Informazione


PROMEMORIA INIZIATIVE

1) Pisa 10/11: Tesori d'arte della Serbia medievale
2) Gallese (VT) 16/11: Drug Gojko
3) Milano 1/12: Premiazione del concorso "G. Torre" per elaborati critici sul Tribunale per la ex Jugoslavia


=== 1 ===


Pisa, sabato 10 novembre 2018
nell'ambito del Pisa Book Festival, Palazzo dei Congressi, Via Giacomo Matteotti 1 (mappa), alle ore 16 nella Sala Blu

presentazione del libro di ROSA D’AMICO

Tesori d'arte della Serbia medievale

Un viaggio tra Oriente e Occidente

Frankfurt: Zambon 2018

Oltre all'Autriceinterviene la professoressa Paola Vojnović.

Zambon Editore si trova allo stand A78.

Sabato e domenica ingresso gratuito per i minori di 18 anni.
Costo del biglietto intero 6 euro, ridotto 5 euro. Abbonamento speciale per i due giorni 10 euro.
Hanno diritto alla riduzione i soci ASI (Associazione senologica internazionale), i soci LILT (Lega Italia per la lotta contro i tumori), gli studenti universitari under 26, le persone al di sopra dei 60 anni. Venerdì ingresso gratuito per tutti.
Salta la fila: acquista ora il tuo biglietto su VivaTicket (disponibile biglietto intero e abbonamento).

--> altre info sul libro di Rosa D'Amicohttps://www.cnj.it/home/it/cultura/8919-tesori-d-arte-della-serbia-medievale-orienta-menti-1.html



=== 2 ===

Gallese (VT), venerdì 16 novembre 2018 
dalle ore 21:00 presso il "Museo Marco Scacchi" 

Pietro Benedetti in 

"DRUG GOJKO"

Monologo di Pietro Benedetti
Regia di  Elena Mozzetta

Uno spettacolo prodotto dal cp Anpi Viterbo tratto dai racconti di Nello Marignoli, partigiano viterbese combattente in Jugoslavia

Ideato da  GIULIANO CALISTI E SILVIO ANTONINI
Testi teatrali PIETRO BENEDETTI
Consulenza letteraria ANTONELLO RICCI
Musiche    BEVANO QUARTET E FIORE BENIGNI

Organizzato da: Comitato Cittadino per la Cultura e la Politica
Sullo spettacolo si veda anche la nostra pagina dedicata: https://www.cnj.it/CULTURA/druggojko.htm


=== 3 ===


Premiazione del concorso "G. Torre" per elaborati critici sul Tribunale per la ex Jugoslavia


La Commissione per l’attribuzione dei premi “Giuseppe Torre” per elaborati critici sul Tribunale per la ex Jugoslavia, ed. 2018, ha deciso di non attribuire il primo premio e di attribuire due secondi premi ex-aequo a Stefan Karganović e Jovan Milojevich (si veda il comunicato integrale della Giuria).

La PREMIAZIONE dei vincitori si terrà a Milano sabato 1 dicembre p.v., dalle ore 10:30 presso la Galleria Milano, Via Turati 14. Per ragioni organizzative gli interessati a partecipare [ad eccezione dei membri di Jugocoord ed invitati] devono inviare richiesta di iscrizione all'indirizzo jugocoord @ tiscali.it specificando: nome, cognome, telefono di ciascun partecipante. Solo in caso di raggiungimento del massimo della capienza sarà inviata risposta negativa entro 1-2 giorni dalla sottomissione della richiesta.

Programma:

ORE 10:30: Accoglienza

ORE 11:00: Saluti e introduzione del segretario della associazione promotrice Jugocoord Onlus: Andrea Martocchia.

ORE 11:15: Dichiarazione della Giuria del Concorso a cura del membro delegato: Jean Toschi Marazzani Visconti.

ORE 11:30: Premiazioni ed interventi dei vincitori

Stefan Karganović: "ICTY and Srebrenica" [Il TPIY e Srebrenica]

Jovan Milojevich: "When justice fails: Re-raising the Question of Ethnic Bias at the International Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY)” [Quando la giustizia fallisce: riprendendo la questione del pregiudizio etnico al Tribunale penale Internazionale sulla ex Jugoslavia (TPIY)]

ORE 12:00: Proiezione di stralci dal documentario "De Zaak Milosevic" ("Il caso Milosevic", di Jos de Putter / VPRO, Olanda 2003, V.O. sottotitolata).

ORE 12:15: Interventi degli invitati:
Gen. Giorgio Blais, già responsabile di missioni militari all'estero, esperto di Diritto internazionale ed umanitario e protezione dei Beni Culturali
Tiphaine Dickson, già avvocato difensore in casi di crimine internazionale, capo consulente al Tribunale Penale Internazionale sul Ruanda, ex consigliere legale nel processo Milosevic e ora docente alla Scuola di Amministrazione Mark O. Hatfield della Portland State University (Stati Uniti)
Slobodan Lazarević, giornalista, presidente del Consiglio Direttivo della Associazione Sloboda–Libertà, Belgrado

ORE 12:45: Discussione e conclusioni.

ORE 13:15: Aperitivo.

I lavori si terranno nelle lingue INGLESE ed ITALIANO. È gradita una sottoscrizione libera a copertura dei costi

 

Il bando di concorso: https://www.cnj.it/home/it/diritto-internazionale/8684-premi-giuseppe-torre-per-elaborati-critici-sul-tribunale-per-la-ex-jugoslavia.html



(english / srpskohrvatski / italiano)

Chi ha paura di Rade Končar?

1) Online il video "RADE KONČAR. UNA STORIA DI OPERAI JUGOSLAVI"
2) Vandalizam kao refleksija politike.. Rade Končar po drugi put pred strojem (Gradska organizacija SRP-a Split)
3) Croatian man breaks his leg vandalising anti-fascist monument (The Guardian)


=== 1 ===

Le cronache – che di seguito riportiamo nelle lingue serbocroata e inglese – riferiscono di un fascista croato che due giorni fa nella città di Spalato, nella foga di abbattere a calci il busto di Rade Končar, si è rotto una gamba.
Sulla figura eroica di Rade Končar, martire degli occupanti fascisti italiani, alcuni anni fa è stato realizzato un video che è adesso integralmente visibile online.


RADE KONČAR
UNA STORIA DI OPERAI JUGOSLAVI

Scritto e diretto da:
Tamara Bellone, Gordana Pavlović, Piera Tacchino

Testimonianze di:
Bude KONČAR, Uje Koslova KOSIČ, Ivan RAZI, Vedran OPAAK, Ante BOROVINA, Marija BOROVINA, Palmira POLJAK, Slavko LUKAS, Žika RADEN, Kovic', Giacomo SCOTTI, Svetozar LIVADA.

mini DV - durata 120’ 
Video autoprodotto e senza fini di lucro
Torino, 23/07/2010


Sinossi
Il film documentario racconta la vita di Rade Končar, Segretario del Partito Comunista Croato, giustiziato dagli italiani nella Seconda Guerra Mondiale e di sua moglie Dragica, barbaramente uccisa, nello stesso periodo, dagli ustaša.
La ricostruzione storica è integrata dalle testimonianze di Bude Končar, fratello e cognato dei protagonisti, Slavko Lukas, processato dagli italiani assieme a Rade Končar e di numerosi partigiani e antifascisti.
Il saggista Giacomo Scotti offre ulteriori spunti per riflettere sull’occupazione italiana della Jugoslavia.
La Jugoslavia è vista negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, caratterizzati dalla crisi economica e dalle lotte sindacali, durante la criminale occupazione tedesca e italiana, fino alla liberazione.
I testimoni intervistati vengono raggiunti viaggiando nella ex Jugoslavia, tra i ricordi del passato, spesso deturpati e la nuova organizzazione economica e statale.
   
Dichiarazione degli autori
Gli Italiani non hanno ancora provato ad analizzare seriamente la storia dei crimini nei confronti dei popoli da loro occupati, facendo una dannosa e talvolta ridicola opera di rimozione.

Bio filmografie degli autori

Tamara Bellone (Torino 13 agosto 1952)
da quindici anni realizza video ammessi  a concorsi nazionali e internazionali.
“Bentornato” realizzato con Piera Tacchino ha vinto il premio “Round” (Rimini) per il miglior video e il premio “Anpi” al Valsusa Film Festival
“Tecka Breda” realizzato con Piera Tacchino e Boris Bellone ha vinto il premio per “La storia più bella” al Valsusa Film Festival
“Grecia – Appunti sui danni causati dall’occupazione italiana”, un documentario di 90’, realizzato con Nietta Fiorentino, Ghiorgos Korras e Piera Tacchino ha avuto una considerevole diffusione in Italia, in alcune università estere ed è stato proiettato ed apprezzato in Grecia. 
L’autrice ha partecipato al film collettivo “Walls and Borders”. 
Ha scritto alcune sceneggiature con Paolo Docile e Piera Tacchino riscuotendo premi e/o riconoscimenti. 

Gordana Pavlović (Rača, Serbia 15 maggio 1965) 
impegnata nella diffusione delle informazioni sulla situazione economica e sociale della ex Jugoslavia  e nella conservazione della memoria storica e delle tradizioni popolari, organizza eventi culturali. Ha fondato un’associazione non governativa che si occupa dei profughi dei territori della ex-Jugoslavia.

Piera Tacchino (Torino, 10 luglio 1952)
da quindici anni realizza video ammessi a concorsi nazionali e internazionali.
“Bentornato” realizzato con Tamara Bellone ha vinto il premio “Round” (Rimini) per il miglior video e il premio “Anpi” al Valsusa film Festival
“Teška Breda” realizzato con Tamara Bellone e Boris Bellone ha vinto il premio per “La storia più bella” al Valsusa Film Festival.
“Grecia – appunti sui danni causati dall’occupazione italiana”, un documentario di 90’, realizzato con Tamara Bellone, Nietta Fiorentino, Ghiorgos Korras, ha avuto una considerevole diffusione Italia e in alcune università estere, è stato proiettato ed apprezzato in Grecia. 
L’autrice ha partecipato al film collettivo “Walls and Borders”.
Ha scritto alcune sceneggiature con Paolo Docile e Tamara Bellone riscuotendo premi e/o riconoscimenti. Ha realizzato alcuni video con Roberto Sardo.



=== 2 ===


IZJAVA ZA JAVNOST – VANDALIZAM KAO REFLEKSIJA POLITIKE

7. studenoga 2018.

RADE KONČAR PO DRUGI PUT PRED STROJEM

Socijalistička radnička partija (SRP) najoštrije osuđuje novi vandalski čin rušenja i daljnje devastacije spomeničke baštine iz antifašističke borbe u našem gradu, u ovom slučaju spomenika narodnom heroju Radi Končaru.

Ovakvi događaji više ne iznenađuju nikoga u zemlji kojoj se vlast odrekla antifašističke prošlosti. Tako nema službene proslave Dana pobjede nad fašizmom, dana koji je svojim civilizacijskim značajem postao i Danom Evrope, pa ga tako nema u svom kalendaru obilježavanja ni Grad Split, u zemlji u kojoj se „Za dom spremni“, iako je protuustavan, slobodno koristi! Isto tako, među drugim značajnim datumima u povijesti našeg grada, na štadarcu na Pjaci  nema upisanog dana oslobođenja Splita od fašizma, jednako kao što nema ni jednog imena ulice, trga, škole, vrtića, tvornice i institucija po ličnostima i događajima iz toga burnog vremena, njih 128 uklonjenih sramnom odlukom Gradskog vijeća još 1992. godine.

Ovaj vandalizam ulice samo je refleksija politike koja se u ovoj zemlji vodi po pitanju odnosa prema događajima i rezultatima narodnooslobodilačke borbe, zemlji u kojoj caruju kvaziznanstvena revizija povijesti, a koja se svodi na notornu laž i uljepšavanje fašističke prošlosti.

Zahtijevamo od institucija da se zaustavi ovaj anticivilizacijski kulturocid te da se poznati počinitelji primjereno sankcioniraju.

Split, 7. 11. 2018.

Gradska organizacija SRP-a Split

Ranko Adorić


=== 3 ===


Croatian man breaks his leg vandalising anti-fascist monument

Man to have surgery after toppling statue of leader of resistance to pro-Nazi regime during second world war

Agence France-Presse in Zagreb
Thu 8 Nov 2018

A 65-year-old man who repeatedly shoved a Croatian anti-fascist monument in an effort to topple it paid an immediate penalty for his act of vandalism when the statue fell on his leg and broke it, according to police and local media.
In an incident condemned by authorities in the coastal town of Split as “savage vandalism”, police said the man dislodged a bust of Rade Končar, a celebrated leader of the resistance to Croatia’s pro-Nazi Ustasha regime during the second world war.
But the statue toppled and broke his leg, according to the regional paper Slobodna Dalmacija, in what some Croatian Twitter users said was the statue’s revenge.
“Rade Končar breaks the legs of fascists 76 years after they shot him,” centrist politician Krešo Beljak wrote on Twitter.
The hospital in Split said the man would undergo surgery after the incident on Wednesday.
Končar was celebrated as a Yugoslav hero for his fight against Croatia’s fascist government. In 1942 he was captured by Italian forces and executed at the age of 31 with several of his communist comrades.
When asked by a judge if he would seek clemency, he allegedly replied: “I will not ask for mercy nor would I have it for you!”
Several thousand anti-fascist monuments have been vandalised or destroyed since Croatia’s independence in 1991.
Critics accuse Croatian authorities of turning a blind eye to the surge of nostalgia for the Ustasha – the former pro-Nazi regime that persecuted and killed hundreds of thousands of people, notably Serbs, anti-fascist Croats, Jews and Roma opponents.



(deutsch / italiano)

Wagenknecht in italiano, Giacché auf deutsch

1) Sahra Wagenknecht: “Se vuoi distruggere la Ue, devi fare quello che fa Bruxelles”
2) Vladimiro Giacché: »Ohne Italien gibt es keinen Euro mehr«


Auch zu lesen: Die "inneren Feinde" der EU (GFP 25.10.2018)
Mit Blick auf den Konflikt zwischen Brüssel und Rom um den italienischen Staatshaushalt werden im deutschen Establishment Rufe nach einem entschlossenen Kampf gegen "innere Feinde" der EU laut. Man müsse die Union "jetzt mit aller Kraft verteidigen", heißt es in einer führenden deutschen Tageszeitung; die italienische Regierungskoalition sei es "nicht wert", dass "das Schicksal des Landes riskiert wird". Anlass dafür, die italienische Regierung zur Debatte zu stellen, ist deren Weigerung, weiterhin den deutschen Austeritätsdiktaten zu folgen. Berlins Dominanz in der EU stößt auch in anderen Mitgliedstaaten auf wachsenden Protest. So spitzen sich nicht nur die Auseinandersetzungen mit Polen und mit Ungarn zu. Auch in Frankreich wächst der Unmut über Berlin. Inzwischen ruft der Gründer von La France insoumise, Jean-Luc Mélenchon, der bei der Präsidentenwahl 2017 mit fast 20 Prozent den Einzug in die Stichwahl nur knapp verpasste, dazu auf, Frankreich "aus allen europäischen Verträgen herauszuführen". Die deutschen Eliten reagieren mit zunehmender Härte...
https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/7763/
IN ENGLISH: The EU's 'Internal Enemies'
https://www.german-foreign-policy.com/en/news/detail/7766/


=== 1 ===

ORIG.: „Die Italiener wollen nicht von Brüssel regiert werden“. Sahra Wagenknecht im Gespräch mit Tobias Armbrüster (Deutschlandfunk, 24.10.2018)
https://www.deutschlandfunk.de/linken-politikerin-zu-italiens-budget-die-italiener-wollen.694.de.html?dram:article_id=431358

Fonte della traduzione: http://contropiano.org/news/internazionale-news/2018/10/26/sahra-wagenknecht-se-vuoi-distruggere-la-ue-devi-fare-quello-che-fa-bruxelles-0108859

Sahra Wagenknecht: “Se vuoi distruggere la Ue, devi fare quello che fa Bruxelles”

DLF: Frau Wagenknecht, Roma è stata messa alla gogna. È giusto secondo lei?

Wagenknecht: beh, vorrei dire che non ho molta simpatia per il signor SalviniMa non è questo il punto. Questo è un governo democraticamente eletto. La legge di bilancio riguarda la sovranità dei parlamenti. E se vuoi distruggere l’UE, allora devi fare esattamente quello che sta facendo Bruxelles.

Inoltre bisogna anche parlare di quanto possa essere sensato costringere a fare ulteriore austerità un paese che da dieci anni attraversa una lunga crisi economica, un paese in cui il reddito pro capite è inferiore a quello precedente l’introduzione dell’euro, ovviamente ciò contribuisce a far crollare l’economia. Ecco perché penso si tratti di una decisione priva di senso.

DLF: allora, dal suo punto di vista, stiamo assistendo ad una protesta giustificata contro la politica di austerità di Bruxelles?

Wagenknecht: bisogna dare a questa proposta di bilancio un’occhiata un po’ più da vicino. Dentro ci sono cose molto ragionevoli. Ad esempio, l’Italia ha un altissimo tasso di disoccupazione, in particolare un elevato tasso di disoccupazione giovanile, in alcune zone del 30, 40 per cento, soprattutto nel sud del paese, e un’assicurazione contro la disoccupazione molto povera, peggio anche dell’Hartz IV tedesco, per fare un confronto. Se in questo ambito si apportano  determinati miglioramenti, o se si migliora la legge per il prepensionamento, che in una situazione di elevata disoccupazione potrebbe essere un sollievo per molte persone, si tratta senza dubbio di una scelta ragionevole.

Ci sono alcune agevolazioni fiscali. A beneficiarne sono anche le persone ricche. Se ne puo’ certamente discutere. Ma ancora una volta: penso che semplicemente non sia la Commissione europea ad avere il potere di decidere in merito alla legge di bilancio dei diversi paesi, perché in questo modo stiamo distruggendo l’UE. Gli italiani non vogliono essere governati da Bruxelles, e non vogliono nemmeno essere governati da Berlino. Stiamo dando ad un governo, e in particolare ad un partito nazionalista, che in realtà è davvero semi-fascista, e a un certo signor Salvini, un’ottima possibilità per profilarsi politicamente. Sicuramente nel suo paese in questo modo sta ottenendo degli ottimi risultati e non finirà certo in difficoltà.

DLF: Frau Wagenknecht, lei ora parla di immischiarsi negli affari dell’Italia. Bisogna tuttavia ammettere che queste sono esattamente le procedure sottoscritte dagli stati dell’UE, e cioè presentare il loro bilancio a Bruxelles per farselo approvare. Tutto ciò affinché la politica fiscale europea rimanga nel complesso stabile e quindi anche l’euro sia stabile, senza finire in un’altra crisi monetaria. Possiamo davvero dire che in questo caso l’Italia può comunque andare avanti?

Wagenknecht: in primo luogo, ci sono dei trattati europei. C’è un criterio del deficit del tre percento. L’Italia è al di sotto di esso.

La seconda è una questione di ideologia economica, secondo la quale anche se un paese è in crisi deve comunque risparmiare per ridurre il debito. Fatto che è stato più volte confutato. Le economie non sono una cosa cosi’ semplice che se si risparmia, si riduce il debito, e se si aumenta la spesa, il debito sale. Sembrerebbe anche plausibile. Ma non funziona così, perché risparmiare o spendere ha delle conseguenze per l’attività economica. L’Italia per molti anni ha cercato di ridurre significativamente la spesa pubblica. Il debito continuava a salire mentre l’economia crollava. E anche questo non è un concetto molto ragionevole.

Bisogna dire: se vuoi spingere l’Italia fuori dall’euro – ed è quello che sta accadendo – devi fare esattamente cosi’.

DLF: allora non la preoccupa il fatto che l’Italia, stato membro dell’euro, abbia un debito pubblico che supera il 130 percento del PIL?

Wagenknecht: la questione è se si tratta solo del risultato della condotta di spesa del governo, o se invece è il risultato di una crisi economica che dura da anni. E direi che si tratta decisamente della seconda opzione.

Dobbiamo ovviamente anche parlarne a livello europeo. Se ora vuoi presentarti come il sommo sacerdote del debito pubblico basso, ma non sei stato in grado nemmeno di imporre un’azione a livello europeo, ad esempio per limitare il dumping fiscale delle imprese, cosa che sarebbe anche possibile, oppure imporre alcune regole che rendano piu’ difficile per le persone molto ricche eludere il fisco, allora diventa tutto molto ipocrita.Troverei sensato, se ad esempio, in Italia dove c’è una grande ricchezza privata – che è cresciuta anche durante la crisi economica, e oggi ci sono più milionari di dieci anni fa – questa venisse tassata molto più severamente. Allora naturalmente si potrebbe ridurre anche il deficit pubblico. Ma non è che l’UE abbia mai fatto delle leggi che rendano tutto ciò piu’ facile, anzi al contrario: le regole dell’UE rendono tutto più difficile. Proprio la Commissione europea con il signor Juncker ormai è la personificazione del dumping fiscale, soprattutto per le grandi imprese.

DLF: il dumping fiscale, Frau Wagenknecht, è un altro argomento. Voglio tornare ancora una volta a questo immenso debito pubblico. Secondo lei non è motivo di preoccupazione se uno Stato membro dell’area dell’euro ha così tanti debiti?

Wagenknecht: lei dice che il dumping fiscale è un altro problema. Il dumping fiscale e il debito pubblico sono due questioni fra loro strettamente collegate. Se sono proprio le grandi aziende a pagare poche tasse, oppure se nei singoli paesi sono i più ricchi quelli che pagano poche tasse, allora il debito pubblico naturalmente continuerà a crescere. L’intero dibattito in corso riguarda il fatto che l’Italia possa apportare dei limitati miglioramenti all’assicurazione contro la disoccupazione e alle pensioni. Il tema della discussione è del tutto sbagliato. Su questi temi, come ho detto, il governo italiano può ottenere consenso politico, proprio perché  sono misure molto popolari nel paese, e non per nulla l’ultimo governo su questi temi ha fallito e non è stato rieletto perché la gente è stanca di vedere che le cose vanno sempre peggio, stanca di trovarsi in una situazione di emergenza sociale e di avere una disoccupazione alta. Se si fanno solo annunci, senza miglioramenti sociali, questa è un’Europa che rinuncia ad ogni credibilità.

