Jugoinfo


L’arte della guerra
Il Libro (del golpe) Bianco 

Manlio Dinucci
  
Mentre i riflettori mediatici erano puntati su Sanremo, dove si è esibita anche la ministra della Difesa Roberta Pinotti cantando le lodi delle missioni militari che «riportano la pace», il Consiglio dei ministri ha approvato il 10 febbraio il disegno di legge che consentirà l’implementazione del «Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa» a firma della ministra Pinotti, delegando al governo «la revisione del modello operativo delle Forze armate». 

Revisione, in senso «migliorativo», di quello attuato nelle guerre cui l’Italia ha partecipato dal 1991, violando la propria Costituzione. Dopo essere passato per 25 anni da un governo all’altro, con la complicità di un parlamento quasi del tutto acconsenziente o inerte che non lo mai discusso in quanto tale, ora sta per diventare legge dello Stato. Un golpe bianco, che sta passando sotto silenzio. 

Alle Forze armate vengono assegnate quattro missioni, che stravolgono completamente la Costituzione. La difesa della Patria stabilita dall’Art. 52 viene riformulata, nella prima missione, quale difesa degli «
interessi vitali del Paese». Da qui la seconda missione: «contributo alla difesa collettiva dell’Alleanza Atlantica e al mantenimento della stabilità nelle aree incidenti sul Mare Mediterraneo, al fine della tutela degli interessi vitali o strategici del Paese»

Il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, stabilito dall’Art. 11, viene sostituito nella terza missione dalla  
«gestione delle crisi al di fuori delle aree di prioritario intervento, al fine di garantire la pace e la legalità internazionale»

Il Libro Bianco demolisce in tal modo i pilastri costituzionali della Repubblica italiana, che viene riconfigurata quale potenza che si arroga il diritto di intervenire militarmente nelle aree prospicienti il Mediterraneo – Nordafrica, Medioriente, Balcani – a sostegno dei propri interessi economici e strategici, e , al di fuori di tali aree, ovunque nel mondo siano in gioco gli interessi dell’Occidente rappresentati dalla Nato sotto comando degli Stati uniti. 

Funzionale a tutto questo è la Legge quadro entrata in vigore nel 2016, che istituzionalizza le missioni militari all’estero, costituendo per il loro finanziamento un fondo specifico presso il Ministero dell’economia e delle finanze. 

Infine, come quarta missione, si affida alle Forze armate sul piano interno la «salvaguardia delle libere istituzioni», con «compiti specifici in casi di straordinaria necessità ed urgenza», formula vaga che si presta a misure autoritarie e a strategie eversive. 

Il nuovo modello accresce fortemente i poteri del Capo di stato maggiore della difesa anche sotto il profilo tecnico-amministrativo e, allo stesso tempo, apre le porte delle Forze armate a «dirigenti provenienti dal settore privato» che potranno 
ricoprire gli incarichi di Segretario generale, responsabile dell’area tecnico-amministrativa della Difesa, e di Direttore nazionale degli armamenti. Incarichi chiave che permetteranno ai potenti gruppi dell’industria militare di entrare con funzioni dirigenti nelle Forze armate e di pilotarle secondo i loro interessi legati alla guerra. 

L’industria militare viene definita nel Libro Bianco 
«pilastro del Sistema Paese» poiché «contribuisce, attraverso le esportazioni, al riequilibrio della bilancia commerciale e alla promozione di prodotti dell’industria nazionale in settori ad alta remunerazione», creando «posti di lavoro qualificati». 

Non resta che riscrivere l’Art. 1 della Costituzione, precisando che la nostra è una repubblica, un tempo democratica, fondata sul lavoro dell’industria bellica.
 
(il manifesto, 14 febbraio 2017)   

Il giorno 02 feb 2017, alle ore 18:50, 'Coord. Naz. per la Jugoslavia' ha scritto:


Il velo “umanitario” sulle missioni militari all’estero va strappato


di Sergio Cararo

Il vice presidente della Commissione Difesa, on. Massimo Artini (ex M5S), ha replicato con un lungo e articolato commento al nostro articolo di venerdi – ovviamente e fortemente critico – verso la legge approvata a luglio 2016 ed entrata in vigore il 31 dicembre 2016. Ci contesta una lettura negativa di un impianto legislativo a suo dire positivo. A noi così non sembra affatto, e non sembra esserlo stato neanche per 41 senatori che si sono astenuti o votato direttamente contro (al Senato l'astensione vale come voto contrario, ndr).

La legge quadro sulle missioni militari all'estero, infatti è stata approvata al Senato con 194 sì, un no e 40 astenuti, tra questi ultimi i senatori del M5S e alcuni del gruppo misto. Il voto contrario alla legge e' stato della senatrice Paola De Pin (anche lei ex M5S).

La legge disciplina (art. 1) «la partecipazione delle forze armate, delle forze di polizia … e dei corpi civili di pace a missioni internazionali istituite nell'ambito dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) o di altre organizzazioni internazionali cui l'Italia appartiene» (in particolare, come ben si comprende, la NATO e la Ue), toglie (art. 2) al Parlamento, che può intervenire solo con generici “atti d'indirizzo”, la facoltà di approvare o respingere, in modo vincolante, le missioni militari, e dà, viceversa, al Governo (art. 2 e art. 3), pieni poteri nella realizzazione e nella conduzione delle missioni di guerra del nostro Paese. 

All'apparenza la Legge prevede che la decisione di spedire militari in teatri di guerra adottata dal governo, vada inviata al Parlamento, il quale con appropriati atti di indirizzo, può dare luce verde o meno alla missione. Tale autorizzazione può essere sottoposta a condizioni. Dal momento che si è in presenza del totale coinvolgimento dei due rami del Parlamento, se non venisse dato l’assenso dai deputati e senatori, la missione internazionale non si potrebbe realizzare. Probabilmente, su questo impianto, a luglio 2016, quando la legge è stata approvata, il governo già riteneva che il Senato non ci sarebbe più stato in base alla controriforma costituzionale che il paese ha respinto a maggioranza il 4 dicembre con il referendum. Avevano insomma fatto i conti senza l'oste e venduto la pelle dell'orso prima di averlo ucciso.

Un risultato è stato comunque raggiunto dal governo. Le missioni militari all'estero non dovranno essere rinnovate (anche economicamente) ogni sei mesi ma saranno una decisione strategica che può essere revocata solo con un atto politico del governo. Nè ci sembra che la gravità della Legge sulle missioni militari possa essere attenuata da una delle operazioni più insidiose che abbiamo denunciato negli anni scorsi: i cosiddetti Corpi civili di pace che potranno affiancare le missioni militari vere e proprie. Su questo vedi un articolo pubblicato tempo addietro.

E' una lettura catastrofista e pregiudiziale della legge? Per dimostrare che su questo pesano e fanno la differenza i presupposti di partenza, è interessante vedere come invece i “laboratori” legati agli apparati di potere hanno dato la loro lettura delle legge stessa.

Ad esempio secondo la fondazione Astrid:“La legge quadro in questo senso costituisce un vero e proprio salto di qualità nella governance della nostra politica estera e di difesa”. Prendiamo ancora a prestito le valutazioni positive espresse dall'Astrid che, come noi coglie il dato secondo cui questa legge cerca di sanare le molteplici contraddizioni manifestatesi nella politica militare italiana dalla prima guerra del Golfo nel 1991. “L’importanza della cooperazione internazionale nelle missioni di peace-keeping, peace-making e peace-enforcement si è andata affermando soprattutto negli ultimi venti anni. Lo spartiacque può essere considerato la prima guerra del Golfo chevide operare, sotto l’egida di una risoluzione Onu, una coalizione di 34 nazioni, tra cui l’Italia, guidata dagli Stati Uniti”. Non solo. Lo stesso think thank ammette che quelle contraddizioni andavano sanate con un apparato legislativo che adeguasse la proiezione militare dell'Italia al nuovo scenario nelle relazioni internazionali: “Da allora, a causa di contesti internazionali sempre più complessi e di vincoli costituzionali molto stringenti, tale paradigma cooperativo si è rapidamente imposto come la principale modalità di intervento delle nostre Forze armate all’estero. Di fronte al moltiplicarsi degli eventi che hanno richiesto una partecipazione dell’Italia a missioni internazionali si è dunque reso necessario il rinnovamento di un quadro normativo che rimaneva troppo legato alle logiche rigide e bipolari della guerra fredda”.

L'on. Artini, di cui apprezziamo l'attenzione per il nostro articolo, ragiona su un presupposto diverso e distante dal nostro. In questa legge vede una razionalizzazione dell'impianto legislativo sulle missioni militari all'estero, noi ci siamo battuti sistematicamente contro l'idea e le decisioni di partecipare alle missioni militari italiane nei teatri di guerra. Perchè di questo si è trattato. Adesso ci sono 300 militari in Libia “per proteggere la costruzione di un ospedale a Misurata” e 1300 militari in Iraq “per proteggere la ristrutturazione della diga a Mosul”. Tremiamo all'idea che una azienda italiana vinca l'appalto per la costruzione di una autostrada in Siria o in qualche altro paese in guerra.

Negli anni scorsi, la cortina fumogena “umanitaria” in Jugoslavia, Libia, ha nascosto orrori e decisioni politicamente vergognose dei nostri governi. Quella poi dell'intervento militare in Afghanistan e Iraq è quanto ha somigliato di più ad una partecipazione vera e propria ad una guerra di aggressione ad altri Stati. E su questo non c'è alcuna mediazione possibile, né in parlamento né fuori. Su questo presupposto, e proprio per questo, abbiamo fatto a sportellate e poi rotto con i senatori e i deputati della sinistra al tempo del secondo governo Prodi. Purtroppo e per fortuna abbiamo buona memoria e senso della coerenza.

18 gennaio 2017



Il giorno 13 gen 2017, alle ore 18:00, 'Coord. Naz. per la Jugoslavia' ha scritto:

http://contropiano.org/news/politica-news/2017/01/13/litalia-si-dota-della-legge-la-guerra-087877

L’Italia si dota della Legge per la guerra


di Sergio Cararo

Piuttosto in sordina, il 31 dicembre scorso è entrata in vigore la Legge quadro sulle missioni militari all'estero. La legge era già stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale fin dal 1̊ agosto; ma ne era stata rimandata l'attuazione a fine anno, tranne che per la disposizione all'integrazione del Copasir, cioè dell'organismo di controllo sulle attività dei servizi segreti (venuto fuori come problema in occasione delle “missioni coperte” in Libia), anche se valido solo per la legislatura in corso.
L'Italia si è così dotata di una legge organica dello Stato per l'invio di contingenti militari all'estero che dovrebbe azzerare le contraddizioni di incostituzionalità sul ricorso alle azioni militari contro, verso o in altri paesi vincolate al rispetto dell'art.11. Infatti il nostro ordinamento fino ad oggi prevedeva solo la disciplina della "guerra". Ma lo stato di guerra deve essere deliberato dalle Camere, che conferiscono al Governo i poteri necessari (art. 78 Cost.), mentre la dichiarazione di guerra è prerogativa del Presidente della Repubblica (art. 87, 9° comma). ll tutto nei limiti sanciti dall'art. 11 Cost., che vieta la guerra di aggressione e consente l'uso della violenza bellica solo in ipotesi ben determinate (la difesa).
La storia di questi ultimi venticinque anni, con numerose operazioni militari all'estero e il coinvolgimento dell'Italia in teatri di guerra (Iraq, Afghanistan, Jugoslavia ma anche Somalia, Libano etc.), ha reso inevitabile una legge organica che legittimasse sul piano legale la partecipazione dei militari italiani a guerre e operazioni militari in altri paesi.
La Legge individua la tipologia di missioni, i principi generali da osservare e detta disposizioni circa il procedimento da seguire. La newsletter Affari Internazionali ne offre una sintesi molto utile:


a) Le missioni militari all'estero, sia di peace-keeping che di peace-emforcement, sono in primo luogo quelle con il mandato delle Nazioni Unite, ma aadesso lo sono anche quelle istituite nell'ambito delle organizzazioni internazionali di cui l'Italia è membro, comprese quelle dell'Unione Europea;


2) La Nato non è menzionata espressamente, ma è automaticamente inclusa. La Legge poi si riferisce anche alle missioni istituite nelle coalition of willing, cioè coalizione create su una crisi specifica sulla base di decisioni unilaterali dei paesi che vi aderiscono, infine si riferisce alle missioni "finalizzate ad eccezionali interventi umanitari".


