La CIA met en place un dispostif de sabotage du plan Annan et de toute tentative de paix en Syrie. Renouant avec les méthodes de la Guerre froide durant laquelle elle fabriquaient des groupes subversifs dans le Bloc de l’Est et les intégrait dans des fronts combattants internationaux, la CIA a organisé à Miami un séminaire de formation joint pour les opposants armés cubains et syriens.
Jugoinfo
Moscow against training Syrian militants in Kosovo
Kosovo : l’opposition syrienne à l’école de l’UÇK ?
Syrian opposition studies terror tactics in Kosovo
Marinella Correggia
Quel che è certo è che da mesi la violenza più atroce e incredibile (settaria?) in Siria ha corso comune. Quel che è certo l’orrore di molti bambini e adulti trucidati, a Hula, in Siria. Un atto diabolico. Dolorosissimi i video (con ambientazioni diversificate) che mostrano quei piccoli corpi. Ma sugli autori del massacro e sulle dinamiche le versioni sono come al solito opposte. Le fonti dell’opposizione li attribuiscono all’esercito. Il regime siriano nega ogni responsabilità, annuncia un’inchiesta di tre giorni e sostiene che l’attacco armato è stato portato invece da “armati antigovernativi”.
Anche il centro di informazioni cattolico della provincia di Homs Vox Clamans dà una versione ben diversa da quella dei media internazionali.
Per quanto non ci siano conferme del coinvolgimento dell’esercito siriano nell’attacco, i media internazionali e i leader si sono precipitati ad accusare il regime e a chiedere un intervento internazionale forte, e così la stessa opposizione siriana, con il cosiddetto Esercito libero che si ritiene ormai libero da ogni vincolo di cessate il fuoco chiesto dal piano Annan). Un’occasione davvero utile, perla Clintoncome per il Qatar. Dunque il chiedersi “cui prodest” non è peregrino.
Le voci vanno sentite tutte, e senza mistificarle. Vediamo cosa dice l’Onu. Qui http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=42094&Cr=Syria&Cr1 non nomina responsabili: “Gli osservatori della missione Onu Unsmis confermano l’uccisione di 90 civili di cui 32 bambini, più molti feriti, nel villaggio di Houla, dopo aver visto i corpi” (ma ovviamente le dichiarazioni dell’Onu vengono manipolate dall’Ansa che titola “L’Onu accusa l’esercito”). Prosegue il sito Onu: “Il generale Robert Mood, capo dell’Unsmis, ha dichiarato che le circostanze di queste tragiche uccisioni non sono tuttora chiare”.
Il sito scrive inoltre che gli osservatori confermano anche, da un’analisi di residuati, che tiri di artiglieria sono stati effettuati contro un quartiere residenziale. Ma non è specificato da chi.
Il governo siriano invece sostiene che l’esercito non ha usato artiglieria o armi pesanti contro i civili e a che a compiere la strage sono stati i “terroristi” che a centinaia hanno attaccato Houla con armi pesanti compresi lanciarazzi anticarro.
Ban Ki-Moon e Kofi Annan hanno emesso un comunicato: “Questo crimine brutale che indica un uso indiscriminato e sproporzionato della forza è una violazione flagrante della legge internazionale e degli impegni da parte del governo rispetto al non uso di armi pesanti nei centri abitati (…) i responsabili dovranno pagare”. Sia Mood che Annan che Ban Ki Moon hanno chiesto al governo siriano di smettere di usare armamenti pesanti nei centri abitati ma hanno anche chiesto a tutte le parti di cessare le violenze in tutte le loro forme.La Reutersriferisce anche di queste parole di Mood: “Chi ha iniziato, chi ha risposto e chi è responsabile dovrà pagare”.
La tivù russa RT scrive (http://www.rt.com/news/fsa-annan-plan-307/): “Inizialmente il massacro è stato riferito da attivisti dell’opposizione fra i quali l’Osservatorio siriano per i diritti umani basato a Londra secondo i quali la città è stata bombardata dalle forze governative durante manifestazioni antiregime”. I bombardamenti sarebbero continuati da venerdì a mezzogiorno fino all’alba di sabato.
Il punto è che i morti nei video dalle ferite e dallo stato non sembrano essere vittime di bombardamenti sulle case ma di esecuzioni. Lo afferma anche un ex del Pentagono intervistato da Rt. Il collegamento fra azioni dell’esercito e i bambini morti dei video sembra non essere possibile.
Chi ha ucciso? Degli armati sicuramente non riconoscibili (quindi anche eventuali superstiti troveranno difficile dare risposte vere) e sulla base dei loro interessi. Che non sembrano essere quelli della pace ma piuttosto di una tensione sempre maggiore con intervento esterno. Digitando su youtube “Hula massacre”, appaiono alcuni video, con tanti corpicini stesi sulle coperte, in ambientazioni diverse. I piccoli morti non appaiono vittime di bombardamenti sulle loro case ma piuttosto di esecuzioni mirate, uno a uno (non c’è la polvere e la distruzione che in genere si accompagnano ai tiri e ai bombardamenti che distruggono abitazioni, si pensi a certe foto dalla Libia). C’è un altro video che mostra bambini morti con le mani legate (una stranezza che pare artificiosa e che richiama un video riferito a Homs in marzo, poi rivelatosi una mistificazione da parte dei rivoltosi).
Un altro video ancora mostra le immagini mostrate anche da Sana e dalla Press tv sulle due famiglie (con nomi) uccise in un villaggio da gruppi armati, ma attribuisce i morti con didascalia in spagnolo a Huila e alle “gang di Assad”.
Non sembrano esserci video di bombardamenti a Hula. Sempre digitando “Hula massacre” c’è un video che mostra uomini per strada (dove?), alcuni con bandiere – non quelle dell’opposizione – e poi si sentono rumori di spari e un fuggi fuggi con qualcuno che rimane per terra.
Secondo il Centro di informazioni Vox Clamans della diocesi di Homs, le cose sono andate molto diversamente da quel che dicono i media e l’opposizione. “Un nostro testimone oculare di Kfar Laha, presso Hula ci ha detto: ‘Bande armate in gran numero hanno attaccato le forze dell’ordine o dell’esercito vicino all’ospedale Al Watani che hanno perso veicoli e un blindato. Sono seguiti scontri fino a tarda notte e invano i governativi hanno cercato di respingere l’attacco con l’artiglieria e molte perdite. Uccisi o feriti 35 soldati, e nove miliziani. I miliziani sono entrati nell’ospedale massacrando tutti i presenti. Hanno portato via i cadaveri in coperte dell’ospedale e li hanno ammucchiati in un luogo di Hulé che sembra essere una moschea. Poi sono entrati in varie case del quartiere sud uccidendo i civili e ammucchiandoli per mostrarli agli osservatori, prima di bruciare le loro case. In 24 ore cento sunniti sono stati massacrati a Tal Daw (Houlé), alaouiti sono stati massacrati a Shiphonyieh, ismailiti a Salamyeh e cristiani a Qusyar”. La consegna delle bande armate sembra essere incendiare il conflitto religioso. E la previsione è sinistra : il mosaico siriano si potrebbe rompere in una guerra civile alla libanese.
L’agenzia Sana http://www.sana.sy/eng/337/2012/05/27/421559.htm parla di altre decine di assassinati civili “per mano di al Qaeda”: dà i nomi di diverse famiglie uccise nei villaggi Tal Daw e al-Shumariyeh e mostra diverse foto.
