Jugoinfo

INFERNO BOSNIACO E VAMPIRI SERBI


Dallo scorso aprile e' in edicola un nuovo fumetto: DAMPYR, nuovo
albo della Sergio Bonelli editore.

L'idea e' di Mauro Boselli e Maurizio Colombo: siamo in qualche lugubre
angolo della Jugoslavia, e la guerra civile impazza. Soldati regolari e
non, paramilitari, cecchini, civili massacrati e - udite, udite -
"vampiri". Ma i vampiri non sono come quelli del cinema: lo scoprono a
loro spese i soldati guidati da Kurjak, che hanno il compito di
mantenere a oltranza la postazione di Yorvolak, un villaggio isolato tra
le montagne. Al loro ingresso in paese trovano ad attenderli solo morti
ammazzati. La sorpresa e' che non soltanti i civili, ma anche i loro
commilitoni sono stati massacrati in modo selvaggio. I misteriosi
assassini colpiscono dopo il tramonto...

Nei Balcani (secondo Boselli&Colombo) c'e' una credenza popolare,
secondo la quale il figlio nato dall'unione tra una donna e un vampiro
diventa un Dampyr, ossia un uccisore di vampiri professionista. A certe
sciocchezze Kurjak non crede, pero' farebbe di tutto per salvare i suoi
uomini. Cosi' manda a chiamare Harlan Draka, un uomo che insieme al suo
assistente, un ragazzino di nome Yuri, gira per le campagne togliendo il
malocchio ai villaggi e impalando cadaveri. Harlan sa di essere diverso
dagli altri esseri umani: il suo corpo invecchia lentamente, le sue
ferite si rimarginano con incredibile rapidita'... presto scopre che
anche i misteriosi assassini del paese hanno paura di lui. Le creature
che assediano Yorvolak sono i non-morti del branco di Gorka, un Maestro
della Notte o supervampiro. Una non-morta presa prigioniera, Tesla,
gli rivela che lui, Harlan Draka, e' davvero un Dampyr, figlio di un
Maestro, e gli chiede di liberarla dalla schiavitu' che la lega al
branco di Gorka. Harlan, Tesla e Kurjak stringono una strana alleanza
e riescono temporaneamente a sconfiggere Gorka. Ma tutti gli altri
fanno una brutta fine, e, sul corpo di Yuri, Harlan giura vendetta.

Il secondo episodio si apre con una citta' assediata. Non ne viene
fatto il nome, ma l'identificazione con Sarajevo e' sin troppo facile:
dalle colline circostanti i serbi - lo stemma sulla manica sinistra
delle divise e' ben riconoscibile - lanciano granate, i cecchini
sparano su qualsiasi corpo in movimento, sui muri campeggiano scritte
del tipo "etnicko ciscenje". In teoria ci sarebbe una "tregua". Di
fatto una granata colpisce il quartiere Nord della citta' in pieno
giorno di mercato... I "ragazzi delle colline", con i quali Kurjak
stesso combatteva fino a pochi giorni prima, sanno che "le guerre non si
vincono seguendo le regole... ma ammazzando piu' gente possibile". I
vampiri approfittano delle stragi: coperti e mascherati per proteggersi
dal sole, escono allo scoperto, fanno finta di soccorrere i feriti e in
realta' li trasportano nei loro rifugi sotterranei per cibarsi del loro
sangue.

Gorka intanto si procura un nuovo servo: ha rapito, succhiato il sangue
e trasformato in vampiro Stanko Radek, quello che Kurjak definisce "il
maggiore Radek, capo della "legione nera", il piu' sadico e crudele
gruppo militare che questa fottuta guerra abbia mai partorito". Ora
Stanko Radek e i suoi non sono solo cattivi (serbi - ovviamente!),
comuni mortali - no, ora sono mostri immortali, sono vampiri.

In fondo, gia' lo sapevamo: ce lo scrivevano i giornali dopo la presa di
Srebrenica che "i serbi si nutrono del sangue dei musulmani", o no?

Ma non finisce qui: Tesla salva una ragazza da tre loschi
individui (questa volta il loro abbigliamento li identifica come
musulmani) che tentano di violentarla, la conduce al Las Vegas, un
hotel dove famiglie, profughi, sbandati di ogni sorta hanno trovato
rifugio. Qui Tesla viene catturata da Gorka e Radek, i cui uomini
fanno strage dei rifugiati. Tesla viene portata al "mattatoio", uno
dei rifugi sotterranei della stirpe di Gorka, di cui i Maestri della
Notte si servono per i loro "festini", banchetti a base di sangue
umano. Gorka sa che Harlan verra' a cercarla, usa Tesla come esca per
attirare Harlan in trappola. Una visione suggerisce a Harlan Draka di
cercare "il luogo dove si va quando si vuole conoscere": e' la
Biblioteca di Sarajevo, distrutta, anch'essa vittima di questa guerra...

Entrandovi Kurjak, che accompagna Harlan alla ricerca di Tesla,
afferma: "la guerra mi ha fatto diventare una bestia... ma prima ero
un uomo... so che cosa significano la cultura, le tradizioni... i miei
ex-commilitoni hanno voluto distruggere non solo questa citta', ma
anche il suo passato, i suoi ricordi, la sua umanita'".
Per fortuna qui in Italia, invece, la cultura gode di ottima salute.


--------- COORDINAMENTO ROMANO PER LA JUGOSLAVIA -----------
RIMSKI SAVEZ ZA JUGOSLAVIJU
e-mail: crj@... - URL: http://marx2001.org/crj
http://www.egroups.com/group/crj-mailinglist/
------------------------------------------------------------

Da "Il Manifesto" del 15 Luglio 2000:

Da Roma una spia per il Kosovo

"Numero 2" del Sisde amministratore civile del settore Usa.
Ambiguità della decisione di Dini
TOMMASO DI FRANCESCO

