Secondo il testimone, quindi «è certo che le mine sono saltate in aria dopo una frazione di secondo dalla prima detonazione»: e Bronzin paragona i tempi di questa esplosione a quelli da lui sentiti quando era militare e gli artificieri, per far scoppiare gli ordigni inesplosi «mettevano una piccola carica (detonatore) addosso all’ordigno e nello scoppio i colpi, intervallati da una frazione di secondo, erano due».
Bronzin riporta inoltre la testimonianza della zia Rosmunda Bronzin Trani, che rimase ferita nell’esplosione: ella dichiarò di avere visto nella mattina del 18 agosto «un uomo vestito bene, di grigio» stendere un «filo» attraverso la pineta, filo che poi aveva tagliato con un coltello, e «lo ha aggiuntato in più punti», cioè avrebbe eseguito «la classica operazione degli elettricisti che spellano il terminale del filo elettrico per poi aggiuntarlo». Bronzin, che specifica che la zia rese più volte questa testimonianza agli inquirenti e continuò a parlarne in famiglia, conclude che l’uomo vestito di grigio avrebbe fatto il collegamento della linea per il comando a distanza, e lo scoppio si sarebbe verificato dopo che si era allontanato. E tale persona, aggiungeva la teste, «non le era una faccia nuova», quindi il nipote giunge alla conclusione che doveva essere di Pola.
Considerato lo stato di choc in cui versò la sopravvissuta alla strage, si può anche dubitare dell’attendibilità di tale testimonianza, perché è difficile pensare ad un dinamitardo che prepara l’attentato in pieno giorno ed in presenza di altre persone, che potrebbero anche conoscerlo (e se era conosciuto dalla zia Rosmunda, si può ipotizzare anche che avrebbe potuto essere un polesano della comunità italiana)..
Un altro uomo “sospetto” fu segnalato invece da Gino Salvador, che avrebbe visto «un tale a bordo d’una barchetta di idrovolante» approdare dopo le dieci del mattino del 18 agosto alla banchina del cantiere navale E. Lonzar, sulla via Fisella». Salvador gli disse che l’approdo era proibito, e questi «rispose che doveva recarsi nelle vicinanze e che non avrebbe tardato a prendere il largo»; il teste aggiunge di avergli chiesto da dove giungesse «con quel mezzo acquatico e mi rispose dall’isola di Brioni. Era di statura media, colorito bruno, capelli neri ricciuti, vestiva pantaloni di tela blu»[10].
Ricordiamo che nell’isola di Brioni, che si trova di fronte allo sbocco a mare di Pola, durante la guerra ebbe sede la Base Est dei mezzi d’assalto della Decima Mas, comandata dal sottotenente di vascello Sergio Nesi.
Infine citiamo da un articolo di stampa piuttosto recente: «Sono da poco passate le due. Un grido improvviso: Scampè, scampè che s’ciopa! D’istinto, molti scattarono in piedi. Nello stesso istante, fu l’inferno. Ore 14,10»[11].
Se il fatto fosse vero, vuol dire che l’attentatore avrebbe avvisato la gente del pericolo. Ma è veramente accaduto così, oppure la giornalista ha arricchito il suo articolo di particolari inventati per aumentare il pathos della narrazione?
Questi dunque i dati che abbiamo raccolto, peraltro contraddittori. La prima domanda che sorge spontanea è questa: perché gli organizzatori della festa popolare avevano scelto proprio la spiaggia accanto al cumulo di mine, sia pure disinnescate, per radunare tante persone? E perché le autorità alleate avevano permesso questa iniziativa, che, pur essendo recintato il cumulo di mine, poteva in ogni caso rivelarsi pericolosa per l’incolumità delle persone che si trovavano nei paraggi?
L’esplosione avvenne intorno alle 14, ma le persone “sospette” avvistate dai testi Rosmunda Bronzin Trani e Gino Salvador si sarebbero trovate sul posto “al mattino” (e la prima specifica che l’esplosione sarebbe avvenuta dopo che l’uomo vestito di grigio si era allontanato). Invece Vivoda (senza notare la contraddizione con le deposizioni da lui stesso trascritte) scrive che il congegno a distanza sarebbe stato attivato “nottetempo”, cosa che ci pare più plausibile, rispetto a quanto descritto da Rosmunda Bronzin.
Aggiungiamo le dichiarazioni dello studioso Fabio Fontanot, cioè che del problema dell’innesco avrebbe parlato anche il generale Antonio Usmiani, evidenziando che le modalità di innesco di questo tipo di mine erano conosciute solo da coloro che le avevano in uso: militari francesi ed inglesi e della Decima Mas[12]. Eliminando i francesi (che non erano presenti), sospendendo il giudizio sugli inglesi (che amministrando la zona potevano e non potevano avere interesse a creare una tensione di questo tipo), va ricordato che un anno prima, il 26/9/45, il Comando Marina Alleato di Venezia aveva assunto per il proprio Centro esperienze 18 ex membri della Decima Mas del gruppo Gamma (gli uomini rana specializzati nel piazzare mine marittime sotto le navi nemiche), tra i quali lo stesso comandante Eugenio Wolk, per affidare loro il compito di bonificare il porto di Venezia[13]. Non abbiamo dati per ritenere che gli stessi bonificatori di Venezia siano poi stati inviati a bonificare anche Pola, ma sembra che Usmiani abbia anche fatto cenno ad un «ufficiale della Decima passato ai partigiani» nella zona di Pola[14].
Ci furono naturalmente varie inchieste, che però non approdarono a nulla di definitivo. Negli anni, pur in assenza di prove od indizi, la responsabilità dell’eccidio fu attribuita dalla propaganda nazionalista italiana (poi assimilata non solo dal comune sentire ma anche da alcuni storici) alla Jugoslavia per mano dell’OZNA: ad esempio lo storico Raoul Pupo scrive che tale strage avrebbe scatenato l’Esodo dall’Istria e che «le responsabilità» della strage non furono mai chiarite, ma «l’effetto è assolutamente chiaro», cioè avrebbe terrorizzato la popolazione italiana e sarebbe stata una delle cause scatenanti dell’esodo degli italiani[15].
Ma se, come si legge in varie pubblicazioni, il 26/7/46 (tre settimane prima della strage di Vergarolla) il CLN di Pola «aveva raccolto 9.496 dichiarazioni familiari scritte, per conto di 28.058 abitanti su un totale di 31.000, di voler abbandonare la città se questa dovesse venir assegnata alla Jugoslavia»[16], quale motivo avrebbero avuto gli Jugoslavi di “terrorizzare” la popolazione italiana per farla andare via, considerando che la maggioranza aveva comunque già deciso di andarsene[17]? Aggiungiamo inoltre che il lavoro di Maria Pasquinelli a Pola sarebbe stato proprio finalizzato a far andar via gli italiani, già da prima della strage di Vergarolla, lavoro a causa del quale la donna temeva per la propria vita, volendo prestare fede alle affermazioni dell’ex deputata di Forza Italia ed esule istriana Antonietta Marucci Vascon che ha riferito quanto le avrebbe detto l’ex marito, il cineoperatore Gianni Alberto Vitrotti[18]. Se l’interesse della Jugoslavia fosse stato far andare via gli italiani, perché avrebbero dovuto boicottare il lavoro di Pasquinelli? O forse il lavoro dell’ex agente della Decima consisteva in altro?
