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Mussolini il criminale e i Balcani

di Davide Conti, 20.11.2018

Un programma razzista, liberticida e dittatoriale fin dagli anni 20. Le sanguinarie imprese del fascismo in Jugoslavia, Albania, Grecia. Il duce: “Quando l’etnia non va d’accordo con la geografia, è l’etnia che deve muoversi; gli scambi di popolazioni e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali perché portano a far coincidere i confini politici con quelli razziali”


Il fascismo non aspettò di certo la metà degli anni trenta (ovvero l’occupazione dell’Etiopia del 1936 e le leggi razziali del 1938) per manifestare il proprio intrinseco e costituente carattere razzista, liberticida e dittatoriale. Mussolini esplicitò fin dalle origini il suo «programma criminale» impegnando se stesso e poi il regime da lui guidato al mantenimento delle «promesse» lungo l’intero arco temporale del ventennio fascista, conformando la struttura identitaria della dittatura italiana a quelle linee programmatiche.
In questo articolo, in una misura necessariamente sintetica, indicheremo alcuni esempi della corrispondenza tra la verbale propaganda razzista del fascismo delle origini e le sue fattuali conseguenze una volta instaurata la dittatura sulle popolazioni civili dei Balcani.
Jugoslavia
Una particolare attenzione venne riservata dalle camice nere alla regione dei Balcani, destinata a divenire il principale campo di battaglia dell’imperialismo fascista in Europa.
Lo squadrismo riuscì a presentarsi fin dall’inizio degli anni 20 come elemento di sintesi delle istanze antislave (sul piano nazionalista) e anticomuniste (sul piano politico-sociale) dando rappresentanza a settori non marginali della società civile italiana che andavano dalla piccola e media borghesia alla proprietà terriera fino ai militari.
In questo quadro di embrionale manifestazione del fascismo Mussolini, a proposito della regione di confine con la Jugoslavia, poteva già scrivere nel 1920 sul «Popolo d’Italia»: «In altre plaghe d’Italia i fasci di combattimento sono appena una promessa, nella Venezia-Giulia sono l’elemento preponderante e dominante della situazione politica».
Il fascismo triestino ed istriano accanto alla lotta contro il sovversivismo sociale nelle terre della Venezia-Giulia sperimentò quel fascismo di frontiera che tra il 1920 ed il 1922 intensificò la propria azione violenta in tutta la regione sotto la guida di Francesco Giunta, a Trieste, e di Luigi Bilucaglia. All’attivismo anti-operaio promosso durante gli scioperi, in particolare a Pola, si associò una politica di provocazione e scontro con i gruppi croati fin dall’estate del 1920.
Il consenso ed il consolidamento politico dello squadrismo si manifestò quando Mussolini espresse le linee politiche anti-socialiste ed anti-slave del programma del fascismo nel suo intervento del 22 settembre 1920 a Pola: «Di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara non si deve seguire la politica che da lo zuccherino, ma quella del bastone […] i confini dell’Italia devono essere: il Brennero, il Nevoso e le Dinariche […] io credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani» .[1]
Nel pieno della guerra di aggressione alla Jugoslavia e della pianificazione del controllo territoriale delle regioni balcaniche occupate, Mussolini, il 31 luglio 1942 a Gorizia, indicò ai generali Ugo Cavallero, Mario Roatta e Vittorio Ambrosio la linea di condotta che le truppe italiane avrebbero dovuto seguire:
«Sono convinto che al terrore dei partigiani si deve rispondere col ferro e col fuoco. Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri quando occorre […] come avete detto è cominciato un nuovo ciclo che fa vedere gli italiani come gente disposta a tutto […] questa popolazione non ci amerà mai […] il ritmo delle operazioni deve essere sollecitato […] l’aviazione ha qui un compito abbastanza importante. 
Questo territorio deve essere considerato territorio di esperienza. Non vi preoccupate del disagio della popolazione, lo ha voluto! Ne sconti le conseguenze, così come non mi preoccupo dell’università che sarà un focolaio contro di noi. Non sarei alieno dal trasferimento di masse di popolazione». [2]

Queste direttive politiche furono tradotte in termini operativi dai vertici del regio esercito rispetto al modus operandi delle truppe italiane impiegate nella controguerriglia anti-partigiana e nella repressione della popolazione civile.
Nel quadro di questa logica consequenziale i comandi militari dell’esercito mostrarono la propria corrispondenza agli ordini del duce attraverso la realizzazione di operazioni come quelle effettuate nella cittadina di Podhum attaccata il 12 luglio 1942 (91 uomini tra i 16 ed i 64 anni fucilati sul posto e altre 800 persone deportate) o nei villaggi di Zamet e nella zona di Danilovgrad che vennero rastrellati e rasi al suolo nell’agosto 1942 con l’approvazione di Mussolini.
Cicli operativi di questo tipo rientravano nella strategia di sostituzione della popolazione finalizzata ad uniformare confini politici e razziali nell’ambito del più generale progetto di snazionalizzazione:
«Il Duce ha approvato le modalità esecutive delle operazioni […]; abbiamo adottato il provvedimento successivo di sgomberare tutti gli uomini validi ad Arbe. Non importa se nell’interrogatorio si ha la sensazione di persone innocue […] quindi sgombero TOTALITARIO […] resta inteso che il provvedimento dell’internamento non elimina il provvedimento di fucilare tutti gli elementi colpevoli o sospetti di attività comunista.  Non limitarsi negli internamenti.  Le autorità superiori non sono aliene dall’internare tutti gli sloveni e mettere al loro posto gli italiani (famiglie dei caduti e dei feriti italiani). In altre parole far coincidere i confini razziali con quelli politici». [3]