Rappresentanti del Consiglio Nazionale Siriano (CNS), il principale raggruppamento antigovernativo in Siria, e membri dell'anticubana Assemblea della Resistenza Cubana (ARC) hanno sottoscritto un “accordo di collaborazione”
*Percy Francisco Alvarado Godoy è giornalista guatemalteco che risiede a Cuba. Collabora a numerose testate, tra cui “Cubadebate” e “Rebelion”
La notizia non sorprende nessuno. Rappresentanti del Consiglio Nazionale Siriano (CNS), il principale raggruppamento antigovernativo in Siria, e membri dell'anticubana Assemblea della Resistenza Cubana (ARC) hanno sottoscritto un “accordo di collaborazione”, l'8 maggio, nell'Hotel Biltmore, a Coral Gables, Miami, il cui proposito è “coordinare azioni” per provocare il rovesciamento incostituzionale dei governi siriano e cubano. “Stiamo lottando per lo stesso ideale che non è altro che il rispetto dei diritti fondamentali dei popoli di Siria e Cuba”, ha sottolineato la provocatrice Sylvia Iriondo, il cui padre è stato un noto agente della CIA e ha partecipato alla sconfitta invasione mercenaria a Playa de Giron.
CNS e ARC si sono incontrati per caso? Certo che no. L'accordo è il risultato della creazione di una forza di scopo (Task Force), tra agenzie e governi, a cui partecipano congiuntamente la CIA, il Mossad, l'M16, le sezioni Cuba e Siria del Dipartimento di Stato, l'intelligence militare del Pentagono, gruppi di pressione filo-israeliani e anticubani all'interno del Congresso e vari rappresentanti dell'estrema destra, particolarmente Ileana Ros-Lehtinen. La Task Force è stata formata con il consenso di vari governi, quelli che hanno piena consapevolezza dell'attivazione di questo gruppo e dei suoi piani futuri, tra cui si distinguono Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita, Regno Unito e altri paesi dell'Unione Europea e delle Lega Araba. E' probabile che anche tre governi latinoamericani siano stati consultati in merito.
Questo gruppo di scopo funziona da pochi mesi e si è posto come obiettivi, i seguenti:
1) Coordinare azioni di appoggio comune sul piano internazionale, sviluppando una guerra mediatica di alta intensità che può contare su vaste risorse messe a sua disposizione. In tal senso, viene contemplato l'impiego delle reti sociali per sommergerle con un attacco continuo di distorsione della realtà interna a Cuba e in Siria, appoggiandosi su gruppi controrivoluzionari interni, di cui è stato definito con chiarezza il ruolo nella vendita di un'immagine distorta delle loro realtà nazionali.
Nel caso di Cuba, la SINA (Ufficio degli interessi degli Stati Uniti a Cuba) ha un ruolo determinante nel coordinamento delle azioni di provocazione e destabilizzanti. Nel caso della Siria, vari centri operativi ubicati a Parigi, Istanbul, Baghdad, Londra, e altre capitali europee e arabe, assolvono a questo compito che si inquadra nella guerra ideologica.
2) Creare un fronte unito e scambiare strategie comuni, che tengano conto dell'esperienza accumulata dai gruppi controrivoluzionari nelle rispettive nazioni. A tale scopo, il gruppo di scopo studia la possibilità, coltivata inutilmente per decenni, di promuovere una frattura tra le FAR (Forze Armate Rivoluzionarie) e il MININT (Ministero dell'Interno) di Cuba rispetto alla direzione del paese, avendo come riferimento l'esperienza maturata in Siria.
Davanti all'impossibilità di promuovere l'inserimento di mercenari stranieri all'interno di Cuba, come è accaduto in Siria, il gruppo di scopo ha ben chiara la creazione di condizioni per riattivare le azioni terroriste sviluppate contro Cuba negli anni passati, studiando i profili della forza controrivoluzionaria interna per individuare chi potrebbe essere potenzialmente impiegato in questo compito. In tal senso, si sta studiando l'invio di alcuni istruttori provenienti dall'Europa e da nazioni latinoamericane per preparare, surrettiziamente, alcuni controrivoluzionari all'utilizzo di esplosivi, delle tecniche di sovversione e di altri metodi di guerra sporca. Il gruppo di scopo ha pensato di incorporare alcuni cittadini latinoamericani, alcuni dei quali hanno servito in Iraq e Afghanistan, per preparare gruppi di infiltrazione allo scopo di realizzare sabotaggi dentro Cuba. Sono stati contattati anche terroristi di origine cubana e gruppi come Alpha 66, Comandos F4, tra gli altri, per reclutare persone da addestrare in campi all'interno degli Stati Uniti o in qualcuno dei paesi latinoamericani contattati.
3) La forza di scopo si è impegnata a utilizzare tutti i canali diplomatici possibili per demonizzare sul piano internazionale i governi di Bashar Al Assad e Raul Castro, in particolare all'interno delle Nazioni Unite, l'OSA, la Lega Araba, e utilizzando una vasta gamma di ONG, allo scopo di deformare deliberatamente la situazione dei diritti umani in queste nazioni.
4) La forza di scopo dispone di fonti di finanziamento attraverso fondi segreti già assicurati dai governi coinvolti, fondamentalmente attraverso conti fantasma della CIA, del Mossad e di altre agenzie, spacciati come contributi a ONG.
Si stanno attuando studi per potere abilitare i canali logistici necessari per far arrivare gli interessati a Cuba e in Siria, tutte le risorse logistiche necessarie per realizzare le loro missioni.
In sintesi, l'accordo firmato dalla parte cubana (Berta Antunez, Orlando Gutiérrez, Silvia Iriondo, Laida Carro, Horacio Garcia, Raul Garcia e Luis Gonzales Infante) e dalla parte siriana (l'Unità per una Siria Libera, la Commissione Generale della Rivoluzione, il Gruppo di Lavoro dell'Emergenza Siriana, l'American Syrian PAC, il Consiglio Siriano-Americano e l'Organizzazione dei Siriani Espatriati, tra cui si trovavano Niman Shukairy e Mohamed Kawam) è solo una copertura per qualcosa di più grande.
Molti potranno anche definire questo lavoro come una speculazione senza fondamento, ma coloro che sanno come funzionano i servizi nemici, sono coscienti che non deriva da un evento pubblico ma da qualcosa che c'è dietro l'infrastruttura segreta per articolarlo, o perlomeno dalla Task Force incaricata dell'esecuzione. In questo, sia la CIA che il Mossad hanno una vasta esperienza. L'importante è mantenersi vigilanti e aver chiaro che il nemico si muove nell'ombra. Occorre farlo, anche se si deve sapere, in anticipo, che una “primavera araba” a Cuba è la semplice masturbazione di un nemico testardo, illuso, ma pericoloso.
L’opposition syrienne prend ses quartiers d’été à Miami
Cuban-Syrian Joint Declaration of Agreement
The Cuban Resistance recognizes the Syrian Revolution as a legitimate expression of the highest aims and ideals of the Syrian people ;
The Syrian Revolution recognizes the Agreement for Democracy as a legitimate expression of the highest aims and ideals of the Cuban people ;
The Cuban Resistance joins those nations, which have recognized the Syrian Revolution as a legitimate representative of the Syrian people ;
The Syrian Revolution adopts the Vilnius Resolution of the Parliamentary Forum of the Community of Democracies in recognizing the Cuban Resistance as a legitimate representative of the Cuban people ;
To coordinate all of our political, diplomatic, logistic and humanitarian efforts in pursuit of the liberation of Cuba and Syria ;
hence constituting a United Front for Freedom and Democracy ;
For the Syrian Revolution : Khaled Saleh (General Commission for the Revolution), Mohamed Kawam (Syrian Emergency Task Force — SETF), Yahia Basha (United for a free Syria — UFS), Bashar Lufti (American Syrian Public Affairs Committee —(AMSPAC), Imad Jandali (Syrian American Council — SAC), Maher Nana (Syrian Expatriates Organization —SSO— and Syrian Support Group — SSG).
La Russie proteste contre l’entrainement de factieux syriens au Kosovo
[1] « Le gouvernement kosovar et le crime organisé », par Jürgen Roth, Réseau Voltaire, 8 avril 2008.