Torniamo al secondo articolo di Vivoda nel quale leggiamo che nel 53° anniversario della strage (quindi nel 1999), il giornalista croato David Fištrović aveva pubblicato sul quotidiano Glas Istre di Pola, tre articoli sull’argomento, basati in parte sul libro dello stesso Vivoda, ed aveva anche parlato di una «ritrovata lettera d’addio scritta da un polese che si è suicidato e con la quale si scusa? si giustifica? per l’esplosione, ma sottolinea che tutto quello che ha fatto lo ha fatto su ordine di Albona». Ed è qui che si inserisce il particolare prima citato dei detonatori «uguali a quelli dell’Arsa»: perché «ad Albona dove c’erano le miniere si trovava la sede principale dell’organizzazione polese titina».
Vivoda pertanto prese contatto con il giornalista croato, che «sapeva il nome di uno degli attentatori di Vergarolla! E mi disse il nome: Ivan (Nini) Brljafa». Più avanti Vivoda scrive che «altre dicerie di rimasti a Pola, sebbene reticenti» lo avrebbero convinto della partecipazione di Brljafa all’attentato, e gli avrebbero anche detto «i nomi di altri presunti componenti», ma, dato che Vivoda non cita né le fonti di quelle che egli stesso definisce “dicerie”, né i nomi degli altri “presunti componenti”, il tutto può essere considerato nulla più che chiacchiere e pettegolezzi.
Tornando al biglietto del suicida, Fištrović confermò a Vivoda «di aver visto personalmente il biglietto nel quale il personaggio in argomento, prima di suicidarsi, aveva lasciato scritta la confessione. La lettera era in possesso di una parente del suicida». A questo punto Vivoda, consultatosi con alcuni amici, decise di comperare quel biglietto, cosa possibile secondo Fištrović, al quale «avevano detto che sarei dovuto recarmi da solo in un luogo che mi sarebbe stato indicato successivamente». Pertanto Vivoda medita «se valeva la pena rischiare. Il suicida in questione era uno dell’OZNA, per la quale aveva collaborato all’attentato. Mi ricordavo che l’ing. Onorato Mazzaroli, con un tranello chiamato dall’OZNA a Peroi per presentare un suo progetto di autonomia dell’Istria, era sparito senza lasciare più traccia, nonostante Rodolfo Manzin, col quale s’era confidato, l’avesse messo in guardia sconsigliandolo dal recarsi all’appuntamento. Non fidandomi dunque della gente con cui avrei dovuto trattare, rinunciai all’appuntamento per l’acquisto del biglietto»[19].
Abbiamo cercato di ricostruire la “scomparsa” di Onorato Mazzaroli (zio del futuro generale e sindaco del “libero comune in esilio di Pola” Silvio Mazzaroli), e trovato quanto segue: Mazzaroli, «invitato ad un incontro con esponenti slavo-comunisti per discutere della collaborazione italo-jugoslava il 10/8/44 fu catturato e fatto scomparire»[20]. Le motivazioni addotte da Vivoda per non acquistare il biglietto ci sembrano pertanto del tutto inconsistenti, se consideriamo innanzitutto che la scomparsa di Mazzaroli avvenne durante la guerra; e che nel 1999, quando ormai la Croazia indipendente era governata dalla destra di Tudjman, l’OZNA era sciolta da decenni, l’UDBA (che l’aveva sostituita) era crollata con il crollo della Jugoslavia ed a 36 anni dalla morte del presunto colpevole, quale pericolo poteva ancora rappresentare “l’OZNA” per un giornalista che voleva fare chiarezza su fatti di mezzo secolo prima?
Oltre alla questione del biglietto, che fa molto spy-story ma non sembra avere alcun riscontro concreto, è strana anche la questione degli inneschi delle mine navali, che non dovrebbero essere compatibili con quelli che si usano nelle miniere (e qui ricordiamo le parole di Usmiani a proposito di chi poteva essere in grado, tecnicamente, di lavorare con quelle mine specifiche). Però, pur non essendo noi artificieri specializzati in materia, da quanto siamo riusciti a capire, stante che le mine navali esplodono a contatto, e possono esplodere anche “per simpatia” nel caso in cui vicino ad esse esploda un altro ordigno, forse non ha tanto senso andare a cercare chi poteva essere in grado di re-innescare le mine, dato che la cosa più semplice da fare sarebbe stato posizionare un altro ordigno, di qualunque tipo, da far esplodere con il comando a distanza di cui si è tanto parlato: per simpatia sarebbero esplose poi tutte le mine, con il risultato che si è visto (ma allora si sarebbero sentito solo le due esplosioni descritte dall’allora undicenne Bronzin, o dovrebbero essere state di più?)
Parliamo infine di quel documento dei servizi britannici che viene citato dai divulgatori a prova della “responsabilità dell’OZNA” in questo attentato e che è stato rintracciato dal ricercatore Mario Josè Cereghino negli archivi londinesi di Kew Gardens. Si tratta di una informativa che riferisce che a Trieste si dice che «uno dei sabotatori» di Vergarolla sarebbe stato «Kovacich Giuseppe, uno specialista in azioni terroristiche nonché responsabile di numerosi delitti», che «in passato era solito recarsi in macchina da Fiume a Trieste tre volte alla settimana», che «lavorava per l’OZNA» e che «dopo l’attentato di Vergarolla non si è più fatto vedere in città». Tali informazioni sarebbero state fornite «da una fonte attendibile del controspionaggio»[21]. Consideriamo però innanzitutto che un’informativa di per se stessa non costituisce una prova certa, ma solo il rapporto di quanto riferito da qualcuno; che non sono stati resi noti altri documenti a conferma, che questo Kovacich non è neppure stato chiaramente identificato (precisiamo che il nome di Giuseppe Kovacich è comune quasi quanto quello di Mario Rossi); e la fonte che ha riferito le voci che corrono a Trieste è l’italiano 808° Battaglione del Controspionaggio[22], una struttura creata dal SIM badogliano durante il conflitto e poi rimasta in funzione anche negli anni seguenti, posta però sotto il diretto controllo dell’allora OSS[23]. Dal ricercatore Gaetano Dato apprendiamo un particolare importante: dal febbraio del 1946 quella parte del personale ex SID, cioè gli agenti segreti della Repubblica di Salò che durante la guerra avevano collaborato con gli Alleati «nei gruppi come il Nemo» poterono prendere servizio nei Carabinieri, nello specifico nell’808° battaglione e nell’Ufficio I[24].
In sintesi, le informazioni sulle “voci” (e ribadiamo che solo di “voci” si tratta) circolanti a Trieste in merito al presunto responsabile di Vergarolla sarebbero state fornite ai servizi britannici da servizi italiani controllati dai servizi statunitensi.