3) La Legge specifica che l'invio di militari fuori dal territorio nazionale può avvenire in ottemperanza di obblighi di alleanze, o in base ad accordi internazionali o intergovernativi, o per eccezionali interventi umanitari, purché l'impiego avvenga nel rispetto della legalità internazionale e delle disposizioni e finalità costituzionali (che a questo punto vengono aggirate dalla legge stessa)


“Resterebbe da chiarire il significato di accordi intergovernativi e come questi si differenzino dagli accordi internazionali. Si tratta di accordi sottoscritti dall'esecutivo o addirittura di accordi segreti?” si interroga Affari Internazionali. “In parte tali dubbi dovrebbero essere fugati dai paletti volti a scongiurare una deriva interventista. Le missioni devono avvenire nel quadro del rispetto: a) dei principi stabiliti dall'art. 11 Cost., b) del diritto internazionale generale, c) del diritto internazionale umanitario, d) del diritto penale internazionale”.
Quanto al procedimento per la partecipazione alle missioni internazionali, viene reso centrale il ruolo del Parlamento, razionalizzando una prassi, qualche volta in verità disattesa, che faceva precedere l'invio del contingente militare all'estero da una discussione parlamentare. Ma spesso la ratifica parlamentare avveniva a posteriori, in occasione della conversione in legge del decreto-legge (DL) di finanziamento della missione.
L'iter disegnato dalla L. 145/2016 è il seguente: la partecipazione alle missioni militari è deliberata dal Consiglio dei ministri, Cdm, previa comunicazione al Presidente della Repubblica ed eventuale convocazione del Consiglio supremo di difesa.
La Legge quadro mette mano anche ad un'altra spinosa questione, ossia se ai militari impegnati nelle missioni debba essere applicato il codice penale militare di pace o il codice penale militare di guerra. Anche la soluzione indicata lascia aperta tutte le strade. La nuova legge dispone che sia applicabile il codice penale militare di pace, ma il governo potrebbe deliberare l'applicabilità di quello di guerra per una specifica missione. In tal caso è però necessario un provvedimento legislativo e il governo deve presentare al Parlamento un apposito disegno di legge. 

 

E' dalla partecipazione alla prima Guerra del Golfo (1991) che si pone il problema di conformare la legislazione italiana al ripetuto ricorso alla guerra "nella risoluzione delle controversie internazionali" che di volta in volta è stata mascherata con acronimi sempre più improbabili: operazione di polizia internazionale, guerra umanitaria, protezione di civili, difesa preventiva etc. etc. Operazioni militari che hanno visto negli anni migliaia e migliaia di soldati italiani prendere parte a guerre in altri paesi e miliardi di euro spesi per parteciparvi. Quando le furberie sulla guerra diventano una Legge organica dello Stato, vuole dire che il punto di non ritorno si è avvicinato ancora di un altra spanna.
 

13 gennaio 2017





(english / deutsch.
Il nuovo presidente della Repubblica Federale Tedesca è una vecchia conoscenza. Durante la guerra di aggressione contro la Jugoslavia era Ministro degli Esteri, ed i servizi segreti militari (BND) sono stati a lungo sotto la sua supervisione. Fanatico delle politiche recessive della UE in economia, questo esemplare del revanscismo gran-tedesco è in prima fila da un paio d'anni nel sostegno alla rinascita del nazismo in Ucraina. Gravi le sue responsabilità anche in Medio Oriente, dove a molti anni di oscillazioni nella scelta dei referenti politici è seguito, infine, lo sdoganamento di settori jihadisti e terroristi come "Ahrar al Sham" in Siria. È il campione perfetto, insomma, della Unione Europea realmente esistente. [a cura di Italo Slavo]

--- DEUTSCH ---


Präsidiable Politik
 
13.02.2017
BERLIN
 
(Eigener Bericht) - Frank-Walter Steinmeier, designierter Präsident der Bundesrepublik Deutschland, verkörpert wie kaum ein zweiter die Berliner Expansionspolitik der vergangenen zwei Jahrzehnte vom Kosovokrieg bis zur Einmischung in den Syrienkrieg. Den Überfall auf Jugoslawien vom Frühjahr 1999, mit dem Deutschland unter Bruch des Völkerrechts in seinen ersten Angriffskrieg nach 1945 zog, begleitete Steinmeier als Staatssekretär im Bundeskanzleramt. Danach beteiligte er sich als Kanzleramtschef am Kampf um Zugriff auf die riesigen russischen Erdgasvorräte, um sodann als Außenminister mit dem Streben nach EU-Assoziierung der Ukraine Russland machtpolitisch massiv zurückzudrängen. Dabei nahm er einen Umsturz in Kiew unter Beteiligung von Faschisten in Kauf. Lange hat auch der "Anti-Terror-Krieg" Steinmeiers Wirken geprägt; im Kanzleramt war er an führender Stelle in die Folterkooperation mit der CIA involviert. Der nächste Bundespräsident hat im Herbst 2002 dazu beigetragen, die Freilassung eines unschuldigen Mannes aus Bremen aus dem US-Folterlager Guantanamo nach Deutschland zu verhindern. Zudem trug er Mitverantwortung für Verhöre deutscher Verdächtiger in syrischen und libanesischen Foltergefängnissen. Zuletzt hat Steinmeier einer jihadistischen Miliz, die von der deutschen Justiz als Terrororganisation eingestuft wird, politische Rückendeckung gewährt.
Unter Bruch des Völkerrechts
Die erste große außenpolitische Operation, in die Frank-Walter Steinmeier involviert war - damals noch als Staatssekretär im Bundeskanzleramt und als Beauftragter für die Nachrichtendienste des Bundes unter Kanzler Gerhard Schröder -, war der Angriffskrieg gegen Jugoslawien im Frühjahr 1999. Über den Überfall auf Jugoslawien hat später Schröder selbst geurteilt, es sei ein "Verstoß gegen das Völkerrecht" gewesen: "Da haben wir unsere Flugzeuge, unsere Tornados nach Serbien geschickt, und die haben zusammen mit der NATO einen souveränen Staat gebombt - ohne dass es einen Sicherheitsratsbeschluß gegeben hätte."[1] Als Staatssekretär im Kanzleramt ist Steinmeier damals eng in die Vorbereitung und das Führen des Krieges involviert gewesen. Als Geheimdienst-Beauftragtem kann ihm zudem nicht entgangen sein, dass der Bundesnachrichtendienst (BND) die damaligen Berichte über angebliche jugoslawische Massaker, mit denen die Bundesregierung den Krieg legitimierte, klar als Kriegslügen einstufte; ein Journalist mit guten Kenntnissen über den Dienst berichtete bereits im April 1999, "viele der Geschichten über angebliche Massengräber und Greueltaten der Serben" würden "von Pullach als nachrichtendienstliche Desinformation bewertet, mit denen Politik gemacht" werde.[2] Zu denen, die damals Politik machten, gehörte Steinmeier; die Erkenntnisse des BND hielten ihn nicht von der Unterstützung des Krieges ab.
Mit Faschisten und Oligarchen
Nach dem Kosovokrieg hat für das Bundeskanzleramt, in dem Steinmeier ab Juli 1999 als Chef amtierte, rasch die Russlandpolitik erhebliche Bedeutung erlangt. Hatte der Kosovokrieg nicht nur Jugoslawien, sondern zugleich mit Belgrad auch dessen traditionellen Partner Moskau empfindlich geschwächt, so strebte Berlin nun nach Zugriff auf die riesigen russischen Erdgasressourcen. Dazu war eine Phase der Kooperation mit Russland unumgänglich. Schröder hatte die Erdgaskoooperation in seiner Amtszeit als Ministerpräsident Niedersachsens (1990 bis 1998) gemeinsam mit einem seiner engsten damaligen Mitarbeiter, Frank-Walter Steinmeier, eingeleitet (german-foreign-policy.com berichtete [3]); beide setzten sie nun im Berliner Kanzleramt fort. In den folgenden Jahren ist es Berlin - auch dank Steinmeier, der 2005 an die Spitze des Auswärtigen Amt wechseltes - gelungen, deutschen Konzernen eine starke Stellung in der russischen Erdgasproduktion und beim Transport des Rohstoffs per Pipeline in Richtung EU zu sichern.[4] Das hat den damaligen Außenminister nicht davon abgehalten, ab 2007 die Weichen in Richtung EU-Assoziierung der Ukraine zu stellen, um den deutschen Einflussbereich auf Kosten Russlands nach Osten auszudehnen. Den Umsturz in Kiew im Februar 2014 hat Steinmeier - nach vierjähriger Zeit in der Opposition - dann wieder als Außenminister begleitet. Um Moskau zurückzudrängen, hat er unter anderem den Führer einer faschistischen ukrainischen Partei [5] sowie berüchtigte ukrainische Oligarchen [6] zu akzeptierten Verhandlungspartnern aufgewertet. Die Folgen für die Ukraine sind bekannt.
Verschleppung und Folter
Jenseits der deutschen Expansion nach Ost- und Südosteuropa ist für Steinmeier - vor allem in seiner Amtszeit als Kanzleramtschef - der sogenannte Anti-Terror-Krieg prägend gewesen. In die systematische Verschleppung von Verdächtigen durch die CIA in geheime Folterkeller in Europa, Afrika und Asien waren von Oktober 2001 an per Zuarbeit auch deutsche Stellen involviert; darüber hinaus nahmen BND-Agenten, andere Geheimdienstler und Polizisten mehrfach an Verhören verschleppter Deutscher teil.[7] Steinmeier, damals im Kanzleramt zuständig für den BND, war zudem als Teilnehmer der Kanzleramts-"Sicherheitsrunden" immer wieder in den Komplex von Verschleppung und Folter involviert. Über die Berliner Kollaboration mit der CIA hat sich später etwa der liberale Schweizer Politiker Dick Marty in seiner Funktion als Sonderermittler des Europarats zu den kriminellen Geheimdienstmachenschaften beklagt.[8] Einer Entscheidung der Bundesregierung, die Steinmeier mit verantwortete, verdankt der Bremer Murat Kurnaz vier Jahre Internierung im US-Folterlager Guantanamo. Kurnaz, der 2001 von US-Stellen verschleppt, gefoltert und in Guantanamo festgehalten worden war, sollte nach dem Willen der US-Regierung im Herbst 2002 nach Deutschland überstellt werden; die US-Behörden waren zu der Erkenntnis gekommen, er habe sich nichts zuschulden kommen lassen. Bei einer Besprechung im Kanzleramt wurde am 29. Oktober 2002 unter Steinmeiers Mitwirkung entschieden, Kurnaz nicht aus den Vereinigten Staaten einreisen zu lassen. Das sei sogar "bei US-Seite auf Unverständnis" gestoßen, hielt der BND wenig später fest. Die Kanzleramtsentscheidung führte dazu, dass Kurnaz erst am 24. August 2006 aus der US-Folterhaft freikam: nach dem Regierungswechsel in Berlin.[9]
Geheimdienstkooperation mit Syrien
Von aktuellem Interesse ist, dass der BND - unter der Oberaufsicht des Kanzleramtschefs - Anfang 2002 in Gespräche mit der syrischen Auslandsspionage über einen Ausbau der geheimdienstlichen Zusammenarbeit eintrat. Dabei ging es - neben der Abwehr unerwünschter Migration - ebenfalls vorrangig um den "Anti-Terror-Krieg". Die Kooperation mit Damaskus war selbst im Kanzleramt nicht unumstritten, weil die syrischen Dienste für ihre Folterpraktiken berüchtigt waren; so berichtete etwa der damalige Kanzleramts-Referent für Internationalen Terrorismus, Guido Steinberg, er habe vor einer engeren Zusammenarbeit mit Syrien "wegen der dort praktizierten Menschenrechtsverletzungen gewarnt".[10] Unter seinem Chef Steinmeier schlug das Kanzleramt die Warnungen jedoch in den Wind, baute die Kooperation aus - und entsandte von Oktober bis Dezember 2002 mehrmals Geheimdienstler und Polizisten nach Damaskus und in das damals unter starkem syrischen Einfluss stehende Beirut, um dort an Verhören in Foltergefängnissen inhaftierter Deutscher teilzunehmen (german-foreign-policy.com berichtete [11]). Er habe es damals für "notwendig" erachtet, "dem jungen Präsidenten Assad Wege der Zusammenarbeit mit dem Westen aufzuzeigen", erklärte Steinmeier kürzlich.[12] Seit dem Sommer 2011 zieht Berlin allerdings die syrischen Folterpraktiken, aus denen es zuvor Profit zu schlagen versuchte, heran, um das Streben nach einem Umsturz in Damaskus zu legitimieren.
Rückendeckung für Jihadisten
Dabei hat das Auswärtige Amt unter Steinmeier in Syrien zuletzt Jihadisten den Rücken gestärkt, die es zuvor sogar unter faktischer Billigung von Folter bekämpft hatte. Anfang 2016 etwa setzte Steinmeier sich persönlich dafür ein, die salafistisch-jihadistische Miliz Ahrar al Sham zur Verhandlungspartnerin in Friedensgesprächen aufzuwerten. Ahrar al Sham kooperiert eng mit dem syrischen Ableger von Al Qaida, dem Hauptfeind im früheren "Anti-Terror-Krieg". Die deutsche Justiz stuft die Miliz entsprechend als Terrororganisation ein und stellt daher die Unterstützung für sie unter Strafe (german-foreign-policy.com berichtete [13]). Der Sache nach trifft die Einstufung einen wichtigen Aspekt der Syrienpolitik des Auswärtigen Amts unter seinem einstigen Minister, dem künftigen Bundespräsidenten.

