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Libertà di stampa

1) I monopoli della comunicazione e la libertà di stampa nel capitalismo (Salvatore Vicario)
2) Le 25 verità su Reporters sans frontieres


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I monopoli della comunicazione e la libertà di stampa nel capitalismo

Salvatore Vicario | senzatregua.it

05/05/2014

"Non da oggi la stampa è un potente strumento di cui si serve la classe dominante per mantenere la sua dittatura. Il grande capitale non domina solo con le banche, i monopoli, il potere finanziario, il tribunale e la polizia, ma con i mezzi quasi illimitati della sua propaganda e della corruzione ideologica ", P. Secchia (1)

Recentemente sul nostro giornale abbiamo pubblicato un estratto dal corso di formazione «lineamenti di economia marxista» realizzato nell'ambito del corso nazionale di formazione quadri del FGC, in cui è stata descritta la genesi economica dell'Imperialismo, dalla concentrazione al monopolio (2). Nella sua fase attuale, il capitalismo si centralizza sempre più in meno mani di una ristretta oligarchia finanziaria, che da questa sua posizione di supremazia economica, controlla tutta la sovrastruttura sociale, dallo Stato al complesso apparato di produzione e asservimento ideologico che bombarda le coscienze della classe operaia e dei settori popolari, costantemente. "Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cossiché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee: sono dunque l'espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio"(3) affermava K. Marx, che con l'assioma sulla classe dominante e la coscienza dominante, sottolineava come in coerenza con il proprio progresso storico, ogni classe che conquista il potere lo fa imponendo una base di dominazione per forza di cose superiore rispetto alle altre. E' palese comprovare oggi come questa tendenza ci presenta una situazione nella quale la classe dominante della nostra epoca – l'oligarchia finanziaria – dispone di un vastissimo piano di sfruttamento e dominazione politica-ideologica per mantenere il suo potere. In questo ricopre un ruolo fondamentale la comunicazione e l'informazione, che si fanno globali e allo stesso tempo controllate da sempre meno mani. Questo perché da un lato coloro che operano in condizioni di monopolio hanno bisogno dello strumento dell'informazione per mantenere questa loro situazione e tenderanno sempre più ad avere il controllo delle imprese che si occupano dell'informazione. In secondo luogo, perché l'informazione non è solo potere ma diviene anche una grande fonte di profitto, diviene merce. Esistono quindi multinazionali dell'informazione come per altri settori, che come le altre multinazionali, tendono a fusioni e concentrazioni. Proprio la natura e complessità di questo determinato tipo di enormi imprese, i monopoli della comunicazione, sono un esempio palese del livello di instaurazione di un potere realmente dittatoriale che lotta con tutti i mezzi per mantenere la sua posizione dominante sulle ampie masse lavoratrici.

Se infatti andiamo ad indagare sulla composizione e proprietà dei principali gruppi del settore della comunicazione italiana, osserveremo il livello di concentrazione e la capacità di controllo di esso da parte dei grandi monopoli capitalisti. Pochi Gruppi Editoriali italiani controllano la quasi totalità di giornali, tv, radio, case editrici, così come la produzione e distribuzione cinematografica e portali internet.

Andando ad analizzarli uno ad uno:

La Mondadori, è controllata dal Gruppo Fininvest la holding che detiene tutte le proprietà di Silvio Berlusconi che controlla e partecipa al 40.07% alla Mediaset, al 53.06% alla Mondadori, al 100 % al A.C Milan, al 35.1% al Gruppo Mediolanum, al 100% al Teatro Manzoni e al 2.06 % alla Mediobanca. La Mondadori possiede il 39.27 % de "il Giornale" (9° quotidiano per diffusione) il cui restante 60.73% è di proprietà di Paolo Berlusconi (fratello di Silvio). La stessa Mondadori possiede le Case Editrici: Libreria Mondadori, Giulio Einaudi Editore, Edizioni Piemme, Sperling & Kupfer. Possiede inoltre la Radio "Radio 101" e i periodici Panorama, TV Sorrisi e Canzoni, Grazia, Donna Moderna, Chi, Flair, Focus, Geo, Interni, Jack, Men'sHealth, Sale & Pepe, Starbene, Telepiù, TuStyle, Icon, Wellness, inTavola.

L'Espresso di Carlo De Benedetti, controlla la casa pubblicitaria A.Manzoni&C., il quotidiano "La Repubblica" (2° quotidiano per diffusione), le radio e Tv "Radio Dee Jay" e "TV Dee Jay", "Radio Capital" e "Radio Capital Tv", "Repubblica Tv" e "Onda Latina", i periodici "L'Espresso", "National Geographic", "Le Scienze", "Mente", "Lines", "Micromega", e i quotidiani locali "Alto Adige", "Trentino", "Corriere Alpi", "il Centro", "Gazzetta di Mantova", "Gazzetta di Modena", "Gazzetta di Reggio", "il Mattino di Padova", "Messaggero Veneto", "La Nuova", "La Nuova Ferrara", "Il Piccolo", "La Provincia", "Il Tirreno", "La Tribuna di Treviso", "La Città", "La Sentinella". Le azioni del gruppo Espresso, appartengono al 53.8% alla CIR (Compagnie Industriali Riunite) S.p.A. che è una holding italiana controllata al 46% dalla COFIDE holding finanziaria della famiglia De Benedetti, gruppo industriale attivo nell'energia, nei media, nella componentistica auto, nella sanità e negli investimenti non-core (venture capital, private equity e altri investimenti). Il gruppo CIR registra un fatturato di circa 5 miliardi, con circa 14mila dipendenti. Le principali partecipazioni, oltre al gruppo Espresso, sono la Sorgenia Holding S.p.A che controlla il 79.7% di Sorgenia S.p.A. uno dei principali operatori del mercato libero dell'energia elettrica e del gas naturale. La Sogefi S.p.A. al 58.3%, azienda operante nella componentistica per auto che controlla 4 marchi: TECNOCAR, PURFLUX, FIAAM, FRAM. Infine la KOS S.p.A. al 51.3% che possiede circa 60 strutture sanitarie e 5.059 posti letto. La COFIDE (Gruppo De Benedetti) oltre alla CIR, partecipa alla Società Finanza Attiva S.p.A (89%), alla Banca Intermobiliare di Investimenti e Gestioni S.p.A., alla Cofide International S.p.A. (100%), alla Cofidefin Servicos de Consultoria Lda. Come azionisti di COFIDE, troviamo anche il Credit Suisse (al 7.66%). Nella CIR troviamo invece come azionisti la Bestinver Gestion (11.3%) e la Norges Bank (2.7%).

Nel CDA del Gruppo Espresso troviamo Sergio Erede, amministratore di Luxottica (di Del Vecchio, secondo uomo più ricco d'Italia, e tra i suoi maggiori azionisti troviamo la Deutsche Bank); Luca Paravicini Crespi, consigliere della Piaggio dei Colaninno (dove siede accanto a Vito Varvaro, il quale a sua volta è anche nel Cda della Tod's di Diego Della Valle) e figlio di Giulia Maria Crespi, ex direttore editoriale del Corriere ed ex presidente del Fai; e Mario Greco, consigliere di Indesit Company (dove siede anche Emma Marcegaglia) e della Saras di Massimo Moratti (rappresentato anche nel Cda del Corriere attraverso i consiglieri del gruppo Pirelli di proprietà di Tronchetti Provera), una delle massime società italiane nel settore petrolifero e energetico, di cui possiedono azioni di minoranza anche la Rosneft (compagnia petrolifera del governo russo) e Assicurazioni Generali.

Passiamo al Gruppo Editoriale RCS che possiede i quotidiani "Corriere della Sera" (1° quotidiano italiano) e "La Gazzetta dello Sport" (4° quotidiano italiano), le Case Editrici "Rizzoli", "Bompiani", "Fabbri Editori", "Marsilio", "Lizard", "RCS Collezionabili", "SuperPocket", "Firme ORO", "Sonzogno", "Skira", "Archinto", "Adelphi", "Etas". Inoltre possiede le Radio e Tv, "Radio 105", "Radio MonteCarlo", "Virgin", "Lei", "Dove Tv", e i periodici "Oggi", "Cucino", "Novella", "Visto", "Astra", "Ok", "Domenica Quiz", "Quiz mese", "Sette", "Dove", "Y&S", "Corriere Erboristica", "Amica", "A", "Io", "Style", "Max", "CA casamica", "Case da Abitare", "Il Mondo", "L'Europeo", "Costruire", "Abitare". L'Azionariato della RCS è così composto: Fiat S.p.A. al 20.55% (Famiglia Agnelli), Mediobanca S.p.A. (15.45 %), Diego Della Valle (8.99%) tramite la Dorint Holding S.p.A. e la Di.Vi. Finanziaria di D.Della Valle&C., la Finsoe S.p.A. al 5.65% tramite la Fondiaria Sai S.p.A., la Milano Assicurazioni, la Saifin S.p.A. e la Siat S.p.A., la Pirelli (5.44%), Intesa Sanpaolo (6.54%), Banco di Napoli, Cassa di Risparmio del Veneto, Benetton e l'elenco è ancora lungo. Andando ad analizzare il CDA della RCS troviamo Carlo Pesenti consigliere di Italcementi, Unicredit, Italmobiliare e Mediobanca; Fulvio Conti amministratore delegato e Direttore Generale della società Enel, vicepresidente di Confindustria che nel 2012 ha partecipato alla riunione del Gruppo Bilderberg in Virginia USA.

Il Gruppo Editoriale "Il Sole 24 Ore" appartiene alla Confindustria (quindi diretta espressione dei desiderata dei principali gruppi industriali del Paese) e controlla il quotidiano "Il Sole 24 Ore" (3° quotidiano italiano), le radio "Radio 24" e "Radio 24 Ore Radiocor", e i periodici "English24", "l'Impresa", "Aspenia", "Ristrutturare", "Applicando". Nel suo Cda siedono, fra gli altri, Giancarlo Cerutti, consigliere di amministrazione della Saras (Moratti); Luigi Abete, presidente della BNL (gruppo Paribas); Antonio Favrin, collega di Cda, in Safilo Group, di Ennio Doris, che siede in Mediolanum della famiglia Berlusconi e in Mediobanca.

Gruppo Editoriale "Poligrafici" possiede i quotidiani "QN-La Nazione" (11° quotidiano italiano), "Il Resto del Carlino" (7° quotidiano italiano), "Il Giorno" (20° quotidiano italiano) e i periodici "Cavallo", "Onda Tivù" e "L'Enigmistica". Il Gruppo è legato anche a Telecom Italia, Generali Assicurazioni e Gemina (attraverso Massimo Paniccia e Aldo Minucci) e alla Premafin della famiglia Ligresti.