Concludiamo questo capitolo considerando, oltre ai dubbi sollevati da Usmiani su chi avesse la possibilità reale di innescare nuovamente le mine ammassate in spiaggia, che gli Jugoslavi, impegnati all’epoca a Parigi a far valere le proprie ragioni in merito ai crimini commessi durante l’occupazione nazifascista delle loro terre, non avrebbero tratto politicamente profitto per avere messo in atto un’azione abietta come una strage di civili. Mentre ricordiamo che chi affermò che non era il caso di temere di dovere “spargere del sangue” era stato l’esponente del CLN istriano Rusich, in una riunione del maggio 1946[25].
[1] Il numero esatto delle vittime non fu mai definito.
[2] Maria Pasquinelli è passata alla storia in quanto il 10/2/47, giorno della firma del trattato di pace, assassinò il generale Robin De Winton come “protesta” per il fatto che l’Istria veniva assegnata alla Jugoslavia. Condannata a morte, la pena fu commutata in ergastolo; mandata in Italia per espiare la pena, la donna fu graziata da Cesare Merzagora nel semestre in cui questi ricoprì la carica di Presidente della Repubblica supplente per il malore che aveva colto il presidente Antonio Segni nell’ambito delle discussioni dei giorni in cui l’Italia rischiava un colpo di stato (il “piano Solo”). Si veda C. Cernigoi, “Dossier Maria Pasquinelli”, in http://www.diecifebbraio.info/tag/maria-pasquinelli/ .
[3] Rosanna Turcinovich, “La giustizia secondo Maria”, Del Bianco 2008, p. 40.
[4] Lino Vivoda (esponente dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) su L’Arena di Pola, 19/8/12. Vivoda ha pubblicato nel 1989 un libro (“L’esodo da Pola. Agonia e morte di una città italiana”, Castelvetro) ed ha scritto due articoli sull’argomento, da cui abbiamo tratto i dati che riportiamo.
[5] Ogni volta che ci troviamo davanti ad una descrizione così circostanziata di come sarebbero avvenuti i fatti, ci domandiamo se chi scrive sia più informato di quanto voglia far credere: nella fattispecie, come fa Vivoda ad essere così sicuro che gli autori dell’attentato erano «giunti nottetempo da fuori città» ed avevano ricollocato i detonatori originali?
[6] Vivoda non specifica il nome del capitano Raiola, ma in altro articolo scrive che era il padre «del giornalista Giulio»: Giulio Raiola, scrittore di fantascienza, e autore di articoli sulla Decima Mas, fece parte della “corrente evoliana dei Figli del Sole” del MSI.
[7] Carla Mocavero, “La donna che uccise il generale”, Ibiskos 2012, p. 194.
[8] Tale particolare è riportato solo nel secondo articolo di Vivoda, “Vergarolla strage titoista” (http://www.arenadipola.it/index.php?option=com_content&task=view&id=753&Itemid=2). Dal racconto sembra che Nider sia andato a colpo sicuro alla cava per mostrare gli inneschi agli ufficiali britannici.
[9] Claudio Bronzin, “Bieco telo di ipotesi false per cercare di coprire le precise responsabilità della strage. Prove e testimonianze sull’eccidio di Vergarolla”, L’Arena di Pola, 18/11/96, citato da Lino Vivoda in
[10] Gino Salvador, L’Arena di Pola, 19/10/96.
[11] Scappate, scappate che scoppia!, Carla Rotta, La Voce del popolo, 5/4/08.
[12] Intervista rilasciata all’autrice, 16 agosto 2012. Ricordiamo che Usmiani era un agente dell’OSS molto stimato dal capo, James Jesus Angleton.
[13] Documento firmato dal colonnello del SIM Pompeo Agrifoglio, in qualità di dirigente dello Stato Maggiore dell’Esercito, che conclude asserendo che i 18 Gamma erano da considerarsi da quel momento «immuni da qualsiasi responsabilità per l’attività da essi finora svolta» (https://casarrubea.wordpress.com/2009/12/13/discriminati-e-immuni/).
[14] Ricordiamo che nel CLN triestino si erano inseriti diversi membri della Decima, tra i quali il futuro campione di vela Agostino Straulino, che aveva fatto parte dei Gamma.
[15] Sul Piccolo del 17/8/06.
[16] Carla Rotta, La Voce del Popolo, 5/4/08.
[17] Accenniamo brevemente al fatto che in quel periodo era in atto una campagna stampa rivolta ai cittadini istriani di etnia italiana per farli venire in Italia, basata sia sul terrorismo psicologico (la paura delle “foibe” e degli espropri che sarebbero stati operati dai “comunisti”), sia sul miraggio di una vita più agiata e di privilegi di cui avrebbero goduto una volta lasciata la Jugoslavia.
[18] Intervento di A. Vascon nel corso di un dibattito su Maria Pasquinelli svoltosi nella sede della Lega Nazionale di Trieste, 8/2/13. Vitrotti si trovava a Pola nell’estate del ‘46 per conto del MAE a monitorare l’inizio dell’esodo in previsione della firma del Trattato di pace che avrebbe assegnato la città alla Jugoslavia, ma nello stesso periodo (13/8/46) aveva operato le riprese dei recuperi di salme dalla “foiba” di Gropada-Orlek nel Carso triestino. Aggiungiamo che Vitrotti, «come titolare dell’agenzia Trieste Pictorial News era accreditato presso il GMA e in qualità di operatore ufficiale era incaricato dal Public Information Office di eseguire servizi fotografici e cinematografici»; nonostante questi accrediti fu arrestato nel 1947 ed in seguito espulso dal TLT «per avere ripreso avvenimenti a dispetto dei divieti alleati» e poté rientrare solo «grazie al diretto interessamento dell’ambasciatore americano» (P. Spirito, “Trieste a stelle e strisce”, MSG Press Trieste 1995, p. 155). Nel dopoguerra lavorò alla RAI di Trieste; è deceduto nel 2009.
[19] L. Vivoda, “Vergarolla strage titoista”, art. cit.
[20] L. Papo, “Albo d’Oro”, Lega Nazionale 1995.
[21] “Sabotage in Pola”, informativa d.d 19/12/46 n. 204/12765, pubblicata in F.. Amodeo e M. J. Cereghino “Trieste e il confine orientale tra guerra e dopoguerra” vol. 3, Trieste 2008, p. 64.
[22] Così scrive Pietro Spirito ne “Gli archivi inglesi rivelano: la strage di Vergarolla voluta dagli agenti di Tito”, Il Piccolo, 9/3/08.
[23] Ricordando che il SIM badogliano fu organizzato da quel Pompeo Agrifoglio che firmò il citato documento di “immunità” per i Gamma della Decima Mas, riprendiamo da un articolo di Casarrubea un elenco di «uomini che dipendevano direttamente» da James Jesus Angleton (il dirigente dell’OSS che aveva operato il salvataggio di Junio Valerio Borghese ed organizzato il riciclaggio di fascisti nelle istituzioni post-belliche, sia italiane che tedesche): «Reali Carabinieri, 808° battaglione dell’Esercito addetto al controspionaggio, Marina Italiana, agenti speciali spediti in Sicilia dall’OSS…» (cfr http://www.cittanuove-corleone.it/Casarrubea,%20perch%E9%20ricordare%20Portella.htm). L’elenco dei componenti l’808° Battaglione si trova in http://casarrubea.wordpress.com/2008/07/09/rapporto-del-controspionaggio-italiano-1946/.
[24] G. Dato, Vergarolla, LEG 2014, p. 143, che cita una lettera del Capitano Morris, ufficiale di collegamento angloamericano presso l’Ufficio I UK NA WO 204-12380 inviata al comando di Caserta, 25/1/46.
[25] R. Turcinovich, op. cit., p. 120.