[2] « L’UÇK, une armée kosovare sous encadrement allemand », Réseau Voltaire, 15 avril 1999.
La delegazione siriana in Kosovo
Fonti serbe
Non lasciare soli i siriani
Wed, 05/23/2012 - 16:04 -- MRS
http://groups.yahoo.com/group/stopnato/messages
Website and articles:
http://rickrozoff.wordpress.com
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ADN Kronos - April 17, 2012
Macedonia: Mysterious 'army' threatens 'liberation of Albanian lands'
Skopje: Tensions were high in the former Yugoslav Republic of Macedonia on Tuesday, less than a week after the murder of five Macedonians near the capital of Skopje, as a mysterious “army” threatened a “liberation of occupied Albanian lands”
The until recently unknown “The Army for Liberation of Occupied Albanian Lands”, in a statement published by the Macedonian media, gave the government an ultimatum to withdraw in two weeks from what it called “occupied Albanians lands” or face reprisals.
The “army’ said it has decided at a meeting of its “general staff” it would attack “Slavo-Macedonian police and military structures” if they don’t withdraw from the territory inhabited by ethnic Albanians.
Ethnic Albanians, who make about 25 percent of Macedonia’s two million population, are concentrated mostly in the west of the country bordering Albania, but there are numerous cities, like Skopje, with a mixed population.
Five Macedonian youths and a middle aged man were killed last week near a lake north of Skopje while fishing and local media speculated the murders were ethnically motivated.
The police still haven’t discovered the perpetrators and about one thousand Macedonians protested in Skopje Monday evening, smashing windows at a government building and clashing with police.
Six people, including three policemen, were injured in the clashes and fourteen protesters were arrested as police blocked demonstrators from marching onto Albanian section of the city.
Ethnic Albanians rebelled in 2001...gaining concessions from the government under international [NATO, U.S., EU] mediation. But tensions have been running high ever since.
Macedonians are Slavs and the mysterious army has accused prime minister Nikola Gruevski of “daily violations of the rights of Albanians”, of “spreading anti-Albanian ideology, staging attacks on innocent Albanians and of blocking Albanian villages”.
“We have been silent long enough, the silence is now over,” the statement said. It vowed to “revenge brothers” and to “respond on fire with fire, an eye for an eye and an arm for an arm”.
La Macédoine et l’OTAN : initiative turque, inquiétudes grecques
Cette initiative provoque l’inquiétude à Athènes. Un compte-rendu des discussions entre les partis politiques sur la formation d’un nouveau gouvernement a été rendu public par le cabinet du président Papoulias. Ce compte-rendu précise que l’adhésion de la Macédoine n’est pas à l’ordre du jour du sommet de l’OTAN mais que, si cette question devait être débattue, les représentants de la Grèce devraient opposer leur veto.
La question de la Macédoine a été évoquée par le chef du Parti des grecs indépendants Panayotis Kammenos, inquiet que la Grèce soit représentée par un gouvernement à l’autorité limitée lors du Sommet de Chicago. « Si la question de la Macédoine se pose, elle doit être résolue dans le cadre de notre stratégie nationale et conformément à l’argumentation que la Grèce a préparé en réponse au verdict de la Cour internationale de Justice de La Haye. Nos arguments doivent être plus subtils que ceux soumis en 2008. Nous devons les renforcer de manière plus ingénieuse, plus intelligente », a répondu le chef du PaSoK, Evangelos Venizelos.
Alexis Tsipras, le dirigeant de la coalition de gauche SYRIZA, la secrétaire générale du Parti communiste (KKE), Alexandra Papariga, et le dirigeant de la Gauche démocratique Fotis Kuvelis estiment également que la Grèce devrait opposer son veto si jamais la question de l’adhésion de la Macédoine à l’OTAN était posée. Pour Alexis Tsipras, la condition sine qua non pour résoudre le différend est un nom à déterminant géographique acceptable pour les deux parties.
Mass unemployment and poverty fuel ethnic tensions in Macedonia
By Paul Mitchell
23 May 2012
Macedonia has recently witnessed a resurgence of ethnic tensions. The ability of nationalist politicians to mobilise large numbers of demonstrators is fuelled by the terrible social conditions in the country.
In March, violence erupted in the capital, Skopje, after two ethnic Albanians were killed in the western town of Gostivar by an off-duty police officer. Two weeks of rioting followed, leading to dozens of injuries. On April 16, large crowds demonstrated in Skopje blaming ethnic Albanians for the killing of five Macedonian Slav fishermen near Smiljkovci.
On May 11, thousands of ethnic Albanians rallied in several Macedonian towns protesting against the arrest and detention of a number of Muslim suspects accused of the Smiljkovci murders. Demonstrators shouted “Kosovo Liberation Army”, “See you in the mountains” and “Greater Albania”. The offices of the Albanian party Democratic Union for Integration (DUI) were attacked. The DUI was formed out of the remnants of the KLA offshoot, the National Liberation Army (NLA), after the Ohrid Agreement in 2001 ended months of fighting with Macedonian police and army forces. It has several ministers in the coalition government with the right-wing Macedonian nationalist VMRO-DPMNE (Internal Macedonian Revolutionary Organisation-Democratic Party for Macedonian National Unity).
Macedonia’s 2 million-strong population includes 64 percent Slav Macedonians, 25 percent ethnic Albanians and some ethnic Turks, Roma and Serbs.
Some commentators in the region now worry at renewed attempts to carve out an ethnic Albanian state in western Macedonia.
“Clearly they do not want coexistence—their slogans betray the goal to misuse Islam to create an ethnically pure state, which means conflict in the region. Slogans in support of the Democratic Party of Albanians (DPA) also betray the involvement of some political parties to benefit from such an abuse of religion,” declared former security studies professor Ivan Babanovski. Another Macedonian analyst told Radio Free Europe that the renewed tensions meant the country was “approaching an abyss.”
This situation and the ability of nationalist politicians to mobilise large numbers of demonstrators are fuelled by the country’s economic and social crisis. Promises from local politicians and the “international community” that liberalisation of the economy and wholesale privatisation of state assets after independence in 1991 from Yugoslavia would lead to a golden future have not materialised.
Macedonia now has Europe’s largest gap between rich and poor. The richest 20 percent of the population receive 42 percent of the total disposable income, while the poorest 20 percent receive just 5 percent. Criminal activity, such as smuggling through Greece and Bulgaria, has played a major part in the amassing of large personal fortunes.
Meanwhile, for two decades, workers have experienced continuous mass unemployment and poverty. Things have got worse since the global financial crisis broke out in 2008. The average monthly income in Macedonia is roughly 20,500 denars (€350, $440) a month. The minimum wage is a paltry €130 per month.
For years, the official unemployment rate has hovered between 30 and 35 percent. Among young people it is 50 percent, and nearly 80 percent for the Roma minority. The black market accounts for nearly 30 percent of total employment.
According to the State Statistical Office, relative poverty has increased from 19 percent in 1997 to around 31 percent in 2011. An estimated 21 percent of the population live below the absolute poverty line (less than €245 per month), and 7 percent are so poor that they cannot get a minimum level of caloric intake. Large differences exist between Skopje and the regions, particularly the northeast, where more than three fifths of children are at risk of poverty.
These are the results of programmes dictated by the International Monetary Fund and World Bank. According to the Economic Freedoms Index, compiled by the Heritage Foundation and the Wall Street Journal, successive government policies have made Macedonia “a regional leader in business friendly policies.” Last year’s World Bank Doing Business report ranked Macedonia the third top “economic reformer in the world”. The country has the lowest tax rates in Europe.
However, since the start of the “transition to a market economy” after independence, Macedonia has experienced low rates of economic growth compared to almost all of its neighbours. Following a severe recession in the early 1990s, growth was irregular, peaking at over 5 percent in 2008. It slowed down sharply in early 2009, with export revenues falling by 43 percent.