[1] Gerd Schumann: "Weil ich es selbst gemacht habe". junge Welt 24.04.2014.
[2] Hans Leyendecker, in: Süddeutsche Zeitung 14.04.1999.
[3] S. dazu 4.500 Kilometer um Berlin.
[4] S. dazu Deutsch-russische Leuchtturmprojekte und Die Umgehung der Ukraine.
[5] S. dazu Vom Stigma befreit.
[6] S. dazu Die Restauration der Oligarchen (IV)Steinmeier und die Oligarchen und Zauberlehrlinge (III).
[7] S. dazu Oktober 2001Mitwisser und Profiteure und Kein Eingeständnis.
[8] S. dazu Abgleiten in die Barbarei (II).
[9] S. dazu Perioden des "Anti-Terror-Kriegs".
[10] S. dazu Deutsch-syrischer Herbst.
[11] S. dazu Die FoltererUnd warten noch immer und Steinmeier und seine Komplizen.
[12] Steinmeier kritisiert Trumps Folter-Lob. www.n-tv.de 27.01.2017.
[13] S. dazu Steinmeier und das Oberlandesgericht und Terrorunterstützer.

--- ENGLISH ---

A President's Policy
 
2017/02/13
BERLIN
 
(Own report) - Frank-Walter Steinmeier, President-elect of the Federal Republic of Germany is the epitome of the past two decades of Berlin's expansionist policy - from the war over Kosovo to intervention in the Syrian war. As State Secretary in the Federal Chancellery, Steinmeier was implicated in the aggression against Yugoslavia in the spring of 1999, with which Germany, in violation of international law, entered its first war of aggression since 1945. As head of the Federal Chancellery, he had participated in the struggle to obtain access to Russia's vast natural gas reserves. As Foreign Minister, he was massively striving to roll back Russia's political influence by associating Ukraine with the EU, even condoning a coup - with fascist participation - in Kiev. Steinmeier's activities had also been influenced by the so-called war on terror. In the Chancellery, he played a leading role in cooperation with the CIA's torture program. In the fall of 2002, he helped to prevent an innocent native of Bremen from being released to Germany from the US Guantanamo torture camp. He was complicit in the interrogation of German suspects in Syrian and Lebanese torture chambers. Just recently, Steinmeier provided political support to a jihadist militia, classified a terror organization by the German judiciary.
Violating International Law
The war of aggression against Yugoslavia in the spring of 1999 was the first major foreign policy operation, in which Frank-Walter Steinmeier was involved - at the time as State Secretary in the Federal Chancellery and as Coordinator for the Federal Intelligence Services under Chancellor Gerhard Schröder. Schröder, himself, later called the aggression against Yugoslavia a "violation of international law." "We dispatched our planes and Tornados to Serbia and, together with NATO; they bombed a sovereign country - without authorization from the Security Council."[1] As State Secretary in the Chancellery, Steinmeier had been deeply involved in preparing and waging that war. As Commissioner for the intelligence services, he must have been aware that the reports of alleged Yugoslav massacres, with which the German government justified the war, had been clearly classified by the Federal Intelligence Service (BND) as war propaganda. A journalist, well informed on the intelligence services, had reported already in April 1999 that, "Pullach [the BND Headquarters] considers many of the stories of mass graves and atrocities allegedly committed by Serbs to be intelligence-related disinformation for the purpose of making policy."[2] Steinmeier was one of those politicians, and the BND's findings did not prevent him from supporting the war.
With Fascists and Oligarchs
Following the war over Kosovo, Russia quickly became a major policy issue for the Chancellery, headed by Steinmeier, beginning in July 1999. The war over Kosovo had not only significantly weakened Belgrade but also its traditional partner Moscow. Berlin was now striving to obtain access to Russia's vast natural gas reserves, necessitating a period of cooperation with Russia. As Prime Minster in Lower Saxony (1990 - 1998), Schröder had initiated the natural gas cooperation together with one of his closest collaborators at the time, Frank-Walter Steinmeier. (german-foreign-policy.com reported.[3]) Both continued this cooperation in the German Chancellery. In the years that followed - thanks also to Steinmeier, who became foreign minister in 2005 - Berlin was able to secure a strong position for German companies in the production of Russian gas and its pipeline transport to the EU.[4] Starting in 2007, this did not prevent the foreign minister, at the time, to set the course for Ukraine's EU association, aimed at expanding Germany's sphere of influence eastward, at Russia's expense. After four years in the opposition, Steinmeier - again, foreign minster - was implicated in the Kiev coup in February 2014. To curb Russia's influence, he also promoted the leader of one of Ukraine's fascist parties [5] and infamous Ukrainian oligarchs [6] to acceptable negotiating partners. The consequences, this has had on Ukraine, are well known.
Kidnapping and Torture
Beyond Germany's expansion into eastern and southeastern Europe, the so-called war on terror was formative for Steinmeier - particularly during his incumbency as head of the German Chancellery. Beginning in October 2001, German government agencies had provided the legwork for the CIA's systematic kidnapping of suspects, taking them to secret torture chambers in Europe, Africa, and Asia. BND agents and other secret services and police officials were even on hand during interrogations of kidnapped German suspects.[7] At the time, Steinmeier, as the BND supervisor in the chancellery, as well as a participant in the chancellery's "security round tables," was repeatedly involved in the issues of kidnapping and torture. Later, the liberal Swiss politician, Dick Marty, serving as the European Council's special investigator into the crimes committed by the secret services, complained of Berlin's collaboration with the CIA.[8] A native of Bremen, Murat Kurnaz, owes four of his years of incarceration at the Guantánamo torture camp to a German government decision, Steinmeier helped formulate. In the fall of 2002, the US government had wanted to release Kurnaz - who had been kidnapped, in 2001, by US officials, tortured and held captive in Guantanámo - to German custody. The US officials had drawn the conclusion that Kurnaz was innocent. After consultations in the chancellery with Steinmeier participating, it was decided October 29, 2002, not to permit Kurnaz' entry into Germany from the United States. A short time later, the BND noted that this decision had "even caused stupefaction among the Americans." The chancellery's decision meant that Kurnaz was only released from the US torture chamber on August 24, 2006, after a change in government in Berlin.[9]
Intelligence Service Cooperation with Syria
The fact that, in early 2002, the BND - under the supervision of the head of the chancellery - had entered talks with the Syrian foreign intelligence service on expanding their intelligence-gathering cooperation is also currently of interest. Alongside the question of blocking undesirable migration to Germany, the talks centered particularly on the "war on terror." However, cooperation with Damascus was not uncontested, even in the chancellery, because of the Syrian services' being notorious for using torture. Guido Steinberg, at the time, consultant to the chancellery on questions of international terrorism, reported that he had warned against too close of a cooperation with Syria "because of their practice of human rights violations."[10] Under Steinmeier's direction, the chancellery ignored these warnings, expanded their cooperation - and between October and December 2002 - repeatedly sent intelligence and police officials to Damascus and Beirut (at the time under strong Syrian influence) to be on hand at interrogations of German prisoners in torture chambers. (german-foreign-policy.com reported.[11]) Steinmeier recently declared that he had deemed it "necessary" to "point out to the young President Assad ways to cooperate with the West."[12] However, since the summer of 2011, Berlin has been denouncing the use of torture - from which it had earlier benefitted - to help legitimize the pursuit of a coup in Damascus.
Backing for Jihadis
Recently, in Syria, Steinmeier's foreign ministry had supported jihadis, it had previously been fighting, even under de facto endorsement of torture. In early 2016, for example, Steinmeier was personally engaged in embellishing the Salafist Ahrar al Sham jihadi militia, to make it presentable as a partner for the peace talks. Ahrar al Sham is a close partner of the Syrian al Qaeda subsidiary, the main enemy in the previous "war on terror." Germany's justice system has accordingly classified that militia a "terrorist organization," outlawing any support it may be given. (german-foreign-policy.com reported.[13]) In fact, that classification corresponds to an important aspect of the German Foreign Ministry's policy toward Syria under its former minister - the future President of Germany.