DLF: la Commissione europea dovrebbe forse dire che in futuro intendono rinunciare alla funzione di controllo dei bilanci nazionali, e che chiunque può decidere autonomamente?

Wagenknecht: io sono per un’Europa delle democrazie sovrane e democrazia significa: le persone votano per eleggere il loro governo. Significa anche naturalmente che nessun altro paese sarà responsabile per i debiti degli altri paesi. Inoltre non penso sia giusto nemmeno se un paese pesantemente indebitato finisce nei guai e ad essere salvate con il denaro dei contribuenti sono sempre e solo le banche. Ma in Europa abbiamo una costruzione problematica, in quanto questa ci porta sempre piu’ verso una sospensione della democrazia, e ad una situazione in cui le persone possono votare chi vogliono, perché tanto alla fine saranno i tecnocrati di Bruxelles o addirittura il governo di Berlino ad avere l’ultima parola e a decidere in merito alle leggi di bilancio nazionali. L’Europa in questo modo non puo’ funzionare.

DLFma l’Italia ora vorrebbe entrambi. L’Italia vuole decidere autonomamente sul proprio bilancio, senza l’ingerenza di Bruxelles, ma allo stesso tempo vuole rimanere nell’euro e in caso di emergenza, avere anche il sostegno degli altri paesi dell’euro. Possono stare insieme le due cose?

Wagenknecht: no, le due cose non stanno insieme. Ma se continuiamo così, faremo uscire l’Italia dall’euro. Non so nemmeno se vogliano rimanerci a tutti i costi. L’euro ha portato relativamente pochi vantaggi all’Italia.

DLF: bene. Il governo di Roma, almeno, dice che vogliono assolutamente restarci. Questo è stato confermato ancora una volta dal Primo Ministro.

Wagenknecht: Finché sono dentro, devono dire cosi’, perché altrimenti lo spread e la speculazione sui mercati finanziari assumerebbe forme estreme. È già ora siamo in una situazione in cui questi extra-rendimenti non vengono pagati a causa delle dimensioni del debito. I titoli italiani pagano un elevato premio al rischio perché si ipotizza che l’Italia potrebbe lasciare l’euro, e naturalmente si tratta di una speculazione molto pericolosa. Tuttavia, sono la Commissione europea e la Banca centrale europea a gettare altra benzina sul fuoco. Voglio dire, per molti anni ha acquistato obbligazioni governative in una dimensione che, a mio avviso, non era affatto giustificata. Ma ora lancia un segnale di stop e, naturalmente, i rendimenti salgono.

Ancora una volta: se vogliamo che l’euro funzioni, allora deve funzionare su basi democratiche. E naturalmente, se la democrazia negli Stati membri è sospesa, il risultato in Europa sarà una crescente sensazione di frustrazione e di rifiuto, e l’affermazione del signor Salvini il quale non è certo conosciuto come un fervente sostenitore dell’Europa. Ci sono tuttavia altre opzioni, ovviamente, ma bisogna vedere se c’è la volontà di sostenerle e promuoverle. 

DLF: Sahra Wagenknecht, è il capogruppo della Linke al Bundestag. Grazie per il suo tempo questa mattina.


=== 2 ===

https://www.jungewelt.de/artikel/342336.italexit-ohne-italien-gibt-es-keinen-euro-mehr.html

Aus: junge Welt (Berlin), Ausgabe vom 25.10.2018, Seite 2

»Ohne Italien gibt es keinen Euro mehr«

Wirtschaftspolitische Differenzen: Zwischen Brüssel und Rom kriselt es. Ein Gespräch mit Vladimiro Giacché

Interview: Gerhard Feldbauer

Italien befindet sich auf Konfrontationskurs mit Brüssel. Rom hält an seiner Erhöhung der Verschuldung in Höhe von 2,4 Prozent des Bruttoinlandsprodukts, BIP, fest. Wie sehen Sie diesen Konflikt?

Das von der italienischen Regierung für 2019 vorgesehene höhere Defizit kann ökonomisches Wachstum schaffen und damit die Senkung der Verschuldung ermöglichen. Man kann darüber anderer Meinung sein, aber eines steht fest: Das beste Argument dafür sind die Folgen der entgegengesetzten Politik, der Austerität. Unter der Regierung Mario Monti (Anm. der Redaktion: nach dem Rücktritt Berlusconis im November 2011 eingesetzte Regierung unter dem früheren EU-Kommissar Monti) wurde in Italien eine harte Sparpolitik verfolgt. Ergebnis: Einbruch des Bruttoinlandsprodukts und – als Folge – eine um 13 Prozent höhere Verschuldung im Verhältnis zum BIP. 

Im übrigen sind die Berechnungen der Europäischen Kommission sehr fraglich. Beim Centro Europa Ricerche haben wir schon 2013 relevante Probleme aufgezeigt. Heute schätzt die Europäische Kommission, dass das italienische reale Wachstum 2019 in Italien sogar um 0,5 Prozent höher sein wird als das potentielle Wachstum, das heißt, mehr als angemessen, und das, obwohl wir eine Arbeitslosigkeit von über zehn Prozent haben! 

Wie ernst ist der Streit zu nehmen, droht der ohnehin krisengeschüttelten EU nach dem Brexit ein weiterer Mitgliedsstaat abhandenzukommen?

Das weiß noch niemand. Die Absicht der EU-Behörden ist aber offensichtlich: Italien mit der griechischen »Kur« zu drohen, um die Dogmatik des Fiskalpaktes durchzusetzen. Diese Haltung wurde letzte Woche auch von David Folkerts-Landau, Chefvolkswirt der Deutschen Bank, sehr negativ beurteilt. Der Fiskalpakt gehört auf den Müll. Er war von Anfang an »töricht«, wie selbst die Financial Times damals schrieb. Auf dieser Torheit jetzt zu beharren, ist noch schlimmer.

Brüssel hat bisher immer nachgegeben. Auch die jüngste Erklärung von EU-Kommissar Günther Oettinger deutet Kompromissbereitschaft an.

Es ist wahr, dass zu Matteo Renzis Zeiten (Anm. der Red.: Premier 2014–16) wiederholt ein höheres Defizit als das heutige geduldet wurde, dass Frankreich neun Jahre lang folgenlos ein exzessives Defizit hatte und dass 2016 Portugal und Spanien bestraft wurden – mit null Euro. Diesmal scheint die Lage vorerst anders zu sein, und zwar aus politischen Gründen. Entweder wird eine Lösung gefunden, oder die anschließende Krise wird die Grenzen Italiens überschreiten. Die »Ansteckung« wird nicht auf sich warten lassen. Sollte es einen »Italexit« geben, muss man sich darüber im Klaren sein: Ohne Italien gibt es keinen Euro mehr. 

Wie steht es um die Wahlversprechen der rechten Fünf-Sterne-Bewegung – Grundeinkommen, Verbesserungen für die Rentner, Steuererleichterungen –, sind sie überhaupt finanzierbar?

Im Prinzip schon – sie setzen keine Revolutionierung der sozialen Verhältnisse voraus. Es geht aber darum, aus dem neoliberalen Rahmen der Europäischen Verträge rauszukommen.. Es gibt einen Widerspruch zwischen den EU-Verträgen und unserer Verfassung. Die neoliberale EU hat überall die Rechte der Arbeiter zerstört. 

Wie reagiert die Linke auf den Konflikt mit der EU?

Die linke Opposition im Parlament ist ja, abgesehen von einer linken Minderheit der Demokratischen Partei, nur noch durch »Freie und Gleiche«, LeU, vertreten. Wie es derzeit aussieht, besteht deren Hauptvorwurf darin, dass die Regierung den Fiskalpakt nicht respektieren will. Eine Ausnahme macht hier aus meiner Sicht nur Stefano Fassina von LeU. Damit bereitet die italienische Linke ihre nächste Niederlage vor. Man muss ganz anders vorgehen: Abgelehnt werden müssen die falschen Inhalte des Haushaltsbilanzprojektes, z. B. die unzureichenden Investitionen. Zur Wehr setzen muss man sich gegen die Lohndeflation, gegen die Altersarmut, gegen die auch in Italien wachsende Ungleichheit. Das heißt, es geht nicht nur darum, »mehr Defizit zu wagen«, sondern die Kräfteverhältnisse der Klassen zu verändern. Und dazu müssen die neoliberalen Regeln der Maastricht-EU abgeschafft werden. Eine EU, in der die Wettbewerbsfähigkeit nur darauf beruht, den Arbeitern weniger zu zahlen, ist eine EU der Vertreter der großen Konzerne und der Großbanken, und damit unser Hauptfeind. Auch deswegen sollte die Linke nicht den Fehler begehen, sich mit ihr – wenn auch nur »taktisch« gegen eine unerwünschte Regierung – zu alliieren. Anders gesagt: man darf den Rechten nicht – auch auf europäischer Ebene, mit der Alliance Salvini-Le Pen an der Spitze – den Kampf gegen diese EU überlassen.


Vladimiro Giacché ist Präsident des Wirtschaftsforschungsinstuts Centro Europa Ricerche (CER)
Am 12.1.2019 referiert Vladimiro Giacché auf der XXIV. Internationalen Rosa Luxemburg Konferenz zum Thema »Die nächste imperialistische Krise«



(hrvatskosrpski / italiano)

Iniziative segnalate

Zagreb 25/10: TRIBINA: SAMOUPRAVLJANJE – ISKUSTVA I PERSPEKTIVE
Bologna 3/11: ERA (La) NATO... 70 ANNI DI SUDDITANZA AL SERVIZIO DELLA GUERRA
Pisa 10/11: TESORI D'ARTE DELLA SERBIA MEDIEVALE


=== Zagreb, četvrtak 25.10.2018.
u 18:00 u dvorani u Ulici Pavla Hatza 16

Poziv na javnu tribinu

SAMOUPRAVLJANJE – ISKUSTVA I PERSPEKTIVE

Govore 
- Pavle Vukčević
- Domagoj Mihaljević
- Luka Bogdanić
Moderira
- Vesna Konigsknecht

Organizuje: Socijalistička radnička partija Hrvatske



=== Bologna, sabato 3 novembre 2018 
alle ore 18,00 presso la sede PCI di via L. Berti 15/a

Nell'ambito della seconda festa del PCI di Bologna (1/2/3/4 Novembre)

ERA (La) NATO...
70 ANNI DI SUDDITANZA AL SERVIZIO DELLA GUERRA

Ne parliamo con 
Fulvio Scaglione (giornalista), 
Marco Pondrelli (direttore Marx21.it), 
Andrea Martocchia (Coord. Naz. per la Jugoslavia) 
ed altri giornalisti e attivisti.



=== Pisa, sabato 10 novembre 2018
nell'ambito del Pisa Book Festival, Palazzo dei Congressi, Via Giacomo Matteotti 1

alle ore 16 nella Sala Blu

presenta zione del libro di 

ROSA D’AMICO:
TESORI D’ARTE DELLA SERBIA MEDIEVALE

Zambon Editore. 

Oltre all'Autrice interviene la professoressa Paola Vojnović. 

Zambon Editore si trova allo stand A78

http://www.pisabookfestival.com/programma/
sul libro di Rosa D'Amico: 


Tesori d'arte della Serbia medievale

Un viaggio tra Oriente e Occidente

di Rosa D'Amico

Frankfurt: Zambon 2018

 

pagine 144, 17x24 cm, 18 euro
con un inserto di 16 pagine a colori
ISBN: 978-88-98582-69-3

 

dalla Quarta di copertina:

Nel Medioevo proprio l’Italia fu, per vicinanza geografica, politica e culturale, la principale cassa di risonanza per la diffusione in Occidente di suggestioni bizantine e balcaniche. Purtroppo il debito contratto con quel mondo è stato a lungo quasi ignorato, a causa di secolari pregiudizi, incentivati anche dalla scarsa informazione sulla reale consistenza di un patrimonio, i cui maggiori monumenti sono in buona parte riaffiorati tra fine ’800 e inizi del ’900: salvo pochi vertici, l’intera arte bizantina è stata a lungo conosciuta in Italia soprattutto tramite opere tarde, o periferiche e «provinciali», che non rendono giustizia alla sua grandezza.

 

L'Autrice

Rosa D’Amico, dal 1976 al 2012 funzionaria della Soprintendenza per i Beni artistici e storici di Bologna, ha seguito nell’ambito della sua attività progetti di tutela, restauro e promozione culturale in città, nella provincia, e nella Pinacoteca Nazionale di Bologna. Ha curato numerose mostre e partecipato a pubblicazioni e convegni scientifici su vari argomenti, approfondendo in particolare gli studi sul periodo dal XIII al XV secolo. 
Dal 1994 ha avviato, in collaborazione con le Istituzioni culturali di Bologna e di altri luoghi d’Italia, progetti di scambio con la Serbia, approfondendo in particolare gli studi sui rapporti storico-artistici, con interventi a convegni e pubblicazioni e curando diverse iniziative espositive. È membro del Comitato scientifico-artistico di Jugocoord Onlus. 





A sette anni dal barbaro assassinio di Muammar Gheddafi

1) Parla Gheddafi
2) Altri link
3) Le menzogne della Nato sull’aggressione alla Libia nel 2011 (M. Correggia, set 2018)
4) Italia-Francia: il voltafaccia che ha destabilizzato Italia, Eurozona e Mediterraneo (Red. Contropiano / Guido Salerno Aletta)
5) L’associazione Vittime della Nato in Libia lotta contro l’impunità dei potenti (M. Correggia, gen 2018)


=== 1 ===

Muammar Gadaffi: Visiting in Yugoslavia, Josip Broz Tito (Onlinefootage.tv, 10 ott 2011)
[Immagini anni 1960]
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=zhPm0Zghoy4

Gheddafi parla di Russia e Ucraina, intervista del 2009 (PandoraTV, 4 mag 2016)
Nel corso di un'intervista rilasciata nel 2009 a una tv russa, Gheddafi tratteggia gli scenari possibili tra Ucraina, Russia e Unione Europea, prevedendo, di fatto, quanto avvenuto con il colpo di stato di Maidan...

Le parole della Storia - Mu'ammar Gheddafi (PandoraTV, 25 mar 2018)
In questo discorso, tratto dall'Assemblea della Lega Araba svoltasi in Siria nel 2008, l'allora leader libico Muammar Gheddafi pronuncia un discorso dal contenuto profetico sulla politica USA in Medio Oriente...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=CNEy0_r-IlU


=== 2 ===

Tra i numerosissimi nostri post dedicati alla brutalizzazione della Libia
ricordiamo in particolare:

Chi ha voluto uccidere la Libia (mar 2018)

A cinque anni dal barbaro assassinio di Gheddafi – di Domenico Losurdo, 20 Ottobre 2016

Distruzione e saccheggio della Libia (ago 2016)

Febbraio 2011–2016

Gheddafi lo aveva detto (ago 2015)

Gli errori si pagano, i crimini anche (feb 2015)

Devastazione e ri-colonizzazione della Libia (nov 2013)

Sulla "giustizia del linciaggio" (feb 2012)

La NATO devasta Sirte per instaurare il suo regime coloniale razzista (ott 2011)

La lurida coscienza della guerra in Libia (mar 2011)

Sul tiro a segno colonialista contro Gheddafi (lug 2011)

---

Inizio messaggio inoltrato:

Da: Marinella Correggia
Oggetto: Davanti all'ambasciata libica: due manifestazioni molto diverse (una nel 2011, l'altra oggi)
Data: 25 novembre 2017 

La manifestazione di oggi (24 novembre 2017) degli africani, contro le atrocità della Libia costruita dalle bombe Nato nel 2011

Ecco fra l'altro le parole di uno di loro:
al minuto 0,30-0,40
La Libia è un paese africano. Fa parte dell'Unione africana. La Libia è stata distrutta, e sappiamo il motivo, sappiamo perché è stato ucciso Gheddafi, sappiamo del petrolio...

E INVECE

La manifestazione del 22 febbraio 2011, con l'assalto alla sede diplomatica della Jamahiriya a Roma. 
Sotto gli occhi (complici) della polizia, fra le urla di libici - si presume - "Gheddafi deve morire" (vedi al minuto 0,47) e "Gheddafi è nel suo bunker con 50.000 mercenari", e fra bandiere monarchiche fresche di stampa miste a quelle di certi partiti di "sinistra" italiani, alcuni scalmanati si arrampicano senza essere trattenuti fino a sostituire la bandiera (dal minuto 5 in poi). 

Non c'è bisogno di commenti.

marinella


=== 3 ===


Le menzogne della Nato sull’aggressione alla Libia nel 2011


di Marinella Correggia, 6 settembre 2018

Marinella Correggia, giornalista freelance, collaboratrice de Il manifesto e storica attivista No War, quattro anni fa scrisse questo che possiamo come un capolavoro di “decostruzione” delle menzogne e della propaganda di guerra della Nato durante l’aggressione alla Libia nel 2011. Questo lavoro è stato pubblicato sul sito No War sibialiria..it. Ci sembra utile ripubblicarlo, ci sono informazioni importanti per comprendere cosa è successo allora in Libia e le sue ripercussioni sull’oggi, ma anche per imparare a non fare giornalismo “embedded” e servile verso gli apparati di potere, in questo caso la Nato.

*****

Durante i bombardamenti sulla Libia nel 2011, la Nato teneva conferenze stampa settimanali sia a Bruxelles che alla sede di Bagnoli (Napoli). Partecipavano giornalisti-tappetino che chiamavano per nome, affettuosi e deferenti, la portavoce Nato da Bruxelles (“Oanà” Longescu, romena) e il portavoce Nato da Napoli (“Roland” Lavoie, colonnello canadese). Sarebbe bastato uno stuolo di giornalisti decenti per metterli in crisi. Perché portavoce e generali si arrampicavano sugli specchi, per non dare a vedere crimini e illegalità. Ecco un resoconto diretto. 

Per proteggere i civili in Libia, come ordinava il mandato della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza, la Nato avrebbe dovuto rivolgere droni e bombe contro se stessa e contro i suoi alleati locali del Cnt (Consiglio nazionale di transizione, i “ribelli”): visto che questi usavano armi indiscriminate sulle città assediate, in particolare Sirte e Bani Walid. E addirittura, per rimanere nei confini del proprio mandato, la Nato avrebbe dovuto bombardarsi e bombardare il Cnt per evitare attacchi alle forze governative libiche quando queste non minacciavano i civili. 

Di fatto gli armati del Cnt sono stati gli unici libici che la Nato ha protetto, permettendo dunque che essi minacciassero e uccidessero civili libici (e non libici).  Surreale. La Nato ha protetto armati (che minacciavano anche civili) in nome della norma Responsibility to Protect che doveva proteggere i civili. E la Nato ha protetto armati usando a gran forza aerei da guerra simbolicamente sventolanti il mandato della risoluzione 1973 che stabiliva il divieto di volo aereo, appunto a protezione dei civili. 

Le implicite ammissioni, in un processo, valgono come prova? Se sì, ecco qui di seguito quelle della Nato, raccolte durante le surreali conferenze stampa al comando di Bagnoli (in mancanza di manifestazioni fuori dallo stesso, alle quali partecipare), od ottenute per email da “Nato source” (così chiedono di essere citati i vari capitani e graduati, italiani e Usa, maschi e femmine, da Napoli o da Bruxelles, quando rispondono per email alle domande dei media). 

Dalla sede del comando Nato di Napoli, il colonnello Roland Lavoie ha parlato per mesi alle fedeli truppe mediatiche con un francese dal buffo accento canadese ingannevolmente innocuo. Dalla sede centrale di Bruxelles, la portavoce romena Oana Longescu – più realista del re, incarnando l’estensione dell’Alleanza ai fedeli paesi dell’Est Europa  – si è giostrata seccamente fra l’inglese e il francese. Entrambi ripetevano in tutte le salse: impediamo alle “forze di Gheddafi” (mai usato il termine “esercito libico”) di colpire i civili. I giornalisti che frequentano le loro conferenze stampa settimanali da Bruxelles li chiamano per nome affettuosamente (i francofoni pronunciano “Oanà”), consoni al clima di cortesia e disponibilità che li fa sentire ammessi in società e che ricambiano non facendo mai domande scomode; per non diventare dei paria. Con silenzio glaciale e nessuna solidarietà i “colleghi” dei media mainstream accolsero infatti la paria in settembre e ottobre. 

Si arrampicano sugli specchi per mesi, Oanà e Roland. Devono negare l’evidenza e cioè che la Nato lotta per il cambio di regime, insieme a una delle parti. 

Sostengono a più riprese che non c’è alcun coordinamento con le forze dell’opposizione o forze ribelli; che la situazione viene seguita da “fonti di informazione alleate nell’area”. Dunque, ammettono la presenza a terra di occidentali? “Non ci sono forze Nato a terra” rispondono laconici. Per email i responsabili Nato spiegano: “Sia gli incaricati di individuare e approvare gli obiettivi sia il pilota rinunciavano se c’era il sospetto di ferire o uccidere civili. In alcuni casi l’osservazione video via aerea prendeva 50 ore prima dell’autorizzazione”. Inoltre, “abbiamo avvertito i civili con comunicati stampa, volantini e programmi radio di stare lontani da installazioni militari”. 

Tuttavia sono state spesse colpite installazioni civili. Ma praticamente la Nato ha ammesso un solo caso di errore: i sette morti della famiglia Garari il 19 giugno a Tripoli, Suq Al Juma. 

Intorno al 10 agosto di fronte alle foto di decine di civili uccisi da un aereo Nato nella notte dell’8 agosto a Zliten, il generale canadese Charles Bouchard (quando c’è lui alle conferenze stampa a Bagnoli la temperatura dell’aria condizionata va tenuta a 16 gradi) dice: “Non posso credere che quei civili fossero lì nelle prime ore del mattino, considerando anche le informazioni della nostra intelligence. Posso assicurarvi che non c’erano 85 civili; non posso assicurarvi che non ce ne fossero”.La Nato per email ribadiva che gli edifici erano un accampamento delle truppe, posto in una fattoria, e che l’osservazione e altri strumenti di intelligence avevano rilevato che non c’erano civili”. 