Le nostre fonti sono dirette, dell'Onu e della Nato, e
mantengono l'anonimato. Ma hai voglia a tacere le fonti.
Quello che stiamo per rivelare è ormai di accesso più che
pubblico. Si può infatti leggere sul website dell'Onu di
Pristina - che illustra le biografie dei dieci funzionari
più importanti dell'Amministrazione Onu (da Kouchner ai
cinque governatori civili delle altrettante zone militari
in cui è ora diviso il Kosovo: Pristina, Mitrovica,
Gnijlane, Pec, Prizren). E lì sta scritto che l'attuale
amministratore civile della regione di Gnijlane,
controllata militarmente dagli americani (gli Stati uniti
hanno costruito qui, presso Urosevac, la gigantesca base
militare di Bondsteel in aperto disprezzo degli accordi di
pace di Kumanovo) è il signor Dionisio Spoliti che "negli
ultimi 5 anni è stato in servizio al Sisde" dov'è stato
"uno dei Numeri 2". Ci sfugge quanti capi-sezione e vice ci
siano al Servizio, ma siccome nel sito non è spiegato se il
signor Spoliti abbia o meno finito di essere al servizio
del Servizio, dobbiamo immaginare che lui ancora eserciti
il suo mestiere al Sisde.
E qui emergono alcune considerazioni sul ruolo dell'Italia
e sull'ancora tragica e delicata crisi in Kosovo. Giacché
l'Italia va raccontando da tempo di essere impegnata per
una ripresa della vita civile nella martoriata regione. E
invece da tempo la sua inconcludenza è manifesta. Basta
fare la storia di questa "presenza", ahimé ben corroborata
poi dal triste primato di aver fornito le basi per l'avvio
della campagna di bombardamenti "umanitari".

Ottobre '98: il vice-questore di Prato

Tutto comincia nell'ottobre del 1998, con l'accordo
Holbrooke-Milosevic, e l'avvio di una missione dell'Osce,
la Kosovo Verification Mission (Kvm) a capo della quale
c'era - alla faccia della missione dell'organismo europeo
dell'Osce - l'americano William Walker (anche lui ex spia
in Sudamerica per l'Amministrazione americana). Walker
aveva 5 vice, ognuno dei rispettivi paesi del Gruppo di
contatto. Inglesi e francesi mandarono personaggi di peso:
i primi un generale di divisione con grande esperienza
balcanica, i secondi l'incaricato d'affari a Belgrado.
L'Italia per due mesi non mandò nessuno, poi, ai primi di
dicembre arrivò nientemeno che il vice-questore di Prato,
tal dottor Perugini (impegnato nel caso Pacciani e forse
per questo considerato esperto di "barbarie"). Sta di fatto
che la sua presenza durò 24 ore: non si è mai saputo se fu
lui ad andarsene o fu cacciato dal furbissimo Walker.
Quindi è arrivato Giovanni Koessler, sostituto procuratore
a Bolzano, che partì in missione, ma dimenticando
l'autorizzazione del Csm e fu costretto a tornare in
Italia. Siamo all'inizio del 1999, Koessler aspettò tutto
febbraio (comincia il vertice-imbroglio di Rambouillet e si
prepara la guerra a tutti i costi) e alla fine arrivò. Ma
il 23-24 marzo, dopo l'ambigua strage di Racak, William
Walker ritirò unilateralmente la missione Osce, e così si
ritirò dopo meno di un mese di presenza anche Koessler.
Finisce la guerra il 10-12 giugno 1999 e comincia, insieme
all'ingresso militare del Kosovo da parte della Nato
secondo gli accordi di Kumanovo con Belgrado, anche la
missione Unmik dell'Onu. Finalmente l'Italia conquista il
diritto ad avere un suo amministratore civile, quello della
turbolenta ed esplosiva Mitrovica, dov'è rimasta l'enclave
più rappresentativa di serbi in Kosovo. Enclave perché da
quel momento in poi - secondo l'Unhcr-Onu - 240.000 serbi,
rom, albanesi "collaborazionisti", turchi ed ebrei vengono
cacciati nel terrore.

Ecco il prefetto d'Arezzo

Ad amministrare Mitrovica viene inviato Mario Morcone,
prefetto di Arezzo, tenendolo, singolarmente, ancora in
carica nelle sue funzioni prefettizie in Toscana. Ma
Morcone ai primi di marzo del 2000 getta la spugna,
anticipando addirittura la caduta del governo D'Alema.
A questo punto altro vuoto di due mesi e, alla fine, arriva
l'uomo del Sisde. Quanto durerà? Perché risulta che non sa
nulla di Balcani, non conosce alcuna lingua straniera
(figurarsi il serbo, che basta pronunciarlo per essere
uccisi a Pristina, o l'albanese); tanto che ha alle costole
un traduttore, altro agente italo-americano del Sisde (o
della Cia?). Va da sé che al quartier generale dell'Onu a
Pristina questo dichiarato "impegno italiano" sia diventato
una specie di barzelletta, come le tradizionali trimestrali
visite del sottosegretario Ranieri con cui la Farnesina
pensa di coprire politicamente questa crisi che resta
esplosiva.
Certo, dietro ci sono motivi strutturali, come il fatto che
i funzionari del Ministero degli esteri mal sopportano di
bruciarsi la carriera in crisi assai pericolose - stessa
difficoltà e motivi stanno dietro la possibilità degli
organismi di polizia internazionale; e poi c'è la
sostanziale diffidenza dei governi occidentali verso i
funzionari delle Nazioni unite. Ma le questioni politiche
che emergono dentro l'ambiguità delle scelte del governo
italiano, sono ancora più gravi. Perché il Kosovo resta una
tragedia non conclusa, dove, dice l'Onu, gli oppressi sono
diventati oppressori con una contropulizia etnica alla
quale - questo è il fatto grave - hanno presenziato le
truppe della Nato senza muover un dito. E nessuno sa ancora
quale dovrà essere lo statuto definitivo di questa regione:
se, come dicono gli accordi di Kumanovo, ancora provincia
serba, o indipendente o Grande Albania, come dicono in
conflitto fra loro le leadership nazionaliste albanesi a
Pristina.
Ebbene, di fronte a questa difficoltà, qual è la scelta
dell'Italia? Quella di alimentare la guerra delle spie. Non
servono spie, ma l'avvio di un processo civile. Soprattutto
ora che l'Amministratore Kouchner vuole, a tutti i costi,
fare elezioni municipali. A quelle liste elettorali i pochi
serbi rimasti per protesta non si iscrivono: che senso
democratico avrebbero, dicono, elezioni senza il rientro di
240.000 profughi non-albanesi dimenticati da tutti, o con
il solo voto di pochi disperati rimasti in una realtà
pesantemente monetnica? Ma Kouchner vuole "un risultato",
l'ha detto con coda di paglia relazionando al Consiglio di
sicurezza: "Anche se a qualcuno può sembrare vergognoso".
Ora è il tempo dell'iniziativa politica. E invece
immaginiamo quale sintonia può stabilirsi tra un uomo del
Sisde e le Ong, e tutto il volontariato di pace che già
tanto ha patito in Kosovo dalla priorità del "militare".
Intanto l'amministratore Spoliti tace. Lui amministra il
settore americano e lì accadono cose tragiche. Che
dall'area di Malisevo, appena al di là della Valle di
Presevo in Serbia (con forte presenza albanese) siano
partiti decine di attacchi armati delle formazioni
dell'Ucpmb, legate all'Uck. L'uomo del Sisde tace. E'
addirittura accaduto mercoledì che sulla strada tra Kolokot
e Vitina, nel settore americano, ci sia stato un attentato
contro tre preti ortodossi serbi, decisivi per trattative
di pace. L'uomo del Sisde non dice una parola. E' il suo
mandato?

