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Iniziative segnalate

Zagreb 25/10: TRIBINA: SAMOUPRAVLJANJE – ISKUSTVA I PERSPEKTIVE
Bologna 3/11: ERA (La) NATO... 70 ANNI DI SUDDITANZA AL SERVIZIO DELLA GUERRA
Pisa 10/11: TESORI D'ARTE DELLA SERBIA MEDIEVALE


=== Zagreb, četvrtak 25.10.2018.
u 18:00 u dvorani u Ulici Pavla Hatza 16

Poziv na javnu tribinu

SAMOUPRAVLJANJE – ISKUSTVA I PERSPEKTIVE

Govore 
- Pavle Vukčević
- Domagoj Mihaljević
- Luka Bogdanić
Moderira
- Vesna Konigsknecht

Organizuje: Socijalistička radnička partija Hrvatske



=== Bologna, sabato 3 novembre 2018 
alle ore 18,00 presso la sede PCI di via L. Berti 15/a

Nell'ambito della seconda festa del PCI di Bologna (1/2/3/4 Novembre)

ERA (La) NATO...
70 ANNI DI SUDDITANZA AL SERVIZIO DELLA GUERRA

Ne parliamo con 
Fulvio Scaglione (giornalista), 
Marco Pondrelli (direttore Marx21.it), 
Andrea Martocchia (Coord. Naz. per la Jugoslavia) 
ed altri giornalisti e attivisti.



=== Pisa, sabato 10 novembre 2018
nell'ambito del Pisa Book Festival, Palazzo dei Congressi, Via Giacomo Matteotti 1

alle ore 16 nella Sala Blu

presenta zione del libro di 

ROSA D’AMICO:
TESORI D’ARTE DELLA SERBIA MEDIEVALE

Zambon Editore. 

Oltre all'Autrice interviene la professoressa Paola Vojnović. 

Zambon Editore si trova allo stand A78

http://www.pisabookfestival.com/programma/
sul libro di Rosa D'Amico: 


Tesori d'arte della Serbia medievale

Un viaggio tra Oriente e Occidente

di Rosa D'Amico

Frankfurt: Zambon 2018

 

pagine 144, 17x24 cm, 18 euro
con un inserto di 16 pagine a colori
ISBN: 978-88-98582-69-3

 

dalla Quarta di copertina:

Nel Medioevo proprio l’Italia fu, per vicinanza geografica, politica e culturale, la principale cassa di risonanza per la diffusione in Occidente di suggestioni bizantine e balcaniche. Purtroppo il debito contratto con quel mondo è stato a lungo quasi ignorato, a causa di secolari pregiudizi, incentivati anche dalla scarsa informazione sulla reale consistenza di un patrimonio, i cui maggiori monumenti sono in buona parte riaffiorati tra fine ’800 e inizi del ’900: salvo pochi vertici, l’intera arte bizantina è stata a lungo conosciuta in Italia soprattutto tramite opere tarde, o periferiche e «provinciali», che non rendono giustizia alla sua grandezza.

 

L'Autrice

Rosa D’Amico, dal 1976 al 2012 funzionaria della Soprintendenza per i Beni artistici e storici di Bologna, ha seguito nell’ambito della sua attività progetti di tutela, restauro e promozione culturale in città, nella provincia, e nella Pinacoteca Nazionale di Bologna. Ha curato numerose mostre e partecipato a pubblicazioni e convegni scientifici su vari argomenti, approfondendo in particolare gli studi sul periodo dal XIII al XV secolo. 
Dal 1994 ha avviato, in collaborazione con le Istituzioni culturali di Bologna e di altri luoghi d’Italia, progetti di scambio con la Serbia, approfondendo in particolare gli studi sui rapporti storico-artistici, con interventi a convegni e pubblicazioni e curando diverse iniziative espositive. È membro del Comitato scientifico-artistico di Jugocoord Onlus. 





A sette anni dal barbaro assassinio di Muammar Gheddafi

1) Parla Gheddafi
2) Altri link
3) Le menzogne della Nato sull’aggressione alla Libia nel 2011 (M. Correggia, set 2018)
4) Italia-Francia: il voltafaccia che ha destabilizzato Italia, Eurozona e Mediterraneo (Red. Contropiano / Guido Salerno Aletta)
5) L’associazione Vittime della Nato in Libia lotta contro l’impunità dei potenti (M. Correggia, gen 2018)


=== 1 ===

Muammar Gadaffi: Visiting in Yugoslavia, Josip Broz Tito (Onlinefootage.tv, 10 ott 2011)
[Immagini anni 1960]
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=zhPm0Zghoy4

Gheddafi parla di Russia e Ucraina, intervista del 2009 (PandoraTV, 4 mag 2016)
Nel corso di un'intervista rilasciata nel 2009 a una tv russa, Gheddafi tratteggia gli scenari possibili tra Ucraina, Russia e Unione Europea, prevedendo, di fatto, quanto avvenuto con il colpo di stato di Maidan...

Le parole della Storia - Mu'ammar Gheddafi (PandoraTV, 25 mar 2018)
In questo discorso, tratto dall'Assemblea della Lega Araba svoltasi in Siria nel 2008, l'allora leader libico Muammar Gheddafi pronuncia un discorso dal contenuto profetico sulla politica USA in Medio Oriente...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=CNEy0_r-IlU


=== 2 ===

Tra i numerosissimi nostri post dedicati alla brutalizzazione della Libia
ricordiamo in particolare:

Chi ha voluto uccidere la Libia (mar 2018)

A cinque anni dal barbaro assassinio di Gheddafi – di Domenico Losurdo, 20 Ottobre 2016

Distruzione e saccheggio della Libia (ago 2016)

Febbraio 2011–2016

Gheddafi lo aveva detto (ago 2015)

Gli errori si pagano, i crimini anche (feb 2015)

Devastazione e ri-colonizzazione della Libia (nov 2013)

Sulla "giustizia del linciaggio" (feb 2012)

La NATO devasta Sirte per instaurare il suo regime coloniale razzista (ott 2011)

La lurida coscienza della guerra in Libia (mar 2011)

Sul tiro a segno colonialista contro Gheddafi (lug 2011)

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Inizio messaggio inoltrato:

Da: Marinella Correggia
Oggetto: Davanti all'ambasciata libica: due manifestazioni molto diverse (una nel 2011, l'altra oggi)
Data: 25 novembre 2017 

La manifestazione di oggi (24 novembre 2017) degli africani, contro le atrocità della Libia costruita dalle bombe Nato nel 2011

Ecco fra l'altro le parole di uno di loro:
al minuto 0,30-0,40
La Libia è un paese africano. Fa parte dell'Unione africana. La Libia è stata distrutta, e sappiamo il motivo, sappiamo perché è stato ucciso Gheddafi, sappiamo del petrolio...

E INVECE

La manifestazione del 22 febbraio 2011, con l'assalto alla sede diplomatica della Jamahiriya a Roma. 
Sotto gli occhi (complici) della polizia, fra le urla di libici - si presume - "Gheddafi deve morire" (vedi al minuto 0,47) e "Gheddafi è nel suo bunker con 50.000 mercenari", e fra bandiere monarchiche fresche di stampa miste a quelle di certi partiti di "sinistra" italiani, alcuni scalmanati si arrampicano senza essere trattenuti fino a sostituire la bandiera (dal minuto 5 in poi). 

Non c'è bisogno di commenti.

marinella


=== 3 ===


Le menzogne della Nato sull’aggressione alla Libia nel 2011


di Marinella Correggia, 6 settembre 2018

Marinella Correggia, giornalista freelance, collaboratrice de Il manifesto e storica attivista No War, quattro anni fa scrisse questo che possiamo come un capolavoro di “decostruzione” delle menzogne e della propaganda di guerra della Nato durante l’aggressione alla Libia nel 2011. Questo lavoro è stato pubblicato sul sito No War sibialiria..it. Ci sembra utile ripubblicarlo, ci sono informazioni importanti per comprendere cosa è successo allora in Libia e le sue ripercussioni sull’oggi, ma anche per imparare a non fare giornalismo “embedded” e servile verso gli apparati di potere, in questo caso la Nato.