[1] Gerd Schumann: "Weil ich es selbst gemacht habe". junge Welt 24.04.2014.
[2] Hans Leyendecker, in: Süddeutsche Zeitung 14.04.1999.
[3] See 4,500 Kilometers around Berlin.
[4] See German-Russian Flagship Projects and Die Umgehung der Ukraine.
[5] See Vom Stigma befreit.
[6] See The Restoration of the Oligarchs (IV)Steinmeier and the Oligarchs and Zauberlehrlinge (III).
[7] See Oktober 2001Mitwisser und Profiteure and Kein Eingeständnis.
[8] See Sinking into Barbarism (II).
[9] See Perioden des "Anti-Terror-Kriegs".
[10] See Deutsch-syrischer Herbst.
[11] See The TorturersAnd Still Waiting and Steinmeier and His Accomplices.
[12] Steinmeier kritisiert Trumps Folter-Lob. www.n-tv.de 27.01.2017.
[13] See Steinmeier und das Oberlandesgericht and Terrorunterstützer.



GIORNO DEL RICORDO 2017

1) DA FASSINO AD APPENDINO, TORINO CAPITALE DEL MARTIROLOGIO FASCISTA
– 2017: Appendino consegna la medaglia alla memoria del milite fascista Filippo Polito ad un suo congiunto in camicia nera
– 2004-2016: Piero Fassino tra i principali ispiratori della Legge che consente di onorare la memoria dei nazifascisti uccisi sul confine orientale
2) GIOVANNI INO MERCANTI, MARTIRE DELLE FOIBE JUGOSLAVE. Peccato sia stato un fascista legionario di Spagna (a cura di Fabio Muzzolon)
3) Personaggi: GIANNI OLIVA, PAOLO POLIDORI (a cura di Claudia Cernigoi)
4) La Conf. stampa organizzata dall'on. Pellegrino il 9/2/2017 e le sue conseguenze. SOLIDARIETÀ AD ALESSANDRA KERSEVAN
5) ANCORA DISINFORMAZIONE SU PORZÛS (Marzolo Occupata / Centro di documentazione Comandante Giacca)
6) CON IL «GIORNO DEL RICORDO» COSÌ COM’È TORNANO LE ESALTAZIONI DEL FASCISMO (Saverio Ferrari, Marinella Mandelli)
7) ALTRI LINK


PROSSIME INIZIATIVE:

Arcore (MB), domenica 12 febbraio 2017
NUOVA LOGISTICA: alle ore 10.30 c/o ARCI BLOB, Via Casati 31, 20862 Arcore (MB)
(a pochissimi passi dalla stazione ferroviaria di Arcore)
OPERAZIONE FOIBE TRA STORIA E MITO
intervento di Claudia Cernigoi
Dopo le pressioni della destra più o meno estrema, il Comune di Arcore ha deciso di levare il patrocinio all’iniziativa che l’Anpi di Arcore aveva inizialmente organizzato con Claudia Cernigoi. Questo ha comportato la rinuncia di Anpi ad organizzare l’iniziativa…
nuovo evento FB // vecchio evento FB


Modena, domenica 19 febbraio 2017
alle ore 15.30 nella Sala Ulivi dell’Archivio Storico della Resistenza
FOIBE E CONFINI ORIENTALI: LE AMNESIE DELLA REPUBBLICA
intervento di Alessandra Kersevan
organizza: Rete Antifascista Modenese



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DA FASSINO AD APPENDINO, TORINO CAPITALE DEL MARTIROLOGIO FASCISTA

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Il 10 febbraio 2017 a Torino, in Comune, è stata consegnata a un congiunto – presente in camicia nera – la medaglia attribuita dal Presidente della Repubblica Mattarella a una "vittima delle foibe", Filippo Polito, in realtà appartenente alle forze armate fasciste della RSI, volontario, e operante nella Zona d'Operazioni del Litorale Adriatico in cui le forze armate della RSI erano sotto il comando diretto dei tedeschi. L'ANPI di Torino ha giustamente protestato. Il caso ricorda molto quello del parmense Paride Mori. Ma molti altri casi simili si sono verificati sulla base della legge n.92/2004 già nei primi dieci anni di applicazione dal 2005 al 2015: in merito si veda lo studio di Sandi Volk TRUFFE, FUFFE E FASCISTI... I “PREMIATI” DEL GIORNO DEL RICORDO. UN BILANCIO PROVVISORIO
Di seguito il Comunicato stampa della Presidenza dell'ANPI Provinciale di Torino:

10 Febbraio 2017

COMUNICATO STAMPA

Chi è Filippo Polito?

Ai famigliari di Filippo Polito è stata conferita una medaglia d'onore alla memoria dal Presidente della Repubblica il giorno 10 febbraio nella sala del Consiglio Comunale di Torino.

Il suo nome compare in parecchi elenchi:

1) Caduti e dispersi della Repubblica Sociale Italiana, a cura di L'Altra Verità

2) Albo caduti e dispersi della Repubblica Sociale Italiana, della Fondazione RSI, Istituto Storico

3) Elenco “Livio Valentini” caduti Repubblica Sociale Italiana

4) Concittadini Caduti infoibati o diversamente massacrati in tempo di guerra e da guerra terminata, comunicato di “Destra Per Reggio”, 10-2-2016

Negli elenchi compare la data di nascita, 18-8-1923 ad Ardore (RC), il ruolo di Guardia di Polizia Repubblicana, residente a Trieste, la data di morte in Trieste (2-5-1945), la qualità di disperso o deportato; in un solo caso risulta deceduto il 31-12-1945 come prigioniero Borovnica, Lubiana (Albo della Fondazione RSI).

L'articolo 3 comma 3 della Legge 30 marzo 2004 n. 92 recita: “Sono esclusi dal riconoscimento coloro che sono stati soppressi nei modi e nelle zone di cui ai commi 1 e 2 mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell'Italia”.

Poiché il territorio dell'attuale Friuli-Venezia Giulia, l'Istria e la cosiddetta Provincia di Lubiana facevano parte all'epoca della Zona d'Operazioni Litorale Adriatico (ZOLA), costituita dai nazisti dopo l'8 settembre ‘43 e amministrata direttamente da un Supremo Commissario nazista nominato da Hitler, in cui la stessa RSI non aveva alcun potere e in cui le sue formazioni armate potevano entrare e operare solo ed esclusivamente con il permesso e sotto la direzione dei tedeschi, l'adesione alla RSI, in quanto agli ordini dei nazisti non può considerarsi “a servizio dell'Italia”.

La partecipazione volontaria alla RSI risulta dal fatto che il 12 novembre del '43 il Supremo Commissario nazista dispose che l'arruolamento nelle formazioni della RSI poteva avvenire solo “sulla base di presentazione volontaria” (“Il Piccolo”, 12 novembre '43, pagina 1).

Risultano pertanto due condizioni (il carattere volontarie e l'attività collaborazionista) che sulla base della legge ostano alla concessione della “insegna metallica con relativo diploma”.

Poiché la legge richiama una vicenda tragica, che comprende le foibe, e riguarda l'insieme dell'esodo e della complessa vicenda dei confini orientali, riteniamo che l'attribuzione della medaglia a Filippo Polito combattente volontario, a fianco dei nazisti, in terre da loro occupate, vada rivista.

La giornata del ricordo non può prestarsi ad utilizzi politici, in particolare da parte di risorgenti nostalgie fasciste, né può costituire riconoscimento di quanti hanno operato contro le libertà e a fianco delle barbarie naziste.

La Costituzione Italiana, nata dalla Resistenza, esclude dal panorama della democrazia ogni fascismo e il Giorno del Ricordo è una solennità civile della nostra democrazia.

Torino 10 febbraio 2017

La Presidenza dell'A.N.P.I. Provinciale

Maria Grazia Sestero

Palmiro Gonzato (Partigiano)

Cesare Alvazzi Dal Frate (Partigiano)

Renato Appiano


Leggi anche:

Foibe, polemiche dell'Anpi a Torino sulla medaglia a Filippo Polito, volontario della Rsi (di Federica Cravero, 10 febbraio 2017)
In Sala rossa il riconoscimento agli eredi, ma gli ex partigiani attaccano: "Ha combattuto con i nazisti". E l'erede si presenta in camicia nera
http://torino.repubblica.it/cronaca/2017/02/10/news/foibe_polemiche_sulla_medaglia_a_filippo_polito-158012734/


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Sulle questioni del confine orientale Chiara Appendino persegue pedissequamente la linea dettata dal Partito Democratico e addirittura inaugurata dal suo predecessore a Sindaco, Piero Fassino.

<< L'aggressione fascista alla Jugoslavia non poté giustificare né la perdita dei territori né l'esodo degli istriani. >>
(Fassino in conferenza stampa a Trieste, 5 febbraio 2004)

<< L'espansionismo slavo ... nel vivo della lotta antifascista si era manifestato in comportamenti e linguaggi propri delle contese territoriali e nazionalistiche, presenti da decenni in quelle aree. Lo schema della lotta fra fascismo e antifascismo si mostrò inadeguato... >>
(Fassino: «Il Pci con gli esuli istriani sbagliò», su L'Unita', 06.02.2004 – https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/3167 )

<< Il segretario dei Ds Piero Fassino si è detto d'accordo sull'istituzione della giornata della memoria per gli esuli istriani, fiumani e dalmati, per superare "ogni forma di reticenza e rimozione... >>
(La Repubblica, 9 febbraio 2004 – https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/3170 )

<< Quello che avrei voluto dire il 6 febbraio di due anni fa a Fassino e Violante quando vennero a Trieste per aderire alla proposta di Roberto Menia (An) di istituire il 10 febbraio la giornata del ricordo dell'esodo e per attribuire al Pci di allora colpe ed errori di valutazione... >>
(Galliano Fogar su Il Manifesto del 10 febbraio 2006 – https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/4765 )

<< Ci stupisce che politici della statura di Fassino e di Violante abbiano aderito all'iniziativa di Alleanza Nazionale quando essi sanno benissimo che il presidente del consiglio Berlusconi considera questa ricorrenza come il giorno della «pulizia etnica comunista», dimenticando che le foibe e l'esodo dei giuliano-dalmati costituiscono una diretta eredità del ventennio fascista e dell'occupazione italiana dei Balcani durante la Seconda guerra mondiale. >>
(Angelo Del Boca su Il Manifesto del 14 febbraio 2006 – https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/4765 )

<< Riguardo alla data, Fassino ha spiegato che loro avevano pensato al 20 marzo (data dell’ultimo viaggio del Tuscania, la nave che trasportò gli esuli dall’Istria in Italia), mentre le federazioni degli esuli avevano proposto il 10 febbraio (data della firma del trattato di pace del 1947); loro accolgono questa proposta di “giorno della memoria dell’esodo” perché l’enormità delle sofferenza patite dagli italiani non permette una disputa tra le date, la storia del paese deve essere patrimonio comune, in quanto “siamo tutti figli della storia”. >>
(Claudia Cernigoi: "Ricordiamo la genesi del Giorno del Ricordo", febbraio 2009 – http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-ricordando_la_genesi_del_%93giorno_del_ricordo%94..php )