Richiesta per email alla Nato: “Perché la Nato ha colpito un accampamento di soldati di Gheddafi? Un accampamento notturno non minaccia i civili in quel momento”. Risposta: “Sì che erano una minaccia reale. Durante tutto il conflitto, si riposavano per lanciare futuri attacchi ed ecco perché le aree di sosta militare erano obiettivi legittimi. Avrebbero potuto provocare future vittime. Le forze militari e le loro strutture erano attaccate solo se erano direttamente coinvolte o permettevano l’attacco ai civili; le truppe non coinvolte nell’attacco ai civili non erano prese di mira”. L’ultima frase contraddice le precedenti. Zliten era un’area pro-regime oltretutto. 

Il 15 agosto spiegano che stanno bruciando a Brega due depositi petroliferi, “ulteriore prova che Gheddafi vuole distruggere o danneggiare infrastrutture chiave delle quali la popolazione avrà bisogno alla fine del conflitto”. Il 16 agosto alla Nato affermano che le forze di Gheddafi hanno “lanciato verso l’area di Brega un missile balistico a corto raggio che avrebbe potuto uccidere molti civili” e che “mostra che il regime di Gheddafi è disperato e continua a minacciare civili innocenti in Libia. Noi proteggiamo i civili per mandato del Consiglio di Sicurezza e continueremo a premere militarmente sulle forze pro-Gheddafi finché necessario”. Ovviamente “l’azione persistente e cumulativa della Nato crea un effetto ovvio: le forze di Gheddafi che attaccano stanno gradualmente perdendo la loro capacità di comandare, condurre e sostenere attacchi alla popolazione civile”. I gruppi armati – gli unici protetti dalla Nato in Libia – dunque sono sempre parificati alla popolazione civile. 

Del resto in Tunisia un dirigente degli alleati locali della Nato, di fronte alla timida accusa da parte dei media “ma voi armati usate i viveri che l’Onu destina ai civili…” rispose secco: “Noi siamo dei civili”. 

D’altro canto se dici a Lavoie che gli alleati Nato sul terreno uccidono civili e fanno (dopo la fine del regime) al caccia al nero e la Nato non protegge quei civili, Lavoie allarga le braccia: “Non siamo una forza di polizia”. Ammissione che un bombardamento non può proteggere i civili . E per email, alla domanda: “Come mai non proteggete gli abitanti di Tawergha deportati e i molti neri perseguitati ai vostri alleati? E anche in generale i civili presi nelle aree assediate?”, ecco la risposta: “Abbiamo fatto appello a entrambe le parti per la protezione dei diritti umani. La leadership del Cnt ha chiesto spesso alle sue forze di contenersi. E si è impegnata come nuova autorità al rispetto dei diritti umani; per metterlo in pratica occorrerà tempo e sforzo, e aiuto da parte internazionale. Mentre le forze pro-Gheddafi attaccavano i civili e le aree civili le forze del Cnt in molti casi prima dell’attacco aspettavano che i civili se ne andassero. Non abbiamo notizia che attaccassero civili deliberatamente e sistematicamente”. E dov’erano le prove degli attacchi sistematici da parte delle forze di Gheddafi? 

La partigianeria è diventata evidentissima nel mortale assedio Nato e Cnt a Sirte. Se si faceva osservare a Lavoie che l’assedio a civili è un crimine di guerra, il colonnello rispondeva surrealmente: “Il Cnt ha mostrato l’intenzione di far uscire la popolazione civile”. 

Mentre Sirte veniva distrutta dai bombardamenti e dai Grad e artiglieria pesante usati dagli armati del Cnt, il colonnello della Nato Lavoie dichiarava surrealmente: “La maggior parte della popolazione di Sirte e Bani Walid non corre più pericoli perché le rimanenti forze di Gheddafi stanno sulla difensiva, nel tentativo apparente di sfuggire alla cattura. Non controllano alcuna zona densamente popolata e non rappresentano più una vera e propria minaccia al di fuori di queste sacche di resistenza”. Minaccia per chi? Per i protetti dalla Nato: gli armati del Cnt. Ma la risoluzione Onu non doveva proteggere armati! Quando si scriveva alla Nato: “Risulta  organizzazioni umanitarie libiche come Djebel al Akhdar, che oltre cinquanta civili siano rimasti sotto il bombardamento di un palazzo crollato all’angolo fra Dubai Avenue e Sept. 1st Avenue, e non poteva che essere un aereo visto il largo cratere prodotto” , la risposta era “non abbiamo indicazioni che sia vero”. 

E il bombardamento dell’ospedale Avicenna? “Mai bombardato ospedali, nemmeno vicino a siti militari”. Altra domanda: la Nato sta indagando sui bombardamenti di strutture civili a Sirte? “I nostri obiettivi erano tutti militari dunque legittimi ex risoluzione 1973. Abbiamo agito con cautela, discernimento e precisione. Non siamo a conoscenza di alcuna prova che richiederebbe l’apertura di un’inchiesta formale”. E anche: “L’obiettivo della Nato è sempre stato evitare di colpire i civili. Abbiamo una intelligence solida e processi di selezione degli obiettivi molto stringenti. Consideravano il giorno della settimana, l’ora del giorno e della notte, la direzione dell’attacco. Le munizioni erano tutte di precisione e centinaia di obiettivi sono stata tralasciati per evitare rischi per i civili e le infrastrutture. Anche se in una complessa operazione militare i rischi non possono essere eliminati”. 

Sirte distrutta, la Nato la spiega così: “Era l’ultimo bastione di Gheddafi. E’ stata contesta per settimane fra gheddafiani e Cnt”. E qui il surreale: “La Nato incoraggiava una soluzione pacifica. Ma dovevano essere le forze dell’ex regime a deporre le armi e a smettere di attaccare i civili”. Insomma, dovevano arrendersi e agevolare il cambio di regime anziché ostacolarlo. 

I ribelli pro Nato del Cnt lanciano missili Grad dentro le città da essi assediate, e lo ammettevano .  Sono considerati un’arma indiscriminata, dunque una minaccia per i civili, dalla stessa Alleanza; proprio all’uso dei Grad da parte dell’ex esercito libico, e all’assedio a Misurata, la Nato si era aggrappata in tutti i mesi passati per giustificare i bombardamenti “protettivi” e relative stragi. Sull’uso dei Grad da parte del Cnt la Nato interpellata via email (non) risponde così, dimostrando tutta la neutralità sbandierata da Oanà: “Fin dall’inizio il Cnt ha posto ogni cura nell’evitare  vittime civili e crediamo che continuerà a farlo”. Forse l’intelligence Nato era selettiva e non vedeva i Grad del Cnt, né la caccia ai neri libici e stranieri e ai lealisti. 

Surreali le dichiarazioni. Mentre le forze di Gheddafi sono in fuga e si concentrano nel triangolo dove hanno un più forte sostegno popolare, il portavoce il 13 settembre dice che “occupando e reprimendo città come Bani Walid e Sirte le forze di Gheddafi hanno preso in ostaggio la popolazione, esponendola a ovvi rischi, reprimendo la sollevazione e impedendo ai cittadini di andarsene”. Evidente i due pesi due misure rispetto a Misurata, o a Homs e Aleppo e molti altri luoghi in Siria, dove mai i ribelli sono accusati di prendere in ostaggio. “La Nato è riuscita a intercettare e annientare parecchie fonti di minaccia per la popolazione civile, fra cui carrarmati, lanciamissili ecc.; i veicoli della Nato hanno condotto svariate missioni di attacco ben dentro il deserto del Sahara per distruggere le infrastrutture di comando e controllo, un autoreparto e parecchi veicoli blindati impedendo quindi il rafforzamento delle posizioni del regime nel nord del paese”. Poi ricapitola citando la 1973: “Negli ultimi sei mesi le forze della Nato hanno mantenuto costante il ritmo delle operazioni, intervenendo laddove le forze di Ghedafi rappresentassero una minaccia per i civili, che si trattasse di Bengasi, di Misurata, di Sebha, nel sud o di molte altre città e villaggi di tutto il paese. 

A riprova della sua imparzialità, la Nato conclude una conferenza stampa il 13 settembre dicendo “La ripresa della Libia è ben chiara e non lascia spazio a dubbi”. 

L’assedio a Sirte ha reso la situazione umanitaria disperata. Dall’ospedale – anch’esso centrato da razzi – il dottor Abdullah Hmaid dichiarava alla Reuters che i pazienti morivano per mancanza di materiale ospedaliero e chiedeva a Croce rossa internazionale e Oms di aiutare a rompere il blocco. Ma nessuna organizzazione internazionale ha denunciato l’assedio. Eppure alla conferenza stampa del 27 settembre il colonnello Lavoie da Napoli ribadiva che l’emergenza di Sirte era solo “colpa dei miliziani e dei mercenari di Gheddafi” che non capivano che avrebbero dovuto “arrendersi” e “si piazzano vicino alle case e agli ospedali usando i civili come scudi umani”. Un’accusa che l’Alleanza i suoi paesi membri non hanno mai rivolta ai ribelli asserragliati a Misurata o, in seguito, a BabaAmr in Siria. Per definizione gli scudi umani li usano solo i cattivi.  

Anche per email la Nato ribadisce implicitamente di aver lasciato fare agli alleati assedianti, e getta la colpa sugli assediati. In un’altra email: “I pro-Gheddafi si nascondevano nel centro della città per cercare di usare i civili come scudi umani contro il Cnt. La situazione umanitaria a Sirte era precipitata per gli sforzi delle truppe di Gheddafi di controllare punti di accesso. Checkpoint pro-Gheddafi e cecchini impedivano alle famiglie di spostarsi in aree più tranquille. Le forze di Gheddafi inoltre percorrevano le strade alla ricerca di sostenitori anti-Gheddafi, prendevano ostaggi e  compivano esecuzioni”. Come fate a saperlo se non avevate militari a terra? “Non avevamo osservatori sul terreno ma usavamo i nostri asset di intelligence e sorveglianza per avere un quadro reale Monitoravamo con cura le linee di fronte per identificare chi attaccasse o minacciasse la popolazione.”. Era ovviamente impossibile monitorare da 10.000 metri. Dunque? 

Il 21 settembre il comandante per le operazioni Nato in Libia Charles Bouchard spiega che “la nostra missione prosegue, perché le forze di Gheddafi minacciano ancora la popolazione”; “invitava i lealisti ad “arrendersi per garantire una fine pacifica del conflitto, anche perché sono circondati e non hanno vie di fuga, in quanto il territorio intorno a loro è nelle mani dei ribelli”. Quanto ai lealisti in fuga, la Nato non li attaccherà perché “si stanno allontanando dalla popolazione e non costituiscono così una minaccia per i civili”. 

Ma è stata la Nato a fermare il convoglio in fuga di Gheddafi, e a farlo dunque uccidere. 

 
=== 4 ===


Italia-Francia: il voltafaccia che ha destabilizzato Italia, Eurozona e Mediterraneo


di Redazione Contropiano - Guido Salerno Aletta, 9 settembre 2018

Chi ancora contrappone – nella sua testa – una visione romantica e “internazionalista” dell’Unione Europea, contrapposta ai “nazionalismi” di destra, è bene che si metta a leggere qualcosa di serio. E rapidamente.

Qualche tonto grave – naturalmente “di sinistra” – è arrivato a comprendere nel mazzo dei “sovranismi” anche i popoli da tempo immemorabile in lotta per l’autodeterminazione (Palestinesi, Curdi, per non dire dei Catalani o dei Baschi), quindi l’urgenza è davvero pressante.

Consigliamo questo editoriale di Milano Finanza, quotidiano economico obbligato a dare notizie utili ai suoi lettori (debbono investire denaro, mica nutrire tristi passioni ideologiche…). Una descrizione impietosa degli interessi e degli obiettivi che negli ultimi dieci anni hanno contrapposto Italia e Francia (sia con governi di centrodestra che di centrosinistra) su quasi tutti i fronti. Economici, naturalmente.

Il quadro che ne risulta non è molto compatibile con l’immagine “sovra-nazionalista” dell’Unione, mentre corrisponde quasi esattamente a un tavolo da gioco dove tutti barano, ma qualcuno sa farlo meglio di altri. Dove, insomma, ciascuno persegue i propri obiettivi dietro lo schermo della “comunità” e i suoi “trattati”, senza minimamente curarsi della presunta “condivisioni di obiettivi e destino”; e tanto meno delle condizioni di vita e riproduzione delle rispettive popolazioni. 

Ci sono gruppi industriali persi o a grave rischio di delocalizzazione della proprietà; interessi petroliferi e geostrategici per cui ci si spara per interposta “milizia tribale”, depositi finanziari rimasti senza proprietario originale e per cui si cercano prestanomi… Un tripudio di capitali e fondi neri, industrie rispettate e servizi segreti innominabili, mondo della moda e sgambetti poco diplomatici. Tutto quello che, insomma, ci fa vedere quanto la politica sia la continuazione della guerra con altri mezzi. E non solo il contrario clausewitziano…

Un quadro che rende più urgente fare pulizia anche nel linguaggio che usiamo, ormai quasi più senza la minima avvertenza critica, e che ci costringe a pensare secondo gli schemi del nostro nemicoDi classe, non “nazionale”.

*****

di Guido Salerno Aletta

Rapporti sempre più complicati, ormai dal 2011, tra Italia e Francia. Come se non bastassero le questioni sollevate dalle incursioni societarie in Tim e Mediaset, le asperità cui ha dato luogo l’acquisizione di Stx da parte di Fincantieri, e le ricorrenti prospettive di fusione tra Unicredit e SocGen da una parte e tra Generali ed Axa dall’altra, c’è un tema politico che ormai sovrasta tutto. 

Dopo le polemiche estive sulla questione dell’accoglienza ai profughi e sul rimpatrio di quelli entrati clandestinamente in Francia dal valico di Ventimiglia, il Vice Premier italiano Matteo Salvini ha accusato apertamente la Francia di sobillare talune fazioni armate in Libia per scalzare i nostri interessi economici, suscitando la piccata reazione del Presidente francese Emmanuel Macron, che si è candidato alla leadership europea nel contrasto ai sovranismi ormai dirompenti. E’ una prospettiva, questa, davvero inedita. 

Nei rapporti tra Italia e Francia, tutto è cambiato nel 2011. L’intervento anglo-francese in Libia, fortemente supportato dall’allora Segretario di Stato americano Hillary Clinton al fine di mettere fine al regime del Colonnello Gheddafi, ha determinato una frattura analoga a quella che nel 1981 fu causata dalla occupazione di Tunisi, con l’istaurazione di un Protettorato francese che scalzava in malo modo la forte presenza italiana e le prospettive di un suo progressivo rafforzamento. Anche in quella circostanza, come è accaduto nel 2011, l’isolamento diplomatico italiano fu palese e determinante. 

Ancora tre anni prima, nel 2008, i rapporti tra Italia e Francia erano estremamente soddisfacenti e le rispettive strategie assolutamente convergenti. Nell’estate, infatti, sia il neo eletto Presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy che il neo Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, inaugurarono i rispettivi mandati con un viaggio nelle due ex colonie, Algeria e Libia, per chiudere definitivamente i conti con quel passato e dare l’avvio ad una nuova stagione di collaborazione nel Mediterraneo. Francia ed Italia si muovevano all’unisono. 

A Parigi, il 13 luglio, si riunì il Summit istitutivo della Unione Euromediterranea, sotto la co-Presidenza del Premier francese nella qualità di Presidente di turno della Ue e del Presidente egiziano Hosni Mubarak e con la partecipazione di ben 44 Paesi. Erano presenti i rappresentanti di tutti i Paesi dalla UE, dei partner del Processo di Barcellona, dei Paesi balcanici rivieraschi e del Principato di Monaco. 

Il successivo 30 agosto, a Bengasi, fu firmato il Trattato di particolare amicizia tra Italia e Libia, che era stato preceduto dalla approvazione da parte del Congresso americano del Libyan Claims Resolution Act, n. 110-301, con cui si dava dato atto alla Libia di non perseguire più politiche di sostegno al terrorismo, accettando a titolo di risarcimento la somma di 1,5 miliardi di dollari per gli attentati di Lockerbie e di Berlino. 

A Villa Madama, nel febbraio del 2009, Berlusconi e Sarkozy stipularono un Accordo davvero esemplare per il clima di collaborazione sotteso: fu lo stesso Premier francese ad annunciare una “partnership illimitata”, proclamando che “Italia e Francia parleranno con una sola voce in Europa per prendere decisioni forti”. Ed ancora, affermò che “Italia e Francia vogliono cambiare l’Europa per tutelare i cittadini europei e trarre insegnamenti dalla crisi: vogliamo sanzionare i paradisi fiscali, controllare gli hedge-fund e fissare nuove regole per la retribuzione dei banchieri, dei trader e per i bonus”. La cooperazione sul piano militare sarebbe stata ancor più solida: “Abbiamo gli stessi obiettivi di politica estera e abbiamo una politica economica comune. Potremmo fare un battaglione navale italo-francese”.

A mettere fine a questa intesa, ma soprattutto a scardinare la strategia di creare nel Mediterraneo un’area di cooperazione e di prosperità, fu l’Amministrazione Obama: sotto l’impulso decisivo del Segretario di Stato Hillary Clinton, tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 si dette avvio alle cosiddette Primavere arabe. Le “democrature” arabe dovevano essere spazzate via, per fare posto a sistemi genuinamente democratici: la politica di repressione delle opposizioni, e la complicità dell’Occidente nel sostenere questi regimi illiberali, sarebbe stata la causa unificante del terrorismo islamico e dell’ostilità endemica nei confronti degli Usa. A peggiorare i rapporti, si aggiunse l’atteggiamento di irrisione verso Silvio Berlusconi assunto dalla coppia di ferro Merkel-Sarkozy nel corso del drammatico G20 di Nizza del novembre 2011: la debolezza italiana di fronte alla crisi finanziaria fu cavalcata in modo brutale. Il voltafaccia francese fu plateale.

Tutto nasce però dallo squilibrio di fondo nell’asse franco-tedesco, che si è aggravato nel corso degli ultimi anni: Parigi ha un deficit commerciale strutturale crescente, che è arrivato nel 2017 a 62,3 miliardi di euro, rispetto ai 48,3 miliardi del 2016. La Francia è il secondo Paese per destinazione dell’export tedesco, dopo gli Usa, con un attivo che secondo Destatis, l’Istituto di statistica tedesco, è arrivato nel 2017 a 41 miliardi di euro. La Germania, di converso, finanzia questo squilibrio con investimenti crescenti di portafoglio in titoli francesi: l’ammontare complessivo è passato dai 74 miliardi di euro del 2001 ai 212 miliardi del 2008, fino a raggiungere i 404 miliardi di euro nel giugno 2017: la morsa tedesca è sempre più stretta. 

La situazione dell’Italia è di gran lunga migliore: non solo ha un avanzo strutturale della bilancia dei pagamenti correnti pari al 3% del pil, ma nel 2017 il disavanzo commerciale con la Germania è stato di soli 9,6 miliardi di euro. Per quanto riguarda i rapporti italo-francesi, la Direzione delle Dogane di Parigi ha cifrato in 6,7 miliardi di euro lo squilibrio del movimento di merci Cif/Fob tra i due Paesi nel 2017. Dal punto di vista finanziario, a giugno dello scorso anno, le detenzioni italiane in emissioni francesi ammontavano a 163 miliardi di euro, mentre quelle francesi erano di 277 miliardi, in contrazione rispetto al picco di 374 miliardi del giugno 2014. 

La Francia cerca quindi di recuperare lo squilibrio con la Germania, che è soprattutto geopolitico, attraverso l’acquisizione di grandi imprese italiane non manifatturiere: dal settore del lusso alla grande distribuzione, dalle telecomunicazioni alle televisioni, dall’alimentare all’energia, dalle banche alle gestioni di risparmio. Cerca inoltre di sottrarre potenziale nella competizione internazionale, sul piano commerciale, politico e strategico. 

Il Mediterraneo è dunque l’area di maggior attrito tra Italia e Francia, con la Libia che rappresenta la punta dell’iceberg del confronto: a Tripoli, non ci sono in ballo solo gli interessi petroliferi, con le concessioni gestite dal NOC. Ci sono le detenzioni della LIA, il fondo sovrano libico con cui SocGen ha da sempre strette relazioni, che ammonterebbero ad oltre 50 miliardi di dollari e che comprendono fra l’altro le partecipazioni azionarie in Unicredit, e c’è la gestione degli attivi della Banca centrale libica che arriverebbero ad un valore doppio. In prospettiva, ci sono anche le commesse della ricostruzione, che fanno gola a tutti. Chi avrà dalla sua parte il governo libico, in un contesto pacificato, come è stato per l’Italia durante la prima fase della crisi finanziaria, potrà contare su un polmone finanziario di tutto rispetto.

Italia e Francia stanno giocando sul piano geopolitico due partite parallele, di mediazione in un quadro in continuo movimento. Roma ha margini di manovra assai maggiori rispetto a Parigi. La Francia è legata a filo doppio all’asse con la Germania, ed ha fatto della ostilità verso la Gran Bretagna una sorta di vessillo, dimenticandosi dell’aiuto ricevuto in due Guerre mondiali: punta sulla prospettiva di porsi alla guida di un futuribile esercito europeo per valorizzare il suo arsenale nucleare ed il seggio di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu. 

Così facendo, però, si mette ancor più in rotta di collisione con gli Usa e la Gran Bretagna. Anche i recenti disordini in Libia non giovano affatto alla strategia francese, che contempla di arrivare alle elezioni a dicembre: in un contesto ritornato sfilacciato e conflittuale, risulta vincente la strategia italiana, che punta prioritariamente alla pacificazione fra le diverse componenti. A novembre, si terrà in Sicilia una Conferenza a tal fine, con la partecipazione anche di Cina, Qatar, Stati Uniti, Lega Araba e Onu: è un metodo diplomaticamente assai più coinvolgente rispetto agli incontri con i due soli leader libici, Al Sarraj ed Haftar, convocati da Emmanuel Macron all’Eliseo. 

A partire dal 2011, Parigi ha scommesso sulla debolezza finanziaria italiana e sulla sua solitudine geopolitica, anziché mantenere fermi l’asse con Roma e la strategia comune a favore di uno sviluppo pacifico del Mediterraneo. Ha ceduto, ancora una volta: sia alle pressioni tedesche che a quelle anglo-americane, contribuendo in modo determinante alla destabilizzazione dell’Italia, dell’Eurozona e dell’intero Mediterraneo, guadagnando ben poco. Nessuna grande potenza ha mai consentito, da secoli, la colonizzazione dell’Italia. A Parigi, dovrebbero saperlo bene.


