Jugoinfo

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Segnalazioni su "spomenici" e architettura jugoslava

0) Links
1) Viaggio dal 16 al 23 agosto 2018 attraverso gli "Spomenici" jugoslavi
2) MOMA (NY), fino a gennaio 2019: mostra sull'architettura jugoslava / Toward a Concrete Utopia: Architecture in Yugoslavia, 1948–1980 (through January 13, 2019)


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Da alcuni anni gli "Spomenici" – monumenti-sacrari della Lotta Popolare di Liberazione jugoslava – sono al centro dell'interesse degli storici dell'architettura per la qualità artistica e la potenza valoriale che continua a colpire i visitatori nonostante un quarto di secolo di incuria, distruzioni, diffamazioni.

Su questi capolavori dell'architettura contemporanea segnaliamo il bellissimo sito con mappa interattiva e fotografie


ed i libri:

Jan Kempenaers: Spomenik (2010)
https://www.cnj.it/documentazione/biblioletteratura.htm#spomenik2010
https://twistedsifter.com/2011/05/23-fascinating-and-forgotten-monuments-from-yugoslavia/
http://bloggokin.blogspot.com/2011/04/monumenti-abbandonati-in-jugoslavia.html

Revolucionarno Kiparstvo (1977)

Jugoslavia Monumenti alla Rivoluzione (1969)


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Viaggio dal 16 al 23 agosto 2018 attraverso gli "Spomenici" jugoslavi

<< Spomenik è una proposta di viaggio per l’estate 2018. Un tour che parte da Trieste e ritorna a Trieste, dal 16 al 23 agosto. Un anello, il cui filo conduttore sono gli Spomenik. (...) Cinque paesi, dieci Spomenik, ottanta anni di storia: quella che proponiamo è un'avventura nella storia e nella memoria, attraverso alcune delle più importanti località di interesse storico e paesaggistico della ex Jugoslavia. Un tuffo nei Balcani più autentici, nelle contraddizioni sociali e nelle contaminazioni culturali che da sempre caratterizzano questo mondo unico e affascinante. >>

Per altre informazioni/prenotazioni scrivere a: spomenik2018@...


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See also:

New MOMA Exhibition Celebrates The Concrete World Of The Former Yugoslavia (Megan Townsend, 28 January 2018)

Toward a Concrete Utopia: Architecture in Yugoslavia, 1948–1980 | MoMA LIVE (The Museum of Modern Art, 10 lug 2018)
VIDEO of the presentation event: https://www.youtube.com/watch?v=M2S0bBTHu-8

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Toward a Concrete Utopia: Architecture in Yugoslavia, 1948–1980

Through January 13, 2019
The Museum of Modern Art

Situated between the capitalist West and the socialist East, Yugoslavia’s architects responded to contradictory demands and influences, developing a postwar architecture both in line with and distinct from the design approaches seen elsewhere in Europe and beyond. The architecture that emerged—from International Style skyscrapers to Brutalist “social condensers”—is a manifestation of the radical diversity, hybridity, and idealism that characterized the Yugoslav state itself. Toward a Concrete Utopia: Architecture in Yugoslavia, 1948–1980 introduces the exceptional work of socialist Yugoslavia’s leading architects to an international audience for the first time, highlighting a significant yet thus-far understudied body of modernist architecture, whose forward-thinking contributions still resonate today.

Toward a Concrete Utopia explores themes of large-scale urbanization, technology in everyday life, consumerism, monuments and memorialization, and the global reach of Yugoslav architecture. The exhibition includes more than 400 drawings, models, photographs, and film reels from an array of municipal archives, family-held collections, and museums across the region, and features work by important architects including Bogdan Bogdanović, Juraj Neidhardt, Svetlana Kana Radević, Edvard Ravnikar, Vjenceslav Richter, and Milica Šterić. From the sculptural interior of the White Mosque in rural Bosnia, to the post-earthquake reconstruction of the city of Skopje based on Kenzo Tange’s Metabolist design, to the new town of New Belgrade, with its expressive large-scale housing blocks and civic buildings, the exhibition examines the unique range of forms and modes of production in Yugoslav architecture and its distinct yet multifaceted character.

Organized by Martino Stierli, The Philip Johnson Chief Curator of Architecture and Design, The Museum of Modern Art, and Vladimir Kulić, guest curator, with Anna Kats, Curatorial Assistant, Department of Architecture and Design, The Museum of Modern Art.




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Quarto anniversario della "Ustica" ucraina

in ordine cronologico inverso:

1) Team “investigativo” internazionale accusa la Russia; la Malaysia ne mette subito in discussione le “conclusioni” (maggio 2018)
2) Morto suicida (?) il pilota ucraino accusato dell'abbattimento del volo MH17 (marzo 2018)
3
) Ancora sul Boeing malese abbattuto in Ucraina (F. Poggi, 11 ottobre 2017)
4) Anniversario dell’abbattimento del volo MH-17 (S. Orsi, luglio 2017)
5) Kiev Regime Conducted Special Operation to Destroy Malaysian Airlines Flight MH17 / Kiev ha abbattuto il volo MH17 delle Malaysian Airlines (PravdaReport / Global Research, 29 June 2017)
6) Facts withheld of Malaysian airlines crash (Sara Flounders, August 28, 2014)


Si vedano anche:

17 LUGLIO 2014: DUE CACCIA UCRAINI ABBATTONO AEREO DI LINEA AMSTERDAM - KUALA LUMPUR [DOSSIER 2014]

LA USTICA UCRAINA – UN ANNO DOPO [JUGOINFO 2015]

NOME E COGNOME DELL'AVIERE UCRAINO CHE HA ABBATTUTO IL VOLO MH17 / Malaysian Boeing hit by an Ukrainian pilot [JUGOINFO 2015 / Non-notizie n.9]

VOLO MH17: IL REGIME EUROPEISTA UCRAINO LO HA FATTO ABBATTERE ED HA CERCATO DI ADDOSSARE LA COLPA ALLA RUSSIA PER AGGRAVARE LA CRISI [JUGOINFO 2017]


Il volo MH17, l'Ucraina e la nuova guerra fredda (PTV News 05.09.17)
VIDEO: https://youtu.be/ulwVERDW-Tk?t=4m40s


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Ucraina: russi abbatterono volo Malaysia (ANSA 24 maggio 2018)
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2018/05/24/ucraina-russi-abbatterono-volo-malaysia_2dd2374c-ccd7-4622-b7c7-fb4a7f7a6a13.html
BUNNIK (OLANDA), 24 MAG - Fu lanciato da forze russe il missile antiaereo Buk che nel 2014 nei cieli dell'Ucraina orientale abbattè il volo di linea MH17 della Malaysia Airlines diretto dall'Olanda a Kuala Lumpur con 298 persone a bordo: a questa conclusione è giunto il team di investigatori internazionali che da quasi quattro anni indaga su quel disastro sulla base di un dettagliato esame di immagini video. La Russia ha sempre negato un suo coinvolgimento.