Editore Caltagirone è di proprietà della Famiglia Caltagirone che possiede la Caltagirone S.p.A. una holding cui fanno capo le attività del gruppo Caltagirone nei settori dei grandi lavori, del cemento, immobiliare, finanziario e dell'editoria, Cementir S.p.A.(4° produttore di cemento in Italia e in Turchia, mentre in Scandinavia è il principale produttore di cemento bianco e calcestruzzo), Vianini Lavori S.p.A , opera dal 1890 nei settori più avanzati dell'ingegneria civile e nell'industria dei manufatti in cemento e annovera tra i principali clienti anche la Enel e FS) e Vianini Industria S.p.A attiva nella realizzazione di strutture (tubi, piloni, prodotti idraulici) in cemento oltre che di materiali per l'armamento ferroviario. Inoltre, partecipa in Assicurazioni Generali, Unicredit, Acea e Grandi Stazioni. Possiede l'azienda pubblicitaria "PIEMME" e i quotidiani "Il Messagero" (6° quotidiano italiano), "Leggo", "il Gazzettino" (15° quotidiano italiano), "Corriere Adriatico", "In Città", "il Mattino" (19° quotidiano italiano) e la Tv "Telefriuli".

L' "Editrice La Stampa" possiede il quotidiano "La Stampa" (5° quotidiano italiano), di proprietà del gruppo Fiat tramite la Holding Itedi con Presidente J.Elkann.

"L'Unità" (giornale del PD) appartiene al gruppo Tiscali società di telecomunicazioni di Renato Soru nel cui consiglio d'Amministrazione siede Maurizio Carfagna consigliere di Mediolanum e Victor Uckmar che troviamo anche in Class dei Fratelli Panerai che controllano Milano Finanza e Italia Oggi (14° quotidiano italiano).

Il Gruppo Tosinvest di Angelucci, proprietario di un impero fatto di cliniche e strutture sanitarie (fra cui l'ospedale S. Raffaele di Roma), possiede i quotidiani "Libero" (13° quotidiano italiano)e "il Riformista".

Senza dimenticare il quotidiano l'Avvenire (10° quotidiano italiano) di proprietà della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) tramite la «Fondazione di Religione "Santi Francesco d'Assisi e Caterina da Siena" che possiede anche la rete TV2000.

Rimanendo nei maggiori quotidiani possiamo vedere quindi che nella proprietà e Consiglio d'Amministrazione del Corriere della Sera sono presenti i maggiori gruppi industriali e finanziari (bancari e assicurazioni), come la Fiat, Pirelli, Tod's (Della Valle), Gruppo Indesit, Italcementi (Marcegaglia), Italmobiliare, Acciaierie Lucchini, Telecom, Generali, Fondiaria, Unicredit, Intesa San Paolo e Mediobanca ecc…. A "La Repubblica", la Piaggio, Luxottica, la Saras (Moratti) che troviamo anche nel Sole 24 Ore e nel Corriere della Sera ecc… ecc… Nel grafico seguente [ 
http://www.senzatregua.it/wp-content/uploads/2014/05/info.bmp ], frutto di uno studio inchiesta effettuato qualche anno fa, si può evidenziare in modo molto chiaro e nitido il complesso groviglio descritto finora considerando inoltre che ogni gruppo ha partecipazioni a vari livelli in altri gruppi finanziari e industriali.

Un complesso groviglio di testate, gruppi e nomi di tecnici intermediari (ossia quelle figure come avvocati, consulenti, commercialisti, che compaiono in questi e quelli CdA a rappresentare gli interessi di uno o più gruppi) che rappresentano gli interessi di un'unica classe. La linea editoriale è ciò che distingue una testata giornalistica da un'altra, cioè la missione strategica dalla quale si scelgono e analizzano le notizie. Essa si forma a partire dal proprietario e dal luogo decisionale delle società capitalistiche, ossia il Consiglio d'Amministrazione (CdA). Come abbiamo per l'appunto già visionato (in modo ancora poco approfondito, ma in modo già sufficiente per capire), essi sono composti da gruppi e uomini direttamente legati ai grandi gruppi industriali e finanziari che controllano quindi direttamente l'informazione secondo i propri interessi, facendo passare quello che in realtà è un monopolio per "pluralismo". Prova del grande interesse di imprenditori e manager intorno a questo settore, è la recente grande battaglia tra Diego Della Valle e la famiglia Agnelli per il controllo della RCS – Corriere della Sera.

Osservando il settore televisivo la situazione non è certo differente: con l'introduzione del Digitale Terrestre e la diffusione della tv satellitare a pagamento, vi è ormai un infinito numero di canali televisivi che danno una visione di "pluralismo" di scelta, ma se andiamo ad osservare a chi fanno capo questi canali possiamo facilmente accorgerci come esista in Italia un monopolio composto da Rai – Mediaset – TI Media – Sky Italia, che possiedono un'ampia gamma di canali e assorbono la quasi totalità del mercato e della pubblicità. La Rai è di proprietà statale (dello Stato borghese), nel cui CdA siedono uomini e donne delle maggiori organizzazioni politiche in Parlamento, quindi i Partiti che rappresentano gli interessi dell'oligarchia finanziaria nel suo complesso. Sette consiglieri vengono eletti dalla Commissione parlamentare di vigilanza e due dal Ministero dell'Economia e delle Finanze che è il maggior azionista della Rai, tra cui il Presidente del CdA. Osservando l'attuale CdA prendiamo come esempio, Luisa Todini, imprenditrice in quota Forza Italia, proprietaria della "Todini Costruzioni s.p.a." e allo stesso tempo membro del CdA della Salini Impregilo, il principale gruppo italiano nel settore delle costruzioni. E' anche membro della Fondazione Italia-USA. La Rai a sua volta controlla diverse società che operano nel mercato dei media e del broadcasting: Rai Pubblicità (prima Sipra, concessionaria per la pubblicità sulla Rai), RaiNet (che gestisce i siti Rai), Rai Way, Rai World, Rai Cinema (produzione, acquisizione e gestione dei diritti dei prodotti audiovisivi sui canali della filiera cinematografica) e la 01 Distibution (settore della distribuzione col quale controlla direttamente lo sfruttamento commerciale dei film). Alla Rai sono collegate la San Marino Tv, Tivù Srl (piattaforma satellitare gratuita, partecipata in modo paritario da Rai e Mediaset al 48% e al 4% da Telecom Italia) e Euronews che riunisce a livello europeo le tv pubbliche, che rappresenta gli interessi delle oligarchie europee che controllano le Tv statali dei vari paesi dell'Ue.

Il Gruppo Mediaset, come prima detto, è controllata dalla Holding Fininvest della famiglia Berlusconi. E' un'impresa multinazionale, con filiali in Spagna e Paesi Bassi, e ha come presidente Fedele Confalonieri, presente sul Digitale Terrestre e nel settore della Pay-Tv, detiene l'intera rete di trasporto per la diffusione del segnale televisivo per la diffusione del Digitale Terrestre attraverso Elettronica Industriale. Possiede oltre le reti generaliste e commerciali anche (tra le altre) la Medusa Film e la Taodue (film), e la Endemol (con sede nei Paesi Bassi) che produce format televisivi per tutto il mondo. Pubblitalia è la concessionaria esclusiva di pubblicità del Gruppo Mediaset, che è leader della raccolta pubblicitaria, e tramite la sua controllata Publieurope gestisce la vendita di spazi pubblicitari su più di venti canali televisivi europei, tra cui quelli del secondo gruppo radio televisivo europeo ProSiebenSat.1 Media, presente in 13 Stati. Al Gruppo Mediaset partecipano i principali istituti di credito italiani e alcuni investitori stranieri, tra cui il Principe Al-Waleed, 26° uomo più ricco del mondo. Con il programma ADR (American Depositary Receipt) fa parte del mercato finanziario americano con la JPMorgan Chase come banca depositaria. Con la società Media Shopping (e l'omonimo canale televisivo) detiene il primato nel mercato delle vendite a distanza con oltre 900 punti vendita nel settore della Grande Distribuzione italiano, tra cui Carrefour, Auchan, Billa, Iper e Autogrill. Possiede inoltre anche 8 canali televisivi in Spagna attraverso il Grupo Gestevision Telecinco (50.13%), così come in Nordafrica con il canale Nessma e in Cina con il canale Sportnet Media e China Sport Programs Network.

Telecom Italia Media, è una società controllata al 77.7 % da Telecom Italia, 7° gruppo economico italiano e principale azienda italiana delle telecomunicazioni che tra i suoi azionisti ha la holding italo-spagnola Telco S.p.A. composta da Mediobanca, Assicurazioni Generali, Intesa Sanpaolo e Telefonica. Nel CdA di Telecom Italia troviamo Jean P. Fitoussi presente anche nel consiglio di sorveglianza di Banca Intesa Sanpaolo, Renato Pagliaro, banchiere, presidente di Mediobanca, vicepresidente di RCS MediaGroup e membro del CdA della Pirelli, Gennaro Miccichè, Direttore Generale di Intesa Sanpaolo e Amm. Delegato di Banca IMI, Gabriele Galateri di Genola, presidente di Assicurazioni Generali e Tarak Ben Ammar, capitalista tunisino proprietario della società di produzione e distribuzione francese Quinta Communications, della holding Holland Coordinator & Services Bv (HC&S), di Prima TV con il 95%, della The Weinstein Company con il 20%, della Eagle Pictures con il 75%, della Lux Vide con il 25%, di International Entertainment con l'8,6%, di Europa TV con il 51%, di On-tv e di Nessma Tv con il 25%, socio a vari livelli di Murdoch, Kirch e Berlusconi, nonché membro del CdA di Mediaset, Assicurazioni Generali e Mediobanca nonché consulente del principe saudita Al-Waleed. La Telecom Italia Media S.p.A. possiede laTM News, agenzia giornalistica multicanale, partener italiana del network americano CNN, con redazioni in Europa, a Budapest, Bruxelles e Mosca, ed una a New York (USA), distribuendo notizie video per i principali quotidiani italiani nella versione on-line, tra cui Corriere della Sera, La Repubblica e La Stampa oltre a emittenti come Rai, Mediaset, La 7, Sky e Telenorba. La Telecom Italia Media SpA ha ceduto di recente la MTV Italia Srl che adesso è controllata dalla MTV Networks Europe del gruppo Viacom Media Networks una società americana che possiede numerosi canali TV e aziende internet in tutto il mondo. La MTV Italia Srl produce le emittenti MTV, Comedy Central, Nick e Nickelodeon, presenti nel settore Digitale Terrestre, Satellitare, pay e free. Fino a meno di un anno fa, faceva parte della Telecom Italia Media anche La 7, ora di proprietà della Cairo Comunication di Urbano Cairo (pres. anche del Torino Calcio), che si occupa della vendita degli spazi pubblicitari con concessioni nel gruppo RCS (Io Donna, Oggi e TV Sette) e nei mensili dell'Editoriale Mondadori, e possiede anche due settimanali: Dipiù e DipiùTV.

Infine, (non certo ultimo per importanza) Sky Italia (che assumiamo come esempio delle grandi multinazionali del settore), che fa parte della News Corporation del gruppo Murdoch, uno dei primi quattro conglomerati mediatici degli Stati Uniti, che controlla un gran numero di società del settore della comunicazione in tutto il mondo. Dall'Editoria (HarperCollins) e Zondervan, ai quotidiani (The Sun, The Sunday Times, The Times, New York Post, The Wall Street Journal, The Australian), le Stazioni Radio (Radio City in India, Radio Veronica nei Paesi Bassi, Nasche e Best FM in Russia), la produzione cinematografica (20th Century Fox, Fox Searchlight Pictures), le televisioni (Fox, Independent Television, News Corp Europe che controlla canali in Bulgaria, Italia, Romania, Serbia, Turchia, Georgia, Polonia, Israele) la televisione satellitare (Sky Digital Regno Unito, Sky Italia, Foxtel Australia, Sky Deutschland Germania, Star Tv Asia, Phoenix Satellite Tv Hong Kong), la televisione via Cavo (basta citare tutta la catena FOX negli USA e in Sud America), per finire con Internet (Indya – portale indiano, IGN Entertainment – portale internet, Grab.com, news.com.au – portale d'informazione australiano, casa.it, whatifsports.com, sibellusmusic.com). Come la News Corporation del gruppo Murdoch, vi sono altre (poche) corporation che controllano una grandissima quantità di Tv, giornali, case editrici e produzione cinematografica ecc… Sky Italia è il risultato della fusione di Stream, Telecom Italia e la pay-tv da lui fondata.

