Jugoinfo

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Protiv Izraelskih vojnih operacija u Palestini

1) La "soluzione" del Likud per Gaza (Manlio Dinucci)
2) Ecco da che parte sta l’Italia (Manlio Dinucci)
3) ZAJEDNIČKO SAOPŠTENJE KOMUNISTIČKIH OMLADINSKIH ORGANIZACIJA PROTIV IZRAELSKIH VOJNIH OPERACIJA U PALESTINI
4) Popular Front for the Liberation of Palestine: ‘Shuja’iya massacre will stain the hands of all who are silent and complicit’


Leggi anche:

Per la fine immediata del massacro del popolo della Palestina
Sessantasei Partiti Comunisti e Operai hanno già firmato un comunicato comune in cui “condannano l’assalto barbaro e criminale dello Stato di Israele contro il popolo della Palestina”, manifestano “piena solidarietà al popolo della Palestina” e chiamano “i lavoratori di tutto il mondo a mobilitarsi perché si rafforzi l’ondata di condanna di Israele, e sia espressa in forma pratica la solidarietà con il popolo della Palestina”…
http://www.marx21.it/comunisti-oggi/nel-mondo/24364-per-la-fine-immediata-del-massacro-del-popolo-della-palestina.html

La solidarietà di Fidel per i popoli palestinese e ucraino
Fidel Castro Ruz | granma.cu - 18/07/2014
http://www.resistenze.org/sito/os/mp/osmpeg20-014838.htm

Polizia: “Netanyahu sapeva che Hamas non aveva rapito i coloni”
27 lug 2014 - La BBC riporta le dichiarazione del portavoce della polizia Rosenfeld: “Hamas non era coinvolta”. Così Tel Aviv ha giustificato un attacco preparato da tempo…
http://nena-news.it/gaza-polizia-netanyahu-sapeva-che-hamas-non-aveva-rapito-coloni/

Gaza: la verità sulle menzogne di oggi in un rapporto ONU del 2009
26 luglio 2014 By Redazione Sibialiria

Gaza, quello che l’occidente non vede 
Fabio Amato - 23 lug 2014


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"Leadership ebraica"

La "soluzione" del Likud per Gaza

di Manlio Dinucci
da il Manifesto del 25 luglio 2014, pag. 3

Il segretario-generale dell’Onu Ban Ki-moon, all’ombra del segretario di stato Usa John Kerry di cui apprezza il «dinamico impegno», sta cercando a Gerusalemme il modo di «porre fine alla crisi di Gaza». Sembra però ignorare che qualcuno l’ha già trovato. Il vicepresidente della Knesset, Moshe Feiglin, ha infatti presentato il piano per «una soluzione a Gaza» [1].

Esso si articola in sette fasi. 1) L’ultimatum, dato alla «popolazione nemica», cui viene intimato di abbandonare le aree in cui si trovano i combattenti di Hamas, «trasferendosi nel Sinai non lontano da Gaza». 2) L’attacco, sferrato dalle forze armate israeliane «attraverso tutta Gaza con la massima forza (e non con una sua minuscola frazione)», colpendo tutti gli obiettivi militari e infrastrutturali «senza alcuna considerazione per gli scudi umani e i danni ambientali». 3) L’assedio, simultaneo all’attacco, così che «niente possa entrare a Gaza o uscire da Gaza». 4) La difesa, per «colpire con la piena forza e senza considerazione per gli scudi umani» qualsiasi luogo da cui sia partito un attacco a Israele o alle sue forze armate. 5) La conquista, attuata dalle forze armate israeliane che, dopo aver «ammorbidito» gli obiettivi con la loro potenza di fuoco, «conquisteranno l’intera Gaza, usando tutti i mezzi necessari per minimizzare qualsiasi danno ai nostri soldati, senza alcun’altra considerazione». 6) L’eliminazione, attuata dalle forze armate israeliane, che «annienteranno a Gaza tutti i nemici armati» e «tratteranno in accordo col diritto internazionale la popolazione nemica che non ha commesso malefatti e si è separata dai terroristi armati, alla quale sarà permesso di lasciare Gaza». 7) La sovranità su Gaza, «che diverrà per sempre parte di Israele e sarà popolata da ebrei», contribuendo ad «alleviare la crisi abitativa in Israele». Agli abitanti arabi, che «secondo i sondaggi desiderano per la maggior parte lasciare Gaza», sarà offerto «un generoso aiuto per l’emigrazione internazionale», che verrà però concesso solo a «quelli non coinvolti in attività anti-israeliane». Gli arabi che sceglieranno di restare a Gaza riceveranno un permesso di soggiorno in Israele e, dopo un certo numero di anni, «coloro che accettano il dominio, le regole e il modo di vita dello Stato ebraico sulla propria terra» potranno divenire cittadini israeliani.

Questo piano non è frutto della mente di un singolo fanatico, ma di un uomo politico che sta raccogliendo crescenti consensi in Israele. Moshe Feiglin è il capo della Manhigut Yehudit (Leadership ebraica), la maggiore fazione all’interno del Comitato centrale del Likud, ossia del partito di governo. Nell’elezione della leadership del Likud nel 2012, ha corso contro Netanyahu, ottenendo il 23% dei voti. Da allora la sua ascesa è continuata, tanto che in luglio ha aggiunto alla carica di vicepresidente della Knesset quella di membro della influente Commissione affari esteri e difesa.