The government has lowered its forecast of economic growth for 2012 from 4.5 percent to 2.5 percent and cut €120 million from the €2.7 billion budget. In early April, it accepted a five-year loan of €250 million from Deutsche Bank at an interest rate of 6.83 percent.
Macedonia’s Slavic and ethnic Albanian communities exist separately. There are only a handful of intermarriages a year. The ethnic Albanians tend to live in enclaves in the main cities or in western Macedonia, across the border from Kosovo. Last October, a national census was abandoned after disagreements flared over data collection rules. Ethnic Albanian members of the census commission claimed the Macedonian majority had devised criteria that lowered the real number of Albanians in the country. Ethnic Macedonians claimed that Albanians wanted to inflate their numbers by including people who had emigrated years ago.
This endemic ethnic separation was enshrined in the Ohrid Agreement, the 2001 peace agreement signed between the country’s government and Albanian representatives. The NLA was disbanded and its leaders brought into mainstream politics, sidelining more-established DPA leaders, as the US had done with the Rambouillet accords in Kosovo. NLA leader Ali Ahmeti, a founder member of the KLA, became leader of the DUI party.
Sponsoring the KLA and NLA provided the US with a means of continuing to pressure the new regime in Serbia, following the ousting of President Slobodan Milosevic. Time magazine warned, “By essentially elevating the status of the NLA to that of a legitimate protagonist in Macedonia’s future, NATO and the European Union may have already effectively conceded the carving up of Macedonia on ethnic lines.”
Macedonia continues to be closely affected by events in Kosovo, which declared independence in 2008 supported by the US. More than half of the world’s countries still refuse to recognise it, including China and Russia, and tensions remain in Serb-dominated northern Kosovo, which operates as a de facto separate state. Earlier this year saw nearly 100 percent of voters in an advisory referendum reject control by the Republic of Kosovo. Widespread recognition of Kosovan independence and partition in northern Kosovo could lead to a break-up of Macedonia.
Implicit in the Ohrid agreement was the carrot of NATO and EU membership. But the process of EU accession has been vetoed by Greece, which objects to use of the name Macedonia. Skopje’s international airport is named after Alexander the Great and VMRO-DPMNE prime minister Nikola Gruevski has commissioned a new nationalist project, at the centre of which is a huge statue of the warrior in Skopje’s central square.
The EU, acknowledging Greek concerns, continues to refer to Macedonia as the “former Yugoslav Republic of Macedonia”, a name agreed as a “provisional reference” by the United Nations in 1993. Resolution of the naming conflict is a major precondition raised by the EU for membership of the bloc.
Greece has also vetoed Macedonia’s entry into NATO, although the US recognised the name “Republic of Macedonia” several years ago and has said that Macedonia “has fulfilled key criteria required of NATO members and has contributed to regional and global security.”
SREBRENICA
Come sono andate veramente le cose
Prefazione italiana del Prof. Aldo Bernardini, ordinario di diritto internazionale presso l’università di Teramo
Formato 184x268 rilegato, pagg. 200 prezzo € 19,80
Le strazianti immagini che testimoniano il massacro di 4000 serbi. Le testimonianze dei sopravvissuti. La polemica sul numero dei miliziani musulmani uccisi. Le menzogne del Tribunale Speciale dell’Aia. Il ruolo degli USA, padrini e finanziatori di detto Tribunale.
Srebrenica era una “zona protetta”, (apparentemente) demilitarizzata, e occupata militarmente dalla NATO.
Ma Srebrenica è anche una orribile metafora sanguinaria e truculenta, in cui non solo echeggiano razzismo, fascismo, genocidio, sciovinismo, pannazionalismo, pulizia etnica e stupro di massa – in breve: tutte le etichette mendaci che negli due decenni si sono rivelate di provata efficacia per ingannare l’opinione pubblica.
La versione ufficiale di “Srebrenica” è una menzogna propagandistica che non diventa più vera se la si ripete una infinità di volte senza poterla provare. In questo libro si dimostra, con un’abbondante documentazione iconografica, che il massacro c’è veramente stato, ma fu un massacro a danno dei serbi.
Introduzione
1. Srebrenica, la Auschwitz degli anni ’90. L’Aja, la Norimberga attuale. Equiparazioni oggi correnti, sono fra i mantra dell’ideologia imperiale, i derivati del mostruoso sistema di “giustizia penale internazionale” che alquanto spensieratamente si pretende discenda dal Tribunale di Norimberga, al quale fu assegnato di giudicare i criminali del nazifascismo tedesco. Sulla base dell’accordo internazionale di Londra dell’8 agosto 1945 fra le quattro grandi Potenze (Unione Sovietica, USA, Gran Bretagna, Francia) che occuparono la Germania debellata nel secondo conflitto mondiale.
Srebrenica. Quale Srebrenica? La conclamata strage di (si dichiara) 8000 musulmani ad opera dei Serbi di Bosnia nel 1995 – la strage detta ma che secondo molti forse non ci fu, almeno nei termini della presentazione usuale -, o quella non detta, ma che ci fu, dei serbi perseguitati, trucidati, espulsi, soprattutto ma non solo nel 1995 intorno a Srebrenica e altrove, inclusa la Kraijna di Croazia? Su tutto ciò, Autori varii Il dossier nascosto del “genocidio” di Srebrenica, La Città del sole, Napoli 2007.
È davvero esistito il massacro (quello “ufficiale”) di Srebrenica?
Oramai bisogna dubitare di tutto. Tante volte siamo stati ingannati:
Vi ricordate il famoso massacro di Timisoara attribuito a Ceaucescu ed alla sua crudele “Securitate”? Quanti di noi sanno oggi che i cadaveri fotografati erano quelli di persone decedute per cause naturali e “straziati” non dalle torture, ma dall’obduzione condotta dal personale medico dell’ospedale municipale?
Vi ricordate il “massacro di civili albanesi” consumato dall’esercito jugoslavo (serbo-montenegrino) in Kosovo? Quanti fra noi hanno saputo –a distanza di tempo- che i civili non erano tali, ma combattenti dell’UÇK caduti nel corso di uno scontro armato, e che il capo degli osservatori internazionali, cioè l’agente della CIA William Walker, ha ordinato di spogliarli delle divise e di rivestirli in abiti civili creando così l’occasione lungamente attesa per dichiarare guerra alla Jugoslavia? La verità è nota a chi si è dato la pena di leggere il rapporto della dottoressa finlandese che affermava aver trovato sulle dita di tutti i cadaveri (tranne in uno) tracce di polvere da sparo. Inutile dire che la “grande stampa indipendente” non ha ritenuto opportuno darne notizia.
E i campi di concentramento dei musulmani rinchiusi dai serbi dietro al filo spinato? La foto di un giovane denutrito e con le costole sporgenti guardava, da dietro al filo spinato, decine di milioni di lettori indignati di quanto stava apparentemente succedendo. In realtà il giovane non era “detenuto” ma era stato semplicemente ricoverato, assieme a decine di altri profughi di diverse etnie, in un campo di accoglienza organizzato dai Serbi. E il filo spinato? Molto semplice: il fotografo mercenario aveva attirato alcuni profughi del campo di raccolta all’interno del confine di una proprietà privata e li aveva poi fotografati posizionando l’obbiettivo al di là del recinto che delimitava la proprietà privata.
E l’11 settembre? Quale babbeo crede ancora in buona fede che sia stata Al Qaeda, almeno da sola, ad abbattere le torri a mezzo di due improbabili aerei? Sono ormai centinaia le domande senza risposta e decine le tracce che ad abbattere i grattacieli siano state delle cariche di esplosivo plastico piazzate scientemente nelle settimane precedenti in modo da provocare il crollo dei medesimi grattacieli. Sono a disposizione oramai numerosissimi libri che demoliscono la tesi ufficiale. Avete ancora dei dubbi? Ed allora cercate di spiegare come 2 aerei possano aver abbattuto 3 grattacieli!
