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"Srebrenica" / 2: Serbian parliament resolution alert!


A lire aussi:
BOSNIE-HERZÉGOVINE : CETTE ANNÉE, ALEKSANDAR VUČIĆ NE SERA PAS INVITÉ À SREBRENICA (Courrier des Balkans, mercredi 29 juin 2016)
L’an dernier, Aleksandar Vučić avait été chassé des cérémonies commémoratives de Potočari, et cette année, il ne sera pas invité : les familles des victimes ont fermé la porte à ceux qui ne reconnaissent pas le caractère génocidaire du massacre de 8 000 Bosniaques, en juillet 1995. Une décision qui alimente de nouvelles polémiques...

Sul tentato linciaggio del premier serbo Vučić a Potočari (Srebrenica) in occasione della commemorazione del 2015 si veda:

Raccomandiamo anche la consultazione della nostra pagina dedicata alla disinformazione strategica su "Srebrenica":


----- Original Message ----- 
From: S. K.
To: undisclosed-recipients
Sent: Thursday, June 30, 2016 12:35 PM
Subject: Srebrenica Historical Project: Serbian parliament resolution alert!

SREBRENICA HISTORICAL PROJECT

Postbus 90471,

2509LL

Den Haag, The Netherlands

+381 64 403 3612  (Serbia)

E-mail: srebrenica.historical.project@...

Web site: www.srebrenica-project.org

____________________________________________

 

SREBRENICA RESOLUTION ALERT IN THE SERBIAN PALIAMENT

 

          The Srebrenica Lobby in Serbia yesterday launched a stealth campaign to pressure the Serbian Parliament to adopt a resolution about the “Srebrenica genocide” that allegedly took place in July 1995. The proposed resolution is scheduled to be presented to parliament for a vote following “fast track” procedure, designed to be completed in time for this year’s Srebrenica anniversary ceremony on July 11. Obviously, the timing was designed to ensure that maximum emotional pressure is put on parliamentary deputies, while giving them a minimum of time to hold an informed public debate on the underlying Srebrenica issue.

          This year’s resolution proposal is a replay of a similar attempt made in 2010 which resulted in a partial gain for the Lobby. They were frustrated, however, in their ultimate goal of making the Serbian parliament declare that what happened in Srebrenica was genocide for which Serbia was bound to suffer political, economic, and moral consequences. As a result of the vociferous public protests and debate which ensued once the terms of the proposed resolution in 2010 became widely known, parliament was compelled to strike the word “genocide” from the text and to express itself in more guarded terms concerning the controversial issue. The Srebrenica Lobby has apparently reached the conclusion that the time is ripe now to try again. Lessons were learned from the 2010 experience and the plan for the next couple of days is to not give opponents sufficient time to organize or parliamentary deputies who are so inclined the opportunity to study the matter more closely.

          As we have stressed continuously over the years, Srebrenica genocide has nothing to do with the facts of what actually happened or sympathy for the innocent victims who were executed. It is a thoroughly politicized affair which serves an agenda having nothing in common with the interests of Bosnian Muslims and everything to do with inciting enmity between the Muslim and Orthodox inhabitants of the Balkans. The objective is to push them into mutually debilitating strife, with the Western-NATO alliance dominating over both in the strategically important Balkans and plundering their resources in the process, while cynically playing one side against the other. The proposed resolution in the Serbian parliament classifying Srebrenica as genocide and implying that Serbia (and by extension the Serbian people) played a role in that false flag operation is part and parcel of this insidious agenda.

          We learned about the resolution only yesterday because it was deliberately kept under wraps until the last possible moment in order to ensure its stealth passage in parliament. We are, however, mobilizing all our resources to call for a transparent public debate about what happened in Srebrenica and what Serbia allegedly had to do with it. Deputies in parliament are paid their salaries in order to make informed decisions on behalf of their constituents, not to allow themselves to be manipulated by political pressure. In order to make sure that the Srebrenica issue is properly considered and debated, we need your help.

          Serbian people highly regard the opinion of qualified foreign observers. We are therefore asking you to take a few minutes and to send us a mail expressing your view of this matter. Is it the business of the Serbian parliament to pass politically inspired resolutions about Srebrenica, thus taking the onus for this crime on behalf of the Serbian people as a whole? Is it correct and in line with provable facts to call what happened in Srebrenica a genocide? Is it proper to ambush a country’s parliament on an important issue such as this without allowing sufficient time for a full and unfettered public debate?

          If you can comment briefly on this, we are asking you for permission to forward your comments, with proper attribution of course, to Serbian parliament members so that they can take your views into account before voting and make an informed and responsible decision about this very important resolution.

          We thank you very much for your time and engagement in ensuring that Srebrenica is given proper consideration in the Serbian parliament. 

 

Stephen Karganovic

Srebrenica Historical Project




(deutsch / italiano)

"Srebrenica" / 1: In Svizzera condanna per reato di opinione

1) Donatello Poggi sulla procedura penale avviata nei suoi confronti per “discriminazione razziale” per avere espresso una visione non omologata sui fatti di "Srebrenica" (6 giugno 2015)
2) Donatello Poggi condannato in primo grado per “discriminazione razziale” (giugno 2016)
3) Poggi wegen unliebsamer Äusserungen zu Srebrenica verurteilt (Kommunisten.ch)


Riceviamo e pubblichiamo questa notizia gravissima. A essere condannato è un uomo politico che ha espresso il suo punto di vista pubblicamente e il fatto specifico sembra non avere nient'altro a che fare se non con l'interpretazione dei fatti di "Srebrenica": è un precedente assoluto di censura su questi temi. 

Facciamo per inciso notare come in Italia su di un crinale delicato e ambiguo, che ci può potenzialmente portare alle stesse limitazioni della libertà di opinione e di ricerca storica, si trova il dispositivo di modifica della "legge Mancino" (13 ottobre 1975, n. 654) sul "reato di negazionismo", recentemente approvato in via definitiva:
Sul tema si vedano ad es. 
Negazionismo di Stato (Gherush92 Committee for Human Rights)
Arriva in Italia l’ambiguo reato di negazionismo (PTV news 9 giugno 2016)

(A cura di Italo Slavo)


=== 1 ===

http://www.ticinolive.ch/2015/06/06/la-procedura-penale-avviata-contro-donatello-poggi-di-donatello-poggi/

La procedura penale avviata contro Donatello Poggi 


di Donatello Poggi
6 giugno 2015

Nel novembre del 2012 scrissi una lettera a proposito della cittadina bosniaca di Srebrenica descrivendo tutte le incongruenze e la disinformazione portata avanti dalla stampa occidentale. Il mio scritto non presentava nessuna dichiarazione razzista o diffamatoria nei confronti della comunità musulmana nel paese balcanico ma mettevo semplicemente in dubbio la versione ufficiale secondo cui vi fu “genocidio” da parte dei serbi ortodossi. Oltretutto, il governo della Republika Srpska (l’entità serba di Bosnia) ha potuto documentare come quasi 4’000 serbi furono massacrati in quell’area attorno a Srebrenica dalle milizie estremiste di mussulmani guidati da Naser Oric.

Oltre a questo fatto, del tutto ignorato se non si è competenti nella storia dei conflitti che hanno dilaniato l’ex Jugoslavia, nessuno in pratica è a conoscenza delle diverse migliaia di serbi morti durante l’operazione “Tempesta” dell’esercito croato che voleva purgare la Slavonia orientale dall’etnia serba: circa 250’000 civili sono stati costretti ad abbandonare le proprie dimore sotto i colpi croati. In tal senso, credo che Srebrenica sia stata usata come “diversivo” per confondere l’opinione pubblica mondiale e per nascondere questa operazione militare appena descritta.