=== 5 ===


L’associazione Vittime della Nato in Libia lotta contro l’impunità dei potenti

di Marinella Correggia

Dalla guerra in Iraq nel 1991 a oggi, nessun tribunale internazionale ha mai processato e giudicato i vincitori delle guerre di aggressione condotte dall’Occidente e dagli alleati del Golfo.  E dire che la guerra di aggressione è bandita in modo assoluto dalla carta delle nazioni unite ed è considerata il «crimine internazionale supremo» sin dall’epoca del tribunale di Norimberga (che però giudicò solo i vinti).

Alcune volte gli Stati presi di mira hanno provato a reagire ricorrendo a istanze internazionali (si pensi alla Jugoslavia durante i bombardamenti Nato del 1999); altre volte erano i cittadini danneggiati a provare le strade dei tribunali internazionali, sul lato penale e civile. Il primo non ha mai sortito effetti; per il secondo, alle vittime civili – «effetti collaterali» – afghane, irachene, pakistane sono stati elargiti risibili risarcimenti a cura dei responsabili, si vedano gli Usa con gli abitanti dei villaggi sterminati dai droni. Troppo poco, decisamente.

Si sta muovendo con coraggio contro l’impunità  Khaled el Hamedi, cittadino libico,  fondatore dell’associazione Vittime della Nato. Un bombardamento dell’operazione Unified Protector sterminò la sua famiglia il 20 giugno 2011 a Sorman. Dalle macerie furono estratti i corpi maciullati della moglie Safae Ahmed Azawi, incinta, dei suoi due figli piccoli Khaled e Alkhweldi, della nipote Salam, della zia Najia, del cugino Mohamed; uccisi anche i bambini dei suoi vicini di casa e due lavoratori. Abbiamo rivolto alcune domande al legale di Khaled, Jan Fermon, che sta preparando una conferenza stampa a Bruxelles, il 29 gennaio.

Avvocato Fermon, il 23 novembre 2017 la Corte d’appello di Bruxelles (Belgio, sede del Patto atlantico) ha risposto negativamente al ricorso del suo assistito Khaled el Hamidi; l’immunità della Nato è stata confermata…

E’ stata persa l’occasione di un passo avanti storico nell’applicazione della legislazione internazionale sui diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Una grande ingiustizia verso tante vittime. Khaled el Hamidi (che ora vive in esilio, ndr) è intenzionato ad andare avanti finché l’impunità non avrà fine.. Il fatto che la sede della Nato sia qui, ha aperto la strada alla possibilità di un processo civile.

Come mai la Nato gode dell’immunità, e dunque dell’impunità?

La Nato è un organismo interstatale e multilaterale; con il trattato di Ottawa del 1951, i paesi fondatori decisero per l’immunità dalla giurisdizione cioè l’impossibilità di processare (cosa diversa dall’immunità di esecuzione cioè l’impossibilità di applicare la punizione). E’ grave, trattandosi di un’organizzazione che può dunque impunemente decidere della vita e della morte delle persone in giro per il mondo. Non è certo un incentivo, per la Nato e per altri, a rispettare il diritto internazionale…Può sfociare nell’impunità per crimini di guerra.

Paradossale. Non ci sono limiti a questa immunità?

Sì, ci sarebbero, e questa è la base della nostra azione legale. Infatti l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti umani e altri strumenti internazionali prevedono che ogni cittadino abbia il diritto di accedere a un tribunale. E, per la Convenzione di Vienna, gli Stati devono rispettare i trattati che hanno firmato. Il diritto di accesso, tuttavia, non è assoluto e può subire limitazioni, appunto di fronte all’immunità delle organizzazioni internazionali, che hanno fini da perseguire. Ma c’è una giurisprudenza, anche da parte della Corte di cassazione belga, secondo la quale la limitazione nell’accesso ai giudici non è accettabile quando l’organizzazione internazionale che dovrebbe essere messa in stato di accusa non ha una sorta di tribunale interno accessibile da parte dei cittadini che hanno subito danni dal suo operato. La Nato è priva di questo meccanismo rispetto alle sue azioni in Libia.


https://www.cnj.it/home/it/cultura/8919-tesori-d-arte-della-serbia-medievale-orienta-menti-1.html


È disponibile il numero 1 della collana orientamenti di Jugocoord Onlus

 

Tesori d'arte della Serbia medievale

Un viaggio tra Oriente e Occidente

di Rosa D'Amico

Frankfurt: Zambon 2018

 

pagine 144, 17x24 cm, 18 euro
con un inserto di 16 pagine a colori
ISBN: 978-88-98582-69-3
altre info

 

Sommario

Introduzione 11
1. Per la costruzione di un ponte tra culture 11
2. Inquadramento storico: lo Stato serbo medievale, sul confine tra Oriente e Occidente 13
Capitolo 1. L’arte in Serbia al tempo della dominazione latina di Costantinopoli (1204‑1261) 19
1. Incroci e incontri in una terra di passaggio 19
1.1. Architettura e scultura dei monasteri serbi, tra Oriente e Occidente 19
1.2. La pittura bizantina e il rinascimento dell’arte antica al tempo della crisi 20
2. Il monastero di Studenica e la cattedrale di Žiča tra influssi romanici e bizantini 21
2.1. Studenica e la sua architettura al tempo di Nemanja 21
2.2. L’arte bizantina e i Nemanjić all’inizio del XIII secolo: la decorazione di Studenica 23
2.3. La cattedrale di Žiča 27
3. Mileševa nel contesto della scuola della Raška e del classicismo bizantino 30
4. Da Peć a Sopoćani 42
4.1. La fondazione della chiesa dei Santi Apostoli a Peć e i suoi affreschi più antichi 42
4.2. Il monastero di Sopoćani. Storia e architettura 44
4.3. Datazione e iconografia degli affreschi 47
4.4. Caratteri artistici delle pitture di Sopoćani 54
5. I grandi cantieri serbi del ’200 e i rapporti con l’Italia 58
Capitolo 2. Architettura e arte in Serbia al passaggio tra ’200 e ’300 63
1. Il monastero di Gradac, fondazione di Elena d’Angiò 63
1.1. Cambiamenti del linguaggio nell’arte bizantina tra la fine del ’200 e i primi del ’300 63
1.2. La chiesa dell’Annunciazione a Gradac tra tradizione e rinnovamento 64
2. La principale fondazione di Dragutin, Arilje 67
3. Al passaggio tra due secoli: recuperi e nuove tendenze 74
3.1. Il restauro dei Santi Apostoli a Peć. Gli interventi di fine secolo 74
3.2. Il restauro della cattedrale e del monastero di Žiča (1310) 76
Capitolo 3. I grandi cantieri della Serbia trecentesca: le fondazioni del re Milutin e l’attività di Michele Astrapa ed Eutichio 83
1. Una nuova fioritura artistica 83
2. Le fondazioni di Milutin: la cattedrale della Madonna di Ljeviša a Prizren 85
3. Le fondazioni di Milutin: San Giorgio a Staro Nagoričino in Macedonia 90
4. Le fondazioni di Milutin: la chiesa dei Santi Gioacchino ed Anna (Chiesa reale) nel complesso di Studenica 93
5. L’ultima fondazione di Milutin: il monastero di Gračanica 99
Capitolo 4. I grandi cantieri artistici nel periodo di massima espansione dello stato serbo 105
1. Il monastero di Dečani 105
1.1. Storia e architettura 105
1.2. La pittura «enciclopedica» bizantina e gli affreschi di Dečani 109
2. Gli interventi trecenteschi nel monastero di Peć 115
2.1. Aggiunte all’antico complesso: storia delle nuove fondazioni 115
2.2. Le pitture trecentesche nelle chiese del Patriarcato di Peć 118
Conclusioni. Le ultime fasi dell’arte nell’antica Serbia e le vicende dei monasteri dopo la conquista ottomana 123
Appendice 1. Genealogia 125
Appendice 2. Oggetti serbi in Italia: una testimonianza di un’identità dimenticata 127
Appendice 3. Appello della facoltà di arte applicata Filum di Kragujevac 133
Appendice 4. Gračanica 137
Elenco delle immagini 139
Elenco dei nomi e dei luoghi 144
Bibliografia citata 149


 

dalla Quarta di copertina:

Nel Medioevo proprio l’Italia fu, per vicinanza geografica, politica e culturale, la principale cassa di risonanza per la diffusione in Occidente di suggestioni bizantine e balcaniche. Purtroppo il debito contratto con quel mondo è stato a lungo quasi ignorato, a causa di secolari pregiudizi, incentivati anche dalla scarsa informazione sulla reale consistenza di un patrimonio, i cui maggiori monumenti sono in buona parte riaffiorati tra fine ’800 e inizi del ’900: salvo pochi vertici, l’intera arte bizantina è stata a lungo conosciuta in Italia soprattutto tramite opere tarde, o periferiche e «provinciali», che non rendono giustizia alla sua grandezza.

 

L'Autrice

Rosa D’Amico, dal 1976 al 2012 funzionaria della Soprintendenza per i Beni artistici e storici di Bologna, ha seguito nell’ambito della sua attività progetti di tutela, restauro e promozione culturale in città, nella provincia, e nella Pinacoteca Nazionale di Bologna. Ha curato numerose mostre e partecipato a pubblicazioni e convegni scientifici su vari argomenti, approfondendo in particolare gli studi sul periodo dal XIII al XV secolo. 
Dal 1994 ha avviato, in collaborazione con le Istituzioni culturali di Bologna e di altri luoghi d’Italia, progetti di scambio con la Serbia, approfondendo in particolare gli studi sui rapporti storico-artistici, con interventi a convegni e pubblicazioni e curando diverse iniziative espositive. È membro del Comitato scientifico-artistico di Jugocoord Onlus. 

 

collana orientamenti

La conoscenza della realtà jugoslava e balcanica nel nostro paese è meno che scarsa. Nonostante la prossimità geografica, le vicende comuni e gli inevitabili scambi culturali avuti nei secoli, la visione che permane egemone nella pubblica opinione è sintetizzabile con la ben nota locuzione: hic sunt leones. Se attorno al mondo slavo in genere prevalgono vuoi esotismo e intellettualismo vuoi pregiudizio e ostilità, sullo specifico jugoslavo dopo la crisi drammatica di fine Novecento è stata ulteriormente incoraggiata la propensione a rimuovere tutto quanto riguarda i caratteri al contempo unitari e multiformi di quello spazio culturale e storico-politico.
Perciò il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus si è dato come obiettivo costituente quello di rendere possibile una maggiore integrazione delle conoscenze in materia, ed a questo scopo "pubblicare libri, opuscoli, materiali audiovisivi" oltre che diffondere e rendere sempre disponibili informazioni con i moderni strumenti telematici e promuovere specifiche iniziative culturali ed informative.
In linea con questo intendimento viene promossa la collana orientamenti, la quale, intervenendo in territori della Conoscenza attualmente popolati poco e male, necessariamente si prefigge di fornire innanzitutto gli strumenti basilari – ripubblicando classici o traducendo testi importanti mai giunti prima in Italia, fornendo strumenti sintetici e divulgativi su temi diversi, rispondendo alle richieste di chi è veramente interessato a sapere e capire.

CONTENUTI DELLA COLLANA:

Arte e cultura slava e balcanica / Storia contemporanea / Movimento di Liberazione / Politica internazionale / Mondo slavo / Biografie / Movimento operaio e antifascista / Internazionalismo partigiano / Teoria politica / Linguistica / Nazionalità e identità / Amicizia tra i popoli / Macroeconomia / Materiali per la Associazione



Guerra biologica

1) L’accerchiamento batteriologico Usa della Russia (di Fabrizio Poggi)
2) L’esercito di insetti del Pentagono (di Manlio Dinucci, TESTO e VIDEO)
3) I crimini di Gilead Sciences mascherano test del Pentagono? (Rete Voltaire)


Si veda anche:
Diplomatici statunitensi coinvolti nei programmi di guerra batteriologica (di Diljana Gajtandzhieva, Naturalblaze 18 settembre 2018)
L’Ambasciata USA a Tbilisi trasporta sangue umano congelato e agenti patogeni come carico diplomatico per un programma militare segreto degli Stati Uniti. Documenti interni, implicanti diplomatici statunitensi nel trasporto e sperimentazione di agenti patogeni sotto copertura diplomatica, sono stati svelati da esperti georgiani... Esperimenti segreti di notte / Gas velenoso uccide due filippini / Sangue umano e agenti patogeni come carico diplomatico all’ambasciata degli Stati Uniti / Il Pentagono: prostitute severamente vietate, niente sesso all’estero / Gli scienziati statunitensi testano i virus sotto l’immunità diplomatica / Il diritto internazionale non è applicabile / Drone per diffondere zanzare tossiche / Polvere bianca sulla Cecenia / Appaltatori privati: L’agenzia DTRA (Defense Threat Reduction Agency) ha esternalizzato gran parte del lavoro del programma militare presso società private... / Giornalista espulsa dal Parlamento Europeo per aver affrontato il funzionario USA sulle armi biologiche / Bioarmi etniche / I georgiani venivano usati come conigli da laboratorio / Da Parigi con amore / Rapporti riservati: almeno 100 casi di morte in Georgia


=== 1 ===


L’accerchiamento batteriologico Usa della Russia


di Fabrizio Poggi, 14 settembre 2018

Torna di attualità a Mosca l’allarme per i laboratori biologici statunitensi sparsi nelle vicinanze dei confini russi. Secondo l’ex Ministro per la sicurezza georgiano, Igor Ghiorgadze, ci sarebbero le prove di attività illecite, da parte Centro di ricerche yankee Richard Lugar, aperto in Georgia all’epoca della presidenza del transfuga “ucraino-polacco” Mikhail Saakašvili. In una conferenza stampa a Mosca, Ghiorgadze ha dichiarato di essere in possesso di documenti che testimoniano di esperimenti biologici su esseri umani; in particolare, un elenco di 30 persone, ricoverate a suo tempo presso il Centro e decedute per epatite C: 24 di esse sarebbero morte nello stesso giorno. L’ex Ministro ha indirizzato una lettera aperta a Donald Trump chiedendogli di chiudere il laboratorio – il suo passaggio sotto giurisdizione georgiana, promesso sin dalla sua inaugurazione, non è ancora avvenuto – e condurre un’indagine sugli esperimenti. 

Riportando la notizia, la Tass nota che gli Stati Uniti hanno sì firmato a suo tempo il Protocollo di Ginevra del 1925 che vieta l’uso di armi batteriologiche e la Convenzione del 1972 che proibisce lo sviluppo di armi batteriologiche e tossicologiche (BTWC); ma lo hanno fatto, con il codicillo secondo cui il divieto di sviluppo delle armi biologiche non proibisce le ricerche nel settore. E Mosca si dice seriamente preoccupata per il fatto che molti laboratori biologici segreti statunitensi si trovino in prossimità dei confini russi.

Dall’Armenia giunge la notizia secondo cui il nuovo Primo ministro Nikol Pašinian avrebbe consentito a specialisti russi l’accesso ai laboratori biologici americani nel paese. In un’intervista a Kommersant, Pašinian ha assicurato che in tali laboratori “non c’è nulla di preoccupante”, data la loro “alta qualità. Credo che sia un bene che ci siano qui tali qualificati laboratori, che in nessun caso possono essere usati contro la Russia” ha detto il Primo ministro armeno.

Di tutt’altro avviso l’ex consigliere russo del Segretario generale dell’ONU, Igor Nikulin, che da tempo lancia l’allarme sugli oltre 400 laboratori USA sparsi per il mondo, in cui si mettono a punto armi biologiche, indirizzate in particolare contro il codice genetico dei russi, dopo che il Pentagono, già un anno fa, aveva ammesso la raccolta di loro materiali biologici. Il Dipartimento della difesa aveva dichiarato che il Molecular Research Center del 59° Medical Air Group della US Air Force stava conducendo studi per identificare vari biomarker legati a lesioni, operando anche su campioni di origine russa, tanto che intendeva acquistare 12 campioni della molecola RNA e 27 campioni del liquido sinoviale di cittadini russi. L’annuncio pubblico specificava che doveva trattarsi di campioni di europoidi e non sarebbero state prese in considerazione persone, ad esempio, originarie dell’Ucraina. Lo stesso Vladimir Putin aveva accennato alla faccenda della raccolta di biomateriali “di diversi gruppi etnici e individui da punti diversi della Federazione Russa”, domandandone retoricamente lo scopo.

Ora, dopo diversi casi di ampi focolai di peste suina africana (ASF), lo stesso Nikulin, intervistato da Sputnik Lettonia, punta il dito sui laboratori biologici USA in Georgia e in Ucraina, sottolineando che la ASF potrebbe essersi espansa in Cina a partire da qualche paese dell’est europeo o del Caucaso, con cui Pechino ha intensi scambi di prodotti agricoli. 

“Gli americani hanno una lunga esperienza in fatto di guerra biologica” dice Nikulin; “basti pensare a cosa hanno imbastito a suo tempo contro Cuba, a come ne hanno infettato i suini. Credo che l’America stia conducendo una guerra biologica permanente contro la Russia e un certo numero di paesi europei. Non ci sono dubbi che i focolai di ASF siano aumentati di molte volte negli ultimi anni, come non era mai accaduto prima, e proprio nelle aree più prossime a Georgia e Ucraina, dove si trovano questi laboratori americani” ha concluso Nikulin.

Sputnik Lettonia evidenzia anche come il mosaico di focolai di ASF offra un quadro abbastanza netto del poligono sperimentale in cui il Pentagono mette a punto le proprie armi biologiche e in cui rientrano anche i Paesi baltici. Lo scorso giugno, l’infezione fu rilevata in poche centinaia di suini in Lettonia; ma, poco dopo, in un solo allevamento nel distretto di Akmenė, in Lituania (proprio sul confine lettone), si sono dovuti abbattere quasi ventimila suini. Oggi, il governo di Vilnius promette incentivi agli agricoltori perché rinuncino all’allevamento di suini, dopo che si sono scoperti ancora 41 focolai di ASF. In Estonia, si sono dovuti abbattere alcune centinaia di cinghiali infetti.

Le statistiche sui focolai di ASF nei Paesi baltici, nota Sputnik, inducono a presumere che la non normale resistenza del virus alle condizioni climatiche settentrionali possa essere stata creata in laboratorio. Per di più, i focolai di ASF sono apparsi quasi simultaneamente su un fronte che va dalla da Georgia a Ucraina, Moldavia, Polonia e Paesi Baltici e coincide con una catena di laboratori biologici del Pentagono dislocati in Armenia, Azerbaidžan, Georgia, Kazakhstan, Kirghizia, Uzbekistan, Tadžikistan, Moldavia, Ucraina. 

Sembra che il nord dell’Eurasia sia ora l’epicentro di tutte le malattie più pericolose, come lo erano stati i paesi latino-americani tra il 1949 e il ’69: Washington ha ammesso di aver condotto 239 esperimenti di armi batteriologiche proprio in quel ventennio. Ora, a quanto pare, si è spostato più a nord.


=== 2 ===

Versione VIDEO: L'Arte della Guerra - L’esercito di insetti del Pentagono (IT/PT/EN/FR/DE/SP) (PandoraTV, 9 ott 2018)
Sciami di insetti, che trasportano virus infettivi geneticamente modificati, attaccano le colture di un paese distruggendo la sua produzione alimentare: non è uno scenario da fantascienza, ma quanto sta preparando l’Agenzia del Pentagono per i progetti di ricerca scientifica avanzata (Darpa)...



L'arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

L’esercito di insetti del Pentagono

di Manlio Dinucci 
su Il Manifesto del 9.10.2018

Sciami di insetti, che trasportano virus infettivi geneticamente modificati, attaccano le colture di un paese distruggendo la sua produzione alimentare: non è uno scenario da fantascienza, ma quanto sta preparando l’Agenzia del Pentagono per i progetti di ricerca scientifica avanzata (Darpa). Lo rivelano su Science, una delle più prestigiose riviste scientiche, cinque scienziati di due università tedesche e di una francese. Nel loro editoriale pubblicato il 5 ottobre, mettono fortemente in dubbio che il programma di ricerca della Darpa, denominato «Alleati insetti», abbia unicamente lo scopo dichiarato dall’Agenzia: quello di proteggere l’agricoltura statunitense dagli agenti patogeni, usando insetti quali vettori di virus infettivi geneticamente modificati che, trasmettendosi alle piante, ne modificano i cromosomi. Tale capacità – sostengono i cinque scienziati – appare «molto limitata». Vi è invece nel mondo scientifico «la vasta percezione che il programma abbia lo scopo di sviluppare agenti patogeni e loro vettori per scopi ostili», ossia «un nuovo sistema di bioarmi». Ciò viola la Convenzione sulle armi biologiche, entrata in vigore nel 1975 ma restata sulla carta soprattutto per il rifiuto statunitense di accettare ispezioni nei propri laboratori. I cinque scienziati specificano che «basterebbero facili semplificazioni per generare una nuova classe di armi biologiche, armi che sarebbero estremamente trasmissibili a specie agricole sensibili, spargendo insetti quali mezzi di trasporto».

Lo scenario di un attacco alle colture alimentari di Russia, Cina e altri paesi, condotto dal Pentagono con sciami di insetti che trasportano virus infettivi geneticamente modificati, non è fantascientifico. Quello della Darpa non è l’unico programma sull’uso di insetti a scopo bellico. Il Laboratorio di ricerca della US Navy ha commissionato alla Washington University di St. Louis una ricerca per trasformare le locuste in droni biologici. Attraverso un elettrodo impiantato nel cervello e un minuscolo trasmettitore sul dorso dell’insetto, l’operatore a terra può capire ciò che le antenne della locusta stanno captando. Questi insetti hanno una capacità olfattiva tale da percepire istantaneamente diversi tipi di sostanze chimiche nell’aria: ciò permette di individuare i depositi di esplosivi e altri impianti da colpire con un attacco aereo o missilistico. Scenari ancora più inquietanti emergono dall’editoriale dei cinque scienziati su Science. Quello della Darpa – sottolineano – è il primo programma per lo sviluppo di virus geneticamente modificati per essere diffusi nell’ambiente, i quali potrebbero infettare altri organismi «non solo nell’agricoltura».