D’altro canto la declinazione fascista di confini territoriali e confini razziali era stata sin dall’inizio della guerra una delle chiavi di lettura della misura imperialista del regime.
Mussolini il 10 giugno 1940 in un discorso tenuto alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni aveva affermato: «Noi avremmo potuto, volendo, spingere i nostri confini dai Velibiti alle Alpi albanesi ma avremmo, a mio avviso, commesso un errore […]; avremmo portato entro le nostre frontiere parecchie centinaia di migliaia di elementi allogeni, naturalmente ostili […]; gli Stati che si caricano di troppi elementi alloglotti hanno una vita travagliata […]; bisogna adottare verso di essi un trattamento speciale […]; quando l’etnia non va d’accordo con la geografia, è l’etnia che deve muoversi; gli scambi di popolazioni e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali perché portano a far coincidere i confini politici con quelli razziali». [4]
Di fronte alla Resistenza jugoslava ed alla rivolta antifascista nella regione del Montenegro Mussolini cercò di ripristinare l’ordine fascista sul territorio inviandovi il generale di Corpo d’Armata Alessandro Pirzio Biroli che diverrà governatore del Montenegro e che al termine della guerra sarà iscritto nelle liste delle Nazioni Unite dei «presunti» criminali di guerra italiani in ragione delle misure di repressione operate contro la popolazione civile jugoslava:
«Recatevi a Cettigne per dirigere sul posto operazioni di questa che ormai è una guerra ed insieme ai poteri militari assumete quelli civili. F. to Mussolini». [5]
Al termine della guerra i danni complessivi denunciati dalla Jugoslavia alla Conferenza per le riparazioni di Parigi ammontarono a 9 miliardi e 145 milioni di dollari di danni materiali e 1.706.000 morti, pari al 10,8% della popolazione totale. Di questi, la stragrande maggioranza era rappresentata da vittime civili giacché, secondo le stime ufficiali jugoslave le perdite tra i combattenti inquadrati nelle formazioni partigiane E.P.L. e D.P.J. ammontarono complessivamente a 306.000 uomini. Queste cifre vennero integrate dai dati dei reduci dei campi di concentramento in Jugoslavia e Italia, dalla distruzione del 25% degli abitati e dai danni arrecati dagli occupanti ai rami dell’industria, dell’agricoltura dei trasporti e delle materie prime.
L’Italia a conclusione dei trattati di Parigi venne condannata a pagare alla Jugoslavia, a titolo di riparazione, 125 milioni di dollari. [6]

Albania
Nella riunione del 13 aprile 1939 del Gran Consiglio del Fascismo Mussolini affermò: «L’Albania è la Boemia dei Balcani, chi ha in mano l’Albania ha in mano la regione balcanica. L’Albania è una costante geografica dell’Italia. Ci assicura il controllo dell’Adriatico […] nell’Adriatico non entra più nessuno […] abbiamo allargato le sbarre del carcere del Mediterraneo». [7]
Il 7 aprile 1939 l’Albania venne occupata dalle truppe militari del regio esercito.
Nel corso della guerra la Resistenza albanese rappresentò il principale elemento politico di contrasto all’invasore fascista e per questo le misure di repressione territoriale assunsero un carattere uniforme a quello presente nel resto dei alcani occupati.
Il 14 luglio 1943 venne realizzata, dal regio esercito, un imponente operazione militare antipartigiana nei villaggi intorno a Mallakasha ed al termine di quattro giorni di combattimento, in cui vennero usati artiglieria pesante ed aviazione, tutti gli 80 villaggi della zona vennero rasi al suolo causando la morte di centinaia di civili.
Al termine della guerra l’eccidio di Mallakasha venne simbolicamente ricordato dalle autorità albanesi come la “Marzabotto albanese” ponendo in relazione i brutali metodi dell’occupazione tedesca in Italia e quelli fascisti in Albania.
Grecia
Nella riunione del 15 ottobre 1940 tenutasi a Palazzo Venezia Mussolini, Galeazzo Ciano, Pietro Badoglio, Mario Roatta, Soddu, Francesco Jacomoni e Visconti Prasca discussero della strategia che l’Italia avrebbe dovuto adottare per invadere la Grecia. Nei suoi interventi Mussolini non lasciò adito a dubbi sull’azione da intraprendere: «Lo scopo di questa riunione è quello di definire le modalità dell’azione – nel suo carattere generale – che ho deciso di iniziare contro la Grecia […] questa è un’azione che ho maturato lungamente da mesi e mesi; prima della nostra partecipazione alla guerra ed anche prima dell’inizio de conflitto[…] Fissata la data si tratta di sapere come diamo la parvenza della fatalità di questa nostra operazione. Una giustificazione di carattere generale è che la Grecia è alleata dei nostri nemici […] ma poi ci vuole l’incidente per il quale si possa dire che noi entriamo per mettere l’ordine. Se questo incidente lo fate sorgere è bene, se non lo determinate è lo stesso. […] è per dare un pò di fumo. Tuttavia è bene se potete fare in modo che ci sia l’appiglio all’accensione della miccia. […] Nessuno crederà a questa fatalità, ma per una giustificazione di carattere metafisico si potrà dire che era necessario venire ad una conclusione». [8]
A seguito delle attività provocatorie e terroristiche sostenute dal governo fascista, Mussolini spedì nelle prime ore del 28 ottobre 1940 l’ultimatum al governo di Metaxas nel quale si fece riferimento ai falsi attacchi subiti dall’Albania lungo la zona di confine che l’Italia aveva delimitato con la Grecia: «Il Governo italiano […] deve ricordare al governo greco l’azione provocatrice svolta verso la Nazione albanese con la politica terroristica da esso adottata nei riguardi della popolazione della Ciamuria e con i persistenti tentativi di creare disordini oltre le sue frontiere. […] Tutto questo non può essere dall’Italia ulteriormente tollerato […] il Governo italiano è venuto pertanto nella determinazione di chiedere al Governo greco, come garanzia della neutralità della Grecia e come garanzia di sicurezza per l’Italia, la facoltà di occupare con le proprie forze armate […] alcuni punti strategici in territorio greco […]; ove le truppe italiane dovessero incontrare resistenze, tali resistenze saranno piegate con le armi e il governo greco si assumerebbe la responsabilità delle conseguenze che ne deriverebbero». [9]