*****

Durante i bombardamenti sulla Libia nel 2011, la Nato teneva conferenze stampa settimanali sia a Bruxelles che alla sede di Bagnoli (Napoli). Partecipavano giornalisti-tappetino che chiamavano per nome, affettuosi e deferenti, la portavoce Nato da Bruxelles (“Oanà” Longescu, romena) e il portavoce Nato da Napoli (“Roland” Lavoie, colonnello canadese). Sarebbe bastato uno stuolo di giornalisti decenti per metterli in crisi. Perché portavoce e generali si arrampicavano sugli specchi, per non dare a vedere crimini e illegalità. Ecco un resoconto diretto. 

Per proteggere i civili in Libia, come ordinava il mandato della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza, la Nato avrebbe dovuto rivolgere droni e bombe contro se stessa e contro i suoi alleati locali del Cnt (Consiglio nazionale di transizione, i “ribelli”): visto che questi usavano armi indiscriminate sulle città assediate, in particolare Sirte e Bani Walid. E addirittura, per rimanere nei confini del proprio mandato, la Nato avrebbe dovuto bombardarsi e bombardare il Cnt per evitare attacchi alle forze governative libiche quando queste non minacciavano i civili. 

Di fatto gli armati del Cnt sono stati gli unici libici che la Nato ha protetto, permettendo dunque che essi minacciassero e uccidessero civili libici (e non libici).  Surreale. La Nato ha protetto armati (che minacciavano anche civili) in nome della norma Responsibility to Protect che doveva proteggere i civili. E la Nato ha protetto armati usando a gran forza aerei da guerra simbolicamente sventolanti il mandato della risoluzione 1973 che stabiliva il divieto di volo aereo, appunto a protezione dei civili. 

Le implicite ammissioni, in un processo, valgono come prova? Se sì, ecco qui di seguito quelle della Nato, raccolte durante le surreali conferenze stampa al comando di Bagnoli (in mancanza di manifestazioni fuori dallo stesso, alle quali partecipare), od ottenute per email da “Nato source” (così chiedono di essere citati i vari capitani e graduati, italiani e Usa, maschi e femmine, da Napoli o da Bruxelles, quando rispondono per email alle domande dei media). 

Dalla sede del comando Nato di Napoli, il colonnello Roland Lavoie ha parlato per mesi alle fedeli truppe mediatiche con un francese dal buffo accento canadese ingannevolmente innocuo. Dalla sede centrale di Bruxelles, la portavoce romena Oana Longescu – più realista del re, incarnando l’estensione dell’Alleanza ai fedeli paesi dell’Est Europa  – si è giostrata seccamente fra l’inglese e il francese. Entrambi ripetevano in tutte le salse: impediamo alle “forze di Gheddafi” (mai usato il termine “esercito libico”) di colpire i civili. I giornalisti che frequentano le loro conferenze stampa settimanali da Bruxelles li chiamano per nome affettuosamente (i francofoni pronunciano “Oanà”), consoni al clima di cortesia e disponibilità che li fa sentire ammessi in società e che ricambiano non facendo mai domande scomode; per non diventare dei paria. Con silenzio glaciale e nessuna solidarietà i “colleghi” dei media mainstream accolsero infatti la paria in settembre e ottobre. 

Si arrampicano sugli specchi per mesi, Oanà e Roland. Devono negare l’evidenza e cioè che la Nato lotta per il cambio di regime, insieme a una delle parti. 

Sostengono a più riprese che non c’è alcun coordinamento con le forze dell’opposizione o forze ribelli; che la situazione viene seguita da “fonti di informazione alleate nell’area”. Dunque, ammettono la presenza a terra di occidentali? “Non ci sono forze Nato a terra” rispondono laconici. Per email i responsabili Nato spiegano: “Sia gli incaricati di individuare e approvare gli obiettivi sia il pilota rinunciavano se c’era il sospetto di ferire o uccidere civili. In alcuni casi l’osservazione video via aerea prendeva 50 ore prima dell’autorizzazione”. Inoltre, “abbiamo avvertito i civili con comunicati stampa, volantini e programmi radio di stare lontani da installazioni militari”. 

Tuttavia sono state spesse colpite installazioni civili. Ma praticamente la Nato ha ammesso un solo caso di errore: i sette morti della famiglia Garari il 19 giugno a Tripoli, Suq Al Juma. 

Intorno al 10 agosto di fronte alle foto di decine di civili uccisi da un aereo Nato nella notte dell’8 agosto a Zliten, il generale canadese Charles Bouchard (quando c’è lui alle conferenze stampa a Bagnoli la temperatura dell’aria condizionata va tenuta a 16 gradi) dice: “Non posso credere che quei civili fossero lì nelle prime ore del mattino, considerando anche le informazioni della nostra intelligence. Posso assicurarvi che non c’erano 85 civili; non posso assicurarvi che non ce ne fossero”.La Nato per email ribadiva che gli edifici erano un accampamento delle truppe, posto in una fattoria, e che l’osservazione e altri strumenti di intelligence avevano rilevato che non c’erano civili”. 

Richiesta per email alla Nato: “Perché la Nato ha colpito un accampamento di soldati di Gheddafi? Un accampamento notturno non minaccia i civili in quel momento”. Risposta: “Sì che erano una minaccia reale. Durante tutto il conflitto, si riposavano per lanciare futuri attacchi ed ecco perché le aree di sosta militare erano obiettivi legittimi. Avrebbero potuto provocare future vittime. Le forze militari e le loro strutture erano attaccate solo se erano direttamente coinvolte o permettevano l’attacco ai civili; le truppe non coinvolte nell’attacco ai civili non erano prese di mira”. L’ultima frase contraddice le precedenti. Zliten era un’area pro-regime oltretutto. 

Il 15 agosto spiegano che stanno bruciando a Brega due depositi petroliferi, “ulteriore prova che Gheddafi vuole distruggere o danneggiare infrastrutture chiave delle quali la popolazione avrà bisogno alla fine del conflitto”. Il 16 agosto alla Nato affermano che le forze di Gheddafi hanno “lanciato verso l’area di Brega un missile balistico a corto raggio che avrebbe potuto uccidere molti civili” e che “mostra che il regime di Gheddafi è disperato e continua a minacciare civili innocenti in Libia. Noi proteggiamo i civili per mandato del Consiglio di Sicurezza e continueremo a premere militarmente sulle forze pro-Gheddafi finché necessario”. Ovviamente “l’azione persistente e cumulativa della Nato crea un effetto ovvio: le forze di Gheddafi che attaccano stanno gradualmente perdendo la loro capacità di comandare, condurre e sostenere attacchi alla popolazione civile”. I gruppi armati – gli unici protetti dalla Nato in Libia – dunque sono sempre parificati alla popolazione civile. 

Del resto in Tunisia un dirigente degli alleati locali della Nato, di fronte alla timida accusa da parte dei media “ma voi armati usate i viveri che l’Onu destina ai civili…” rispose secco: “Noi siamo dei civili”. 