Sulla base di questo mio scritto, sono stato denunciato per “discriminazione razziale” ma questa imputazione non ha nessuna ragione di essere dato che ho semplicemente spiegato il mio punto di vista a proposito degli eventi appena descritti senza fare considerazioni a proposito di razza o di etnia: le ragioni che ho spiegato sono apertamente condivise da molte persone in Svizzera, Serbia, Russia, Stati Uniti e altri paesi del mondo: una recente e attesa (da parecchi anni) sentenza della Corte dell’Aja ha sancito che nessuno durante le guerre dei Balcani ha perseguito l’obbiettivo di genocidio. A maggior ragione questa denuncia nei miei confronti, portata avanti da una persona che lavora presso il Tribunale d’appello, appare ancor più fuori luogo. È ancora possibile esprimere la propria opinione, per quanto controversa sia, o dobbiamo arrenderci di fronte alla prepotenza di chi fa della giustizia lo strumento per i propri interessi?

Ricordando Srebrenica, ho poi illustrato come anche in Kosovo la stampa internazionale si è apertamente schierata con i miliziani dell’UCK (Esercito di liberazione del Kosovo) che hanno dato inizio alla situazione di ostilità verso quella che è diventata una minoranza in casa propria, quella serba, a partire dagli anni ’60 con attacchi a dimore, proprietà e luoghi di culto ortodossi. L’intervento “umanitario” a favore dell’UCK è stato fatto sulla base di un massacro, quello di Racak, falsamente attribuito ai serbi ma effettivamente perpetrato dai combattenti di etnia albanese.

Come non vedere un nesso tra le due situazioni? La superpotenza americana fa leva sulla comunità musulmana per vedere realizzati i propri obbiettivi geostrategici e, nel caso dei Balcani, volevano essere la fine dell’influenza russa nella regione, con la devastazione completa della Serbia che viene considerata nazione sorella appunto della Russia.

Spingendomi più in là, la “comunità internazionale” sostiene dal 2011 i ribelli siriani così detti “moderati” ma che di moderato non hanno proprio nulla: non si conta nemmeno più il numero di cristiani massacrati da fondamentalisti legati ad Al Qaeda istruiti alle armi dagli Stati Uniti in Turchia e finanziati dai cari alleati della potenza a stella e strisce e cioè l’Arabia Saudita.

Come non vedere un filo conduttore comune nel tentativo di “False flag” prodotto nell’agosto del 2013 che pretendeva di accusare il Governo Siriano dell’impiego di armi chimiche per dar così via ad un nuovo intervento della NATO che avrebbe semplicemente lasciato le frange più fondamentaliste la potere nel paese del vicino oriente?

Tutti noi abbiamo visto i risultati della guerra in Kosovo: da quella che secondo una risoluzione della Nazioni Unite è ancora una provincia serba, il flusso di emigranti è esploso negli ultimi mesi confermando che l’intervento militare occidentale non ha risolto assolutamente nulla. E se dobbiamo soffermarci sull’esplosione dei flussi migratori, come si può considerare la guerra in Libia come positiva quando il numero di rifugiati in partenza verso le coste europee è un problema destinato a durare, purtroppo, ancora diversi decenni?

E cosa sarebbe successo nel caso in cui gli Stati Uniti, fortemente appoggiati da Francia e Gran Bretagna, fossero riusciti nel loro intento terrorista di colpire al cuore il governo siriano, abbattere la nazione guidata da Assad per lasciarla in mano ai fondamentalisti dell’ISIS/Al Qaeda? Altri milioni di profughi in fuga dalle proprie dimore proprio grazie all’ ”intervento umanitario” invocato dalla NATO?

Oggi purtroppo siamo testimoni di un’altra situazione di grave instabilità che si sta verificando nella regione attorno a Kumanovo, una città della Macedonia che ospita una minoranza etnica albanese che negli scontri di due settimane fa ha potuto godere dell’appoggio proprio degli ex combattenti dell’UCK che hanno l’intenzione di creare la “Grande Albania” sottraendo con guerre e massacri porzioni di territorio alla Serbia (obbiettivo raggiunto), Macedonia (in corso), alla Grecia (non ancora tentato) e al Montenegro (non tentato ma nel paese ci sono state già tensioni). La storia prova che gli eventi dalla fine del blocco sovietico ad oggi, in particolare le guerre “preventive” portate avanti dalla NATO non sono state altro che una scusa per espandere l’influenza occidentale senza prendere in minima considerazione la sorte di milioni di persone.

Farsi una propria idea in base alla lettura di documenti che non sono diffusi dalle agenzie di stampa occidentali, per poi esprimerle pubblicamente, è considerato razzismo? Purtroppo c’è gente che deve svegliarsi e riconoscere che quello che sperava fosse un cambiamento positivo, si è invece rivelato come un disastro di proporzioni immani destinato ad influenzare la storia mondiale. Se poi la situazione nei paesi considerati, cioè principalmente Bosnia e Kosovo, perché le persone originarie di queste regioni non tornano alle proprie dimore d’origine? Provate a chiederlo a un albanese, e come risposta otterrete solo il silenzio o l’eco delle vostre parole. E questo è una spiegazione che vale più di mille testi accademici.

Non mi sento colpevole di nulla ed anzi provo uno stimolo ancora maggiore di prima perché se le mie parole danno fastidio a qualche piccolo funzionario che pensa di far della legge il suo strumento politico, allora farò in modo che non manchi mai la discussione, giusta, sana ed aperta, su vari temi di rilevanza mondiale. Non sarò mai servo delle “verità ufficiali e confezionate” di CIA e NATO. Sono un cittadino svizzero e libero e non un burattino.

Donatello Poggi


=== 2 ===


“Il mio è un processo politico”

l'ex granconsigliere Donatello Poggi deve rispondere di ripetuta discriminazione razziale in merito al genocidio di Srebrenica - La sentenza in giornata
31 maggio 2016

BELLINZONA - "È un processo politico". Ha esordito così Donatello Poggi oggi in Pretura penale a Bellinzona. Il 60.enne ex granconsigliere e municipale di Biasca deve rispondere di ripetuta discriminazione razziale per due opinioni pubblicate in Ticino in merito al genocidio di Srebrenica dell'11 luglio 1995.
"Non nego che ci sia stato un massacro (morirono oltre 8.000 mila musulmani bosniaci, ndr. [Non furono affatto 8000 e non fu una strage di civili, cfr.:  ndCNJ] ), ma vi sono stati anche dei morti serbi. E questi sono stati trattati come cittadini di serie B", ha precisato l'operaio delle Officine FFS di Bellinzona. Il dibattimento prosegue ora con la requisitoria della procuratrice pubblica Valentina Tuoni e l'arringa del difensore Andrea Rotanzi. La sentenza in giornata.


Accuse confermate, condannato Poggi

Ritenuto colpevole in Pretura penale a Bellinzona di ripetuta discriminazione razziale per le offese alle vittime di Srebrenica
31 maggio 2016

BELLINZONA – Condannato. Il giudice della Pretura penale di Bellinzona Siro Quadri ha ritenuto l'ex granconsigliere e municipale di Biasca Donatello Poggi colpevole di ripetuta discriminazione razziale per via di due opinioni pubblicate sui media ticinesi riguardanti il massacro di Srebrenica. "Ha fatto passare in secondo piano la tragedia, il genocidio, minimizzando la sofferenza dei parenti delle vittime", ha spiegato il pretore. Confermata quindi la tesi della procuratrice pubblica Valentina Tuoni, la quale si era battuta per una condanna con la condizionale a 45 aliquote da 130 franchi (così come confermato dalla sentenza), e del patrocinatore dell'accusatore privato, l'avvocato Paolo Bernasconi. Dal canto suo il legale difensore Andrea Rotanzi aveva chiesto il proscioglimento dell'imputato. Donatello Poggi ricorrerà quasi sicuramente contro la sentenza alla Corte di appello e di revisione penale. Ulteriori dettagli sull'edizione di domani del CdT. 