Anche Internet, si regge sui grandi monopoli del settore come Google, Microsoft, Twitter o Facebook ecc… che controllano le principali reti. Questi ci consegnano risultati di ricerca che influenzano il modo di fruire internet e di ricevere informazioni, e quindi attraverso la rete, il mondo. Dall'evoluzione da Internet 1.0 (pagine web di sola lettura) a Internet 2.0 (Web social nella quale si può interagire, come creatore e consumatore di contenuti) vi sono stati grandi cambiamenti. Internet si regge su monopoli che seguono la logica dell'aumento del profitto e non certo quella della libera circolazione di idee, dove regnano le logiche di mercato e delle gerarchie conseguenti, tutto il contrario quindi di quello che ci vogliono far apparire come un piano orizzontale. Come ogni prodotto che nasce in seno al capitalismo, anche in questo campo l'obiettivo è quello di soddisfare non le necessità delle masse, ma assicurare enormi somme milionarie a coloro che ne sono proprietari. La fonte principale nella rete è la pubblicità, e le attuali piattaforme, in particolare le più generaliste (Facebook, Google + …) settorizzano al massimo la popolazione. Le reti sociali, sono nella pratica un immensa base di dati che permettono alle imprese private di realizzare campagne pubblicitarie totalmente adattate e dettagliate. Esiste una grande compravendita di dati che gira tutto intorno ai grandi social media che sono forse la prima forma di profitto che utilizza la tendenza umana alla cooperazione e alla condivisione di informazioni. Ad esempio Facebook si muove come se volesse inglobare tutta la rete e sostituirsi ad essa. Ognuno dei milioni di utenti che usa Facebook, ogni giorno produce contenuti per il network, di fatto lavora senza accorgersene e senza essere pagato, produce valore senza tradursi in salario, ma solo in profitto per altri (i proprietari dei mezzi di produzione che vendono i dati sensibili, i pattern della navigazione ecc.) ossia coloro che fanno soldi col lavoro dei primi. L'informazione, è merce. La comunità che usa Facebook produce informazione (sui gusti, sui modelli di consumo, sui trend di mercato) che il capitalista impacchetta in forma di statistiche e vende a soggetti terzi e/o usa per personalizzare pubblicità, offerte e transazioni di vario genere. Ma queste grandi società private che operano su internet, comeGoogle e Facebook, non usano soltanto l'enorme quantità di dati disponibili relativi agli utenti come fonte di reddito, ma esse sono in grado di esercitare un controllo preciso sulle masse. Circa il 70% delle comunicazioni via internet nel mondo sono nelle mani di una sola società americana: Level 3 Communications, a cui seguono AT & T, British Telecom e Telefonica ecc. E' l'oligarchia finanziaria quella che finanzia la costruzione di immense infrastrutture fisiche, necessarie al funzionamento di internet, che non è "un qualcosa di virtuale" ma è fatto di cavi, satelliti, torri, server in tutto il mondo, brevetti. Con questi mezzi pertanto poche società controllano miliardi di persone, di informazioni e influenzano gli eventi. Basti pensare solo che Google ha acquisito dal 2001 ad oggi, 147 aziende.

Dai giornali, alla TV, alle case editrici, alle produzioni cinematografiche, a internet ecc… è evidente chi è che detiene il potere dei mezzi di comunicazione, mettendo in evidenza la ridicola farsa della pluralità dell'informazione e l'innegabile funzionalità di questi mezzi come apparati di propaganda e profitti dell'oligarchia finanziaria. Nell'imperialismo, i monopoli sviluppano il fenomeno della combinazione, al fine di assicurare una maggiore stabilità dei loro affari che si realizzano con un ampio controllo di tutti i rami legati a una determinata industria, controllando non solo la produzione, ma anche la distribuzione e il commercio dei suoi prodotti per cui risultano tremendamente utili gli apparati mediatici.

Come si può pensare dunque di definire l'informazione prodotta direttamente dai grandi gruppi industriali, bancari e finanziari come "libertà di stampa"? Lenin, nel discorso al I Congresso dell'Internazionale Comunista così affrontava la questione: "…I capitalisti hanno sempre chiamato "libertà" la libertà di arricchirsi per i ricchi e la libertà di morire di fame per gli operai. I capitalisti chiamano libertà di stampa la libertà per i ricchi di corrompere la stampa, la libertà di usare le loro ricchezze per fabbricare e contraffare la cosiddetta opinione pubblica. In realtà, i difensori della "democrazia pura" sono i difensori del più immondo e corrotto sistema di dominio dei ricchi sui mezzi d'istruzione delle masse, essi ingannano il popolo, in quanto lo distolgono, con le loro belle frasi seducenti e profondamente ipocrite, dal compito storico concreto di affrancare la stampa dal suo asservimento al capitale. L'effettiva libertà e uguaglianza si avrà nel sistema costruito dai comunisti e in cui non ci si potrà arricchire a spese altrui, in cui non ci sarà la possibilità oggettiva di sottomettere direttamente o indirettamente la stampa al potere del denaro, in cui niente impedirà a ciascun lavoratore (o gruppo di lavoratori di qualsivoglia entità) di godere in linea di principio e nei fatti dell'uguale diritto di usare le tipografie e la carte appartenenti alla società" (4).

Qualche giorno fa, il 3 Maggio, la stampa ha autocelebrato la "Giornata Mondiale della Libertà di Stampa" (istituita dall'ONU) con una esplicazione emblematica di ciò che è la Libertà di stampa nel capitalismo, mistificando (se non addirittura nascondendo) in modo ripugnante il massacro di Odessa ad opera dei neonazisti di Kiev pilotati da Washington e Bruxelles. In questa società, la parola d'ordine della "libertà di stampa" non ha alcun valore reale ed è da sciocchi aspettarsi qualcosa di diverso; il pluralismo dell'informazione borghese rimane solo un abbellimento ingannevole del dominio della classe capitalista anche in questo ambito. Marx affermava che "la prima libertà della stampa consiste nel non essere un'industria, un mestiere", partendo da ciò ne deriva che è solo "cretinismo" piccolo-borghese sperare che possono esistere dei giornali e/o giornalisti "neutri" o "vergini" all'interno dell'apparato del sistema soprattutto mediatico, essendo al servizio dell'ideologia e cultura borghese e degli interessi dei lori padroni, vivendo sui finanziamenti statali, derivanti da pubblicità o direttamente dai grandi gruppi finanziari e industriali. 

Per affrontare correttamente la questione della stampa bisogna partire dalla concreta realtà della divisione in classi della società, in cui neanche il ruolo della stampa è neutrale realmente, o tutela gli interessi di una o dell'altra classe. Coloro che negano ciò, rifiutano l'idea dell'indipendenza e autonomia di classe anche in questo settore, e la necessità di rifiutare gli organi di propaganda borghese organizzando la propria stampa di classe, rivoluzionaria, comunista. E' in questo quadro che si inserisce l'importanza della contro-informazione di classe, ma in particolare della stampa comunista, e quindi del nostro giornale, per diffondere le idee rivoluzionarie, per diffondere le lotte e l'organizzazione, e soprattutto per illuminare i problemi dei giovani da un'ottica di classe indicando i modi per risolverli, concentrandoci sulla lotta per la liberazione dallo sfruttamento capitalistico che comporta la lotta per l'emancipazione dei giovani dall'influenza della borghesia e dall'opportunismo, e questo non è possibile senza lo studio, senza libri marxisti e senza la propaganda della stampa comunista rivoluzionaria che si unisce alla prassi. Per questo 102 anni fa (5 Maggio 1912), in questo giorno, venne fondata la Pravda. Per questo c'è bisogno di Senza Tregua – Giornale Comunista e del suo rafforzamento, così come domani la requisizione di tutti i mezzi di propaganda in mano alla borghesia, all'oligarchia finanziaria, sarà una necessità e dovere rivoluzionario. 

Note:
1) P. Secchia – I crociati della menzogna – Rinascita, 1950 http://www.resistenze.org/sito/ma/di/cp/mdcpag21-007333.htm
2) La genesi economica dell'imperialismo: dalla concentrazione al monopolio da Marx a Lenin -http://www.senzatregua.it/?p=960
3) K. Marx – L'ideologia Tedesca
4) V. Lenin – I Congresso dell'Internazionale Comunista – Opere Complete, vol. 28 pag.464-465


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ce texte en francais:
25 vérités sur Reporters sans frontières
L’organisation française prétend défendre la liberté de la presse. En réalité, se cache un agenda politique bien précis
par Salim Lamrani - 05/05/2014

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www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - linguaggio e comunicazione - 12-05-14 - n. 498

Le 25 verità su Reporters sans frontieres

L'organizzazione francese pretende di difendere la libertà di stampa. In realtà nasconde un'agenda politica ben precisa.

Salim Lamrani * | operamundi.uol.com.br
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

05/05/2014

1. Fondato nel 1985 da Robert Ménard, Jean-Claude Guillebaud e Rony Brauman, Reporters sans frontières (da adesso Rsf) ha il compito ufficiale "di difendere la libertà di stampa nel mondo, cioè il diritto di informare ed essere informati, ai sensi dell'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo".

2. Tuttavia, nonostante questa professione di fede ufficiale, Rsf presenta un lato oscuro e un'agenda politica ben precisa, spesso legata a quello di Washington e se la prende in particolare coi governi di sinistra in America latina, risparmiando i paesi sviluppati.

3. Rsf è stata finanziata dal governo degli Stati uniti attraverso il National endowment for democracy (Ned). L'organizzazione del resto non lo nasconde: "Certamente, riceviamo denaro dal Ned. E questo per noi non rappresenta un problema".

4. Il National endowment for democracy [Fondo nazionale per la democrazia] è stato creato dall'ex presidente statunitense Ronald Reagan nel 1983, in un'epoca in cui la violenza militare aveva preso il posto della diplomazia tradizionale nel trattare gli affari internazionali. Grazie alla sua potente capacità di penetrazione finanziaria, il Ned si prefigge di indebolire i governi che si oppongono alla politica estera di Washington.

5. Secondo il New York Times, (articolo del marzo 1997), il Ned "è stato creato 15 anni fa per realizzare pubblicamente ciò che la Central intelligence agency (Cia) ha fatto in modo nascosto per decenni. Spende 30 milioni di dollari l'anno per sostenere partiti politici, sindacati, movimenti dissidenti e mezzi d'informazione in decine di paesi".