Claudia Cernigoi, agosto 2018


[trascrizione del colloquio tra Tito e "Che" Guevara, svoltosi in occasione della prima visita del "Che" in Jugoslavia, solo pochi mesi dopo la vittoria della Rivoluzione cubana]


PRVI SUSRET DRUGA TITA I ČE GEVARE

Na današnji dan 18.avgusta 1959.godine Drug Tito je primio Kubansku delegaciju na čijem čelu je bio drug Ernesto Če Gevara.

TITO je primio Če Gevaru samo pola godine nakon svrgavanja Batistine diktature. Bilješkom (od 4. avgusta 1959) Tito je upoznat da sredinom toga mjeseca u Jugoslaviju stiže kubanska Misija dobre volje, sastavljena uglavnom od predstavnika armije i privrede, sa majorom i izvanrednim ambasadorom Če Gevarom na čelu. Podsjeća se da je u posjeti nizu zemalja Afrike i Azije sa ciljem uspostavljanja bližih veza sa njima. Dok se Misija nalazila u Tokiju, Če Gevara je po instrukciji Fidela Kastra zatražio prijem kod jugoslovenskog ambasadora i zamolio posjetu Jugoslaviji. Naglasio je da “želi prenijeti Titu pozdrave Kastra, jer ga na Kubi smatraju herojem i uzorom u borbi za nezavisnost i ravnopravnost”. Na pomenutoj bilješci u kojoj Državni sekretarijat za inostrane poslove predlaže da predsjednik primi kubansku misiju, Tito je u gornjem lijevom uglu napisao: “Ako ću moći, primiću je.” Vrijeme se našlo iako je u toku bila posjeta etiopskog cara Haila Selasija i do susreta je došlo na Brionima 18. avgusta 1959. godine.

RAZGOVORU su prisustvovali državni sekretari za inostrane poslove i narodnu odbranu, Koča Popović i Ivan Gošnjak, kao i generalni sekretar predsjednika Republike Leo Mates. Bila je to interna prijateljska razmjena mišljenja. Za neke i danas može biti interesantna kao primjer korisnih sugestija starijeg revolucionara mlađem. Na samom početku Kastrove Kube.

Citati su samo dijelovi razgovora.

Tito: – Pozdravljam drugove sa Kube i izražavam radost što su danas naši gosti predstavnici jene nedavno izvršene revolucije, u zemlji koja se bori za svoju nezavisnost… Ako drugovi žele nešto da čuju od mene, rado ću im odgovoriti.

Če Gevara: – Doputovali smo u Jugoslaviju da se upoznamo sa vašim iskustvom i da ga naučimo na najbolji mogući način.

Tito: – Nas mnogo interesuje vaša borba, a naročito vaše sadašnje iskustvo.

Če Gevara: – Mi smo mislili da smo svojom revolucijom ponovo otkrili Ameriku. Međutim, da smo ranije upoznali zemlju kao što je Jugoslavija, možda bismo još prije počeli našu revoluciju…

Tito: – Sudbina je svih revolucija u malim zemljama da imaju teškoće. Prema njima mnogi su oprezni, neki su protiv njih, a vrlo je malo onih koji im daju podršku. U svojoj borbi imaćete još dosta muka. Ali kad ste već zbacili stari režim, teškoće ne treba da vas dekuražiraju. Teže je, doduše, sačuvati vlast, ali vi ćete u tome uspjeti ako budete uporni. Važno je da sada ne napravite neku veću grešku, i da dalje idete postepeno, korak po korak, vodeći računa o međunarodnnoj situaciji, unutrašnjim mogućnostima i odnosu snaga. Neke stvari moraćete odložiti za bolja vremena. Sada je potrebno da se stabilizirate. Po mome mišljenju, opasno bi bilo da se zaletite u potpunu agrarnu reformu. Oružani dio revolucije kod vas je izvršen, narod očekuje nešto i jedan dio agrarne reforme morate sprovesti. Ali ne dozvolite takođe da vas izoliraju u inostranstvu…

Če Gevara: – Na Kubi je agrarna reforma vrlo blaga jer se dozvoljava posjed od 1.300 hektara obradive površine. Ipak, agrarna reforma pogađa 99 odsto latifundista, i to, uglavnom, pet američkih kompanija, koje imaju preko pola miliona hektara obradivih površina.

Tito: – Trebalo bi objasniti, u formi vladine deklaracije, da se stranim kompanijama neće oduzeti zemlja bez naknade, već da će one biti obeštećene. Tako biste u svijetu mnogo dobili u moralnom pogleđu.

Če Gevara: – Mi smo promijenili Ustav i na osnovu te promjene, možemo se obavezati da ćemo naknadu isplatiti u roku od 20 gođina…

Kuba nije malo izolirana. Za vrijeme revolucije u Gvatemali, velike zemlje Latinske Amerike – Argentina, Meksiko i Brazil – bile su na strani progresivnog pokreta u toj zemlji. Sada baš te zemlje ne pomažu revoluciju na Kubi, jer i same imaju tešku situaciju…

Tito: – Utoliko više je potrebna opreznost… Dobro bi bilo da čujemo vaše mišljenje što bi se već sada moglo učiniti u Ujedinjenim nacijama. Trebalo bi već sada da se sondira teren za slučaj nekog jačeg pritiska.

Če Gevara: – Imamo, svakako, u vidu da osiguramo sebi bolju situaciju i pomoću Ujedinjenih nacija.

Tito: – Kako stojite s oružanim snagama? Vrlo je važno da imate čvrstu armiju, moralno–politički učvršćenu… Uslovi za agresiju na Kubi, ipak nisu tako laki, jer je to otok. Invazija nije za vas tako opasna, jer bi to već bila krupna agresija. Daleko je opasniji vazdušni desant koji se može izvršiti sa nekoliko aviona.

Če Gevara: – Desant može doći samo iz SAD. Ali, mi se ne bojimo ovakvih akcija, jer imamo jedinstvo u našoj zemlji, naročito među seljacima.

Tito: – To je vrlo važno.

Če Gevara: – Padobranci koji bi se iskrcali na Kubi ne bi poznavali teren. Oni ne bi mogli da idu dalje od mjesta desanta… Brzo bi bili onemogućeni.

Tito: – Zato je važno da sačuvate seljaštvo na svojoj strani. Ako budete sačuvali jedinstvo u zemlji, i ako budete imali čvrstu i dobro naoružanu armiju, makar ona ne bila velika, teško da će se moći nešto izvana učiniti.

Če Gevara: – Upoznali smo se sa raznim fazama vaše velike borbe. Bili smo u Muzeju u Beogradu, razgledali prostor gdje je vođena Četvrta neprijateljska ofanziva… Smatramo da vaša pobjeda u ratu predstavlja pravu epopeju… Trudićemo se da vaša iskustva na što adekvatniji način prenesemo svom narodu. U spoljnoj politici nastojaćemo da budemo na vanblokovskim pozicijama…

Tito: – Ako vam bude potrebna pomoć i podrška u UN, vi možete na nju računati. Mi ćemo vas svakako podržati kao što podržavamo sve narođe koji se bore za nezavisnost… Gdje, u našoj blizini, imate ambasadu?