<< Nel lontano 1997, quando ancora erano pochi coloro che si occupavano di foibe, ebbi modo di consegnare personalmente all'allora non so che ruolo ricopriva Piero Fassino, una mia analisi sulle falsità a proposito di foibe diffuse all'epoca dal mancato golpista (con Borghese) Marco Pirina, che in collaborazione con l'avvocato piduista Augusto Sinagra ed al magistrato che si faceva intervistare dal Secolo d'Italia Giuseppe Pititto, stava organizzando il processo contro gli "infoibatori" (poi conclusosi in una bolla di sapone, com'era prevedibile, ma che ci fece tribolare per diversi anni). Quindi Fassino non può dire di non sapere, ciò che fa lo fa perché ha consapevolmente scelto di farlo. >>
Claudia Cernigoi, 12.2.2016 

<< Non ha lasciato spazio il sindaco Fassino agli attacchi che puntuali, anche quest’anno hanno cercato di inquinare il «Giorno del ricordo». Fassino si è accodato con queste parole all’allarme lanciato da Antonio Vatta, presidente della Consulta regionale dell’Anvgd... Fassino ha sottolineato che «siamo qui per riaffermare l’inaccettabilità di ogni forma di negazionismo e di riscrittura della storia. E per riaffermare che al ricordo si deve accompagnare l’impegno di evitare che tragedie simili si ripetano, cosa non scontata come dimostra la storia recente». Il sindaco di Torino ha ribadito che dopo anni di silenzio «si è presa coscienza che una nazione ha il dovere di assumere sulle proprie spalle ogni pagina della sua storia e non c’è pagina che possa esser cancellata e negata. Chi fu ucciso nelle foibe e chi fu cacciato dalla sua terra lo fu solo perché italiano in quella che fu un’operazione di pulizia etnica»  >>
(La Stampa, 10/02/2016 – http://www.lastampa.it/2016/02/10/cronaca/fassino-vergognoso-lattacco-dellanpi-alla-giornata-del-ricordo-EWPD3Zkk3RCvTFpI7pF76O/pagina.html )


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24.01.2017

Ino, martire delle foibe. Una via avrà il suo nome

Il sindaco Diego Ruzza assicura che Zevio intitolerà una via a Giovanni Ino Mercanti, martire delle foibe jugoslave. «La prima strada ultimata nelle nuove lottizzazioni porterà il nome del martire», promette il primo cittadino, dopo aver appreso del triste destino subìto da Mercanti.

In paese c’è già una via genericamente intitolata Martiri delle foibe, inaugurata qualche anno fa probabilmente senza sapere che nelle voragini istriane era finito anche uno zeviano. Eppure il nome di Ino compare nella lunga lista dei nomi dei Caduti durante la guerra, scolpiti su una lastra di marmo bianco che da decenni campeggia nell’androne del castello-municio. Mercanti fu tra i primi a sperimentare i grandi inghiottitoi a strapiombo in cui, fra il 1943 e il 1947, furono gettati, vivi o morti, circa 10mila italiani. Era il 13 settembre del 1943 quando il cadavere dell'uomo finì in una voragine di Dignano Pola, in Croazia, paese oggi denominato Voidian.

La vicenda del martire è stata tolta dal dimenticatoio grazie a una ricerca appena conclusa da Maria Rosa Bonamini, insegnante alla scuola media Altichiero, ora in pensione. La professoressa ha attinto il più possibile da fonti dirette. Da Giuseppe Bazzoni, da Filippo Avesani, nel frattempo scomparso, e dai discendenti di Mercanti.

Da Boscochiesanuova dove vivevano, papà Michele e mamma Eleonora Campedelli, con i loro quattro figli - Ines, Amerigo, Zeffira e, appunto, Ino - si trasferirono a Zevio nel 1911. Dopo un po’ Ino andò a vivere con la sorella Ines, sposatasi con Giuseppe Malgarise, titolare fino alla fine degli anni ’50 di un’osteria in piazza Santa Toscana, che all’epoca si chiamava piazza Vittorio Emanuele.

Grazie al suo carattere vivace, gioviale e un po’ mattacchione, Ino andò a gestire l’osteria all’Omo, dal nome della pianta ritenuta emblema della libertà, che i soldati di Napoleone piantavano nei crocicchi stradali, compreso il trivio per Volon tra le vie Stefano da Zevio e corso Cavour. Nel suo locale, Ino organizzava lunghi tornei di bocce e programmava feste in onore della patrona del paese, Santa Toscana. La professoressa Bonamini spiega che nel 1936, con Raffaello Conti, Angelo Dall’Oca Bianca, Giuseppe Sinibaldi, Zelio Grella e altri, Ino partì per la guerra civile in Spagna, in aiuto al «generalissimo» Francisco Franco, che si rifaceva all’ideologia fascista. Ritornò a Zevio nel 1940, e ripartì poi per lavoro per la Slovenia, a Villa del Nevoso (ora Iliska Bistrica), località all'epoca compresa nei confini italiani.

«Su come sia andata successivamente, i parenti hanno scarsissime notizia, essendo fra l’altro passati 70 anni e tre generazioni», annota la professoressa. Che aggiunge: «Comunque dagli elementi emersi, sembra certo che Ino fu barbaramente ucciso dai soldati titini», dal nome di Tito, il capo dei partigiani comunisti jugoslavi che successivamente diventerà governatore dello Stato. Bonamini rivela particolari terribili sulla fine di Mercanti: «Probabilmente morì dopo un'agonia di due giorni, per essere stato crocefisso a testa in giù ed evirato in un bosco a una decina di chilometri a nord di Pola. Il suo cadavere fu infine fatto sparire nelle foibe». A guerra ultimata i famigliari fecero l'impossibile per ottenere dettagli sulla spaventosa fine del congiunto. E produssero tutte le pratiche necessarie alla restituzione dei resti.

La sorella Zaira approfondì le ricerche recandosi in Jugoslavia. Qualcuno le indicò il luogo in cui trovare il cadavere del fratello, con l'avvertenza di non fermarsi e farsi riconoscere, visto che era ancora presente il regime comunista. Tanta ostinata ricerca della verità sfociò, nel 1962, nel recupero delle spoglie del martire, ora sepolte nel cimitero del capoluogo.

Enzo Sonato, apprezzato poeta, scrittore e politico zeviano scomparso qualche decennio fa, ha lasciato un amaro componimento che riassume l'oblio che ha avvolto tante vite spezzate dalla volontà di predominio dell'uomo sull'uomo: «Chi legge il tuo nome/ Chi legge il tuo nome/ il trentunesimo di ottanta/ nella lunga fila/ dei nomi neri/ sulla lapide bianca/ del monumento ai morti in guerra?/ C'è forse chi arriva al quinto/ un giorno che non abbia fretta».

Piero Taddei

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Da: Fabio Muzzolon <fabio.muzzolon  @  alice.it>
Oggetto: a Zevio una via a un fascista infoibato
Data: 9 febbraio 2017 16:17:57 CET
A: corriere <lettere@corriere>, corrierediverona@..., jugocoord

Con richiesta di pubblicazione. Per il Corriere, all'attenzione di Alessandro Fulloni

A Zevio, centro di 15.000 abitanti a Sud-Est di Verona, si vuole dedicare una via a un fascista che aveva anche combattuto in Spagna a  fianco del Generalissimo Franco e finì poi dentro una foiba a Dignano d'Istria. Una via dunque tutta per il "martire", oltre alla già esistente via  Martiri delle Foibe...

INO, MARTIRE  ZEVIANO  DELLE FOIBE

Ringrazio il giornalista di  Zevio de “L’Arena” e la professoressa ricercatrice per aver messo in luce l’episodio di un infoibato zeviano, che non conoscevo. Se mi è permesso provo a sottolineare alcuni punti.
1.    “Il cadavere finì in una voragine di Dignano”. Dignano, in croato Vodnjan, è in effetti uno dei centri dell’Istria dove la comunità italiana (o istro-veneta) è tuttora più presente e culturalmente vivace, come del resto lo fu durante il comunismo.
2.    “Era il 13 settembre 1943 quando il cadavere finì” in una foiba. Si era cioè al vertice di una guerra atroce, mossa nel ‘41 dall’esercito italiano contro la Jugoslavia, al termine della quale lo Stato vicino contò oltre un milione di morti.
3.    “Fra il ‘43 e il ’47 furono gettati circa 10.000 italiani”. Il maggior studioso italiano Raoul Pupo, moderato, prof.all’Università di Trieste parla di 4 o 5.000. La loro identificazione è avvenuta finora per alcune centinaia. Mi rendo conto che non è facile capire la verità, ed è anche difficile stabilire se fossero italiani o slavi: in Istria c’è una varietà estrema di mistilingue; inoltre nel precedente periodo di annessione italiana dopo la prima guerra, tutti i nomi slavi, tedeschi e perfino veneti e friulani vennero italianizzati con la forza. 
4.    “Scattò l’esodo verso l’Italia di 350.000 persone”, anche se sembra cifra eccessiva, giustamente Taddei non dice “italiani”, perché tra loro ci furono anche genti di lingue e cognomi slavi, uniti dal desiderio di cercare fortuna all’estero, come anche dalle Venezie partirono in massa. A differenza di altri Stati socialisti la Jugoslavia permetteva l’emigrazione.
5.    “Nel ’36... Ino partì per la guerra civile in Spagna, in aiuto al generalissimo Franco, che si rifaceva all’ideologia fascista”. Quindi come riconosce onestamente il cronista, il nostro martire non era propriamente un italiano estraneo all’agone politico del tempo, ma un fascista combattente.
6.    “La pulizia etnica di Tito punta a eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti”.
Si deduce che essendo volta a epurazioni di carattere politico non si può chiamare  pulizia etnica.

Fabio Muzzolon, S.G. Lupatoto


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PERSONAGGI

a cura di Claudia Cernigoi, 11.2.2017

GIANNI OLIVA E LE FOIBE
sul Piccolo di ieri, l'articolo in pagina cultura sul Giorno del ricordo è stato scritto da Gianni Oliva, che è considerato uno storico "serio" e non un "negazionista" cui deve essere impedito di parlare.
La serietà di Oliva si manifesta, ad esempio, nel suo "Foibe" del 2002, quando parla di Giuseppe Cernecca, segretario generale del comune di Gimino, che nel settembre del 1943 fu arrestato dai partigiani e di lui non si seppe più nulla. Scrive che Cernecca sarebbe stato lapidato e poi decapitato e che le prove della “lapidazione di Cernecca” risulterebbero “dall’autopsia effettuata”. Ora, stando che la stessa figlia ha più volte ribadito che il corpo del padre non fu mai ritrovato, sarebbe davvero interessante sapere di quale autopsia parli lo storico Oliva.
Quando poi parla della foiba di Basovizza riporta un passo del romanzo “La foiba grande” di Carlo Sgorlon, che essendo romanzo è appunto opera di fantasia, fatto che Oliva non specifica quando cita: “Nella foiba di Basovizza, vicina a Trieste, era stato buttato un feudatario odioso, un uomo carico di delitti, al tempo del patriarca di Aquileia, Marquardo, cui allora l’Istria apparteneva”.
Peccato che il patriarca Marquardo rimase in carica dal 1365 al 1381 (anno in cui morì) e che la “foiba” di Basovizza non è una cavità naturale ma un pozzo di ispezione di miniera, scavato dalla ditta Skoda tra il 1901 ed il 1908. Se non si può pretendere da Sgorlon, che ha scritto un romanzo, coerenza dal punto di vista storico, invece uno storico dovrebbe, prima di dare alle stampe un’opera (sia pure di divulgazione) scientifica, verificare che ciò che scrive abbia attinenza col vero e non limitarsi a citare brani tratti di qua e di là senza un minimo di controllo.