In altre parole, tra gli organismi bersaglio dei virus infettivi trasportati da insetti potrebbe esservi anche quello umano. È noto che, nei laboratori statunitensi e in altri, sono state effettuate durante la guerra fredda ricerche su batteri e virus che, disseminati attraverso insetti (pulci, mosche, zecche), possono scatenare epidemie nel paese nemico. Tra questi il batterio Yersinia Pestis, causa della peste bubbonica (la temutissima «morte nera» del Medioevo) e il Virus Ebola, contagioso e letale. Con le tecniche oggi disponibili è possibile produrre nuovi tipi di agenti patogeni, disseminati da insetti, verso i quali la popolazione bersaglio non avrebbe difese. Le «piaghe» che, nel racconto biblico, si abbatterono sull’Egitto con immensi sciami di zanzare, mosche e locuste per volontà divina, possono oggi abbattersi realmente sul mondo intero per volontà umana. Non ce lo dicono i profeti, ma quegli scienziati restati umani.



=== 3 ===


I crimini di Gilead Sciences mascherano test del Pentagono?

Rete Voltaire | 5 Ottobre 2018 

La società Gilead Sciences, violando le norme internazionali e senza informare adeguatamente i pazienti, ha deliberatamente continuato i test di Sovaldi (Sofosbuvir), il suo farmaco contro l’epatite C.
A dicembre 2015, durante la sperimentazione del farmaco nel laboratorio georgiano di Gilead Sciences, sono morti 24 pazienti. La società statunitense ha però proseguito i test senza informare delle morti le nuove cavie: ci sono stati altri 49 decessi. Questo quanto ha rivelato, documenti alla mano, l’ex ministro georgiano per la Sicurezza Nazionale, Igor Guiorgadze.
La medesima pillola Sovaldi è venduta a 4,89 $ U.S. in India e a ben 1.000 $ negli Stati Uniti. Le 12 settimane di trattamento costano 705 euro in India, 28.700 euro in Europa, 84.000 $ negli Stati Uniti.
L’ex segretario USA della Difesa, Donald Rumsfeld, è stato direttore generale della società farmaceutica ed è tuttora uno dei suoi principali azionisti.
Nel 1997 Rumsfeld riuscì a far omologare il farmaco contro il vaiolo di Gilead Sciences, il Cidofovir, e a farne inserire la molecola nelle ricerche del Pentagono sul bioterrorismo, intascando così favolose royalty. Nel 1998 Rumsfeld convinse il presidente Bill Clinton a bombardare la fabbrica farmaceutica concorrente di Al-Shifa (produttrice di un farmaco per l’AIDS copiato da Gilead Sciences) col pretesto che si trattava di un’industria in cui si producevano armi chimiche per Al Qaeda. Nel 2001 Rumsfeld divenne segretario alla Difesa e, quando ci furono gli attacchi all’antrace, Gilead Sciences fornì al Pentagono i farmaci contro il vaiolo.
Il comandante delle forze russe di protezione radiologica, chimica e biologica, Igor Kirillov, sospetta che i test del Sovaldi siano in realtà sperimentazioni di armi illegali per conto del Pentagono.
Secondo il senatore russo Igor Morozov, «l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPAC) dovrebbe obbligare gli Stati Uniti a rendere pubblici i dati sullo sviluppo di armi biologiche e sui test su esseri umani. Se la questione non può essere risolta all’interno dell’Organizzazione, ne deve essere immediatamente investito il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite».

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista





Izjave SRP-e Hrvatske

[Due comunicati dal SRP – Partito Socialista dei Lavoratori, unica formazione politica croata ad opporsi esplicitamente alla adesione della Croazia alla NATO e a stigmatizzare la retorica europeista della narrazione dominante]

1) 8. LISTOPAD – DAN OBMANE
[Un commento sull'anniversario dell' 8 ottobre 1991, giornata in cui fu compiuta la sciagurata scelta di formalizzare la secessione antijugoslava]
2) STOP NATO BAZAMA U HRVATSKOJ!
[Presa di posizione contro l'installazione a Zara di un presidio permanente dell'aviazione della NATO, realizzando la prima vera e propria base straniera alla faccia delle ciance sulla "indipendenza" che il paese avrebbe conseguito nel 1991]


=== 1 ===


8. LISTOPAD – DAN OBMANE

8. listopada 2018. / SRP 

U ponedjeljak 8. listopada, u Hrvatskoj se obilježava tzv. Dan neovisnosti, ustvari događaj od pred 27 godina kada je Hrvatski sabor donio odluku o jednostranoj secesiji iz zajedničke države SFR Jugoslavije, što je za posljedicu imalo kontrarevolucionarnu promjenu društveno-političkog i ekonomskog sistema i otpočinjanje međuetničkog i međukonfesionalnog oružanog sukoba s elementima građanskog rata.

Tim povodom, u nedjelju je premijer Andrej Plenković uputio građanima Hrvatske samodopadno propagandno intoniranu čestitku. U čestitci je izneseno pregršt netočnih tvrdnji i neprovjerenih pretpostavki. Već na samom početku sporna je premijerova tvrdnja o Hrvatskoj kao samostalnoj i slobodnoj. Hrvatska nije samostalna, ona je dio svog suvereniteta prepustila u tuđe ruke, ona je duboko vazalna i nesamostalna u donošenju važnih odluka i zakonskih akata. Ona nema odriješene ruke u upravljanju vlastitom privredom, već mora za dopuštenje pitati svoje nadređene u EU, poput najnovijeg slučaja rješavanja krize u brodogradnji. Hrvatska nema vlastitu monetarnu politiku,jer je svoje banke prepustila tuđem kapitalu, također telekomunikacije, energetiku, vrijedne turističke objekte, a građani se snabdijevaju u trgovačkim lancima u stranom vlasništvu. Na vanjskom planu također Hrvatska je u više navrata sprovodila poteze suprotne svom interesu, a u korist međunarodnih imperijalističkih centara moći, poput događaja u Siriji, pitanju prava palestinske državnosti, slanja vojnika u tuđe udaljene krajeve s čijim žiteljima nismo u sukobu i iz kojih nam ne prijeti nikakva ugroza.

Navodni privredni rast, koji premjer spominje, demantira sve niži standard sve većeg broja građana, otpuštanja s posla, katastrofalno stanje u poljoprivredi i masovni odlazak mahom mladih i stručnih kadrova na rad u inozemstvo, a koji se u proteklih 27 godina broji u stotinama hiljada.

Kad tome dodamo kriminalnu pljačku društvene imovine, koja je stvarana od oslobođenja pa do secesije 90-ih, protjerano stanovništvo srpske nacionalnosti, koje se također broji u nekoliko stotina hiljada, s područja gdje su vjekovima živjeli, uništena i napuštena sela i naselja, porušene kuće i gospodarske objekte, onda se sasvim sigurno mnogi građani Hrvatske ne osjećaju ponosni kao što premijer sugerira.

Na kraju poruke, premijer spominje i evropske vrijednosti, naravno, paušalno bez obrazloženja, i Hrvatsku uključenost u njih. Međutim, evropske vrijednosti ne sastoje se samo od humanizma, prosvjetiteljstva, znanstvenih i kulturnih dostignuća, modernosti u korist čovječanstva, već među evropske „vrijednosti“ spada i permanentno nasilje vječne borbe koje su Evropljani vodili među sobom, ali i kao osvajači i kolonizatori koji su opljačkali enormna bogatstva, uništili i istrijebili čitave narode i civilizacije, uz blagoslov crkvenog klera. Na tlu Evrope su nastali fašizam i nacizam, započeta su dva najrazornija svjetska rata, industrijski su uništavani ljudi, žene i djeca u koncentracionim logorima. I dan danas sljedbenici fašističke ideologije marširaju uniformirani u evropskim gradovima i osvajaju politički prostor.

Vladimir Kapuralin


=== 2 ===

http://www..srp.hr/stop-nato-bazama-u-hrvatskoj/

STOP NATO BAZAMA U HRVATSKOJ!

8. listopada 2018. / SRP

NATO varit će nam tugu, crninu i sramotu

Socijalistička radnička partija (SRP)
 upućuje oštar protest Vladi Republike Hrvatske izražavajući žestoko neslaganje, jednako kao i velika većina naših građana, s postupcima daljnje militarizacije ove zemlje činom nedavnog potpisivanja „Memoranduma o razumijevanju o uspostavi multinacionalnog središta u Zadru za obuku helikopterskih posada za provedbu specijalnih zadaća zrakoplovnih snaga“, čime Hrvatska široko otvara vrata prvoj NATO bazi na svom teritoriju. Smatramo to još jednim neodgovornim korakom s nesagledivim posljedicama uvlačenja zemlje u sve opasnije obračune na uzavreloj međunarodnoj sceni iz razloga ideološke, ekonomske i vojne dominacije alijanse, kao i neprihvaćanje sramne uloge izvođača ratnih radova za imperijalističke ciljeve po svijetu!

Već i sama izjava Rose Gottemoeller, zamjenice glavnog tajnika NATO-a, da će „centar biti namijenjen za obuku timova specijaliziranih za prijevoz specijalnih zračnih snaga u iznimno zahtjevnim misijama“, potvrđuje činjenicu da NATO u Hrvatskoj otvara bazu za obuku i potporu agresivnim misijama svojih trupa po ovom dijelu svijeta, kao i daljnju namjeru agresivne penetracije u širem regionu s ciljem dominacije.

NATO nema mandat u ovoj zemlji – od ovog naroda! Ali i ovim sporazumom, građani su ponovno dovedeni pred svršeni čin jednako kao kada se pristupalo ovom militantnom savezu 2009. odlukom saborskih zastupnika, bez prilike narodu da se referendumom izjasni po ovom važnom pitanju. Svrstavajući se uz samozvanog svjetskog policajca i ostale svjetske silnike, za čije interese već ginu naši ljudi na mnogim stranama svijeta, licemjerno zvuče riječi resornog ministra obrane prigodom potpisivanja Memoranduma „da je ovo veliki dan za Hrvatsku i Hrvatsku vojsku“.

Napuštajući politiku nesvrstanosti i miroljubive koegzistencije među zemljama s različitim političkim sistemima, politiku suradnje i nemiješanja u tuđe poslove, koja je u prošlosti Hrvatskoj u sklopu Jugoslavije stvorila izuzetan politički utjecaj i poštovanje cijelog svijeta, svojim „aktivnim partnerstvom“ u ovom vojnom savezu, koji poduzima intervencije i agresije širom svijeta – često i bez odobrenja OUN-a, među brojnim zemljama međunarodne zajednice bitno je ugrožen ugled jedne samostalne i suverene zemlje.

Ne pristajemo na otvaranje NATO baza u Hrvatskoj kako bi naša zemlja postala svojevrsni „nosač aviona“ za ratoborne akcije ovog saveza širom svijeta!

Stoga tražimo od Vlade da se ovaj štetni sporazum poništi u korist mira, razoružanja i opće demilitarizacije Balkana i svijeta te vraćanja svih vojski unutar svojih granica, što bi trebao biti jedan od osnovnih interesa i temelja politike na međunarodnom planu, a na tragu mnogih međunarodnih sporazuma i konvencija OUN-a, kao i zbog našeg turizma u tim krajevima koji će, postojanjem ove baze, biti iznimno ugrožen. Pozivamo građane Zadra i okolice, kao i ostale, da se javnim protestima suprotstave ovoj namjeri.



(deutsch / english / italiano)

Washington pronta a far esplodere la Chiesa Ortodossa 

0) Altri link e brevi
1) Washington pronta a far esplodere la Chiesa Ortodossa (Rete Voltaire 26.9.2018)
2) Faith, power, money: Conflicting agendas in Ukraine Church politics (Jim Jatras, 3 Oct, 2018)
3) Der Reformator Poroschenko. Der ukrainische Präsident will eine nationale Kirche aufbauen (R. Lauterbach, 12.09.2018)


=== 0 ===

Sul ruolo infame della chiesa uniate e sugli attacchi alla chiesa ortodossa russa in Ucraina si vedano anche:

https://www.cnj.it/documentazione/ucraina.htm#uniati2014
https://www.cnj.it/documentazione/ucraina.htm#uniati2015
https://www.cnj.it/documentazione/ucraina.htm#uniati20172018

e, in ordine cronologico inverso:

Papa Francesco e la resistenza ucraina. Gli appelli per Oleg Sentsov (di Vladimir Rozanskij, 20.8.2018)
Le comunità ucraine nel mondo premono su papa Francesco e il Vaticano perché appoggi il destino della nazione e delle Chiese lì presenti, in tensione con la Russia... Lo scorso 8 agosto il papa ha ricevuto in udienza un gruppo di giovanissimi ospiti dall’Ucraina, guidati da Pavel Klimkin, ministro ucraino degli esteri. A nome di tutti i ragazzi, Klimkin ha donato al pontefice il “Libro della bontà”... Nelle sue parole pare esservi un certo scetticismo dopo l’incontro con Parolin... Un’altra questione su cui il ministro degli Esteri ucraino si è intrattenuto nei colloqui in Vaticano, è la condizione del “prigioniero di guerra” Oleg Sentsov... Il regista-simbolo della resistenza ucraina è stato ricordato anche il 7 agosto a Baltimora, negli Usa, al banchetto dell’organizzazione cattolica dei “Cavalieri di Colombo”, dove era stato invitato il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, l’arcivescovo maggiore Svjatoslav Shevchuk... Shevchuk ha ricordato che l’ordine dei “Cavalieri di Colombo” è attivo in Ucraina soltanto dal 2013, e conta già più di un migliaio di membri. La sua breve storia si accompagna idealmente alla lotta per l’indipendenza dell’Ucraina dall’aggressore russo: “Ricordate che non è soltanto una nostra guerra, è un combattimento in favore dell’umanità intera!” ha esortato il capo degli uniati ucraini. Nella grande diaspora ucraina in Usa e in Canada è molto forte anche il sostegno alla richiesta di autonomia della Chiesa nazionale, tra gli ortodossi e gli stessi greco-cattolici. Nella città di Winnipeg, ad esempio, è attiva fin dal 1985 una sezione dei “Cavalieri di Colombo”, formata in maggioranza da greco-cattolici, appoggiati dall’arcivescovo locale. Le dispute ucraine non sono infatti limitate ai confini dello Stato originario, ma assumono rilevanza internazionale.

A Kiev, è partita una nuova guerra. Di religione (Raffaele Oriani, 17.7.2018)
Mentre da quattro anni l'Ucraina è logorata dal conflitto con la Russia, si apre un nuovo fronte. La Chiesa ortodossa locale vuole staccarsi da Mosca. Reportage...
https://rep.repubblica.it/pwa/anteprima/2018/07/17/news/ucraina_russia_chiesa_ortodossa_scisma_religione_guerra-202001517/

Il capo dell'Unione delle Confraternite Ortodosse dell'Ucraina ha respinto un aggressione di nazisti con le aste degli stendardi religiosi (Enrico Vigna, giugno 2018)
Arrivati ​​sulla scena dell'incidente, la polizia ucraina ha lasciato gli aggressori andare via tranquillamente... Valentin Lukyanik è da anni attaccato e minacciato dalle bande neonaziste. Due anni fa il suo  appartamento era stato attaccato e bruciato... Valentin Lukyanik è stato, fin dai fatti di Maidan, uno dei partecipanti più attivi nella lotta contro i nazionalisti e i neonazisti ucraini, che hanno attaccato i cittadini russi di Kiev...

Papa Francesco al fianco dei militari di Kiev, legittimando il golpe nazifascista di Euromaidan del 2014 (pagina FB di Noi Restiamo, 28.5.2018)
https://www.facebook.com/NR.noirestiamo/posts/196122441027352
Proprio in questi giorni in cui torna a scaldarsi la situazione sul fronte dove le autoproclamate repubbliche popolari resistono nell'isolamente internazionale, isolate proprio da quelle sinistre che hanno elevato papa Francesco a guida politica, lui accoglie a Roma un battaglione militare delle forze di Kiev. Come fu per l'incontro tra Wojtyla e Pinochet ancora una volta la chiesa si rivela strumento di tenuta e di copertura ideologica del nemico.

La curiosa “lotta alla corruzione” nell’Ucraina golpista (di Fabrizio Poggi, 11.12.2017)
... per l’ennesima volta, un alto esponente delle gerarchie ecclesiastiche ucraine è tornato a consacrare i massacri nel sudest del paese. Questa volta, è toccato al capo della chiesa greco-cattolica, Svjatoslav Ševčuk, in diretta tv, pontificare che non è giusto definire “assassini” i soldati che bombardano la popolazione civile del Donbass (...) Più di un anno fa, il patriarca Filaret, aveva sentenziato che dio permette di attaccare “l’aggressore dell’est”, con l’obiettivo di illuminare gli atei: “le persone soffrono di più nell’est dell’Ucraina e non all’ovest. Perché? Perché là i senzadio sono in maggioranza.. Se non si pentiranno e non si rivolgeranno a dio, anche le loro sofferenze continueranno”. Ancor prima, il metropolita della diocesi di Lutsk e Volinia, Mikhail Zinkevič, aveva detto ai fedeli: ”Voi dovete pregare nella vostra lingua ucraina e non nella lingua dell’occupante” e “ogni candela acquistata nelle chiese del patriarcato di Mosca, è una pallottola per uccidere i vostri figli”. Lo stesso Zinkevič che pochi mesi fa, nel benedire la chiesa di tutti i santi nella zona di Volčanka, aveva definito “uomini dalla vita santa” i membri dell’UPA filonazista...
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2017/12/11/la-curiosa-lotta-alla-corruzione-nellucraina-golpista-098645

Bombe molotov contro una Chiesa del Patriatcato di Mosca in Ucraina (Interfax, 8 November 2016)
Alcuni sconosciuti non identificati, hanno attaccato con bombe molotov la Chiesa di Cyril e Methodius della Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Mosca a Pavlograd, nella Regione ucraina di Dnipro...

Donbass: un cessate il fuoco a senso unico (di Fabrizio Poggi, 12 ottobre 2016)
...  I colpi di artiglieria si sono ripetuti anche la notte scorsa sui quartieri Kievskij e Petrovskij di Donetsk e sul posto di blocco di Jasinovataja...  E per coronare il tutto con una patente “spirituale”, il patriarca ucraino Filaret è andato a benedire le truppe direttamente sulla linea del fronte, nella parte della regione di Dontesk controllata dalle forze di occupazione ucraine. Filaret – considerato scissionista dal patriarcato ortodosso russo – lo scorso aprile  aveva decretato che la guerra è la punizione divina scagliata contro i senzadio del Donbass e, dunque, dio permette di attaccare “l’aggressore dell’est”, con l’obiettivo di illuminare gli atei...

Le bombe ucraine hanno distrutto il Monastero di Iver vicino a Donetsk (E. Vigna, gennaio 2016)
... le immagini della distruzione del Monastero di Iver, situato vicino all'aeroporto di Donetsk, dove le truppe ucraine per diversi mesi hanno bombardato la città e la posizione delle milizie... assomigliano a quelle della distruzione delle chiese ortodosse in Kosovo, ma la differenza nel Donbass è che  tali crimini sono commessi da  correligionari che si definiscono cristiani...

I nazionalisti ucraini all’assalto della Chiesa ortodossa Russa (PTV, 22.12.2015)

Contro il Donbass ora Poroshenko invoca anche l'aiuto celeste (di Fabrizio Poggi, 1 Dicembre 2015)
... è riuscito a ottenere udienza in Vaticano e, pare, a strappare un mezzo impegno papale a una visita in Ucraina. Ma, come sempre più spesso gli accade, Porošenko è riuscito anche a far storcere il naso al suo interlocutore, implorando la beatificazione, in occasione della eventuale visita, del metropolita Andrej Šeptitskij, capo della chiesa greco-cattolica (uniate) in Ucraina occidentale dal 1900 al 1944.
La canonizzazione era già stata chiesta dall'allora presidente Leonid Kučma, in occasione dell'unica visita a Kiev di un papa cattolico, nel 2001. Ma era il papa sbagliato: Wojtyła era polacco e, pur nella sua isteria anticomunista, non poteva concedere la beatificazione di colui che, dopo aver inviato le proprie congratulazioni al führer, nel 1941, per la conquista di Kiev, aveva poi benedetto, nel 1943, le bande filonaziste UPA-OUN e i volontari ucraini del battaglione SS “Nachtigall” che andavano a massacrare più di ottomila polacchi, civili e preti, della Volinja, nella regione di L'vov...
http://contropiano.org/internazionale/item/34077-contro-il-donbass-ora-poroshenko-invoca-anche-l-aiuto-celeste

La Chiesa del Patriarcato di Mosca oggetto di violenza da parte dei nazionalisti ucraini (4 dicembre 2014)
VIDEO: https://ok.ru/video/6271731076


=== 1 ===

http://www.voltairenet.org/article203119.html

Washington pronta a far esplodere la Chiesa Ortodossa

rete voltaire | 26 settembre 2018 

français  español  عربي  português  deutsch  türkçe  english

Il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti ad Atene, Geoffrey R. Pyatt, che insieme a Victoria Nuland organizzò il colpo di Stato a Kiev nel 2014 [1], si dedica ora alla creazione di una chiesa ortodossa indipendente in Ucraina.
La chiesa ortodossa è organizzata in sette patriarcati, di cui quello di Costantinopoli è «primo fra uguali». Il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, non ha di fatto fedeli in Turchia, ma veglia sulla diaspora greca nel mondo. Il patriarca di Mosca, Cirillo I, veglia su tutti i russi, ucraini compresi.
L’indipendenza degli ortodossi ucraini sarebbe un duro colpo per la cultura russa in Ucraina.
Dal mese di maggio 2018 Bartolomeo I non rilascia più visti per il Monte Athos ai preti ortodossi del patriarcato di Mosca.
Il 31 luglio 2018 Bartolomeo I ha firmato con i capi delle religioni minoritarie in Turchia una dichiarazione comune in cui affermano che il Paese è meraviglioso e che le religioni vi fioriscono liberamente, sebbene in passato non sia sempre stato così [2]. Il testo ha suscitato la collera dei fedeli che ogni giorno devono sopportare le angherie e le umiliazioni dell’amministrazione turca.
Il 31 agosto Cirillo e Bartolomeo hanno avuto un incontro amichevole a Istanbul. Ciononostante il 6 settembre il patriarca di Costantinopoli ha nominato due esarchi (inviati speciali), incaricati di creare una chiesa indipendente in Ucraina. I responsabili della chiesa canonica di Kiev si sono rifiutati di riconoscerli.
Filarete di Kiev, ex agente del KGB, smascherato e scomunicato dopo la caduta dell’Unione Sovietica, ha da parte sua creato una setta, la «Chiesa ortodossa autocefala ucraina» (non-canonica). Filarete è poi diventato uno dei sostegni dei golpisti di Kiev e ha definito il presidente Putin «Caino» e «Giuda». Oggi si vede alla testa della chiesa indipendente che Bartolomeo potrebbe riconoscere.
Il 14 settembre scorso Filarete è andato negli Stati Uniti. È stato ricevuto al Dipartimento di Stato, insieme ai due esarchi di Bartolomeo I, che avevano da poco incontrato a Kiev il presidente Petro Porochenko. È stato anche ricevuto dal vicepresidente Joe Biden, con cui Filarete intrattiene dal 2014 strette relazioni. Il figlio di Biden, R. Hunter Biden, oggi fa parte del consiglio di amministrazione di Burisma Holdings, prima compagnia di sfruttamento del gas ucraino. Filarete ha decorato Joe Biden con l’Ordine di San Vladimiro, come già aveva fatto con il senatore John McCain.
Si sta riaccendendo anche un’antica disputa sulla chiesa ortodossa di Macedonia, ma a fronti rovesciati: questa volta il patriarcato di Costantinopoli rifiuta di riconoscerla fino a quando utilizzerà la denominazione «di Macedonia», che la Grecia considera sua proprietà esclusiva.
Il patriarca Cirillo ha riunito un Sinodo speciale a Mosca. Il 14 settembre la Chiesa ortodossa russa ha deciso non «nominare» più nella liturgia il patriarca di Costantinopoli, ovvero di non pregare più per lui, nonché di sospendere ogni «concelebrazione» e di «rompere» ogni relazione di lavoro nelle istituzioni cui partecipano entrambi i patriarchi.
Il 19 settembre il patriarca d’Alessandria e di tutta l’Africa, Teodoro II, ha richiamato entrambe le parti alla ragione. Uno scisma è possibile.