Esaminando il piano che Feiglin sta attivamente promovendo, sia in Israele che all’estero (soprattutto negli Stati uniti e in Canada), si vede che l’attuale operazione militare israeliana contro Gaza comprende quasi per intero le prime quattro delle sette fasi previste. Sotto questa luce, si capisce che la rimozione dei coloni israeliani da Gaza nel 2005 aveva lo scopo di lasciare alle forze armate mano libera nell’operazione «Piombo fuso» del 2008/2009. Si capisce che l’attuale operazione «Margine difensivo» non è contingente ma, come le altre, parte organica di un preciso piano (sostenuto per lo meno da una consistente parte del Likud) per occupare permanentemente e colonizzare Gaza, espellendo la popolazione palestinese. E sicuramente Feiglin ha già pronto anche il piano per «una soluzione in Cisgiordania ».


[1] “The Moshe Feiglin’s plan for a solution for Gaza”, by Moshe Feiglin, Voltaire Network, 15 July 2014.


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Ecco da che parte sta l’Italia

di  Manlio Dinucci, su Il Manifesto del 29.7.2014

Mogherini, mamma mia. La ministra degli Esteri interviene alla Camera sulla «crisi a Gaza»

Inter­ve­nendo alla Camera sulla «crisi a Gaza», la mini­stra degli esteri Fede­rica Moghe­rini ha invi­tato il par­la­mento e l’opinione pub­blica ita­liana a «non cedere alla logica della par­ti­gia­ne­ria, all’idea che ci si debba divi­dere tra amici di Israele e amici della Pale­stina, che si debba sce­gliere da che parte stare nel conflitto».

In realtà l’Italia ha da tempo già scelto, isti­tu­zio­na­liz­zando sotto forma di legge (con larga intesa bipar­ti­san) la coo­pe­ra­zione mili­tare con Israele.
Il memo­ran­dum d’intesa sulla coo­pe­ra­zione mili­tare italo-israeliana, rati­fi­cato nel 2005 dal Senato (in par­ti­co­lare gra­zie ai voti del gruppo Demo­cra­tici di sinistra-Ulivo schie­ra­tosi con il centro-destra) e dalla Camera, è dive­nuto Legge 17 mag­gio 2005 n. 94. La coo­pe­ra­zione tra i mini­steri della difesa e le forze armate di Ita­lia e Israele riguarda «l’importazione, espor­ta­zione e tran­sito di mate­riali mili­tari», «l’organizzazione delle forze armate», la «formazione/addestramento».
Sono inol­tre pre­vi­ste a tale scopo «riu­nioni dei mini­stri della difesa e dei coman­danti in capo» dei due paesi, «scam­bio di espe­rienze fra gli esperti», «orga­niz­za­zione delle atti­vità di adde­stra­mento e delle eser­ci­ta­zioni», «par­te­ci­pa­zione di osser­va­tori alle eser­ci­ta­zioni militari».

La legge pre­vede anche la «coo­pe­ra­zione nella ricerca, nello svi­luppo e nella pro­du­zione» di tec­no­lo­gie mili­tari tra­mite «lo scam­bio di dati tec­nici, infor­ma­zioni e hard­ware». Ven­gono inol­tre inco­rag­giate «le rispet­tive indu­strie nella ricerca di pro­getti e mate­riali» di inte­resse comune.
Con que­sta legge, le forze armate e l’industria mili­tare del nostro paese sono state coin­volte in molte atti­vità di cui nes­suno (nep­pure in par­la­mento) viene messo a cono­scenza. La legge sta­bi­li­sce infatti che esse sono «sog­gette all’accordo sulla sicu­rezza» e quindi segrete.

Poi­ché Israele pos­siede armi nucleari, alte tec­no­lo­gie ita­liane pos­sono essere segre­ta­mente uti­liz­zate anche per poten­ziare le capa­cità di attacco dei vet­tori nucleari israe­liani.
In tale qua­dro, l’Italia sta for­nendo a Israele i primi dei 30 veli­voli M-346 da adde­stra­mento avan­zato, costruiti da Ale­nia Aer­mac­chi (Fin­mec­ca­nica), che pos­sono essere usati anche come cac­cia per l’attacco al suolo in ope­ra­zioni bel­li­che reali. Gran parte del costo (400 milioni su un miliardo di dol­lari) viene anti­ci­pata a Israele da un con­sor­zio for­mato da Uni­cre­dit e da un fondo pen­sione col­le­gato. A sua volta l’Italia si è impe­gnata ad acqui­stare da Israele (con una spesa di oltre un miliardo di dol­lari) il sistema satel­li­tare ottico ad alta riso­lu­zione Optsat-3000, che serve a indi­vi­duare gli obiet­tivi da col­pire, più due aerei Gul­fstream 550 che, tra­sfor­mati dalle Israel Aero­space Indu­stries, svol­gono la fun­zione di comando e con­trollo per l’attacco in distanti tea­tri bellici.

Que­sta è solo la punta dell’iceberg di un accordo, non solo mili­tare ma poli­tico, attra­verso cui l’Italia aiuta nei fatti Israele a sof­fo­care nel san­gue il diritto dei pale­sti­nesi, rico­no­sciuto dall’Onu, di avere un pro­prio stato sovrano.