Nel corso del conflitto le difficoltà operative incontrate dal regio esercito spinsero all’utilizzo massiccio dell’aviazione per fiaccare l’opposizione delle truppe greche e per colpire gravemente la popolazione civile. Mussolini affermò perentorio ai suoi generali: «In questo periodo di sosta occorre che l’aviazione faccia quello che non possono fare gli altri. Questi bombardamenti incessanti dovranno: a) dimostrare alle popolazioni greche che il concorso dell’aviazione inglese è insufficiente o nulla; b) disorganizzare la vita civile della Grecia, seminando il panico dovunque. Quindi voi dovete scegliere – chilometro quadrato per chilometro quadrato – la Grecia da bombardare». [10]
Al termine del conflitto venne stilato un bilancio dei danni arrecati dagli occupanti alla Grecia in termini di vite umane, disarticolazione di settori strategici dell’economia nazionale e di distruzione dei villaggi e delle città che avevano subito bombardamenti, rastrellamenti e incendi da parte delle truppe nazifasciste.
I dati pubblicati nel 1946 nella relazione «Les sacrificies de la Grèce pendant la guèrre 1940-1945» (verificati dall’agenzia delle Nazioni Unite «United Nation Relief and Rehabilitation Administration (UNRRA)» e dalla Croce Rossa) certificarono: «Il primo anno dell’occupazione (1941-1942) fu incontestabilmente il più doloroso per il popolo greco […]; molti paesi europei furono conquistati dall’Asse e videro le loro popolazioni in balia delle privazioni e delle sofferenze. Tuttavia nessun popolo ha sofferto quanto il popolo greco a seguito delle privazioni e della fame. […] Gli uomini, le donne e soprattutto i bambini che la fame aveva ridotto allo stato di scheletri vagavano per delle ore intere per le strade […] Tutte le mattine la polizia si occupava di sgomberare dalle strade decine, alle volte centinaia, di cadaveri.
Di tutti i paesi conquistati la Grecia è quella che conta proporzionalmente la più grande quantità di ostaggi e vittime delle persecuzioni e di esecuzioni. Prova inconfutabile della partecipazione unanime del popolo greco alla resistenza nazionale. […] Tremilasettecento (3.700) villaggi e città furono in tutto distrutti, una parte a seguito di bombardamenti, saccheggi ed incendi. A seguito di queste distruzioni 1.200.000 persone, cioè 1/6 della popolazione totale del paese si trovano senza riparo. 88.000 famiglie contadine nelle macerie delle loro abitazioni, 30.000 famiglie contadine vivono in case semidistrutte, 510.000 famiglie urbane sono miseramente alloggiate. […] L’armata dei partigiani ingaggiò nelle montagne dei duri combattimenti di cui il prezzo fu pesante. Con le rappresaglie gli occupanti massacrarono più di 40.000 persone, per lo più donne e bambini, e incendiarono 3.000 villaggi». [11]

Secondo i dati forniti dal rapporto i morti in totale durante l’occupazione della Grecia ammonterebbero ad un totale di 620.000 persone: 360.000 morti a causa della fame; 30.000 morti a causa della guerra; 7.000 vittime dei bombardamenti; 43.000 persone uccise da esecuzioni operate da tedeschi (35.000) ed italiani (8.000); 25.000 persone uccise da esecuzioni operate dai bulgari; 60.000 morti tra la popolazione giovanile; 45.000 morti tra gli ostaggi ed i prigionieri dei nazifascisti; 50.000 morti tra le file della resistenza greca.
Oltre 190.000 persone risultano perseguitate ed imprigionate dalle truppe occupanti: 100.000 da parte tedesca; 35.000 da parte italiana; 50.000 da parte bulgara; 5.000 da parte delle milizie albanesi inquadrate, addestrate e comandate dall’esercito italiano.
Le deportazioni dei prigionieri fuori dal territorio greco raggiunsero la cifra di 88.000: 40.000 eseguite dai tedeschi; 18.000 dagli italiani; 30.000 dai bulgari. [12]
Dall’Italia all’Africa, dai Balcani alla Russia le promesse criminali di Mussolini erano state mantenute. Fu la Resistenza a farsi carico di chiederne conto al dittatore e ai suoi gerarchi.
Davide Conti, Curatore per l’Archivio Storico del Senato della Repubblica del riordino dei fondi «Rosario Bentivegna»; «Carla Capponi»; «Mario Fiorentini-Lucia Ottobrini»

[1]            T.Sala-S. Bon Gherardi, L’Istria tra le due guerre, Bollati Boringhieri, Torino, p.30.
[2]           U.Cavallero, Diario, edizioni Ciarrapico, 1984, Cassino, p. 443..
[3]           Verbale 2 agosto 1942 della riunione di Kocevje indetta dal generale Mario Robotti, in «Quaderni della Resistenza», Anpi Friuli-Venezia Giulia, n.10, Udine 2003, pp. 30-31.
[4]           «Il Piccolo di Trieste» 11 giugno 1941.
[5]            Archivio Storico Ministero Affari Esteri (Asmae), Gabinetto del Ministro e della Segreteria Generale 1923-1943, serie V, busta 2, AP 49, Montenegro, telegramma n.20983 del luglio 1941 di Mussolini al generale Pirzio Biroli.
[6]           Cifre della Commissione jugoslava presentate nella Conferenza per le riparazioni di guerra tenutasi a Parigi nel 1945, in J. Marjanovic,Guerra popolare e rivoluzione il Jugoslavia 1941-1945, Ediz. Avanti! Milano 1962 pp. 153-154.
[7]           Verbale riunione Gran Consiglio del Fascismo 13 marzo 1939, in E. Misefari, La Resistenza degli albanesi all’imperialismo italiano, Ediz. Cultura popolare, Milano 1976.
[8]           Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito (USSME), documenti del Tomo II, «La Campagna di Grecia», verbale riunione di Roma 15 ottobre 1940, documento n.52, pp. 159-163.
[9]             Ussme, ibidem, nota del governo italiano al governo greco presentata dal Ministro Grazzi al Presidente del consiglio ellenico alle ore 3 antimeridiane del 28 ottobre 1940, documento n. 65, pp. 184-185.
[10]          Ussme, ibidem, verbale riunione tenuta di Roma del 10 novembre 1940, documento n.99, p. 314.
[11]          «Les Sacrificies de la Grèce pedant la guèrre 1940-1945», Edition de la Ligue «La Paix par la Justice»Atene 1946.
[12]          Ibidem.

[ LE FOTOGRAFIE:
Il campo di concentramento nell’isola di Arbe. Foto tratta dal libro di Giuseppe Piemontese: “Ventinove mesi di occupazione nella provincia di Lubiana. Considerazioni e documenti” , (Lubiana 1946). (da http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/01/29-8.jpg)
Foto tratta dal libro di Giuseppe Piemontese: “Ventinove mesi di occupazione nella provincia di Lubiana. Considerazioni e documenti”, (Lubiana 1946). (da http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/01/29-15.jpg)
"Arbe, la memoria da integrare": articolo di Boris Pahor apparso su Il Piccolo (http://www.patriaindipendente.it/wp-content/uploads/2018/11/da-il-Piccolo.jpg)
L’uccisione di circa 150 tra patrioti e civili greci nella zona del villaggio di Domenikon, in Grecia, effettuata dal Regio esercito italiano durante l’invasione della Grecia. Militari italiani camminano tra i cadaveri di civili greci giustiziati nel massacro (da https://it.wikipedia.org/wiki/ Strage_di_Domenikon#/media/File:DOMENIKO-1943.jpg) ]


(srpskohrvatski / русский / italiano)

La Chiesa Ortodossa non è tutta in vendita

1) Chiesa Ortodossa Serba si schiera contro Patriarcato Costantinopoli su questione ucraina (Sputnik Italia)
2) Став Српске Православне Цркве о црквеној кризи у Украјини после најновијих одлука Цариградске Патријаршије (Српскa Православнa Црквa – Званични сајт)
3) FLASHBACK 2018: Ucraina, proclamata l’autocefalia della "chiesa ortodossa di Kiev"
4) FLASHBACK 2017: Proposta al parlamento ucraino la messa fuorilegge della Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Mosca

See also:

Three Ukrainian churches vandalized (SPC, 12. November 2018)
Provocative graffiti appeared around three Ukrainian Orthodox churches in Lvov over the weekend, accusing the clergy and faithful of the canonical Church of being agents of the Russian government...

Белорусская православная церковь отказалась от общения с Константинопольским патриархатом (16 октября 2018)
[Anche la Chiesa bielorussa contesta il Patriarcato di Costantinopoli]
... «Белорусская православная церковь как часть Русской православной церкви присоединяется к этому решению (о прекращении евхаристического общения с Константинополем. — прим. ред.)», — заявил Иларион после заседания Священного синода в Минске в понедельник, 15 октября...

Ucraina: proclamata l’autocefalia della chiesa ortodossa di Kiev (di Claudia Bettiol, 12 ottobre 2018)
La concessione dell'autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina da parte del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli non solo ha incrinato i rapporti tra Kiev e Mosca (già non proprio idilliaci), bensì anche quelli tra le varie Chiese e, in particolare, tra Mosca e Costantinopoli

Si veda anche il nostro post precedente:

Washington pronta a far esplodere la Chiesa Ortodossa [JUGOINFO 9 ottobre 2018]


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Chiesa Ortodossa Serba si schiera contro Patriarcato Costantinopoli su questione ucraina

12.11.2018

Il consiglio episcopale della Chiesa Ortodossa Serba ha rifiutato di seguire la decisione del Patriarcato di Costantinopoli relativa alla riabilitazione dei leader scismatici ucraini Filarete di Kiev e del metropolita Makariy.