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista 


[1] « Conversation entre l’assistante du secrétaire d’État et l’ambassadeur US en Ukraine », par Andrey Fomin, Oriental Review(Russie), Réseau Voltaire, 7 février 2014.

[2] “La Turchia costringe le chiese ebraiche e cristiane turche a firmare una dichiarazione”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 14 agosto 2018.



=== 2 ===

https://www.rt.com/op-ed/440230-orthodox-church-ukraine-poroshenko/

Faith, power, money: Conflicting agendas in Ukraine Church politics

by Jim Jatras
3 Oct, 2018

One of the most contentious and significant controversies in the world today is also one of the least-well understood.
In part, this is because it involves matters of faith and church governance, the importance of which many people, especially some of a secular mind who scorn mere “religion,” tend to underestimate.
That is a mistake, certainly with respect to the storm that seems on the verge of plunging Ukraine into a new cycle of violence. That may happen if, as seems quite possible, Ecumenical Patriarch Bartholomew of Constantinople recognizes an “autocephalous” (completely self-ruling) Orthodox Church in Ukraine over the objections of the Russian Orthodox Church, of which the Ukrainian Church is an integral part.
This question is often misreported in the Western media as Constantinople’s response to a request from the Ukrainian Orthodox Church for autocephaly. This is inaccurate. The only Ukrainian Orthodox body recognized as canonical by the rest of the Orthodox Christian world – even including Constantinople at this point – is the autonomous part of the Russian Orthodox Church under the authority of Metropolitan Onufry of Kiev, which is not asking for autocephaly.
So who is making such a request? People who have no authority to do so. This means first of all Ukrainian politicians, starting with President Petro Poroshenko (whose own Orthodox affiliation is subject to question), who evidently calculates that midwifing an independent Ukrainian national church completely divorced from Russia will enhance his re-election prospects next year. Not to be outdone, his rival, Yulia Tymoshenko also is in favor. These proponents of autocephaly are explicit that their goals are political. “Shortly, we will have an independent Ukrainian church as part of an independent Ukraine. This will create a spiritual independence from Russia,” Poroshenko told the Washington Post.
Also asking for autocephaly is so-called “Patriarch Filaret” Denysenko and his supposed Ukrainian Orthodox Church of the “Kiev Patriarchate,” which is recognized as canonical by exactly nobody. Denysenko, who was excommunicated by the Russian Orthodox Church in 1997, hopes that will change soon.. Patriarch Bartholomew has dispatched to Ukraine two envoys (“exarchs”), one each from the US and Canada, to meet with Denysenko, possibly even to consecrate his “bishops” to give them supposedly valid status.
Unfortunately, there is also involvement from another direction by people whose agenda is entirely political. Western governments see a geopolitical opportunity in exacerbating an ecclesiastical crisis in Ukraine and pitting Constantinople against Moscow. Doing so, they believe, will undermine Russia’s geopolitical “soft power” through the Orthodox Church and further alienate Russians and Ukrainians from one another.
As explained by Valeria Z. Nollan, professor emerita of Russian Studies at Rhodes College, “The real goal of the quest for autocephaly of the Ukrainian Orthodox Church is a de facto coup: a political coup already took place in 2014, poisoning the relations between western Ukraine and Russia, and thus another type of coup – a religious one – similarly seeks to undermine the canonical relationship between the Ukrainian Orthodox Church and Moscow. ”
The Western proponents are as crassly honest about the political aspects as the Ukrainian politicians. The German ambassador in Kiev, not known to have any particular theological acuity, opined in July, that autocephaly would strengthen Ukrainian statehood. The hyper-establishment Atlantic Council, which hosted Denysenko on a recent visit to Washington, notes“With the Russian Orthodox Church as the last source of Putin’s soft power now gone, Ukraine’s movement out of Russia’s orbit is irreversible.”
Likewise the US State Department, after a short period of appropriately declaring that “any decision on autocephaly is an internal church matter,” last week reversed its position and issued a formal statement“The United States respects the ability of Ukraine’s Orthodox religious leaders and followers to pursue autocephaly according to their beliefs. We respect the Ecumenical Patriarch as a voice of religious tolerance and interfaith dialogue.”
While avoiding a direct call for autocephaly, the statement gives the unmistakable impression of such endorsement, which is exactly how it was reported in the media, for example“US backs Ukrainian Church bid for autocephaly.” The State Department’s praise for the Ecumenical Patriarchate reinforces that clearly intended impression.
There may be more to the State Department’s position than meets the eye, however. According to an unconfirmed reportoriginating with the members of the Russian Orthodox Church Outside of Russia (an autonomous New York-based jurisdiction of the Moscow Patriarchate), in July of this year State Department officials (possibly including Secretary of State Mike Pompeo personally) warned the Greek Orthodox archdiocese (also based in New York but part of the Ecumenical Patriarchate) that the US government is aware of the theft of a large amount of money, about $10 million, from the budget for the construction of the Orthodox Church of St. Nicholas in New York (This is explained further below).
The warning also reportedly noted that federal prosecutors have documentary evidence confirming the withdrawal of these funds abroad on the orders of Ecumenical Patriarch Bartholomew. It was suggested that Secretary Pompeo would “close his eyes” to this theft in exchange for movement by the Patriarchate of Constantinople in favor of Ukrainian autocephaly, which helped set Patriarch Bartholomew on his current course.
Again, it must be emphasized that this report is unconfirmed, though one doesn’t see mainstream American media falling over themselves trying to track down the facts. The official statement of the Greek archdiocese does not report a personal one-on-one meeting between Pompeo and Archbishop Demetrios, but the message could have been communicated between subordinate personnel on both sides.
What lends the report an air of believability, however, is the depth of the scandal to which it refers. As few outside the Orthodox Christian community may recall, only one place of worship of any faith was destroyed on September 11, 2001, and only one building not part of the World Trade Center complex was completely destroyed in the attack. That was St. Nicholas Greek Orthodox Church, a small urban parish church established at the end of World War I and dedicated to St. Nicholas the Wonderworker, who is very popular with Greeks as the patron of sailors. The humble little church reportedly housed icons and relics donated to the parish by Russia’s last Tsar, Nicholas II, none of which were recovered.
In the aftermath of the 9/11 attack, and following a lengthy legal battle with the Port Authority, which opposed rebuilding the church, in 2011 the archdiocese launched an extensive campaign to raise funds for a brilliant innovative design by the renowned Spanish architect Santiago Calatrava based on traditional Byzantine forms. Wealthy donors and those of modest means alike enthusiastically contributed to the effort. A major role was played by the archdiocesan women’s organization, the Ladies Philoptochos, who undertook it as a “sacred mission”“Together let us rebuild Saint Nicholas for all future generations, and for the many millions of people who will visit every year the new World Trade Center, the National September 11 Memorial Museum and our National Shrine, the only house of worship at Ground Zero.” By the end of 2017, almost $37 million had been raised and construction on this unique Orthodox Christian presence was proceeding apace.
Then – poof! – in December 2017 suddenly all construction was halted for lack of funds. Resumption would require on-hand an estimated $2 million. Despite the archdiocese calling in an audit by a major accounting firm, there’s been no clear answer to what happened to the money. Both the US Attorney and New York state authorities are investigating. There have been calls for Archbishop Demetrios’s resignation.
This is where we get back to Ukraine. If the State Department wanted to find the right button to push to spur Ecumenical Patriarch Bartholomew to move on the question of autocephaly, the Greek archdiocese in the US is it. Let’s keep in mind that in his home country, Turkey, Patriarch Bartholomew has virtually no local flock – only a few hundred mostly elderly Greeks left huddled in Istanbul’s Fener district. Whatever funds the Patriarchate derives from other sources (the Greek government, the Vatican, the World Council of Churches), the financial lifeline is Greeks (including this writer) in what is still quaintly called the “Diaspora” in places like America, Australia, and New Zealand. And of these, the biggest cash cow is the Greek-Americans.
That’s why, when Patriarch Bartholomew issued a call in 2016 for what was billed as an Orthodox “Eighth Ecumenical Council” (the first one since the year 787!), the funds largely came from America, to the tune of up to $8 million according to this writer’s sources. Intended by some as a modernizing Orthodox Vatican II,” the event was doomed to failure by a boycott organized by Moscow over what the latter saw as Patriarch Bartholomew’s adopting papal or even imperial prerogatives – now sadly coming to bear in Ukraine. It’s an open question how much the Ecumenical Patriarchate’s shaking down the Greeks in the US to pay for extravagant boondoggles like the 2016 “Council” contributed to the financial mess at the New York archdiocese, which in turn may have opened them up to pressure from the State Department to get moving on Ukraine.
Finally, while the Ukraine controversy does largely involve politicians’ agendas and a struggle for supremacy between Constantinople and Moscow, it is not entirely devoid of moral and spiritual significance. It should be noted that among the most ardent nominally Orthodox advocates of Ukrainian autocephaly are groups of American academics like the purveyors of moral and sexual LGBT and genderqueer ideology “Orthodoxy in Dialogue” and the hardly less revolutionary “Orthodox Christian Studies Center at New York’s Fordham University.
Orthodoxy in Dialogue recently issued a call – accompanied by a pairing of an Orthodox cross with LGBT rainbow symbolism – to bishops in all US Orthodox jurisdictions to curtail their anti-abortion witness and adopt the immoral sexual agendas that have wrought havoc in the Western confessions, a call that should receive a sharp condemnation from the hierarchs..
No one – and certainly not this writer – should accuse Patriarch Bartholomew, most Ukrainian politicians, or even the fake patriarch Denysenko of sympathizing with such anti-Orthodox values. But the converse is not true. These advocates know they cannot advance their goals if the conciliar and traditional structure of Orthodoxy remains intact. Thus they welcome efforts by Constantinople to centralize power while throwing the Church into discord, especially the Russian Church, which is vilified in some Western circles precisely because it is a global beacon of traditional Christian moral witness.
This aspect points to another reason for Western governments to support Ukrainian autocephaly as a spiritual offensiveagainst Russia and Orthodoxy. The post-Maidan leadership harp on the “European choice the people of Ukraine supposedly made in 2014, but they soft-pedal the accompanying moral baggage the West demands, symbolized by “gay”marches organized over Christian objections in Orthodox cities like Athens, Belgrade, Bucharest, Kiev, Odessa, Podgorica, Sofia, and Tbilisi. Even under the Trump administration, the US is in lockstep with our European Union friends in pressuring countries liberated from communism to adopt such “European values.”
Ukrainians especially need to ask themselves why Western governments are so happy to cheer on developments that could plunge the Orthodox Church into worldwide schism, and Ukraine into another round of fratricidal violence. The unedifying behind-the-scenes machinations, many details of which remain under wraps, should give them further pause.

Jim Jatras is a Washington, DC-based attorney, political analyst, and media & government affairs specialist.


=== 3 ===

https://www.jungewelt.de/beilage/art/336938?sstr=orthodoxe%7Ckirche



Riportiamo di seguito il testo di un manifesto affisso in questi giorni a Sulmona (AQ), su iniziativa del Centro Studi e Ricerche Carlo Tresca, per ricordare i circa duecento slavi mandati a morire a Dachau dopo che il direttore del carcere della Badia dove erano detenuti aveva permesso invece ai prigionieri alleati di fuggire... La affissione dovrebbe essere accompagnata da una conferenza stampa e da un servizio sul canale RAI Regione Abruzzo nella giornata di lunedì 8 ottobre.
Sui prigionieri della Badia di Sulmona e del vicino campo di concentramento di Fonte d'Amore si vedano anche il saggio di  R. Lolli
"La presenza degli internati slavi nell'Appennino aquilano 1942-1944" – PDF: https://www.cnj.it/PARTIGIANI/JUGOSLAVI_IN_ITALIA/NOVO/testi_lolliAquilano.pdf – e gli altri link alla nostra pagina dedicata: https://www.cnj.it/documentazione/campiconcinita.htm#fontedamore .

---

8 OTTOBRE 2018
SULMONA–DACHAU

L'8 ottobre del 1943 dalla stazione di Sulmona partì un treno per Dachau.
Portava diverse centinaia di detenuti politici e comuni prelevati dal carcere della Badia provenienti dai territori occupati della Jugoslavia (i più), dalla Grecia e dall'Italia. C'erano anche 9 cittadini di Roccacasale (tra loro un adolescente di 16 anni) e un testimone di Geova. Di essi appena un centinaio tornò a casa. Solo di recente si è venuti a conoscenza di questo fatto. 
Perché?
Nessuno aveva visto o saputo?
È stato rimosso dalla coscienza della comunità locale e regionale. Dobbiamo sapere e dobbiamo ricordare per non vanificare gli insegnamenti che ne derivano.
Allo stesso modo vanno conosciute e ricordate le vicende di migliaia di soldati italiani che, nelle zone di guerra balcaniche e greche, disobbedendo agli ordini dei nazisti furono da questi massacrati, come a Cefalonia, o furono attivi nelle file della Resistenza a Creta come in Dalmazia. Molti di loro provenivano dal cuore dell'Abruzzo.
Tutti accomunati da una solidarietà di destini, nello slancio disinteressato per la libertà dei popoli al di là di ogni confine.


===


SULMONA – DACHAU
8 ottobre 1943

Il 23 settembre 1943, nei territori occupati dalle truppe tedesche nacque la Repubblica Sociale Italiana, lo stato fantoccio della Germania nazista voluto da Hitler sulla base del progetto di satellizzazione economica, militare e politica dell’Italia.
L’occupazione dei comuni della Valle Peligna iniziò tra il 12 e il 13 settembre.
La mattina dell’8 ottobre, un reparto militare tedesco di stanza nel campo di concentramento di Fonte d’Amore requisì il carcere della Badia (l’abbazia di S. Spirito al Morrone) per esigenze di ordine logistico e militare. Giunti sul posto, i soldati tedeschi intimarono al direttore del carcere, Corrado De Jean, e alle guardie la consegna dell’edificio e di tutti i detenuti.
Si trattava di circa 380 reclusi provenienti in gran parte dai territori jugoslavi, greci e della Venezia Giulia condannati dai tribunali italiani di occupazione. Tra il 25 luglio e l’8 settembre, infatti, nonostante la caduta del governo fascista, i detenuti condannati nei territori di occupazione erano stati esclusi dal provvedimento di scarcerazione del ministro Gaetano Azzariti, riservato esclusivamente ai detenuti politici italiani, seppur con delle riserve e con non poche contraddizioni. Nel carcere della Badia, ad esempio, agli inizi di ottobre erano ancora presenti anche 14 antifascisti italiani (condannati dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato), tra cui il socialista Giovanni Melodia (in seguito autore di diversi libri sulla deportazione nonché segretario generale dell'associazione nazionale ex-deportati nei campi nazisti - ANED). Inoltre vi erano anche decine di detenuti condannati per reati comuni e 9 uomini del vicino comune di Roccacasale rastrellati dai tedeschi e incarcerati con l’accusa di aver favorito la latitanza dei prigionieri alleati fuggiti dal vicino campo di concentramento di Fonte d’Amore.
Nel giro di 20 minuti tutti i prigionieri furono riuniti nel cortile principale del carcere della Badia e sotto la minaccia delle armi furono trasferiti presso la stazione ferroviaria di Sulmona.
Qui furono caricati su convogli solitamente utilizzati per il trasporto del bestiame e quindi deportati nel campo di concentramento di Dachau, dove giunsero il 13 ottobre dopo un viaggio di cinque giorni e sei notti.
Nelle settimane e nei mesi successivi molti furono trasferiti in altri campi e sottocampi della rete concentrazionaria nazista.
Secondo la documentazione attualmente disponibile, possiamo affermare che 117 deportati riuscirono a sopravvivere, 103 furono eliminati nel corso della detenzione, mentre sul destino di circa 170 deportati non si hanno ancora, allo stato attuale, notizie certe.
Dei 9 rastrellati di Roccacasale sopravvissero in 4. Tra i rimanenti 5, che furono eliminati, vi erano i due deportati più giovani di tutto il convoglio partito da Sulmona: Michele Scarpone e Angelo De Simone, entrambi di 16 anni.
Quella dell’8 ottobre 1943 fu una delle prime deportazioni dall'Italia verso il sistema concentrazionario nazista.
Il caso di Sulmona cadde immediatamente nell’oblio.
Nel dopoguerra fu istruito un processo che non fu mai celebrato.
Nella memoria collettiva non ne è rimasta alcuna traccia.

[risultati provvisori di una ricerca condotta da Mario Salzano, Università degli Studi di Teramo]





(english / français / italiano)

E se a Skopje non volessero né NATO né UE ?

1) KKE: Comunicato stampa sul referendum in FYROM
2) I macedoni si pronunciano contro l’adesione alla NATO e all’Unione Europea (Rete Voltaire, 2.10.2018)
3) [Dichiarazione congiunta NATO-UE: Ha vinto l'astensione? Chissenefrega, si mettano ugualmente al nostro servizio.] Joint statement by the NATO Secretary General and the President of the European Council 
4) Referendum Macedonia: mancato il quorum. Accordo con la Grecia praticamente fallito (A. Tarozzi)


A voir aussi: 

Etrange arrivée du secrétaire US à la Défense James Mattis à Skopje (VoltairenetTV, 18 set 2018)
Le 17 septembre 2018, le secrétaire US à la Défense, le général Jim Mattis, est arrivé à l'aéroport de Skopje (Macédoine). Le personnel de l'ambassade US ne semble pas l'accueillir avec enthousiasme et son homologue macédonien est absent...

FLASHBACK: American flag flies next to Albanian flag at monument to NLA/UCK fighters killed in 2001 fight against Macedonian govt (15 May 2015)
https://twitter.com/LizziePhelan/status/599255384306626560


=== 1 ===

https://www.resistenze.org/sito/os/ep/osepil02-020709.htm
www.resistenze.org - osservatorio - europa - politica e società - 02-10-18 - n. 684

Comunicato stampa sul referendum in FYROM

Partito Comunista di Grecia (KKE) | kke.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

02/10/2018

Il dato principale emerso durante il referendum di ieri è stato la scarsa affluenza della popolazione dell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia (Former Yugoslav Republic of Macedonia, FYROM), nonostante la pressione esercitata dal paese vicino di un folto gruppo di personalità della NATO, degli USA e dell'UE schierate per l'approvazione dell'Accordo di Prespa e per accelerare il processo di adesione del paese nelle organizzazioni imperialiste di cui sopra.

Nonostante la pressione internazionale, la scarsa partecipazione al referendum che poneva la questione di aderire o meno all'integrazione nella NATO e nell'UE, accettando l'Accordo, dimostra che una parte della popolazione dell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia ha una posizione negativa, o almeno un atteggiamento prudente nei confronti del ricatto contenuto nel quesito referendario: ossia che l'adesione a queste alleanze - sfavorevoli alle popolazioni - costituisca l'unica opzione possibile.

I risultati del referendum esprimono soprattutto le acute contraddizioni interimperialiste tra NATO - USA - UE da un lato e Russia dall'altro, nonché l'intervento delle forze nazionaliste..

Il governo SYRIZA - ANEL risulta compromesso per aver promosso, portando la bandiera della NATO, il ricatto di far approvare questo pericoloso accordo. Si dimostra ancora una volta che l'espansione delle alleanze imperialiste non può essere una risposta al nazionalismo, che è il rovescio della stessa medaglia.

La posizione avventurista di Zaev, che in sostanza ha annunciato di voler ignorare la bassa affluenza al referendum, mette in evidenza l'essenza della democrazia borghese. Non è la prima volta che si tenta di rovesciare i risultati di un referendum non graditi dai centri imperialisti. Su questo tema, il signor Tsipras può offrire una grande esperienza al signor Zaev.

È ovvio che nel futuro prossimo continueranno le pressioni per far accettare l'Accordo ai due popoli e che progredisca l'integrazione euro-atlantica nei Balcani occidentali. Gli antagonismi tra le grandi potenze, che stanno trasformando la regione più ampia in una polveriera, continueranno e si intensificheranno.

Il KKE invita il popolo greco e il popolo dell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia a delineare la loro lotta comune sulla base della solidarietà e del genuino internazionalismo, contro il nazionalismo e l'imperialismo, contro la NATO e l'UE e i loro governi e partiti. Su queste basi si può trovare una soluzione reciprocamente accettabile, tralasciando tutti i fenomeni irredentisti, con l'adozione di un nome che contenga un riferimento geografico.