6. Nel settembre 1991, Allen Weinstein, padre della legislazione che ha partorito il Ned, ha espresso al Washington Post la seguente opinione: "Molto di ciò che facciamo oggi è stato fatto dalla Cia 25 anni fa in modo clandestino".

7. Carl Gershman, il primo presidente del Ned, ha spiegato la ragione d'essere della fondazione nel giugno 1986: "Sarebbe terribile per i gruppi democratici del mondo intero essere visti come finanziati dalla Cia. Lo abbiamo potuto vedere negli anni 1960 ed è per questo che vi si è messo fine. È perché non abbiamo potuto continuare a farlo, che il fondo (Ned) è stato creato".

8. Così, secondo New York Times, Allen Weinstein e Carl Gershman, Rsf è finanziato da un ufficio nascosto della CIA.

9. Rsf ha anche ricevuto un finanziamento dal Center for a free Cuba. Il direttore dell'epoca, Franck Calzón, è stato in passato uno dei presidenti della Fondazione nazionale cubano-americana (Fnca), coinvolta nel terrorismo contro Cuba, come ha rivelato uno dei suoi ex direttori José Antonio Llama.

10. Rsf ha ricevuto fondi da Overbrook fondation, ente fondato da Frank Altschul, promotore di Radio Free Europe, emittente della Cia durante la guerra fredda e stretto collaboratore di William J. Donovan, direttore dei servizi segreti statunitensi negli anni 1950 e fondatore dell'Office of strategic services, antenato della Central intelligence agency.

11. In passato, Rsf ha cercato di far passare sotto silenzio gli abusi commessi dall'esercito degli Stati uniti contro i giornalisti. Così, Rsf si è ricordato solo dopo - cinque anni più tardi - del caso di Sami Al-Haj, giornalista della rete televisiva del Qatar, Al-Jazeera, fermato e torturato in Afghanistan dalle autorità statunitensi e in seguito trasferito a Guantanamo. Al-Haj è stato finalmente liberato il 1° maggio 2008, dopo oltre sei anni di calvario. C'è voluta un'indagine di cinque anni a Rsf per scoprire che Sami Al-Haj era stato fermato, sequestrato e torturato soltanto a causa della sua professione di giornalista.

12. In un rapporto del 15 gennaio 2004, Rsf ha esonerato da qualsiasi implicazione i soldati statunitensi responsabili dell'assassinio del giornalista spagnolo José Couso e del suo collega ucraino Taras Protsyuk nell'Hotel Palestine a Baghdad. Secondo la famiglia Couso, "le conclusioni di questo rapporto discolpano gli autori materiali e riconosciuti del fatto all'Hotel Palestina basandosi sull'imparzialità incerta delle persone implicate e sulla testimonianza degli autori e responsabili del fatto, che rimandano questa responsabilità a individui non identificati. Il rapporto è stato firmato da un giornalista, Jean-Paul Mari, che trattiene relazioni note con il colonnello Philip de Camp, militare che ha riconosciuto il suo coinvolgimento nell'attacco e nella morte dei giornalisti all'Hotel Palesatine e inoltre la sua relazione si impernia sulle prove di tre giornalisti molto vicini alle forze nordamericane, tutti statunitensi, uno dei quali - Chris Tomlinson - è stato membro dei servizi segreti dell'esercito degli Stati uniti per oltre sette anni. Nessuno dei giornalisti spagnoli che si trovavano nell'hotel è stato consultato per l'elaborazione di questo documento". Il 16 gennaio 2007, il giudice madrileno Santiago Pedraz ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti del sergente Shawn Gibson, del capitano Philip Wolford e del tenente colonnello Philip de Camp, responsabili degli assassinii di Couso e Protsyuk, assolti da Rsf.

13. Rsf ha sostenuto l'invasione dell'Iraq nel 2003 affermando che "il rovesciamento della dittatura di Saddam Hussein ha posto termine a trenta anni di propaganda ufficiale e aperto un'era di nuova libertà, piena di speranze e di incertezze, per i giornalisti iracheni. Per i media iracheni, decine d'anni di privazione totale di libertà di stampa sono terminati con il bombardamento del Ministero dell'Informazione, il 9 aprile a Baghdad".

14. Il 16 agosto 2007, durante una trasmissione della radio "Contre-expertis", Robert Ménard, allora segretario generale di Rsf, ha legittimato l'utilizzo della tortura.

15. Rsf ha sostenuto il colpo di stato contro il presidente haitiano Jean-Bertrand Aristide organizzato dalla Francia e dagli Stati uniti titolando: "La libertà di stampa ritrovata: una speranza da mantenere".

16. In occasione del colpo di stato contro Hugo Chávez nell'aprile 2002, organizzato da Washington, Rsf ha pubblicato un articolo il 12 aprile 2002 che riprende, senza alcuna riserva, la versione dei golpisti e prova a convincere l'opinione pubblica internazionale che Chávez si era dimesso: "Recluso nel palazzo presidenziale, Hugo Chávez ha firmato le sue dimissione nella notte, sotto pressione dell'esercito. È stato in seguito condotto al forte di Tiuna, la principale base militare di Caracas, dove è detenuto. Immediatamente dopo, Pedro Carmona, il presidente di Fedecámaras, ha annunciato che avrebbe diretto un nuovo governo di transizione. Ha affermato che il suo nome era oggetto 'di un consenso' della società civile venezuelana e del comando delle forze armate".

17. Rsf ha sempre rifiutato di occuparsi del caso di Mumia Abu-Jamal, il giornalista nero che langue nelle carceri statunitensi da trenta anni per avere denunciato nei suoi servizi la violenza poliziesca verso le minoranze.

18. Rsf conduce regolarmente campagne contro Cuba, paese tuttavia dove nessun giornalista è stato mai assassinato dal 1959. L'organizzazione è in stretta collaborazione con Washington sull'argomento. Così, dal 1996, Rsf ha incontrato a Parigi Stuart Eizenstat, ambasciatore speciale dell'amministrazione Clinton per gli affari cubani.

19. Il 16 gennaio 2004, Rsf si è riunita con i rappresentanti della estrema destra cubana della Florida per predisporre una strategia di lotta mediatica contro il governo cubano.

20. Rsf ha lanciato molte campagne mediatiche diffondendo messaggi pubblicitari sulla stampa scritta, alla radio e alla televisione, destinati a dissuadere i turisti a recarsi a Cuba. È ciò che raccomanda la prima relazione della Commissione d'assistenza per una Cuba libera, pubblicata dal presidente Bush nel maggio 2004 e che aumenta le sanzioni contro Cuba. Questa relazione cita del resto Rsf, per esempio alla pagina 20.

21. Rsf afferma apertamente che solo i paesi sottosviluppati sono di suo interesse: "Abbiamo deciso di denunciare i danni della libertà di stampa in Bosnia e in Gabon e le ambiguità dei media algerini o tunisini… ma di non occuparci delle derive francesi". Perché? "Perché, così facendo, rischiamo di scontentare alcuni giornalisti, di inimicarci i grandi magnati della stampa e di allontanare il potere economico. Ma, per diffonderci attraverso i mass media, abbiamo bisogno della complicità dei giornalisti, del sostegno di magnati della stampa e del denaro del potere economico".

22. Jean-Claude Guillebaud, cofondatore di Rsf e primo presidente dell'associazione, ha lasciato l'organizzazione nel 1993. Spiega le sue ragioni: "Pensavo che un'organizzazione di questo tipo potesse essere legittima soltanto se includeva un lavoro di critica del funzionamento dei media in occidente. Che siano le derive del lavoro giornalistico (menzogne, ecc.) o una riflessione sull'evoluzione di questo lavoro, le sue pratiche e i danni alle libertà possibili nelle democrazie. Altrimenti, saremmo dei neocolonialistici, portatori di arroganti lezioni: quando si interpellano i capi dei paesi del terzo mondo sui danni alla libertà di stampa da loro, la questione che ci poniamo automaticamente è di sapere quale uso facciamo della nostra libertà. Anche se le sfide non sono le stesse, la questione è essenziale e pensavo che occorresse dedicarle il 50% del nostro tempo e della nostra energia (…). Man mano che l'associazione si sviluppava, le operazioni diventavano sempre più spettacolari. Si sono poste due questioni: non vi era una contraddizione nel denunciare certi eccessi del sistema mediatico e utilizzare a nostra volta gli stessi metodi? Da parte sua, Robert Ménard pensava che occorresse far passare in sordina tutta l'attività di critica dei media per beneficiare del sostegno dei grandi giornali e delle grandi catene televisive (…). Li ho trovati troppo vicini alla stampa anti Chávez in Venezuela. Sarebbe certamente stato necessario essere più prudenti. Trovo capiscano molto poco degli Stati uniti".

23. Il quotidiano francese Libération, ancora sostegno fedele dell'organizzazione, nota che Rsf resta silenziosa sulle derive dei media occidentali: "Ormai, la libertà di stampa sarà esotica o non sarà". Molti "gli rimproverano il suo accanimento contro Cuba e Venezuela e la sua mansuetudine verso gli Stati uniti. Questo non è vero".

24. Rsf non ha mai nascosto le sue relazioni con il mondo del potere: "Un giorno, abbiamo avuto un problema di denaro. Ho chiamato l'industriale François Pinault perché ci fornisse il suo aiuto. (…) Ha risposto immediatamente alla mia richiesta. E solo questo che conta" poiché "la legge di gravità esiste, cari amici. E la legge del denaro anche".

25. Così, lontano dalle rivendicazioni d'imparzialità e di difesa della libertà di stampa, Rsf dispone effettivamente di un'agenda politica e se la prende regolarmente coi paesi della nuova America latina.

* Giornalista e specialista in relazioni tra Cuba e Stati uniti.



(deutsch / english)

More Analyses on Ukraine Crisis

1) War Propaganda in Ukraine – The Big Lie and lots of little lies (Sara Flounders)
2) GUILTY: Washington, Kiev responsible for Odessa massacre (Greg Butterfield)
3) Ukraine: U.S. behind attacks on resistance (Fred Goldstein
4) "Fascist Freedom Fighters" (GFP 12.05.2014)


Read also:

The White Book on Violations of Human Rights and the Rule of Law in Ukraine
(november 2013 — march 2014) by the Ministry of Foreign Affairs of the Russian Federation

Die Restauration der Oligarchen (II) (GFP 15.05.2014)
Bei ihren Bemühungen zur Stabilisierung des Kiewer Umsturzregimes intensiviert die Bundesregierung ihre Kontakte zu den ukrainischen Oligarchen… 


=== 1 ===

http://www.workers.org/articles/2014/05/07/war-propaganda-ukraine-big-lie-lots-little-lies/

War Propaganda in Ukraine – The Big Lie and lots of little lies

By Sara Flounders on May 7, 2014

The U.S. corporate media are in lock step lying and distorting the events in Ukraine. These are many little lies leading to another version of the Big Lie, as explained by Nazi Propaganda Minister Josef Goebbels and used to justify U.S. aggression from Vietnam to Iraq and Libya.

The good news is that despite all the lies about Ukraine, every opinion poll shows the U.S. population wants no active involvement there.

Every news feed and articles on Ukraine here are saturated with references to “Russian dominance,” “Russian schemes” and “Russian operatives.” Those who resist the illegal Kiev coup regime might be called “forces,” “terrorists,” “separatists,” “militias” or “saboteurs,” but always with the adjective “pro-Russian” or “Russian-speaking.” They confront “Ukrainian soldiers seeking the unity of Ukraine.”