Il consiglio ha reso pubblica la dichiarazione speciale sulla "Posizione della Chiesa Ortodossa Serba sulla crisi della chiesa in Ucraina dopo le recenti decisioni del Patriarcato di Costantinopoli".

"In primo luogo il consiglio si rammarica che il Patriarcato di Costantinopoli abbia preso una decisione canonicamente irragionevole per riabilitare e riconoscere i due leader scismatici della chiesa ortodossa in Ucraina Filarete di Kiev e il metropolita Makariy insieme al loro clero", si afferma nella dichiarazione.

Si fa notare che "il Santo Concilio dei Vescovi ritiene che questa decisione del Sinodo di Costantinopoli non sia vincolante per la Chiesa Ortodossa Serba".

Le autorità di Kiev stanno cercando di ottenere l'autocefalia dal Patriarcato di Costantinopoli per la struttura ecclesiastica non canonica in Ucraina. A metà ottobre il Patriarcato di Costantinopoli ha annunciato l'avvio di questa procedura.

Il Sinodo della Chiesa Ortodossa Russa ha definito le azioni di Costantinopoli scismatiche ed ha rotto i rapporti.

Secondo il metropolita Hilarion, Costantinopoli ha perso il diritto di definirsi il centro di coordinamento dell'Ortodossia.



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Став Српске Православне Цркве о црквеној кризи у Украјини после најновијих одлука Цариградске Патријаршије

12. Новембар 2018

Дводневно заседање Светог Архијерејског Сабора Српске Православне Цркве (6. – 7. новембар текуће године) било је посвећено трима главним темама – стању на Косову и у Метохији, унапређењу школства и просвете у Српској Православној Цркви и црквеној кризи у Украјини после најновијих одлука Цариградске Патријаршије. Своје виђење стања на Косову и Метохији, као и перспективу борбе за очување те мученичке српске покрајине у саставу Србије у условима непрестаних провокација вођства лажне државе и сталних притисака великих западних сила, Сабор је предочио нашој јавности посебним саопштењем

Њој је мање-више већ позната и делатност Сабора на пољу црквеног школства и просвете, али саборски став по питању  Цркве у Украјини само делимично. Разлог за то је чињеница да је о саборском ставу требало најпре службено обавестити све Православне Цркве, почевши од Цариградске и Московске Патријаршије, и то на одговарајућим језицима (грчки, руски и енглески), а за тај посао је било потребно извесно време. Пошто је то учињено, сада је тренутак да се став Српске Православне цркве изнесе у целости пред нашу јавност.

Сабор најпре са жаљењем констатује да је Цариградска Патријаршија донела канонски неутемељену одлуку да рехабилитује и за епископе призна двојицу вођâ расколничких групација у Украјини, Филарета Денисенка и Макарија Малетича, заједно са њиховим епископатом и клиром, од којих је први својевремено канонски лишен чина, а потом искључен из црквене заједнице и подвргнут анатеми, а други је ионако лишен апостолског прејемства као духовни изданак секте такозваних самосветих, због чега Свети Архијерејски Сабор ту одлуку цариградског Синода сматра необавезујућом за Српску Православну Цркву.

Сабор не признаје наведене личности и њихове следбенике за православне епископе и клирике и, следствено, не прихвата литургијско и канонско општење са њима и њиховим присталицама.

И на крају, Сабор предлаже Цариградској Патријаршији и свим осталим помесним аутокефалним Православним Црквама да се питање аутокефалије и питање православне дијаспоре што скорије размотре на свеправославном сабору, како би се потврдили и оснажили саборност и јединство Православне Цркве и убудуће избегла искушења као што је ово кроз које сада пролази свето Православље.

Епископ бачки Иринеј, 
портпарол Српске Православне Цркве


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Ucraina: proclamata l’autocefalia della chiesa ortodossa di Kiev

La concessione dell'autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina da parte del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli non solo ha incrinato i rapporti tra Kiev e Mosca (già non proprio idilliaci), bensì anche quelli tra le varie Chiese e, in particolare, tra Mosca e Costantinopoli

17/10/2018 -  Claudia Bettiol

(Pubblicato originariamente da East Journal  il 12 ottobre 2018)

Si è concluso l'11 ottobre scorso il Sinodo del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, dove è stata a lungo discussa la discordante questione  sulla concessione del tomos per l’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina, facendo rimanere col fiato sospeso i media internazionali per ore. In seguito a tre giornate di incontri, la decisione è stata emessa a favore di Kiev.

La vittoria di Kiev

La proclamazione di autocefalia concessa dal Patriarcato ecumenico nella giornata di ieri è stata acclamata dal presidente ucraino Petro Porošenko come un successo ed un sogno realizzato: “Questa è la caduta della Terza Roma, l’antichissima formula utilizzata per definire Mosca e il suo dominio sul mondo”, ha sottolineato il presidente in carica, il quale considera il tomos l’ennesimo atto di dichiarazione d’indipendenza per il paese. La campagna elettorale  di Porošenko può quindi proseguire tranquilla e smentire i primi commenti sarcastici apparsi sui social ancora prima dello concludersi del concilio ecumenico, che avevano definito “sfortunato” il mese di ottobre per il presidente. La conquista di questa nuova indipendenza, tuttavia, non termina qui: la strada è ancora lunga e si parla di un processo che si dilaterà sui prossimi 4-5 anni almeno.