Atene 1/10/2018

Ufficio stampa del CC del KKE


=== 2 ===

http://www.voltairenet.org/article203249.html

I macedoni si pronunciano contro l’adesione alla NATO e all’Unione Europea

Rete Voltaire | 2 Ottobre 2018 

Il 30 settembre 2018 ai macedoni è stato chiesto di rispondere al seguente quesito [referendario]: «Siete favorevoli all’adesione alla NATO e all’Unione Europea accettando l’accordo tra la Repubblica di Macedonia e la Repubblica di Grecia?».
L’accordo con la Grecia era stato negoziato dall’ambasciatore degli Stati Uniti ad Atene, Geoffrey R. Pyatt, noto per aver organizzato il putsch di Kiev con l’aiuto del partito nazista Settore Destro. L’accordo prevede di modificare il nome dell’ex repubblica jugoslava di Macedonia in «Macedonia del Nord» e che venga abbandonato ogni riferimento storico ad Alessandro Magno.
Il conflitto risale all’indipendenza della Grecia (1822), quando Atene voleva liberare l’intera Macedonia dall’occupazione ottomana. Oggi la Macedonia storica è divisa in una parte greca e in una parte indipendente. La memoria di Alessandro Magno è rivendicata sia da Atene sia da Skopje, che ne ha innalzato la statua equestre al centro della città (foto). L’allievo di Aristotele, fondatore di un impero che univa Oriente e Occidente, è nato nel settore greco della Macedonia, ma per molto tempo fu considerato un “barbaro” dai greci, che ne riconobbero l’autorità solo con la forza.
Alessandro Magno ideò un impero che rispettava le peculiarità culturali dei sudditi (inclusi i greci) e mantenne al potere i sovrani vinti. Al contrario, NATO e UE, seguendo la tradizione di Giulio Cesare, si presentano come sovrastrutture che fagocitano ciascun membro all’interno di valori comuni obbligatori. Questi due modelli storici sono inconciliabili.
Il segretario della Difesa degli Stati Uniti, generale James Mattis, si è recato a Skopje per accertarsi del regolare svolgimento del referendum. Al suo arrivo non c’erano membri del governo ad accoglierlo all’aeroporto, solo l’ambasciatore USA.
Il quesito posto dal referendum, che associa NATO e UE, è perfettamente logico poiché, dal punto di vista statunitense, le due strutture sono il versante militare e il versante civile di una medesima organizzazione.
Le autorità macedoni sono profondamente divise. I socialisti e i mussulmani del governo di Zoran Zaev hanno chiesto di votare “Sì”. Mentre i nazionalisti, in maggioranza ortodossi, tra cui il presidente della repubblica, Gjorge Ivanov, hanno esortato a boicottare le urne.
Solo il 33,75% degli elettori hanno risposto “Sì”.
Da giocatrice molto disonesta, la stampa atlantista dell’Europa occidentale si è ipocritamente felicitata della vittoria del “Sì”, sottolineando come il 91,46% dei votanti si siano espressi a favore, omettendo però di dire che il 63,09% degli elettori non si è recato alle urne. In conformità alla Costituzione, che fissa un quorum per la validità del referendum, la commissione elettorale ha annullato la consultazione [1].

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista 

[1] « Déclaration de l’Otan et de l’UE sur le référendum en Macédoine », Réseau Voltaire, 1er octobre 2018.


=== 3 ===

https://www.nato.int/cps/en/natolive/news_158682.htm?selectedLocale=en

Joint statement 
by the NATO Secretary General Jens Stoltenberg and the President of the European Council Donald Tusk on the consultative referendum in the former Yugoslav Republic of Macedonia¹

1 Oct. 2018

The name agreement between Athens and Skopje has created a historic opportunity for the country to join the transatlantic and European community as an equal member. This would change the life of the people of the country and that of their children for the better.
In yesterday’s consultative referendum, an overwhelming  majority of those voting supported that path. It is now in the hands of politicians in Skopje to decide on the way forward. The decisions they take in the next days and weeks will determine the fate of their country and their people for many generations to come. We  encourage them to seize this historic opportunity. 

(1) Turkey recognises the Republic of Macedonia with its constitutional name.


=== 4 ===

https://www.alganews.it/2018/09/30/referendum-macedonia-mancato-il-quorum-accordo-con-la-grecia-praticamente-fallito/

REFERENDUM MACEDONIA: MANCATO IL QUORUM. ACCORDO CON LA GRECIA PRATICAMENTE FALLITO

30/09/2018
DI ALBERTO TAROZZI

Referendum in Macedonia, oppure, se preferite la versione amata dai greci, in Fyrom. Sì perché il referendum rappresentava un primo passo consultivo verso la successiva approvazione nel parlamento di Skopje dell’accordo tra i due premier greco e macedone (Tsipras e Zaev), per il cambiamento del nome del territorio macedone esterno alla Grecia.

I greci avrebbero accettato una modifica della denominazione da loro fin qui imposta (Fyrom, che suona più o meno Repubblica di Macedonia della ex Jugoslavia) in una versione che doveva suonare come Macedonia del nord. Così facendo avrebbero anche tolto il veto alla entrata dei macedoni nella Ue.

L’iter per l’approvazione definitiva del cambio del nome non era comunque semplice. Dapprima il parere consultivo del referendum. Poi il voto del Parlamento macedone con la maggioranza dei due terzi. Infine un voto del parlamento greco. Sulla carta dunque referendum in sé importante ma non decisivo. Da come sono andate le cose, invece, risulterà probabilmente tale.

E’ andata infatti che il quorum è rimasto ben lontano (35% di votanti anziché il 50+1). Adesso il già difficile passo successivo si presenta come missione impossibile. Sulla carta infatti il parlamento vede 73 favorevoli al cambio del nome su 120 eletti. Mancanti 7 voti che i favorevoli pensavano di recuperare sull’onda di una marea di sì al referendum. Senza onda l’impresa diventa disperata e paiono avere ragione quei sostenitori del No che esultano nelle piazze.

Ma è una questione solo greco-macedone o si tratta di un problema internazionale? Senza dubbio è la seconda la risposta giusta. Non a caso il quesito referendario domandava non solo l’assenso alla nuova denominazione, ma indicava anche come, di conseguenza, l’elettore esprimesse parere favorevole all’entrata nella Ue e addirittura nella Nato. Qualcuno riteneva che così il Sì sarebbe divenuto più attraente, ma così non è stato.

I contrari, che si presentano come conservatori, ma sono anche filorussi sul piano internazionale, hanno saputo far valere non solo l’orgoglio nazionale, ma anche alcune contraddizioni della recente storia politica locale. L’equilibrio politico della Macedonia si era a lungo basato sul fatto che al governo del paese ci fosse una coalizione che contenesse un partito degli slavi e uno della minoranza albanese. Una sorta di vaccinazione contro eventuali guerre etniche di cui, sia pure per un periodo relativamente breve, anche i macedoni avevano sofferto.

Viceversa l’attuale coalizione maggioritaria (filo occidentale) vede al governo il partito socialdemocratico slavo e a lui alleati tre partiti albanesi. All’opposizione, e alla presidenza della Repubblica, i rappresentanti del partito slavo e conservatore, ma nemmeno un partito albanese. Prima di risolvere la questione in parlamento erano volati pugni e schiaffi.
Poi era prevalsa l’accettazione di un governo Zaev cui bastava sì il 50 % + 1 degli eletti per governare il paese. Ma al quale non bastano 73 parlamentari su 120 per ratificare l’accordo con i greci. Tanto più dopo che l’opposizione e la presidenza della Repubblica si erano espresse per il boicottaggio.del referendum

Macedonia dunque ancora lontana dalla Ue e non tanto vicina alla Nato, con grande soddisfazione della Russia, che intravvede la possibilità che la Macedonia Fyrom possa rappresentare una tappa dei suoi futuribili gasdotti.

Delusione anche per Tsipras che con la Ue avrebbe potuto probabilmente acquisire qualche merito in più. Delusi anche quegli intellettuali come Toni Negri e Etienne Balibar che avevano firmato una sottoscrizione a favore della nuova denominazione, a sbloccare un contenzioso greco macedone pluridecennale.

Zaev appena conosciuto l’esito, ha sostenuto che l’opposizione dovrebbe rispettare il volere dei cittadini che hanno partecipato al referendum votando Sì al 91%, alla modifica del nome del paese in parlamento. Zaev ha anche detto che se ciò non accadesse si dovranno fare elezioni anticipate. Là dove il clima si preannuncia particolarmente caldo.

La storia non permette rotture. Ogni cosa a suo tempo e questo non pare essere il tempo della Macedonia del nord.




(srpskohrvatski / italiano)

Risoluzione 1244: la chiave per la pace in Europa

1) Нова књига Живадина Јовановића: 1244 Кључ Мира У Европи
/ Nuovo libro di Zivadin Jovanović: 1244 – LA CHIAVE DELLA PACE IN EUROPA
2) Il dominio della politica di forza. Testimonianza di Zivadin Jovanovic 
/ Сведочанство о доминацији политичке силе (Живадин Јовановић)
3) СВЕДОЧИМ О ИСКУСТВИМА. Живадин Јовановић одговори на питања новинара „Политике“
[intervista al noto diplomatico, ex Ministro degli Esteri della Jugoslavia federale e attuale presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali, Z. Jovanović]


Leggi anche / Isto pročitaj:

КОСОВО ЈЕ НАШЕ (Живадин Јовановић, 30 август 2018)
Наводно не знамо какво се решење припрема за статус Косова и Метохије. Наводно позиције преговарача још увек су удаљене па смо још далеко од договора, односно, од решења. Наводно, Београд и Приштина преговарају а други само подржавају „свеобухватан“ договор који ће бити у интересу мира...


=== 1 ===

Nuovo libro:

Zivadin Jovanović
1244 – LA CHIAVE DELLA PACE IN EUROPA
Belgrado: Ed. Beogradski Forum za Svet Ravnopravnih / Srpska Knjizevna Zadruga, 2018

Интервју са Живадином Јовановићем. аутором књиге: "1244 КЉУЧ МИРА У ЕВРОПИ"
VIDEO: https://www.facebook.com/237292086351340/videos/1903920453033752/

La copertina del libro / Наслов књиге: http://www.beoforum.rs/images/pdftojpg-me-1.jpg
Вест о промоцији књиге су пренеле НОВОСТИ: http://www.beoforum.rs/images/pdftojpg-me-1-1-.jpg

ДОСЛЕДНОСТ У ОДБРАНИ ИНТЕРЕСА СРБИЈЕ
Реч амбасадора Драгомира Вучићевића на промоцији књиге „1244 – кључ мира у Европи“ 28. септембра 2018. у СКЗ

---


НОВА КЊИГА ЖИВАДИНА ЈОВАНОВИЋА - 1244 КЉУЧ МИРА У ЕВРОПИ

недеља, 30 септембар 2018

Прилог одбрани права Србије на Косово и Метохију

У Српској књижевној задрузи промовисана је књига „1244 – кључ мира у Европи“, аутора Живадина Јовановића, дипломате и министра инстраних послова Југославије (1998. – 2000.). У присуству представника медија о књизи су говорили: Драгн Лакићевић,  главни уредник Српске књижевне задруге, проф. др Мило Ломпар, Драгомир Вучићевић  амбасадор у пензији и аутор.

Књига је збирка чланака, интервјуа и јавних иступања аутора објављених у домаћим и страним медијима у периоду од 1997. до септембра 2018. године (890 стр.) Подељена је у 5 поглавља – Време тероризма, Време агресије, Време илузија, Време отрежњавања и Прилози.  Рецезенти су академик Владо Стругар, проф Мило Ломпар и амбасадор Чедомир Штрбац, а уредници амбасадор Драгомир Вучићевић и књижевник Драган Лакићевић. Издавачи су Београдски форум за свет равноправних и Српска књижевна задруга.

Говорећи о књизи, професор Мило Ломпар је указао да она одражава континуитет ставова аутора у заступању државотворног и националног интереса Србије и српског народа, који се препознаје у његовом вешедеценијском дипломатском раду и јавним иступањима. Истицање значаја Резолуције СБ УН 1244, треба разумети као израз дугорочног али и актуелног погледа на значај Косова и Метохије за Србију и српски народ. Питање Косова и Метохије дубоко задире у питање националне егзистенције и свести, а књига Живадина Јовановића снажно реафирмише државотворну традицију српског народа успостављену у 19. веку – нагласио је, поред осталог, професор Мило Ломпар. Као посебну вредност књиге, он је истакао њен документарни карактер.

Амбасадор Вучићевић је као основне тезе аутора издвојио: потребу да се Србија више окрене себи и својим дугорочним интересима а мање актуелним очекивањима од међународних фактора који се у односу на Србију руководе искључиво својим експанзионистичким геополитичким циљевима. Србија треба да се држи основних принципа међународног права и одлука СБ УН, свидело се то некоме или не, да гради уравнотежене однесе са свим међународним чиниоцима, а посебно са пријатељима који нису учествовали у агресији НАТО нити су признали једнострану сецесију. Вучићевић је издвојио и став аутора да је Европска унија потребна Србији само онолико колико је Србија потреба Унији, те да је чланство у ЕУ легитиман циљ уколико није условљено одрицањем од суверенитета и територијалног интегритета. Праведно и одрживо решење за Косово и Метохију могуће једино на основу поштовања принципа Повеље УН, Завршног документа ОЕБС-а, Резолуције СБ УН 1244 и Устава Србије. Настојања да се Србији уценама наметну решења која представљају легализацију кршења тих принципа и одлука водили би продубљивању нестабилности и гомилању конфликтног потенцијала на Балкану и у Европи – упозорио је Вучићевић.

Аутор је подсетио да се до Резолуције СБ УН 1244 дошло тешким двомесечним преговорима током агресије НАТО, уз посредовање Русије. По њему ни данас нема изгледа за постизање уравнотеженог, праведног и одрживог решења у билоком ужем формату, без директног учешћа Русије. Резолуција СБ УН 1244 је компромис интереса Србије али и интереса свих кључних чинилаца европских и светских односа укључујући Русију и Кину као сталне чланице СБ УН и силе растуће глобалне моћи. Ако агресија НАТО-а 1999. године није могла да се оконча без директног ангажовања Русије председника Јељцина, онда је данас, у условима мултиполарних светских односа, директно ангажовање Русије председника Путина у решавању проблема који су последица те агресије, императив. Покушај решавања проблема Косова и Метохије у уском оквиру ЕУ израз је тежњи да се искључе Русија и Кина и да се уценама наметну једнострани геополитички интереси Запада, односно ЕУ и НАТО. Ти интереси су огољени - конфронтација са Русијом и Кином

Прихватање или мирење са таквим настојањима не би водило одрживом компромису већ даљој дестабилизацији Балкана и Европе. Формат преговора у Брислу без Русије, подсећа на формат преговора у Минхену када су западне силе, тачно пре 80 година «бранила» људска права припадника нем,ачке националне мањине и «спашавале» мир силом одузимајући Судетску област од Чехословачке, игноришући супротне ставове СССР-а и спречавајући његову улогу. Ко је у том „споразумевању“ учествовао а ко је био искључен и до чега је „свеобухватни правно обавезујући споразум“ од 30. септембра 1938. довео, добро је познато – упозорио је Јовановић. 
28. септембар 2018.


=== 2 ===

ОРИГ.: Сведочанство о доминацији политичке силе (Аутор: Живадин Јовановић, 12 јун 2018)
Војно- технички споразум једно од упечатљивих сведочанстава о времену доминације политике силе у глобалним односима која ни Србији, ни Европи, ни свету није донела ништа добро. Србија је била прва жртва стратегије доминације и интервенционизма који после 1999. и 2000. поприма глобални карактер...

 


Il dominio della politica di forza. Testimonianza

di Zivadin Jovanovic

L'accordo tecnico-militare è una delle testimonianze più significative del dominio della politica di forza nelle relazioni, che non portarono mai nulla di buono né alla Serbia né all'Europa, né al mondo intero. La Serbia fu la prima vittima di una strategia di dominio e interventismo che, dopo il 1999 e il 2000, assunse un carattere globale.

L'aggressione della NATO del 1999, fin dall’inizio, non ha portato i risultati sperati dai pianificatori di Washington, Londra e Bruxelles, in quanto la S.R.J. (Difesa della Serbia) ha dimostrato di essere molto più forte e più dura di quanto da essi auspicato.

Parallelamente, all'interno dell'Alleanza ci sono stati conflitti, perché i generali americani non prendevano molto in considerazione le opinioni dei loro colleghi degli eserciti alleati europei sulla gestione delle operazioni, sulla scelta degli obiettivi e non solo.

Sul piano mediatico, l'Occidente stava vivendo fallimenti a causa delle bugie e delle pianificazioni come, ad esempio, il "Piano ferro di cavallo".

In queste condizioni, per la NATO e i governi degli stati membri era sempre più difficile mantenere il sostegno dell’opinione pubblica. Le proteste si moltiplicavano non solo nei paesi amici, specialmente in Russia e Cina, ma anche in tutto l'emisfero occidentale.

La Jugoslavia, attraverso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, chiese un'azione di condanna della violazione della Carta delle Nazioni Unite; chiese altresì che venisse dato l’ordine di cessare l’aggressione. Inoltre cercò di far condannare l’aggressione e gli aggressori, e fermare la devastazione, le sofferenze delle persone, l’avvelenamento e la distruzione dell’ambiente, agendo in centri internazionali, come Ginevra (ONU), Vienna (OSCE), Parigi (UNESCO), L'Aia (Corte di giustizia), Nairobi (UNEP).

La nostra diplomazia in tutto il mondo ha insistito sulla condanna degli attacchi illegali, mettendo in evidenza, in particolare, il pericolo di creare un precedente che metterebbe in discussione l'intero sistema di sicurezza, per decenni pazientemente costruito sull’eredità della seconda guerra mondiale. Tutto ciò non ha avuto un impatto diretto sul processo decisionale nei forum internazionali, ma ha anche creato insoddisfazione e resistenza a livello internazionale, specialmente nell’opinione pubblica dei principali stati membri della NATO. Né i politici né i comandanti della NATO potevano ignorare tutto questo.

Nel processo di creazione di questo pacchetto di pace, tutte le principali potenze del mondo moderno sono state coinvolte direttamente, tra cui Russia e Cina, tutti i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU, tutti gli Stati membri del G8, l'Unione europea e la NATO.

In queste condizioni, da e attraverso la Russia, fin dall'inizio dell'aggressione, ci sono state iniziative finalizzate a trovare il modo di porre fine alla guerra.

La notizia dell’inizio dell'aggressione contro la Serbia (SRJ), ha sorpreso e irritato l'amministrazione di Bill Clinton, che era abituato ad un alto livello di cooperazione di Mosca, determinando l’inversione di rotta dell’aereo del primo ministro Yevgeny Primakov sopra l'Atlantico, con conseguente annullamento della sua visita a Washington e dei colloqui programmati con il vice presidente Al Gore.

In seguito, questo episodio porterà Al Gore e Clinton a chiedere a Jeltsin di nominare Viktor Chernomyrdin come suo inviato personale e mediatore nei negoziati con Slobodan Milosevic, escludendo totalmente Primakov, logico interlocutore.

In particolare, Milosevic e Primakov si conoscevano molto bene, si rispettavano a vicenda dato che, per un certo numero di anni, avevano condotto colloqui diretti, sia in merito alle questioni delle relazioni bilaterali, sia per la risoluzione della questione del Kosovo e Metohija.

Inoltre, durante le prime settimane dell'aggressione della NATO, Primakov, per conto della Russia, aveva mantenuto regolari contatti con i primi ministri di Germania (Gerhard Schroeder), Francia (Lionel Jospin), Gran Bretagna (Tony Blair), Italia (Massimo d'Alema), così come con i rappresentanti dell'amministrazione statunitense.

Primakov era quindi lo statista russo più informato su tutto ciò che era significativo sulla questione del Kosovo e Metohija.

Ma questo non servì a nulla. Gli americani non volevano Primakov ma Chernomyrdin, e Jeltsin ci teneva all'opinione degli americani.

Chernomyrdin, da un lato, teneva colloqui con i rappresentanti dell’amministrazione degli Stati Uniti; soprattutto con il Vice Presidente Al Gore e il Vice Segretario di Stato Strobe Talbott, con Martti Ahtisaari, che aveva lo status di SG delle Nazioni Unite e l'Unione europea, e con i leader dei principali paesi occidentali, e dall’altra parte, con il presidente Slobodan Milosevic.

Durante l'aggressione, Chernomyrdin ha visitato Belgrado quattro volte e ha tenuto colloqui con Milosevic, con la partecipazione di Milan Milutinovic, il presidente della Serbia, Nikola Sainovic, vice primo ministro, Zivadin Jovanovic, il Ministro degli Esteri e altri.

Dopo diversi round di negoziati e la mediazione, il 2 giugno 1999, Marty Ahtisaari e Viktor Chernomyrdin arrivarono ​​a Belgrado e diedero a Slobodan Milosevic il testo del documento sulla fine della guerra.

Durante i colloqui a Palazzo Bianco di Belgrado, la parte jugoslava cercò di apportare alcune modifiche al documento, al fine di garantire un maggiore rispetto degli interessi della Serbia e della Jugoslavia, ma senza risultati.

In risposta alla mia domanda posta a Chernomyrdin sul perché il testo prevedesse l'implementazione del cap. 7 e non del cap. 6 della Carta delle Nazioni Unite, come concordato nei precedenti cicli di colloqui, Martti Ahtisaari, posando teatralmente il braccio sopra la spalla di Chernomyrdin disse: "Perché lo abbiamo deciso io e mio fratello Chernomyrdin".

Il giorno seguente, il 3 giugno 1999, il documento fu accettato dall'Assemblea nazionale della Serbia e Ahtisaari e Chernomyrdin lasciarono Belgrado. Il bombardamento venne ripreso.

Kosovo e Metohija non devono essere considerati come persi perché persi non sono.

Il negoziato che viene offerto nel cosiddetto capitolo 35 intrapreso con l’UE, le pressioni e il ricatto, confermano che Kosovo e Metohija continuano ad appartenere alla Serbia.