Tralascio di parlare dell’Iraq e delle motivazioni che sono state date da Bush per la guerra di aggressione che ha portato la cifra delle vittime irachene a sfiorare il milione di unità, perché ormai anche il più sprovveduto fra noi ha capito di essere stato brutalmente ingannato. E da ultimo le fosse comuni di Tripoli e tutto il resto dell’infame aggressione alla Libia di Gheddafi?
Che pensare allora del massacro di Srebrenica?
Questo libro ci dimostra che un massacro c’è veramente stato, con una piccola differenza però rispetto alla tesi ufficiale: VITTIME DEL MASSACRO SONO STATI I SERBI. L’altro massacro, quello dei musulmani, presenta lati oscuri nonché l’indubbia utilità del tentativo di incastrare la componente serba e, attraverso una ricercata ricostruzione della catena di comando, ha avuto di mira il presidente jugoslavo Milosevic. Certo, anche questo va indagato. Ma la “giustizia penale internazionale” viene messa a nudo: l’altra Srebrenica, quella delle vittime serbe, risulta completamente ignorata.
2. Il sistema di “giustizia penale internazionale” con le attuali istanze giudiziarie, che si va costruendo per arbitraria volontà dei “forti” e colpevole acquiescenza ad ampio raggio sul piano mondiale, può solo nell’apparenza vantare la “nobile” (tale almeno nella grande sostanza) ascendenza di Norimberga. Ne è in realtà il totale rovesciamento, pur atteggiandosi a prosecuzione o reviviscenza: si tratta di “similNorimberga”.
Il Tribunale di Norimberga venne stabilito con l’accordo di Londra dell’ 8 agosto 1945 fra le quattro grandi potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale (URSS, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia) per giudicare i crimini degli esponenti nazisti dopo la totale sconfitta della Germania. Dunque giustizia dei “vincitori”, e tale scopertamente: qui potrebbe ravvisarsi un primo tratto di aggancio con le attuali situazioni. Infatti, al di là di episodi tutto sommato marginali, le attuali istanze operano di fatto, e lo vedremo meglio, come espressioni di “giustizia”, se non dei “vincitori”, dei “forti” sul piano mondiale: ovviamente, in modo sotterraneo, implicito e certo non dichiarato, ma ben reale. D’altra parte pure, in ciò e se si va al fondo delle cose, con una fondamentale distorsione rispetto a Norimberga, il cui significato andrà chiarito.
Ci si riferisce, tralasciati il Tribunale per il Ruanda ed altre situazioni minori, al Tribunale ad hoc per la Jugoslavia, che è qui di primario interesse, e alla Corte penale internazionale, ambedue con sede all’Aja (e da distinguersi da altra istanza, che per i problemi qui trattati non ci riguarda, la Corte di giustizia internazionale, pure all’Aja, che giudica sui rapporti fra Stati in base ad accettazione della sua giurisdizione): istituiti, rispettivamente, con la ris. 827 del Consiglio di Sicurezza in data 25 maggio 1993 (per il Tribunale ad hoc) e con la Convenzione di Roma del 17 luglio 1998 (per la Corte penale internazionale). Quale l’aggancio con il passato?
Campo di azione per Norimberga: le categorie di crimini catalogate, nell’accordo istitutivo, come crimini contro la pace (non solo l’aggressione, ma tutte le macchinazioni poste in essere con l’esito della guerra), crimini contro l’umanità (fattispecie delittuose di oggettiva gravità e con dimensioni di massa, a partire dal genocidio), crimini di guerra (quelli tradizionali previsti dal diritto bellico). Di qui un’evoluzione che portò all’ampliamento della tradizionale categoria dei “crimini individuali di diritto internazionale”: esempio classico, fin dal passato, la pirateria. Legittimato da un’antica norma internazionale, qualunque Stato può esercitare la propria giurisdizione penale sul pirata anche fuori dagli usuali criteri legati alla sua sovranità (cittadinanza dell’autore o della vittima del crimine; commissione del crimine sul proprio territorio) e pertanto in base a un criterio di universalità di giurisdizione penale. Ebbene, per i crimini delle categorie di Norimberga si è tentato da taluni Stati occidentali di applicare in proprio tale criterio, con in più un elemento assai pesante, in superficiale apparenza desunto da Norimberga: nel caso di fatti compiuti in veste ufficiale da individui-organi di uno Stato, sui quali l’unica giurisdizione penale è stata tradizionalmente solo quella del proprio Stato, quei fatti, in forza di asserite nuove norme internazionali, si è cominciato a considerarli come non attribuibili solo allo Stato dell’individuo-organo, ma anche direttamente a questo individuo (rispetto a ciò erano esistite in precedenza solo marginali eccezioni nel diritto bellico). Quindi qualunque Stato, che avesse adottato per quei crimini il criterio di universalità, avrebbe potuto e potrebbe legittimamente, secondo tale ben dubbia concezione, giudicare un individuo-organo di un altro Stato, deprivato dell’immunità prima risultante, per diritto internazionale, dall’esclusiva attribuzione del fatto criminoso al proprio Stato (unico titolare questo, com’è ovvio, di giurisdizione penale sull’individuo-organo proprio). Si ricordi il caso Pinochet. Ma abbiamo assistito a un fenomeno apparentemente sorprendente: quando è sorto il pericolo di colpire, invece che esponenti considerati ostili del c.d. Terzo Mondo, determinati personaggi “amici” o comunque appartenenti al campo dei “forti”, ad esempio l’israeliano Sharon da parte del Belgio, gli Stati, così “generosi” nell’adottare il criterio dell’universalità ai fini, come veniva strombettato, di una giustizia... universale, hanno, con rapida “opportunità”, fatto marcia indietro e dunque modificato la pertinente normativa per tenere in salvo siffatti personaggi.
Dopo questa zoppicante “evoluzione”, il passaggio all’attuale “giustizia penale internazionale” con le istanze giudiziarie non statali come quelle sopra nominate.
Lasciamo per ora il profilo sostanziale della giustizia dei “vincitori” o dei “forti”. Gli elementi in senso più specificamente giuridico che paiono far affondare in Norimberga le radici dell’attuale “giustizia penale internazionale” li possiamo così sintetizzare. Si tratta di giustizia penale, quindi su individui (come ogni giustizia penale) ma stabilita da norme internazionali, sottratta o sottraibile ai sistemi giudiziari degli Stati, e quindi alla sovranità statale, con la quale la giustizia penale sarebbe di per sé connaturata, per venire affidata a “organi”giudicanti non statali. Naturalmente, per categorie di fatti criminosi definite da norme internazionali: oggi, a partire da quelle, poco fa ricordate, di Norimberga, ma con una sottrazione di peso, che offrirà spazio a considerazioni di forte rilievo. Risalirebbe ancora a Norimberga, ma in quanto sancita espressamente dalle pertinenti norme internazionali istitutive, l’esclusione, davanti alle attuali istanze, dell’immunità degli individui-organi con l’accollo ad essi di responsabilità individuale anche per fatti compiuti in veste ufficiale.
Nonostante l’adozione di siffatti caratteri, l’attuale “giustizia penale internazionale” è però una contraffazione di Norimberga. Come detto, vi è un elemento di particolare visibilità che porterebbe ad accomunare: giustizia dei vincitori contro i vinti. Ma, a ben vedere, si deve oggi prendere atto della vistosa distorsione già evocata: dovrebbe parlarsi, a differenza di Norimberga, e lo si è anticipato, dei “forti”, solo potenziali o indiretti vincitori, ai danni di nemici prematuramente segnati come vinti, pur scattando l’operazione penale internazionale (anzitutto, l’incriminazione) a conflitto tuttora in corso. Ciò che, anzitutto, conferisce alle attuali operazioni di “giustizia penale internazionale” il marchio della strumentalità: al di là di una apparente formale equiparazione dei confliggenti, in realtà a sostanziale vantaggio di una parte del conflitto in atto, come copertura dell’attività di tale parte, e dei suoi sostenitori e mandanti sul piano mondiale, e strumento di (ricercata) delegittimazione e disgregazione della dirigenza dell’altra parte, quindi della stessa relativa compagine statale. È quanto meglio mostreremo più avanti.