[Caro Tommaso di Francesco, ma cosa c'e' di strano nel fatto
che il governo italiano mandi delle spie in zone "calde"?
Piuttosto, ci sarebbe da sorprendersi se non le mandasse!
Il problema piuttosto e', da una parte, che le nostre spie fanno
ridere, come questa che non sa nemmeno le lingue straniere,
e sono solo portaborse degli americani; dall'altra, che le
truppe di occupazione italiane se ne devono solo andare dai Balcani.
CRJ]


FROM FOREIGN MEDIA
IL MANIFESTO: ROME'S SPY IN KOSOVO AND METOHIJA

ROME, July 18 (Tanjug) The government of Italian Prime
Minister
Giuliano Amato found itself sucked into a scandal linked to Rome's
official
policy on Kosovo and Metohija after the daily "Il Manifesto" revealed
that
one of the top officials of the U.N. civilian mission for Serbia's
southern
province the administrator of the Gnjilane district, Dionisio Spoliti
from
Italy, is at the same time a senior official of the Italian intelligence
service SISDE.
"Il Manifesto" said that the biography of the administrator of
the
Gnjilane region in eastern Kosovo and Metohija which is militarily
controlled by the U.S. troops, includes the fact that he has been one of
the few top officials of SISDE for the past five years.
This puts the Italian government into a compromising position
as
it supports claims that Italy is one of the centres of special espionage
activities aimed against Kosovo and Metohija and the Federal Republic of
Yugoslavia.
The paper recalled that the "special activities" of certain
Western governments and the United States in Kosovo and Metohija,
started
in 1998 with the arrival of the socalled monitoring mission of the
Organization for Security and Cooperation in Europe (OSCE), headed by
William Walker of the United States who was a former spy in South
America.
"Il Manifesto" said that Spolito knows nothing about the
Balkans,
does not speak any foreign languages "and is constantly accompanied by a
translator another ItalianAmerican agent of SISDE or maybe the CIA."
Recalling that the tragedy in Kosovo and Metohija continues in
the
presence of the KFOR peacekeepers who "are doing nothing to prevent it,"
"Il Manifesto" wondered whether "in this overall situation, Italy's
choice
is to contribute to the war of spies."


---


IL PROGETTO DELLA GRANDE ALBANIA
Dal bollettino del Ministero per l'Informazione di Belgrado, 1998
Versione italiana a cura del CRJ


Prima dell’apertura del Congresso di Berlino, alla fine dell I G.M.,
gli Aga e i Beg (leaders feudali-famigliari) indirizzarono ai
rappresentanti delle grandi potenze il progetto della "grande Albania"
che si estenderebbe sugli allora quattro Villajet inseriti nella Turchia
ottomana - Skadar, Janjina, Kosovo e Bitolj - (S. Terzic). E’
interessante che i leaders albanesi allora non chiedessero la formazione
di uno Stato indipendente albanese, ma l’autonomia albanese nell’ambito
dell’Impero ottomano sotto il nome di Villajet albanese. In questo si
trovano le radici dell’approccio per la soluzione della questione
nazionale albanese e la formazione di uno Stato per questo popolo.
Secondo lo storico Kosta Cavoski le questioni non venivano risolte nello
spirito del tempo, cioè con gli atti democratici dell’Europa liberale di
allora e con l’obiettivo di realizzare i veri interessi del popolo
albanese, ma secondo le richieste megalomani dei leaders delle tribu'
albanesi e sotto il patronato di Istanbul, allo scopo di salvaguardare
l’impero islamico feudale ottomano. Bisogna sapere che il cosiddetto
Grande Villajet albanese (cioè la provincia turca governata dai valì -
con
pagamento di tributo) era per grandezza due volte e mezzo rispetto
all’Albania odierna e che gli schipetari (denominati solo in seguito
"albanesi", dal nome dello Stato d'Albania) in quel territorio, secondo
un censimento di allora, rappresentavano la minoranza, cioè il 44% della
popolazione.

Lo Stato albanese viene fondato appena nel 1912, dopo la Prima guerra
balcanica, cioè dopo la liberazione dei Balcani dai turchi. E’
interessante che durante la Prima guerra balcanica gli albanesi non
combatterono a fianco di greci, bulgari, serbi. Non combatterono per
la liberazione nazionale ma lottarono a fianco della Turchia. Quando
fu chiaro che la Turchia ottomana stava per essere cacciata dai Balcani
i leaders albanesi si sono rivolti agli altri protettori e alle altre
potenze - all’Austroungheria e Gran Bretagna. Così la grande Albania
non viene fondata come frutto di una guerra di liberazione, ma secondo
l’idea austroungarica e conformemente agli interessi
dell'Austria-Ungheria. (...) Si è affermato che i nazionalisti
grandealbanesi da allora si sono sempre "appoggiati" ad una forza
europea o mondiale ma che d’altra parte non hanno mai rinunciato al
ruolo di "scudo islamico" in Europa e nemmeno a chiedere aiuto a Stati
islamici e fondamentalisti. I nazionalisti albanesi, ma anche gli
statisti, non hanno mai cercato le soluzioni ai problemi albanesi e
balcanici dialogando con i popoli vicini ma solo contro i popoli e gli
Stati vicini. Questo, secondo i nazionalisti grandealbanesi, è logico
perché la grande Albania si può formare soltanto contro gli interessi e
con l’appropriazione delle terre dei popoli vicini - serbi, macedoni,
montenegrini e greci.