Il Punto di Giulietto Chiesa: "Un'inchiesta invalida" (PandoraTV, 26 mag 2018)

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Boeing MH17: la Malaysia mette in discussione le “conclusioni” del Team “investigativo” internazionale

di Fabrizio Poggi, 01/06/2018
 
Sembra riaprirsi la questione del Boeing 777 della Malaysia Airlines, abbattuto sul Donbass nel luglio 2014 mentre era in volo da Amsterdam a Kuala Lumpur sulla rotta MH17. E, forse non a caso, ciò avviene sullo sfondo di rapporti internazionali, alcuni in continua evoluzione e altri nemmeno tanto “tranquilli”. Solo per citare le ultime mosse: l'incontro a sorpresa tra il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov e Kim Jong Un a Pyongyang, in vista del prossimo vertice USA-RPDC del 12 giugno a Singapore, per un verso; la disputa commerciale USA-UE per i dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio, forse non ancora una guerra, ma con buone probabilità di causare scossoni nel panorama mondiale, dall'altro. E si riapre, la questione del Boeing, guarda caso, immediatamente dopo la messinscena “evangelico-mediatica”di Kiev, che ha obbligato anche i più imperterriti ammiratori degli euronazisti ad ammettere che, forse, come minimo, l'etica giornalistica stia da un'altra parte e tutto quello che dicono a Kiev vada forse letto alla luce delle mosse e della nazipolitica ucraine.
 
Dunque, appena la scorsa settimana aveva campeggiato sui media la sparata australiano-olandese che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto costituire “l'ultima parola” a conclusione delle – ci si passi il termine - “indagini internazionali” sull'abbattimento del Boeing civile e sancire l'ennesimo “ha stato Putin”; ma ecco che ieri la maggior parte delle agenzie riportavano la notizia secondo cui, il 30 maggio, il Ministro dei trasporti malese Anthony Loke aveva dichiarato a Channelnewsasia che “non ci sono prove conclusive per confermare che la Russia sia responsabile per l'abbattimento del volo MH17 della Malaysia Airlines”, costato la vita a 298 persone, di dieci diverse nazionalità.
 
Ecco che, nemmeno una settimana dopo l'annuncio delle “conclusioni” della JIT (Joint Investigative Team: Australia, Olanda, Belgio, Malaysia, Ucraina) secondo cui il razzo “Buk” che aveva abbattuto l'aereo malese non sarebbe stato sparato dalle truppe ucraine, bensì da un reparto della 53° brigata missilistica russa che scorrazzava su e giù tra Kursk e la frontiera ucraina. Uno dei se sistemi-razzo “Buk” in dotazione alla brigata, il numero 332, sarebbe stato spostato verso il Donbass e, da lì, avrebbe sparato. Per quanto riguarda le colpe, ha detto Loke, e "chi sia responsabile - non si può semplicemente puntare il dito sulla Russia"; e ha aggiunto che “ogni ulteriore azione sarà basata su prove conclusive”, tenendo conto “delle relazioni diplomatiche". Dopo le “conclusioni” esternate il 24 maggio congiuntamente da Amsterdam e Canberra, Vladimir Putin aveva detto che la Russia non le riconoscerà, finché non saranno ammessi alle indagini anche esperti russi e aveva ribadito che Mosca ha sempre, “sin dall'inizio, proposto un lavoro congiunto per investigare sulla tragedia”. Proposta, peraltro, sempre respinta, non solo da Kiev, ma anche dai suoi tutori d'oltreoceano.
 
Un discorso, quello di Putin, appena appena (si far dire!) un più serio delle accuse (e cosa altro ci sarebbe stato da aspettarsi?) lanciate contro Mosca dal SBU golpista e “appena appena” un po' più logico del cervellotico percorso ipotizzato congiuntamente da Bellingcat, The Insider e McClatchy per addossare la colpa alla Russia, secondo cui il “Buk” responsabile dell'abbattimento sarebbe rientrato in territorio russo passando per Debaltsevo e Lugansk, dovendo quindi percorrere almeno 250 km, per la maggior parte controllati all'epoca dalle forze ucraine, quando invece, dal luogo del presunto lancio (il Boeing era precipitato nell'area del villaggio di Grabovo, poco sopra Torez, una settantina di km a est di Donetsk) fino alla frontiera russa ci sarebbero stati appena un paio di decine di km, per di più da percorrere in territorio controllato dalle milizie.
 

Tra l'altro, oltre a non prendere mai in considerazione le varie ipotesi avanzate da esperti stranieri, dai tecnici russi della società produttrice del sistema missilistico presunto responsabile della tragedia, le testimonianze di aviatori e piloti ucraini, insomma, niente che potesse adombrare il minimo dubbio sulle responsabilità ucraine, Kiev non ha nemmeno mai risposto alla semplice domanda sul perché non avesse provveduto a chiudere ai voli civili il corridoio aereo sopra una zona di guerra.
 
L'impressione insomma è che, dopo la figura meschina consumatasi mercoledì pomeriggio a Kiev, al briefing congiunto SBU-Procura-ATR tataro, la credibilità ucraina faccia fatica a esser sostenuta anche dai più incalliti filogolpisti di mezzo mondo, ai quali ora, nota Vsepodrobnosti.ru, non resta altro che mettersi a insinuare dubbi su “corruzione, finanziamento del terrorismo e amicizia con Putin” del povero Ministro malese, che ha osato avanzare un legittimo e timido dubbio su “conclusioni” così affrettate e di parte.
 
Un dubbio che appare quantomeno problematico accantonare, specialmente ora, dopo il discredito sul SBU di Vasilij Gritsak e la Procura dell'elettrotecnico Jurij Lutsenko, che loro stessi si sono auto-assicurati; senza parlare della credibilità mediatica del “resuscitato” Arkadij Babcenko, su cui è il caso di stendere l'evangelico sudario del novello Lazzaro.
 
Un dubbio così forte che già anche il Ministro degli esteri olandese Stef Blok, fino a due giorni fa convintissimo delle responsabilità russe, ha detto ieri di non escludere la possibilità che Kiev, nonostante al momento non esistano “seri fondamenti giuridici”, venga chiamata a rispondere della tragedia.

Oltre alle reazioni di OSCE, politologi britannici e francesi, Ministro degli esteri belga Didier Reynders, si sprecano i commenti di giornalisti occidentali – The Washington Post, Financial Times, Channel 4, Deutsche Welle– che esprimono “sdegno” per il discredito gettato in tal modo su giornalisti, agenzie di stampa, redattori, commentatori e, in generale, sull'intera categoria giornalistica dalla “manipolazione operata dai Servizi ucraini, con cui”, come ha detto il Segretario generale di Reporters Sans Frontières, Kristof Deluar, “essi hanno dato inizio a una nuova guerra informativa”. 
 
Ma, forse, come si dice, “non tutto il male vien per nuocere”.


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VOLO MH17: MORTO SUICIDA IL PILOTA ACCUSATO DELL'ABBATTIMENTO (19.03.2018)
... Il capitano Vladislav Voloshin, 29 anni - che all'epoca del conflitto in Ucraina colpiva le posizioni dei ribelli filorussi nel Dombass ed è considerato un eroe nazionale - ha sempre negato l'accusa russa... L'uomo di recente era passato dai voli operativi alla direzione dell'aeroporto Mikolaiv, vicino al Mar Nero, da dove, secondo la polizia ucraina, si è sparato un colpo. La polizia di Mikolaiv descrive la sua morte come «suicidio», ma l'indagine, secondo la stessa polizia, viene condotta sotto la fattispecie di «omicidio premeditato».