IL LEGHISTA PAOLO POLIDORI
...in un post di ieri [10.2.2017] ha descritto gli "infoibamenti" nel pozzo di Basovizza con un pathos ed una ricchezza di particolari tale da far pensare che vi abbia assistito.
Peccato che tutta la descrizione che fa è falsa dalla prima all'ultima parola.
Non solo per il fatto che in quel luogo non sono state gettate "centinaia di persone" nel maggio 1945, ma perché il suo illazionare che i prigionieri sarebbero stati legati uno ad uno col filo di ferro e poi, sparando al primo della fila, sarebbero precipitati a decine nel pozzo, è una cosa fisicamente impossibile considerando le dimensioni dell'apertura del pozzo, come vedete nella foto (tratta dagli archivi comunali).
Così come è una mera menzogna il fatto che fosse stato gettato sopra i cadaveri un cane nero, mitologia che è nata perché UNA volta in UNA foiba fu trovato anche un cane nero (che probabilmente vi era caduto per sbaglio) e da questo i propagandisti hanno creato la leggenda che si tratta di un'usanza balcanica di spregio per i morti (ovviamente anche questo non ha alcun fondamento di verità).
Ma Polidori non è contento di inventare cose di sana pianta (o, forse, scopiazzando nel web di qua e di là scegliendo le bufale più accattivanti per lui ed il suo pubblico), alla fine di questa serie di bugie ha il coraggio di attaccare, con parole che dovrebbero far vergognare chiunque abbia il senso della decenza, una studiosa come Alessandra Kersevan che ha passato anni ad analizzare documenti e fare ricerca storica, e che se parla lo fa con cogn

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Gli amanti della pace, gli amici della solidarietà e dell'amicizia fra i popoli, gli internazionalisti, i democratici, gli antifascisti festeggiano oggi il 70.mo Anniversario dalla stipula, a Parigi nel 1947, del Trattato di Pace tra i paesi alleati e cobelligeranti, tra i quali anche la Jugoslavia, da un lato, e l'Italia in veste di paese aggressore nella II Guerra Mondiale dall'altro. 

Istituendo (con Legge n.92/2004) la celebrazione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo nella stessa data dell'Anniversario del Trattato, la Repubblica Italiana ha scelto di passare da quello spirito di riconciliazione a nuove stagioni di recriminazione revanscista. Non tutti i cittadini italiani sono d'accordo su questo "nuovo corso". Noi non lo siamo.

Del Trattato riportiamo di seguito alcuni stralci – per il testo integrale: http://www.diecifebbraio.info/2012/01/trattato-di-pace-con-litalia-10-febbraio-1947-3/



Dal testo del Trattato di Parigi fra l'Italia e le potenze alleate e cobelligeranti:

Preambolo

L’Unione delle Repubbliche  Socialiste Sovietiche, il Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, gli Stati Uniti d’America, la Cina, la Francia, l’Australia, il Belgio, la Repubblica Socialista Sovietica  di Bielorussia, il Brasile, il Canada, la Cecoslovacchia, l’Etiopia, la Grecia, l’India, i Paesi Bassi, la Nuova Zelanda, la Polonia, la Repubblica Socialista Sovietica d’Ucraina, l’Unione del Sud Africa, la Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia, in appresso designate “Le Potenze Alleate ed Associate” da una parte  e l’Italia dall’altra parte:

PREMESSO CHE l’Italia sotto il regime fascista ha partecipato al Patto Tripartito con la Germania ed il Giappone, ha intrapreso una guerra di aggressione ed ha in tal modo provocato uno stato di guerra con tutte le Potenze Alleate ed Associate e con altre fra le Nazioni Unite e che ad essa spetta la sua parte di responsabilità della guerra; e

PREMESSO CHE a seguito delle vittorie delle Forze alleate e con l’aiuto degli elementi democratici del popolo italiano, il regime fascista venne rovesciato il 25 luglio 1943 e l’Italia, essendosi arresa senza condizioni, firmò i patti d’armistizio del 3 e del 29 settembre del medesimo anno; e

PREMESSO CHE dopo l’armistizio suddetto Forze Armate italiane, sia quelle governative che quelle appartenenti al Movimento della Resistenza, presero parte attiva alla guerra contro la Germania, l’Italia dichiarò guerra alla Germania alla data del 13 ottobre 1943 e così divenne cobelligerante nella guerra contro la Germania stessa; e

PREMESSO CHE le Potenze Alleate ed Associate e l’Italia desiderano concludere un trattato di pace che, conformandosi ai principi di giustizia, regoli le questioni che ancora sono pendenti a seguito degli avvenimenti di cui nelle premesse che precedono, e che costituisca la base di amichevoli relazioni fra di esse, permettendo così alle Potenze Alleate ed Associate di appoggiare le domande che l’Italia presenterà per entrare a far parte delle Nazioni Unite ed anche per aderire a qualsiasi convenzione stipulata sotto gli auspici delle predette Nazioni Unite;

HANNO PERTANTO CONVENUTO di dichiarare la cessazione dello stato di guerra e di concludere a tal fine il presente Trattato di Pace ed hanno di conseguenza nominato i plenipotenziari sottoscritti, i quali dopo aver presentato i loro pieni poteri, che vennero trovati in buona e debita forma, hanno concordato le condizioni seguenti:

PARTE I 

CLAUSOLE TERRITORIALI 


SEZIONE I -FRONTIERE

(...)

Art. 3.

Le frontiere fra l’Italia e la Jugoslavia saranno determinate nel modo seguente:

  1. Il nuovo confine seguirà una linea che parte dal punto di congiunzione delle frontiere dell’Austria, Italia e Jugoslavia, quali esistevano al 1º gennaio 1938 e procederà verso sud, seguendo il confine del 1938 fra la Jugoslavia e l’Italia fino alla congiunzione di detto confine con la linea di demarcazione amministrativa fra le province italiane del Friuli (Udine) e di Gorizia;
  2. da questo punto la linea di confine coincide con la predetta linea di demarcazione fino ad un punto che trovasi approssimativamente a mezzo chilometro a nord del villaggio di Memico nella Valle dell’Iudrio;nikolic.mica1
  3. abbandonando a questo punto la linea di demarcazione, fra le province italiane del Friuli e di Gorizia, la frontiera si prolunga verso oriente fino ad un punto situato approssimativamente a mezzo chilometro ad ovest del villaggio in Vercoglia di Cosbana e quindi verso sud fra le valli del Quarnizzo e della Cosbana fino ad un punto a circa 1 chilometro a sud-ovest del villaggio di Fleana, piegandosi in modo da intersecare il fiume Recca ad un punto a circa un chilometro e mezzo ad est del Iudrio, lasciando ad est la strada che allaccia Cosbana a Castel Dobra, per via di Nebola;
  4. la linea quindi continua verso sud-est, passando immediatamente a sud della strada fra le quote 111 e 172, poi a sud della strada da Vipulzano ad Uclanzi, passando per le quote 57 e 122, quindi intersecando quest’ultima strada a circa 100 metri ad est della quota 122, e piegando verso nord in direzione di un punto situato a 350 metri a sud-est della quota 266;
  5. passando a circa mezzo chilometro a nord del villaggio di San Floriano, la linea si estende verso oriente al Monte Sabotino (quota 610) lasciando a nord il villaggio di Poggio San Valentino;
  6. dal Monte Sabotino la linea si prolunga verso sud, taglia il fiume Isonzo (Soca) all’altezza della città di Salcano, che rimane in Jugoslavia e corre immediatamente ad ovest della linea ferroviaria da Canale d’Isonzo a Montespino fino ad un punto a circa 750 metri a sud della strada Gorizia-Aisovizza;
  7. allontanandosi dalla ferrovia, la linea quindi piega a sud-ovest, lasciando alla Jugoslavia la citttà di San Pietro ed all’Italia l’ospizio e la strada che lo costeggia ed a circa 700 metri dalla stazione di Gorizia-S. Marco, taglia il raccordo ferroviario fra la ferrovia predetta e la ferrovia Sagrado-Cormons, costeggia il Cimitero di Gorizia, che rimane all’Italia, passa fra la Strada Nazionale n. 55 fra Gorizia e Trieste, che resta in Italia, ed il crocevia alla quota 54, lasciando alla Jugoslavia le città di Vertoiba e Merna, e raggiunge un punto situato approssimativamente alla quota 49;
  8. di là, la linea continua in direzione di mezzogiorno attraverso l’altipiano del Carso, a circa un chilometro ad est della Strada Nazionale n. 55, lasciando ad est il villaggio di Opacchiasella ed a ovest il villaggio di Iamiano;
  9. partendo da un punto a circa 1 chilometro ad est di Iamiano, il confine segue la linea di demarcazione amministrativa fra le province di Gorizia e di Trieste fino ad un punto a circa 2 chilometri a nord-est del villaggio di San Giovanni ed a circa mezzo chilometro a nord-ovest di quota 208, che segna il punto di incontro fra le frontiere della Jugoslavia, dell’Italia e del Territorio Libero di Trieste.

La carta, alla quale la presente descrizione si riferisce, fa parte dell’Allegato I.

Art. 4.

I confini fra l’Italia ed il Territorio Libero di Trieste saranno fissati come segue:

  1. la linea di confine parte da un punto situato sulla linea di demarcazione amministrativa fra le province di Gorizia e di Trieste, a circa 2 chilometri a nord-est del villaggio San Giovanni ed a circa mezzo chilometro a nord-ovest della quota 208, che segna il punto d’incontro, delle frontiere della Jugoslavia, dell’Italia e del Territorio Libero di Trieste e corre in direzione di sud-ovest fino ad un punto adiacente alla Strada Nazionale n. 14 ed a circa un chilometro a nord-ovest della congiunzione fra le strade Nazionali n. 55 e 14, che conducono rispettivamente da Gorizia e da Monfalcone a Trieste;
  2. la linea si prolunga quindi in direzione di mezzogiorno fino ad un punto nel golfo di Panzano, che è equidistante dalla Punta Sdobba alla foce del fiume Isonzo (Soca) e da Castel Vecchio a Duino, a circa chilometri 3,3 a sud dal punto dove si allontana dalla linea costiera, che è ad approssimativamente 2 chilometri a nord ovest dalla città di Duino;
  3. il tracciato quindi raggiunge il mare aperto, seguendo una linea situata ad eguale distanza dalla costa d’Italia e da quella del Territorio Libero di Trieste.

La carta alla quale la descrizione presente si riferisce, fa parte dell’allegato I.

Art. 5.