Kosmet, il Piemonte italiano per fondare la grande Albania

L’esodo di serbi e montenegrini dal Kosmet (Kosovo e Metohija), la
tolleranza dell’esplosione demografica schipetara nella regione come
anche lo status di autonomia concesso dalla Costituzione del 1974 -
citano gli autori dello studio - non hanno analoghi in nessuna parte
dell’Europa né nel mondo. Tutto ciò andava in favore dei nazionalisti
grandealbanesi. E non solo: gli esperti dicono che gli schipetari
anziche' approfittare della situazione favorevole che hanno avuto nella
Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia per inserire la loro
minoranza nello sviluppo della Serbia e della Jugoslavia, fomentavano
sempre l’odio dei loro connazionali contro i serbi e i montenegrini e
alimentavano la voglia e le mire secessioniste. E’ paradossale ma vero,
dice lo storico Dusan Batakovic, il Kosmet sviluppato, economicamente e
culturalmente rafforzato, nella visione dei separatisti diventava il
polo e il "Piemonte" per la formazione della grande Albania. Dunque sul
territorio di uno Stato sovrano si tenta di formare il nucleo della
grande Albania... La grande Albania, secondo Batakovic, infatti, si sta
realizzando sui territori dei paesi limitrofi, facendo pressione sulla
popolazione del luogo costretta ad emigrare. Questa è una particolare
forma di "pulizia etnica", mentre nell’opinione pubblica mondiale si
da ad intendere che la minoranza albanese nel Kosmet verrebbe
terrorizzata e minacciata. Infine il cosiddetto Esercito di Liberazione
del Kosovo (UCK) ha espresso finalmente in modo chiaro gli obiettivi dei
grandealbanesi.

Appendice del traduttore:
"Rinfrescati la memoria signora Europa"

Cara Europa,
durante la Prima guerra mondiale a Londra il 16-8-1915 alla Serbia
promettevi i territori dove vivevano in maggioranza i serbi:
la regione di Backa, Slavonia, una parte della Dalmazia e la Bosnia.
Nella guerra ‘14/’18 i soldati serbi hanno liberato tutto il
territorio degli slavi del Sud dal loro e dal tuo nemico. Tu eri
meravigliata e spaventata. La piccola Serbia perse più della metà della
popolazione maschile: la grande Serbia precedentemente disegnata
dagli alleati a Berlino era fatta. Ad essa si sono spontaneamente uniti
altri popoli slavi delle regioni austroungariche, per creare la
Jugoslavia... Come fai ora a parlare di "Stato artificiale"?!

---

CHI APPOGGIA LA GRANDE ALBANIA?

(si veda anche:
http://www.marx2001.org/nuovaunita/jugo/crj/m_l/230799c.htm )

--------------------------------------------------------------------
Kosova Crisis Center (KCC) News Network: http://www.alb-net.com
---------------------------------------------------------------------

Kosova Task Force, USA
News Update
June 15, 2000

As the first anniversary of Serb withdrawal approaches
(June 20), journalists in leading newspapers are suffering
from a serious bout of collective amnesia. Critics in
alliance with the Serb lobby are questioning whether NATO
intervention on humanitarian grounds was justified. Instead
of acknowledging NATO¹s role in the heroic resistance waged
by the people of Kosova against genocide, the focus is on
whether the number of Serb tanks hit were worth the costs of
intervention.

The following facts need to be remembered and brought forward
to the media's attention.

1 Kosova is still not free. Serbia continues to have
political sovereignty over Kosova despite the overwhelming
vote for independence by Kosovars in 1991. To deny the
aspirations of Kosovars is to ensure new wars and further
atrocities.

2 The UN Security Council assigned UNMIK the impossible
task of creating a multi-ethnic Kosova subject to Belgrade.
Any talk of reconciliation and creation of a multiethnic society
is futile so long as there is no acknowledgment of the wrongs done,
and if not amends then at least a sense that some measure of
justice is being done.

3 NATO went to war against Belgrade not to create some
multiethnic and democratic nirvana but to prevent an escalation
of Serb attacks against Kosovo's civilian population.

4 Albanian relief from Serb tyranny cannot depend simply on
the presence of international forces providing border security.
A political settlement with ethnic Albanians as full partners
is needed.

5 The upcoming municipal elections are no more than a UN
plan to assuage Kosovars and a bid for time in the hope that
some sort of compromise short of Koosovar independence will emerge.

6 French peacekeepers in Kosova have been repeatedly accused of
cooperating with Serb paramilitaries controlling access to northern
Mitrovica. French forces sympathetic to Belgrade have allowed a
defacto partition of the mineral-rich region of Mitrovica by the Serbs.

7 War criminals have not been arrested. KFOR and UNMIK civilian
police force have deliberately failed to pursue indicted war
criminals. Kosova still has no court that can deliver impartial
judgments regarding war crimes.

8 About 1200 Albanians are still being illegally held in
Serbian prisons, subjected to mock trials that make a parody of
justice. Last month, 143 of these prisoners were sentenced to a
total of 1632 years in prison. Another 5000 Kosovars are reported
missing. The weak international response has fostered a profound
cynicism among Kosovars regarding the prospects for realizing
other Western promises such as self-governance or real peace.

9 An estimated 20,000 Kosovar women were raped by Serbs. None of
these criminals have been arrested. Few services are available for
these women to deal with their personal traumas. Local humanitarian
groups, including the Red Cross, have estimated that 100 rape-babies
were born in January alone.

--
==========================================
Justice For All
730 W. Lake St., Suite 156
Chicago, IL 60661, USA
Phone: 312-829-0087 Fax: 312-829-0089
Email: kosova@...
Internet: http://www.justiceforall.org
Visit our website for news and information
==========================================

The following organizations constitute the Kosova Task Force, USA:
Albanian Islamic Cultural Center, American Muslim Council,
Balkan Muslim Association, Council of Islamic Organizations of Chicago,
Council of Islamic Organizations of Michigan, Council on American
Islamic Relations (CAIR), Islamic Circle of North America ( ),
Islamic Council of New England, Islamic Medical Association, Islamic
Shura Council of Southern California, Islamic Society of Greater
Houston, Islamic Society of North America (ISNA), Majlis Shura New York,

The Ministry of Imam W.D. Muhammad, Muslim Students Association of US
and Canada, The National Community.