Če Gevara: – Ambasade smo imali (misli se na vrijeme prethodnog režima) svuda gdje se dobro živjelo. Ja se izvinjavam za odnose bivše vlade prema Jugoslaviji. Malo je teško to objasniti, ali postojao je izvjestan strah od Jugoslavije kao socijalističke zemlje… Mogu vas uvjeriti da ću čim dođem na Kubu poraditi na tome da se otvori predstavništvo u Beogradu, bilo kao ambasada ili na nivou otpravnika poslova u prvo vrijeme…

 
PONUDA JE PALA – ŠEĆER ZA PIRINAČ

TOKOM prijema bilo je riječi i o nizu drugih pitanja, u prvom redu iz oblasti ekonomije. Kubanci su se interesovali za kupovinu brodova, nekih industrijskih proizvoda, posebno električnih aparata za domaćinstvo. Izrazili su želju da vide još neka industrijska postrojenja, među kojima i fabrike traktora i poljoprivrednih mašina. Iznijeli su utiske iz zemalja u kojima su bili i u kojima su prevashodno dogovarani mogući trgovinski aranžmani, uključujući, kako su konkretno naveli, i ponude “šećera za pirinač”. Sam razgovor – slika zemlje u zanosu pobjede, ali bez iskustva u rješavanju onoga što poslije dolazi.

Če Gevara, tada još bez oreola slave. Jednostavan i skroman, sa likom koji će docnije ovjekovječiti poznata fotografija. Prenio je na kraju želju predsjednika Vlade Republike Kube Fidela Kastra da od Tita dobije fotografiju sa posvetom, dodavši da bi to bila i njegova želja.





Abolire le armi nucleari! Mai più Hiroshima e Nagasaki!

In occasione dei bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki avvenuti il 6 e 9 agosto 1945 il Consiglio Mondiale della Pace rilancia l'appello per l'abolizione delle armi nucleari.

di Consiglio Mondiale della Pace della regione Europa
da cppc.pt

Traduzione di Mauro Gemma per Marx21.it

A seguito delle iniziative decise nel corso della riunione delle organizzazioni che fanno parte del Consiglio Mondiale della Pace della regione Europa, tenutasi a Londra il 26 maggio, e la successiva consultazione di queste organizzazioni divulghiamo il testo "Abolire le armi nucleari – Mai più Hiroshima e Nagasaki" per celebrare i 73 anni del combardamento statunitense d queste due città giapponesi.

Abolire le armi nucleari! Mai più Hiroshima e Nagasaki!

6 e il 9 agosto 1945, sono date che gli amanti della pace di tutto il mondo conservano nella memoria, per mantenere vivo il ricordo del terribile crimine rappresentato dal lancio, da parte degli Stati Uniti, delle bombe atomiche sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, e per ricavare da questa tragedia che ha causato migliaia di morti e sofferenze che continuano ancora oggi, la necessità di continuare e rafforzare la lotta contro il militarismo e la guerra, per la pace e il disarmo, in particolare il disarmo nucleare.

L'abolizione delle armi nucleari è oggi più urgente che mai, se vogliamo evitare una catastrofe umana, come quella subita dal popolo giapponese, 73 anni fa, o una di ancora maggiori proporzioni.

L'arsenale globale è superiore alle 13.000 testate nucleari - 1.800 delle quali sono in stato di allerta - e i nuovi sviluppi della tecnologia e dei vettori di trasporto delle testate stanno guidando la proliferazione nucleare.

Oggi, con le armi esistenti, una nuova guerra di grandi dimensioni significherebbe la distruzione dell'umanità come la conosciamo.

Ricordiamo l'Appello di Stoccolma, una storica iniziativa del Consiglio Mondiale della Pace, firmato da centinaia di milioni di persone preoccupate che manifestarono il loro rifiuto dell'uso e dell'esistenza di armi nucleari.

Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, adottato il 7 luglio 2017, rappresenta una pietra miliare sulla via verso la completa eliminazione delle armi nucleari, un obiettivo a lungo ricercato dagli Hibakusha (i sopravvissuti al bombardamento nucleare, NdT) e dai popoli del mondo.

Tutti gli Stati dovrebbero, senza indugio, firmare il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari. Gli Stati dotati di armi nucleari non hanno firmato questo trattato. In considerazione della gravità e della minaccia rappresentate dagli Stati Uniti nel voler mantenere nella propria dottrina militare il diritto di usare armi nucleari in un primo attacco, anche contro agenti "non nucleari", e in vista dei conflitti armati generati dagli Stati Uniti e da altre potenze imperialiste occidentali, dalla NATO e dall'Unione Europea, la sopravvivenza di tutta l'umanità è in gioco.

I popoli del mondo devono operare per approfondire la presa di coscienza dell'opinione pubblica allo scopo di premere per l'abbandono della politica di "deterrenza nucleare" e per la promozione del disarmo universale, simultaneo e controllato.

La sopravvivenza dell'umanità dipende da un mondo libero da tutte le armi nucleari. Ci appelliamo a:

- porre fine alle guerre imperialiste di aggressione contro i popoli e a rispettare la sovranità e l'integrità territoriale degli Stati;

- rispettare i principi della Carta delle Nazioni Unite e dell'atto finale della Conferenza di Helsinki da parte di tutti gli Stati, ponendo fine alla minaccia e all'uso della forza nelle relazioni internazionali e a impegnarsi per la risoluzione pacifica delle controversie internazionali;

- impegnare tutti gli Stati a vietare totalmente test nucleari e a sviluppare nuove armi nucleari, incluso il divieto di militarizzazione dello spazio;

- porre fine alla minaccia dell'uso di armi nucleari da parte di tutti gli Stati che le posseggono;

- impegnarsi globalmente per vietare tutte le armi nucleari e le altre armi di distruzione di massa;

- firmare e ratificare il trattato sulla proibizione delle armi nucleari da parte di tutti gli Stati;

- adottare le misure necessarie per garantire la pace nel mondo, la sicurezza, la smilitarizzazione delle relazioni internazionali e il disarmo generale e controllato.




Noi le "fake news" le chiamiamo "disinformazione strategica"

1) Una commissione sulle Fake News? Cominciamo da quelle che hanno provocato guerre (SibiaLiria)
2) Intervista a Michel Collon: Guerra e disinformazione, “così i governi hanno manipolato gli attentati”


Una sintesi sull'impiego delle "fake news" come arma di guerra nel caso jugoslavo è l'articolo
GUERRA E DISINFORMAZIONE STRATEGICA di Andrea Martocchia
(Intervento al convegno TARGET, Vicenza 21/3/2009)


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Una commissione sulle Fake News? Cominciamo da quelle che hanno provocato guerre


Sulla scia di quanto accade negli USA, impazza anche in Italia la paranoia su fake news, diffuse da orde di “trolls di Putin” per avvelenare la Democrazia e inquinare le campagne elettorali ed è di questi giorni la proposta di Emanuele Fiano, responsabile sicurezza del Pd, di istituire una Commissione parlamentare dedicata allo studio di questa presunta “minaccia”. Continua invece la negligenza nei confronti delle fake news che causano guerre:

Alla proposta di Fiano ha risposto Vito Petrocelli, (Movimento Cinque Stelle) presidente della Commissione Affari Esteri del Senato:

Il Pd vuole una commissione d’inchiesta sulle fake news? Bene. Anzi benissimo, ma partiamo da tutte quelle informazioni false che hanno permesso, avallato e giustificato le tante guerre neo-coloniali degli ultimi anni. Mi viene da sorridere a pensare che a chiedere quest'inchiesta siano gli stessi partiti che hanno preso per vere le bufale storiche come le armi di distruzione di massa in Iraq o il viagra che Gheddafi avrebbe dato alle sue truppe per violentare le bambine. Queste fake news, tra le centinaia che si potrebbero citare e per decine di paesi, sono state usate per giustificare invasioni criminali e distruzione di interi popoli che hanno causato milioni tra morti e profughi. Ben venga l’introduzione della commissione d'inchiesta parlamentare se questa inizierà i suoi lavori indagando sul nefasto ruolo giocato dai media nelle ultime guerre. È un dovere storico, etico e politico nei confronti di popoli amici e fraterni con cui abbiamo un debito morale da ripagare.”