  1. Il preciso tracciato di confine delle nuove frontiere fissate negli articoli 2, 3, 4 e 22 del presente Trattato sarà stabilito sul posto dalle Commissioni confinarie composte dei rappresentanti dei due Governi interessati.
  2. Le Commissioni inizieranno i loro lavori immediatamente dopo l’entrata in vigore del presente Trattato e li porteranno a termine al più presto possibile e comunque entro un termine di sei mesi.
  3. Qualsiasi questione sulla quale le Commisioni siano incapaci di raggiungere un accordo sarà sottoposta ai quattro Ambasciatori a Roma della Unione Sovietica, del Regno Unito, degli Stati Uniti d’America e della Francia, i quali, procedendo nel modo previsto all’articolo 86, la risolveranno in modo definitivo, seguendo i metodi che piacerà loro di determinare, ivi compreso, occorrendo, quello della nomina di un terzo Commissario imparziale.
  4. Le spese della Commissione confinaria saranno sopportate in parti eguali dai due Governi interessati.
  5. Al fine di determinare sul posto le esatte frontiere fissate dagli articoli 3, 4 e 22, i Commissari avranno facoltà di allontanarsi di mezzo chilometro dalla linea di confine fissata nel presente Trattato per adeguare la frontiera alle condizioni geografiche ed economiche locali, ma ciò alla condizione che nessun villaggio o città di più di 500 abitanti, nessuna ferrovia o strada importante, e nessuna importante sorgente di energia elettrica o d’acqua venga ad essere sottoposta in tal modo ad una sovranità che non sia quella risultante dalle delimitazioni stabilite dal presente Trattato.

(...)

SEZIONE IV – REPUBBLICA FEDERALE POPOLARE DI JUGOSLAVIA (CLAUSOLE SPECIALI)

Art. 11.

  1. L’Italia cede, mediante il presente Trattato, in piena sovranità alla Jugoslavia il territorio situato fra i nuovi confini della Jugoslavia, come sono definiti dagli articoli 3 e 22 ed i confini italo-jugoslavi, quali esistevano il 1º gennaio 1938, come pure il comune di Zara e tutte le isole e isolette adiacenti, che sono comprese nelle zone seguenti:
    • La zona delimitata:
      • al nord dal parallelo 42º50’N;
      • al sud dal parallelo 42º42’N;
      • all’est dal meridiano 17º10’E;
      • all’ovest dal meridiano 16º25’E;
    • La zona delimitata:
      • al nord da una linea che passa attraverso il Porto del Quieto, equidistante dalla costa del Territorio Libero di Trieste e da quella della Jugoslavia, e di là raggiunge il punto 45º15’N – 13º24’E.
      • al sud dal parallelo 44º23’N;
      • all’ovest da una linea che congiunge i punti seguenti:
        1. 45º15’N – 13º24′ E
        2. 44º51’N – 13º37′ E
        3. 44º23’N – 14º18’30E
      • ad oriente dalla costa occidentale dell’Istria, le isole ed il territorio continentale della Jugoslavia.

Una carta di queste zone figura nell’Allegato I.

2.     L’Italia cede alla Jugoslavia in piena sovranità l’Isola di Pelagosa e le isolette            adiacenti.
L’Isola di Pelagosa rimarrà smilitarizzata.
I pescatori italiani godranno a Pelagosa e nelle acque circostanti degli stessi diritti di cui godevano i pescatori jugoslavi prima del 6 aprile 1941.

Art. 12.

  1. L’Italia restituirà alla Jugoslavia tutti gli oggetti di carattere artistico, storico, scientifico, educativo o religioso (compresi tutti gli atti, manoscritti, documenti e materiale bibliografico) come pure gli archivi amministrativi (pratiche, registri, piani e documenti di qualunque specie) che, per effetto dell’occupazione italiana, vennero rimossi fra il 4 novembre 1918 ed il 2 marzo 1924 dai territori ceduti alla Jugoslavia in base ai Trattati firmati a Rapallo il 12 novembre 1920 ed a Roma il 27 gennaio 1924. L’Italia restituirà pure tutti gli oggetti appartenenti ai detti territori e facenti parte delle categorie di cui sopra, rimossi dalla Missione italiana di armistizio che sedette a Vienna dopo la prima guerra mondiale.
  2. L’Italia consegnerà alla Jugoslavia tutti gli oggetti aventi giuridicamente carattere di beni pubblici e facenti parte delle categorie di cui al paragrafo 1 dell’articolo presente, rimossi a partire dal 4 novembre 1918 dal territorio che, in base al presente Trattato, viene ceduto alla Jugoslavia e quelli, relativi al detto territorio, che l’Italia ricevette dall’Austria e dall’Ungheria per effetto dei Trattati di pace firmati a St. Germain il 10 settembre 1919 ed al Trianon il 4 giugno 1920 ed in base alla Convenzione fra l’Austria e l’Italia firmata a Vienna il 4 maggio 1920.
  3. Se, in determinati casi, l’Italia si trovasse nell’impossibilità di restituire o consegnare alla Jugoslavia gli oggetti di cui ai paragrafi 1 e 2 del presente articolo, l’Italia consegnerà alla Jugoslavia oggetti dello stesso genere e di valore approssimativamente equivalente a quello degli oggetti rimossi, in quanto siffatti oggetti possano trovarsi in Italia.

Art. 13.
L’approvvigionamento dell’acqua per Gorizia ed i suoi dintorni sarà regolato a norma delle disposizioni dell’Allegato V.

(...)

PARTE II 

CLAUSOLE POLITICHE 


SEZIONE I -CLAUSOLE GENERALI

Art. 15.
L’Italia prenderà tutte le misure necessarie per assicurare a tutte le persone soggette alla sua giurisdizione, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione, di godimento dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ivi compresa la libertà d’espressione, di stampa e di diffusione, di culto, di opinione politica e di pubblica riunione.

Art. 16.
L’Italia non incriminerà né altrimenti perseguiterà alcun cittadino italiano, compresi gli appartenenti alle forze armate, per solo fatto di avere, durante il periodo di tempo corrente dal 10 giugno 1940 all’entrata in vigore del presente Trattato, espressa simpatia od avere agito in favore della causa delle Potenze Alleate ed Associate.

Art. 17.
L’Italia, la quale, in conformità dell’articolo 30 della Convenzione di Armistizio, ha preso misure per sciogliere le organizzazioni fasciste in Italia, non permetterà, in territorio italiano, la rinascita di simili organizzazioni, siano esse politiche, militari o militarizzate, che abbiano per oggetto di privare il popolo dei suoi diritti democratici.

(...)

SEZIONE II – NAZIONALITA’ – DIRITTI CIVILI E POLITICI

Art. 19.

  1. I cittadini italiani che, al 10 giugno 1940, erano domiciliati in territorio ceduto dall’Italia ad un altro Stato per effetto del presente Trattato, ed i loro figli nati dopo quella data diverranno, sotto riserva di quanto dispone il paragrafo seguente, cittadini godenti di pieni diritti civili e politici dello Stato al quale il territorio viene ceduto, secondo le leggi che a tale fine dovranno essere emanate dallo Stato medesimo entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente Trattato. Essi perderanno la loro cittadinanza italiana al momento in cui diverranno cittadini dello Stato subentrante.
  2. Il Governo dello Stato al quale il territorio è trasferito, dovrà disporre, mediante appropriata legislazione entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente Trattato, perché tutte le persone di cui al paragrafo 1, di età superiore ai diciotto anni (e tutte le persone coniugate, siano esse al disotto od al disopra di tale età) la cui lingua usuale è l’italiano, abbiano facoltà di optare per la cittadinanza italiana entro il termine di un anno dall’entrata in vigore del presente Trattato. Qualunque persona che opti in tal senso conserverà la cittadinanza italiana e non si considererà avere acquistato la cittadinanza dello Stato al quale il territorio viene trasferito. L’opzione esercitata dal marito non verrà considerata opzione da parte della moglie. L’opzione esercitata dal padre, o se il padre non è vivente, dalla madre, si estenderà tuttavia automaticamente a tutti i figli non coniugati, di età inferiore ai diciotto anni.
  3. Lo Stato al quale il territorio è ceduto potrà esigere che coloro che si avvalgono dell’opzione, si trasferiscano in Italia entro un anno dalla data in cui l’opzione venne esercitata.
  4. Lo Stato al quale il territorio è ceduto dovrà assicurare, conformemente alle sue leggi fondamentali, a tutte le persone che si trovano nel territorio stesso, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione, il godimento dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ivi comprese la libertà di espressione, di stampa e di diffusione, di culto, di opinione politica, e di pubblica riunione.

Art. 20.

  1. Entro il termine di un anno dall’entrata in vigore del presente Trattato, i cittadini italiani di oltre 18 anni di età (e quelli coniugati, siano essi al disotto od al disopra di tale età), la cui lingua usuale è una delle lingue jugoslave (serbo, croato o sloveno) e che sono domiciliati in territorio italiano, potranno, facendone domanda ad un rappresentante diplomatico o consolare jugoslavo in Italia, acquistare la nazionalità jugoslava, se le autorità jugoslave accetteranno la loro istanza.
  2. In siffatti casi il Governo jugoslavo, comunicherà al Governo italiano, per via diplomatica gli elenchi delle persone che avranno così acquistato la nazionalità jugoslava. Le persone indicate in tali elenchi perderanno la loro nazionalità italiana alla data della suddetta comunicazione ufficiale.
  3. Il Governo italiano potrà esigere che tali persone trasferiscano la loro residenza in Jugoslavia entro il termine di un anno dalla data della suddetta comunicazione ufficiale.
  4. Ai fini del presente articolo varranno le medesime norme, relative all’effetto delle opzioni rispetto alle mogli ed ai figli, contenute nell’articolo 19, paragrafo 2.
  5. Le disposizioni dell’Allegato XIV, paragrafo 10 del presente Trattato, che si applicano al trasferimento dei beni appartenenti alle persone che optano per la nazionalità italiana, si applicheranno egualmente al trasferimento dei beni tenenti alle persone che optano per la nazionalità jugoslava, in base al presente articolo.

SEZIONE III – TERRITORIO LIBERO DI TRIESTE

Art. 21.

  1. È costituito in forza del presente Trattato il Territorio Libero di Trieste, consistente dell’area che giace fra il mare Adriatico ed i confini definiti negli articoli 4 e 22 del presente Trattato. Il Territorio Libero di Trieste è riconosciuto dalle Potenze Alleate ed Associate e dall’Italia, le quali convengono, che la sua integrità e indipendenza saranno assicurate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
  2. La sovranità italiana sulla zona costituente il Territorio Libero di Trieste, così come esso è sopra definito, cesserà con l’entrata in vigore del presente Trattato.
  3. Dal momento in cui la sovranità italiana sulla predetta zona avrà cessato d’esistere il Territorio Libero di Trieste sarà governato in conformità di uno Strumento per il regime provvisorio, redatto dal Consiglio dei Ministri degli Esteri e approvato dal Consiglio di Sicurezza. Detto Strumento resterà in vigore fino alla data che il Consiglio di Sicurezza determinerà per l’entrata in vigore dello Statuto Permanente, che dovrà essere stato da esso Consiglio approvato. A decorrere da tale data, il Territorio Libero sarà govemato secondo le disposizioni dello Statuto Permanente. I testi dello Statuto permanente e dello Strumento per il regime provvisorio sono contenuti negli Allegati VI e VII.
  4. Il Territorio Libero di Trieste non sarà considerato come territorio ceduto, ai sensi dell’articolo 19 e dell’Allegato XIV del presente Trattato.
  5. L’Italia e la Jugoslavia s’impegnano a dare al Territorio Libero di Trieste, le garanzie di cui all’Allegato IX.