---


http://www.serbia-info.com/news

Listed Albanians are not citizens of Serbia and Yugoslavia

July 17, 2000
Kragujevac, July 17th - President of Albanian Democratic Reform Party
and president of Peace Association Board, Sokolj Cuse, said today in
Kragujevac that a large number of Albanians who are not citizens of
Serbia and Yugoslavia applied at the population census organized by
Bernard Kouchner in Kosmet.
Marking that Kouchner`s population census is illegal and opposed to the
Security Council Resolution 1244, Cuse said that listing of Albanians
who have never lived in Kosmet and who are not citizens of Serbia and
Yugoslavia is one more reason why Serbs, Albanians, Turks and Gorans
have not answered this census and for the same reason they will not go
out to the elections.
Reminding that one of Organization for Security and Cooperation in
Europe (OSCE)`s representatives has recently threatened Serbs that they
will lose their property unless they answer the census, Cuse said that
Serbs remain resolute in their decision to boycott Koucher`s census.
"The pressure on citizens who are for joint living in Kosovo-Metohija,
as it had been before KFOR and UNMIK came, is great and directed towards
their listing, but we are aware that only united we can preserve
ourselves and stop the anarchy conducted in Kosmet by Kouchner, Thaqui
and other terrorists", Cuse said.

---- Original Message -----
From: <info@...>
Sent: Tuesday, July 18, 2000 8:53 PM
Subject: [DSS] Double Standards of Kfor and Kouchner


>
> Double Standards of Kfor and Kouchner
>
> The international forces in Kosovo and Unmik head Bernard Kouchner
continue
> to apply double standards, quite contrary to United Nations Security
Council
> Resolution 1244. In the northern part of Kosovska Mitrovica, Kfor brutally
> injured eight Serbs, from a group which protested at the arrest of student
> Dalibor Vukovic (24). The international police arrested him for having
> beaten up an Albanian half a year ago.
>
> Such zeal was not demonstrated by Kfor in any of the thousands of cases in
> which Serbs were beaten up, while the international administration's
> investigations into the one thousand or so killings or just as many
> kidnappings of Serbs can be counted on one hand. Kfor did not lift a
finger
> when, a little over two weeks ago, followers of Ramush Haradinaj, Hashim
> Thaqi's one-time close associate, blocked the police station in Pec in
order
> to "free" two of their people who had been involved in a bloody
> inter-Albanian showdown in Steroci.
>
> There are no such actions by the international administration when the
> Kosovo Albanians are in question. They are protected by Kouchner who
> describes as retaliation obvious systematic crimes against Serbs staged by
> followers of Thaqi or Haradinaj. With statements like the one in the "New
> York Times" Kouchner is amnestying his protigis and compromising the UN
> mission to extreme limits.
>
> Belgrade, July 18, 2000
>
> Information Service of the Democratic Party of Serbia
>
> -----------------------------------------------------------------------
> E-mail: info@...
> http://www.dss.org.yu
> Democratic Party of Serbia, Brace Jugovica 2a, 11000 Belgrade, Yugoslavia
> Tel: (381 11) 182 535; 183 525; 638 013; 328 2886
> Fax: (381 11) 328 1793
>

http://www.albaniannews.com
Albanian Daily News
July 19, 2000


Socialist Leader Says He Aided KLA as Premier


TIRANA - Socialist Chairman Fatos Nano has said in an
interview that he held contacts and helped the Kosovo
Liberation Army following the massacre of the Jashari
family in February 1998.

Nano, who was interviewed by the chief editor of
Prishtina’s main daily Koha Ditore, said he had urged
top KLA leaders Hashim Thaci and Xhavit Haliti to
confront the Serbs militarily and diplomatically.

The interview was broadcast by private TV channel Klan
late on Monday evening.

Nano was prime minister at the time.

Nano also said he had arranged a meeting between US
diplomat Richard Holbrooke and a KLA official, Bardhyl
Mahmuti, in Crans Montana, Switzerland.

---

http://www.commondreams.org/views/071900-107.htm

Common Dreams - Published on Wednesday, July 19, 2000

Washington's Men In Kosovo:
A Year After the NATO Occupation,
Terror Reigns

by Jeremy Scahill

---

http://www.jurist.law.pitt.edu/zlatko.htm

Legal Guide to the Kosovo Conflict
Diplomacy and the Conflict in Kosovo
Notes on Threats and Fears
Dr. Zlatko Isakovic
Director
YUPeace - Centre for Peace and Conflict Research
Institute of International Politics and Economics
Belgrade

Paper prepared for presentation at the ISA Annual Convention, 16-20
February 1999, Washington, DC

Abstract

The aim of the paper is to elaborate on the actual and possible roles
for diplomacy in the conflict resolution process in Kosovo. The first
part of the paper will be devoted to an analysis of the Kosovo conflict;
the second part attempts to present the main diplomatic activities
undertaken after its escalation; and the third part provides conclusions
on the diplomatic efforts to resolve the conflict and offers some
suggestions on its future development.


--------- COORDINAMENTO ROMANO PER LA JUGOSLAVIA -----------
RIMSKI SAVEZ ZA JUGOSLAVIJU
e-mail: crj@... - URL: http://marx2001.org/crj
http://www.egroups.com/group/crj-mailinglist/
------------------------------------------------------------

ENZO BETICA E PAOLO RUMIC


Danica wrote:
>
> UNA NOTA:
>
> CHE ENZO BETTIZA SE NE FREGA PER LA DISTRUZIONE DELLE
> CHIESE ORTODOSSE è una cosa ovvia di fatto: sig. BETTIZA
> è stato per anni uno dei più focosi "falchi" nazifascio-ustasca croati in
> Italia nelle sue dichiarazioni che ha fatto durante tutte le guerre
> balcaniche. E non c'è da meravigliarsi: sig. ENZO BETTIZA
> parla molto bene croato - serbo ... niente di strano, perché il
> cognome BETTIZA è un cognome italianizzato di origine croata: le famiglie con
> il cognome Botice e Betice si trovano a Fiume e isola di Korcula !
>
> Lo sapevate questo ???
> Chiediamo al sig. BETTIZA quali sono le sue origini? ;-)
>
> Come mai sig. BETTIZA non aveva mai pronunciato ni anche una parola
> contro i massacri fatti sulla popolazione serba e musulmana, dai parà croati
> sotto la guida del ex studente della Teologia, cattolico
> Dragoslav Paraga ??? Come mai non si parla mai di questo Dragoslav Paraga?
> Vi siete posti questa domanda ?
>
> Danica Razlag