La disposizione di autocefalia è ufficiale, tuttavia i dettagli del tomos sono ancora in fase di studio. Il Sinodo li ha discussi in presenza degli arcivescovi Danil e Hilarion, rappresentanti esteri della Chiesa ortodossa ucraina, nominati lo scorso 7 settembre. Tra le risoluzioni  che sono state confermate finora compaiono il ripristino dell’unità stavropegica  del Patriarcato ecumenico a Kiev e la reintegrazione ufficiale del patriarca Filaret Denisenko e i suoi seguaci a capo della nuova Chiesa ucraina ortodossa. Inoltre, si revoca la lettera sinodale del 1686, che concedeva al patriarca di Mosca il diritto di ordinare il metropolita di Kiev, proclamando così la dipendenza canonica dalla Chiesa Madre di Costantinopoli.

La sconfitta di Mosca

La principali preoccupazioni che hanno tenuto per mesi il mondo religioso ortodosso con il fiato sospeso sembrano quindi essere diventate realtà. Non si sono incrinati solamente i rapporti tra Kiev e Mosca (già non proprio idilliaci), bensì anche quelli tra le varie Chiese e, in particolare, tra Mosca e Costantinopoli.

L’effetto che la notizia ha avuto su Mosca, sebbene prevedibile, è da considerarsi addirittura catastrofico. La Chiesa ortodossa russa aveva già avvertito  il sommo patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, che nel caso in cui il Sinodo avesse concesso il tomos (se non ora, in futuro), qualsiasi rapporto tra Mosca e Costantinopoli sarebbe cessato, portando ad un nuovo scisma. “Conoscete bene la posizione della Chiesa ortodossa russa su questo tema e, naturalmente, non vogliamo che venga presa alcuna decisione che possa condurre a una profonda spaccatura nel mondo dell’Ortodossia”, ha dichiarato Dmitrij Peskov, portavoce del presidente russo Vladimir Putin. Il tomos, quindi, provocherà inevitabilmente il distacco della Chiesa ucraina dall’orbita della Russia, la quale definisce il verdetto tragicamente: “Oggi il Patriarcato di Costantinopoli ha preso decisioni catastrofiche, in primo luogo nei riguardi di se stesso e dell’Ortodossia intera”, ha riferito Aleksandr Volkov, portavoce del patriarca ortodosso russo Kirill, aggiungendo: “Il Patriarcato di Costantinopoli ha oltrepassato il limite”.

Il resto del mondo ortodosso non si è ancora pronunciato apertamente in merito, sebbene la posizione timorosa del patriarca serbo Ireneo  fosse già nota, come anche quella del metropolita bielorusso Pavel  , preoccupato relativamente al sorgere di tensioni ulteriori e di una scissione definitiva all’interno del mondo ortodosso. A schierarsi dalla parte dei russi sembra esserci la Chiesa ortodossa di Antiochia. Guidata da Giovanni X (Yagizi) la Chiesa siriaca è da sempre molto vicina a quella russa, in quanto storicamente è quella tra i cinque patriarcati (Roma, Costantinopoli, Gerusalemme, Alessandria e Antiochia) che ha ricevuto una protezione politica e ecclesiastica da Mosca durante la dominazione ottomana. Yagizi e i suoi vescovi considerano Mosca la “Chiesa Madre”, titolo che le due capitali si contendono da secoli. Il patriarca Filaret Denisenko, tuttavia, lo ribadisce  : Kiev, dal punto di vista ecclesiastico, è la Chiesa madre di Mosca, e non viceversa. È stata la Chiesa russa a separarsi dalla metropoli di Kiev, facente parte del Patriarcato di Costantinopoli. Ciò evidenzia che noi, Chiesa ucraina, siamo figli del Patriarcato di Costantinopoli, e la Chiesa russa è una chiesa figlia, e non madre, della Chiesa ucraina”.

Insomma, la situazione attuale, oltre ad essere ingarbugliata, sembra proprio aver scatenato l’inferno. Il famoso teologo e e filosofo russo Andrej Kuraev lo aveva previsto, scrivendo sul suo blog: “La questione è una sola: quando la locomotiva di Mosca si scontrerà con l’espresso di Istanbul, mandando in frantumi il calice eucaristico, quali altre Chiese avranno il coraggio di seguire Mosca e rompere con Costantinopoli?”.

 

Breve riassunto delle tappe per la richiesta di autocefalia:

  • Il 19 aprile, la Verchovna Rada ha sostenuto l’appello che il presidente ucraino Petro Porošenko ha rivolto al patriarca ecumenico di Constantinopoli Bartolomeo I al fine di ottenere la concessione dell’autocefalia per la Chiesa ortodossa ucraina.
  • Il 22 aprile il presidente Porošenko annuncia che il Patriarcato ecumenico ha iniziato a considerare la richiesta.
  • A luglio, Bartolomeo conferma la sua intenzione di conferire l’autocefalia.
  • Il 7 settembre il patriarca ecumenico Bartolomeo nomina due esarchi in preparazione alla concessione dell’autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina.
  • L’11 ottobre il Sinodo firma ufficialmente il tomos per concedere l’indipendenza della Chiesa ucraina da Mosca.