Certamente il Tribunale di Norimberga e le sue decisioni posero problemi giuridici estremamente delicati (appunto, l’unilateralità, in quanto organo operante solo nei riguardi dei vinti; problematico rapporto con i principii generali di civiltà giuridica in campo penale, quale nullum crimen e nulla poena sine lege, e dunque retroattività dei criteri assunti come base delle condanne...). Ma la portata immane e catastrofica, di carattere per così dire sistemico sul piano mondiale, dell’azione complessiva della coalizione dell’Asse nazifascista (a fronte, è pur vero, di numerose azioni della coalizione contrapposta, o meglio di una parte di essa, di estrema gravità sul piano dello ius in bello, ma tutto sommato in quanto episodi non connessi in un disegno criminale totale: Dresda, Hiroshima e Nagasaki...), può illuminare sulle ragioni storiche profonde a sostanziale spiegazione della base giuridica di Norimberga: rispetto, per contrapposto, alle attuali esibizioni della “giustizia penale internazionale”, sinora sempre connotate da assoluta trascuranza, predisposta sul piano normativo, dei reali contesti e quindi della reale consistenza delle attività criminose, vere o asserite, prese in esame e delle connesse responsabilità globali.
Non vi è dubbio che la previsione, per Norimberga, dei crimini contro la pace ha costituito il “cappello” idoneo a circoscrivere la sfera d’azione del Tribunale: si tratta dei comportamenti che, nel contesto storico reale, non sarebbe stato possibile ascrivere altro che alle potenze dell’Asse, quindi per Norimberga alla Germania nazista: e ciò avrebbe avuto necessariamente riflesso sulle altre due categorie di crimini sotto il profilo soggettivo della sfera degli incriminabili. Il tutto però fondato su un dato inequivocabile: punto di partenza, i comportamenti e le attività aggressive, indubbiamente senza pari, dell’Asse. Il “taglio” della categoria per le odierne istanze dell’Aja porta invece per quanto in modo subdolo, si è accennato e vi torneremo, a gravi conseguenze specifiche.
Il processo di Norimberga può sembrare aver costituito elemento di rottura dello schema tradizionale del sistema internazionale nel settore in esame e di propulsione per gli sviluppi successivi. Sì e no, per verità. Un organo giudiziario stabilito sulla base di un accordo internazionale, senza la partecipazione dello Stato, i cui individui-organi vengono sottoposti al potere di quel Tribunale, appare prima facie, secondo il discorso delineato, scardinare la struttura basilare del sistema giuridico internazionale: con radicale obliterazione della sovranità statale, eliminazione delle immunità internazionali degli individui-organi, sovraimposizione di un apparato giurisdizionale di immediata origine internazionale. È in prima linea su questa rappresentazione, lo si è ribadito, che viene giocata una pretesa ascendenza di Norimberga rispetto all’attuale “giustizia penale internazionale”.
La profonda realtà giuridica, e non solo giuridica, della situazione delineata rivela tutt’altra configurazione. Pur previsto da un accordo internazionale, necessario come disciplina dei rapporti fra le quattro grandi potenze occupanti, il Tribunale di Norimberga ha operato in realtà come organo interno del sistema giuridico della Germania occupata, nella quale l’apparato statale era crollato e il potere sovrano era congiuntamente esercitato dalle quattro potenze. Quindi, nessuna sostituzione di organi statali tedeschi o sovraimposizione ad essi, ormai inesistenti, e pieno potere, invece, di quell’organo giudiziario in realtà interno di esercitare giurisdizione penale anche sugli individui-organi dell’estinto Reich nelle attività compiute pure in veste ufficiale. Si trattò infatti, in quella fase storica, di null’altro che della giurisdizione interna propria su quegli individui. Una situazione analoga, come giudice interno, fu quella del Tribunale militare di Tokio per il Giappone occupato nel 1945, per il quale non fu necessario neppure un accordo internazionale, l’occupazione essendo solo quella degli Stati Uniti.
Senza dubbio restano riscontrabili alcune anomalie sostanziali. Furono introdotte figure criminose prima inesistenti, come i crimini contro la pace o anche quelli contro l’umanità; lo stigma di “giustizia dei vincitori” resta visibile, in quanto analoga “giustizia” non venne esercitata, negli ordinamenti degli Stati vincitori, verso i loro cittadini autori di crimini eventualmente rientranti nelle categorie di Norimberga. Qui fu decisiva la previsione della categoria dei crimini contro la pace. Una previsione che senza dubbio dette un fondamento anche politico-morale alla scelta di perseguire gli esponenti dell’Asse (e solo essi). Si perseguirono innanzi tutto le politiche, macchinazioni, operazioni che sfociarono nelle aggressioni scatenate dal Terzo Reich. Lo si è rilevato: ma le istanze attuali ignorano le aggressioni e le politiche belliciste e gli attori di esse.
3. Il problema se fosse possibile istituire un tribunale del tipo di quello di Norimberga nel quadro del sistema delle Nazioni Unite se lo pose uno dei massimi giuristi del ‘900, Hans Kelsen, e la risposta fu negativa. Kelsen, in forza della concezione generale da lui seguita, non si interrogò sulla natura internazionale o meno dell’organo giurisdizionale penale istituito in Germania nel 1945. Si chiese soltanto se un simile organo potesse venir stabilito in forza di una decisione in sede Nazioni Unite (il pensiero va all’istituzione del Tribunale ad hoc per la ex-Jugoslavia). E lo negò. Così argomentando: la Carta NU non contempla responsabilità (internazionale) di individui, in specie individui-organi, per violazioni di norme e principii internazionali (come il divieto di uso della forza), ma solo degli Stati. Situazione superabile solo, secondo Kelsen, con una modifica della Carta a termini statutari (aggiungo: con probabili problemi costituzionali per gli Stati membri).
Nel 1993, nel corso dei conflitti intrajugoslavi innescati anche per (senz’altro decisiva) responsabilità dei paesi occidentali, venne istituito - lo si è anticipato - un Tribunale penale internazionale ad hoc, quello denominato per la ex-Jugoslavia (già allora detta ex, pur se prematuramente): con decisione del C.d.s. delle NU (la ris. 827 del 25 maggio 1993, preceduta da una preparatoria ris. 808 del 22 febbraio 1993). Un organo giudiziario destinato ad esercitare giurisdizione penale su individui, in specie individui-organi,essenzialmente di uno Stato e comunque di entità di tipo statale (la Jugoslavia socialista federale, poi quella residua, e le Repubbliche secessioniste), dotati di propri poteri sovrani o assimilabili, ma senza loro partecipazione, per imposizione esterna da parte di un “organo internazionale” come il C.d.s.: da ritenersi fondamentalmente e insanabilmente incompetente all’uopo.