Chi ha abbattuto il boeing malaysiano MH17 nei cieli di Ucraina? (PTV News 05.04.18)
Suicida il pilota ucraino Voloshin


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Ancora sul Boeing malese abbattuto in Ucraina

di Fabrizio Poggi11 ottobre 2017


Da mesi, molti mesi, è calato un ben comprensibile – da parte di chi ha interesse a tacere – silenzio occidentale sulla tragedia del Boeing malese MH17, abbattuto il 17 luglio 2014 nei cieli del Donbas sopra l’area di Torez e costato la vita a 298 persone. “Inchieste” internazionali; commissioni “indipendenti” (con la partecipazione di funzionari ucraini); ricostruzioni sperimentali dell’accaduto che, escludendo la responsabilità delle milizie, non sono mai state prese in considerazione; testimonianze di avieri ucraini semplicemente ignorate e ignorate pure le circostanze secondo cui ogni satellite statunitense sarebbe stato in grado, in maniera elementare, di verificare le reali circostanze dell’accaduto…

Quante volte si è detto che, se i golpisti e i loro compari avessero avuto la benché minima idea di una responsabilità delle milizie delle Repubbliche popolari, i corifei liberal-occidentali della comunicazione di regime avrebbero battuto la grancassa a ripetizione. Invece nulla. Oblio. Omertà.

Il silenzio è stato rotto, ancora una volta, da un ex-militare ucraino, Roman Labusov, tenente-colonnello transfuga da pochi giorni verso le milizie della DNR. Nel corso di una conferenza stampa, Labusov ha detto di essere in possesso di materiali segreti del Servizio di sicurezza ucraino (SBU), relativi principalmente all’abbattimento del Boeing malese e alle ripetute visite di funzionari e alti esponenti politici USA in Ucraina. Nel corso della conferenza stampa, di cui Russkaja Vesna mostra alcuni momenti, Labusov, che era a capo del settore cifra del SBU, alla precisa domanda di un giornalista sulle responsabilità per la tragedia del volo MH17, non indica soggetti concreti, ma in modo eloquente afferma che le indicazioni dei vertici politici golpisti e dei Servizi segreti erano quelle di “non indagare sul crimine, ma mettere insieme dettagli secondo cui l’aereo fosse stato abbattuto dalle milizie della DNR. Perciò, tutti i fatti erano semplicemente messi da parte”. Labusov ha affermato non esserci dubbi sul fatto che l’attacco all’aereo civile fosse un’operazione accuratamente pianificata e ben indirizzata.

Da parte sua, Rossijskaja Gazeta scrive di un altro ex-ufficiale ucraino, il maggiore Jurij Baturin, il quale avrebbe dichiarato in tv che il Boeing fu abbattuto da un razzo contraereo “Buk” lanciato dalle forze ucraine e, precisamente, da una batteria in servizio al 156° battaglione “Città di Zolotonoša”, proprio in quei giorni dislocato nell’area da cui, secondo ogni ipotesi, sarebbe stato lanciato il missile. Sul fatto che quel settore, nelle vicinanze del villaggio di Zaroščinskoe, al momento dell’abbattimento fosse controllato dalle truppe di Kiev, secondo il Procuratore generale della DNR, Roman Belous, è ora dimostrato da nuove prove. 

Accanto alle stragi di civili nel Donbass, accanto agli assassinii di militanti comunisti e di sinistra, accanto alle sfilate SS e alla “desovietizzazione”, sono queste le “gesta” dei golpisti ucraini, ai cui vertici anche l’italica “sinistra” di governo non disdegna di stringere la mano.


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Anniversario dell’abbattimento del volo MH-17

di Stefano Orsi, luglio 2017

Noto che nessuno ha ricordato l’abbattimento del volo MH17 avvenuto ormai tre anni fa.
Ancora si dibatte sulle responsabilità, cercando di addossarle di volta in volta alla Russia o agli indipendentisti novorussi del Donbass. Restano a nostra disposizione pochi dati certi.

Il primo di questi è che fino ad allora, nessuna batteria antiaerea complessa e sofisticata come il BUK era mai stata utilizzata e neppure data per catturata dai combattenti del Donbass, anzi pochissimi giorni prima, il ministro ucraino aveva confermato che nessuna batteria Ucraina fosse stata catturata dai “ribelli”.

Secondo fatto: fino a quel momento nessun aereo ed elicottero ucraino era mai stato abbattuto se non con mezzi spalleggiabili, di portata limitata, o armi convenzionali come le mitragliatrici antiaeree.

Terzo fatto: per utilizzare una simile batteria antimissile, occorre personale altamente specializzato, in genere vi sono alcuni ingegneri elettronici, che utilizzano la batteria radar di puntamento e trasmettono le informazioni al sistema di lancio che poi provvede all’abbattimento, non è certo cosa che possa fare un minatore incazzato.

Quarto fatto:data la penuria di mezzi a disposizione, l’esercito ucraino, non poteva più schierare sul fronte caccia bombardieri, per cui una batteria antiaerea di quella portata sarebbe stata assolutamente inutile alle forze ribelli.

Quinto fatto: gli unici ad aver schierato in zona batterie antiaeree, erano le forze ucraine, le avevano dislocate nelle retrovie del fronte per difendere le truppe in avanzata verso le principali città ribelli, temendo un attacco aereo da parte russa, non smisero mai di giustificare i loro insuccessi mentendo sulla presenza al fronte di truppe russe regolari, notizia smentita più e più volte dagli stessi ispettori OSCE che controllavano i varchi di frontiera.

Sesto fatto: tutte le “prove” mostrate dagli ucraini a sostegno delle loro accuse contro i russi, registrazioni telefoniche, fotografie ed altre, si rivelarono dei clamorosi falsi.

Settimo fatto: le autorità russe misero immediatamente a disposizioni delle autorità inquirenti, tutte le registrazioni ed i tracciati radar in loro possesso.

Ottavo fatto: Le autorità ucraine si rifiutarono da subito di fornire i tracciati radar ed ogni registrazione di dialoghi con l’aereo abbattuto.

Nono fatto: i patrioti del Donbass, sospesero ogni attività bellica nella zona dove precipitarono i resti dell’aereo, zona molto vicina al fronte dei combattimenti, per permettere agli inquirenti ed investigatori internazionali di presenziare subito all’esame dei resti dell’aereo, e li scortarono per difenderli da eventuali agguati delle forze ucraine.

Decimo fatto: Le forze di invasione ucraine, non sospesero gli attacchi anche e soprattutto nelle zone dove caddero i resti dell’aereo, e come testimoniato dalle autorità internazionali inviate sul posto, dovettero sospendere i lavori a causa dei vicinissimi colpi di artiglieria sparati dagli ucraini.

Undicesimo fatto: volendo riassumere la vicenda, la sola presenza provata e certa di batterie di BUK era degli ucraini nelle retrovie del fronte, presenza certificata da loro stessi in funzione antirussa. Nessun missile BUK era mai stato lanciato dai patrioti del Donbass in precedenza, ne mai ne venne lanciato alcuno successivamente. Nessuna batteria di missili è mai stata data per catturata dai ribelli in precedenza, solo successivamente ai fatti le autorità ucraine dissero che ne avevano persa una catturata dai ribelli e lo fecero tardivamente. Nessuna infiltrazione di batteria AA russa è stata osservata o provata nel settore del Donbass e ogni traiettoria era incompatibile con un missile lanciato dal suolo russo o dal territorio ancora libero del Donbass. Le autorità russe o del Donbass, collaborarono immediatamente con gli inquirenti internazionali, mentre le autorità ucraine ostacolarono platealmente ogni indagine. Ogni movente per il lancio di un missile contro un aereo civile, si risolve in un tentativo da parte ucraina di far ricadere la colpa sui “ribelli” del Donbass o direttamente sui russi, tentativo fallito in quanto i resti dell’aereo caddero in un settore vicinissimo al fronte ma ancora libero e presidiato da truppe novorusse, che permisero agli inquirenti di recarsi immediatamente sul posto, aggiungo che le scatole nere, trovate, vennero immediatamente consegnate ed integre, è da notare come mai ci vennero fatte ascoltare le registrazioni dei dialoghi dei piloti, ne tanto meno alcuna trascrizione dei medesimi, mentre in ogni altra occasione queste vennero rese subito disponibili.