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Attaccando l'Ortodossia, il Parlamento dell'Ucraina minaccia la sicurezza nazionale del Paese

Natalia Vitrenko, 17/05/2017

Dichiarazione di Natalia Vitrenko, Presidente del "Consiglio delle donne ortodosse di Ucraina"

Il golpe di Maidan ha portato al popolo ucraino. Nascondendosi con cura dietro slogan patriottici, teorizzando  il tema dell’aggressione russa, crescendo sulla fiducia, sulla mancanza di informazioni e la mancanza di organizzazione della popolazione nel nostro paese, si implementano processi socio-economici e politici devastanti.

Utilizzando la protezione dei padroni occidentali, calpestando i diritti costituzionali e della Convenzione dei cittadini, la Rada Suprema dell'Ucraina si è azzardata a toccare i valori spirituali di milioni di cittadini ortodossi del nostro paese, includendo nell'ordine del giorno per il voto del 18/05/2017, i disegni di legge "Sulla modifica della legge dell'Ucraina circa la libertà di coscienza e le organizzazioni religiose», (N4128 del 2016/02/23 e "Sullo status speciale di organizzazioni religiose, i cui capi si trovano nel paese dichiarato dalla Rada Suprema dell'Ucraina, come uno stato-aggressore », (N4511 del 22.04 del 2016.
 

L'essenza di questi disegni di legge è l'eliminazione della Chiesa canonica ortodossa ucraina, con la scusa di una sua presunta subordinazione di uno stato-aggressore. Il meccanismo  del sequestro per la distruzione dei luoghi di culto della Chiesa ortodossa canonica sta nel fatto che la legge N4128 permetterà a qualsiasi persona, attraverso una "autocertificazione", di dichiararsi fedele di una Chiesa qualsiasi, e poi con una semplice maggioranza dei presenti alle riunioni, attraverso cambiamenti nello statuto della chiesa di effettuare un esproprio dalla Chiesa Madre (Patriarcato di Mosca) per aderire all’autoproclamato, non riconosciuto da nessuno e non canonizzato  “Patriarcato di Kiev".
 
Questo apre la possibilità per i gruppi di altre fedi di un'alleanza con i militanti neonazisti, di andare in giro per  le parrocchie ortodosse dell’Ucraina e con l'inganno, il terrore e la maggioranza creata artificialmente, di appropiarsi dei luoghi di culto  della Chiesa Ortodossa Ucraina e metterli a loro disposizione.
 
Con un'altra delle leggi, congiuntamente alla N4511, in realtà lo stato crea una autorità di controllo regionale e centrale delle comunità ortodosse sequestrate ed esercita il suo controllo sulle attività della chiesa.
 
Una tattica simile per favorire la separazione, lo smembramento in più piccole "chiese autocefale", apparentemente indipendenti, fu utilizzata dagli occupanti nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Secondo i piani dei nazisti, per la conquista  dei popoli, di coloro che consideravano “razza inferiore”, come per esempio tutti gli slavi, la loro libertà religiosa doveva  essere un fenomeno temporaneo, una "transizione" prima del pieno controllo delle loro coscienze, della modifica dei loro valori morali, privati ​​della fede ortodossa.
 
La nostra organizzazione ortodossa delle donne ucraine condanna fermamente le proposte di legge di cui sopra, le considera anticostituzionali, provocatorie di  una sanguinosa guerra civile, sulla base dei conflitti interconfessionali e gravi violazioni dei diritti e delle libertà dei credenti ortodossi in Ucraina.

Questi due progetti di legge sono volti a minare la sicurezza nazionale dell'Ucraina, perché sono in contrasto con gli art.2 , 5 e 6 della legge dell'Ucraina "sui fondamenti della sicurezza nazionale dell'Ucraina", con gli art.3, 21, 22, 23 e 35 della Costituzione Ucraina, con gli articoli 9 e 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e con l'articolo 19 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
 
Gli articoli citati non solo proteggono i diritti e le libertà dei credenti ortodossi, ma anche impediscono allo Stato di interferire negli affari della Chiesa e non consentono ai deputati di votare per questi disegni di legge.
 
Un falso cinico nel progetto di legge N4511 è la pseudo-subordinazione della Chiesa Ortodossa Ucraina allo stato aggressore. Questo è un falso perché sia in Russia sia in Ucraina, la Chiesa è separata dallo Stato, fatto questo sancito nelle norme delle costituzioni nazionali. Mai, in qualsiasi forma, la Chiesa ortodossa ucraina ha contribuito ai piani di qualsiasi aggressore.
 
L’Ortodossia sul territorio dei nostri paesi è nata 1029 anni fa, e i fedeli che vanno in chiesa lo hanno sempre fatto essenzialmente per realizzare i propri valori spirituali in comunione con Dio. L'attribuzione ai fedeli e ai preti della Chiesa Ortodossa Ucraina del servilismo verso l’aggressore è una menzogna palese e provocazione politica contro i credenti ortodossi. Si tratta di una violazione del principio fondamentale della presunzione di innocenza sancito sia nella Costituzione dell'Ucraina che nel diritto internazionale..
 
Inoltre, il termine "Stato aggressore" rivolto alla Russia è stato adottato dalla Rada Suprema dell'Ucraina per varare una raffica di leggi anti-costituzionali e anti-ortodossia, ma per motivi ignoti non è diventato oggetto di rivendicazioni legali dell’Ucraina verso la Federazione Russa al tribunale dell'Aja, non è diventato la causa dello scioglimento del Trattato di amicizia e di cooperazione tra la Federazione Russa e l'Ucraina ratificato dalla Rada Suprema dell'Ucraina il 14.12.1998, non ha prodotto la rottura delle relazioni diplomatiche con la Russia.
 