D’altro canto se dici a Lavoie che gli alleati Nato sul terreno uccidono civili e fanno (dopo la fine del regime) al caccia al nero e la Nato non protegge quei civili, Lavoie allarga le braccia: “Non siamo una forza di polizia”. Ammissione che un bombardamento non può proteggere i civili . E per email, alla domanda: “Come mai non proteggete gli abitanti di Tawergha deportati e i molti neri perseguitati ai vostri alleati? E anche in generale i civili presi nelle aree assediate?”, ecco la risposta: “Abbiamo fatto appello a entrambe le parti per la protezione dei diritti umani. La leadership del Cnt ha chiesto spesso alle sue forze di contenersi. E si è impegnata come nuova autorità al rispetto dei diritti umani; per metterlo in pratica occorrerà tempo e sforzo, e aiuto da parte internazionale. Mentre le forze pro-Gheddafi attaccavano i civili e le aree civili le forze del Cnt in molti casi prima dell’attacco aspettavano che i civili se ne andassero. Non abbiamo notizia che attaccassero civili deliberatamente e sistematicamente”. E dov’erano le prove degli attacchi sistematici da parte delle forze di Gheddafi? 

La partigianeria è diventata evidentissima nel mortale assedio Nato e Cnt a Sirte. Se si faceva osservare a Lavoie che l’assedio a civili è un crimine di guerra, il colonnello rispondeva surrealmente: “Il Cnt ha mostrato l’intenzione di far uscire la popolazione civile”. 

Mentre Sirte veniva distrutta dai bombardamenti e dai Grad e artiglieria pesante usati dagli armati del Cnt, il colonnello della Nato Lavoie dichiarava surrealmente: “La maggior parte della popolazione di Sirte e Bani Walid non corre più pericoli perché le rimanenti forze di Gheddafi stanno sulla difensiva, nel tentativo apparente di sfuggire alla cattura. Non controllano alcuna zona densamente popolata e non rappresentano più una vera e propria minaccia al di fuori di queste sacche di resistenza”. Minaccia per chi? Per i protetti dalla Nato: gli armati del Cnt. Ma la risoluzione Onu non doveva proteggere armati! Quando si scriveva alla Nato: “Risulta  organizzazioni umanitarie libiche come Djebel al Akhdar, che oltre cinquanta civili siano rimasti sotto il bombardamento di un palazzo crollato all’angolo fra Dubai Avenue e Sept. 1st Avenue, e non poteva che essere un aereo visto il largo cratere prodotto” , la risposta era “non abbiamo indicazioni che sia vero”. 

E il bombardamento dell’ospedale Avicenna? “Mai bombardato ospedali, nemmeno vicino a siti militari”. Altra domanda: la Nato sta indagando sui bombardamenti di strutture civili a Sirte? “I nostri obiettivi erano tutti militari dunque legittimi ex risoluzione 1973. Abbiamo agito con cautela, discernimento e precisione. Non siamo a conoscenza di alcuna prova che richiederebbe l’apertura di un’inchiesta formale”. E anche: “L’obiettivo della Nato è sempre stato evitare di colpire i civili. Abbiamo una intelligence solida e processi di selezione degli obiettivi molto stringenti. Consideravano il giorno della settimana, l’ora del giorno e della notte, la direzione dell’attacco. Le munizioni erano tutte di precisione e centinaia di obiettivi sono stata tralasciati per evitare rischi per i civili e le infrastrutture. Anche se in una complessa operazione militare i rischi non possono essere eliminati”. 

Sirte distrutta, la Nato la spiega così: “Era l’ultimo bastione di Gheddafi. E’ stata contesta per settimane fra gheddafiani e Cnt”. E qui il surreale: “La Nato incoraggiava una soluzione pacifica. Ma dovevano essere le forze dell’ex regime a deporre le armi e a smettere di attaccare i civili”. Insomma, dovevano arrendersi e agevolare il cambio di regime anziché ostacolarlo. 

I ribelli pro Nato del Cnt lanciano missili Grad dentro le città da essi assediate, e lo ammettevano .  Sono considerati un’arma indiscriminata, dunque una minaccia per i civili, dalla stessa Alleanza; proprio all’uso dei Grad da parte dell’ex esercito libico, e all’assedio a Misurata, la Nato si era aggrappata in tutti i mesi passati per giustificare i bombardamenti “protettivi” e relative stragi. Sull’uso dei Grad da parte del Cnt la Nato interpellata via email (non) risponde così, dimostrando tutta la neutralità sbandierata da Oanà: “Fin dall’inizio il Cnt ha posto ogni cura nell’evitare  vittime civili e crediamo che continuerà a farlo”. Forse l’intelligence Nato era selettiva e non vedeva i Grad del Cnt, né la caccia ai neri libici e stranieri e ai lealisti. 

Surreali le dichiarazioni. Mentre le forze di Gheddafi sono in fuga e si concentrano nel triangolo dove hanno un più forte sostegno popolare, il portavoce il 13 settembre dice che “occupando e reprimendo città come Bani Walid e Sirte le forze di Gheddafi hanno preso in ostaggio la popolazione, esponendola a ovvi rischi, reprimendo la sollevazione e impedendo ai cittadini di andarsene”. Evidente i due pesi due misure rispetto a Misurata, o a Homs e Aleppo e molti altri luoghi in Siria, dove mai i ribelli sono accusati di prendere in ostaggio. “La Nato è riuscita a intercettare e annientare parecchie fonti di minaccia per la popolazione civile, fra cui carrarmati, lanciamissili ecc.; i veicoli della Nato hanno condotto svariate missioni di attacco ben dentro il deserto del Sahara per distruggere le infrastrutture di comando e controllo, un autoreparto e parecchi veicoli blindati impedendo quindi il rafforzamento delle posizioni del regime nel nord del paese”. Poi ricapitola citando la 1973: “Negli ultimi sei mesi le forze della Nato hanno mantenuto costante il ritmo delle operazioni, intervenendo laddove le forze di Ghedafi rappresentassero una minaccia per i civili, che si trattasse di Bengasi, di Misurata, di Sebha, nel sud o di molte altre città e villaggi di tutto il paese. 

A riprova della sua imparzialità, la Nato conclude una conferenza stampa il 13 settembre dicendo “La ripresa della Libia è ben chiara e non lascia spazio a dubbi”. 

L’assedio a Sirte ha reso la situazione umanitaria disperata. Dall’ospedale – anch’esso centrato da razzi – il dottor Abdullah Hmaid dichiarava alla Reuters che i pazienti morivano per mancanza di materiale ospedaliero e chiedeva a Croce rossa internazionale e Oms di aiutare a rompere il blocco. Ma nessuna organizzazione internazionale ha denunciato l’assedio. Eppure alla conferenza stampa del 27 settembre il colonnello Lavoie da Napoli ribadiva che l’emergenza di Sirte era solo “colpa dei miliziani e dei mercenari di Gheddafi” che non capivano che avrebbero dovuto “arrendersi” e “si piazzano vicino alle case e agli ospedali usando i civili come scudi umani”. Un’accusa che l’Alleanza i suoi paesi membri non hanno mai rivolta ai ribelli asserragliati a Misurata o, in seguito, a BabaAmr in Siria. Per definizione gli scudi umani li usano solo i cattivi.  

Anche per email la Nato ribadisce implicitamente di aver lasciato fare agli alleati assedianti, e getta la colpa sugli assediati. In un’altra email: “I pro-Gheddafi si nascondevano nel centro della città per cercare di usare i civili come scudi umani contro il Cnt. La situazione umanitaria a Sirte era precipitata per gli sforzi delle truppe di Gheddafi di controllare punti di accesso. Checkpoint pro-Gheddafi e cecchini impedivano alle famiglie di spostarsi in aree più tranquille. Le forze di Gheddafi inoltre percorrevano le strade alla ricerca di sostenitori anti-Gheddafi, prendevano ostaggi e  compivano esecuzioni”. Come fate a saperlo se non avevate militari a terra? “Non avevamo osservatori sul terreno ma usavamo i nostri asset di intelligence e sorveglianza per avere un quadro reale Monitoravamo con cura le linee di fronte per identificare chi attaccasse o minacciasse la popolazione.”. Era ovviamente impossibile monitorare da 10.000 metri. Dunque? 