In news articles, commentators and politicians will use these terms often 10 times or more, even though all the resistance fighters are Ukrainian citizens and many have ethnic Ukrainian names. It is no accident that the media characterize workers who have lived for generations in Ukraine this way.

This ploy is accompanied by massive corporate media demonization of Russian President Vladimir Putin. He is called “scheming,” “domineering,” “secretive,” “authoritarian,” “manipulative,” “two-faced,” “overbearing,” and on down the thesaurus list of pejoratives. Pundits call Putin “solely responsible for the crisis” and demand he end it by submitting to Washington’s demands that Ukraine sign the Association Agreement and join the European Union and NATO.

They also want Putin to disarm the eastern Ukraine’s popular resistance to the fascist gangs that just burned 40 people to death in Odessa.

The Kiev coup regime — a completely illegal right-wing grouping that overturned the elected government to seize power in Ukraine — is neutrally described as the “Kiev government” or “Ukrainian government.” The corporate media call the fascist Right Sector and other neo-Nazi forces running this regime’s police and army, “government officials.”

These “officials” meet other officials in the White House, with the United Nations Security Council and with the EU to agree to austerity without the media challenging their legitimacy.

Every U.S. official who discusses the danger of Russian troop movement — within Russia — gets air time. Little to nothing is even reported of U.S. destroyers deploying in the Black Sea, NATO troop deployments eastward, jets and missile bases in eight countries encircling Russia or scheduled “U.S./NATO war games” in the region.

NATO’s expansion of military bases and interlocking U.S. dominated military commands with 28 NATO countries have been relabeled as a Russian campaign to expand its borders.

There are repeated warnings, without proof, about secret Russian agents, but little about CIA head Brennan’s visit to Kiev or the FBI agents and military advisers there.

Past Lies

U.S. imperialism has the world’s most powerful media, aimed during the buildup to war to saturate popular consciousness with justification for coming criminal actions. The challenge for corporate power in every war is that it must always hide with a saturation of slanders and non-facts repeated relentlessly this basic reality: Its endless wars are for profits, and the conquest and control of markets and resources.

The corporate media’s role is to set the terms of debate by using an unrelenting bias and a conscious distortion of even well-recognized facts, thus laying the ground for a fraudulent war provocation.

The Big Lie

The “Big Lie” that leads to military action is often exposed later, as with the fraudulent claim about “weapons of mass destruction” to justify the 2003 invasion of Iraq, the wild charges of “genocide” that were used to justify a “humanitarian” bombing of Serbia in 1999 or Libya 2011.

After a “Big Lie” has achieved its aim, historians, media talking heads and politicians may later complain that they were lied to. But no one is ever held accountable for lies that led to millions of deaths.

Even those who oppose the war, in an effort to sound objective, may allow the chorus of war propaganda to infect their consciousness and terminology. The most important role for the anti-war movement, regardless of its size, is to take action and refuse to give any credibility to the lies of the ruling-class media.

Majority in U.S. oppose war

This time the lie campaign is failing. Former Secretary of State Madeleine Albright, who sold the murderous Iraq sanctions and the bombing of Yugoslavia, criticized the U.S. corporate media for this failure to sell the conflict with Russia.

On April 30, she told an audience at the militarist, neocon think tank of “foreign policy and business leaders” called the Atlantic Council, “There is not enough of an explanation to the American people as to how important it is to deal firmly with Russia’s attacks on Ukraine. … I am very troubled by today’s poll published by the Wall Street Journal,” which confirms other surveys showing that “Americans want to worry about themselves” so that fewer than one-fifth of the U.S. population want more active U.S. “engagement in Ukraine.”

A USA Today/Pew Research Center Poll released on April 28 reported that the U.S. population opposed by more than 2 to 1 the idea of sending arms or military supplies to the Ukrainian government “to bolster its defenses against Russian forces.” So even with the most twisted, inaccurate and loaded wording on this poll, the best spin the media could put on these figures was that half the population would support economic sanctions.

The slipping position of U.S. imperialism and the growing hardships faced at home do not mean less media war propaganda, but more likely expanding it to a “Big Lie” to prepare for a serious war provocation.


=== 2 ===


GUILTY: Washington, Kiev responsible for Odessa massacre

By Greg Butterfield on May 6, 2014

May 4 — Imagine a gathering of diverse activists in a medium-sized U.S. city, representing low-wage workers, communities mobilizing against police brutality and radical organizations. It might be an Occupy Wall Street encampment, a civil rights rally or anti-war conference. You may have attended such events yourself.

Now imagine this gathering was attacked by a thousand members of the Ku Klux Klan, dispatched with government approval. Consider that the Klan members, armed with gasoline bombs, baseball bats and firearms, chased the unarmed activists into a union hall and set fire to the building.

Suppose dozens of activists died in the fire, while others were shot dead or beaten to death while trying to escape the inferno. What if police then arrested survivors and the media blamed them for the blaze, while the bigots responsible were allowed to escape?

How would the workers’ and progressive movements respond to such an atrocity?

This is the horrific scenario that played out in Odessa, Ukraine, on May 2.

Neo-Nazi gangs bused in from western Ukraine marched through the city, posing as sports fans going to a soccer match. They attacked local anti-fascist activists who tried to block them outside a shopping center.

The fascists set fire to the protest encampment set up by opponents of the U.S.-backed coup, forcing their unarmed opponents to retreat. Workers at the nearby House of Trade Unions opened their doors to shelter the activists.

Then the neo-Nazis attacked the trade union building, setting it ablaze. Paramilitary goons fired guns into windows, killing and wounding those attempting to escape. Some activists leaped from high windows and survived, only to be beaten to death on the ground.

In all, 46 anti-fascists were killed, most during the murderous attack on the trade union building. They included men and women, youths and seniors, activists and workers.

Photographs taken the following morning inside the trade union building show bodies charred beyond recognition, some having been shot, others suffocated or burned to death while half-hanging out of windows.

Some of the survivors were arrested. The killers were allowed to leave, to be used again another day.

On May 4, more than 1,000 courageous Odessans protested outside police headquarters and forced the authorities to release arrested anti-fascist protesters, including survivors of the attack on the trade union building. As they were released, the people chanted, “Heroes!”

Washington’s guilty silence

From the government of Russia to the European Left parliamentary group, angry messages of protest against the massacre and condolences for the people of Odessa poured in. But in Washington, there was silence — though President Obama did find time to praise Kiev’s attack on cities in the rebellious Donetsk region to “restore order.” So far, 13 unarmed activists and civilians in Slavyansk and 10 more in Kramatorsk have been killed in this latest offensive, falsely labeled “anti-terrorist.”

The corporate media have tied themselves in knots to avoid reporting the truth about Odessa. For example, a May 2 Reuters news agency report on the massacre never mentioned that those who died in the blaze were opponents of the Kiev regime, and only quoted pro-regime figures who blamed “Russian agents” for the violence.

Now, following lockstep with the latest fiction from Kiev, the media are trying to cast doubt on who set fire to the trade union building, or are even openly blaming the victims, despite ample video and photographic evidence of the fascist attack — much of it recorded and uploaded to the Internet by the fascists themselves!

Why are the media going to such lengths to cover up the truth?

Because the Kiev junta and its masters in Washington are responsible for the massacre.

The attack in Odessa was choreographed by Kiev. Police were deliberately withdrawn from the area of the fascist rampage to guard the Odessa headquarters of the Interior Ministry, headed by far rightist Arsen Avakov.

It also took place simultaneously with the fierce military assault on the city of Slavyansk.

Government leaders from both the Democratic and Republican parties were deeply involved in the planning and execution of the illegal February coup against the elected government. They have pushed their agents in the Ukrainian government to unleash neo-Nazi terror against the people of southeast Ukraine resisting the coup regime.

The U.S. has carried out a provocative military buildup in Eastern Europe and a propaganda war against Russia, blaming it for the anti-fascist rebellion sweeping southeast Ukraine.

Without even questioning its own support for the illegal Kiev junta, the U.S. has promised lavish loans, encouraged a multibillion-dollar IMF aid package and provided international political cover for Kiev.

Further, it was revealed by the German newspaper Bild am Sontag on May 4 that U.S. FBI and CIA agents are stationed in Kiev to “advise” the coup regime on its fight against the anti-fascist movement in the southeast.

This fits a long pattern of U.S. imperialist collaboration with fascist murderers to achieve its ends, from Indonesia to Chile to the former Yugoslavia.

‘Remember and fight’

Alex Albu, local coordinator of the leftist Union Borotba (Struggle), an elected member of the Odessa Regional Council, and candidate for mayor, was badly beaten while escaping the fire. Another Borotba member was shot in the stomach but survived.

Among those killed was Andrew Brazhevsky, a young Borotba member. His comrades report that Brazhevsky tried to escape the inferno by jumping from a high floor of the trade union building. He survived the fall, but was beaten to death by neo-Nazis waiting below to attack survivors.

“Andrew was a staunch communist, who devoted a lot of time to self-education, read the Marxist classics and modern leftist authors,” his comrades recalled. “The Odessa left remembers that this modest, intelligent guy tried not to miss a single political action, and has always been at the forefront.

“When the neo-Nazi forces came to power in Ukraine, Andrew enrolled in Odessa militias to defend their city from the Nazis. Unfortunately, that day the superiority of the forces was not on the side of the defenders of Odessa.

“Andrew, your death will not remain unavenged. Neo-Nazis are not masters in our cities, in our streets. We promise to remember you and fight.”

The criminal attack on Odessa by the fascist gangs has the potential to galvanize the people of southeast Ukraine to fight back with even more determination to destroy the fascist junta and push back U.S. imperialism’s drive to war against Russia.

It is the responsibility of workers and all progressive forces in the U.S. to tell the truth about what happened in Odessa, and to stop the imperialists from carrying out further war crimes against the people of Odessa, Ukraine and Russia.


=== 3 ===


UKRAINE: U.S. behind attacks on resistance

By Fred Goldstein on May 6, 2014

May 4 — U.S. imperialism has orchestrated and approved a new military offensive against the anti-Kiev resistance in towns and cities of the populous, industrial region of eastern Ukraine. This is playing with fire.

The offensive included an unspeakable massacre in Odessa, attacks on defenseless checkpoints around towns and cities, sudden helicopter raids and indiscriminate killing of civilians.

This offensive, underway now, aims at pumping some credibility into the discredited, illegal junta that Washington put in power by unleashing fascist violence against the elected Viktor Yanukovich government. These same fascists just carried out the Odessa massacre.

Besides trying to damage the resistance, the offensive is also aimed at provoking Russia’s government, which has repeatedly warned against launching violent attacks on the popular forces in Ukraine’s east.

Washington’s aim is to goad Russia into countermeasures that could serve as a pretext for a further escalation, either by wider sanctions, increased military pressure or both.

Aim is to stop incipient dual power

A more fundamental way to view this latest U.S.-backed “anti-terrorism offensive” is that it is a desperate attempt to break the momentum of a developing, incipient dual power in Ukraine’s southeastern region — especially to undermine the planned May 11 referendum in the east on federalization and autonomy.