Siamo in presenza di una giurisdizione penale sganciata da una situazione di sovranità: le NU, di cui il C.d.s. e il Tribunale per la ex-Jugoslavia sono organi, non sono ente sovrano (non sono una federazione). E non hanno potere su individui, i destinatari o soggetti passivi della giurisdizione penale. Anche se negli ultimi tempi il C.d.s. si va prodigando in misure e sanzioni relative ad individui. Sia chiaro: non può legittimamente farlo neanche imponendo agli Stati i relativi obblighi (che è poi l’unica pratica possibilità, le NU non essendo dotate di strumenti di esecuzione loro propri). Vi è comunque la sovraimposizione dell’organo (Tribunale ad hoc) sulla sovranità di uno Stato e/o di entità di tipo statale in essere nello spazio della (ex) Jugoslavia socialista: con la sottrazione di “incriminati” alla giurisdizione penale di queste e con la sottoposizione di loro individui-organi a quel Tribunale. Dunque, anche con la cancellazione dell’eventuale immunità internazionale. Perché quel Tribunale non si innesta, e non lo ha potuto, come invece era accaduto con il Tribunale di Norimberga per la Germania, in un sistema giuridico interno, e cioè quello o quelli delle entità ex-jugoslave (senz’altro di quella, la principale, che non aveva accettato in alcun modo il Tribunale ad hoc: la Jugoslavia federale residua –Serbia e Montenegro). L’abnormità sta dunque nel fatto che si è operato simulando, per così dire, una situazione di occupazione territoriale, che invece non vi è stata. Il Tribunale ad hoc ha quindi agito, ed agisce, non solo come copertura politica e di immagine delle operazioni politiche e militari che hanno portato alla distruzione della Jugoslavia socialista, ma addirittura ha collaborato a tale distruzione con la mirata disintegrazione di compagini statali attraverso le incriminazioni individuali anzitutto dei vertici.
La risoluzione istitutiva è illegittima perché stabilisce un organo giudiziario (su individui, per di più), quando il C.d.s. non è dotato di un tale potere giudiziario. Se in quest’ottica si ponesse l’accento sul carattere di organo sussidiario da ascriversi al Tribunale ad hoc, secondo l’art. 29 della Carta, un siffatto potere giudiziario dovrebbe rinvenirsi nel C.d.s. istitutore, e appunto tale potere su individui nel C.d.s. non esiste. Sotto altro punto di vista, istituire un organo giurisdizionale presuppone un potere normativo generale, diciamo di tipo legislativo, che il C.d.s. non possiede, essendo esso fornito solo, per così dire, di un potere di ordinanza rispetto a situazioni di emergenza nei rapporti internazionali fra Stati. Quel potere generale non rientra certo nell’ambito del potere di adottare misure senza uso della forza per situazioni concrete, espresso dall’art. 41 Carta (nel quale, precisiamo per chiarire, viene per lo più ricercata la base giuridica dell’operazione compiuta dal C.d.s. con l’istituzione del Tribunale ad hoc). Oltretutto, questa norma indica, certo in modo non tassativo ma senz’altro significativo, tipi di misure senza uso della forza: si tratta di misure consistenti in rotture o interruzioni di rapporti fra Stati, e comunque sempre di misure da prendersi dagli Stati, e certo l’istituzione di un tribunale penale operata dal C.d.s. non presenta siffatte caratteristiche. E non pare compatibile con l’intrinseco carattere contingente delle misure ex art. 41 Carta.
4. Richiamato che la vantata ascendenza di Norimberga rispetto al Tribunale ad hoc non è sussistente se non per tratti minori ed estrinseci, va comunque denunciato l’elemento più grave di deviazione dalla pur invocata tradizione: l’eliminazione, dal novero delle categorie di crimini previste dallo Statuto del Tribunale ad hoc, di quella dei crimini contro la pace, includente l’aggressione.
La mancata previsione di questa categoria avrebbe potuto favorire senza dubbio, in linea astratta, l’equiparazione formale delle parti in conflitto – e addirittura dei sostenitori esterni – con riguardo alle categorie di crimini previste, quelli di guerra e contro l’umanità. Tale esclusione (dei crimini contro la pace) è avvenuta per evitare il “rischio” di coinvolgere in prima linea gli esponenti delle potenze che hanno operato per favorire la disgregazione della Jugoslavia. Si è così raggiunta l’eliminazione, dal campo di competenza assegnato (si ripete, comunque in un contesto arbitrario) al Tribunale ad hoc, dei comportamenti degli Stati, e dei loro individui-organi, che hanno (quantomeno) contribuito allo sfascio della Jugoslavia socialista. Almeno astrattamente, i comportamenti di contrasto all’autodifesa dello Stato esistente, culminati nei riconoscimenti prematuri delle Repubbliche secessioniste, vi sarebbero rientrati, in quanto azioni concertate e mirate contro la sovranità della Federazione jugoslava socialista.
Si è in tal modo evitata la possibilità, sia pur –visto il contesto- solo teorica, che venisse sotto i riflettori tutto il retroscena della vicenda jugoslava: ne è dunque derivata la concentrazione esclusiva sulle azioni di combattimento, sui conflitti armati e le loro durezze, gli eventuali crimini connessi, il tutto sradicato in tale logica dal terreno internazionale (se non fittiziamente raffigurato, come stiamo per vedere), dalle operazioni e macchinazioni e rappresentazioni ideologiche che hanno condizionato e, per così dire e in ampia misura, fornito una conformazione rappresentativa a quei conflitti armati.
Mi spiego e svolgo. È stato fondamentalmente distorto, nell’applicazione alla situazione jugoslava, il principio di autodeterminazione dei popoli in quanto principio normativo internazionale vigente: questo infatti non tutela qualunque parte di popolazione di uno Stato che intenda staccarsi, ma solo quelle parti, territorialmente compatte, che soffrono di una discriminazione fondamentale, di tipo coloniale o assimilabile, e la tutela si concreta essenzialmente nell’attenuazione, per i terzi Stati, dell’obbligo di non ingerenza nei fatti interni e quindi nel poter legittimamente fornire appoggio al movimento di autonomia o indipendenza. Fuori di quel presupposto si ha un’insurrezione, di fronte alla quale i terzi Stati non possono lecitamente intervenire. La situazione delle Repubbliche jugoslave secessioniste era con evidenza questa. La macchinazione degli Stati occidentali, in un momento storico in cui non hanno incontrato sul piano mondiale contesti ad ampio raggio di opposizione, si è incentrata sull’imposizione (ideologica) di una rappresentazione in termini di autodeterminazione a favore delle spinte e lotte secessionistiche: così da raffigurare come aggressione il comportamento della Federazione che legittimamente le contrastava.
D’altro canto, va considerato che la configurazione giuridica che si è presentata vale a fronte di Stati costituiti (come era la Federazione socialista jugoslava). Ma in un processo fattuale di graduale dissolvimento di questa e di formazione di nuove entità, non ancora Stati costituiti, centrate sulle Repubbliche federate secessioniste, non può negarsi, a favore di parti di popolazione territorialmente compatte sino ad allora integrate in una data realtà amministrativa (una Repubblica federata secessionista), un principio di autodeterminazione in senso autonomo rispetto a quello sinora illustrato: e cioè come autocostituzione di una subregione in entità indipendente o come sua permanenza nella vecchia compagine dello Stato costituito. L’imposizione da parte degli Stati occidentali di un principio (che nel diritto vigente è limitato a determinati ambiti geografici sulla scena mondiale e non è generalmente applicabile) uti possidetis iuris (come imposizione della permanenza delle frontiere, in sé meramente amministrative nel quadro della precedente Federazione, delle Repubbliche federate secessioniste) è stata contraria all’autodeterminazione-autocostituzione di subregioni che non volevano essere coinvolte nella secessione della Repubblica federata in cui sino a quel momento erano state amministrativamente conglobate. Si pensa in particolare alla Kraijna e alla Slavonia orientale di etnia serba nel quadro della Croazia federata e alla Repubblica serba di Bosnia nel quadro della Bosnia-Erzegovina federata. L’intervento di Stati terzi per (aiutare a) reprimere quei movimenti di autodeterminazione (nel senso particolare da ultimo indicato) appare illecito e, in quanto intervento armato, criminale. Alle persone più attente non sarà sfuggita la flagrante contraddizione fra l’imperativa pretesa del campo imperialista di voler difendere il diritto dei popoli a vivere in regioni omogeneamente occupate dalla stessa etnia, liberandole dal “giogo jugoslavo” da un lato, mentre dall’altro, nei casi suindicati, si volle imporre ai serbi, con la violenza delle armi, la rinuncia a quello stesso diritto.