Il 21 settembre il comandante per le operazioni Nato in Libia Charles Bouchard spiega che “la nostra missione prosegue, perché le forze di Gheddafi minacciano ancora la popolazione”; “invitava i lealisti ad “arrendersi per garantire una fine pacifica del conflitto, anche perché sono circondati e non hanno vie di fuga, in quanto il territorio intorno a loro è nelle mani dei ribelli”. Quanto ai lealisti in fuga, la Nato non li attaccherà perché “si stanno allontanando dalla popolazione e non costituiscono così una minaccia per i civili”. 

Ma è stata la Nato a fermare il convoglio in fuga di Gheddafi, e a farlo dunque uccidere. 

 
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Italia-Francia: il voltafaccia che ha destabilizzato Italia, Eurozona e Mediterraneo


di Redazione Contropiano - Guido Salerno Aletta, 9 settembre 2018

Chi ancora contrappone – nella sua testa – una visione romantica e “internazionalista” dell’Unione Europea, contrapposta ai “nazionalismi” di destra, è bene che si metta a leggere qualcosa di serio. E rapidamente.

Qualche tonto grave – naturalmente “di sinistra” – è arrivato a comprendere nel mazzo dei “sovranismi” anche i popoli da tempo immemorabile in lotta per l’autodeterminazione (Palestinesi, Curdi, per non dire dei Catalani o dei Baschi), quindi l’urgenza è davvero pressante.

Consigliamo questo editoriale di Milano Finanza, quotidiano economico obbligato a dare notizie utili ai suoi lettori (debbono investire denaro, mica nutrire tristi passioni ideologiche…). Una descrizione impietosa degli interessi e degli obiettivi che negli ultimi dieci anni hanno contrapposto Italia e Francia (sia con governi di centrodestra che di centrosinistra) su quasi tutti i fronti. Economici, naturalmente.

Il quadro che ne risulta non è molto compatibile con l’immagine “sovra-nazionalista” dell’Unione, mentre corrisponde quasi esattamente a un tavolo da gioco dove tutti barano, ma qualcuno sa farlo meglio di altri. Dove, insomma, ciascuno persegue i propri obiettivi dietro lo schermo della “comunità” e i suoi “trattati”, senza minimamente curarsi della presunta “condivisioni di obiettivi e destino”; e tanto meno delle condizioni di vita e riproduzione delle rispettive popolazioni. 

Ci sono gruppi industriali persi o a grave rischio di delocalizzazione della proprietà; interessi petroliferi e geostrategici per cui ci si spara per interposta “milizia tribale”, depositi finanziari rimasti senza proprietario originale e per cui si cercano prestanomi… Un tripudio di capitali e fondi neri, industrie rispettate e servizi segreti innominabili, mondo della moda e sgambetti poco diplomatici. Tutto quello che, insomma, ci fa vedere quanto la politica sia la continuazione della guerra con altri mezzi. E non solo il contrario clausewitziano…

Un quadro che rende più urgente fare pulizia anche nel linguaggio che usiamo, ormai quasi più senza la minima avvertenza critica, e che ci costringe a pensare secondo gli schemi del nostro nemicoDi classe, non “nazionale”.

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di Guido Salerno Aletta

Rapporti sempre più complicati, ormai dal 2011, tra Italia e Francia. Come se non bastassero le questioni sollevate dalle incursioni societarie in Tim e Mediaset, le asperità cui ha dato luogo l’acquisizione di Stx da parte di Fincantieri, e le ricorrenti prospettive di fusione tra Unicredit e SocGen da una parte e tra Generali ed Axa dall’altra, c’è un tema politico che ormai sovrasta tutto. 

Dopo le polemiche estive sulla questione dell’accoglienza ai profughi e sul rimpatrio di quelli entrati clandestinamente in Francia dal valico di Ventimiglia, il Vice Premier italiano Matteo Salvini ha accusato apertamente la Francia di sobillare talune fazioni armate in Libia per scalzare i nostri interessi economici, suscitando la piccata reazione del Presidente francese Emmanuel Macron, che si è candidato alla leadership europea nel contrasto ai sovranismi ormai dirompenti. E’ una prospettiva, questa, davvero inedita. 

Nei rapporti tra Italia e Francia, tutto è cambiato nel 2011. L’intervento anglo-francese in Libia, fortemente supportato dall’allora Segretario di Stato americano Hillary Clinton al fine di mettere fine al regime del Colonnello Gheddafi, ha determinato una frattura analoga a quella che nel 1981 fu causata dalla occupazione di Tunisi, con l’istaurazione di un Protettorato francese che scalzava in malo modo la forte presenza italiana e le prospettive di un suo progressivo rafforzamento. Anche in quella circostanza, come è accaduto nel 2011, l’isolamento diplomatico italiano fu palese e determinante. 

Ancora tre anni prima, nel 2008, i rapporti tra Italia e Francia erano estremamente soddisfacenti e le rispettive strategie assolutamente convergenti. Nell’estate, infatti, sia il neo eletto Presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy che il neo Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, inaugurarono i rispettivi mandati con un viaggio nelle due ex colonie, Algeria e Libia, per chiudere definitivamente i conti con quel passato e dare l’avvio ad una nuova stagione di collaborazione nel Mediterraneo. Francia ed Italia si muovevano all’unisono. 

A Parigi, il 13 luglio, si riunì il Summit istitutivo della Unione Euromediterranea, sotto la co-Presidenza del Premier francese nella qualità di Presidente di turno della Ue e del Presidente egiziano Hosni Mubarak e con la partecipazione di ben 44 Paesi. Erano presenti i rappresentanti di tutti i Paesi dalla UE, dei partner del Processo di Barcellona, dei Paesi balcanici rivieraschi e del Principato di Monaco. 

Il successivo 30 agosto, a Bengasi, fu firmato il Trattato di particolare amicizia tra Italia e Libia, che era stato preceduto dalla approvazione da parte del Congresso americano del Libyan Claims Resolution Act, n. 110-301, con cui si dava dato atto alla Libia di non perseguire più politiche di sostegno al terrorismo, accettando a titolo di risarcimento la somma di 1,5 miliardi di dollari per gli attentati di Lockerbie e di Berlino. 

A Villa Madama, nel febbraio del 2009, Berlusconi e Sarkozy stipularono un Accordo davvero esemplare per il clima di collaborazione sotteso: fu lo stesso Premier francese ad annunciare una “partnership illimitata”, proclamando che “Italia e Francia parleranno con una sola voce in Europa per prendere decisioni forti”. Ed ancora, affermò che “Italia e Francia vogliono cambiare l’Europa per tutelare i cittadini europei e trarre insegnamenti dalla crisi: vogliamo sanzionare i paradisi fiscali, controllare gli hedge-fund e fissare nuove regole per la retribuzione dei banchieri, dei trader e per i bonus”. La cooperazione sul piano militare sarebbe stata ancor più solida: “Abbiamo gli stessi obiettivi di politica estera e abbiamo una politica economica comune. Potremmo fare un battaglione navale italo-francese”.

A mettere fine a questa intesa, ma soprattutto a scardinare la strategia di creare nel Mediterraneo un’area di cooperazione e di prosperità, fu l’Amministrazione Obama: sotto l’impulso decisivo del Segretario di Stato Hillary Clinton, tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 si dette avvio alle cosiddette Primavere arabe. Le “democrature” arabe dovevano essere spazzate via, per fare posto a sistemi genuinamente democratici: la politica di repressione delle opposizioni, e la complicità dell’Occidente nel sostenere questi regimi illiberali, sarebbe stata la causa unificante del terrorismo islamico e dell’ostilità endemica nei confronti degli Usa. A peggiorare i rapporti, si aggiunse l’atteggiamento di irrisione verso Silvio Berlusconi assunto dalla coppia di ferro Merkel-Sarkozy nel corso del drammatico G20 di Nizza del novembre 2011: la debolezza italiana di fronte alla crisi finanziaria fu cavalcata in modo brutale. Il voltafaccia francese fu plateale.