La realtà sostenuta dai commissari di Bruxelles, Washington, Londra e Berlino è che la Serbia è limitata nella sua posizione negoziale.

Il giorno successivo, il 4 giugno, sulla base del documento di Ahtisaari-Chernomyrdin, sul confine jugoslavo-macedone iniziarono i negoziati per il raggiungimento dell'accordo tecnico-militare. Questi negoziati durarono sei giorni, dal 4 al 9 giugno 1999. Furono tenuti in condizioni di continuo bombardamento del paese e, secondo la testimonianza della nostra delegazione, furono estremamente difficili. A causa di atteggiamenti contraddittori, i negoziati venivano frequentemente interrotti per permettere ad entrambe le delegazioni di effettuare le consultazioni.

In uno di questi momenti, la nostra delegazione ha consegnato alla controparte un foglio con il seguente contenuto:

1. La parte Jugoslava dichiara che, ai sensi del paragrafo 2 e 10 del documento di Ahtisaari-Chernomyrdin, è pronta per iniziare il ritiro delle forze dal Kosovo e Metohija in conformità con il piano, che è stato concordato in una riunione di rappresentanti militari il 5 giugno del 1999, tra le delegazioni guidate rispettivamente dai generali Blagoje Kovačević e Mike Jackson. L'inizio del ritiro in conformità con il documento di Ahtisaari-Chernomyrdin implica la sospensione del bombardamento.
2. Tutte le altre questioni relative alla risoluzione della crisi, secondo il piano M. Ахтисари - В. Chernomyrdin, sono di competenza del Consiglio di sicurezza dell'ONU.

Anche questo dettaglio illustra non solo il corso dei negoziati e il rapporto di rispetto tra le parti negoziali, ma la posizione iniziale forte e chiara della parte jugoslavo-serba.

Inoltre, i problemi tecnici e tutte le altre questioni legate alla soluzione politica della crisi, in accordo con il documento di Ahtisaari e Chernomyrdin, devono essere di competenza esclusiva del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e non possono essere oggetto di negoziati con i rappresentanti della NATO, cioè, della KFOR.

Una tale posizione di principio e la necessità della sua affermazione coerente, a tutt’oggi, non ha perso d’importanza.

Al contrario, questo principio negoziato, concordato, accettato e difeso durante l’aggressione militare non può essere dimenticato o occultato in tempo di pace e di "offerte", non importa quanto grandi siano le pressioni e le insidie ​​attuali.

L'accordo tecnico-militare, noto come Accordo di Kumanovo, è stato firmato, a nome della parte jugoslavo-serba, dal generale VJ Svetozar Marjanovic e dal generale-tenente della polizia della Serbia Obrad Stevanovic e, per conto della KFOR, dal generale britannico Mike Jackson.

Durante i negoziati, Slobodan Milosevic ha condotto una lunga conversazione telefonica con Ahtisaari.

In tale circostanza, mi sono trovato vicino a Milosevic e ricordo che, durante quella conversazione, ho insistito sul fatto che l'Accordo tecnico-militare non può snaturare il documento del 3 giugno e che la KFOR, con il mandato delle Nazioni Unite, deve essere il garante di pari sicurezza per tutti i cittadini in Kosovo e Metohija.

Immediatamente dopo la firma dell'Accordo tecnico militare a Kumanovo, il 9 giugno 1999, in serata, tutte le ambasciate, le missioni e i consolati della SRJ ricevettero informazioni e istruzioni urgenti, con i seguenti elementi:

- l'accordo tecnico-militare rappresenta la concretizzazione di una parte del documento di Ahtisaari-Chernomyrdin del 3 giugno 1999. Prevede un graduale ritiro delle nostre forze militari e di sicurezza, con il dispiegamento sincronizzato delle forze delle Nazioni Unite (KFOR).

Si è cercato di non creare situazioni di vuoto di sicurezza eventualmente utilizzabili dai terroristi per mettere in pericolo i cittadini in KiM (Kosovo i Metohija). Il testo è privo di contenuto politico che la parte avversa ha cercato di imporre.

- la leadership e il governo della FSRJ sono rimasti coerenti con gli obiettivi della difesa del paese contro l'aggressione e una soluzione politica pacifica in KiM (Kosovo i Metohija).

- da una situazione di aggressione e distruzione da parte della NATO, la questione è stata trasferita all'ONU su una serie di diritti e principi.. L'ONU si assume grandi responsabilità, ha l'opportunità, dopo tre mesi di sospensione e blocco completi, di recuperare parte del prestigio e della fiducia perduti.

- l'ONU ha la responsabilità speciale di garantire la sicurezza di tutti i cittadini del KiM (Kosovo i Metohija), di eliminare il terrorismo e l'organizzazione terrorista UCK, di disilludere le possibilità di realizzare idee e progetti separatisti, di creare le condizioni per il processo politico e i negoziati sull'autonomia, sulla base del rispetto dell'uguaglianza di tutti i cittadini e le comunità nazionali, sovranità e l'integrità territoriale della Serbia e della SRJ.

- la forza e l'efficienza della nostra difesa, l'unità delle forze difensive, del popolo e della leadership hanno sbalordito il mondo. Il più grande macchinario militare della storia che ha intrapreso una "operazione chirurgica" e "blickrig" non è riuscito a conquistare il paese pronto a difendersi. La nostra nazione è un vincitore morale.

- Il mondo è diventato consapevole dei pericoli posti dalla strategia della NATO come poliziotto mondiale.

- Il tempo mostrerà molteplici effetti devastanti dell'aggressione della NATO contro un Paese sovrano europeo, con la grave violazione della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale in generale, con l'imposizione della forza al di sopra della legge.

- La NATO, e le forze dietro di essa, non hanno nulla di cui vantarsi, hanno perpetrato inganni, distruzione e massacri di civili, hanno usato in modo criminale missili all'uranio impoverito e causato la conseguente catastrofe umanitaria in nome della "protezione dei diritti umani".

- Invece di "preservare la loro faccia" con "operazione lampo", hanno svelato a tutto il mondo di aver violato l'ordine giuridico mondiale, di essere i portatori dell'egemonia e fonte di destabilizzazione globale.

- Il nostro governo rispetterà coerentemente gli obblighi assunti. Ci aspettiamo lo stesso da tutti gli altri. Soprattutto per rispettare la sovranità e l'integrità territoriale della Serbia e della SRJ. Siamo aperti alla cooperazione con altri paesi e organizzazioni internazionali, nel rispetto dell'uguaglianza.

- Esigiamo e lotteremo per: a) determinare la responsabilità di chi ha dato l’ordine e chi ha eseguito l’aggressione come crimine contro la pace e l'umanità; b) avere un risarcimento per danni di guerra a economia, infrastrutture, servizi pubblici, città, villaggi e tutto il resto; c) l'abolizione di tutte le sanzioni e la restituzione dei diritti di associazione sospesi nelle organizzazioni internazionali.

- L'ordine è: la sospensione istantanea delle aggressioni, con il ritiro dal KiM in 11 giorni.

- È in corso la discussione sulla risoluzione SB (consiglio di Sicurezza ONU). Non abbiamo partecipato alla stesura della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Diverse disposizioni sono per noi sfavorevoli, riflettendo gli sforzi dell'aggressore per giustificare e legittimare l'aggressione e i crimini. Riflette il rapporto globale delle forze, comprese le debolezze della Russia.

Tuttavia, il documento, di fatto, testimonia l'aggressione, la distruzione e il gran numero di vittime umane; la Provincia KiM, è presa dalle mani della NATO e posta sotto l'autorità del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; si apre quindi la possibilità di una migliore protezione degli interessi legittimi del paese; il rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale del paese è confermato; si va verso il processo politico per la risoluzione dello status della Provincia come autonoma e con autogoverno, all'interno della Serbia, con la garanzia dell'uguaglianza di tutte le comunità nazionali; si condanna il terrorismo e si stabilisce l'obbligo di disarmare l'organizzazione terrorista UCK; è previsto il ritorno dei contingenti del nostro esercito e della polizia; si sta aprendo la possibilità di ricostruzione, sia nel KiM che in tutta SRJ e nella regione.

- La menzione degli "Accordi di Rambouillet" nel documento del 3 giugno e nella bozza di risoluzione SB è solo una delle dimostrazioni degli sforzi degli Stati Uniti e di altri per dimostrare che essi hanno, apparentemente, il diritto di presentare una tesi sulla continuità dei loro tentativi di "pace" e di giustificare l'aggressione. Ciò, tuttavia, si applica solo ai principi di autogoverno e autonomia, che non sono stati contestati da noi, ma non sui documenti nel loro insieme, specialmente sui capitoli II, V e VII. Rambouillet è stato un tentativo di fornire un alibi per l'attuazione del piano per l'aggressione armata.

 

Cosa dire oggi, 20 anni dopo?

In primo luogo, l'Accordo tecnico-militare è una delle testimonianze più significative del dominio della politica di forza nelle relazioni, che non portarono mai nulla di buono né alla Serbia né all'Europa, né al mondo intero. La Serbia fu la prima vittima di una strategia di dominio e interventismo che, dopo il 1999 e il 2000, assunse un carattere globale.

L'aggressione della NATO del 1999, fin dall’inizio, non ha portato i risultati sperati dai pianificatori di Washington, Londra e Bruxelles, in quanto la S.R.J. (Difesa della Serbia) ha dimostrato di essere molto più forte e più dura di quanto da essi auspicato.

Nel frattempo, gli abitanti di molti paesi, sulla propria pelle, hanno sperimentato il vero significato di un intervento "umanitario", "diritto alla protezione" e "democratizzazione" attraverso "rivoluzioni colorate". Era il piramidale, gerarchico, ordine mondiale che, avendo avuto il suo periodo di massimo splendore, gradualmente, come il sedimentare del terreno dopo l'eruzione vulcanica, volge al termine.

Sono in corso cambiamenti più profondi e completi dell'ordine mondiale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

La costruzione un nuovo ordine mondiale multipolare, basato sui principi di uguaglianza, sull’interesse reciproco e su un maggior ruolo del diritto internazionale, sta inesorabilmente scuotendo la strada, aprendo lo spazio per la democratizzazione delle relazioni internazionali. La resistenza dei centri di potere occidentali e gli sforzi per preservare, a tutti i costi, i privilegi e le vecchie relazioni superate, sono la fonte di grandi pericoli. Il riconoscimento di nuove realtà e l'accettazione della collaborazione come base delle relazioni tra grandi e piccoli sono l'unica via per la pace, la salvezza e il progresso della civiltà.

In secondo luogo, l'Accordo tecnico-militare è parte integrante del pacchetto di pace le cui parti essenziali risultano essere il Documento Milosevic-Ahtisaari-Chernomyrdin, del 3 giugno, e la Risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU 1244 del 10 giugno 1999.

Questi tre documenti, nei contenuti e nella forma, rappresentano un’unità nel suo complesso e nessuno di essi può essere giudicato isolato dagli altri.

Oltre alla Costituzione, per la Serbia, questi documenti sono gli unici parametri affidabili e stabili per l'orientamento e il funzionamento nelle condizioni di grandi sfide, profondi cambiamenti e confusione. Questi documenti, forse, non sono sufficienti, ma l’uscita della Serbia in uno spazio completamente aperto e non demarcato, in cui i poteri forti di una parte del mondo non vedono e non riconoscono niente e nessuno, tranne i loro interessi egoistici, equivarrebbe al gioco d'azzardo. La saggezza e il coraggio nel difendere i diritti e gli interessi acquisiti attraverso la lotta e i grandi sacrifici delle generazioni precedenti escludono qualsiasi unilateralismo, occasionale sottovalutazione del carattere nazionale, della storia o della spiritualità. Dobbiamo essere consapevoli che la glorificazione delle donazioni, degli investimenti e dei benefattori di quei paesi e leader, le cui politiche negli anni '90 hanno inflitto danni enormi al popolo serbo – sua spaccatura, satanizzazione, sanzioni, bombe e armi radioattive - non è in linea con la preoccupazione di preservare l'identità nazionale, la dignità e una vita migliore.

In terzo luogo, questo pacchetto di pace è parte integrante del sistema di diritto pubblico internazionale, per cui ha il carattere giuridico vincolante in generale. Carattere imperativo della risoluzione SB UN 1244 rende questo pacchetto di pace un segmento con più grande potere legale nella gerarchia degli atti giuridici e, pertanto, non può essere cambiato, annullato o ridotto, con un qualsiasi nuovo atto giuridico o politico, a meno di una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dello stesso valore.

Va ricordato che nel processo di creazione di questo pacchetto di pace furono direttamente coinvolte tutte le principali potenze del mondo moderno, tra cui Russia e Cina, tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, tutti i membri del G-8, l'Unione Europea e la NATO. Pertanto, questo pacchetto di pace rappresenta un compromesso tra vari interessi, ma anche l'obbligo di tutti gli attori della comunità mondiale che tutto ciò che è stato concordato e firmato sarà anche rispettato, e non solo la volontà o il diritto di una parte ristretta della comunità mondiale.

Nella sua genesi, contenuto e gerarchia legale, il pacchetto di pace del giugno 1999 è parte integrante del sistema di sicurezza europea e mondiale. Pertanto, la presenza di tentativi di ignorare, aggirare o denigrare tali documenti, non sarebbe possibile senza minacciare seriamente il sistema stesso, e senza nominare attesi e possibili effetti boomerang.

In quarto luogo, la Serbia, che in buona fede ha rispettato e osservato tutti gli obblighi di tutti i documenti del pacchetto di pace, tra cui quelli derivanti dall'accordo tecnico-militare, ha il diritto e l'obbligo morale di continuare a cercare di far rispettare anche agli altri gli obblighi accettati, e non ancora eseguiti, e in conformità con questi documenti.

Inoltre e soprattutto, ha il dovere:

- di rispettare le garanzie date per la sovranità e l'integrità territoriale della Serbia con il Kosovo e Metohija, avente l'autonomia più ampia, come parte integrante (nell'Accordo, tra le altre cose, c’è scritto che la KFOR avrebbe "provveduto a fornire adeguato controllo dei confini della SRJ” verso l'Albania e FYRM, art. 2, punto “h");

- i suoi confini internazionalmente riconosciuti;

- di accettare i negoziati sul ritorno delle unità militari e di polizia nella provincia;

- di garantire le condizioni per il ritorno libero, sicuro e dignitoso di circa 250.000 espulsi tra serbi e altri non albanesi;

- di garantire la sicurezza a tutti i cittadini della provincia, compresi i serbi;

- di garantire l'inviolabilità della proprietà privata di serbi, Serbia e SPC.

Se le altre parti ostacolano, non vogliono o non accettano tali impegni ed obblighi, questo non dovrebbe essere visto come aggravante per la posizione della Serbia o come l’obbligo di fare passi indietro, ma deve essere visto come comportamento assolutamente inaccettabile.

In questo caso, la Serbia dovrebbe considerare altre opzioni legali, politiche e diplomatiche disponibili.

In quinto luogo, i documenti relativi al pacchetto di pace, compreso l'accordo tecnico-militare, non erano particolarmente favorevoli per la Serbia.

Tuttavia, la guerra e le altre condizioni hanno reso più difficile dare seguito al contenuto di questi documenti, che proteggevano gli interessi importanti della Serbia, e soprattutto la sovranità e l'integrità territoriale del paese.

È vero che l'Occidente usa ancora oggi i metodi di minacce, ricatti e inganni. Tuttavia, è difficile essere d'accordo sul fatto che oggi ci sono ragioni giustificate per abbandonare o negare i diritti e gli interessi riconosciuti alla Serbia sotto le bombe della NATO del 1999. Oggi, anche l'Occidente richiama sempre più la necessità di rispettare le relazioni internazionali basate sulla legalità. La velocità e la profondità del cambiamento nelle relazioni globali contribuiranno al fatto che L’Occidente richiami sempre più di frequente il rispetto del diritto internazionale nel prossimo periodo.

Il cancelliere tedesco Angela Merkel non ha detto mercoledì scorso nel Bundestag che il G-7 è stato "definito da membri che rispettano le leggi internazionali" ("Politika", 7 giugno 2018)!

Sesto: in difesa del diritto della Serbia al Kosovo e Metohija, la sua Costituzione, la Carta delle Nazioni Unite, il Documento finale dell'OSCE e il diritto internazionale sono gli argomenti e i supporti più importanti. Il Pacchetto di pace del 1999, in particolare la risoluzione SB UN 1244, ha un significato insostituibile e duraturo che deve essere affermato in ogni momento, senza cedere né ai desideri, né alle aspettative o alle varie pressioni, da qualunque parte, per rimuovere e portare quei documenti in secondo piano o nell’ombra. Questi documenti non devono in alcun modo essere subordinati ai nuovi "documenti giuridicamente vincolanti".

Kosovo e Metohija non devono essere considerati come persi perché persi non sono.

Il negoziato che viene offerto nel cosiddetto capitolo 35 del negoziato con EU, le pressioni e il ricatto confermano che Kosovo e Metohija continuano ad appartenere alla Serbia. Questa è la realtà ripetuta dai commissari di Bruxelles, Washington, Londra e Berlino. Per la Serbia, la realtà è molto più ampia e complessa. Invece di dichiarazioni disfattiste che rafforzano inconsciamente la posizione e l'intransigenza di Pristina, sono necessari maggiori sforzi e creatività per esplorare le direzioni per rafforzare la posizione negoziale della Serbia. Abbiamo abbastanza conoscenze ed esperienza per capire che l'appartenenza all'UE è utilizzata come mezzo per estorcere le continue concessioni della Serbia, che l'UE non è quella che era e che il suo ruolo e la sua influenza stanno rapidamente diminuendo. Pertanto, non abbiamo il diritto di fare affidamento su alcun tipo di sue garanzie e promesse. Questo potrebbe portarci in situazione dove Serbia consegna tutto e non ottiene nulla.

 

Zivadin Jovanovic,  Presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali

12 giugno 2018    -  Traduzione di Jovanka A. per Forum Belgrado Italia/CIVG



=== 3 ===

[intervista al noto diplomatico, ex Ministro degli Esteri della Jugoslavia federale e attuale presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali, Z. Jovanović]


СВЕДОЧИМ О ИСКУСТВИМА


Живадин Јовановић:
Одговори на питања новинара „Политике“ Дeјана Спаловића, о дипломатији

 

Да ли дипломата икада иде у пензију?

Зависи од личности. Ако не сви, онда већина нас који смо својевремено радили у дипломатији волела је тај позив,  спремно је прихватала све изазове и била задовољна својим својим статусом и угледом како у земљи тако и у светској дипломатији. Отуда је природно што и после пензионисања настављамо да се интересујемо о спољној политици и међународним односима. Осећам се пријатно кад видим колико мојих колега, дипломата у пензији данас пише и иступа у медијима, објављује књиге, учествује на конференцијама, путује по свету. Пензија означава престанак редовног запослења, али није забрана за друштвено корисне активности, алиби за  интелектуалну непокретност или јадиковање због немоћи.

[IMG: Prijem kod Premijera NR Kine Dzurondzija, decembar 1999.]


Чиме се данас конкретно бавите?

Пишем о спољној политици, мултиполаризацији, кинеској иницијативе „Појаса и пута“, решавању статуса Покрајине Косово и Метохија, хаосу у Европској унији, изворима угрожавања мира. 
Сведочим о искуиствима Југославије и Србије и њиховом значају за политичку стратегију данас. Добро је што чешће одајемо пошту жртвама за одбрану, не ваља што као нико на свету,  своју часну историју проглашавамо погрешном, митоманском, небеском. Чудимо се и жалимо Унији, Немачкој, Аустрији - свима, од Рејкјавика до Владивостока - што други, дрско, оправдавају обнову неонацифашизма, славе своје цивилизацијске падове и злочине, укључујући геноцид над српским народом, као да не схватамо да их ниподаштавањем наше историје и нације охрабрујемо да буду још дрскији према Србији. Ко на свету даноноћно тврди да је имао погрешну историју, да је зато све изгубио, али да непријатељима попушта зато што је јак!

Повремено иступате у име Београдског форума?

Волим рад у Форуму јер је слободан, независтан, непоткупљив. Основала га је 2000. године група интелектуалаца, дипломата и слободно мислећих људи из тадашње СРЈ и српског расејања. Међу оснивачима су били, сада покојни академик Михајкло Марковић, професор Гавро Перазић, писци Радош Калајић и Чедомир Мирковић. И данас у Форуму имамо научника, дипломата, професора, генерала, привредника, хуманиста. Сви до једнога волонтирамо.  

[IMG: Jevgenij Primakov, raniji MIP, potom Premijer Rusije, bio je rado vidjen gost u Beogradu ]   

А како се финансирате?

Од чланарине, продаје књига и помоћи српског расејања. Нисмо миљеници ни буџета, ни страних фондација. Није лако јер треба плаћати закупнину за седиште, комуналије, сале за конференције, штампање књига... Али је пријатно када  не дугујете, нарочито, не у погледу мишљења која јавно заступате. Деси се да појединци, из Србије или иностранства, кад чују или прочитају нешто о нашем активностима, ставовима, књигама, затраже број рачуна Форума и уплате извесну помоћ. То нам далеко више значи као признање и охрабрење, него што нам решава финансијске тешкоће.

Пре две године основали смо Центар за истраживање повезивања на путу свиле (ЦИПО) који је партнер бројним удружењима у Европи, Кини и другим деловима света који подржавају Иницијативу Пута и појаса као стратешки важну за мир и развој. Она, поред осталог, омогућава Србији да свој геополитички положај, «кућу насред друма» први пут у историји претвори у важан фактор развоја. ЦИПО је издао књигу амбасадора Александра Јанковића «Повезивање на кинески начин», неку врсту приручника «Кина за почетнике из Србије». Поред тога, волонтирам и у хуманитарној организацији Расејање за матицу која је само за саниррање поплава у Србији и Републици Српској обезбедила преко милион евра.

Форум је члан Светског савета за мир, са седиштем у Атини и један од оснивача Светског удружења тинк танкова Пута свиле, са седиштем у Пекингу. Недавно сам учествовао на оснивачкој скупштини међународног удружења градова лука са седиштем у Тијенцину, Кина. Огранак Форума функционише и у  Италији (Forum di Belgrado Italia).
Учествујем у раду Шангајског форума, једне с�

(Message over 64 KB, truncated)