In questo contesto, ritenere la Chiesa Ortodossa Ucraina - Patriarcato Mosca come se fosse controllata dallo Stato aggressore è falsa legalmente e politicamente insostenibile. Quindi una dichiarazione del genere  da parte degli autori del disegno di legge non può essere usata come un argomento per prendere una tale pericolosa decisione, che provocherà collisioni durissime e una guerra civile devastatrice in Ucraina.
 
Il Consiglio delle donne ortodosse in Ucraina chiede ai deputati ucraini, al Presidente dell’Ucraina Poroshenko, garante dei diritti costituzionali dei cittadini, di fermare la denigrazione dei credenti ortodossi della Chiesa canonica ortodossa ucraina e di bloccare l'adozione di queste leggi discriminatorie.
 
 La Presidente dell’Associazione "Consiglio donne ortodosse di Ucraina ", Natalia Vitrenko
 
 PS: Su richiesta dei fedeli ortodossi, scriviamo i nomi degli autori dei disegni di legge controversi:
 

N 4128
Yelenskyi VE ( "Fronte popolare")
Wojciechowska S. ( "Fronte popolare")
Kishkar PN (Frazione "Petr Poroshenko Block")
Taruta SA (deputato indipendente)

Lozovoj AS (Partito radicale Oleg Lyashka")
Gherasimov AV ("Petr Poroshenko Block")
Podoliak II ("Auto-aiuto")
 
N 4511
Petrenko O. ("Petr  Poroshenko Block")
Briginets AM ("Petr  Poroshenko Block")
Levus AM ( "Fronte popolare")
Vysotsky SV ( "Fronte popolare")
Medunitsa OV ( "Fronte Popolare")
Artyushenko IA ("Petr Poroshenko Block")
Tymchuk DB ( "Fronte popolare")
Y. Tymoshenko ( "Fronte popolare")
Skrypnyk AA ("Auto-aiuto")
Matkivsky BM (deputato indipendente)
Bagel Y. (deputato indipendente )
Opanasenko AV ("Auto-aiuto ")
Masorin ES ( "Fronte popolare")

Traduzione di Oxana L. per CISDU/CIVG

SOS Ucraina resistente/CIVG -  info@...


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La Chiesa Ortodossa Ucraina in piazza per la difesa del diritto ad esistere

Enrico Vigna, 18/05/2017

Manifestazioni e proteste a Kiev insieme alle forze popolari di opposizione, davanti al Parlamento ucraino (Rada) per difendere il diritto ad esistere della Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Mosca, infatti il 18 maggio, all'ordine del giorno del Parlamento dell'Ucraina c’erano le proposte di legge N4128 e N4511 finalizzate all’eliminazione ed alla messa fuorilegge della Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Mosca in Ucraina.

Un passo che calpesta le norme degli obblighi internazionali dell'Ucraina e in flagrante violazione della garanzia costituzionale della non interferenza negli affari della Chiesa e della tutela dei diritti dei credenti. Violando le procedure costituzionali per l'adozione di leggi, è evidentemente un atto voluto per  fomentare su larga scala, l’aggravamento pesante del sanguinoso conflitto nel Donbass , i deputati della Verkhovna Rada stanno facendo una provocazione politica pericolosissima se queste leggi verranno adottate, in quanto al di là delle popolazioni nel Donbass, nella stessa Ucraina vi sono milioni di fedeli della COU legati al PO di Mosca.
Essendo vietate manifestazioni, i fedeli, ma anche personalità laiche dell’opposizione popolare hanno espresso la loro protesta con una manifestazione pacifica sotto la Verkhovna Rada dell'Ucraina, dove hanno tenuto un servizio di preghiera.


Il VIDEO della manifestazione: https://www.youtube.com/watch?v=Vt0Oj9arywA




(deutsch / english / русский / italiano)
 
24 marzo, verso il Ventennale
 
1) First International Symposium 'Consequences of the bombing of the FR of Yugoslavia with depleted uranium in 1999', Nis/Serbia, June 17-19, 2018
2) Serbischer Präsident: NATO-Bomben töten unsere Kinder bis heute (25.9.2018)
3) NATO-Chef Stoltenberg in Belgrad: Wir bombardierten euch, um euch zu schützen / Столтенберг: Войска НАТО бомбили Югославию с целью защиты гражданского населения / Rudolf Hänsel: Open Letter to NATO's Jens Stoltenberg (Oct. 2018)
4) Serbian Man Utd Star (Nemanja Matic) Rejects Tribute to Dead NATO Soldiers (05.11.2018)

(english / italiano)
 
 
=== ITALIANO:
 

Il 5 ottobre 2018 si è riunita la Commissione (A. Bernardini, J. T. M. Visconti, C. Vitucci) per l’attribuzione dei premi “Giuseppe Torre” per elaborati critici sul Tribunale per la ex Jugoslavia:

 

<< Dopo ampia discussione, la Commissione, all’unanimità, decide di non assegnare il primo premio e di attribuire il secondo premio ex aequo ai lavori di 
Stefan Karganović "ICTY and Srebrenica" [Il TPIY e Srebrenica

Jovan Milojevich "When justice fails: Re-raising the Question of Ethnic Bias at the International Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY) [Quando la giustizia fallisce: riprendendo la questione del pregiudizio etnico al Tribunale penale Internazionale sulla ex Jugoslavia (TPIY)].