Tutto nasce però dallo squilibrio di fondo nell’asse franco-tedesco, che si è aggravato nel corso degli ultimi anni: Parigi ha un deficit commerciale strutturale crescente, che è arrivato nel 2017 a 62,3 miliardi di euro, rispetto ai 48,3 miliardi del 2016. La Francia è il secondo Paese per destinazione dell’export tedesco, dopo gli Usa, con un attivo che secondo Destatis, l’Istituto di statistica tedesco, è arrivato nel 2017 a 41 miliardi di euro. La Germania, di converso, finanzia questo squilibrio con investimenti crescenti di portafoglio in titoli francesi: l’ammontare complessivo è passato dai 74 miliardi di euro del 2001 ai 212 miliardi del 2008, fino a raggiungere i 404 miliardi di euro nel giugno 2017: la morsa tedesca è sempre più stretta. 

La situazione dell’Italia è di gran lunga migliore: non solo ha un avanzo strutturale della bilancia dei pagamenti correnti pari al 3% del pil, ma nel 2017 il disavanzo commerciale con la Germania è stato di soli 9,6 miliardi di euro. Per quanto riguarda i rapporti italo-francesi, la Direzione delle Dogane di Parigi ha cifrato in 6,7 miliardi di euro lo squilibrio del movimento di merci Cif/Fob tra i due Paesi nel 2017. Dal punto di vista finanziario, a giugno dello scorso anno, le detenzioni italiane in emissioni francesi ammontavano a 163 miliardi di euro, mentre quelle francesi erano di 277 miliardi, in contrazione rispetto al picco di 374 miliardi del giugno 2014. 

La Francia cerca quindi di recuperare lo squilibrio con la Germania, che è soprattutto geopolitico, attraverso l’acquisizione di grandi imprese italiane non manifatturiere: dal settore del lusso alla grande distribuzione, dalle telecomunicazioni alle televisioni, dall’alimentare all’energia, dalle banche alle gestioni di risparmio. Cerca inoltre di sottrarre potenziale nella competizione internazionale, sul piano commerciale, politico e strategico. 

Il Mediterraneo è dunque l’area di maggior attrito tra Italia e Francia, con la Libia che rappresenta la punta dell’iceberg del confronto: a Tripoli, non ci sono in ballo solo gli interessi petroliferi, con le concessioni gestite dal NOC. Ci sono le detenzioni della LIA, il fondo sovrano libico con cui SocGen ha da sempre strette relazioni, che ammonterebbero ad oltre 50 miliardi di dollari e che comprendono fra l’altro le partecipazioni azionarie in Unicredit, e c’è la gestione degli attivi della Banca centrale libica che arriverebbero ad un valore doppio. In prospettiva, ci sono anche le commesse della ricostruzione, che fanno gola a tutti. Chi avrà dalla sua parte il governo libico, in un contesto pacificato, come è stato per l’Italia durante la prima fase della crisi finanziaria, potrà contare su un polmone finanziario di tutto rispetto.

Italia e Francia stanno giocando sul piano geopolitico due partite parallele, di mediazione in un quadro in continuo movimento. Roma ha margini di manovra assai maggiori rispetto a Parigi. La Francia è legata a filo doppio all’asse con la Germania, ed ha fatto della ostilità verso la Gran Bretagna una sorta di vessillo, dimenticandosi dell’aiuto ricevuto in due Guerre mondiali: punta sulla prospettiva di porsi alla guida di un futuribile esercito europeo per valorizzare il suo arsenale nucleare ed il seggio di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu. 

Così facendo, però, si mette ancor più in rotta di collisione con gli Usa e la Gran Bretagna. Anche i recenti disordini in Libia non giovano affatto alla strategia francese, che contempla di arrivare alle elezioni a dicembre: in un contesto ritornato sfilacciato e conflittuale, risulta vincente la strategia italiana, che punta prioritariamente alla pacificazione fra le diverse componenti. A novembre, si terrà in Sicilia una Conferenza a tal fine, con la partecipazione anche di Cina, Qatar, Stati Uniti, Lega Araba e Onu: è un metodo diplomaticamente assai più coinvolgente rispetto agli incontri con i due soli leader libici, Al Sarraj ed Haftar, convocati da Emmanuel Macron all’Eliseo. 

A partire dal 2011, Parigi ha scommesso sulla debolezza finanziaria italiana e sulla sua solitudine geopolitica, anziché mantenere fermi l’asse con Roma e la strategia comune a favore di uno sviluppo pacifico del Mediterraneo. Ha ceduto, ancora una volta: sia alle pressioni tedesche che a quelle anglo-americane, contribuendo in modo determinante alla destabilizzazione dell’Italia, dell’Eurozona e dell’intero Mediterraneo, guadagnando ben poco. Nessuna grande potenza ha mai consentito, da secoli, la colonizzazione dell’Italia. A Parigi, dovrebbero saperlo bene.


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L’associazione Vittime della Nato in Libia lotta contro l’impunità dei potenti

di Marinella Correggia

Dalla guerra in Iraq nel 1991 a oggi, nessun tribunale internazionale ha mai processato e giudicato i vincitori delle guerre di aggressione condotte dall’Occidente e dagli alleati del Golfo.  E dire che la guerra di aggressione è bandita in modo assoluto dalla carta delle nazioni unite ed è considerata il «crimine internazionale supremo» sin dall’epoca del tribunale di Norimberga (che però giudicò solo i vinti).

Alcune volte gli Stati presi di mira hanno provato a reagire ricorrendo a istanze internazionali (si pensi alla Jugoslavia durante i bombardamenti Nato del 1999); altre volte erano i cittadini danneggiati a provare le strade dei tribunali internazionali, sul lato penale e civile. Il primo non ha mai sortito effetti; per il secondo, alle vittime civili – «effetti collaterali» – afghane, irachene, pakistane sono stati elargiti risibili risarcimenti a cura dei responsabili, si vedano gli Usa con gli abitanti dei villaggi sterminati dai droni. Troppo poco, decisamente.

Si sta muovendo con coraggio contro l’impunità  Khaled el Hamedi, cittadino libico,  fondatore dell’associazione Vittime della Nato. Un bombardamento dell’operazione Unified Protector sterminò la sua famiglia il 20 giugno 2011 a Sorman. Dalle macerie furono estratti i corpi maciullati della moglie Safae Ahmed Azawi, incinta, dei suoi due figli piccoli Khaled e Alkhweldi, della nipote Salam, della zia Najia, del cugino Mohamed; uccisi anche i bambini dei suoi vicini di casa e due lavoratori. Abbiamo rivolto alcune domande al legale di Khaled, Jan Fermon, che sta preparando una conferenza stampa a Bruxelles, il 29 gennaio.

Avvocato Fermon, il 23 novembre 2017 la Corte d’appello di Bruxelles (Belgio, sede del Patto atlantico) ha risposto negativamente al ricorso del suo assistito Khaled el Hamidi; l’immunità della Nato è stata confermata…

E’ stata persa l’occasione di un passo avanti storico nell’applicazione della legislazione internazionale sui diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Una grande ingiustizia verso tante vittime. Khaled el Hamidi (che ora vive in esilio, ndr) è intenzionato ad andare avanti finché l’impunità non avrà fine.. Il fatto che la sede della Nato sia qui, ha aperto la strada alla possibilità di un processo civile.

Come mai la Nato gode dell’immunità, e dunque dell’impunità?