Art. 22.

La frontiera fra Jugoslavia ed il Territorio Libero di Trieste sarà fissata come segue:

  1. Il confine parte da un punto situato sulla linea di demarcazione amministrativa che separa le province di Gorizia e di Trieste, a circa 2 chilometri a nord-est del villaggio di S. Giovanni e a circa mezzo chilometro a nord-ovest di quota 208, che costituisce il punto d’incontro delle frontiere della Jugoslavia, dell’Italia e del Territorio Libero di Trieste; segue la detta linea di demarcazione fino a Monte Lanaro (quota 546); continua a sud-est fino a Monte Cocusso (quota 672) passando per le quote 461, Meducia (quota 475), Monte dei Pini (quota 476) e quota 407, che taglia la Strada Nazionale n. 58, che va da Trieste a Sesana, a circa 3,3 chilometri a sud-ovest di detta città e lasciando ad est i villaggi di Vogliano e di Orle e a circa 0,4 chilometri ad ovest, il villaggio di Zolla.
  2. Da Monte Cocusso, la linea, continuando in direzione sud-est lascia ad ovest il villaggio di Grozzana, raggiunge il Monte Goli (quota 621), poi, proseguendo verso sud-ovest, taglia la strada tra Trieste e Cosina alla quota 455 e la linea ferroviaria alla quota 485; passa per le quote 416 e 326, lasciando i villaggi di Beca e Castel in territorio jugoslavo, taglia la strada tra Ospo e Gabrovizza d’Istria a circa 100 metri a sud-est di Ospo; taglia poi il fiume Risana e la strada fra Villa Decani e Risano ad un punto a circa 350 metri ad ovest di Risano, lasciando in territorio jugoslavo il villaggio di Rosario e la strada tra Risano e San Sergio. Da questo punto la linea procede fino al crocevia situato a circa 1 chilometro a nord-est della quota 362, passando per le quote 285 e 354.
  3. Di qui, la linea prosegue fino ad un punto a circa mezzo chilometro ad est del villaggio di Cernova, tagliando il fiume Dragogna a circa 1 chilometro a nord di detto villaggio, lasciando ad ovest i villaggi di Bucciai e Truscolo e ad est il villaggio di Tersecco; di qui, procede in direzione di sud-ovest a sud-est della strada che congiunge i villaggi di Cernova e Chervoi, lasciando questa strada a 0,8 chilometri a est del villaggio di Cucciani; prosegue poi in direzione generale di sud, sud-ovest, passando a circa 0,4 chilometri ad est del monte Braico e a circa 0,4 chilometri ad ovest del villaggio di Sterna Filaria, lasciando ad oriente la strada che va da detto villaggio a Piemonte, passando a circa 0,4 chilometri ad ovest della città di Piemonte e a circa mezzo chilometro ad est della città di Castagna e raggiungendo il fiume Quieto ad un punto a 1,6 chilometri circa, a sud-ovest della città di Castagna.
  4. Di qui il tracciato segue il canale principale rettificato del Quieto fino alla foce, e, passando attraverso Porta del Quieto, raggiunge il mare aperto, seguendo una linea ad eguale distanza dalla costa del Territorio Libero di Trieste e da quella della Jugoslavia.

La carta alla quale la descrizione presente si riferisce, fa parte dell’Allegato I.

(...)

PARTE III

 CRIMINALI DI GUERRA 

Art. 45.

  1. L’Italia prenderà tutte le misure necessarie per assicurare l’arresto e la consegna ai fini di un successivo giudizio:
    1. delle persone accusate di aver commesso od ordinato crimini di guerra e crimini contro la pace o l’umanità, o di complicità in siffatti crimini;
    2. dei sudditi delle Potenze Alleate od Associate, accusati di aver violato le leggi del proprio paese, per aver commesso atti di tradimento o di collaborazione con il nemico, durante la guerra.
  2. A richiesta del Governo delle Nazioni Unite interessata, l’Italia dovrà assicurare inoltre la comparizione come testimoni delle persone sottoposte alla sua giurisdizione, le cui deposizioni siano necessarie per poter giudicare le persone di cui al paragrafo 1 del presente articolo.
  3. Ogni divergenza concernente l’applicazione delle disposizioni dei paragrafi 1 e 2 del presente articolo sarà sottoposta da uno qualsiasi dei Governi interessati agli Ambasciatori a Roma dell’Unione Sovietica, del Regno Unito, degli Stati Uniti d’America e della Francia, i quali dovranno raggiungere un accordo sulla questione oggetto della divergenza.
(...)

SEZIONE VII – AZIONE PREVENTIVA CONTRO IL RIARMO DELLA GERMANIA E DEL GIAPPONE

Art. 68.

L’Italia s’impegna a prestare alle Potenze Alleate e Associate tutta la sua collaborazione, allo scopo di mettere la Germania e il Giappone in condizione di non poter adottare, fuori dei territori della Germania e del Giappone, misure tendenti al proprio riarmo.

Art. 69.

L’Italia s’impegna a non permettere l’impiego o l’allenamento in Italia di tecnici, compreso il personale dell’aviazione militare o civile, che siano o siano stati sudditi della Germania o del Giappone.

Art. 70.

L’Italia s’impegna a non acquistare e a non fabbricare alcun apparecchio civile che sia di disegno tedesco o giapponese o che comporti importanti elementi di fabbricazione o di disegno tedesco o giapponese.

(...)

PARTE VI

INDENNITA’ IN CONSEGUENZA DELLA GUERRA

SEZIONE I – RIPARAZIONI

Art. 74.

(...)

Riparazioni a favore dell’Albania, dell’Etiopia, della Grecia e della Jugoslavia.
  1. L’Italia pagherà riparazioni a favore dei seguenti Stati:
    • Albania, per un ammontare di 5.000.000 di dollari;
    • Etiopia, per un ammontare di 25.000.000 di dollari;
    • Grecia, per un ammontare di 105.000.000 di dollari;
    • Jugoslavia, per un ammontare di 125.000.000 di dollari.

    Tali pagamenti saranno effettuati nello spazio di 7 anni, a decorrere dall’entrata in vigore del presente Trattato. Durante i primi due anni non si farà luogo a prestazioni tratte dalla produzione italiana corrente.

(...)

SEZIONE III – RINUNCIA A RAGIONI DA PARTE DELL’ITALIA

Art. 76.

  1. L’Italia rinuncia a far valere contro le Potenze Alleate ed Associate, ogni ragione di qualsiasi natura, da parte del Governo o di cittadini italiani, che possa sorgere direttamente dal fatto della guerra o dai provvedimenti adottati a seguito dell’esistenza di uno stato di guerra in Europa, dopo il 1º settembre 1939, indipendentemente dai fatto che la Potenza Alleata o Associata interessata fosse o non fosse in guerra non l’Italia a quella data. Sono comprese in tale rinuncia:
    1. le domande pel risarcimento di perdite o danni subiti in conseguenza di atti delle Forze Armate o delle autorità di Potenze Alleate o Associate;
    2. le ragioni risultanti dalla presenza, dalle operazioni o dalle azioni delle Forze Armate od autorità di Potenze Alleate o Associate in territorio italiano;
    3. le doglianze rispetto a decreti ed ordinanze dei tribunali delle Prede di Potenze Alleate o Associate, impegnandosi l’Italia a riconoscere come validi e aventi forza esecutiva tutti i decreti e le ordinanze di detti tribunali emessi alla data del 1º settembre 1939 o successivamente e concernenti navi italiane, merci italiane o il pagamento delle spese;
    4. le ragioni risultanti dall’esercizio o dall’asserto esercizio di diritti di belligeranza.
  2. Le disposizioni del presente articolo precluderanno, completamente e definitivamente, ogni domanda della specie di quelle a cui questo articolo si riferisce, che rimarrà da questo momento estinta, quali che siano le parti interessate. Il Governo italiano accetta di corrispondere equa indennità in lire alle persone che abbiano fornito, a seguito di requisizione, merci o servizi a favore delle Forze Armate di Potenze Alleate o Associate in territorio italiano e per soddisfare le domande avanzate contro le Forze Armate di Potenze Alleate o Associate relative a danni causati in territorio italiano e non provenienti da fatti di guerra.
  3. L’Italia rinuncia ugualmente a fare valere domande della specie di quelle previste dal paragrafo 1 del presente articolo, da parte del Governo o cittadini italiani contro una qualsiasi delle Nazioni Unite, che abbia rotto le relazioni diplomatiche con l’Italia e che abbia adottato provvedimenti in collaborazione con le Potenze Alleate ed Associate.
  4. Il Governo italiano assumerà piena responsabilità della valuta militare alleata emessa in Italia dalle autorità militari alleate, compresa tutta la valuta in circolazione alla data dell’entrata in vigore del presente Trattato.
  5. La rinuncia da parte dell’Italia, ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo, si estende ad ogni domanda nascente dai provvedimenti adottati da qualunque delle Potenze Alleate ed Associate nei confronti delle navi italiane, tra il 1º settembre 1939 e la data di entrata in vigore del presente Trattato e ad ogni domanda o debito risultante dalle Convenzioni sui prigionieri di guerra, attualmente in vigore.
  6. Le disposizioni del presente articolo non dovranno essere interpretate nel senso di recare pregiudizio ai diritti di proprietà sui cavi sottomarini, che, allo scoppio delle ostilità, appartenevano al Governo italiano od a cittadini italiani. Il presente paragrafo non precluderà l’applicazione, nei riguardi dei cavi sottomarini, dell’articolo 79 e dell’Allegato XIV.

(...)

PARTE VII

BENI, DIRITTI ED INTERESSI

(...)

SEZIONE II – BENI ITALIANI SITUATI NEL TERRITORIO DELLE POTENZE ALLEATE E ASSOCIATE

Art. 79.

  1. Ciascuna delle Potenze Alleate e Associate avrà il diritto di requisire, detenere, liquidare o prendere ogni altra azione nei confronti di tutti i beni, diritti e interessi, che, alla data dell’entrata in vigore del presente Trattato si trovino entro il suo territorio che appartengano all’Italia o a cittadini italiani e avrà inoltre il diritto di utilizzare tali beni o proventi della loro liquidazione per quei fini che riterrà opportuni, entro il limite dell’ammontare delle sue domande o di quelle dei suoi cittadini contro l’Italia o i cittadini italiani, ivi compresi i crediti che non siano stati interamente regolati in base ad altri articoli del presente Trattato. Tutti i beni italiani od i proventi della loro liquidazione, che eccedano l’ammontare di dette domande, saranno restituiti.
  2. La liquidazione dei beni italiani e le misure in base alle quali ne verrà disposto, dovranno essere attuate in conformità della legislazione delle Potenze Alleate o Associate interessate. Per quanto riguarda detti beni, il proprietario italiano non avrà altri diritti che quelli che a lui possa concedere la legislazione suddetta.
  3. Il Governo italiano s’impegna a indennizzare i cittadini italiani, i cui beni saranno confiscati ai sensi del presente articolo e non saranno loro restituiti.
  4. Il presente articolo non pone l’obbligo per alcuna delle Potenze Alleate o Associate, di restituire al Governo italiano od ai cittadini italiani, diritti di proprietà industriale, né di contare tali diritti nei calcolo delle somme, che potranno essere trattenute, ai sensi del paragrafo 1 del prese

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