La slavofobia e serbo-fobia di Enzo Bettiza/Betica ha una origine
psicoanalitica piuttosto evidente: egli rifiuta e rinnega le sue radici
ed ha paura di essere portatore di una identita' mista. Traumi connessi
all'allontanamento dalla sua terra di origine lo portano a voler essere
piu' "italiano" degli stessi italiani della penisola.
Simili atteggiamenti intolleranti e fanatici contro "la barbarie slava"
sono diffusi in ampi settori della borghesia dalmata, istriana e
triestina, che e' ancora scioccata dalla perdita dello status sociale
privilegiato con la vittoria dei partigiani durante la Seconda Guerra
Mondiale. Questa borghesia, di solito educata sui banchi delle scuole
elementari del Fascismo e della Guerra Fredda da "italianissime"
maestrine, ha introiettato quei fantasmi ed ha paura, si scaglia contro
la propria stessa origine e ricchezza multi-etnica e multi-culturale,
che non riconosce nemmeno nel suono del proprio nome.

Un ulteriore esempio? Il giornalista antijugoslavo Paolo Rumiz/Rumic.


--------- COORDINAMENTO ROMANO PER LA JUGOSLAVIA -----------
RIMSKI SAVEZ ZA JUGOSLAVIJU
e-mail: crj@... - URL: http://marx2001.org/crj
http://www.egroups.com/group/crj-mailinglist/
------------------------------------------------------------

LA 'SINISTRA' E LA GUERRA

di Stefano Garroni
(apparso su: Quaderni Cestes-Proteo n. 3/1999
http://www.ppl.it/proteo/ )