La Nato è un organismo interstatale e multilaterale; con il trattato di Ottawa del 1951, i paesi fondatori decisero per l’immunità dalla giurisdizione cioè l’impossibilità di processare (cosa diversa dall’immunità di esecuzione cioè l’impossibilità di applicare la punizione). E’ grave, trattandosi di un’organizzazione che può dunque impunemente decidere della vita e della morte delle persone in giro per il mondo. Non è certo un incentivo, per la Nato e per altri, a rispettare il diritto internazionale…Può sfociare nell’impunità per crimini di guerra.

Paradossale. Non ci sono limiti a questa immunità?

Sì, ci sarebbero, e questa è la base della nostra azione legale. Infatti l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti umani e altri strumenti internazionali prevedono che ogni cittadino abbia il diritto di accedere a un tribunale. E, per la Convenzione di Vienna, gli Stati devono rispettare i trattati che hanno firmato. Il diritto di accesso, tuttavia, non è assoluto e può subire limitazioni, appunto di fronte all’immunità delle organizzazioni internazionali, che hanno fini da perseguire. Ma c’è una giurisprudenza, anche da parte della Corte di cassazione belga, secondo la quale la limitazione nell’accesso ai giudici non è accettabile quando l’organizzazione internazionale che dovrebbe essere messa in stato di accusa non ha una sorta di tribunale interno accessibile da parte dei cittadini che hanno subito danni dal suo operato. La Nato è priva di questo meccanismo rispetto alle sue azioni in Libia.


https://www.cnj.it/home/it/cultura/8919-tesori-d-arte-della-serbia-medievale-orienta-menti-1.html


È disponibile il numero 1 della collana orientamenti di Jugocoord Onlus

 

Tesori d'arte della Serbia medievale

Un viaggio tra Oriente e Occidente

di Rosa D'Amico

Frankfurt: Zambon 2018

 

pagine 144, 17x24 cm, 18 euro
con un inserto di 16 pagine a colori
ISBN: 978-88-98582-69-3
altre info

 

Sommario

Introduzione 11
1. Per la costruzione di un ponte tra culture 11
2. Inquadramento storico: lo Stato serbo medievale, sul confine tra Oriente e Occidente 13
Capitolo 1. L’arte in Serbia al tempo della dominazione latina di Costantinopoli (1204‑1261) 19
1. Incroci e incontri in una terra di passaggio 19
1.1. Architettura e scultura dei monasteri serbi, tra Oriente e Occidente 19
1.2. La pittura bizantina e il rinascimento dell’arte antica al tempo della crisi 20
2. Il monastero di Studenica e la cattedrale di Žiča tra influssi romanici e bizantini 21
2.1. Studenica e la sua architettura al tempo di Nemanja 21
2.2. L’arte bizantina e i Nemanjić all’inizio del XIII secolo: la decorazione di Studenica 23
2.3. La cattedrale di Žiča 27
3. Mileševa nel contesto della scuola della Raška e del classicismo bizantino 30
4. Da Peć a Sopoćani 42
4.1. La fondazione della chiesa dei Santi Apostoli a Peć e i suoi affreschi più antichi 42
4.2. Il monastero di Sopoćani. Storia e architettura 44
4.3. Datazione e iconografia degli affreschi 47
4.4. Caratteri artistici delle pitture di Sopoćani 54
5. I grandi cantieri serbi del ’200 e i rapporti con l’Italia 58
Capitolo 2. Architettura e arte in Serbia al passaggio tra ’200 e ’300 63
1. Il monastero di Gradac, fondazione di Elena d’Angiò 63
1.1. Cambiamenti del linguaggio nell’arte bizantina tra la fine del ’200 e i primi del ’300 63
1.2. La chiesa dell’Annunciazione a Gradac tra tradizione e rinnovamento 64
2. La principale fondazione di Dragutin, Arilje 67
3. Al passaggio tra due secoli: recuperi e nuove tendenze 74
3.1. Il restauro dei Santi Apostoli a Peć. Gli interventi di fine secolo 74
3.2. Il restauro della cattedrale e del monastero di Žiča (1310) 76
Capitolo 3. I grandi cantieri della Serbia trecentesca: le fondazioni del re Milutin e l’attività di Michele Astrapa ed Eutichio 83
1. Una nuova fioritura artistica 83
2. Le fondazioni di Milutin: la cattedrale della Madonna di Ljeviša a Prizren 85
3. Le fondazioni di Milutin: San Giorgio a Staro Nagoričino in Macedonia 90
4. Le fondazioni di Milutin: la chiesa dei Santi Gioacchino ed Anna (Chiesa reale) nel complesso di Studenica 93
5. L’ultima fondazione di Milutin: il monastero di Gračanica 99
Capitolo 4. I grandi cantieri artistici nel periodo di massima espansione dello stato serbo 105
1. Il monastero di Dečani 105
1.1. Storia e architettura 105
1.2. La pittura «enciclopedica» bizantina e gli affreschi di Dečani 109
2. Gli interventi trecenteschi nel monastero di Peć 115
2.1. Aggiunte all’antico complesso: storia delle nuove fondazioni 115
2.2. Le pitture trecentesche nelle chiese del Patriarcato di Peć 118
Conclusioni. Le ultime fasi dell’arte nell’antica Serbia e le vicende dei monasteri dopo la conquista ottomana 123
Appendice 1. Genealogia 125
Appendice 2. Oggetti serbi in Italia: una testimonianza di un’identità dimenticata 127
Appendice 3. Appello della facoltà di arte applicata Filum di Kragujevac 133
Appendice 4. Gračanica 137
Elenco delle immagini 139
Elenco dei nomi e dei luoghi 144
Bibliografia citata 149


 

dalla Quarta di copertina:

Nel Medioevo proprio l’Italia fu, per vicinanza geografica, politica e culturale, la principale cassa di risonanza per la diffusione in Occidente di suggestioni bizantine e balcaniche. Purtroppo il debito contratto con quel mondo è stato a lungo quasi ignorato, a causa di secolari pregiudizi, incentivati anche dalla scarsa informazione sulla reale consistenza di un patrimonio, i cui maggiori monumenti sono in buona parte riaffiorati tra fine ’800 e inizi del ’900: salvo pochi vertici, l’intera arte bizantina è stata a lungo conosciuta in Italia soprattutto tramite opere tarde, o periferiche e «provinciali», che non rendono giustizia alla sua grandezza.

 

L'Autrice

Rosa D’Amico, dal 1976 al 2012 funzionaria della Soprintendenza per i Beni artistici e storici di Bologna, ha seguito nell’ambito della sua attività progetti di tutela, restauro e promozione culturale in città, nella provincia, e nella Pinacoteca Nazionale di Bologna. Ha curato numerose mostre e partecipato a pubblicazioni e convegni scientifici su vari argomenti, approfondendo in particolare gli studi sul periodo dal XIII al XV secolo. 
Dal 1994 ha avviato, in collaborazione con le Istituzioni culturali di Bologna e di altri luoghi d’Italia, progetti di scambio con la Serbia, approfondendo in particolare gli studi sui rapporti storico-artistici, con interventi a convegni e pubblicazioni e curando diverse iniziative espositive. È membro del Comitato scientifico-artistico di Jugocoord Onlus. 