This prospect became frighteningly evident to Washington after Kiev’s first offensive ended in ignominious collapse. The coup regime sent two columns of tanks and armored personnel carriers to oust the armed popular forces occupying government buildings. Local anti-Kiev authorities were widely supported by the population, who greeted the armored columns and prevailed upon them to refuse to attack their own people.

The result: Tanks, armored personnel carriers and ammunition were at day’s end in the hands of the resistance in Donetsk and Slovyansk. The Kiev putschists’ authority totally dissolved in the area. Two poles of authority were developing:  Kiev’s putschists, backed by imperialism and fascist forces, on one side; the resistance on the other. In a growing number of cities and towns of the Donetsk and Luhansk regions the anti-Kiev and anti-fascist forces had established local authority.

This first April 12 offensive came after a visit to Kiev by CIA head John Brennan. His strategy failed and his advice came to naught. The defeat was not only Kiev’s, but Washington’s.

The collapse of this offensive gave further impetus to the resistance, which took over more cities and towns.

This latest May 2 offensive, while inflicting some losses on the side of the resistance, has so far left the strategic centers under control of popular forces.

To get beyond the lying propaganda in nearly all the capitalist media — including the New York Times itself — that government officials and politicians were spouting daily,  and to better understand these popular forces, the Times sent two of its reporters to Slovyansk to get a real assessment of the forces on the ground.

Their article in the Times of May 3 focused on a key unit of military defense in Slovyansk — the 12th Company of the Peoples Militia of the Donetsk People’s Republic. Its commander was an “ordinary eastern Ukrainian” named Yuri, who was a former Soviet special forces commander in Afghanistan. He served four years in Kandahar fighting counterrevolutionaries who eventually overthrew the pro-socialist government in Kabul.

After all the propaganda insisting that Russian forces were behind the rebellion in the east, the reporters were forced to conclude that “the rebels of the 12th Company appear to be Ukrainian” who were veterans of the Soviet, Russian or Ukrainian armies.  They share a “passionate distrust of Ukraine’s government and the western powers that support it.”

The fighters shook their heads when asked if they were paid by Russia or the oligarchs to fight. “This is not a job. It is a service,” said a fighter named Dmitri. If Russia were behind them, they would have new weapons. The weapons they have were “taken from police buildings and a column of captured Ukrainian armored vehicles or bought from corrupt Ukrainian soldiers.”

The unit has widespread popular support. It has a network of spotters who track Ukrainian armed forces and fascists.  The Times reporters witnessed a crowd laboring to build a barricade and a bunker beside a bridge over a canal.

The population feeds them with healthful food. A volunteer’s mother set up a company kitchen, stocked by the people. There are barracks in a garage and an armory in a shed. The local police accept the militia’s authority and go about their patrols normally.

The fighters denounced the fascists and right wing in Kiev because “in western Ukraine they showed their faces: Nazis, fascist. … They destroyed monuments to Lenin, attacked our history.”

This is a clear picture in microcosm of incipient dual power. The anti-Kiev forces still have no central regional body to represent them politically. They have no centralized, regional military command yet, nor have they agreed upon common political demands. There is a long way to go.

But these obstacles can be overcome in time. If they succeed in holding the May 11 regional referendum in the east on federation, this can be a step toward regional autonomy or even regional separation.  This is precisely what imperialism and its right-wing stooges in Kiev are trying to forestall, disrupt and destroy, by any means necessary.

Where are the ruling class ‘doves’?

Just days before this second offensive, Secretary of State John Kerry declared at the Atlantic Council, “We will defend every inch of NATO territory.” In almost the same breath he mentioned Ukraine.

In fact, no NATO nation is under attack or under threat by Russia or anybody else. So this belligerent statement implied that NATO had military responsibility for Ukraine. By using ambiguous language, Kerry had virtually inducted Ukraine into NATO for purposes of military defense, without actually saying so.

This was a highly provocative pronouncement by the U.S. secretary of state. It was preceded by a statement from the Obama administration that its new doctrine was the “containment of Russia” and an end to dealing with the Putin administration.

The lack of any opposition to these provocations from any significant quarters in the U.S. ruling class is telling and ominous.

In fact, the present scenario is reminiscent of the run-up to the U.S. war on Iraq. The most adventurous sectors of the capitalist state and the political establishment seized the initiative to push U.S. imperialism’s aggressive expansion. President George W. Bush was backed by Vice President Dick Cheney, Secretary of Defense Donald Rumsfeld and Assistant Secretary of Defense Paul Wolfowitz as they engineered the invasion and occupation of Iraq.

They promoted the doctrine of “preemptive warfare.” They lied repeatedly about Iraq’s “weapons of mass destruction.” “Shock and awe” followed, and U.S. troops marched to Baghdad and accomplished the overthrow of Saddam Hussein. The Bush administration predicted that the war would be over and Iraq reorganized in three to six months.

Eight years of violent U.S. occupation and the current unstable puppet regime themselves document the strategic blunders and monumental miscalculations of the Bush administration.

In the same way, the adventurist wing of the present U.S. capitalist state seems to be running U.S. policy in Ukraine. These elements engineered the seizure of the government in Kiev and dragged Ukraine into the EU and closer to NATO. They thought the Feb. 22 Kiev coup would end the conflict. But, as with the invasion of Iraq, it was just the beginning.

The differences between 2003 and 2014 are two-fold. First, the stakes involved in a conflict with Russia are potentially far greater than in the Iraq occupation. Second, the ruling class, the political establishment and its brain trust have all lined up and are marching in lock step behind the new war drive without even a discussion. This contrasts with the fears expressed in the ruling class before the war on Iraq, especially after the massive anti-war demonstrations of January and February 2003, before the March invasion.

In the past decade, the political moderates who might have been expected to express alarm over the present belligerent posture toward Russia have either retired or been pushed out of most of the significant political and administrative positions in the state. To be sure, no moderate ruling-class opposition ever stopped an imperialist war. But open debate in the ruling class can awaken the masses to the danger and help give impetus to an anti-war movement.

The working class must be made aware of the potential danger of the current situation, and the movement must mobilize without waiting for a bourgeois imperialist opposition, which may not develop until the direct conflict with Russia sharpens. The time to fight against this war is now.

Fred Goldstein is the author of “Low-Wage Capitalism” and “Capitalism at a Dead End,” which has been translated into Spanish as “El capitalismo en un callejón sin salida.” Website and blog: lowwagecapitalism.com


=== 4 ===

Dieser Text auf deutscher Sprache:
"Faschistische Freiheitskämpfer" (GFP 12.05.2014)
Das Erstarken faschistischer Kräfte in der Ukraine unter der Ägide des Kiewer Umsturzregimes führt zu Rückwirkungen bei dessen deutschen Unterstützern. In München beginnt eine Debatte über die Ehrung eines ukrainischen Holocaust-Befürworters…
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58863



"Fascist Freedom Fighters"
 
2014/05/12
BERLIN/KIEV/MUNICH
 
(Own report) - The reinforcement of fascist forces in Ukraine, under the aegis of the putsch regime in Kiev, is having repercussions on its German supporters. The commemoration of a Ukrainian supporter of the Holocaust has ignited a debate in Munich. The "question" is being raised in the press, whether the commemoration of "a fascist freedom fighter"[sic!] should be publicly honored. Kiev's Minister of Education, a graduate of Munich's "Ukrainian Free University," takes up the defense of the supporter of the Holocaust in the German media. The fascist "Pravy Sektor" ("Right Sektor") militia is intensifying its relations with rightwing extremists in several European countries, including Germany. The organization that had participated in the Odessa Massacre has ties to violence-prone neo-Nazis in Sweden as well as to Germany's NPD. Whereas the leader of this organization insists he is working closely with Ukraine's official repressive authorities, the media is reporting that these authorities are also supported in their brutal repressive measures ("anti-terror operations") against the insurgents in Eastern and Southern Ukraine by the CIA and FBI. Evidence of a BND involvement remains unconfirmed.
Should a Fascist be Commemorated?
In Munich, a hub of Ukrainian exile activities in the post-World War II period,[1] a public debate has erupted around the memorial plaque for Yaroslav Stetsko, one of the leaders of the Organization of Ukrainian Nationalists (OUN). The plaque has been installed at the former address of the OUN headquarters, in Munich's Zeppelinstr. 67, by former Ukrainian President, Viktor Yushchenko during his incumbency (2005 - 2010). This was part of his efforts to reinforce the cult around the fascist OUN, the Ukrainian Partisan Army (UPA) and their leaders.[2] Stetsko, who, after the war, was working out of the OUN headquarters in Munich, is, today, one of the people held in high esteem in West Ukraine. The Svoboda Party still propagates his "two revolutions" theory, developed in the 1930s - a "national" and a "social" revolution, which must be combined. In 1941, Stetsko declared that "the Jews must be exterminated and, it would be expedient to introduce the German extermination methods in Ukraine." (german-foreign-policy.com reported.[3]) In Munich, the local district council has now commissioned an expert assessment of the public commemoration of a supporter of the Holocaust in its district. "The question is," according to the "Süddeutsche Zeitung" "whether a fascist freedom fighter[sic!] should be publicly commemorated?"[4]

"No Anti-Semitism"
The "Süddeutsche Zeitung's" article indicates that the OUN and its leaders, such as Stetsko, are not only widely acclaimed in Ukrainian organizations in Germany, but also within the putsch regime in Kiev, even among ministers, who are not in the notorious Svoboda Party. As evidence, the article quotes Serhiy Kvit, "Minister of Education" in the putsch regime. Kvit calls Stetsko's autobiography, containing his plea for adaptation of the "German methods of Jewish extermination," a "counterfeit document," alleging that the OUN, whose activists had participated in a considerable number of massacres of Jews, "had nothing to do" with anti-Semitism.[5] Kvit had been active in the 90s in extremist rightwing organizations, for example, in the "Congress of Ukrainian Nationalists" (CUN), a fascist conglomerate, organized in part by Stetsko's widow, Yaroslava. Yaroslava, who had been a UPA member, had worked alongside her husband in their Munich exile, and has also been honored in Munich with a commemorative plaque. (german-foreign-policy.com reported.[6]) Kvit later embarked on a scholarly carrier. In 2001, he received his PhD at Munich's "Ukrainian Free University," where OUN veterans had been active for a long time, and in 2007, was named President of the Kiev Mohyla Academy National University, until he was recently named "Minister of Education" in the putsch regime.

"Enemy of Ukraine"
Two years ago, Kvit, for example, helped create a confrontation with Grzhegorz Rossolinski-Liebe, a historian from Berlin. Rossolinski-Liebe, the author of a dissertation on OUN leader, Stepan Bandera, scheduled to be published this fall, had been invited to Ukraine for a speaking tour, in early 2012. Six talks were on the schedule - two in Lviv, two in Dnipropetrovsk and two in Kiev. There were protests against Rossolinski-Liebe because of his being a known Bandera critic. In Lviv, the organizers were unable to acquire a venue, reported the historian later. Of the four other speaking engagements, three had been cancelled on short notice. Some of the cancelations had been directly traceable to interventions made by the Svoboda Party, because of his criticism of Bandera. Whoever expresses such criticism is considered - at least in the West, and even in some regions of Central Ukraine - "an enemy of Ukraine or a traitor." One university professor confirmed to him that "in Ukraine, historians cannot openly speak about history." In response to his suggestion that a memorial be erected to the victims of the Lviv Pogroms of 1918 and 1941, "scholars from Lviv ... said he was crazy." Even the president of the Kiev Mohyla Academy National University, at the time, Serhiy Kvit, angrily attacked him and refused him the possibility to deliver his talk.[7] Kvit is considered a follower of the publicist Dmytro Dontsov, who is credited with the creation of an "indigenous Ukrainian fascism."[8] Dontsov had translated Hitler, Mussolini and others into Ukrainian.