Donatello Poggi non ci sta

È dichiarazione di ricorso contro la condanna inflittagli in Pretura penale per aver minimizzato il genocidio di Srebrenica del 1995
03 giugno 2016

BELLINZONA - L'ex granconsigliere e municipale di Biasca Donatello Poggi non ci sta. Attraverso il suo legale, l'avvocato Andrea Rotanzi, ha inoltrato dichiarazione di ricorso alla Corte di appello e di revisione penale contro la condanna che gli è stata inflitta martedì in Pretura (pena sospesa di 45 aliquote giornaliere da 130 franchi). Il 60.enne è stato ritenuto colpevole di discriminazione razziale per aver «ripetutamente disconosciuto, minimizzato grossolanamente e cercato di giustificare» il genocidio di Srebrenica dell'11 luglio 1995. Il giudice Siro Quadri ha accolto in toto il castello accusatorio della procuratrice pubblica Valentina Tuoni. La difesa, per contro, si era battuta per il proscioglimento. Il legale Andrea Rotanzi attende ora le motivazioni scritte della sentenza per decidere se confermare o meno la dichiarazione di Appello.


Il caso-Poggi sconfina

La condanna dell'ex deputato biaschese per discriminazione razziale sui fatti di Srebrenica suscita l'interesse di giornalisti tedeschi e TV serba
17 giugno 2016

BELLINZONA - Ha avuto eco oltre i confini cantonali la vicenda giudiziaria dell'ex deputato e municipale di Biasca Donatello Poggi legata alle sue controverse tesi sul massacro avvenuto a Srebrenica nel 1995, espresse in due lettere pubblicate sul CdT e sul sito TicinoLibero. La condanna dello scorso 31 maggio in Pretura penale per ripetuta discriminazione razziale (cfr. articolo suggerito) ha suscitato l'interesse di due giornalisti tedeschi. A fine mese giungeranno in Ticino per intervistare l'imputato, che nel frattempo ha ricorso contro la sentenza. «Si tratta di due redattori di una rivista tedesca che faranno un'azione a mio sostegno dalla Germania e anche verso il Tribunale d'Appello», spiega il 60.enne. Donatello Poggi annuncia anche l'interesse manifestato dalla TV serba.


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Poggi wegen unliebsamer Äusserungen zu Srebrenica verurteilt – Rückfall in die Maulkorb-Justiz

Der Tessiner Ex-Grossrat Donatello Poggi wurde am heutigen 31. Mai vom kantonalen Strafrichter in Bellinzona der wiederholten Verletzung von Artikel 261bis des Strafgesetzbuches (Anti-Rassismus-Norm) schuldig gesprochen und zu einer bedingten Geldstrafe von 5850 Franken nebst Busse von 1100 Franken verurteilt. Mit verschiedenen Schriften über die Vorgänge in Srebrenica 1995 habe Poggi laut dem Oberrichter “die Tragödie, den Genozid, an die zweite Stelle gesetzt und die Leiden der Angehörigen der Opfer verniedlicht”. In einem Artikel von 2012 hatte Poggi die durch die herrschenden Medien hierzulande verbreitete Darstellung der Ereignisse im Jugoslawien der 1990er Jahre kritisiert und auf allerlei Unstimmigkeiten und Desinformation durch die westliche Presse hingewiesen. Er äusserte Zweifel an der offiziellen Version, wonach in Srebrenica 1995 von serbischer Seite ein Massaker an der muslimischen Bevölkerung verübt worden sei.
Es ist so gut wie sicher, dass sich Poggi gegen den Richterspruch wehren wird. Dies umso mehr, als die Schweiz bereits im ähnlich gelagerten Fall von Dogu Perinçek vom EGMR zurückgepfiffen wurde, weil ihre Gerichtspraxis das verbriefte Grundrecht auf freie Meinungsäusserung verletzt.

Rückfall in Rechtsunsicherheit und Klima der Einschüchterung

Die Vorgänge von Srebrenica 1995 werden vom UN-Sicherheitsrat nicht als Völkermord berurteilt. Ein entsprechender Resolutionsentwurf mit einseitigen Schuldzuweisungen und Ausblendung der Opfer auf serbischer Seite scheiterte 2015 am russischen Veto. Damit und besonders durch das Perincek-Urteil des EGMR (2015 durch die von der Schweiz angerufene Grosse Kammer bestätigt) wurde eine jahrelange Rechtsunsicherheit beseitigt. Das Urteil aus Bellinzona macht diesen Erfolg zunichte und schafft neue Rechtsunsicherheit und ein Klima der Einschüchterung.
Dieser Rückfall ins Inquisitorische wird zweifellos jene Tendenzen bestärken, die eine Neufassung des Anti-Rassismus-Artikels fordern.[1]
Nämlich so, dass der Gesetztestext keinem Gericht und keinem Kläger Handhabe bietet, um das Recht auf freie Meinungsäusserung und die Freiheit von Forschung und Lehre einzuschränken oder Andersdenkende (oder anders Informierte) einzuschüchtern. Im Justizministerium von Bundesrätin Simonetta Sommarugawill man aber am umstrittenen Gesetzestext festhalten und erachtet dessen Änderung nicht für nötig, um ähnliche Fälle von Konventionsverletzungen durch die Schweiz zu verhindern. Die Äusserungen Sommarugas und ihres Bundesamtes für Justiz, welches dem Europarat im Februar einen Bericht über die Umsetzung des EGMR-Urteils in Sachen Perincek ablieferte, laufen darauf hinaus, dass das Strassburger Urteil als Einzelfall betrachtet wird, dem keine Präjudizwirkung zukommt. Die Haltung von Bundesbern und das Strafurteil aus Bellinzona bedeuten auch einen Rückschlag für die Souveränität der Schweiz. Die schweizerische Rechtsordnung wird dabei so geschwächt, dass der freie Schweizer genötigt wird, sein Recht auf ein ungerades Wort auf dem Umweg über Strassburg zu erstreiten. Ein Zustand der Schande für die Schweiz, egal ob man die Sache unter dem Gesichtspunkt der Unabhängigkeit oder aus dem Winkel der Freiheitsrechte ansieht.

Wiederbelebung der Inquisition?