Sibialiria, nata proprio per contrastare la montagna di menzogne guerrafondaie  cercando un po’ di verità si augura che alle parole seguano fatti. E poiché ha studiato approfonditamente molti casi, è a disposizione dei parlamentari della futura Commissione.

 

La Redazione di Sibialiria


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Guerra e disinformazione, “così i governi hanno manipolato gli attentati”


di Stefano Mauro, 2 giugno 2018

Intervista a Michel Collon. “Una guerra di aggressione non può che fondarsi sulle menzogne (Iraq, Siria, ndr) di conseguenza il principale obiettivo dei governi è creare disinformazione per ottenere quel consenso che altrimenti non ci sarebbe tra l’opinione pubblica” così afferma a il manifesto  Michel Collon, attivista, scrittore e giornalista belga, autore del libro Je suis ou je ne suis pas Charlie? tradotto in italiano con il titolo Effetto boomerang, Zambon editoreFondatore del collettivo Investig Action, Collon è specializzato nell’analisi della “disinformazione mediatica” su argomenti quali il fenomeno jihadista in Francia e Belgio o sull’analisi dei conflitti di questi anni dal Medio Oriente all’Africa.

Cosa pensa della libertà di informazione in Europa o in Francia oggi, c’è stato un cambiamento dopo l’attacco a Charlie Hebdo nel 2015?

Per quello che conosco bene, la Francia ed il Belgio, penso che gli attentati di gennaio (Charlie) e novembre 2015 (Bataclan) siano stati manipolati dai governi. Avrebbero dovuto promuovere un dibattito per comprendere meglio le cause, analizzare le responsabilità degli USA, della Francia e dei loro alleati come  ho fatto nel libro Je suis ou je ne suis pas Charlie?. Al contrario governo e stampa mainstream hanno preferito nascondere le loro responsabilità, terrorizzando la popolazione, disinformando sul loro sostegno per le guerre in Libia e Siria, vietando dibattiti in televisione, richiedendo ai musulmani di “rinnegare” gli attentati come se fossero stati loro i responsabili, e non Washington e Parigi.

Cosa intende nel suo libro per due pesi e due misure nella lotta contro lo jihadismo visto che da una parte lo si combatte e dall’altra l’Europa fa accordi con Arabia Saudita e Qatar, principali sponsor dei gruppi jihadisti?

Questo meriterebbe, in effetti, il premio Nobel dell’ipocrisia. Non solo perché Arabia Saudita e Qatar sono i finanziatori locali, ma perché tutta l’operazione sull’“eurojihadismo“ è stata voluta da Obama ed Hillary Clinton. Il governo americano aveva paura, dopo i disastri di Bush in Iraq e Afganistan, di impegnare altre truppe USA in Libia o in Siria con ulteriori perdite. Washington così  ha siglato un’alleanza con un ramo di Al Qaida in Libia ed in Siria, affermazioni validate grazie  alle fonti citate nel libro (Ammiraglio Stavridis comandante NATO in Libia e agenti dei servizi segreti francesi, ndr). La stessa CIA ha addestrato e fornito armi a questi “ribelli” nei campi di addestramento in Giordania. In Siria, come fece Zbigniew Brzezinski (CIA, ndr)  in Afganistan nel 1979, Washington ha reclutato e addestrato una milizia con persone provenienti da 40 differenti paesi con l’obiettivo di rovesciare il governo di Assad. Una simile modalità è stata utilizzata in Bosnia, Kosovo ed altre aree per evitare un intervento diretto. Questo terrorismo non mi sembra “made in Islam”, ma soprattutto “made in USA”.

Qual è la sua idea riguardo agli attentati in Europa, perché un gran numero di attentati  in Francia e Belgio? 

La crisi economica europea ha provocato un “eccesso” di manodopera: i giovani dei quartieri popolari, a Parigi come Bruxelles, ricevono ormai da anni un’educazione di bassa qualità, sono discriminati sul lavoro, nella vita quotidiana e dalla polizia. Il messaggio dell’economia capitalista nei loro confronti è chiaro: non ci interessa la vostra opinione su Israele o sul conflitto in Iraq, non abbiamo bisogno di voi, non siete dei veri cittadini, ma solo manodopera precaria. Questo “no future” ha creato nelle giovani generazioni una disperazione che si esprime bruciando auto, raggiungendo organizzazioni fasciste o lo stesso Daesh.

Cosa si può fare per combattere il fenomeno del jihadismo in Europa, Francia e Belgio in particolare?

Fare esattamente l’inverso della  politica governativa che ho descritto. Diminuire radicalmente il tempo di lavoro per creare maggiori opportunità occupazionali, eliminare le discriminazioni razziste ad ogni livello, mettere fine alla censura nei media  e promuovere un reale dibattito su temi sensibili: Israele, petrolio, guerre in Medio Oriente ed in  Africa. Combattere la militarizzazione e l’utilizzo di denaro per la produzione e l’acquisto di armi. Non si combatte la disperazione con i missili, ma con la  giustizia sociale.  È  tempo di smettere di sostenere in Medio Oriente  le monarchie retrograde e violente ed è ora di rispettare la sovranità dei diversi paesi per permettere loro di utilizzare le ricchezze nazionali per i loro popoli come hanno fatto Chavez, Morales e Correa in passato. È tempo di mettere fine al colonialismo d’Israele con la sua apartheid e la sua pulizia etnica, come è tempo di rispettare il diritto internazionale per scongiurare nuovi conflitti. Evidentemente le elites economiche non faranno niente di tutto ciò perché va contro i loro interessi economici e solo una mobilitazione popolare, partendo da una corretta informazione, potrebbe cambiare questo.

Dopo diversi mesi si parla poco di Daesh, le politiche di Macron sono efficaci per contrastare il fenomeno jihadista in Francia?

Daesh  è stato sconfitto non da Washington e Parigi, ma dall’alleanza Siria – Hezbollah – Russia anche se la sua minaccia è diminuita, ma è tuttora presente soprattutto in Francia.   È  stato Putin che ha contrastato  le ingerenze occidentali e cambiato radicalmente il rapporto di forze sul terreno. Questa inversione negli ultimi anni è stato un cambiamento di portata storica, l’ascesa dell’asse Pechino-Mosca  ha fatto in modo che il periodo in cui un’unica superpotenza si poteva permettere di provocare tutte le guerre che voleva è, forse, finito. La crisi economica, politica e morale, la diminuzione del dominio militare, la perdita dell’egemonia sull’informazione e tutto il sistema capitalista e globale sono in difficoltà. Le stesse forze alternative sono in crisi visto che molte formazioni  di sinistra mantengono una visione colonialista, arrogante nei confronti dei popoli del Sud e sostengono le campagne militari e l’informazione mediatica falsa.

Qual è il livello di censura nella stampa europea riguardo alla situazione attuale in Medio Oriente?

Viviamo in un periodo di «propaganda di guerra» dove l’informazione è monopolizzata dalle multinazionali e dai loro governi, qualsiasi forma di informazione differente passa sotto silenzio o viene ridicolizzata. I media indipendenti su Internet vengono spesso denigrati e censurati. Macron e l’UE preparano una legge contro le fake news, google e facebook collaborano con l’informazione mainstream e paradossalmente quelli che producono le fake news si mettono a combatterle. In Francia come in Belgio è inquietante il clima di terrore intellettuale dove si calunniano e ridicolizzano quelli che cercano la verità dei fatti e che ascoltano tutte le parti in conflitto.

Senza una mobilitazione popolare per esigere la libertà di dibattito, per proteggere e sostenere i giornalisti indipendenti andiamo verso un nuovo maccartismo: una massiccia azione di intimidazione e indottrinamento sociale e culturale. La guerra militare è sostenuta dalla guerra psicologica che le è fondamentale per supportarla e per creare consenso nell’opinione pubblica. Quando le persone conoscono le vere cause delle guerre ne chiedono anche la loro fine come è avvenuto in passato in Vietnam. Una guerra di aggressione non può che fondarsi sulle menzogne (Iraq, Siria, ndr) di conseguenza il principale obiettivo dei governi e delle multinazionali è creare disinformazione tra la popolazione,  attraverso i media mainstream, per ottenere quel consenso che altrimenti non ci sarebbe, da qui l’esigenza di creare una controinformazione indipendente e internazionalmente coordinata in Francia come in Italia. (l’intervista è stata pubblicata anche su Il manifesto di mercoledi 30 maggio)




(english / srpskohrvatski / italiano)
 
Anche Israele festeggia l'anniversario della pulizia etnica delle Krajine
 
1) Serbia angered as Israeli fighter jets fly in Croatian victory parade
[Caccia israeliani partecipano, al fianco di quelli croati, alla parata per il 23 anni della pulizia etnica delle Krajne]
2) "Srbija razočarana učešćem izraelskih aviona u Kninu"
3) Operazione Tempesta: dopo 23 anni ancora battaglia (N. Corritore / OBC – stralcio)
 
D'altronde, "a Zagabria, già nel settembre 1992 la comunità ebraica festeggiava, con la partecipazione formale ed i fondi elargiti dal regime fascista di Tudjman, la riapertura del Centro Ebraico…" – si veda: Israele e Jugoslavia (di A. Martocchia) nella rassegna JUGOINFO "Sionismo e Fascismo" del 29 luglio 2014
 
 
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Serbia angered as Israeli fighter jets fly in Croatian victory parade
Israel said to be first foreign nation to celebrate 1995 Operation Storm; Belgrade 'deeply disappointed' at Jewish state for feting 'pogrom'

By RAPHAEL AHREN
5 August 2018
 
[PHOTO: An Israeli and a Croatian pilot pose together in a video released by the Croatian Ministry of Defense on August 4, 2018 (YouTube screenshot)] 
 

Israel’s military stirred up a storm by participating in a military parade Sunday to celebrate the Croatian victory in a battle against Serbia, The Times of Israel has learned.

The fact that Israeli fighter jets and their pilots actively took part in a parade to celebrate the 1995 “Operation Storm,” which killed hundreds and displaced hundreds of thousands, triggered harsh criticism from Belgrade.

“Serbia is deeply disappointed about the participation of Israeli pilots and fighter jets today, because for us Operation Storm in 1995 was a kind of pogrom,” the country’s ambassador to Israel, Milutin Stanojevic, told The Times of Israel on Sunday morning.

Almost the entire Serb population of the area was removed from their homes by military force during the operation.
 

“It was the biggest exodus of a nation since the Second World War,” Stanojevic said, adding that Israel’s participation in Croatia’s victory celebration “is not a friendly gesture toward Serbia.”

On Sunday, Croatian media showed photos of at least two Israeli F-16s flying over the city of Knin, between Zagreb and Split, together with Croatian MiG-21s.

According to a Croatian website, Brigadier General (Ret.) Mishel Ben Baruch, who heads the defense ministry’s International Defense Cooperation Directorate, said it was “an honor to be able to participate” in the 23rd anniversary of Operation Storm.

Israel is the first foreign country to actively participate in Croatia’s annual parade to celebrate Operation Storm, the ambassador said.

However, Croatian media reported Sunday that US officials also attended this year’s celebration of Victory and Homeland Thanksgiving Day and Veterans Day at Knin.

“For the Croatian side, maybe these are days of triumph, but for the Serbian side these are days of mourning,” Stanojevic added. “We mourn the exodus. More than 2,500 people died. The resting place of many is not known. More than 250,000 people fled Croatia, mostly civilians. This is not the time or the place where another country should be involved.”

The exact number of the dead and displaced is a matter of dispute.

While Croatia hailed the offensive as a flawless military victory that reunited the country’s territory and ended the war, Serbia mourned the victims of the attack. Serbian President Aleksandar Vucic told a gathering late Saturday that “Hitler wanted a world without Jews; Croatia and its policy wanted a Croatia without Serbs.”

The participation of three Israeli F-16 Barak jets is taking place against a backdrop of Israeli-Croatian arms deals worth half a billion dollars. In January, Prime Minister Benjamin Netanyahu and Croatian Prime Minister Andrej Plenkovic announced their plans to move forward with the sale of about 30 Israeli F-16s to Croatia.

The deal is expected to be completed by 2020.

The Foreign Ministry in Jerusalem declined to comment.

The IDF defended its participation in the event, saying in a statement that the jets were deployed in Croatia as part of a military cooperation arrangement, and that participating in the event was part of that “strategic cooperation between both countries.” The statement also noted the impending Israeli-Croatian arms deal.

President Reuven Rivlin visited both Zagreb and Belgrade last week, stressing Israel’s good ties with both nations.

“Croatia and Israel are small countries but full of energy,” he said at a July 24 defense conference in Zagreb, according to the website of Croatia’s defense ministry.

“We wish to continue developing defense industry and this is the right opportunity to see the state-of-the-art technology offered by our country,” he added.

Croatian Defense Minister Damir Krstičević said at the conference that Croatia and Israel “share similar experiences of hard-won independence and are therefore aware of the importance of maintaining the readiness of the national states for new security threats.”

 
The Associated Press contributed to this report.
 
 
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"Srbija razočarana učešćem izraelskih aviona u Kninu"

NEDELJA, 05. AVG 2018
 
Ambasador Srbije u Izraelu Milutin Stanojević kaže da je Srbija duboko razočarana zbog učešća izraelskih pilota i borbenih aviona u obeležavanju operacije "Oluja" u Hrvatskoj. Zurof poručuje da je uznemiren zbog preleta izraelskih F-16 u Kninu. Ambasada Izraela u Beogradu poručuje da učešće izraelskih aviona nema nikakve političke elemente, već da je povezano sa ugovorom o kupoprodaji aviona koji je ta zemlja sklopila sa Hrvatskom.
 