Under Police Protection
From Rossolinski-Liebe's report, one learns also that the German Embassy in Kiev was completely cognizant of the situation - and therefore knew also about the dramatic growth in influence of Ukraine's Bandera followers. When he received a telephone call from a man, identifying himself as a militiaman, saying he would drop by, Rossolinski-Liebe says that "the German Embassy ... made arrangements for me to move into an apartment of an embassy employee, where I would be safe." Of the six scheduled lectures, he was only able to hold the lecture in the German Embassy, "under militia protection" - "about 100 Svoboda followers were demonstrating outside."[9] Nearly two years later, to the day, German Foreign Minister Frank-Walter Steinmeier (SPD) invited Oleh Tiahnybok, the leader of Svoboda, to the German Embassy in Kiev for talks. One result - Svoboda is now represented in the putsch regime.[10]

National Heroes
Many of the Pravy Sektor activists, who participated in the May 2, Odessa Massacre and the May 9, massacre in Mariupol had come from the ultra-nationalistically charged milieus, particularly those in West Ukraine. The armed organization, playing a major role in overthrowing the Yanukovich government, originated as an alliance of rightwing extremist groups.[11] In the meantime, it has developed good contacts to numerous extremist rightwing associations throughout Europe. Pravy Sektor's press attaché, Olena Semenyaka, reported that she could not attend the March 22 Young National Democrates's (JN) "Europe Congress" of the German NPD's youth association, in Thuringia, only because of a conflict with other scheduled engagements. The Swedish Nordisk Ungdom neo-Nazi organization, which, according to Semenyaka, financially supports the Pravy Sektor, had attended the NPD congress, along with the Svenskamas Party, some of whose activists had also participated in the violent Maidan riots. In March, one of those Maidan participants stabbed a leftist in Malmo, soon after returning from Kiev. Charged with attempted murder, he has been on the run since.[12] Recently, Semenyaka gave an interview to the NPD party's "Deutsche Stimme" journal. In the course of her interview, she boasted that at the Maidan, "ultra-nationalists" became transformed into "national heroes." The Pravy Sektor is a "great partisan movement," she boasted.

CIA, Blackwater, BND?
Meanwhile, German forces further to the right than the NPD are showing a growing interest in the Pravy Sektor. In April, the ultra-right online platform "Blaue Narzisse" (Blue Daffodil) published an interview with Olena Semenyaka. She emphasized that "even modern Nazi sympathizers will find their place in our broad ranks" and explained that the Pravy Sektor's most important current task is to "liberate" Ukraine "from collaborators, separatists and marionettes of Russia and the West."[13] As a matter of principle, the Pravy Sektor coordinates its operations with the respective Ukrainian authorities, according to its leader Dmitro Yarosh. "Our battalions are integrated into the new territorial defense," explains Yarosh. "We have very close contacts to the secret service and the military staff. We really have good relations with everyone, except the police."[14] Yarosh has already been closely cooperating with the head of the National Security Council Andriy Parubiy to overthrow the Yanukovych government. Parubiy, a leader of the extreme right in the 1990s, was considered, last winter, the "commander of the Maidan." Today, he is organizing the regime's "anti-terror missions" in Eastern and Southern Ukraine. US specialists from the CIA and FBI are serving as "advisors" and - according to reports - 400 elite soldiers from the US mercenary company "Academi" (formerly "Blackwater") are providing operational support.[15] It is not yet clear, whether the BND is also involved in the Ukrainian "anti-terror mission." However, what is known, is that the German military observers, who had been held in Slavyansk in late April, were in contact with the BND.[16] The German government is refusing any further information.

[1] See "Ein Sammelpunkt der OUN".
[2] See Juschtschenkos Mythen and "Scientific Nationalists".
[3] See Alte, neue Verbündete.
[4], [5] Ukrainischer Exilant von zweifelhaftem Ruf. www.sueddeutsche.de 08.05.2014.
[6] See Alte, neue Verbündete.
[7] "Es ist tabu, heikle Themen an der Uni zu diskutieren". junge Welt 09.03.2012.
[8] Per Anders Rudling: The Return of the Ukrainian Far Right: The Case of VO Svoboda. In: Ruth Wodak, John E. Richardson (Hg.): Analyzing Fascist Discourse: European Fascism in Talk and Text, 228-255. London 2013. Online-Zugang: www.routledge.com/books/details/9780415899192/
[9] "Es ist tabu, heikle Themen an der Uni zu diskutieren". junge Welt 09.03.2012.
[10] See Vom Stigma befreit.
[11] See On the Offensive and The Kiev Escalation Strategy.
[12] See Die Dynamik des "Pravy Sektor".
[13] Der Bürgerkrieg des Rechten Sektors. www.blauenarzisse.de 04.04.2014.
[14] Nationalistenführer Jarosch: "Jeder Ukrainer soll eine Schusswaffe tragen dürfen". www.spiegel.de 23.04.2014.
[15] Russische Luftwaffe verletzte absichtlich den Luftraum der Ukraine. www.bild.de 10.05.2014.
[16] Bundeswehrinspektoren vom BND beraten. www.sueddeutsche.de 05.05.2014. See An Unusual Mission.





Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus aderisce ed invita tutti/e a partecipare numerosi al presidio che si terrà in Via Guido D'Arezzo a Roma sabato 17 maggio 2014

http://giuliettochiesa.globalist.it/Detail_News_Display?ID=103360&typeb=0&Contro-la-guerra-nel-cuore-dell-Europa-a-fianco-dell-Ucraina-antifascista

Contro la guerra nel cuore dell’Europa, a fianco dell’Ucraina antifascista! 

A Odessa un’orda nazista ha trucidato oltre 50 cittadini ucraini di origine russa. Disarmati. Lo ha fatto con i metodi nazisti del pogrom: bruciare, uccidere, non lasciare via di scampo alle vittime.

I media, all’unisono, hanno deformato la notizia fino a renderla irriconoscibile. Questa falsificazione è funzionale a coprire le responsabilità degli Stati Uniti e dell’Unione europea, che appoggiano il governo golpista di Kiev, da essi portato al potere.

Noi, cittadini italiani di una repubblica antifascista ormai solo di nome, siamo parte involontaria di questa mostruosa tragedia e di questo ritorno al passato. Lo siamo in quanto membri della NATO e alleati degli Stati Uniti. Non a caso il ministro della Difesa italiano, non pago delle violazioni che in questi ultimi due decenni hanno ripetutamente sfigurato l’articolo 11 della nostra Costituzione, è stato il primo a dichiararsi disponibile per un’ennesima sciagurata missione militare, stavolta in Ucraina.

Possiamo tacere? Se lo faremo, saremo complici.

Sono altissime, purtroppo, le probabilità che, nelle prossime settimane, quelle che ci separano dal voto ucraino del 25 maggio, possano verificarsi eventi ancora più sanguinosi, mentre la crisi tra Russia e Occidente rischia di scivolare in conflitto aperto.

Chiediamo a tutte e tutti coloro che condividono i valori della democrazia e della pace, che vogliono battersi contro la guerra, di partecipare a una manifestazione nazionale di protesta e di lutto. Chiediamo che lo si faccia insieme e subito. Con urgenza, sabato 17 maggio, a Roma.

E’, questo, un appello perché ci si riunisca in segno di lutto e di vergogna, per questa Unione europea senza vergogna. Diamo una risposta collettiva, grande, dignitosa, al fianco dell’Ucraina antifascista, contro l’escalation bellica nel cuore dell’Europa.

LA MANIFESTAZIONE E’ CONVOCATA, DUNQUE, SABATO 17 MAGGIO ALLE ORE 18.00 CIRCA, NEI PRESSI DELL’AMBASCIATA DELL’UCRAINA A ROMA, VIA GUIDO D’AREZZO, VICINO A PIAZZA VERDI, ZONA PARIOLI E SI TERRA’ DOPO IL CORTEO IN DIFESA DELL’ACQUA PUBBLICA, AL QUALE SI PARTECIPERA’.

Per aderire all’Appello : info@...


Promotori

Giulietto Chiesa – presidente “ Alternativa”, fondatore Pandora TV
Valentino Parlato – giornalista
Matteo Gaddi – coordinatore nazionale RSU “ CONTRO LA LEGGE FORNERO”
Mariella Cao- Comitato “Gettiamo le Basi”, Sardegna
Cesare Procaccini – segretario nazionale PdCI
Paolo Ferrero – segretario nazionale PRC
Fabio Amato – responsabile Dipartimento Esteri PRC, candidato Lista Tsipras
Fausto Sorini – responsabile Dipartimento Esteri PdCI
Ciro D’Alessio – operaio RSA- FIOM-CGIL Pomigliano D’Arco
Oliviero Diliberto – docente di Diritto Romano Facoltà “ La Sapienza” di Roma – già segretario nazionale PdCI
Claudio Grassi – direzione nazionale PRC
Piergiovanni Alleva – giuslavorista, FIOM, candidato Lista Tsipras
Domenico Losurdo – filosofo, presidente nazionale Associazione “ Marx 21”
Bruno Steri – Comitato Politico nazionale PRC, direttore di “Essere Comunisti”
Angelo D’Orsi – storico del pensiero politico, Università di Torino
Antonio Mazzeo – Movimento “no Muos” – Sicilia, candidato Lista Tsipras 
Fosco Giannini – già senatore della Repubblica, direzione nazionale PdCI
Sergio Cararo e Marco Santopadre - segreteria nazionale Rete dei Comunisti
Nicola Nicolosi – CGIL nazionale
Nicola Cipolla – presidente CEPES
Stefano Vinti – assessore regionale PRC, Umbria
Raffaele Bucciarelli – presidente Gruppo Federazione della Sinistra Consiglio Regionale Marche
Giampaolo Patta – CGIL nazionale , esponente sinistra sindacale 
Manlio Dinucci – saggista, giornalista de il Manifesto
Vladimiro Giacchè – economista
Luca Cangemi – docente, Catania, Comitato Politico Nazionale PRC
Gianmarco Pisa – segretario ITRI ( Istituto Italiano Ricerca per La Pace) 
Patrick Boylan – Roma No War
Angelo Baracca – fisico , docente Università di Firenze
Gordon M. Poole – docente letteratura americana Università “Orientale” di Napoli
Guido Oldrini – filosofo
Guido Liguori – docente di storia del pensiero politico Università della Calabria , presidente IGS Italia
Bassam Saleh’ – giornalista palestinese
Nico Perrone – già docente di Storia dell’America, Università di Bari
Franco Cardini – storico
Nicolò Ollino – Comitato Politico Nazionale PRC, candidato Lista Tsipras
Marino Severini – “voce” e chitarra de La Gang
Fabio Marcelli - giurista, CNR
Andrea Catone – storico del movimento operaio, direttore di “ Marx 21”
Alfio Nicotra, giornalista
Maurizio Musolino – segreteria nazionale PdCI
Luigi Vinci – già capogruppo al Parlamento europeo – condirettore di “Progetto e Lavoro”
Gianni Fresu – storico del movimento operaio
Simona Lobina – PRC Sardegna , candidata Lista Tsipras
Manuela Palermi – presidente Comitato Centrale PdCI
Emiliano Franzina- storico- Università di Verona
Milena Fiore – video maker , collaboratrice archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico 
Alessandro Hobel – storico del movimento operaio
Luigi Marino – già senatore della Repubblica
Mauro Gemma – direttore di Marx21.it
Flavio Pettinari – amministratore della pagina FB “ Con l’Ucraina antifascista”
Wasim Damash – docente di letteratura e lingua araba Università di Cagliari
Ada Donno – associazione Donne Regione Mediterranea
Enrico Vigna - Centro Iniziativa Verità e Giustizia
Federico Martino – docente di diritto , Università di Messina






http://www.sinistrainrete.info/europa/3668-vladimiro-giacche-euro-e-austerity-la-tenaglia-che-ci-stritola.html

Euro e Austerity: la tenaglia che ci stritola


Vladimiro Giacchè


Credo che il primo dovere nei confronti di noi stessi sia quello della chiarezza.