 

collana orientamenti

La conoscenza della realtà jugoslava e balcanica nel nostro paese è meno che scarsa. Nonostante la prossimità geografica, le vicende comuni e gli inevitabili scambi culturali avuti nei secoli, la visione che permane egemone nella pubblica opinione è sintetizzabile con la ben nota locuzione: hic sunt leones. Se attorno al mondo slavo in genere prevalgono vuoi esotismo e intellettualismo vuoi pregiudizio e ostilità, sullo specifico jugoslavo dopo la crisi drammatica di fine Novecento è stata ulteriormente incoraggiata la propensione a rimuovere tutto quanto riguarda i caratteri al contempo unitari e multiformi di quello spazio culturale e storico-politico.
Perciò il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus si è dato come obiettivo costituente quello di rendere possibile una maggiore integrazione delle conoscenze in materia, ed a questo scopo "pubblicare libri, opuscoli, materiali audiovisivi" oltre che diffondere e rendere sempre disponibili informazioni con i moderni strumenti telematici e promuovere specifiche iniziative culturali ed informative.
In linea con questo intendimento viene promossa la collana orientamenti, la quale, intervenendo in territori della Conoscenza attualmente popolati poco e male, necessariamente si prefigge di fornire innanzitutto gli strumenti basilari – ripubblicando classici o traducendo testi importanti mai giunti prima in Italia, fornendo strumenti sintetici e divulgativi su temi diversi, rispondendo alle richieste di chi è veramente interessato a sapere e capire.

CONTENUTI DELLA COLLANA:

Arte e cultura slava e balcanica / Storia contemporanea / Movimento di Liberazione / Politica internazionale / Mondo slavo / Biografie / Movimento operaio e antifascista / Internazionalismo partigiano / Teoria politica / Linguistica / Nazionalità e identità / Amicizia tra i popoli / Macroeconomia / Materiali per la Associazione



Guerra biologica

1) L’accerchiamento batteriologico Usa della Russia (di Fabrizio Poggi)
2) L’esercito di insetti del Pentagono (di Manlio Dinucci, TESTO e VIDEO)
3) I crimini di Gilead Sciences mascherano test del Pentagono? (Rete Voltaire)


Si veda anche:
Diplomatici statunitensi coinvolti nei programmi di guerra batteriologica (di Diljana Gajtandzhieva, Naturalblaze 18 settembre 2018)
L’Ambasciata USA a Tbilisi trasporta sangue umano congelato e agenti patogeni come carico diplomatico per un programma militare segreto degli Stati Uniti. Documenti interni, implicanti diplomatici statunitensi nel trasporto e sperimentazione di agenti patogeni sotto copertura diplomatica, sono stati svelati da esperti georgiani... Esperimenti segreti di notte / Gas velenoso uccide due filippini / Sangue umano e agenti patogeni come carico diplomatico all’ambasciata degli Stati Uniti / Il Pentagono: prostitute severamente vietate, niente sesso all’estero / Gli scienziati statunitensi testano i virus sotto l’immunità diplomatica / Il diritto internazionale non è applicabile / Drone per diffondere zanzare tossiche / Polvere bianca sulla Cecenia / Appaltatori privati: L’agenzia DTRA (Defense Threat Reduction Agency) ha esternalizzato gran parte del lavoro del programma militare presso società private... / Giornalista espulsa dal Parlamento Europeo per aver affrontato il funzionario USA sulle armi biologiche / Bioarmi etniche / I georgiani venivano usati come conigli da laboratorio / Da Parigi con amore / Rapporti riservati: almeno 100 casi di morte in Georgia


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L’accerchiamento batteriologico Usa della Russia


di Fabrizio Poggi, 14 settembre 2018

Torna di attualità a Mosca l’allarme per i laboratori biologici statunitensi sparsi nelle vicinanze dei confini russi. Secondo l’ex Ministro per la sicurezza georgiano, Igor Ghiorgadze, ci sarebbero le prove di attività illecite, da parte Centro di ricerche yankee Richard Lugar, aperto in Georgia all’epoca della presidenza del transfuga “ucraino-polacco” Mikhail Saakašvili. In una conferenza stampa a Mosca, Ghiorgadze ha dichiarato di essere in possesso di documenti che testimoniano di esperimenti biologici su esseri umani; in particolare, un elenco di 30 persone, ricoverate a suo tempo presso il Centro e decedute per epatite C: 24 di esse sarebbero morte nello stesso giorno. L’ex Ministro ha indirizzato una lettera aperta a Donald Trump chiedendogli di chiudere il laboratorio – il suo passaggio sotto giurisdizione georgiana, promesso sin dalla sua inaugurazione, non è ancora avvenuto – e condurre un’indagine sugli esperimenti. 

Riportando la notizia, la Tass nota che gli Stati Uniti hanno sì firmato a suo tempo il Protocollo di Ginevra del 1925 che vieta l’uso di armi batteriologiche e la Convenzione del 1972 che proibisce lo sviluppo di armi batteriologiche e tossicologiche (BTWC); ma lo hanno fatto, con il codicillo secondo cui il divieto di sviluppo delle armi biologiche non proibisce le ricerche nel settore. E Mosca si dice seriamente preoccupata per il fatto che molti laboratori biologici segreti statunitensi si trovino in prossimità dei confini russi.

Dall’Armenia giunge la notizia secondo cui il nuovo Primo ministro Nikol Pašinian avrebbe consentito a specialisti russi l’accesso ai laboratori biologici americani nel paese. In un’intervista a Kommersant, Pašinian ha assicurato che in tali laboratori “non c’è nulla di preoccupante”, data la loro “alta qualità. Credo che sia un bene che ci siano qui tali qualificati laboratori, che in nessun caso possono essere usati contro la Russia” ha detto il Primo ministro armeno.

Di tutt’altro avviso l’ex consigliere russo del Segretario generale dell’ONU, Igor Nikulin, che da tempo lancia l’allarme sugli oltre 400 laboratori USA sparsi per il mondo, in cui si mettono a punto armi biologiche, indirizzate in particolare contro il codice genetico dei russi, dopo che il Pentagono, già un anno fa, aveva ammesso la raccolta di loro materiali biologici. Il Dipartimento della difesa aveva dichiarato che il Molecular Research Center del 59° Medical Air Group della US Air Force stava conducendo studi per identificare vari biomarker legati a lesioni, operando anche su campioni di origine russa, tanto che intendeva acquistare 12 campioni della molecola RNA e 27 campioni del liquido sinoviale di cittadini russi. L’annuncio pubblico specificava che doveva trattarsi di campioni di europoidi e non sarebbero state prese in considerazione persone, ad esempio, originarie dell’Ucraina. Lo stesso Vladimir Putin aveva accennato alla faccenda della raccolta di biomateriali “di diversi gruppi etnici e individui da punti diversi della Federazione Russa”, domandandone retoricamente lo scopo.

Ora, dopo diversi casi di ampi focolai di peste suina africana (ASF), lo stesso Nikulin, intervistato da Sputnik Lettonia, punta il dito sui laboratori biologici USA in Georgia e in Ucraina, sottolineando che la ASF potrebbe essersi espansa in Cina a partire da qualche paese dell’est europeo o del Caucaso, con cui Pechino ha intensi scambi di prodotti agricoli. 

“Gli americani hanno una lunga esperienza in fatto di guerra biologica” dice Nikulin; “basti pensare a cosa hanno imbastito a suo tempo contro Cuba, a come ne hanno infettato i suini. Credo che l’America stia conducendo una guerra biologica permanente contro la Russia e un certo numero di paesi europei. Non ci sono dubbi che i focolai di ASF siano aumentati di molte volte negli ultimi anni, come non era mai accaduto prima, e proprio nelle aree più prossime a Georgia e Ucraina, dove si trovano questi laboratori americani” ha concluso Nikulin.

Sputnik Lettonia evidenzia anche come il mosaico di focolai di ASF offra un quadro abbastanza netto del poligono sperimentale in cui il Pentagono mette a punto le proprie armi biologiche e in cui rientrano anche i Paesi baltici. Lo scorso giugno, l’infezione fu rilevata in poche centinaia di suini in Lettonia; ma, poco dopo, in un solo allevamento nel distretto di Akmenė, in Lituania (proprio sul confine lettone), si sono dovuti abbattere quasi ventimila suini. Oggi, il governo di Vilnius promette incentivi agli agricoltori perché rinuncino all’allevamento di suini, dopo che si sono scoperti ancora 41 focolai di ASF. In Estonia, si sono dovuti abbattere alcune centinaia di cinghiali infetti.