Certamente è vero che le iniziative italiane contro l'aggressione alla
Jugoslavia hanno raggiunto un'ampiezza non comune in Europa, mettendoci
in grado di riscattare, almeno in parte, la vergogna d'aver partecipato,
come Stato, a quella stessa aggressione. E' altrettando indubbio, però,
che la mobilitazione della 'sinistra' italiana ha presentato limiti e
contraddizioni, su cui vale la pena di riflettere, perché
presumibilmente rivelatori di insufficienze radicali e non più
tollerabili.
Se pure è vero che, dopo molti anni, alcuni sindacati (RdB, Cub, Cobas,
ecc.) son riusciti perfino a realizzare uno sciopero politico contro
l'aggressione Nato; altrettanto è vero che, ormai, non risulta più
rinviabile l'analisi e la denuncia della sostanziale povertà e
arretratezza politico-ideologica della nostra 'sinistra'.
Ciò che mi propongo, dunque, è esattamente di individuare almeno alcuni
di tali limiti ideologici, convinto che in tal modo sarà possibile
cogliere cause effettive della inadeguatezza politica della 'sinistra'.
Ma già questo intento merita, forse, qualche precisazione.
Se è vera l'ormai inderogabile necessità di operare esplicite
differenziazioni fra 'sinistra' da un lato e 'ambiente comunista'
dall'altro (uso questa curiosa espressione, perché mi sembrerebbe
eccessivo parlare già di 'movimento comunista'), bisogna comprendere,
anche, che assumere consapevolmente tale esigenza è già di per sé prova
che qualcosa è cambiato sia nell'oggettività della situazione
politico-sociale italiana, sia nel modo in cui essa vien percepita dalla
coscienza diffusa.
Ricordiamo tutti, infatti, che la dissoluzione del campo socialista
europeo fu ambiguamente salutata dalla totalità -o quasi, se si
prescinde da ristrettissimi gruppi o singoli individui- della 'sinistra'
italiana come l'autentico aprirsi di una nuova pagina nella storia:
ormai, questo si diceva, la scena politica non sarà più dominata dalla
defunta lotta di classe, ma sì dallo scontro conclusivo tra democrazia
da un lato e totalitarismo dall'altro.
Ad oggettivo segno di quanto 'cattiva' fosse quella coscienza, basti
ricordare la falsa interpretazione, che subito si diffuse a 'sinistra'
(e proprio questa immediata diffusione è sintomale), dello scritto del
funzionario nord-americano, d'origine giapponese, Fukuiama.
Il quale acutamente aveva sostenuto non la fine della storia tout court,
ma sì che, se il comunismo è finito, allora non c'è più storia.
Il che, com'è chiaro, è del tutto vero, nel senso che se l'ordinamento
capitalistico fosse l'orizzonte ultimo dello sviluppo umano, certo
sarebbero possibili accadimenti ed eventi, ma non sarebbero più
possibili accadimenti ed eventi di carattere storico, dunque, capaci di
rappresentare momenti di svolta nel corso della vicenda umana. Ma quella
'sinistra' che salutava nel modo che sappiamo la 'caduta del muro di
Berlino', esattamente a questo si accingeva: a rinunciare alla lotta per
operare svolte radicali nella forma di vita contenporanea. Quella
'sinistra', dunque, doveva rendere inoffensivo, banalizzandolo, uno
scritto che, se compreso, avrebbe potuto contribuire a rendere almeno
equivoco l'entusiasmo che essa esibiva ed a gettare dubbi sulla
praticabilità di prospettive politiche, il cui presupposto era, appunto,
la fine della storia, dacché proprio la 'sinistra' dava per finiti lotta
di classe, rovesciamento dei rapporti di produzione, ecc.
Si aggiunga a questo un breve articolo -che forse fu effettivamente
letto più dello scritto di Fukuiama, senza però raggiungerne la
notorietà-, che pubblicò Lucio Colletti (un personaggio, dunque, non
limpidissimo, ma certo intelligente). Il senso dell'articolo, in
definitiva, era questo: se il marxismo si è rivelato fallace, allora
bisogna tremare, perché non resta più spazio per una lettura razionale
della storia, per la possibilitò di concepirla come dotata di senso.
Senonché, è facile notare come la 'sinistra post-caduta del muro'
proprio su questa strada si lanciava, priva di dubbi ed incertezze:
sulla strada dell'assunzione piena di una prospettiva irrazionalistica,
che mentre toglieva intelligibilità e senso alla storia, recuperava
l'opaca dimensione dell'immediato, del 'concreto', del desiderio, del
vissuto, insomma, dell'inconsapevolezza e dell'arbitrio soggettivo e
velleitario, nonché della riduzione dell'uomo alla sua elementare
dimensione naturale e sensibile.
Fosse calcolo o mero smarrimento (oppure una mescolanza di entrambi), in
generale la 'sinistra' ritenne, nelle nuove condizioni determinate dalla
scomparsa dell'Urss, di potersi assicurare spazi politici, assumendo la
cultura del decadente irrazionalismo borghese ed estremizzandone gli
obiettivi; questa sembrava la strada per poter continuare a <far
movimento> e, dunque, per non essere emarginata.
L'equivoco è evidente: nessuna società -neppure quella dello
Spätkapitalismus, come dice il titolo di un noto libro di Ernest Mandel-
è irrazionale, se non nella misura in cui un'oggettiva irrazionalità sia
il medio necessario, perché di quella società si affermi, invece, la
ragione propria. Il che implicita, com'è noto, la necessità di
distinguere nella dinamica di una forma di vita determinata (o, se si
vuole, di una formazione sociale) due livelli: quello del modo in cui la
forma di vita in questione si presenta e l'altro, del suo effettivo e
sostanziale funzionamento; insomma, tutto è possibile tranne che
disegnare una prospettiva politica, muovendosi nell'ottica
irrazionalistica.
Come si fa, però, a collocarsi entro il realismo della politica, avendo
rinunciato alla ragione, dunque, alla teoria, come la 'sinistra' faceva?
Ma non basta. Perché, in realtà, in quel desiderio di <far movimento>,
che tanto angustiava la 'sinistra', confluivano componenti diverse:
l'astratta volontà di ritrovare lo slancio e la vivacità del '68 (una
sorta di non casuale tardo-romantica aspirazione ad un'eterna
giovinezza); ma anche la surrettizia continuità con quella tradizione
riformista (ricca di echi irrazionalistici), secondo cui <il movimento è
tutto e il fine nulla>; si aggiunga a questo un fattore di cui poco si
parla, per quanto enorme sia la sua importanza: intendo il
parlamentarismo.
Perché questo è vero: l'esaltazione democratica, successiva alla 'caduta
del muro', per quanto si presentasse con le vesti della novità, della
scopera di una dimensione finalmente capace di superare le angustrie
della visione marxista, di fatto, si rivelava poi, banalmente,
esaltazione della democrazia parlamentare -dunque, di un ordinamento
politico-giuridico, ben precisamente datato dal punto di vista storico
ed in critica del quale mille e mille pagine son state scritte nel corso
ormai di secoli; ordinamento, per altro, proprio oggi (cioè nell'epoca
delle grandi concentrazioni economiche) vistosamente in crisi.
Non ci sarebbe stato bisogno di ricorrere né a Rousseau, a Hegel o Marx
(e tanto meno a Platone) per esser consapevoli delle contraddizioni
dell'ordinamento democratico-parlamentare: sarebbe bastato riandare ad
un dibattito dei primissimi anni 60, in cui studiosi e politici
francesi, italiani, americani, inglesi avevano ampiamente dimostrato
l'inattualità dell'ordinamento democratico-parlamentare (almeno nelle
sue formulazioni ufficiali), stanti le condizioni del capitalismo
oligopolistico (o dell'imperialismo, come Lenin esplicitamente diceva e
come è ricavabile, senza eccessiva fatica, dalle pagine di Marx).
Ma qui continuava ad operare un'indubbia tradizione del movimento
operaio italiano, nonché certi equivoci, che a lungo hanno dominato lo
stesso movimento comunista: intendo la riduzione parlamentaristica della
democrazia, all'interno dell'accettazione di un modello ancora più
pericoloso, quello dell'ideologia propria della moderna società
capitalistica di massa.
Dal confluire di tutto ciò risultava l'abbarbicarsi della 'sinistra' ad
un democratismo "senza qualità" (sto pensando esattamente a Musil),
legato all'esaltazione del mero decidere, della retorica della volontà
dal basso ed all'illusione (che sarebbe, invece, facilissimo
distruggere), secondo cui l'arbitrio delle volontà è ciò su cui può (e
deve) reggersi una società ed, in particolare, la moderna società
industriale (capitalistica o socialistica che sia).
E' interessante notare che la 'sinistra post-crollo' poteva giustificare
questo suo acritico approdo al parlamentarismo richiamandosi, anche,