Conseguenza di questa duplice mistificazione ideologica: i conflitti secessionisti si sono fatti apparire come di autodeterminazione e quindi “internazionalizzati” e così resi (artificialmente e illegittimamente) suscettibili di sostegno esterno: il legittimo contrasto dello Stato federale è divenuto guerra di aggressione contro l’autodeterminazione. La lotta delle subregioni antisecessioniste si è fatta passare per ribellione contro Stati costituiti e quindi legittimamente reprimibile, addirittura pure con sostegno esterno (anche contro il vero o supposto, per altro in sé legittimo, sostegno dello Stato federale in funzione antisecessionista). Questa problematica, e le mistificazioni che ne sono state espressione, sono rimaste sullo sfondo, proprio perché escluse dall’ambito di competenza assegnato al Tribunale ad hoc. Ma certamente hanno esercitato in modo sotterraneo un influsso nefasto sulle vicende processuali e le scelte dei “giudici”: la criminalizzazione, e in esito la condanna, sono state pronte e senza esitazioni a danno del campo delle forze antisecessioniste, nelle due ipotesi che si sono delineate; ben più rarefatte e meno numerose nel caso opposto. Si tratta del discrimine di fatto che si è tracciato implicitamente tra i Serbi, da un lato, i Croati e i Musulmani, da un altro, e ancor più coloro che, dall’esterno, hanno affiancato questi ultimi. Così da rendere inevitabilmente “orientato” il Tribunale ad hoc. Inevitabile (!) l’ “archiviazione” delle denunce contro la NATO per i bombardamenti sulla Jugoslavia (2 giugno 2000). La condanna di un esponente croato, il gen. Gotovina, appare nel contesto complessivo operazione di copertura.
Non mi trattengo su questi aspetti, le relative statistiche e le loro implicazioni, e cioè sulle modalità dello svolgimento dei processi, prima ancora sulle incriminazioni (al massimo livello, solo il presidente Milosevic, serbo e jugoslavo; intoccati il musulmano-bosniaco Izebetgovic e il croato Tudjman), infine sulle sentenze.
Il presidente Milosevic ha avuto l’atto di incriminazione poco dopo l’inizio dei bombardamenti, cioè l’aggressione, della NATO contro la Jugoslavia (residua) nel marzo 1999. Nella logica assunta dal Tribunale ad hoc, che appunto vede escluso dal suo campo di azione il crimine più grave, e comunque scatenante, e cioè l’aggressione o le macchinazioni che hanno favorito le guerre civili, quell’incriminazione (sia pure anche per asseriti fatti pregressi) colpisce come criminale l’individuo-organo di vertice e vale dunque quale copertura dell’aggressione NATO: reazione, questa, come viene fatta apparire ed in tale logica, alle attività criminose attribuite – in base ad incredibili teoremi giuridici - allo Stato jugoslavo e al suo presidente da ultimo per il Kosovo (in realtà, legittimo contrasto dello Stato jugoslavo costituito nei confronti di un’insurrezione locale, come in precedenza contro le secessioni).
Va da sé che si è voluto anche inferire un colpo alla compagine statale jugoslava. Mi astengo dal richiamare la vicenda scandalosa del vero e proprio rapimento e sequestro di Milosevic a Belgrado nel 2001 per tradurlo nel carcere di Scheveningen e quelle dell’annoso processo, in cui Milosevic ha opposto un comportamento eroico e ha lasciato la vita (per morte naturale, come affermano i suoi aguzzini, per assenza di cure adeguate, come affermano alcuni, o per avvelenamento, come pensano altri).
Citiamo a questo punto per incidens le incriminazioni, da parte questa volta della Corte penale internazionale dell’Aja, a carico del presidente sudanese al-Bashir e del leader libico Gheddafi, assassinato poi dalla NATO e complici: quest’ultimo, come Milosevic, appena scatenata l’aggressione aerea. Pur se questa Corte presenta una base di legittimità formale di maggior consistenza, la Convenzione di Roma del 1998, benché di fronte a probabili problemi di costituzionalità per gli Stati parti o almeno per diversi fra essi, risulta se non altro una situazione aberrante, che consente un’assimilazione al Tribunale ad hoc: l’art. 13 b, per il quale il C.d.s. può deferire alla Corte anche individui-organi di Stati non parti dello Statuto della Corte medesima (come nei due casi da ultimo citati). Si configura, con atto estraneo alla Carta NU, un potere del C.d.s. non previsto: pur se evidentemente tale esito può apparire in ultima analisi un’escrescenza del potere arrogatosi dal C.d.s. stesso con l’istituzione di tribunali penali internazionali. Se l’attribuzione di potere giurisdizionale penale al di fuori di una struttura sovrana è fenomeno singolare, per non dire abnorme, cui può – entro molte cautele - sopperire una base convenzionale (quasi ad istituzione di un organo comune degli Stati parti), la pretesa soggezione ad una tale Corte, su indicazione del C.d.s., di Stati non parti dello Statuto della Corte medesima e di loro individui-organi, con lo scalzamento delle relative immunità internazionali, ripropone lo schema di una simulata occupazione, appunto realmente non sussistente, con l’attribuzione di potere giurisdizionale penale a organo – almeno nei confronti di Stati non parti - non sovrano (neppure nel senso di una sorta di delega all’organo “internazionale” stabilita dalla convenzione istitutiva).
Va fatto presente che lo Statuto della Corte, almeno nella fase attuale, esclude anch’esso i crimini contro la pace, a partire dall’aggressione, dal proprio campo di applicazione. Il malo esempio del Tribunale ad hoc riproduce così a livello più generale i suoi effetti maligni ai danni dell’indipendenza e sovranità degli Stati.
Si noti, a completamento delle anomalie, che per giurisprudenza internazionale attuale (della Corte internazionale dell’Aja) gli organi statali godono pur sempre delle immunità internazionali, almeno finché in funzione. Principio patentemente violato dalle incriminazioni lanciate, a conflitto iniziato, dal Tribunale ad hoc e dalla Corte penale internazionale.
Ad un sistema del genere, a una siffatta “giustizia penale internazionale”, troviamo affidato il caso Srebrenica. Quello “ufficiale”. Dell’altro, documentato in questo volume, non vi è traccia.
Di fronte all’inerzia delle istanze di “giustizia penale internazionale”, che abbiamo preso in considerazione, riguardo a denunce pur lanciate contro esponenti occidentali per aggressioni e crimini di guerra in Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Palestina, oggi Libia, non si riesce ad evitare una valutazione di assoluta parzialità, di mirata selettività, di strumentalità delle operazioni giudiziarie poste in essere da quelle istanze. Di fronte alle quali ci si può dunque domandare: al suono di quale piffero queste istanze danzano?
Norimberga fu certo unilaterale, ma su base morale, politica e giuridica inoppugnabile. Si procedé a partire da incontrovertibili crimini di aggressione e contro la pace. Tutto ciò non può dirsi per le incriminazioni e i processi del Tribunale ad hoc per la ex-Jugoslavia e della Corte penale internazionale. Ne sono prova irrefutabile le “archiviazioni” di denunce contro Blair, Sharon, Clinton e loro sodali e, per il Tribunale ad hoc, contro la NATO.
A mani ben poco affidabili risulta assegnata la “questione Srebrenica”. La documentazione presentata in questo crudo e coraggioso volume dovrebbe portare a rivedere molte opinioni e meglio mistificazioni circolanti e fatte circolare nell’opinione pubblica mondiale, per lo meno in quella occidentale. Ma non sappiamo se questo auspicio, questa speranza di vera giustizia potrà trovare accoglienza contro il pensiero unico dominante.
Aldo Bernardini
Roma, 25 gennaio 2012