Učešće Izraela u proslavi hrvatske pobede "nije prijateljski gest prema Srbiji", rekao je ambasador Srbije Milutin Stanojević za Tajms of Izrael.

"Srbija je duboko razočarana time zbog toga što je za nas operacija 'Oluja' iz 1995. bila vrsta pogroma. To je bio najveći egzodus jedne nacije od Drugog svetskog rata", rekao je Stanojević.

Dodao je da su ti dani možda za hrvatsku stranu dani trijumfa, ali da su za srpsku stranu to dani žalosti.

"Mi žalimo zbog egzodusa. Više od 2.500 ljudi je izgubilo život. Za mnoge od njih se ne zna gde počivaju. Više od 250.000 ljudi je pobeglo iz Hrvatske, mahom civila. Ovo nije vreme ni mesto gde bi neka druga zemlja trebalo da učestvuje", rekao je ambasador Stanojević.

Izraelsko ministarstvo spoljnih poslova u Jerusalimu odbilo je da komentariše učešće dva izraelska F-16 u preletu borbenih aviona u Kninu.

Kako navodi Tajms of Izrael, izraelske oružane snage su u saopštenju "branile" svoje učešće u događaju, navodeći da su borbeni avioni u Hrvatskoj raspoređeni u okviru sporazuma o vojnoj saradnji i da je njihovo učešće deo "strateške saradnje između dve zemlje".

List navodi i da su izraelska i hrvatska vojska sklopili ugovor o kupovini aviona vredan pola milijarde dolara.

"Avioni u Kninu zbog kupoprodajnog ugovora"

U međuvremenu, izraelska ambasada u Beogradu saopštila je da učešće izraelskih aviona u obeležavanju operacije "Oluja" u Kninu nema nikakve političke elemente i da je u isključivoj vezi sa ugovorom kojim je Hrvatska od Izraela kupila avione F-16.

"Hrvatska je kupila avione F-16 od Izraela, a njihovo učešće je u isključivoj vezi sa ovim kupoprodajnim ugovorom.. Ono nema nikakve političke elemente niti bilo kakve veze sa istorijskim odnosima između Srbije i Hrvatske", ističe se u saopštenju izdatom, kako se navodi, "povodom aktuelnih dešavanja tokom obeležavanja vojne operacije 'Oluja' u Kninu i učešća izraelske delegacije".

Kako se dodaje, Izrael izuzetno ceni prijateljstvo sa Srbijom i nije došlo do promene izraelske politike prema Srbiji, za šta je dokaz zvanična poseta predsednika Rivlina pre dve nedelje.

"Tokom posete, predsednik je bio duboko dirnut, ukazavši na snažne veze i prijateljstvo sa Srbijom. Predsednik je takođe izrazio jasan stav kada je reč o sećanju na prošlost", napominje se u saopštenju.

U tom smislu, čvrsto prijateljstvo koje postoji između Izraela i Srbije nikada i ni na koji način neće biti ugroženo, istakla je izraelska ambasada.

 
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Zurof uznemiren zbog učešća izraelskih aviona

I direktor Centra kancelarije "Simon Vizental" u Jerusalimu i lovac na naciste Efraim Zurof kritikovao je učešće izraelskih borbenih aviona u obeležavanju operacije "Oluja" u Hrvatskoj.

"Vrlo sam uznemiren što će borbeni avioni izraelskih vazduhoplovnih snaga učestvovati u obeležavanju operacije 'Oluja' tokom koje je Hrvatska proterala 250.000 Srba iz njihovih domova u Hrvatskoj. Do danas nijedna strana zemlja nije nikada učestvovala", napisao je Zurof ranije na Tviteru.

 
 
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Operazione Tempesta: dopo 23 anni ancora battaglia

 

di Nicole Corritore, 7 agosto 2018

 

Tra il 4 e il 5 agosto del 1995 iniziava l'azione militare “Oluja” (Tempesta) con cui l'esercito della Croazia riconquistava in due giorni le Krajine. Questo territorio era rimasto per quattro anni sotto controllo delle forze dei ribelli serbi. Un anniversario durante il quale prosegue una guerra con altri mezzi, a partire da celebrazioni e commemorazioni divise.

A distanza di 23 anni questa operazione militare rimane segnata da molte controversie. Da un lato la Croazia celebra l'anniversario come simbolo delle vittoria della "Guerra patriottica" e tace sul fatto che l'esercito croato ha messo in fuga decine di migliaia di serbi, commettendo uccisioni sommarie e crimini di guerra. Dall'altra la Serbia protesta per il mancato riconoscimento dei crimini perpetrati sui civili serbi e non riconosce responsabilità nel conflitto in Croazia.

Così il 4 agosto si sono tenute due commemorazioni delle vittime civili serbe di quell'operazione militare: a Mokro Polje, nella provincia di Knin, su organizzazione del Consiglio serbo di Croazia  e a Bačka Palanka, in Vojvodina, in presenza di autorità della Repubblica di Serbia, tra i quali il presidente Aleksandar Vučić, oltre che della Republika Srpska di Bosnia Erzegovina.

"Non ci sarà mai più un'altra Oluja per il fatto di essere serbi. Hitler voleva un mondo senza ebrei, e la Croazia e la sua politica ha voluto una Croazia senza serbi perché, secondo il suo punto di vista, minacciava l’essenza della nazionalità croata" è stata la frase più dura del discorso pronunciato a  Bačka Palanka dal presidente Vučić, il quale ha inoltre definito l'operazione Oluja "un crimine di guerra di pulizia etnica, che non può essere dimenticato, giustificato né tanto meno celebrato".

Il giorno successivo a Knin, durante la celebrazione del "Dan pobjede i domovinske zahvalnosti  " (Giorno della vittoria e del ringraziamento patriottico) la presidente croata Kolinda Grabar Kitarović alla domanda del giornalista di Vijesti  sulle dichiarazioni di Vučić, ha risposto secca: "Ciò che ha detto Vučić non cambierà la storia e il presente. Non vedo come potremo mai metterci d'accordo sul passato, ciò nonostante dobbiamo lavorare per raggiungere l'obiettivo comune di una vita migliore per tutti".

Stringate anche le dichiarazioni di tre ministri croati  , Lovro Kuščević, Damir Krstičević e Tomo Medved – rispettivamente della Giustizia, della Difesa e dei Veterani. Secondo i tre, "l'operazione Tempesta è stata l'apice di una giusta guerra di difesa e che dovrà affrontare il fatto storico per cui la politica della Grande Serbia, con l'aiuto dell'esercito della JNA, ha commesso un'aggressione alla Croazia".

Intanto, il 5 agosto in altri luoghi delle Krajine si sono svolti vari eventi, tutti dedicati a celebrare la Guerra patriottica, come a Gline dove il cantante Marko Perković Thompson  , noto per le canzoni nazionaliste e l'uso di simboli ustascia, ha aperto il concerto con la famosa canzone di guerra "Bojna Čavoglave" (Il battaglione di Čavoglave) che negli anni '90 era diventato l'inno della destra nazionalista croata. (...)