all'estremismo assembleare del '68, che un qualche rapporto con la
tradizione del 'comunismo critico occidentale' pur lo aveva (penso alla
Luxemburg, a Korsch, Pannekoek, Mattick, Gorter, ecc); voglio dire che
non risultava difficile dar nobili natali ad un atteggiamento di
sostanziale opportunismo politico, anche perché -riconosciamolo con
francezza- ben poco è restato, nella cultura comunista, della articolata
critica leniniana alla concezione dello Stato e della democrazia, che fu
propria di quel comunismo 'occidentale' che dicevo.
Se questo effettivamente era il clima ideologico di cui viveva la
'sinistra post-crollo', sarebbe ingeneroso dimenticare quanto quello
stesso clima avesse radici anche in altri fenomeni -culturali, dacché il
mio ragionamento si confina consapevolmente in quest'ambito-, oggettivi
e aperti potenzialmente a sviluppi di grande importanza. Per poter ben
comprendere la cosa, tiriamo una prima conclusione.
In definitiva, la 'sinistra' che qui ci interessa andava accettando (e
sviluppando) una ideologia paradossale, nel senso di essere, ad un
tempo, politica ed impolitica, ispiratrice di comportamenti politici
determinati ma, anche, rinunciataria, in quanto assumeva i propri valori
dall'immediatezza del modo di vivere tardo-capitalistico e, dunque, li
rendeva autonomi presupposti dall'operosità costruttiva della politica.
Di qui l'approdo ad una concezione (della politica), che si vuole
pragmatica e non ideologica, mentre in verità è intrisa di un'ideologia,
assunta passivamente dall'esterno (dunque, della peggiore ideologia).
Tale intricata forma di coscienza risultava, a ben vedere, consonante
con importanti posizioni culturali, riproposte (solo, riproposte)
vivacemente nel nostro secolo, secondo le quali non c'è rapporto fra
dominio filosofico e dominio delle scienze, dovendosi intendere queste
ultime strettamente come attività intellettuali -per dirla con Hegel- e,
dunque, eminentemente riferite ognuna ad un oggetto particolare,
plasmate secondo modelli empiristico-matematici e non interpretabili se
non come costruzioni pragmatiche e convenzionalistiche.
Dunque, così come l'ideologia della 'sinistra' separava valore ed azione
politica, analogamente in ambito propriamente culturale s'andava
riproponendo, in definitiva, la coppia utilitarismo pratico, da un lato,
e soggettivismo dei valori, dall'altro.
Non voglio approfondire questo aspetto della questione; mi basta
ricordare le analisi di due significativi studiosi marxisti, noti anche
in Italia -l'austriaco V. Hösle e l'ungherese A. Gedö-, i quali hanno
mostrato il nesso profondo, che lega neo-positivismo e Lebensphilosophie
(filosofia della vita), nonché il riproporsi, in questo modo, di ciò che
Hegel definiva lo stanco "scetticismo moderno", in opposizione a quel
vigoroso "scetticismo antico", che tanti meriti si è guadagnato per lo
sviluppo delle scienze e della filosofia.
Tuttavia, comprendere a fondo lo svuotamento di valenza teorica -a cui
la 'sinistra' sottoponeva l'azione politica, separandola così da morale
e scientificità (ovvero da quella Wissenschaftlichkeit, che gioca un
ruolo così essenziale nella prospettiva dialettica di Hegel e di Marx)-
non è possibile senza richiamare gli autentici guasti -sia politici che
culturali-, che son risultati da quel certo modo di organizzare e
interpretare il marxismo, che per lunghi decenni è apparso essere il
marxismo.
E' chiaro che a questo punto l'argomento si fa particolarmente
complesso, anche perché sono assai scarsi gli studi dettagliati sul
tema, che siano capaci di render conto di analogie e differenze nello
svolgersi del marxismo almeno nei principali paesi europei. Mi sembra,
tuttavia, che alcuni punti possano essere fissati. Ad esempio, questo.
E' giunta fino ai nostri giorni la curiosa tesi, secondo cui esiste un
solo marxismo e tante sue deformazioni, per cui, volta a volta, il
compito serio sarebbe quello di recuperare e svolgere quell'unico
marxismo, liberandolo dagli elementi estranei, che possono averlo
appesantito e smorzato nella sua valenza critica.
Lo sfondo religioso di tale convinzione (con la conseguente inevitabile
coppia oppositiva di ortodossia ed eterodossie) non va neppure
dimostrato; ma siccome sappiamo che elementi di mentalità religiosa son
presenti anche nel senso comune, è utile qui osservare che, al contrario
di quanto immediatamente sembra, ogni importante costruzione teorica (ed
il marxismo certo lo è) non è mai priva di polisemia. Al contrario, è
sempre disponibile a svolgimenti -dunque, ad interpretazioni-
molteplici.
Certo, si tratta di una gamma di significati possibili contenuta entro
certi limiti, superati i quali quella tradizione risulta esaurita,
distrutta, morta; ma questo conferma che un grande libro o un'importante
linea di pensiero son tali anche perché producono effetti (di nuovo,
interpretazioni -teoriche e pratiche), relativamente diverse, in
contesti sia uguali che differenti.
Insomma, la vitalità di un libro o di una tradizione di pensiero
comporta varietà di svolgimenti, molteplicità di esiti, opponendosi così
alla secca alternativa dell'autenticità o della falsificazione
interpretativa.
Senonché -e per una molteplicità di fattori-, storicamente si è
costruito il paradosso per cui un pensiero dialettico, come quello di
Marx, ha subito una tematizzazione dogmatica e scolastica. Si è giunti
perfino a cristallizzare un tale pensiero (a reificarlo), fino al punto
di inventare una pretesa "filosofia marxista-leninista", con tanto di
principi, di cui storia e natura non dovevano che esibire prove e
conferme.
L'inevitabile risultato è stato quello di ridurre il marxismo da teoria
dialettica a variante del materialismo meccanicistico, del determinismo
economico, del pragmatismo, del funzionalismo, ecc. ecc.
Proprio la dialettica, dunque, è scomparsa, perché sommersa da una
rigida costruzione sistematica, sempre di più lontana dalla vitalità
effettiva degli eventi politici e scientifici; al pensiero di Marx,
inoltre, si è così attribuita una compattezza e linearità, che in realtà
gli mancano, e che addirittura gli mancano non per caso, ma sì perché
quel pensiero è caratterizzato da un tormentato rapporto con i punti
altri della riflessione a lui contemporanea (basti pensare ad Hegel ed a
Ricardo), che è ragione non ultima della persistente sua vitalità.
Ed allora ecco che, già nella tradizione comunista, si andò costruendo
un autentico divorzio fra teoria (imbalsamata e non più dialettica) e
pratica politica (opportunista, riformista, pur se proclamantesi
comunista).
Il fatto grave è che questa versione del marxismo si è imposta al senso
comune (e non -si pensi a Popper) come il marxismo. In questo modo si
spiega come, a partire dal 1967-1968, la sinistra costruitasi fuori dai
Partiti comunisti abbia oscillato -sulla base delle variazioni del
generale quadro politico e sociale- tra un'accettazione estremistica di
tale marxismo ed il suo rifiuto, non già con la prospettiva di
recuperare la dialetticità del marxismo stesso, ma sì per rincorrere
passivamente questa o quella moda culturali, comunque sempre inscritte
entro il quadro dell'irrazionalismo.
La dissoluzione del campo socialista europeo e la tardiva vittoria di
Bucharin nei restanti Paesi socialisti hanno determinato una situazione,
per cui tutti i fattori, che ho rapidissimamente disegnato, son
precipitati nella costruzione di una 'ideologia di sinistra',
sostanzialmente incapace di intendere le dinamiche del mondo reale, ma
disponibile a sostituirle con autentiche, deliranti costruzioni
oniriche, ispirate a vaghe idealità come pacifismo, ecologismo, cultura
della differenza, ecc.
Naturalmente, tutto ciò non impedisce alle 'cose del mondo' di procedere
nel modo, in cui realmente procedono. Ed allora questa 'sinistra' si
trova a dover reagire con le sue armi ideologiche ad un complesso di
eventi, che le risultato in sostanza opachi, non compresi. E tanto più
drammatici si fanno questi eventi, tanto più drammaticamente inadeguata
si fa la reazione ad essi, di cui la 'sinistra' si dimostra capace.


Stefano Garroni


--------- COORDINAMENTO ROMANO PER LA JUGOSLAVIA -----------
RIMSKI SAVEZ ZA JUGOSLAVIJU
e-mail: crj@... - URL: http://marx2001.org/crj
http://www.egroups.com/group/crj-mailinglist/
------------------------------------------------------------