Le statistiche sui focolai di ASF nei Paesi baltici, nota Sputnik, inducono a presumere che la non normale resistenza del virus alle condizioni climatiche settentrionali possa essere stata creata in laboratorio. Per di più, i focolai di ASF sono apparsi quasi simultaneamente su un fronte che va dalla da Georgia a Ucraina, Moldavia, Polonia e Paesi Baltici e coincide con una catena di laboratori biologici del Pentagono dislocati in Armenia, Azerbaidžan, Georgia, Kazakhstan, Kirghizia, Uzbekistan, Tadžikistan, Moldavia, Ucraina. 

Sembra che il nord dell’Eurasia sia ora l’epicentro di tutte le malattie più pericolose, come lo erano stati i paesi latino-americani tra il 1949 e il ’69: Washington ha ammesso di aver condotto 239 esperimenti di armi batteriologiche proprio in quel ventennio. Ora, a quanto pare, si è spostato più a nord.


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Versione VIDEO: L'Arte della Guerra - L’esercito di insetti del Pentagono (IT/PT/EN/FR/DE/SP) (PandoraTV, 9 ott 2018)
Sciami di insetti, che trasportano virus infettivi geneticamente modificati, attaccano le colture di un paese distruggendo la sua produzione alimentare: non è uno scenario da fantascienza, ma quanto sta preparando l’Agenzia del Pentagono per i progetti di ricerca scientifica avanzata (Darpa)...



L'arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

L’esercito di insetti del Pentagono

di Manlio Dinucci 
su Il Manifesto del 9.10.2018

Sciami di insetti, che trasportano virus infettivi geneticamente modificati, attaccano le colture di un paese distruggendo la sua produzione alimentare: non è uno scenario da fantascienza, ma quanto sta preparando l’Agenzia del Pentagono per i progetti di ricerca scientifica avanzata (Darpa). Lo rivelano su Science, una delle più prestigiose riviste scientiche, cinque scienziati di due università tedesche e di una francese. Nel loro editoriale pubblicato il 5 ottobre, mettono fortemente in dubbio che il programma di ricerca della Darpa, denominato «Alleati insetti», abbia unicamente lo scopo dichiarato dall’Agenzia: quello di proteggere l’agricoltura statunitense dagli agenti patogeni, usando insetti quali vettori di virus infettivi geneticamente modificati che, trasmettendosi alle piante, ne modificano i cromosomi. Tale capacità – sostengono i cinque scienziati – appare «molto limitata». Vi è invece nel mondo scientifico «la vasta percezione che il programma abbia lo scopo di sviluppare agenti patogeni e loro vettori per scopi ostili», ossia «un nuovo sistema di bioarmi». Ciò viola la Convenzione sulle armi biologiche, entrata in vigore nel 1975 ma restata sulla carta soprattutto per il rifiuto statunitense di accettare ispezioni nei propri laboratori. I cinque scienziati specificano che «basterebbero facili semplificazioni per generare una nuova classe di armi biologiche, armi che sarebbero estremamente trasmissibili a specie agricole sensibili, spargendo insetti quali mezzi di trasporto».

Lo scenario di un attacco alle colture alimentari di Russia, Cina e altri paesi, condotto dal Pentagono con sciami di insetti che trasportano virus infettivi geneticamente modificati, non è fantascientifico. Quello della Darpa non è l’unico programma sull’uso di insetti a scopo bellico. Il Laboratorio di ricerca della US Navy ha commissionato alla Washington University di St. Louis una ricerca per trasformare le locuste in droni biologici. Attraverso un elettrodo impiantato nel cervello e un minuscolo trasmettitore sul dorso dell’insetto, l’operatore a terra può capire ciò che le antenne della locusta stanno captando. Questi insetti hanno una capacità olfattiva tale da percepire istantaneamente diversi tipi di sostanze chimiche nell’aria: ciò permette di individuare i depositi di esplosivi e altri impianti da colpire con un attacco aereo o missilistico. Scenari ancora più inquietanti emergono dall’editoriale dei cinque scienziati su Science. Quello della Darpa – sottolineano – è il primo programma per lo sviluppo di virus geneticamente modificati per essere diffusi nell’ambiente, i quali potrebbero infettare altri organismi «non solo nell’agricoltura».

In altre parole, tra gli organismi bersaglio dei virus infettivi trasportati da insetti potrebbe esservi anche quello umano. È noto che, nei laboratori statunitensi e in altri, sono state effettuate durante la guerra fredda ricerche su batteri e virus che, disseminati attraverso insetti (pulci, mosche, zecche), possono scatenare epidemie nel paese nemico. Tra questi il batterio Yersinia Pestis, causa della peste bubbonica (la temutissima «morte nera» del Medioevo) e il Virus Ebola, contagioso e letale. Con le tecniche oggi disponibili è possibile produrre nuovi tipi di agenti patogeni, disseminati da insetti, verso i quali la popolazione bersaglio non avrebbe difese. Le «piaghe» che, nel racconto biblico, si abbatterono sull’Egitto con immensi sciami di zanzare, mosche e locuste per volontà divina, possono oggi abbattersi realmente sul mondo intero per volontà umana. Non ce lo dicono i profeti, ma quegli scienziati restati umani.



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I crimini di Gilead Sciences mascherano test del Pentagono?

Rete Voltaire | 5 Ottobre 2018 

La società Gilead Sciences, violando le norme internazionali e senza informare adeguatamente i pazienti, ha deliberatamente continuato i test di Sovaldi (Sofosbuvir), il suo farmaco contro l’epatite C.
A dicembre 2015, durante la sperimentazione del farmaco nel laboratorio georgiano di Gilead Sciences, sono morti 24 pazienti. La società statunitense ha però proseguito i test senza informare delle morti le nuove cavie: ci sono stati altri 49 decessi. Questo quanto ha rivelato, documenti alla mano, l’ex ministro georgiano per la Sicurezza Nazionale, Igor Guiorgadze.
La medesima pillola Sovaldi è venduta a 4,89 $ U.S. in India e a ben 1.000 $ negli Stati Uniti. Le 12 settimane di trattamento costano 705 euro in India, 28.700 euro in Europa, 84.000 $ negli Stati Uniti.
L’ex segretario USA della Difesa, Donald Rumsfeld, è stato direttore generale della società farmaceutica ed è tuttora uno dei suoi principali azionisti.
Nel 1997 Rumsfeld riuscì a far omologare il farmaco contro il vaiolo di Gilead Sciences, il Cidofovir, e a farne inserire la molecola nelle ricerche del Pentagono sul bioterrorismo, intascando così favolose royalty. Nel 1998 Rumsfeld convinse il presidente Bill Clinton a bombardare la fabbrica farmaceutica concorrente di Al-Shifa (produttrice di un farmaco per l’AIDS copiato da Gilead Sciences) col pretesto che si trattava di un’industria in cui si producevano armi chimiche per Al Qaeda. Nel 2001 Rumsfeld divenne segretario alla Difesa e, quando ci furono gli attacchi all’antrace, Gilead Sciences fornì al Pentagono i farmaci contro il vaiolo.
Il comandante delle forze russe di protezione radiologica, chimica e biologica, Igor Kirillov, sospetta che i test del Sovaldi siano in realtà sperimentazioni di armi illegali per conto del Pentagono.
Secondo il senatore russo Igor Morozov, «l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPAC) dovrebbe obbligare gli Stati Uniti a rendere pubblici i dati sullo sviluppo di armi biologiche e sui test su esseri umani. Se la questione non può essere risolta all’interno dell’Organizzazione, ne deve essere immediatamente investito il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite».

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista