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https://www.cnj.it/INIZIATIVE/NaMoreConAmore.htm

“NA MORE CON AMORE”
Resoconto dell'iniziativa - Edizione 2014

scarica in formato PDF: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/namoreconamore/2014/FOTO/NMCA_Resoconto2014.pdf

Ciao a tutti,
anche quest’anno speriamo farvi cosa gradita con un breve resoconto dell’iniziativa di ospitalità estiva dei bambini di “nA More con AMore”. Gli studenti della scuola “Sveti Sava” di Jasenovik sono tornati alle loro famiglie, presso i villaggi delle aree di Novo Brdo nel territorio del Kosovo. 
Dopo una settimana piena di soggiorno in Italia, il 2 luglio scorso all’aeroporto di Roma Fiumicino, abbiamo accompagnato Jovana, Katarina, Aleksandra, Marija, Ivana, Nevena, Nikola, Miloš e Valentina. Quest’anno la mascotte nel gruppo è stata Nevena, di soli 8 anni, sorella di Nikola. Nel salutarla, abbiamo sentito cara l’immagine di questa piccola, timida ma caparbia bambina, che si è impegnata come non mai, per vincere la sua forte paura iniziale del grande e fascinoso mare; paura a cui non ha fortunatamente ceduto, godendosi alla fine il suo gioco, il suo beneficio e liberando finalmente il suo sorriso…
La settimana è stata di buon tempo, il cielo ci ha avvicinato qualche nuvolone, ma velocemente se lo è portato via. La comunità di Santa Severa ed i suoi esercenti ci hanno sostenuto, per ridurre al minimo le spese, e noi siamo contenti di poterlo ribadire.
I bambini hanno svolto soprattutto attività in spiaggia, interminabili bagni in mezzo alle generose onde del mare di Santa Severa, con alle spalle il suggestivo castello dell’area Pyrgi, ed i suoi bellissimi tramonti. Nel fine settimana il gruppo si è spostato a visitare Roma, un po’ imbavagliata dai lavori di restauro, persino Fontana di Trevi ci ha lasciati a bocca… asciutta! Però il passaggio alla mostra sulla liberazione di Roma dal Fascismo (’43-’44), all’interno del Vittoriano, è stato molto apprezzato dai ragazzini, nonostante la loro giovane età. Il nostro esperto Andrea Martocchia e la loro insegnante Valentina Ristić hanno saputo stimolare la loro curiosità. Ma la prima accoglienza in città è stata …. Serba! Essendo il 28 giugno, abbiamo festeggiato Vidovdan presso la Chiesa Russa Ortodossa di Santa Caterina a Roma, accolti per il pranzo tradizionale ed ospitati dall’associazione “Sveti Sava”. Vidovdan è un giorno speciale per la tradizione serba, religiosa e laica, in memoria della storica battaglia di Kosovo Polje del XIV secolo, in cui si intrecciano storia, mitologia ed arte, della cultura Serba e Turca. In realtà il 28 giugno ricorrono molti altri importanti avvenimenti politici jugoslavi e dell’Europa, legati alle guerre mondiali ed ai bombardamenti NATO del ‘99.  E’ piaciuto molto anche il Castello di Bracciano ed il suo lago panoramico, che è stato raggiunto attraverso una bella passeggiata serale nel bosco. E poi molto apprezzata è stata la scogliera di Santa Marinella, dove Nevena ha fatto finalmente la sua prima “immersione” integrale nell’acqua di mare. I giorni sono trascorsi veloci, ma l’intensità e la serenità di molti momenti sono state assaporate con una appagante lentezza, fino al saluto della partenza, con l’immancabile caro “vidimo se uskoro!”.

Anche questa edizione dell’iniziativa è stata realizzata in collaborazione con le associazioni Non bombe ma solo caramelle OnlusCNJ – Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus e la Scuola Primaria "Sveti Sava" del villaggio Jasenovik (Novo Brdo). Le pratiche organizzative e di autorizzazione sono state svolte in collaborazione con: il Comitato Minori Stranieri – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; l’Ufficio Visti dell’Ambasciata Italiana di Pristina, la compagnia aerea Air-Serbia; l’Istituto di Assicurazione Consorzio Caes - Assimoco Italia.
Le spese sostenute, per un totale di 2.103 euro, hanno riguardato: visto di ingresso, biglietti aereo, trasferimento pullman A/R Jasenovik- Belgrado, assicurazione per infortunio e responsabilità civile, trasferimento A/R Santa Severa/Roma per gita (treno e bus), servizio stabilimento spiaggia in Santa Severa, visita guidata al Castello di Bracciano, parcheggio all’aeroporto di Fiumicino (causa ritardo di 3 ore del volo da Belgrado).

Per aver contribuito a sostenere economicamente l’iniziativa ringraziamo, 
per le sottoscrizioni:
Associazione Zastava Brescia onlus, Tiziana Cerasoli, Simonetta Granato, Roberta Fortuna, Andrea Martocchia, Giovanni Modica, Stefano Peciarolo, Luana Proietti, Angelo Reali, I Beatles a Roma e tutti i sottoscrittori dell’evento del 24 maggio a Bracciano, Francesca Sellari, Simonetta Seromanni, Zivkica Nedanovska Stankovski, Marcella Simonelli, Angela Taverniti, Alberto Tarozzi, Gilberto Vlaic, Josie Platania;
per l’alloggio, per alcuni trasferimenti, per il vitto, per la guida turistica, per l’ospitalità a Bracciano, per l’Ospitalità presso la Chiesa Ortodossa di Santa Caterina a Roma, per gli interpreti:
Dragan Popović, Vesna Stojaković, Annamaria Cappelli, Augusto Mengarelli, Stefano Mattozzi, Sonja Rakić, Svetlana Rakić, Tanja Vuković, Samantha Mengarelli, Carlo Lo Giudice, Fabrizio Scandone (ed il gruppo del mercoledì!), Andrea Martocchia, Luana Proietti, Roberto Felicetti, Sandro Ciorciolini, l'alimentari panificio Fracassa Galli & C. snc, la pizzeria L'Angolo delle Crepes di G. Amici e S. Lobascio, il ristorante l’Angoletto, la gelateria artigianale di Roma “La Dolce Vita”, lo stabilimento Lido, l’associazione della comunità serba-ortodossa “Sveti Sava” di Roma. 
I fondi raccolti e non spesi verranno utilizzati, come preannunciato, in parte per gli interventi già stabiliti per scuole nella Repubblica Serba di Bosnia colpite dall’alluvione, ed in parte per future iniziative di solidarietà di cui vi terremo informati.
Ringraziamo sempre Valentina Ristić, insegnante e accompagnatrice del gruppo ma quest’anno, un ringraziamento particolare è dovuto ad Andrea Dardi, che ci ha supportati nei difficili rapporti procedurali con l’Ambasciata Italiana di Pristina ed alle Sig.re Djurdja Darazi e Zorica Mihajlović dipendenti storiche della ex Jat Airways (ora Air Serbia) la cui disponibilità, professionalità ed umanità nel risolvere alcuni imprevisti, sono state veramente degne di lode, rare a trovarsi, nelle compagnie aeree di oggi.
E poi cos’altro dire? È sempre molto difficile descrivere le emozioni e le reazioni degli altri. I bambini poi sono disarmanti, tentare di raccontarli è forse presuntuoso e soprattutto molto delicato. Una cosa però la si può dire, senza indugio e senza fargli alcun torto: ma quanto hanno mangiato! come una squadra di pallanuoto. E naturalmente ne siamo rimasti tutti estremamente soddisfatti e contenti, ed un premio speciale va di sicuro alle crostate con farina di farro ed albicocche fresche di Vesna, ai paccheri ripieni con burrata, limone e pomodorini di Annamaria ed alla torta ripiena di creme di Sonja e Ceca.
Perciò per chi vuole, racconti e foto potrete trovarle su questa pagina, per questa esperienza che si arricchisce sempre di più, di partecipazione e di storie importanti, che vogliamo dedicare a due donne, mamme ed amiche, che non ci sono più e che hanno ispirato “nA More con AMore”, Fiore ed Anna Maria, creature del mare. Vi salutiamo tutti e speriamo di ritrovarci nuovamente per questa iniziativa. 

Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus
Non Bombe ma Solo Caramelle - onlus

Certe case vivono e vivranno sempre il loro buon tempo, piene ed appagate delle voci e dei passi che le hanno attraversate...
(da: nA More con AMore, prima edizione)

A cura di Samantha Mengarelli

Foto scattate da: Andrea Martocchia, Stefano Mattozzi, Samantha Mengarelli, Dragan Popović, Dušan Ristić e Valentina Ristić 

LE FOTO: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/NaMoreConAmore.htm#foto2014




http://contropiano.org/politica/item/25248-le-favole-de-l-unita-contro-i-palestinesi

Le favole de l'Unità contro i palestinesi

•  Lunedì, 14 Luglio 2014 10:55
•  Alessandro Avvisato

Fare propaganda invece di giornalismo. Specie in tempi di guerra diventa così normale che nessuno se ne accorge più. A meno che non abbia l'attenzione e la tenacia di una attivista solidale e impegnata come nel caso che segnaliamo.

La ragione strutturale è semplice da capire: se vivi “dentro” un sistema che consideri la tua normalità, difficilmente puoi renderti conto di quanto deformante sia il filtro posto agli eventi che avvengono “fuori”. E la guerra – in Palestina come in Ucraina, in Siria come in Libia o in Iraq, per noi “fortunati” europei è per il momento “fuori” (sembra passato un secolo da quando c'eravamo quasi “dentro”, tra Bosnia, Serbia e Kosovo).

Deve essere per questo che molti giornali e supposti giornalisti tendono a riciclare sempre lo stesso “pezzo”, fiduciosi nel fatto che illettore non ci può fare caso, sommerso com'è da informazione tutta uguale, seriale, embedded senza più nemmeno la necessità che un Minculpop ti venga a censurare l'articolo prima della pubblicazione. Ormai la censura fa parte del software che muove la testa di chi scrive sulla stampa mainstream. E la realtà non conto, l'unico problema è “come raccontarla”. Ma dopo un po' la fantasia si esaurisce. E ci si ripete.

L'infortunio occorso a Umberto De Giovannangeli, inviato de l'Unità, è però davvero singolare. A forza di recarsi in Israele per raccontare l'ennesimo massacro a Gaza, sempre tornando a Sderot (anche la location scelta deve avere la sua importanza, per la ripetitività), ci racconta sempre la stessa storia. Un po' come la nonnina quando ci raccontava le favole per farci addormentare.

La favola che ci racconta De Giovannageli è commovente. È la favola della bambina israeliana Tahal Pfeffer, 4 anni, che quando torna a casa dall'asilo si accuccia sotto il tavolo. Si è abituata a fare così per colpa di quei cattivissimi palestinesi che da Gaza lanciano i terribili razzi Qassam. A forza di vivere così, ha sviluppato una sindrome psicologica che ha un nome preciso - SPT (Sindrome Post-Traumatica) - comune ad oltre la metà degli abitanti della cittadina ai confini di Gaza.

Vi siete commossi anche voi, ammettetelo. Una bambina è il simbolo stesso dell'innocenza, impossibile restare impassibili.

Il problema più grave di questa bambina, però, è che non cresce. Un autentico Peter Pan, che ha sempre quattro anni, anche a distanza di sette anni. Leggiamo:

Quando Tahal Pfeffer, 4 anni, torna a casa dall'asilo, si accuccia sotto il tavolo della cucina e lì rimane. Quando Tahal ha cominciato a comportarsi così, circa sei mesi fa, sua madre Ofra ha pensato che si trattasse di un gioco. Tuttavia dopo averla incoraggiata a parlarne, Ofra si è resa conto che questo era il modo escogitato dalla figlia per controllare lo stress causato dall’allarme sicurezza all’ombra del quale la bambina ha vissuto gran parte della sua giovane vita: i razzi Qassam che cadono su Sderot, il rumore dell'artiglieria israeliana che fa fuoco su Gaza e i boom supersonici provocati dagli aerei dell’aviazione militare dello Stato ebraico. Tahal trasale al minimo rumore, così come fa Yaakov, suo fratello maggiore, sette anni: dallo squillo di un campanello ad uno sbattere delle porte. Quando parte la sirena dell’allarme «Treva Adom», il segnale che un Qassam è in avvicinamento, i bambini si bloccano immediatamente. Se accade di notte, corrono immediatamente nel letto della madre. Sono smarriti, impauriti, emotivamente destabilizzati. La vita a Sderot è una roulette russa: passano nemmeno trenta secondi dall’avvistamento del razzo al suo impatto. Trenta secondi per cercare un rifugio, per evitare di essere intrappolato nelle macerie di un palazzo centrato dai missili palestinesi. La scansione della quotidianità a Sderot è segnata dalla paura. E dal dolore. Anche questo è inferno.

L'Unità, 11 luglio 2014, Umberto De Giovannangeli

La cronaca di questi giorni convulsi. De Giovannangeli ce la consegna con trasporto e commozione (un po' a senso unico, è vero, ma che volete farci, lui è di casa a Sderot, mica a Gaza), attraverso lo spavento di Tahal, appena quattro anni. Esattamente quanti ne aveva nel 2007, in quest'altro (si fa per dire) articolo dello stesso De Giovannangeli per lo stesso giornale:

Quando Tahal Pfeffer, 4 anni, torna a casa dall'asilo, si accuccia sotto il tavolo della cucina e lì rimane. Quando Tahal ha cominciato a comportarsi così, circa sei mesi fa, sua madre Ofra ha pensato che si trattasse di un gioco. Tuttavia dopo averla incoraggiata a parlarne, Ofra si è resa conto che questo era il modo escogitato dalla figlia per controllare lo stress causato dall'allarme sicurezza all'ombra del quale la piccola Tahal ha vissuto gran parte della sua giovane vita: i razzi Qassam che cadono su Sderot, il rumore dell'artiglieria israeliana che fa fuoco su Gaza e i boom supersonici provocati dagli aerei dell'aviazione militare dello Stato ebraico. La famiglia Pfeffer non costituisce un caso isolato. Un recente sondaggio, condotto a Sderot su un campione di 150 famiglie con bambini piccoli, ha evidenziato che il 54% dei genitori e/o dei bambini soffre di SPT (Sindrome Post-Traumatica) Tahal trasale al minimo rumore, così come fa Yaakov, suo fratello maggiore, sette anni: dallo squillo di un campanello ad uno sbattere delle porte.

L'Unità, pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 12) nella sezione "Esteri", 2 June 2007

Il tempo si è fermato, nulla cambia, chiamate Renzi! Vien quasi da pensare che i tanti piccoli Ahmed o Mohammed, le piccole Amina o con qualsiasi altro nome, al di là del confine, in quel paradiso a cielo aperto che è Gaza, siano più fortunati. Loro muoiono prima di sbocciare alla vita, non hanno tempo per contrarre alcuna sindrome psicologica.

Povero Gramsci, che fogna hanno fatto del tuo giornale!

qui l'articolo del 2007:

http://cerca.unita.it/ARCHIVE/ xml/230000/227403.xml?key= Umberto+De+Giovannangeli& first=2241&orderby=1&f=fir& dbt=arc

e qui quello di oggi:

http://www.unita.it/mondo/nei- disegni-dei-bambini-di-gaza- le-gambe-lunghe-per-fuggire-1. 580052?page=3




(italiano / srpskohrvatski / english)
 
Srebrenica ? 
1: A “Planned Chaos”
 
1) Ibran Mustafić book PLANIRANI HAOS (2008)
2) Ibran Mustafic: Srebrenica was a “Planned Chaos” / Srebrenica è stato un “caos pianificato”
3) Confessione sensazionale di Ibran Mustafic: Abbiamo ucciso la nostra gente a Srebrenica
4) Newest statement by Ibran Mustafić: "Sami smo ubili 1.000 svojih u Srebrenici!" (2014)


Disinformazione strategica all'opera contro la Palestina

1) Il ruolo dei media nella formazione di una posizione politica (Militant, 11/7/2014)
2) C’è Netanyahu dietro il rapimento dei 3 studenti (Franco Fracassi, 11/7/2014)


=== 1 ===

http://www.militant-blog.org/?p=10921

Il ruolo dei media nella formazione di una posizione politica

luglio 11th, 2014


Guardatela bene questa prima pagina del Corriere della Sera di ieri, giovedì 10 luglio [ http://www.militant-blog.org/wp-content/uploads/2014/07/IMG_1865.jpg ]. Non è nè ingenua nè approssimativa, tantomeno ricerca una finta equidistanza. E’ una pagina apertamente schierata, ma nella maniera intelligente, pervicace, strisciante, che lascia spazio a interpretazioni mettendo a segno tutti gli obiettivi politici che si propone. Che confluiscono tutti, in buona sostanza, nell’orientamento dell’opinione pubblica volto a giustificare, in questo caso, la politica di guerra israeliana in Palestina.

Dopo giorni di guerra e più di cento palestinesi morti sia a Gaza che in Cisgiordania (gli unici morti di questa aggressione) il titolo è costruito attorno ad un controsenso fuorviante: è Israele che chiede ad Hamas di fermarsi. Automaticamente, il lettore medio, poco informato, che molte volte non va al di là del titolo e che costituisce la stragrande maggioranza dei lettori di quotidiani, sarà portato a credere come sia Hamas, cioè la Palestina, che sta attaccando Israele, e non il contrario come effettivamente sta avvenendo. Nell’occhiello sopra il titolo, poi, l’apoteosi: “Ancora razzi sulla città. Peres: basta lanci o siamo pronti all’invasione”, rafforzando il concetto inesistente che siano i palestinesi a bombardare Israele e non il contrario, e come Israele stia tentando in tutti i modi di evitare un’aggressione che, se ci sarà, sarà determinata esclusivamente dall’atteggiamento palestinese. Nel sottotitolo continua l’opera di ri-costruzione ideologica dell’evento: “A Gaza 50 morti. Gli integralisti: puntiamo alla centrale nucleare”. L’unica concessione a ciò che sta accadendo realmente in Palestina sarebbe quel riferimento ai morti di Gaza. Messa così, però, è a dir poco fuorviante. Al di là dei morti, che in questi tre giorni hanno superato quota cento, nessuno specifica che i morti sono solo palestinesi, e il lettore medio di cui sopra, quello che non ha un’idea chiara di dove sia Gaza e soprattutto da chi sia amministrata, sarà portato a credere che i morti siano di ambedue le parti, avvalorando l’ipotesi della guerra fra due Stati o due popoli e non quella dell’aggressione unilaterale, come effettivamente sta avvenendo. Per completare l’opera di revisione della realtà, il piccolo trafiletto messo a spiegazione del titolo. Ecco un passaggio significativo: “Gli attacchi sulla Striscia hanno provocato almeno 50 morti, mentre su Israele sono stati lanciati 220 razzi, anche a lunga gittata”. Anche qui l’equiparazione delle responsabilità in campo è assolutamente sviante. I “220 razzi palestinesi” non hanno provocato neanche un ferito israeliano. E questo non per la temibile difesa anti-missile dello Stato ebraico, ma per l’assoluta inutilità dei cosiddetti razzi palestinesi, che finiscono tutti nelle campagne alle periferie delle città più prossime alla striscia di Gaza. Tutto questo viene paragonato ai cinquanta morti palestinesi, in un gioco a somma zero dove l’aggredito viene scambiato per l’aggressore.

Non è da meno Repubblica [ http://www.militant-blog.org/wp-content/uploads/2014/07/repubblica.jpg ], a conferma della sostanziale unità d’intenti e di visione politica fra i due giornali, artificialmente contrapposti da chi ha interesse a conservare quote di lettori inebediti dal voyeurismo anti-berlusconiano. Anche per il giornale di De Benedetti il problema sono “i razzi di Hamas”, che starebbero nientemento sfiorando delle centrali nucleari. Nessuno che ponga l’accento sui morti palestinesi, gli unici morti di questa aggressione. Anche qui è Israele, per bocca di Peres, che “chiede ai palestinesi di fermarsi”. Altrimenti, con la morte nel cuore e avendo avuto cura di ricercare tutte le possibili mediazioni, sembrano dirci i dirigenti sionisti, “saremo costretti ad invadervi”. Non volevamo, ma ci avete provocato ripetutamente, non possiamo farne a meno. L’idea generale che producono questi titoli e questa visione della storia nel “lettoremedio” è facilmente intuibile, e infatti fortemente ricercata. Poco importa che a pagina 16 poi verrà stilata una rassegna dei fatti “più equilibrata”, dove al resoconto giornalistico verrà affiancato il commento di qualche arabo per pareggiare la versione sionista: il gioco è fatto, e per la formazione dell’opinione pubblica un titolo di giornale in prima pagina è più importante di cento commentatori arabi nelle pagine interne. Questo gli editorialisti e i loro mandanti lo sanno bene, e continuano a giocare su questo fatto. Entrando ieri nella redazione del “giornale” gratuito “Metro”, la prima risposta del direttore è stata appunto questa: “ma io il giorno dopo, nella risposta ad una lettera a pagina 8, dicevo che c’erano anche i morti palestinesi da piangere, non solo quelli israeliani”. Non crediamo ci sia bisogno di aggiungere altro.

Chiudiamo questa breve rassegna del giornalismo filo-sionista con questa pagina, sempre del Corriere della Sera ma del giorno prima, mercoledì 9 luglio [ http://www.militant-blog.org/wp-content/uploads/2014/07/IMG_1866.jpg ]. Nell’introduzione del pezzo di Davide Frattini, ecco apparire un’altro dei metodi di svilimento della controparte palestinese volta alla costruzione di una empatia (e di una sim-patia) verso la causa israeliana. “E’ guerra tra Israele e Hamas”. Questo modo di riportare la notizia, fintamente equidistante, in realtà cela già la scelta di campo, e mira ad influenzare non tanto il lettore cosciente, ma quello appunto medio. Da una parte c’è uno Stato, magari criticabile ma formato da istituzioni credibili e riconoscibili, Israele. Dall’altra non c’è la Palestina o i palestinesi, ma Hamas. E Hamas non viene descritta come il legittimo, ancorchè criticabile, governo di una parte del territorio palestinese, ma “la fazione palestinese al potere a Gaza”. Il proseguo del pezzo è un capolavoro d’arringa politica mascherato da giornalismo: “Il sistema missilistico difensivo dello Stato ebraico ha evitato che Gerusalemme e Tel Aviv fossero raggiunte dai razzi lanciati dalla Striscia, colpita a sua volta: 19 i morti”. Dunque, i razzi palestinesi non hanno prodotto alcun morto, nè feriti, nè alcun danno a edifici, mentre l’attacco israeliano ha fatto 19 morti. A nessuno viene in mente di descrivere quei razzi palestinesi come la risposta ad un attacco, quello israeliano, che continua a mietere vittime. L’attacco è sempre e solo quello palestinese, la risposta sempre e solo quella israeliana. Avremmo mai potuto leggere questa stessa notizia messa in questo modo: “E’ guerra tra la Palestina e Likud, la fazione israeliana al potere a Tel Aviv. Colpita la Palestina con 19 morti, mentre a Tel Aviv il sistema missilistico difensivo della fazione israeliana ha evitato che Gerusalemme e Tel Aviv fossero raggiunte dai razzi lanciati dalla Palestina” ? No, sarebbe impossibile, perchè prevederebbe un giornalismo anti-sionista (e non anti-israeliano, come vorrebbero farci credere i commentatori sionisti). E questa visione del mondo, che nei fatti della Palestina è così semplice smontare, viene ripetuta per ogni altro evento di politica internazionale. Il racconto mediatico di determinati fatti avviene sempre da un punto di vista politico. Quello dei due giornali menzionati è il punto di vista sionista, imperialista, neoliberista, tanto nel racconto del conflitto arabo-israeliano quanto nella narrazione di tutti gli altri fatti di politica internazionale. E’ sempre bene tenerlo a mente.


=== 2 ===

http://popoffquotidiano.it/2014/07/11/dietro-al-rapimento-dei-3-studenti-spunta-la-mano-di-netanyahu/


C’è Netanyahu dietro il rapimento dei 3 studenti


11 luglio 2014

Il Mossad sapeva del sequestro una settimana prima. Il governo sapeva che i tre erano morti due settimane prima dell’annuncio. Un ex Mossad: «C’è la mano dei miei ex colleghi»

 

di Franco Fracassi


E se il rapimento dei tre ragazzi israeliani fosse stato una messa in scena? «Gli ultimi sulla terra a volere una pacificazione tra Israele e Palestina sono i vertici dell’Idf (le forze armate israeliane), quelli del Mossad e dello Shin Bet (i servizi segreti israeliani) e il governo Netanyahu. State pur certi che faranno di tutto per impedire che la pace si intraveda anche solo in lontananza. Di tutto. Senza limiti, né vergogna». Victor Ostrovsky dal Mossad se n’è andato disgustato. È stato per anni un agente del servizio segreto. «Poi ho capito che non stavo proteggendo Israele e gli israeliani. Bensì i veri nemici del mio Paese. Benjamin Netanyahu è in cima alla lista dei cattivi». Ostrovsky ha detto a Popoff: «Dico una cosa che forse vi scioccherà. Dietro il rapimento dei tre ragazzi c’è la mano dei miei ex colleghi».

Il primo luglio il governo israeliano ha rimosso l’ordine che prevedeva la riservatezza su tutte le informazioni sul rapimento. In Israele in tanti non hanno creduto alla versione ufficiale. E così molti giornali hanno iniziato a indagare. Ecco che cosa è emerso.

Scrive il quotidiano israeliano “Ha’aretz”: «Il 5 giugno ha avuto luogo una riunione straordinaria nell’ufficio del ministro dell’Interno. Il capo del Mossad Tamir Pardo ha detto ai presenti: “Non dovete assolutamente approvare la legge che dà al governo la possibilità di scambiare terroristi condannati per omicidio. Questa legge avrà come conseguenza la riduzione del campo d’azione del governo in caso di rapimenti”. Pardo si è poi rivolto al ministro dell’Economia Naftali Bennet: “Immagini uno scenario che preveda il rapimento di tre adolescenti israeliani. Che cosa farebbe lei se tre quattordicenni venissero rapite da un insediamento tra una settimana? Che cosa ci farete con quella legge?».

L’8 giugno la legge è stata approvata. Il 12 Gilad Shaar (sedici anni) della colonia di Talmon, Naftali Frenkel (sedici) del villaggio di Nof Ayalon sulla “linea verde” ed Elad Yifrach (diciannove) di Elad, nei pressi di Petah Tikva scompaiono nel nulla. È passata esattamente una settimana dal discorso di Pardo.

Lo stesso giorno, il 12 giugno, il primo ministro Netanyahu accusa Hamas del sequestro. Nel corso della conferenza stampa non esibisce alcuna prova a dimostrazione della sua tesi. È sufficiente per scatenare l’odio anti arabo tra l’opinione pubblica israeliana (le cronache di quei giorni riferiscono che per un arabo era altamente pericoloso anche solo camminare per le strade delle principali città). Anche se sono in tanti a nutrire dei dubbi. In più, Hamas nega ogni coinvolgimento.

“Der Spiegel”: «Non c’è alcuna prova concreta che si tratti di Hamas». “Taz”: «Gli eventi sembrano essere fatti apposta per favorire il primo ministro israeliano». “Zürcher Tagesanzeiger”: «I rapimenti giovano a Netanyahu. Mentre non portano nessun vantaggio ad Hamas». “Israeli Today”: «Funzionari delle Nazioni Unite in Israele affermano che il rapimento potrebbe tranquillamente essere stato opera dello stesso Israele. La storia che sia stata Hamas non regge». Il canale tv tedesco “Deutschlandfunk” ha chiesto all’ambasciatore israeliano a Berlino: «Non esistono prove che coinvolgano Hamas nel rapimento. Non le pare un azzardo dire che sia stata Hamas?». L’attivista pacifista israeliano Gilad Atzmon ha dichiarato a “The Guardian”: «Non esistono prove sul fatto che i tre ragazzi siano stati rapiti. Più tempo passa e più appare chiaro che dietro c’è la mano dei nostri servizi segreti. Il motto del Mossad è: “Fai la guerra inducendo all’errore il nemico”. Questo sequestro è la migliore occasione che possa capitare a Netanyahu per bastonare brutalmente i dirigenti e i civili palestinesi».

Ma c’è dell’altro. “Ha’aretz” ha rivelato: «Il 15 giugno il governo israeliano aveva già informato la stampa di essere a conoscenza che gli studenti erano stati uccisi, ma aveva imposto la segretezza su questa informazione». Quindi, il governo doveva già sapere dove si trovavano i corpi, nonostante le ricerche siano continuate fino al 30 giugno, giorno del loro ritrovamento ufficiale. A che cosa sono serviti i quindici giorni di silenzio sulla morte dei tre studenti? Durante il sequestro la Knesset ha approvato una legge che blocca il ritorno di Gerusalemme Est ai palestinesi.

Il 12 giugno, lo stesso giorno del sequestro, sono spariti dalla circolazione i due palestinesi di Hebron accusati del rapimento. Quindi, non saranno mai in grado di confermare né di smentire la versione ufficiale.

I giornali israeliani hanno pubblicato le registrazioni di una telefonata che uno dei tre studenti aveva fatto al numero verde della polizia, subito dopo aver accettato un passaggio in autostop. «Mi hanno rapito», ha urlato il ragazzo al telefono. Poi si odono spari e gemiti. Infine, il silenzio. Quarantanove secondi in tutto. La polizia ha ignorato questa chiamata.

La legge impone alla polizia di aprire un’indagine e di contattare la famiglia del rapito. Invece, le ricerche sono partite solo dopo che il padre del ragazzo ha chiamato a sua volta la polizia (sei ore dopo) per denunciarne la scomparsa, e dopo uno scambio di cinquantaquattro telefonate tra polizia, esercito, Mossad e Shin Bet.

«Due sono le possibilità. O bisogna accusare la polizia di aver violato la legge ignorando la telefonata. Oppure la chiamata è falsa. In questo caso va ricercato il colpevole e processarlo. La legge impone punizioni severe per chiunque sopra i dodici anni faccia false chiamate ai servizi di sicurezza. Oppure…», ha scritto “The Jewish Daily.