In primo luogo sulla gravità della situazione. Il nostro paese ha perso, dall’inizio della crisi, poco meno del 10% del prodotto interno lordo, il 25% della produzione industriale, il 30% degli investimenti. A chi paventa catastrofi nel caso di un’eventuale fine dell’euro va risposto che al punto in cui siamo l’onere della prova va rovesciato, perché la catastrofe c’è già. E la prima cosa da fare è di comprendere come ci siamo finiti e cosa fare per uscirne.

Ci troviamo, molto semplicemente, nella peggiore crisi dopo l’Unità d’Italia: peggiore di quella del 1866, e peggiore di quella del 1929 (Rapporto CER n. 2/2013).

Peggiore per tre motivi: perché il livello di prodotto pre-crisi – che negli altri casi era già stato recuperato dopo 6 anni– in questo caso non sarà recuperato neppure in 10 anni; perché gli indicatori di cui disponiamo non segnalano alcun miglioramento significativo della situazione (al contrario, quanto alla disoccupazione, essi ne prevedono un ulteriore aumento nel corso del 2014). E anche perché la situazione attuale è caratterizzata da due elementi di rigidità che privano il nostro Paese di margini di manovra.

 

Il primo vincolo – quello rappresentato dall’appartenenza alla moneta unica – impedisce ogni autonoma politica monetaria e ogni recupero di competitività tramite la svalutazione della moneta.

Il secondo elemento di rigidità – quello dei vincoli di bilancio – impedisce ogni politica anticiclica, per non parlare poi di una politica industriale. Osservo en passant che il modello tedesco, continuamente invocato quando si tratta di precarizzare il mercato del lavoro sul modello dell’Agenda 2010 di Schröder, viene completamente trascurato quando si parla di politiche anticicliche. E sì che con 70 miliardi di euro utilizzati per rilanciare il settore manifatturiero tra 2008 e 2009, la Germania (che in quei due anni aveva perso all’incirca la stessa quota di prodotto perduta dall’Italia) costituisce un caso di scuola in fatto di utilizzo massiccio di politiche di deficit spending in funzione anticiclica…

I vincoli di bilancio hanno conosciuto un aggravamento negli ultimi tre anni anche rispetto a quanto fu previsto a Maastricht. In particolare, la regola relativa alla necessità di ridurre la parte di debito che eccede il 60% del pil nella misura del 5% annuo è una regola che nel Trattato di Maastricht non c’era, e non per caso: era infatti ben chiaro ai negoziatori degli altri Paesi che l’Italia non avrebbe potuto accettare un obbligo di riduzione del debito di queste proporzioni. Questo vincolo è invece stato introdotto nel 2011, nel bel mezzo della peggiore crisi economica globale dagli anni Trenta.

Stretti tra il vincolo monetario e quello delle politiche di bilancio, i governi non hanno alcun margine di manovra. Possono solo accettare la corsa al ribasso sui salari (ossia la svalutazione interna), che però – come si è visto in questi ultimi anni – ha l’effetto di far crollare la domanda interna, e quindi di ridurre, prima, e distruggere, poi, capacità produttiva, a evidente beneficio di produttori localizzati in altri paesi. La verità è che “di fatto, l’austerità fiscale ha collocato l’economia europea su un equilibrio di sottoccupazione” (Rapporto CER 4/2013, p. 7).

Se i vincoli di bilancio dal 2011 in poi si sono fatti più severi e stringenti, anche il vincolo monetario si fa sempre più soffocante, a dispetto dei bassi tassi d’interesse BCE. Per 3 motivi: 1) perché l’euro è sopravvalutato sul dollaro, 2) perché allo stesso annuncio dell’OMT da parte di Draghi, dopo la sentenza di Karlsruhe, sarà molto difficile dare seguito concreto in caso di necessità (ne ha scritto molto bene Gianluigi Nocella: http://re-vision.info/2014/02/in-attesa-di-condanna/ ); 3) infine, perché sul nostro paese incombe la deflazione; la quale, a differenza dell’inflazione, aumenta il valore reale del debito in essere e ne può rendere insostenibile il peso anche in tempi molto brevi.

Per questi motivi lo stesso assottigliarsi dello spread Bund/Btp non deve ingannare: esso infatti è il prodotto della politica di quantitative easing della Fed da un lato, dei flussi di capitale in uscita dai fondi obbligazionari specializzati inemerging markets dall’altro. Si tratta in entrambi i casi di dinamiche che potrebbero facilmente e rapidamente mutare di segno.

Anche perché non si è affatto invertito il processo di balcanizzazione finanziaria in Europaossia la risegmentazione dei mercati finanziari e il loro ridisegnarsi secondo linee coincidenti con i confini nazionali. Si tratta del pericolo numero uno per l’euro, assieme alla crescente divergenza tra le economie dell’eurozona. Un processo caratterizzato dal rimpatrio dei crediti effettuati dalle banche tedesche e francesi nei confronti degli altri paesi dell’eurozona, e conseguentemente dall’aumento della quota di titoli pubblici di questi paesi in mano alle banche domestiche. Nel caso delle banche tedesche, le esposizioni nei confronti dei Paesi periferici dell’eurozona è passata in pochi anni da esposizioni per 520 miliardi di euro verso i Paesi periferici dell’eurozona a esposizioni pari a 214 miliardi (dato di novembre 2013).

La ratio dell’Unione Bancaria, la vera posta in gioco con la sua costruzione, consiste nella possibilità di invertire questo processo. Ma purtroppo, per i difetti della sua attuale configurazione (ritagliata sulle esigenze delle banche tedesche e sulla necessità di proteggerne il maggior numero possibile dall’esame della BCE), non sembra in grado né di ridurre entro termini ragionevoli il rischio sistemico, né di costituire una diga efficace alla balcanizzazione finanziaria. Con quello che ne consegue anche per quanto riguarda le prospettive di sostenibilità del nostro debito pubblico.

Più in generale, C.M. Reinhart e K.S. Rogoff ritengono che in base all’esperienza storica l’ottimismo dei governanti europei circa la possibilità di uscire dal debito “per mezzo di un mix di austerity, forbearance e crescita” sia ingiustificato. E che, al contrario, “il finale di partita della crisi finanziaria globale probabilmente richiederà una qualche combinazione di repressione finanziaria (una tassa occulta sui risparmiatori), vera e propria ristrutturazione del debito pubblico e privato, conversioni, inflazione molto più elevata, e misure varie di controllo dei capitali” (C.M. Reinhart e K.S. Rogoff, Financial and Sovereign Debt Crises: Some Lessons Learned and Those Forgotten, IMF Working Paper, dicembre 2013, pp. 3-4).

Se riflettiamo su queste parole, possiamo intendere come molti dibattiti italiani su questi temi siano fuori centro e fuori tempo.

Si invoca lo spettro dell’inflazione (che riduce il valore reale del debito) quando invece siamo prossimi alla deflazione (che lo aumenta).

Oppure si invoca lo spettro della svalutazione della moneta quando, semmai, il vero problema oggi è la svalutazione interna: perché stiamo già svalutando, e pesantemente, i salari (la qual cosa, sia detto di passaggio, è precisamente quello che ci viene chiesto quando si parla di “riforme strutturali”).

L’errore, qui, è quello di pensare con le categorie e con le priorità degli anni Settanta e Ottanta in uno scenario completamente cambiato, i cui elementi di pericolo sono completamente differenti.

Rigidità delle politiche di bilancio e rigidità del cambio sono difficilmente sostenibili di per sé. Ma soprattutto sono insostenibili contemporaneamente. La conseguenza è molto semplice: o salterà l’una, o salterà l’altra.

O sapremo conquistarci maggiori margini di manovra effettivi sui conti pubblici, e al tempo stesso imporre anche alla Germania la politica espansiva in termini di domanda interna che sinora si è rifiutata di attuare (senza la quale ogni espansione della nostra domanda interna riproporrebbe una situazione di squilibrio della bilancia commerciale), o procederemo verso l’implosione dell’eurozona. Ma, prima ancora, verso la distruzione della nostra capacità produttiva e della nostra economia.

L’unico modo per conquistare quei margini di manovra è porre radicalmente in discussione gli ultimi Trattati e accordi europei: quelli dal marzo 2011, ossia dal Trattato Europlus in poi. Altrimenti, non resta altra strada che l’abbandono della moneta unica. Non ci sono altre vie: in particolare, non sarebbe praticabile né utile la strada di un approfondimento del processo di integrazione europeo anche da un punto di vista politico. Infatti, se non si interviene prima sull’impianto neoliberistico/mercantilistico che impronta di sé i Trattati dall’Atto Unico Europeo dal 1986 in poi – e che fa sì che la competizione tra paesi in Europa sia necessariamente tutta giocata sulla concorrenza al ribasso sulla protezione del lavoro e sulla fiscalità per le imprese – ogni ulteriore passo avanti verso l’integrazione politica rischierà inevitabilmente di rappresentare la blindatura istituzionale, tendenzialmente autoritaria, di un assetto sociale ingiusto e insostenibile.

Una citazione per finire:

Quest’area monetaria rischia oggi di configurarsi come un’area di bassa pressione e di deflazione, nella quale la stabilità del cambio viene perseguita a spese dello sviluppo dell’occupazione e del reddito. Infatti non sembra mutato l’obiettivo di fondo della politica economica tedesca: evitare il danno che potrebbe derivare alle esportazioni tedesche da ripetute rivalutazioni del solo marco, ma non accettare di promuovere uno sviluppo più rapido della domanda interna.

Sono parole tratte dal discorso parlamentare con il quale Luigi Spaventa motivò il voto contrario del PCI all’ipotesi di adesione dell’Italia allo SME. Era il 12 dicembre 1978. Il rischio che Spaventa lucidamente aveva individuato si è concretizzato: le sue parole, purtroppo, descrivono alla perfezione la situazione attuale dell’Europa.

È questa la catastrofe in cui già siamo e da cui dobbiamo uscire. Prima che sia troppo tardi.