Gesinnungsjustiz und Inquisition sind in Ost- und Westeuropa im Vormarsch. Heerscharen von grösseren und kleineren Inquisitoren sind am Werk. Sie treiben Lobbying für parlamentarische Mehrheitsbeschlüsse, welche ihre klasseneigene, pro-imperialistische Geschichtsauffassung den Untertanen verbindlich aufdrängen sollen. Sie operieren mit Androhung oder Durchführung von Strafprozessen, so dass ein Klima der Verfolgung und Einschüchterung geschaffen wird, in welchem abweichende Meinungen leicht mundtot gemacht werden können und die offiziellen Wahrheiten ohne Widerrede geschluckt werden müssen.
“Würden geometrische Axiome an menschliche Interessen rühren, so würde man sicherlich versuchen, sie zu widerlegen.” (Lenin)
Mit diesem Ausspruch und den daran geknüpften Ausführungen[2] gibt uns Lenin auch den Schlüssel zum Verständnis bestimmter historischer Debatten der Gegenwart. Es geht auch hier um Interessen, auch wenn im vorliegenden Fall die Thesen und Widerlegungen auf dem Kampffeld der Geschichte nicht wie im Kampf Lenins gegen die Revisionisten durch freien Wettbewerb der Argumente, sondern durch die Staatsgewalt entschieden werden. Welche Interessen haben durchgesetzt, dass sich Parlamente bestimmte historische Vorgänge zur Gesetzgebung auswählen, und andere nicht? Nicht die Kreuzzüge, nicht die Ausrottung der Urbevölkerung Amerikas, und nicht die Verbrechen der französischen und britischen Imperialisten in Afrika und Asien, darunter die Vergiftung der Völker Chinas und französisch Indochinas mit Opium und Alkohol. Die Forderungen nach obligatorischem Bekenntnis zu obrigkeitlich festgelegten Wahrheiten betreffen nicht ein einziges Mal die Bluttaten des Atlantik-Pakts und seiner historischen Vorläufer, sondern immer die Gegenseite.[3]
Der Übergang von der freien Konkurrenz zur Monopolherrschaft (Imperialismus) bedeutet Reaktion auf allen Ebenen, auch Rückfall in die Inquisition. Die Notwendigkeit für den Imperialismus, seine reaktionäre und menschenfeindliche Natur vor den eigenen Völkern zu verbergen, zwingt ihn gesetzmässig zum fortdauernden Lügen im grössten Stil. Zur Bestätigung dieser Gesetzmässigkeit hat auch die Geschichte der letzten Jahrzehnte reichlich Material geliefert. Bei jedem Angriffskrieg des Atlantikpakts – die NATOselbst ist noch nie angegriffen worden! – lagen Recht, Friedenswillen, Vernunft und Mässigung immer bei der angegriffenen Seite. Dort – wo es dem Wesen der Sache nach nichts zu verbergen gibt – ist denn auch die Wahrheit zu vermuten, und diese Vermutung erhärtet sich anhand der bereits entlarvten Propagandalügen zur Rechtfertigung von imperialistischen Angriffskriegen, darunter – allein auf Kosten des Irak – solche Schauermärchen wie die Brutkasten-Lüge von 1991 oder die Lüge der Massenvernichtungswaffen von 2003. Nach aller Erfahrung käme es einem gewaltigen Wunder gleich, wenn die NATO-Propaganda ausgerechnet im Fall des Krieges in Bosnien-Herzegowina der objektiven Realität entsprechen sollte. Kein Wunder ist, dass Neugierige sich damit beschäftigen, die Propaganda der atlantischen Lügenpresse zu hinterfragen und solche Fakten und Quellen zu berücksichtigen, welche in den westlichen Massenmedien unterschlagen oder anrüchig gemacht werden. Wenn der Propaganda-Schwindel beim Golfkrieg von 1991 nicht per Zufall herausgekommen wäre, so müsste sich unsereiner, der nie an das Märchen von der Tötung der Erstgeburt von Kuwait geglaubt hat, heute vermutlich auch als Brutkasten-Genozid-Leugner verdächtigen lassen. Schon manche geschichtliche Wahrheit ist umgestossen worden. Die parlamentarische und juristische (und überhaupt jede) Festnagelung von absoluten Wahrheiten ist generell eher fortschrittshemmend. Dies sogar im günstigsten Fall, wenn der erreichte Forschungsstand von der einhelligen Meinung der Historiker aller interessierten Völker getragen ist; erst recht in der Praxis, wo die Parlamente in einen Historikerstreit eingreifen.

Wo soll das alles noch hinführen?

Heute geht es um Vorwürfe der Leugnung von Genoziden, die nach Auffassung der Kläger und Richter vor rund 100 Jahren durch türkische Hand oder im Jahre 1995 durch serbische Hand geschehen seien. In den meisten Staaten Osteuropas haben Antikommunisten und russenfeindliche Nationalisten die Gesetzgebung über die Geschichte bereits als politisches Instrument verallgemeinert und versuchen die Erinnerung an die Errungenschaften der Sowjetzeiten zu beschmutzen. Ähnlich in Griechenland, das die Türkei des Genozids an den Pontos-Griechen beschuldigt, womit allerdings die faschistische Rechte noch nicht gesättigt ist: diese behauptet einen weiteren Genozid der Pontos-Griechen in der Sowjetunion. 
Wir wissen nicht, was da noch dazukommt, wohin die historische Gesetzgebung je nach politischen Kräfteverhältnissen und parlamentarischen Konstellationen noch führen und gegen wen sich die Maulkorb-Justiz noch wenden wird. Drum: Wehret den Anfängen!
Und wo führt das Ganze hin, wenn wir die Sache nicht vom Standpunkt unserer demokratischen Freiheiten betrachten, sondern vom Standpunkt der betroffenen Völker, die im Rahmen von imperialistischen Kriegen gegeneinander aufgehetzt wurden. Führt etwa die geplante Armenier-Resolution, die der Deutsche Bundestag diese Woche beschliessen soll, zu mehr Frieden und gegenseitigem Verständnis? Nein im Gegenteil: sie pflügt den Boden, auf dem der Hass gegen die Türkei gedeiht, sie liefert frischen Zündstoff zur gegenseitigen Aufhetzung unter den ethnischen und religiösen Bevölkerungsgruppen der Türkei.
Und mit einer solchen Rechtsanwendung, wie sie der Richter von Bellinzona vormacht, droht auch der gut gemeinte Ansatz der Strafnorm, die Hetze unterbinden will, ins Gegenteil umzuschlagen. Auch die Völker des ehemaligen Jugoslawien haben von den Bemühungen unserer Gesetzgeber und Richter zur verbindlichen Scheidung von historischer Wahrheit und Lüge bzw. Verfolgung der letzteren keinen Gewinn.
(Gewinn hätten sie, wenn wir beide Gruppen, die Christen und die Muslime, in ihrem gemeinsamen Interessen zusammenführen und im Bemühen unterstützen würden, die Islamisierung zu stoppen. Diese bedroht nicht nur die Serben der Republika Srpska in ihren existentiellen Rechten, unter ihr leiden besonders auch die zahlreichen nominellen Muslime in Ex-Jugoslawien. Nicht die Serben, sondern diese von korrupten Machteliten mit US-Unterstützung und saudischem Geld und importierten Imamen vorangetriebene Islamisierung der Gesellschaft ist heute die Hauptsorge auch in muslimischen Bevölkerungskreisen, in Pristina ebenso wie in Bosnien, Mazedonien, Montenegro. Dies nebenbei.)

(mh/31.05.2016)

1 Der 1993 in das Schweizerische Strafgesetzbuch eingefügte Artikel 261bis mit der Überschrift “Rassendiskriminierung” umschreibt den umstrittenen Straftatbestand mit den Worten: “wer öffentlich durch Wort, Schrift, Bild, Gebärden, Tätlichkeiten oder in anderer Weise eine Person oder eine Gruppe von Personen wegen ihrer Rasse, Ethnie oder Religion in einer gegen die Menschenwürde verstossenden Weise herabsetzt oder diskriminiert oder aus einem dieser Gründe Völkermord oder andere Verbrechen gegen die Menschlichkeit leugnet, gröblich verharmlost oder zu rechtfertigen sucht”.
2 Lenin, Werke, Band 15, Seite 17. Siehe: Marxismus und Revisionismus
3 “historische Vorläufer”: gemeint sind Grossbritannien, Frankreich und die USA. (Nicht Deutschland, obwohl man natürlich auch den Anti-Komintern-Pakt mit Recht als geistigen Vorläufer der NATObetrachten kann.)




IL SOGNO EUROPEO

<< Per quanto non si possa dire pubblicamente, il fatto è che l’Europa per nascere ha bisogno di una forte tensione russo-americana, e non della distensione, così come per consolidarsi essa avrà bisogno di una guerra contro l’Unione Sovietica, da saper fare al momento buono >> 

Altiero Spinelli. In: A. Spinelli, Diario Europeo (1948-1969), il Mulino, 1989, p. 175


Chi esalta Altiero Spinelli ha materia per riflettere su un'affermazione del genere. Si parla spesso di "padri fondatori", ma "fondatori" di che? Non sarebbe il caso di riflettere sulle ragioni che hanno portato alla nascita della "Comunità Europea", in cui esistevano tutte le premesse per i futuri sviluppi? (Mauro Gemma, direttore di Marx21. Fonte: http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=16361 )



(français / italiano)

Clinton: due interviste a Diana Johnstone

1) Diana Johnstone: “Clinton est vraiment dangereuse” (G. Lalieu)
2) “Regina del caos”, il vero volto di Hillary Clinton (F. Scaglione)
3) Chi protegge Hillary Clinton? (Rete Voltaire)
4) “Hillary Clinton Campaign Funded by Saudi Government, Saudi Official” : L’Agence Petra déclare ne pas être l’auteur de la dépêche qu’elle a publiée sur Hillary Clinton (Réseau Voltaire)


Sull'importante libro di Diana Johnstone
HILLARY CLINTON - LA REGINA DEL CAOS
si veda:


=== 1 ===


Diana Johnstone: “Clinton est vraiment dangereuse”




Jusqu’où ira Hillary Clinton pour accéder à la Maison-Blanche et que pourrait-on attendre de son éventuelle présidence? Nous avons posé la question à Diana Johnstone. Dans son récent ouvrage Hillary Clinton, la reine du chaos, elle analyse le lien entre les ambitions de la candidate sans scrupule et la machine qui sous-tend l’empire américain. Du coup d’Etat au Honduras à la guerre en Libye en passant par l’instrumentalisation de la cause féministe, Diana Johnstone nous dévoile la face cachée de la candidate démocrate et nous met en garde sur le “Smart Power” cher à Clinton. Enfin, elle analyse pour nous le succès de Donald Trump et ce que son alternative représente vraiment.


La course à la Maison-Blanche se fait au coude-à-coude. Hillary Clinton a-t-elle une chance de l’emporter ? Comment analysez-vous sa campagne jusqu’ici ?

Elle a commencé sa campagne en grande favorite, mais ne cesse de baisser dans les sondages. Avec toute la machine du Parti démocrate à son service, un énorme trésor de guerre, et la certitude de gagner les premières primaires dans les Etats du Sud, Hillary Clinton avait une longueur d’avance qui rendait le rattrapage de son challenger imprévu Bernie Sanders quasi impossible. Pourtant, ce vieux sénateur peu connu, se qualifiant de « socialiste démocratique » dans un pays où le socialisme est largement considéré comme l’œuvre du diable, a suscité un enthousiasme extraordinaire, notamment parmi les jeunes. Quoi qu’il arrive, la campagne inattendue de Bernie a réussi à attirer l’attention sur les liens quasi organiques entre les Clinton et Wall Street, liens occultés par les grands médias. Pour la première fois, ceux-ci ont été efficacement contrecarrés par Internet qui fourmille de vidéos dénonçant la cupidité, les mensonges, la bellicosité de Mme Clinton.

Par ailleurs, Hillary Clinton court le risque d’ennuis graves à cause de son utilisation illicite de son propre serveur email en tant que secrétaire d’Etat.

Au cours des primaires, sa popularité a baissé tellement que le Parti démocrate doit commencer à être effrayé de nommer une candidate trainant tant de casseroles. Les derniers sondages montrent que l’impopularité de Hillary Clinton commence à dépasser l’impopularité de Trump. Pour beaucoup d’électeurs, il sera difficile de choisir « le moindre mal ».

 

La campagne de Hillary Clinton aurait déjà coûté 89,6 millions de dollars. De quels personnages influents a-t-elle le soutien ? Peut-on deviner, à partir de là, quels intérêts Clinton pourrait défendre si elle devient présidente ?

 Celui qui se met le plus en avant est un milliardaire israélo-américain, Haim Saban, qui s’est vanté de donner « autant d’argent qu’il faut » pour assurer l’élection de Hillary. En retour, elle promet de renforcer le soutien à Israël dans tous les domaines, de combattre le mouvement BDS et de poursuivre une politique vigoureuse contre les ennemis d’Israël au Moyen-Orient, notamment le régime d’Assad et l’Iran. Le soutien financier considérable qu’elle reçoit de l’Arabie saoudite va dans le même sens. D’autre part, les honoraires faramineux reçus de la part de Goldman Sachs et d’autres géants de la finance laissent peu de doute sur l’orientation de sa politique intérieure.

 

En devenant la première femme présidente des Etats-Unis, pensez-vous que Hillary Clinton ferait avancer la cause féministe ?

Le fait d’être femme est le seul élément concret qui permet à Hillary de prétendre que sa candidature soit progressiste. L’idée est que si elle « brise le plafond de verre » en accédant à ce poste suprême, son exemple aidera d’autres femmes dans leur ambition d’avancer dans leurs carrières. Mais pour la masse des femmes qui travaillent pour de bas salaires, cela ne promet rien.

Il faut placer cette prétention dans le contexte de la tactique de la gauche néolibéralisée de faire oublier son abandon des travailleurs, c’est-à-dire de la majorité, en faveur de l’avancement personnel des membres des minorités ou des femmes.   Il s’agit de la « politique identitaire » qui fait oublier la lutte des classes en se focalisant sur d’autres divisions sociétales. En d’autres termes, la politique identitaire signifie le déplacement du concept de l’égalité du domaine économique à celui de la subjectivité et des attitudes psychologiques.

 

Dans votre livre, Hillary Clinton, la reine du Chaos, vous revenez sur la guerre du Kosovo. Hillary Clinton était la première Dame des Etats-Unis à l’époque. En quoi le bombardement de la Yougoslavie en 1999 a-t-il été un épisode marquant de son parcours politique ?

Avec son amie Madeleine Albright, l’agressive ministre des Affaires étrangères de l’époque, Hillary poussait son mari Bill Clinton à bombarder la Yougoslavie en 1999. Cette guerre pour arracher le Kosovo à la Serbie fut le début des guerres supposées « humanitaires » visant à changer des régimes qui ne plaisent pas à Washington. Depuis, Hillary s’est fait la championne des « changements de régime », notamment en Libye et en Syrie.

Dans mon livre, La Reine du Chaos, je souligne l’alliance perverse entre le complexe militaro-industriel américain et certaines femmes ambitieuses qui veulent montrer qu’elles peuvent faire tout ce que font les hommes, notamment la guerre. Un intérêt mutuel a réuni les militaristes qui veulent la guerre et des femmes qui veulent briser les plafonds de verre. Si les militaristes ont besoin de femmes pour rendre la guerre attrayante, certaines femmes très ambitieuses ont besoin de la guerre pour faire avancer leur carrière. Les personnalités les plus visiblement agressives et va-t’en guerre de l’administration Obama sont d’ailleurs des femmes : Hillary, Susan Rice, Samantha Power, Victoria Nuland…  C’est un signal au monde : pas de tendresse de ce côté-ci !

 

On peut ajouter le Honduras au tableau de chasse de Hillary Clinton. Elle était fraîchement élue secrétaire d’Etat lorsqu’en 2009, l’armée a renversé le président Manuel Zelaya. Un avant-goût de la méthode Clinton ?

Son rôle en facilitant le renversement par des militaires d’un président démocratiquement élu illustre à la fois ses méthodes et ses convictions. Ses méthodes sont hypocrites et rusées : elle feint une désapprobation du procédé tout en trouvant les moyens de l’imposer, contre l’ensemble de l’opinion internationale. Ses convictions, c’est clair, l’amènent à soutenir les éléments les plus réactionnaires dans un pays qui est le prototype de la république bananière : c’est le pays le plus dominé par le capital et par la présence militaire des Etats-Unis de toute l’Amérique latine, le plus pauvre après Haïti.   Zelaya aspirait à améliorer le sort des pauvres et des indigènes. Il osait même proposer de convertir une base militaire américaine en aéroport civil. A la trappe ! Et depuis, les opposants – par exemple la courageuse Bertha Caceres – sont régulièrement assassinés.

 

Cette méthode porte un nom, le Smart Power. Pouvez-vous nous expliquer ce que c’est ?

Dans le discours washingtonien, on distingue depuis longtemps le « hard power » (militaire) du « soft power » (économique, politique, idéologique, etc.). Hillary Clinton, qui se vante d’être très intelligente, a pris comme slogan le « Smart Power », le pouvoir malin, habile, qui ne signifie qu’une combinaison des deux. Bref, elle compte utiliser tous les moyens pour préserver et avancer l’hégémonie mondiale des Etats-Unis.

 

Si le Smart Power aspire à combiner la méthode douce et la manière forte, cette dernière semble avoir la préférence de Clinton malgré tout !

Oui, en tant que chef de la diplomatie américaine, Hillary Clinton a souvent montré une préférence pour la force contre l’utilisation de la diplomatie. On voit les mêmes tendances chez ses consœurs Madeleine Albright, Susan Rice ou Samantha Power. Surtout dans le cas de la Libye, Clinton a saboté les efforts de médiation des pays africains et même d’officiers supérieurs américains et du membre du Congrès Kucinich qui avaient pris contact avec les représentants de Gaddafi en quête d’un compromis pacifique. Elle s’opposait aussi aux négociations avec l’Iran. Et elle est prête à risquer la guerre avec la Russie pour chasser Assad, ce qui s’accorde avec son hostilité affichée envers Poutine.

 

Les années Bush et la brutalité des néoconservateurs ont frappé les esprits, mais le Smart Power de Clinton semble tout aussi dangereux, non ?

Tout à fait, cette femme est très dangereuse. Alors que les Etats-Unis s’apprêtent à renouveler leur arsenal nucléaire, alors qu’ils mènent une campagne de propagande haineuse antirusse qui dépasse celle de la guerre froide, alors qu’ils obligent leurs alliés européens à acheter une quantité énorme d’avions de guerre made in USA tout en poussant l’Otan à concentrer les forces militaires le long des frontières russes, la présidence de Mme Hillary Clinton représenterait un péril sans précédent pour le monde entier.

 

Vous pointez dans votre ouvrage tout le poids du complexe militaro-industriel dans la politique étrangère des Etats-Unis. Finalement, la personne qui occupe le bureau ovale a-t-elle une marge de manœuvre ? 

La base matérielle de la politique guerrière des Etats-Unis, c’est ce complexe militaro-industriel (MIC), né au début de la guerre froide, contre la dangerosité duquel le président Eisenhower lui-même a averti le public en 1961. Il a fini par dominer la vie économique et politique du pays. Les intellectuels organiques de ce complexe, logés dans les think tanks et les rédactions des grands journaux, ne cessent de découvrir, ou plutôt d’inventer, les « menaces » et les « missions humanitaires » pour justifier l’existence de ce monstre qui consomme les richesses du pays et menace le monde entier.   Les présidents passent, le MIC reste. Depuis l’effondrement de l’Union soviétique, le « Parti de la Guerre » se sent tout-puissant et devient plus agressif que jamais. Hillary Clinton a tout fait pour devenir leur candidate préférée.

 

Comment construire dès lors une alternative à ce Parti de la Guerre ?

C’est la grande question à laquelle je ne saurais répondre. Par ailleurs, il n’existe pas de formule pour de tels bouleversements, qui dépendent d’une diversité de facteurs, souvent imprévisibles. La candidature tellement décriée de Trump pourrait en être un, car le vieil isolationnisme de droite est certainement un des éléments qui pourrait contribuer à détourner Washington de son cours vers le désastre. Qu’on le veuille ou non, il faut reconnaître que « la gauche » est trop impliquée dans la farce des « guerres humanitaires » pour être la source du revirement. Il faut une prise de conscience qui dépasse les divisions de classes et d’étiquettes politiques. La situation est grave, et tout le monde est concerné.

 

Trump se demande en effet pourquoi les Etats-Unis devraient jouer au gendarme dans le monde entier, plaide pour des relations plus constructives avec la Russie et interroge l’utilité de l’Otan. Il est même opposé au TTIP ! Mais son protectionnisme conservateur ne pourrait-il pas conduire à d’autres guerres de grande ampleur ? N’y a-t-il pas d’autre espoir ? 

 Il est difficile de qualifier un personnage tel que Trump comme « espoir », mais il faut le situer dans le contexte politique américain. En Europe, et notamment en France, on persiste à prendre le spectacle des élections présidentielles américaines comme une évidence de la nature « démocratique » du pays. Mais tous ces spectacles, avec leurs conflits et leurs drames, tendent à obscurcir le fait central : la dictature de deux partis, tous les deux dominés par le complexe militaro-industriel et son idéologie d’hégémonie mondiale. Ces deux partis sont protégés de concurrence sérieuse par les règles particulières à chacun des cinquante Etats qui rendent quasiment impossible la présence d’un candidat tiers.   L’exploit de Trump est d’avoir réussi à envahir et d’accaparer l’un de ces deux partis, le Parti républicain, qui se trouvait dans un état de dégradation intellectuelle, politique et morale extrême. Il l’a accompli par une sorte de démagogie très américaine, perfectionnée pendant sa prestation en tant que vedette d’un programme de « télé-réalité ». C’est une démagogie empruntée au show-business plutôt qu’au fascisme. On ravit l’auditoire en étant choquant.

L’invasion du jeu électoral par cet amuseur de foules est très significative de la dépolitisation du pays – tout comme la réussite plus modeste de Bernie Sanders montre le désir d’une minorité éclairée progressiste de réintroduire le politique dans le spectacle.

Le Parti démocrate, tout corrompu qu’il soit, garde vraisemblablement assez de vigueur pour marginaliser l’intrus. Il a une ligne politique claire, représentée par Hillary Clinton : néolibéralisme et hégémonie mondiale sous couvert des droits de l’homme. Il fera tout pour bloquer Sanders.   Mais on peut toujours espérer que le mouvement inspiré par sa candidature contribuera à un renouveau durable de la gauche.

A court terme, il reste Trump, ancien démocrate plus ou moins, malhonnête comme l’est forcément un homme d’affaires qui a réussi dans l’industrie de la construction, égoïste, comédien, dont on ne sait pas trop à quoi s’attendre. Seulement, il peut difficilement être pire que Hillary, ne serait-ce que parce qu’il casse le jeu actuel qui mène directement à la confrontation avec la Russie.   En tant que présidente, Hillary se trouverait bien chez elle à Washington entourée de néocons et d’interventionnistes de tout poil prêts à s’embarquer ensemble dans des guerres sans fin. Lui par contre se trouverait dans un Washington hostile et consterné. Ce serait une version originale du « chaos créateur » cher aux interventionnistes.

L’idée que « le protectionnisme mène à la guerre » fait partie de la doctrine du libéralisme. En réalité, nous sommes déjà en pleine guerre, et un peu de retrait chez soi de la part des Américains pourrait calmer les choses. Que ce soit Trump ou Sanders, un certain « protectionnisme » à l’égard des produits chinois serait nécessaire pour faire redémarrer l’industrie américaine et créer des postes de travail. Mais il est impossible aujourd’hui de pratiquer le « protectionnisme » des années 1930. La peur du « protectionnisme » mène à la politique néolibérale actuelle de l’Union européenne qui détruit toutes les protections des travailleurs.

Au lieu de craindre Trump, l’Europe ferait mieux de le regarder comme un révélateur. Face à cette Amérique, les Européens doivent retrouver la vieille habitude de formuler leurs propres objectifs, au lieu de suivre aveuglément une direction politique américaine profondément hypocrite, belliqueuse et en pleine confusion. Le bon protectionnisme serait que les Européens apprennent à se protéger de leur grand frère transatlantique.

 

Source: Investig’Action 

Voir Diana Johnstone, Hillary Clinton. La reine du chaos, Editions Delga, 2015


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“Regina del caos”, il vero volto di Hillary Clinton


Disonesta e opportunista. Spietata e guerrafondaia. Con legami oscuri con l’Arabia Saudita. Un libro della giornalista americana Diana Johnstone offre un documentato controcanto alla narrazione prevalente sulla donna che potrebbe diventare il prossimo presidente della superpotenza americana. In questa intervista l’autrice ci spiega perché la Clinton non è un “male minore” rispetto a Trump.

intervista a Diana Johnstone di Fulvio Scaglione

Esperimento. Prendere la biografia autorizzata di Hillary Rodham Clinton, uscita nel 2004 col titolo Living History (in Italia come La mia storia, la mia vita). E poi prendere il libro scritto dalla giornalista americana Diana Johnstone, biografia politica e certo non autorizzata della stessa Hillary, intitolato Hillary Clinton regina del caos, da poco pubblicato da Zambon Editore. È un tuffo vertiginoso non solo da un’epoca all’altra ma da un mondo all’altro. Là la Clinton è, fin dalla copertina, la moglie di successo di un uomo di successo, una signora glamour perfetta anche per il country club. Qua è una donna che fa l’uomo politico, dura, spietata, segnata anche in viso dalle lotte per arrivare al vertice, abile manovratrice nei corridoi del potere. Piccolo particolare: è questo, non quello, il personaggio che ha tutte le carte per diventare il prossimo presidente della superpotenza americana. Il libro della Johnstone, nel suo controcanto alla narrazione prevalente, è già imperdibile. Ecco allora qualche approfondimento dalla sua viva voce.  

Quando ha cominciato a interessarsi a Hillary Clinton? E quale ritiene sia l’aspetto più pericoloso della sua personalità politica? 

“A dire il vero, non ho mai trovato Hillary Clinton interessante. E’ sempre stata troppo ambiziosa, disonesta, opportunista e limitata nella sua visione del mondo per essere interessante. Ma la sua reazione all’assassinio di Mohammar Gheddafi (“Siamo venuti, abbiamo visto, è morto”, seguito da una gran risata) ha rivelato una rara bassezza morale e una totale assenza di compassione e decenza. Con in più la volgarità di alludere a una citazione pretenziosa, senza dubbio preparata in anticipo dai suoi consiglieri per rafforzare la sua immagine di campionessa del “regime change”. E’ proprio questo l’aspetto più pericoloso della sua personalità politica: l’assenza di qualunque rispetto o sentimento umano nei confronti di coloro che lei considera suoi nemici. Quelli che non le piacciono meritano semplicemente di essere eliminati. La donna che sostiene serenamente che Vladimir Putin “non ha l’anima” non può certo portare la pace nel mondo”.  

Molti sembrano pensare che, se Hillary arriverà alla Casa Bianca, sarà suo marito Bill, in realtà, a guidare l’amministrazione. Lei che cosa ne pensa?
 

“A dispetto del loro insolito matrimonio, i Cinton hanno sempre fatto lavoro di squadra. Se lei sarà eletta, lui avrà il suo ufficio alla Casa Bianca, proprio come l’aveva lei quando era First Lady. Tra loro ci sarà una consultazione costante. Difficile però dire se sarà poi lui a guidare l’amministrazione, anche perché lei è più tenace e testarda di lui. Fu lei a spingere Bill a bombardare la Serbia. Hillary è molto impopolare e con ogni probabilità cercherà di usare Bill per le pubbliche relazioni. Il maggiore ostacolo a un “terzo mandato” di Bill è la salute: nel 2004 ha avuto un’operazione al cuore per un quadruplo by-pass, seguita da un’operazione al polmone. A 70 anni è molto meno dinamico di Bernie Sanders che di anni ne ha 74. Bill non è più in grado di assumersi responsabilità così pesanti”. 

Hillary Clinton e l’Arabia Saudita, una pagina molto oscura della sua carriera politica. Perché negli Usa è così difficile dire la verità sui sauditi? 

“All’epoca della crisi in Bosnia, quando l’Unione Europea avrebbe potuto trovare una soluzione di compromesso, l’amministrazione Clinton trovò conveniente schierarsi con i musulmani. In parte, questa alleanza è la continuazione della politica di Brzezynski, cominciata in Afghanistan e basata sull’idea di sfruttare gli estremisti islamici per attaccare il “ventre molle” della Russia. Aiutare i musulmani contro i serbi cristiano-ortodossi fu visto anche come un modo per compensare il tradizionale appoggio a Israele. Ma soprattutto l’alleanza con l’Arabia Saudita è considerata essenziale sia per regolare il prezzo del petrolio (strumento ora usato per indebolire la Russia) sia per finanziare il complesso militar-industriale con le gigantesche spese saudite per comprare armi americane. Hillary Clinton, con gli intensi rapporti che ha con Huma Abedin (per lunghi anni assistente personale della Clinton e figlia di dirigenti della Lega islamica mondiale, n.d.r) e con il denaro saudita, ha sposato questa alleanza con raro entusiasmo. Negli ultimi tempi, però, l’alleanza con l’Arabia Saudita sta subendo molti attacchi politici negli Usa, sia perché cresce il sospetto che i sauditi fossero implicati negli attentati dell’11 settembre, sia per lo sdegno causato dalle atrocità dell’Isis, che attirano anche l’attenzione sulla promozione del fanatismo islamista che l’Arabia Saudita persegue in ogni parte del mondo. Queste critiche potrebbero produrre qualche risultato politico se dovesse vincere Trump. Se vincerà Hillary, invece, non cambierà nulla”.  

Hillary Clinton, Samantha Power, Susan Rice, Madeleine Albright… Lei è molto critica nei confronti delle donne che hanno un ruolo importante nella politica americana. Proprio mentre si esalta come una conquista il fatto che una donna possa diventare Presidente… 

“Negli Usa la vita politica non tende a tirar fuori il meglio delle donne. Ne conosco molte che ammiro per la loro opposizione alla politica bellicista degli Usa. Ma difficilmente diventano note al grosso pubblico, ancor meno riescono a ottenere incarichi importanti. Rispetto moltissimo Cynthia McKinney, che ha perso il seggio al Congresso proprio per le sue critiche alla politica Usa in Medio Oriente. Applaudo l’azione di Tulsi Gabbard, anche lei membro del Congresso, che ha fatto il servizio militare in un’unità medica durante la guerra in Iraq e ha rotto con i Clinton proprio per la sua opposizione alle guerre basate sul regime change. In breve, ammiro molto più le donne che affrontano le sconfitte di quelle che sono circondate dall’aureola del successo”.  

Ma le donne americane, alla fine, voteranno per Hillary? 

“È una questione generazionale. Le donne anziane sono le sue più entusiaste sostenitrici, e spesso l’unica ragione che riescono ad addurre è proprio che è una donna. La maggioranza delle donne giovani alle primarie ha votato per Bernie Sanders. Anzi: le donne giovani erano la prima linea della campagna di Bernie. Certo, i commenti di Trump sulle donne sembrano rivelare l’intenzione di scatenare una guerra tra i sessi. Sta facendo di tutto per esser sicuro che il voto delle donne vada a Hillary”.  

Molti, anche in Italia, pensano che in ogni modo Hillary sarà un “male minore” rispetto a Trump. 

“Questa campagna presidenziale potrebbe rivelarsi un caso unico nel mettere una contro l’altra le due persone più detestate del Paese. Per molti votanti sarà difficile scegliere il “male minore”. Agli europei piace di più Hillary perché i media si sono dati molto da fare nel dipingerla come il candidato ragionevole e civilizzato in opposizione al pazzo scatenato Trump. Lui, in ogni caso, dice di voler trovare un accordo con la Russia, il che segna un punto a suo favore. Gli europei non dovrebbero preoccuparsi di chi vincerà le elezioni ma piuttosto di che cosa significhi per il mondo la leadership degli Usa. Questo è il vero tema del mio libro. Gli europei devono smettere di raccontarsi favole sull’America e riconoscere il pericolo che rappresenta per l’Europa”.  

Lei davvero pensa che Hillary Clinton potrebbe scatenare una terza guerra mondiale? 

“È inimmaginabile che qualcuno, persino Hillary Clinton, possa volontariamente scatenare una terza guerra mondiale. Eppure, solo pochi giorni fa il New York Times ci ha raccontato che 51 funzionari del Dipartimento di Stato hanno firmato un memorandum interno criticando il presidente Obama per non aver lanciato attacchi militari contro Bashar al-Assad in Siria, anche al rischio di aumentare le tensioni con la Russia. Gli interventisti liberal e i neocon che si sono impadroniti della politica estera americana non avrebbero problemi a spingere Hillary Clinton verso una maggiore aggressività. Anzi, è proprio ciò che lei vuole. Gli Stati Uniti stanno forzando la Nato a mettere pressione militare sulla Russia e nello stesso tempo rischiano il conflitto con la Russia in Medio Oriente. Stanno creando una situazione paragonabile a quella che portò alla Prima Guerra Mondiale: basta un singolo incidente per far saltare tutto. Hillary Clinton è particolarmente pericolosa perché non dubita mai del fatto che gli Stati Uniti prevarranno se solo mostrano abbastanza “determinazione”. E che cosa hanno fatto gli alleati europei per impedire il disastro? Finora nulla”. 

Diana Johnstone, “Hillary Clinton regina del caos”, pagine 247, euro 15,00, Zambon Editore

(30 giugno 2016)


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ORIG.: Qui protège Hillary Clinton ? (RÉSEAU VOLTAIRE | 11 JUIN 2016)



Chi protegge Hillary Clinton?

RETE VOLTAIRE  | 11 GIUGNO 2016  

Mentre la stampa celebra la vittoria in seno al Partito Democratico della prima miliardaria della storia, nell’ombra si combatte un’oscura battaglia giuridica.
Il rapporto del Dipartimento di Stato sulla posta elettronica di Hillary Clinton e i diversi atti giudiziari che sono seguiti dimostrano che la Clinton si è resa colpevole di: 
  Ostacolare la Giustizia, insieme ai suoi consiglieri (Sezione 1410); 
  Ostacolare inchieste criminali (Sezione 1511); 
  Ostacolare l’applicazione della legge locale e federale (Sezione 1411); 
  Reato federale di negligenza nella trattazione d’informazioni e documenti classificati (Sezione 1924); 
  Detenzione, nel computer di casa sua e su server non sicuro, di 1.200 documenti segreti (Sezione 1924); 
  Fellonia. A un giudice federale, e sotto giuramento, la Clinton ha dichiarato di aver consegnato al Dipartimento di Stato tutta la sua posta elettronica. Invece questa settimana l’ispettore generale del Dipartimento di Stato ha dichiarato che quanto affermato dalla Clinton è falso (Sezione 798); 
  La Clinton ha altresì dichiarato sotto giuramento di essere stata autorizzata dal Dipartimento di Stato a utilizzare il proprio computer personale per lavorare da casa. L’ispettore generale del Dipartimento di Stato ha dichiarato questa settimana che anche quest’affermazione è falsa (Sezione 798); 
  La Clinton non ha avvertito le autorità, e nemmeno il Dipartimento, che il suo computer personale era stato violato diverse volte. Purtuttavia, la Clinton ha richiesto al suo amministratore di sistema di intervenire per migliorarne la protezione. 
  Concussione e favoreggiamento. La Fondazione Clinton e la signora Clinton sono state corrotte per fare in modo che il Dipartimento di Stato chiuda gli occhi su numerose pratiche (Legge Rico e Sezione 1503).
Considerati i fatti accertati dall’FBI, dal Dipartimento di Stato e da un giudice federale, nonché la loro gravità, Hillary Clinton avrebbe dovuto essere arrestata questa settimana.
Bernie Sanders, l’altro candidato all’investitura democratica, contava sull’arresto della Clinton prima della Convention del partito. Per questa ragione, benché non abbia un numero di delegati sufficiente, ha deciso di mantenere la candidatura. Convocato alla Casa Bianca da Barack Obama, Sanders è stato informato che il presidente avrebbe impedito all’amministrazione di applicare la legge. Facendo seguire i fatti alle parole, Obama ha pubblicamente sostenuto la candidatura di Hillary Clinton.

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista 


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IN ITALIANO: L’agenzia Petra dichiara non suo il dispaccio pubblicato su Hillary Clinton (RETE VOLTAIRE | 16 GIUGNO 2016)



L’Agence Petra déclare ne pas être l’auteur de la dépêche qu’elle a publiée sur Hillary Clinton

RÉSEAU VOLTAIRE  | 15 JUIN 2016  

L’agence de presse officielle du gouvernement jordanien, Petra, a publié sur son site internet, le 12 juin au matin, une dépêche reproduisant des déclarations exclusives du prince Mohammed ben Salman d’Arabie saoudite. Cependant, alors que l’Institute for Gulf Affairs (représentant l’opposition saoudienne à Washington) se saisissait de l’affaire [1], l’agence Petra a déclaré que son site avait été piraté et qu’elle n’était pas l’auteur de la dépêche. L’agence de relations publiques Podesta Group (créée par l’ancien directeur de cabinet de Bill Clinton, John Podesta, aujourd’hui directeur de campagne d’Hillary) a alors contacté les principaux médias états-uniens pour les mettre en garde contre cette « intox ». Le Podesta Group est rémunéré par le royaume d’Arabie saoudite à hauteur de 200 000 dollars par mois.
Selon ce document, le prince Mohammed, fils du roi Salman, aurait déclaré à l’agence Petra que son pays, l’Arabie saoudite, finançait systématiquement les partis républicain et démocrate lors de chaque élection présidentielle états-unienne.
Le prince aurait en outre déclaré que, malgré l’opposition de certains membres de sa famille à une candidature féminine, l’Arabie saoudite avait payé 20 % de l’actuelle campagne électorale d’Hillary Clinton.
En droit US, il est interdit de financer une campag

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