Pertanto , in conclusione, direi che se gli unici missili nel settore erano ucraini, e gli unici ad avere un movente chiaro per causare questo tipo di incidente fossero gli ucraini, direi che vi siano pochi dubbi su chi sia stato a commettere il fatto, il resto è tutta fuffa politica per giustificare le concessioni e l’integrazione di un paese criminale nell’Unione Europea.

Resta certo che i morti, 295, attendono che si dia loro almeno la giustizia della verità sulla loro fine, invece di specularci sopra per i soliti giochi di guerra fredda che vediamo troppo spesso.


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ORIG.: Kiev Regime Conducted Special Operation to Destroy Malaysian Airlines Flight MH17 (PravdaReport 29 June 2017 / Global Research, June 30, 2017)



Kiev ha abbattuto il volo MH17 delle Malaysian Airlines

4 luglio 2017

Pravda, 29 giugno 2017 – Global Research

Il quotidiano Sovershenno Sekretno prosegue l’indagine sull’abbattimento del Boeingmalese sul Donbas, pubblicando un’altra serie di documenti che attribuisce a Kiev la colpa della tragedia. I giornalisti hanno ottenuto una mappa, un piano di volo segreto, steso e firmato personalmente, il giorno prima del volo, 16 luglio 2014, dal pilota della 299.ma Brigata aerea tattica capitano Vladislav Voloshin. Il piano fu approvato dal comandante dell’unità militare A4104, colonnello Gennadij Dubovik. L’Ucraina ancora afferma che alcun aereo militare volò nella zona il giorno in cui si verificò la tragedia. Tuttavia, i documenti appena pubblicati dimostrano che gli ufficiali ucraini mentono. Pravda ha avuto una breve intervista con Sergej Sokolov, caporedattore di Sovershenno Sekretno.

“Questa volta il materiale è ampio, ci sono copie scansionate di documenti e trascrizioni delle conversazioni coi piloti dell’aviazione ucraina. È noto che l’Ucraina usò i suoi aerei da guerra quel tragico giorno. Cosa dicono le informazioni appena scoperte?”
“Questi documenti dimostrano che ci furono ordini per l’impiego degli aerei da combattimento. Le conversazioni coi militari della divisione aerea di Chuguev testimoniano che ci furono delle sortite. Cerchiamo di essere oggettivi, ma sappiamo che la versione promossa dalla commissione internazionale nei Paesi Bassi prevale, secondo cui fu un sistema missilistico russo Buk che abbatté l’aereo. Crediamo che tale versione sia faziosa e non credibile perché i documenti che pubblichiamo testimoniano che ci furono altri fatti da considerare e analizzare attentamente da parte della commissione internazionale nei Paesi Bassi”.

“Come avete avuto queste informazioni?”
“In modo rigoroso, quando abbiamo ricevuto registrazioni audio delle conversazioni coi militari dell’unità aerea di Chuguev, fu chiaro che una persona sconosciuta gli parlò e fece queste registrazioni. In generale, fu un’operazione speciale per documentare i reati commessi dalle forze armate ucraine”.

“Pensi che la distruzione del Boeing della Malaysia Airlines fu un’operazione ben pianificata?”
“Secondo i documenti che abbiamo pubblicato, l’SBU ucraino parla della distruzione come dovuta a un’operazione speciale. Tale conclusione è possibile”.

“Cosa puoi dirci di chi ordinò la distruzione dell’aereo di linea?”
“Se fu un’operazione speciale statale, è chiaro che riguarda l’amministrazione ucraina. Nel nostro articolo notiamo una strana coincidenza. Alla vigilia della tragedia, due alti funzionari dell’amministrazione ucraina visitarono l’unità aerea di Chuguev: Jatsenjuk, poi primo ministro dell’Ucraina, e Parubij. Visitarono anche la brigata aerea tattica di Nikolaev. Parlando in senso stretto, fu una coincidenza, ma abbiamo pubblicato una foto in cui Jatsenjuk appare accanto al velivolo SU-25 08, l’aviogetto che il capitano Voloshin avrebbe pilotato, secondo il piano di volo”.

“C’è qualche speranza che il tuo materiale influenzi l’inchiesta nei Paesi Bassi?”
“Mi piacerebbe molto crederlo, perché mi fa davvero male vedere persone plaudire il dilettantismo di Bellingcat con articoli dalle foto manipolate”.



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Facts withheld of Malaysian airlines crash

[Excerpt from: Russian trucks deliver food and aid — and leave

By Sara Flounders on August 28, 2014

http://www.workers.org/articles/2014/08/28/russian-trucks-deliver-food-aid-leave/ ]


(...) Notable for its absence in the corporate media is any mention of the July 17 downing of Malaysian Airlines Flight MH17 over Ukrainian territory, killing all 298 people on board.

At that time, and without any evidence, all U.S. and NATO officials immediately blamed Russia and the Ukrainian rebels in eastern Ukraine for shooting down the Boeing 777. They used this charge to whip the European Union into imposing sanctions on the Russian economy.

On Aug. 11, the Dutch Safety Board announced that a preliminary report would be published in a week with the first factual finding of the ongoing investigation into the flight that departed from Amsterdam and crashed in Ukraine. The Netherlands was given custody of the flight data recorder, or black box recordings, from the crash.

As of Aug. 25, the Dutch government has refused to release the recordings. (RIA Novosti, Aug. 25) This, of course, immediately raises suspicions that the Kiev junta forces were responsible for the crash.

Questions had already been raised of why the Kiev forces would have placed numerous BUK anti-aircraft batteries in the area when the rebels have no planes, why the Malaysian flight was diverted hundreds of miles by Kiev ground control over the battle zone, and why Kiev air traffic control data and radar data of the flight have still not been made ­public.

Did the Ukrainian military shoot down the passenger plane simply to create a provocation that could be turned against the rebels in east Ukraine and Russia?

Demands for an independent inquiry into the crash are growing. One petition raises the danger of the U.S. expansion of NATO and military encirclement of Russia and posed the possibility that Flight MH17’s crash resulted from an attempt to assassinate Russian President Vladimir Putin, whose aircraft was returning from South America the same day.

The media’s silence now and the absence of U.S. officials providing any concrete evidence in over a month from their own spy satellites or radar add fuel to the growing questions and deep suspicions of the Kiev coup regime’s role in the crash and the growing danger of U.S./NATO military expansion.




(english / italiano)

Crisi mediterranee /2: CIPRO

* In migliaia marciano per la pace a Cipro (da Avante.pt)
* RESOLUTIONS of the Pancyprian Peace March 
 – on the Situation in the Area
– on the Cyprus Problem
* Salute Message from The Belgrade Forum for a World of Equals to the Organizers and Participants of Pancyprian Peace March 2018
* Cipro: unità o partizione? I conservatori vincono le elezioni, ma i comunisti tornano a rafforzarsi (P. Rizzi  10/02/2018)


=== * ===


In migliaia marciano per la pace a Cipro

21 Giugno 2018

da avante.pt

Traduzione di Mauro Gemma

Migliaia di ciprioti greci e ciprioti turchi hanno preso parte alla marcia della pace pan-cipriota organizzata dal Consiglio di pace di Cipro, che ha espresso la richiesta di pace a Cipro e nel mondo.

Un sole splendente e il rumore dei caccia britannici che sorvolavano la manifestazione non hanno infranto la volontà dei manifestanti di percorrere i quasi cinque chilometri della marcia verso la base militare britannica ad Akrotiri vicino a Limassol - base da cui i caccia britannici sono decollati per bombardare la Siria e il suo popolo.

La marcia ha rappresentato un'importante condanna degli interventi e delle guerre imperialiste della NATO, attraverso la denuncia e il rifiuto dell'uso di Cipro, vale a dire delle basi militari britanniche installate in questo paese, come piattaforma per il lancio di operazioni di aggressione contro i popoli del Medio Oriente.

I manifestanti hanno chiesto il ritiro di tutte le forze militari straniere da Cipro, comprese le forze di occupazione turche - che continuano ad occupare illegalmente quasi il 40 per cento del territorio di Cipro -, lo smantellamento delle basi militari britanniche in quel paese, nonché lo scioglimento della NATO.

Davanti ai cancelli della base britannica sono stati distribuiti simbolicamente giubbotti di salvataggio e una barca gonfiabile, come denuncia delle morti di migliaia di persone nel Mar Mediterraneo, mentre fuggono dagli orrori delle guerre provocate dalle aggressioni degli Stati Uniti, della NATO e dei suoi alleati.

Prima dell'inizio della marcia si è svolta una manifestazione politico-culturale alla quale hanno partecipato rappresentanti di Spagna, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Palestina, Serbia, Siria, nonché il Consiglio mondiale per la pace e il Consiglio portoghese per la pace e cooperazione.

Contro le guerre dell'imperialismo

Anche Andros Kyprianou, segretario generale del Comitato centrale di AKEL (Partito del Popolo Lavoratore di Cipro), ha preso parte all'iniziativa, sottolineando l'importanza della lotta per la pace e contro le guerre dell'imperialismo, "che sta dividendo e ridisegnando il mondo, ridefinendo ripetutamente confini e spargendo il sangue dei popoli”.

Ricordando che l'orrore della guerra si trova letteralmente dalle parti di Cipro, Andros Kyprianou ha denunciato la grave situazione nella Striscia di Gaza - dove oltre un milione di persone non gode dei diritti fondamentali a seguito dell'assedio e della repressione di Israele.

Il segretario di AKEL ha anche denunciato l'aggressione contro la Siria, dove oltre mezzo milione di persone sono state uccise negli ultimi otto anni, la guerra di aggressione contro lo Yemen, dove l'orrore della guerra e della distruzione affligge milioni di persone e ha ricordato i milioni di sfollati e rifugiati, compresi i bambini.

Kyprianou ha denunciato e criticato l'atteggiamento connivente del governo cipriota per l'aggressione contro la Siria e il suo silenzio in merito all'uso delle basi militari britanniche installate nel paese per attaccare la Siria e il suo popolo.

Il segretario generale di AKEL ha anche ribadito che la via verso la fine dell'occupazione e la riunificazione di Cipro è la soluzione federale bizonale e bicomunitaria.


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RESOLUTION OF THE PANCYPRIAN PEACE MARCH 
ON THE SITUATION IN THE AREA


Sunday 10 June 2018

• The peoples of the wider region are witnesses to the tensions imperialist aggression is provoking daily, which is expressed in the waging of new wars and interventions. The continuous violation of International Law and of the UN Charter can be added to the existing unresolved international problems, as well as the catastrophic consequences which the wars in Iraq, Afghanistan and Libya have provoked. We demand an immediate end to the hostilities in the area. The drastic and dangerous militarization has made our region a theatre of geopolitical and energy confrontations of our times. The peoples are paying the price of the competition for the control of the energy reserves, pipelines and commercial routes with their blood and uprooting as refugees.

• We denounce the bloodshed and all the foreign interventions in Syria and demand the respect of the territorial integrity, unity and sovereignty of the country.. We express our solidarity with the suffering people of Syria who is has been subjected for several years to the military intervention of the US-NATO-Turkey and the Gulf Monarchies, aiming at the overthrow of the country's government and the promotion of the geopolitical and energy plans of the West.

• We condemn the new wave of murderous aggression conducted by the State of Israel against the people of Palestine, which is being cultivated by the inflammatory US policy. We demand the termination of the Israeli occupation and colonization in Palestine, the end to the inhuman and illegal blockade of Gaza, the release of the political prisoners and demolition of the Wall of Shame. We stand in solidarity with the struggle of the Palestinian people for the establishment of an independent and sovereign Palestinian state on the 1967 borders and with East Jerusalem as the capital that will coexist peacefully next to the State of Israel. We call on the EU to freeze the Association Agreement and cancel any kind of inter-state military co-operation with Israel.

• We condemn the ongoing 4 year military raid of Saudi Arabia against Yemen, which has caused one of the greatest humanitarian crises in the world and brought enormous destruction in the country’s already rudimentary infrastructures. We condemn the silence shown by international organizations and the global mass media surrounding the developments in this dirty war and we vehemently denounce the sale of arms to Saudi Arabia by a number of Western countries.

• We denounce the aggression waged by the Turkish state both internally, as well as against neighboring states. We are struggling for a solution of the Cyprus problem that will lead to the termination of the Turkish occupation and division of Cyprus; to the liberation and reunification of the island and people of Cyprus; to the peaceful coexistence of Greek Cypriots and Turkish Cypriots in their common homeland on the basis of the agreed framework of bicommunal, bizonal federation.

• We are fighting for the dissolution of all the foreign military bases in the countries of our region, which operate as launching pads for conducting raids and interventions against our peoples. We denounce the use and involvement of the British bases in Cyprus in imperialist raids and the existence of the spying facilities on the island. We are struggling for the abolition of the British bases in Cyprus and the full demilitarization of the island.

• We demand that our region free itself from nuclear weapons and call for the convening of a UN Conference that will proclaim the Middle East a region free of weapons of mass destruction, including Turkey which has nuclear weapons on its territory. We denounce the US decision to unilaterally withdraw from the Iran nuclear program agreement and condemn the cover-up provided to the State of Israel, which has a nuclear arsenal and refuses to sign the Nuclear Non-Proliferation Treaty.

• We call for solidarity and the humane treatment for refugees coming from the countries of the region. We demand the replacement of the military operations to suppress the refugee flows with search and rescue operations in order so that the ongoing tragedies in the Mediterranean be reduced. We call demand from the EU the establishment of legal and safe routes for asylum seekers and a permanent mechanism for accommodating refugees in all the EU Member States, depending on their possibilities. We denounce the "externalization of the control of EU borders" by means of agreements with neighboring states so that the refugees are kept outside Europe by any means.

• We denounce the extensive arms trade conducted by EU Member States to countries at war and authoritarian regimes of the Middle East, an element which fuels or/and provokes the tensions, conflicts and bloodshed.

• We affirm that the peoples of our region have nothing to divide between them. Our common enemy is imperialism which generates wars, chauvinism and militarism. The struggle for the respect of International Law, for peace, for the recognition of the right of every people to determine the future of its country is the path of struggle which unites the peace-loving movements and peoples of our neighborhood.


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RESOLUTION OF THE PANCYPRIAN PEACE MARCH 
ON THE CYPRUS PROBLEM 

10 June 2018

"The liberation and reunification of Cyprus as a stage of struggle against imperialist aggression and for world peace"

The Cyprus Peace Council, political parties, movements and people participating in the Peace March which is taking place today 10 June 2018, considering that the current partitionist status quo continues to crush any prospect for real peace, prosperity and progress for the Cypriot people as a whole, Greek Cypriots and Turkish Cypriots, and that the effort to reach a solution of the Cyprus problem is a stage of struggle against the generalized imperialist aggression which humanity and our entire region is facing very violently, concludes the following:

1. Points out that the creation and perpetuation of the Cyprus problem is the result of illegal foreign interventions and plans seeking the control of the Eastern Mediterranean region and the wider region of the Middle East. Denounces that 44 years after the twin crime committed in July 1974 - namely the treacherous coup d’état and the illegal Turkish invasion engineered by the NATO powers in full co-operation with undemocratic forces in Cyprus - the Cyprus problem remains unresolved. At the same time, it also denounces the support towards the consolidation of the status quo by anyone from whatever quarter, since this is how the final partition of Cyprus is promoted that serves first and foremost Turkey, which continues to occupy 37% of the territory of the Republic of Cyprus.

2. Stresses that the unwavering goal remains the liberation and reunification of Cyprus and its people.

3. Demands the immediate withdrawal of the occupying Turkish troops from Cyprus, the termination of the anachronistic and imposed Treaty of Guarantee and any intervention rights, as well as the demilitarization of the Republic of Cyprus on the basis of the unanimous decisions of the National Council of 1989 and 2009, and numerous resolutions adopted by the UN Security Council.

4. Considers that the dismantling of the British bases is an integral part of the struggle our people is waging to regain their territorial integrity and the unimpeded exercise of its state sovereignty. At the same time, it underlines that the characterization of the bases as "sovereign" reflects unacceptable remnants of a colonial regime, illegal according to international law. Considers that the two communities, with the Cyprus problem solved, can together more effectively continue the struggle for the withdrawal of the Bases.

5. Stresses its support for a bicommunal, bizonal federal solution based on International Law, the UN Security Council resolutions on Cyprus, the High-Level Agreements and EU principles; Reaffirms that the solution of the Cyprus problem, as provided by the joint communiqués of the leaders of the two communities and the agreed convergences, will safeguard that there is a one state in Cyprus with a single sovereignty, a single international personality and a single citizenship, an independent and territorially integral state, consisting of two politically equal communities as provided for in the relevant UN Security Council resolutions. The solution must exclude the union of all or part of the island with any other state, as well as any form of partition, secession or annexation by another state.

6. Underlines that the solution of the Cyprus problem must safeguard the human rights and fundamental freedoms of all Cypriots, while expressing concern about the existing treatment of the enclaved persons. At the same time, denounces the Turkish side's long-standing reluctance to cooperate to the greatest possible degree for the completion of the effort to verify the fate of the missing persons, and calls on all to contribute to this procedure.

7. Supports that the appropriate way of achieving a peaceful, just, mutually acceptable and viable solution to the Cyprus problem continues to be through substantive intercommunal talks under the auspices of the UN. It points out that the unsuccessful ending of the talks in Crans Montana last July has led the Cyprus problem to a dangerous stalemate, while at the same time underlining that the way to avoid the final deadlock and for the negotiations to resume is the one proposed by the UN Secretary-General in the Report he submitted last September.

8. Warns that the continuation of the deadlock in the talks consolidates dangerously the fait accompli of the occupation and leads us step by step towards the final partition. It therefore calls for the immediate resumption of the negotiations as a necessity and calls on the leaders of the two communities to work together and substantially in this direction.

9. Demands from Turkey that it ceases to engage in divisive policies against the Republic of Cyprus and the Cypriot people, as well as to put an end to any action that inflames the climate and limits the chances of resuming the dialogue.

10. Calls on the international community to show solidarity with the struggles of the Cypriot people, support the effort for the resumption of the dialogue and finding a solution on the agreed basis and to exert all possible influence within this framework on Ankara.

11. In conclusion, it once more reiterates that the solution of the Cyprus problem is the only real guarantee for the consolidation of peace in Cyprus and creation of prospects for sustainable prosperity and progress to the benefit of the Cypriot people as a whole, Greek Cypriots and Turkish Cypriots. At the same time, peace in Cyprus can become a beacon of hope for curbing the imperialist aggression in our region.


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Belgrade, June 3rd, 2018.
Nicosia, Cyprus

Dear Friends of Peace,
The Belgrade Forum for a World of Equals, as well as all friends of brotherly people of Cypruce, from Serbia, expresses their utmost solidarity with organizers and participants of Pancyprian Peace March 2018.
In this turbulent era of growing tensions, global mistrust and daily violations of international law we demand to end all ongoing wars, to stop bloodshed being committed against peoples of the region such as the peoples of Syria, Palestine, Yemen and others. We demand that all disputes be resolved by peaceful means only, through negotiations under the auspices of United Nations. Use of force or threat of use of force is contrary to UN Charter and never leads to just and sustainable solutions and therefore are absolutely unacceptable..
We join you in marching on the path of Peace in order to express our opposition to Cyprus being used through the British Bases as an aggressive launching pad. Foreign military bases are relics of the Cold War era and in the interest of peace and freedom should be dismantled.
We fully support just demands for the resumption of talks on the Cyprus problem and peaceful reunification of Cyprus, so that Cyprus becomes a bridge of peace, development and cooperation for the peoples of the region. 
We are eternally grateful for solidarity and great humanitarian assistance of the brotherly people of Cyprus to Serbian people in the years of Yugoslav Crises and 1999. NATO aggression.

Long live peace.
Long live eternal friendship and solidarity between Serbia and Cyprus.  

Zivadin Jovanovic
President of the Belgrade Forum for a World of Equals
B e l g r a d e
Serbia


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Cipro: unità o partizione? 
I conservatori vincono le elezioni, ma i comunisti tornano a rafforzarsi.

di Paolo Rizzi  10/02/2018

Il ballottaggio presidenziale a Cipro del 4 febbraio ha confermato Nicos Anastasiades col 55,99% dei voti. I democristiano dell’Alleanza Democratica (DISY) vincono così il secondo mandato consecutivo.

Lo sfidante era Stavros Malas, del Partito Progressista dei Lavoratori di Cipro (AKEL), la storica formazione comunista dell’isola. Malas è arrivato al secondo turno contro tutte le indicazioni dei sondaggi. Tra il primo e il secondo turno Malas è passato dal 30,24 al 44,01%. Questo recupero non è bastato a colmare lo svantaggio, anche per il sostegno dato dal terzo candidato, il liberaldemocratico Papadopoulos, al presidente uscente.

AKEL ha governato Cipro dal 2006 al 2013, evitando che durante la fase più pesante della crisi il paese finisse sotto il commissariamento della Troika, senza riuscire però a imporre una “uscita a sinistra dalla crisi”

Il presidente Anastasiades ha ottenuto dai creditori internazionali dei notevoli aiuti e l’economia cipriota è tornata a crescere a ritmi sostenuti, oltre il 4%. Una crescita che però corrisponde a un calo solo parziale della disoccupazione. Dai massimi del 16%, la disoccupazione è scesa tra il 10 e l’11%, con molte variazioni stagionali dovute al turismo. La disoccupazione giovanile resta oltre il 20%.

Il processo di pace

L’altro grande tema è ovviamente il processo di pace con la parte Nord dell’isola, tutt’ora occupata dalla Turchia. Nello stato fantoccio del Nord si sono svolte elezioni parlamentari a Gennaio, vinte dai partiti nazionalisti turchi, che hanno ora una maggioranza di 26 seggi su 50. I partiti socialdemocratici e della sinistra radicale favorevoli al processo di pace sono invece arretrati. La sinistra radicale non ha ottenuto nessun seggio.

Per il presidente Anastasiades è quindi ora più difficile resuscitare i colloqui di pace, di fatto bloccati negli ultimi anni dall’intransigenza di Ankara. D’altra parte, AKEL accusa il presidente di lasciare gioco facile ad Erdogan. I comunisti ciprioti hanno recentemente attuato una svolta, sostenendo la soluzione federale a due zone proposta dalle Nazioni Unite, che include il ritiro delle truppe turche e la gestione totalmente cipriota dell’ordine, senza presenze straniere. L’AKEL considera questa l’unica soluzione praticabile per arrivare all’unificazione del paese e accusa i democristiani di DISY e i liberali di Papadopoulos di immobilismo, di far scivolare il paese verso una divisione definitiva tra Nord e Sud. Secondo i comunisti ciprioti, i partiti di governo parlano di una soluzione con uno stato unico non federale solo per non dover affrontare negoziati reali. Nel frattempo, Erdogan ha completato il suo tour diplomatico in Europa e porta avanti il suo intervento nel conflitto siriano invadendo il cantone curdo di Afrin e bombardando le posizioni del governo di Damasco.




Crisi mediterranee /1: PALESTINA

* Parlamento israeliano approva la legge sullo Stato-nazione che formalizza la segregazione razziale
* Consiglio Comunale di Torino vota Mozione di condanna di Israele per il massacro di Gaza

Vedi anche: La Freedom Flottilla in navigazione verso Gaza


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Israele verso la “supremazia ebraica”? L’apartheid diventa legge

di Sergio Cararo - Gideon Levy, 19.7.2017

E’ un brutto segnale, prevedibile ma brutto, per qualsiasi paese. Se poi quel paese è lo Stato di Israele con la sua narrazione alla spalle, il fatto assume la valenza di un “segno dei tempi” in cui ci è toccato di vivere.

Il parlamento israeliano, la Knesset ha approvato il progetto di legge sullo “Stato-nazione” – la famosa Clausola 7 b – secondo cui Israele è ebraico in modo “esclusivo” . Il progetto legislativo è diventato legge dello Stato dopo un acceso dibattito parlamentare di otto ore, ottenendo 62 voti a favore e ben 55 contrari. Segno che, fortunatamente, la società politica israeliana non è unanime su questo gravissimo passaggio.

La norma è la quatordicesima “legge base” dello Stato (come noto Israele non ha una Costituzione). In base ad essa, solo gli ebrei hanno diritto all’autodeterminazione in Israele. Il testo legislativo tocca anche la questione delle colonie, legittimandole: “Lo Stato vede lo sviluppo di insediamenti ebraici come un interesse nazionale e prenderà misure per incoraggiare, avanzare e mettere in atto questo interesse”. Viene inoltre “degradata” la lingua araba, da status di lingua nazionale a “speciale”.

Dal testo definitivo sono state tolte alcune clausole contestate, come la creazione di comunità per soli ebrei, che avrebbe concesso ai residenti di cacciare o respingere gli arabi.

Subito dopo la votazione, il premier Benjamin Netanyahu ha affermato: “Questo è un momento cruciale – lunga vita allo Stato d’Israele”. Durante la riunione parlamentare, Avi Dichter, promotore della legge e capo del comitato per gli Affari esteri e la Difesa, si è rivolto ai legislatori arabi: “Eravamo qui prima di voi, e ci saremo dopo di voi”. Da parte loro, i rappresentanti della minoranza rabo/palestinese hanno strappato il testo della legge come segno di protesta.

Gli arabi israeliani – i palestinesi – rappresentano ben il 20% di una popolazione di nove milioni di abitanti, e sono per la maggioranza di fede musulmana con piccole minoranze druse e cristiane. Nonostante essi godano per legge di pari diritti, i cittadini palestinesi in Israele hanno sempre lamentato di essere sottoposti a discriminazioni ed essere trattati come “cittadini di serie B”.

I palestinesi possono esercitare il diritto di voto, eleggere i loro parlamentari alla Knesset – nelle elezioni del 2015, la Union List, la coalizione arabo-israeliana guidata dal quarantunenne Ayman Odeh, ha conquistato quattordici seggi, diventando per la prima volta nella storia la terza forza politica di Israele – ma sa già in partenza che, comunque vada, non sarà mai rappresentato in un governo, sia esso di destra, di centro o di sinistra, perché prima di ogni altra cosa viene l’identità ebraica dell’esecutivo..

La popolazione palestinese in Israele subisce discriminazioni nella ripartizione dei finanziamenti per i servizi pubblici; ciò significa che la maggior parte delle città a popolazione prevalentemente palestinese ubicate all’interno di Israele ricevono stanziamenti di bilancio decisamente inferiori per la sanità, l’istruzione e altri servizi sociali rispetto alle città a maggioranza ebrea.
Secondo una relazione del 1998 dell’Adva Centre di Tel Aviv, le disparità sociali ed economiche in Israele sono particolarmente evidenti nei confronti degli arabi israeliani. La relazione fornisce alcune cifre illuminanti, ad esempio emerge che il reddito medio dei palestinesi che hanno cittadinanza israeliana è il più basso tra tutti i gruppi etnici del paese; che il 42 % dei palestinesi cittadini israeliani all’età di 17 anni ha già abbandonato gli studi; che il tasso di mortalità infantile tra i palestinesi cittadini israeliani è quasi il doppio rispetto a quello degli ebrei: 9,6 per 1000 nascite contro 5,3.

Selim Joubran, giudice arabo della Corte Costituzionale, ha denunciato quattro anni fa come tra ebrei e palestinesi in Israele “ci sono divari nell’educazione, nell’impiego, nell’assegnazione di terreni per le costruzioni e l’espansione della comunità, scarsezza di zone industriali e infrastrutture, molti errori nei segnali stradali in arabo”.

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Sulla legge approvata in Israele, riproduciamo l’articolo di Gideon Levy comparso sul settimanale “Internazionale” del 19/7/2018. 

La legge che dice la verità su Israele

Di Gideon Levy

Il parlamento israeliano, la Knesset, ha approvato una delle leggi più importanti della sua storia, oltre che quella più conforme alla realtà. La legge sullo stato-nazione (che definisce Israele come la patria storica del popolo ebraico, incoraggia la creazione di comunità riservate agli ebrei, declassa l’arabo da lingua ufficiale a lingua a statuto speciale) mette fine al generico nazionalismo di Israele e presenta il sionismo per quello che è. La legge mette fine anche alla farsa di uno stato israeliano “ebraico e democratico”, una combinazione che non è mai esistita e non sarebbe mai potuta esistere per l’intrinseca contraddizione tra questi due valori, impossibili da conciliare se non con l’inganno. 

Se lo stato è ebraico non può essere democratico, perché non esiste uguaglianza. Se è democratico, non può essere ebraico, poiché una democrazia non garantisce privilegi sulla base dell’origine etnica. Quindi la Knesset ha deciso: Israele è ebraica. Israele dichiara di essere lo stato nazione del popolo ebraico, non uno stato formato dai suoi cittadini, non uno stato di due popoli che convivono al suo interno, e ha quindi smesso di essere una democrazia egualitaria, non soltanto in pratica ma anche in teoria. È per questo che questa legge è così importante. È una legge sincera.
Le proteste contro la proposta di legge erano nate soprattutto come un tentativo di conservare la politica di ambiguità nazionale. 

Il presidente della repubblica, Reuven Rivlin, e il procuratore generale di stato, i difensori pubblici della moralità, avevano protestato, ottenendo le lodi del campo progressista. Il presidente aveva gridato che la legge sarebbe stata “un’arma nelle mani dei nemici di Israele”, mentre il procuratore generale aveva messo in guardia contro le sue “conseguenze internazionali”. La prospettiva che la verità su Israele si riveli agli occhi del mondo li ha spinti ad agire. Rivlin, va detto, si è scagliato con grande vigore e coraggio contro la clausola che permette ai comitati di comunità di escludere alcuni residenti e contro le sue implicazioni per il governo, ma la verità è che a scioccare la maggior parte dei progressisti non è stato altro che vedere la realtà codificata in legge. 

Era bello dire che l’apartheid riguardava solo il Sudafrica

Anche il giurista Mordechai Kremnitzer ha denunciato invano il fatto che la proposta di legge avrebbe “scatenato una rivoluzione, né più né meno. Sancirà la fine di Israele come stato ebraico e democratico”. Ha poi aggiunto che la legge avrebbe reso Israele un paese guida “per stati nazionalisti come Polonia e Ungheria”, come se non fosse già così da molto tempo. In Polonia e Ungheria non esiste un popolo che esercita la tirannia su un altro popolo privo di diritti, un fatto che è diventato una realtà permanente e un elemento inscindibile del modo in cui agiscono Israele e il suo governo, senza che se ne intraveda la fine. 

Tutti questi anni d’ipocrisia sono stati piacevoli. Era bello dire che l’apartheid riguardava solo il Sudafrica, perché lì tutto il sistema si basava su leggi razziali, mentre noi non avevamo alcuna legge simile. Dire che quello che succede a Hebron non è apartheid, che quello che succede in Cisgiordania non è apartheid e che l’occupazione in realtà non faceva parte del regime. Dire che eravamo l’unica democrazia della regione, nonostante i territori occupati. Era piacevole sostenere che, poiché gli arabi israeliani possono votare, la nostra è una democrazia egualitaria. O fare notare che esiste un partito arabo, anche se non ha alcuna influenza. O dire che gli arabi possono essere ammessi negli ospedali ebraici, che possono studiare nelle università ebraiche e vivere dove meglio credono (sì, come no). 

19 luglio 2018


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Alla mozione votata dal Consiglio Comunale di Torino di condanna di Israele per il massacro di Gaza, c'è stata una violenta risposta delle comunità ebraiche torinesi e nazionali e la richiesta da parte di quest'ultime di un incontro con la sindaca Appendino il tutto sostenuto in modo fazioso dal quotidiano "La Stampa" senza citare minimamente le argomentazioni e i dati contenuti nella mozione. La società civile torinese ha reagito mandando una lettera di appoggio alla mozione alla sindaca che qui sotto riportiamo. Finalmente una buona iniziativa. 

La società civile torinese unita nel sostenere una importantissima mozione approvata pochi giorni fa in Consiglio Comunale con la quale si chiede al governo di interrompere la vendita di armi ad Israele e l'apertura di canali umanitari per le forniture mediche verso Gaza!

Signora Sindaca Appendino, 
in quanto organizzazioni della società civile torinese, e consapevoli delle pressioni che si sono verificate negli ultimi giorni, vogliamo dichiarare la nostra adesione alla mozione approvata a larghissima maggioranza dal Consiglio Comunale di Torino. In questo documento, si esprime profonda preoccupazione per la repressione e l'uso smisurato della forza da parte dell'esercito israeliano contro la popolazione civile palestinese e si chiede “la sospensione delle forniture di armi e attrezzature militari nei confronti di Israele”. In tal senso è necessario ricordare l’ultimo rapporto di Amnesty International che hanno accertato come nel corso delle proteste della “Grande marcia del ritorno” a Gaza l’esercito israeliano abbia “ucciso e ferito manifestanti palestinesi che non costituivano alcuna minaccia imminente”. Nella maggior parte dei casi analizzati da Amnesty, i manifestanti uccisi sono stati colpiti sulla parte superiore del corpo, come la testa e il petto, in diversi casi mentre davano le spalle ai soldati. I cecchini israeliani hanno ucciso o ferito in modo intenzionale manifestanti disarmati, disabili, giornalisti e personale medico che erano distanti dalla barriera da 150 a 400 metri. I palestinesi uccisi sono stati più di 100 e il numero di feriti si aggira attorno alle 10.000 persone, mentre nessun soldato o civile israeliano è rimasto ferito. Secondo Medici Senza Frontiere, la metà degli oltre 500 pazienti trattati nei suoi centri “presentano ferite da armi da fuoco davvero devastanti” molti dei quali subiranno dei deficit funzionali per tutta la vita. A questo bisogna aggiungere che la maggioranza dei feriti “è a rischio amputazione per la mancanza di cure sufficienti a Gaza” a causa del blocco israeliano che provoca una situazione di profonda crisi umanitaria. Pertanto risultano più che condivisibili le parole della vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente, Magdalena Mughrabi secondo cui “la comunità internazionale deve agire concretamente e fermare l’afflusso di armi e di equipaggiamento militare a Israele poiché non farlo significherà continuare ad alimentare gravi violazioni dei diritti umani contro uomini, donne e bambini”. Ci pare che Amnesty International (come anche Human Right Watch, Medici Senza Frontiere e Commissione Speciale per i diritti umani dell'ONU) sia una fonte universalmente riconosciuta come affidabile e non sospetta né di essere pregiudizialmente antiisraeliana né tanto meno antisemita. Per tutte queste ragioni, ribadiamo il nostro sostegno alla decisione del Consiglio Comunale di Torino che può costituire un esempio per le altre amministrazioni locali nella difesa dei diritti umani ed il rispetto della giustizia internazionale. 

Di seguito la lista completa delle realtà firmatarie:
- Progetto Palestina
- BDS Torino
- FIOM CGIL TORINO
- Arci Torino
- USB Piemonte
- Rete ECO - Ebrei Contro l'Occupazione
- ACMOS
- Terra del Fuoco
- Associazione Frantz Fanon
- ANPI sezione V Torino
- ANPI sezione Nizza-Lingotto
- Arte Migrante Mondo
- Operazione Colomba
- Pax Christi Italia - Pagina Ufficiale
- Centro Studi Sereno Regis
- Giosef Unito
- Centro Documentazione Pace
- Comitato di Solidarietà con il Popolo Palestinese
- Unione Democratica Arabo Palestinese - UDAP
- Officine Corsare
- Studenti Indipendenti - SI
- Laboratorio Studentesco - LaSt
- Alter.POLIS
- Noi Restiamo
- Donne in Nero - Torino
- Un Ponte Per - Torino
- Palestina raccontata
- Un Ponte Per Gaza
- Assopace Palestina - Torino
- Invicta Palestina
- Cooperativa Babel