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http://www.skoj.org.rs/palestina.html

ZAJEDNIČKO SAOPŠTENJE KOMUNISTIČKIH OMLADINSKIH ORGANIZACIJA PROTIV IZRAELSKIH VOJNIH OPERACIJA U PALESTINI

Komunističke omladinske organizacije koje stoje iza ovog saopštenja oštro osuđuju vojne operacije Izraelske države protiv Palestinskog naroda koje su do sada već rezultirale gubitkom više stotina života.

Sjedinjene Američke Države, ali takođe i Evropska Unija, koji ohrabruju kriminalne aktivnosti Izraela pružajući mu punu podršku, izjednačavajući počinioce zločina sa žrtvama, unapređujući političke, finansijske i vojne veze sa Izraelom, organizujući zajedničke vojne vežbe sa Izraelskom vojskom, kao posledicu snose veliku odgovornost za kontinuirane zločine protiv Palestinskog naroda i njegove omladine.

Komunističke omladinske organizacije pozivaju mlade širom sveta da zajedničkom borbom i međunarodnom solidarnošću zaustavimo genocid Izraela nad Palestinskim narodom koji se nalazi na nišanu imperijalističke agresije koja predstavlja deo šire imperijalističke strategije za područje Bliskog Istoka i Istočnog Mediterana.

Zahtevamo:

-Da se vojne operacije Izraelske vojske protiv Palestinskog naroda odmah zaustave.

-Da Izraelska okupaciona vojska i svi naseljenici napuste palestinske teritorije.

-Oslobađanje svih političkih zatvorenika iz Izraelskih zatvora i omogućavanje svim Palestincima da se vrate svojim domovima.

-Ukidanje zajedničkih vojnih vežbi i svih ugovora o vojnoj saradnji sa Izraelom.

-Uspostavljanje nezavisne Palestinske drzave u granicama iz 1967. sa Istočnim Jerusalimom kao glavnim gradom.

Potpisnice:

KO Austrije-KJO

KO Bolivije-JCB

KO Brazila-UJC

KO Kanade

MS Hrvatska-SRP

KO Kipar-EDON

KO Češka-KSM

KO Ekvador-JCE

KO Francuska-MJCF

KO Grčka-KNE

KO Irska

KO Izrael

KO Italija-FGC

KO Luksemburg

KO Meksiko-FJC

KO Paragvaj-JCP

KO Peru "Patrai Roja" - JCP PR

KO Peru-JCP

KO Portugal -JCP

KO Rusija - RKSMb

SKOJ-Srbija

KO Španija-CJC

KO Švedska-SKU

KO Sirija - Khaled Bagdash CY


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Popular Front for the Liberation of Palestine: ‘Shuja’iya massacre will stain the hands of all who are silent and complicit’

By PFLP on July 25, 2014

Statement issued by the Popular Front for the Liberation of Palestine

July 20 — The Zionist enemy carried out a horrific massacre today against the civilians of Shuja’iya neighborhood in eastern Gaza City, targeting homes with mortars, tanks, missiles and aircraft, killing dozens of martyrs and wounding hundreds, where many remain under the rubble of their destroyed homes amid a barrage of shells and rockets.

The Popular Front for the Liberation of Palestine pledged that the blood of the martyrs of the Shuja’iya massacre, of the war crimes and genocide committed by land, air and sea in every inch of Gaza against civilians in their homes, children, women and the elderly, will not be wasted, and that the enemy will never be able to break the will and steadfastness of our people and their valiant resistance which will fight and resist this cowardly and criminal enemy until the last breath.

The Front noted that the Zionist criminal occupation has brought death, destruction and devastation to our neighborhoods, camps and cities, saying that the occupation forces were incapable of stopping the resistance or its qualitative strikes against occupation forces, and have expressed their cowardice by targeting innocent civilians in their homes.

The Front saluted the brave resisters in all the Palestinian military organizations who are willing to sacrifice in order to block the progress of the occupation forces, for our people to survive and confront the war machine, and praised its ongoing painful strikes to the enemy.

Furthermore, the Front emphasized that the international community is responsible for the crimes against our people in Gaza with its ongoing military, financial and political support to the occupation entity, providing it with political cover to commit crimes against our people.

The Front demanded that Palestinian Authority officials and spokespeople stop engaging in the language of defeatism and to instead respect the Palestinian popular mood, which shouts that no voice is louder than the voice of the resistance. Our legitimate resistance is a point of pride for all of our people; we are convinced that we will win, and we will mend our wounds, we will rise from the rubble and the ruins to rebuild our homes again.

The Front saluted with pride the steadfast people in Gaza from Rafah to Beit Hanoun who have suffered so much pain and yet refuse to concede to the threats of the occupation. People with such steadfastness will inevitably triumph and no war machine will be able to defeat them or to force them to abandon their embrace of the resistance.

The Front saluted the inspiring sacrifices and commitment of medical personnel, ambulance workers and civil defense, who faced extreme danger and came under fire in order to evacuate the dead and wounded, as well as the journalists who lost their lives in order to deliver the tragic images in the streets of Gaza to the world.

The Front called upon the Palestinian people throughout Palestine, in the West Bank, Jerusalem and … everywhere in diaspora and exile, saying that the land of the West Bank must burn under the feet of the occupiers, in their settlements and everywhere the occupation is. It is time that the earth is turned to flame beneath the feet of the criminal enemy. There can be no more waiting as the horrific massacres continue in Bureij, Rafah, Khan Younis, Beit Hanoun, Shuja’iya, Gaza.

It also demanded [of] the Arab people and the democratic and progressive forces of the world to remain in the streets and squares, to occupy, surround and storm the Zionist and U.S. embassies and consulates in response to the crimes of the occupation forces, and to condemn the international and Arab official silence and complicity, demanding an immediate end to the siege on Gaza and the unconditional opening of Rafah crossing and in particular to facilitate the entry of medical personnel and aid.

The Popular Front for the Liberation of Palestine confirms that the crimes of the occupation will not go unpunished and resistance to the Zionist genocide against our people is our path. The banner of resistance and confrontation will be raised high by the Palestinian people.

The PFLP demanded that the PLO leadership immediately act to join the International Criminal Court and act to prosecute the fascist occupation war criminals for their massacres against the Palestinian people. The Front expressed its highest honor and salute and deepest mourning for the blood of the martyrs whose blood was shed on the land of Gaza, pledging to march on the path of freedom, self-determination, return and liberation, for which they were killed.








Sionismo e Fascismo

1) Israele e Jugoslavia (A. Martocchia)
2) Antisemitismo, Fascismo e Sionismo (F. De Leonardis)
3) Israele e nazisti ucraini uniti nella lotta (Contropiano)
4) Israele. Verso il fascismo (M. Warschawski)


Leggi anche:

Le sionisme comme nationalisme extrême 
par Rudolf Bkouche, membre de l’Union Juive Française pour la Paix - 24 juillet 2014
http://www.michelcollon.info/Le-sionisme-comme-nationalisme.html

Finkelstein: Basta strumentalizzare l’Olocausto per difendere Israele
Lo storico e politologo ebreo accusa: «I miei genitori hanno partecipato alla rivolta del ghetto di Varsavia e l’intera mia famiglia è stata sterminata dai nazisti. Proprio per questo considero spregevole strumentalizzare l’Olocausto».

The Communist Party of Israel strongly condemns Israeli aggression in Gaza and rejects any attack on civilians (CPI / July 12, 2014)
http://maki.org.il/en/?p=2659

La fatica di essere ebreo e difendere il popolo palestinese
di  Stefano Sarfati Nahmad, su Il Manifesto del 26.7.2014
http://ilmanifesto.info/la-fatica-di-essere-ebreo-e-difendere-il-popolo-palestinese/

Manifestazione per la Palestina degli ebrei antisionisti a New York - 9 Luglio 2014
http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=421:manifestazione-per-la-palestina-degli-ebrei-antisionisti-a-new-york

Moni Ovadia: Gaza e la questione palestinese
Assemblea nazionale L'Altra Europa - 19 luglio 2014

Moni Ovadia: perchè Israele non vuole la Pace
Libera.Tv, 19 luglio 2014

Moni Ovadia: "Israele non vuole la pace"
Moni Ovadia denuncia la mancanza di informazione corretta su quanto sta accadendo in Medio Oriente e sottolinea le ragioni reali dell'invasione della Striscia di Gaza. "Israele non vuole la pace" denuncia l'intellettuale ebreo, "i palestinesi vivono in gabbia sotto un assedio continuo e l'America e l'Europa si bevono la comunicazione imperante: 'Ci buttano i missili e noi abbiamo il dovere di difendere la nostra popolazione'. Ma non è così". L'intervista di Carla Toffoletti
AUDIO: http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Intervista-telefonica-Moni-Ovadia-6db16bfa-6182-4f71-baa0-be934d24bb30.html

Gideon Levy: “Israele non vuole la pace”
9 lug 2014 - L’atteggiamento di rifiuto è intrinseco alle convinzioni più radicate di Israele. Qui risiede, a livello più profondo, il concetto che questa terra è destinata solo agli ebrei. Il dato di fatto più evidente è il progetto di colonizzazione. Fin dalle sue origini, non c’è mai stato una più attendibile o più evidente prova inconfutabile delle reali intenzioni di Israele…
http://nena-news.it/gideon-levy-israele-non-vuole-la-pace/

Internationally renowned conductor Daniel Barenboim speaks out in sympathy with the Palestinians
By Fred Mazelis / WSWS, 29 July 2014


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Israele e Jugoslavia

(…) Alla fine degli anni Ottanta infuriò anche una virulenta polemica internazionale sulla figura di Kurt Waldheim, che aveva avuto ben due incarichi come Segretario Generale dell’ONU e nel 1986 fu eletto presidente in Austria. In sostanza, in occasione della campagna elettorale (1985-1986), le opinioni pubbliche occidentali scoprirono casualmente che Waldheim aveva celato il suo passato da ufficiale nazista nei Balcani. (…)
Anche Israele ebbe un ruolo-chiave nella denuncia dell'affaire Waldheim, per le persecuzioni subite dagli ebrei in Grecia. Questo potrebbe far pensare che sia esistita una convergenza tra le diplomazie della RFSJ e dello Stato di Israele almeno sul caso Waldheim, ma le cose stanno ben diversamente. Nel secondo dopoguerra, i rapporti tra la Jugoslavia ed Israele avevano avuto andamenti molto diversi. Nel 1947 all’ONU i rappresentanti della Jugoslavia, pur comprendendo le aspirazioni ebraiche ad uno Stato indipendente, si mostrarono favorevoli piuttosto alla creazione di uno Stato binazionale in Palestina, tanto che all’Assemblea Generale nel novembre non votarono per la Risoluzione sulla partizione di quel territorio. E’ evidente che questa scelta rispecchiava l’ideale multinazionale cui si ispirava la stessa struttura dello stato socialista jugoslavo. Tuttavia, in seguito alla proclamazione dello Stato di Israele, la Jugoslavia lo riconobbe già il 19 maggio 1948. [66] Anche per la significativa presenza ebraica sul territorio e per il ruolo svolto dalla comunità ebraica nella Resistenza e nel movimento comunista, nella Jugoslavia socialista non poteva sussistere storicamente alcuna ostilità verso gli ebrei (se non nelle frange sconfitte del nazifascismo cattolico): fu dunque ben tollerata anche la emigrazione ebraica verso la Palestina, furono instaurate relazioni commerciali, culturali e diplomatiche con Israele. 
I rapporti con Israele si deteriorarono però velocemente in seguito alla crisi del Sinai ed alla costituzione del MPNA [Movimento dei Paesi Non Allineati] (Conferenza di Bandung, 1955), fino ad essere completamente interrotti già nel 1967 per diretta iniziativa [67] di Tito. Nelle sue politiche di pace, era questa la prima volta dalla II Guerra Mondiale che la RFSJ rompeva i rapporti diplomatici con uno Stato. [68] 
Meriterebbe in effetti una approfondita analisi l’atteggiamento tenuto da Israele e dalla comunità ebraiche, dentro e fuori la Jugoslavia, in occasione delle minacce secessioniste prima e della vera e propria disgregazione della RFSJ poi. Evidentemente, la rottura del 1967 e le politiche perseguite dal MPNA in favore della pace tra i popoli e gli Stati, attraverso la salvaguardia di tutti i confini internazionalmente riconosciuti, dovettero creare profondo malumore nella leadership sionista israeliana viceversa impegnata a stabilire nuovi confini de facto e ad approfondire la separazione etnica tra la componente ebraica e le altre stanziate in Palestina. Solo così si può spiegare l’incredibile freddezza o addirittura l’appoggio mostrati da Israele e dalle organizzazioni ebraiche egemoni dinanzi alla distruzione della Jugoslavia ed alla ripresa del potere da parte di leadership fasciste e razziste nei nuovi staterelli balcanici. [69] Ha lasciato tutti piuttosto sgomenti l’operazione effettuata dall’ American Jewish Joint Distribution Committee di trasferimento immediato e totale in Israele della popolazione ebraica della Bosnia, attraverso l’aereoporto di Sarajevo, proprio allo scoppio della guerra civile in quella repubblica (aprile 1992). A Zagabria, già nel settembre 1992 la comunità ebraica festeggiava, con la partecipazione formale ed i fondi elargiti dal regime fascista di Tudjman, la riapertura del Centro Ebraico; [70] ed il presidente di Israele come prima tappa dei suoi viaggi nelle nuove repubbliche dei Balcani scelse proprio la Croazia… [71]

Estratto da: IL PROLUNGATO "OTTANTANOVE" DELLA JUGOSLAVIA
di A. Martocchia (segretario, CNJ-onlus). Contributo agli Atti del Convegno TARGET (Vicenza 2009)


Note:
[67] RFE/RL Background Report: Tito Breaks Relations with Israel, Slobodan Stanković, 14/6/1967.
[68] Il gesto diplomatico può essere interpretato come un atto dovuto ai vincoli con i paesi arabi appartenenti al MPNA, in primis l’Egitto che ne era cofondatore, e con i paesi socialisti, con le cui leadership in effetti Tito si era riunito a Mosca in quei giorni; ma è interessante notare che esso fu anche inteso << a prevenire una escalation delle forze imperialiste in altre aree, tra cui anche i Balcani. >> (Radio Zagreb, 13/6/1967, ore 19:30, cit.in ibidem).
[69] Ad esempio, in contrasto con molti singoli esponenti ebraici (incluso lo stesso Simon Wiesenthal, cfr. ad es. Corriere della Sera 1/4/1993) impegnati a denunciare il carattere fascista e razzista dell’ideologia di Franjo Tudjman (che si era reso celebre dichiarando in TV: “Per fortuna mia moglie non è né serba né ebrea”, oltre che per i suoi lavori da storico revisionista sul genocidio ustascia) e della sua “Croazia indipendente”, Nenad Porges, presidente della comunità ebraica di Zagabria, intervenne pubblicamente per capovolgere l’accusa di antisemitismo rivolgendola ai Serbi (cfr. varie fonti raccolte in: http://www.porges.net/JewishHistoryOfYugoslavia.html#Relations %20with%20Israel). Dopo lo scoppio della guerra in Bosnia, la leadership degli intellettuali sionisti si è attivamente impegnata per costruire artificialmente una immagine dei “serbi nazisti” (cfr. Nota 79; sullo strano atteggiamento di Eli Wiesel a proposito dei “lager serbi” si veda: Jean Toschi Marazzani Visconti, Il corridoio, La Città del Sole, Napoli 2005).
[71] Moshe Katsav giunse a Zagabria l'11/07/2003 per una visita di tre giorni.


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Antisemitismo, Fascismo e Sionismo

(…) Tra sionismo ed ebraismo non vi è una relazione di identità, bensì di reciproca irriducibilità: il sionismo è una specifica ideologia politica emersa in tempi relativamente recenti, legata al variegato e spesso contraddittorio movimento nazionalista e colonialista che ha dato vita allo Stato d’Israele, laddove l’ebraismo è una religione dalla storia ben più lunga e a cui molti si sentono legati anche quando non sono veri e propri credenti e la considerano piuttosto un’eredità culturale. E la storia dei rapporti tra ebraismo e sionismo, sebbene non lunga, è certamente frastagliata e lungi dall’essere univoca. Nel senso comune, però, i due coincidono: il sionismo è visto come l’incarnazione politica ‘naturale’ dell’ebraismo, e quindi, ça va sans dire, contrapposto all’antisemitismo; da questa deduzione implicita segue l’equazione secondo la quale l’antisionismo sarebbe automaticamente antisemitismo.
Allo stesso modo è un mito – ideologico quindi per definizione – l’idea che il sionismo sia, come movimento e come ideologia politica, intrinsecamente antitetico all’antisemitismo. È su questo mito che si basa la pretesa dello Stato d’Israele (che si vuole stato degli ebrei di tutto il mondo anche se la maggior parte degli ebrei non vive sul suo territorio) di essere il rappresentante e l’erede storico dei sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti, rivendicazione da cui esso trae la propria legittimazione morale e politica. Si tratta però di una costruzione ideologica priva di qualsiasi fondamento storico e/o giuridico, frutto di un’appropriazione in chiave nazionalistica della memoria dello sterminio. (…)
Contrariamente a quanto il senso comune suggerirebbe, l’imbarazzante storia dei rapporti di collusione del sionismo con l’antisemitismo in generale e con il nazismo e il fascismo in particolare presenta diversi capitoli. Quando nel 1933 Adolf Hitler salì al potere in Germania, l’avvenimento suscitò grande apprensione nella comunità ebraica palestinese, timorosa di ciò che sarebbe potuto accadere agli ebrei tedeschi. Ben diverse furono invece le reazioni dei vertici sionisti, cui la vittoria dei nazisti appariva come un’opportunità per incrementare l’immigrazione: “le strade sono lastricate di soldi […] si presenta un’occasione irripetibile per costruire e prosperare”, scrisse Moshe Beilinson del Mapai (i sionisti laburisti) [9] o, per dirla con Ben Gurion, “una forza fertile” [10] per l’avanzamento dell’impresa sionista. La ragione di questa valutazione apparentemente schizofrenica era che poiché i nazisti intendevano espellere gli ebrei tedeschi, l’Agenzia Ebraica avrebbe potuto accoglierli in Palestina e incrementare il peso demografico della locale comunità ebraica a fronte degli arabi palestinesi. Questa logica aberrante non deve stupire: le priorità dell’Agenzia erano sviluppare la colonizzazione ed edificare lo Stato ebraico, quindi gli ebrei tedeschi potevano interessarla solo nella misura in cui erano funzionali a questi progetti. L’Agenzia Ebraica concluse quindi con il governo nazista un accordo che fu detto della haavarah («trasferimento»): un certo numero di ebrei tedeschi avrebbero potuto trasferirsi in Palestina, portando con sé merci e capitali fino ad un valore di 9000 dollari. Ad occuparsi delle operazioni finanziarie relative al trasferimento sarebbero state delle società miste tedesco-sioniste alla cui gestione presero parte il Mapai, il sindacato Histadrut, il Fondo Nazionale Ebraico, l’Agenzia Ebraica e un finanziere polacco legato ai revisionisti [11]. (…) Sempre nel 1933, al fine di migliorare le relazioni reciproche fu invitato a visitare la Palestina il barone von Mildenstein, nazista della prima ora, membro delle SS e predecessore di Adolf Eichmann alla direzione dell’Ufficio per gli Affari Ebraici di Berlino. Von Mildenstein fu accompagnato nel suo tour da Kurt Tuchler, delegato dell’Organizzazione Sionista per i rapporti col Partito Nazista, e raccontò le sue favorevoli impressioni sul giornale di Joseph Goebbels Angriff. Nel 1938 un altro delegato sionista, Teddy Kollek (futuro sindaco di Gerusalemme), incontrò a Vienna per questioni burocratiche Adolf Eichmann, di lì a qualche anno principale esecutore della “soluzione finale”. Incontri simili ebbero luogo fino al 1939, e coinvolsero persino i vertici della Gestapo.
La destra sionista, i cosiddetti revisionisti guidati da Vladimir (Zeev) Žabotinskij, contestò il patto e annunciò il boicottaggio della Germania, accusando i laburisti di essersi alleati ai nazisti. Ma in realtà anche la destra sionista non era del tutto estranea all’operazione haavarah, e la sua vicinanza ideologica all’estrema destra europea fece sì che l’accusa le si ritorcesse contro: la corrente revisionista più estremista era infatti guidata da Abba Ahimeir, fervido ammiratore di Mussolini, il quale affermava pubblicamente che la politica di Hitler era in tutto e per tutto condivisibile, a parte ovviamente l’antisemitismo [12]. Addirittura, nel 1940-41 la fazione Stern dell’Irgun, l’organizzazione armata della destra sionista, arrivò a proporre alla Germania un’alleanza militare contro la Gran Bretagna [13].
Non meno spregiudicati furono i rapporti che i sionisti ebbero con il fascismo italiano…

Estratto da: ANTISEMITISMO, FASCISMO E SIONISMO: TRIANGOLAZIONI INATTESE
di Fabio De Leonardis (storico). Relazione al Convegno I FALSI AMICI (Arezzo 2013)


Note:
[9] Riportato in Tom Segev, Il settimo milione. Come l’Olocausto ha segnato la storia di Israele, trad. it. di C. Lazzari, Milano, Arnoldo Mondadori, 2001 [1991], p. 18.
[10] Riportato in Tom Segev, ibidem.
[11] Ibidem. Sull’accordo della haavarah si vedano anche Hannah Arendt, La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme, trad. it. di P. Bernardini, Milano, Feltrinelli, 2005 [1963], p. 68, e Faris Yahia, Relazioni pericolose: il movimento sionista e la Germania nazista, trad. it. di F. De Leonardis, Napoli, La Città del Sole, 2008 [1978], pp. 45-52.
[12] Si noti che la sezione tedesca del Beitar, l’organizzazione giovanile revisionista, continuò la sua attività in Germania sotto la protezione della Gestapo, con cui aveva regolari rapporti e dalla quale anni dopo ottenne persino l’apertura di un ufficio per l’emigrazione nell’Austria occupata, con gran disappunto di Žabotinskij. Il fondatore del sionismo revisionista stigmatizzò questo filohitlerismo dei suoi seguaci, ma il suo essere bandito dalla Palestina dai britannici nel 1930 e la sua precoce morte rafforzarono sempre più queste tendenze all’interno del movimento.
[13] Faris Yahia, op. cit., pp. 111-15.


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Israele e nazisti ucraini uniti nella lotta

Redazione Contropiano, Domenica, 27 Luglio 2014


Qualche inferno li crea e poi li accoppia. Chissà come si sentiranno, da qualche parte, le decina di migliaia di ebrei massacrati dalle bande naziste di Stepan Bandera – l'”eroe” dei neonazisti ucraini al potere come Svoboda o Pravy Sektor – a vedere l'entusiasmo con cui il nuovo regime di Kiev si stringe al governo di Netanyahu e Lieberman.

L'ambasciatore ucraino a Gerusalemme, Hennadii Nadolenko, con un intervento su Haaretz, si dice pronto alla lotta comune “contro il terrorismo”. Basta non guardarsi dentro, e il gioco diventa possibile.

Ascoltiamone alcune sentite parole:
“Noi, i rappresentanti di Ucraina, abbiamo, insieme al popolo dello Stato di Israele, personalmente sentito la totalità della minaccia posta alla civili da parte delle attività criminali dei terroristi. A questo proposito, abbiamo avuto l'opportunità di assistere all'azione di Iron Dome, il sistema di difesa missilistico israeliano”. 
“Tutti gli ucraini, così come me, condividono il dolore di tutti i parenti e gli amici di coloro che sono stati uccisi, e piangono in profondità con il popolo di Israele”. Gli oltre mille palestinesi, quasi tutti civii, in grande quantità bambini, no; non lo commuovono affatto. 

Lui si sente al livello degli israeliani nell'affrontare quasi lo stesso nemico in casa. “Per me, come rappresentante dell'Ucraina, il problema del terrorismo ha assunto nell'ultimo anno un significato speciale. […] a partire dal 15 luglio, durante le operazioni anti-terrorismo nelle regioni orientali dell'Ucraina, le nostre forze armate hanno perso 258 soldati, e abbiamo avuto 922 feriti”.
Di più: “vorrei sottolineare ancora una volta che il delitto che ha ucciso 298 civili innocenti da tutto il mondo (l'abbattiemnto del volo Mh17 delle linee aere malesi), è un'altra conferma del fatto che il terrorismo di oggi non è vincolato da confini”. 

“Credo che i paesi che si trovano ad affrontare il terrorismo e che cercano di combattere questo male dovrebbero sostenersi a vicenda, e devono unire i loro sforzi al fine di attirare l'attenzione del mondo per la nostra causa. Dobbiamo cominciare a ricevere un aiuto reale e il sostegno di organizzazioni internazionali al fine di combattere questa minaccia”. 
“Pertanto, vorrei sottolineare che, come rappresentante di Ucraina, ho potuto apprezzare l'aiuto che il mio stato ha ricevuto dai cittadini di Israele negli ultimi mesi. Esprimo la mia profonda gratitudine a tutti i membri del gruppo "Israele sostiene Ucraina" e, in particolare, il gruppo di volontari "Israele aiuta Maidan" per il loro sostegno”. 
“In questi giorni difficili per le nostre nazioni, traboccanti di triste notizie, chino la testa in ricordo degli eroi israeliani e ucraini che sono morti difendendo il loro popolo dai terroristi”. Magari in questo passaggio potrebbe essere Bandera a sentirsi offeso nel vedersi equiparato alle sue vittime ebree...

A noi sembra chiaro che si stia creando un “fronte” imperialista – con alla guida gli Stati Uniti e con l'Unione Europea ancora un po' disorientata dalla velocità che stanno prendendo gli eventi – che non distingue più al suo interno tra “progressisti” e reazionari, tra nazisti veri e propri e “liberali” classici; un fronte che ha la guerra come unico orizzonte possibile e che perciò – con il termine “terroristi” - definisce ormai semplicemente il caro, vecchio “nemico”. 

Do you remember “Achtung banditi”?



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Israele. Verso il fascismo

di Michel Warschawski *

Durante gli ultimi 45 anni ho partecipato a numerosissime manifestazioni, da piccole concentrazioni di pochi irriducibili a manifestazioni di massa nelle quali eravamo più di 100.000; manifestazioni tranquillle, anche festose, e manifestazioni nelle quali venivamo attaccati da gruppi di destra o perfino dalla gente che passava. Mi hanno dato colpi e li ho resi, e mi è servito, soprattutto quando avevo delle responsabilità, essere nervoso. Però non ricordo di aver avuto paura.

Mobilitato, di fatto detenuto nella prigione militare per essermi rifiutato di unirmi alla mia unità che doveva andare in Libano, non partecipai, nel 1983, alla manifestazione durante la quale fu assassinato Emile Grunzweig. Di contro, fui il responsabile del servizio d'ordine della manifestazione che, un mese più tardi, attraversava Gerusalemme per commemorare questo assassinio. In quella manifestazione conoscemmo l'ostilità e la brutalità della gente che incrociavamo, ma neppure lì ebbi paura, cosciente del fatto che questa ostilità di una parte della gente che passava non avrebbe superato una certa linea rossa che però era stata attraversata un mese prima.

Questa volta ho avuto paura.

Pochi giorni fa eravamo qualche centinaio a manifestare nel centro della città di Gerusalemme contro l'aggressione a Gaza, convocati da "Combattenti per la pace". Ad una trentina di metri, e separati da un impressionante cordone della polizia, alcune decine di fascisti eruttano il proprio odio con slogan razzisti. Noi siamo qualche centinaio e loro solo qualche decina e comunque mi fanno paura: nel momento della dispersione, ancora protetti dalla polizia, torno a casa attaccato alle mura per non essere identificato come uno di quelli della sinistra che odiano.

Di ritorno a casa, cerco di identificare quella paura che ci preoccupa, ben lungi da essere io l'unico che la prova. Mi rendo conto del fatto che Israele nel 2014, non è più solo uno Stato coloniale che occupa e reprime la Palestina, ma anche uno Stato fascista, con un nemico al suo interno contro il quale prova odio.

La violenza coloniale è passata ad un livello superiore, come ha mostrato l'assassinio di Muhammad Abu Khdeir, bruciato vivo da tre coloni; a questa barbarie si aggiunge l'odio verso quegli israeliani che si rifiutano di odiare "l'altro". Se, per generazioni, il sentimento di un "noi" israeliani trascendeva dai dibattici politici e, salvo alcune rare eccezioni - come gli omicidi di Emile Grunzweig o poi di Yitshak Rabin - impedivano che le divergenze degenerassero in violenza criminale, siamo ora entrati in un periodo nuovo, una nuova Israele.

Questo non è il risultato di un giorno e così come l'assassinio del Primo Ministro nel 1995 fu preceduto da una campagna di odio e delegittimazione diretta principalmente da Benjamin Netanyahu, la violenza attuale è il risultato di una "fascistizzazione" del discorso politico e degli atti che genera: sono innumerevoli già le concentrazioni di pacifisti e anticolonialisti israeliani attaccati da criminali di destra.

I militanti hanno sempre più paura e dubitano se esprimersi o manifestarsi; e cos'è il fascismo se non seminare il terrore per disarmare coloro che considera illegittimi?

In un contesto di razzismo libero e assunto da una nuova legislazione discriminatoria verso la minoranza palestinese in Israele, e da un discorso politico guerrafondaio formattato dall'ideologia dello scontro di civiltà, lo Stato ebraico sta sprofondando nel fascismo.

*[Michel Warschawski (Estrasburgo, 1949) è un giornalista e militante pacifista dell'estrema sinistra israeliana nonchè cofondatore e presidente del Centro di informazione alternativa (http://www.alternativenews.org) di Gerusalemme.]

Fonte originale dell'articolo: http://www.lcr-lagauche.org/israel-vers-le-fascisme/




IL COMPLESSO SERVO-PADRONE

… Domenica 13 luglio, migliaia di tifosi albanesi sono scesi in strada per festeggiare la vittoria della nazionale tedesca [SIC] ai Mondiali di calcio. Una bellissima festa, che colpisce per le dimensioni ed il trasporto con cui è stata vissuta dai suoi interpreti. Un fenomeno complesso che merita una riflessione…

… Le Kosovo n’a pas oublié l’aide des États-Unis en 1999. Quinze ans plus tard, de nombreux monuments célèbrent l’ami américain, sans oublier les chansons ou les enfants prénommés Billklinton et Tonibler... De rares voix osent critiquer du bout des lèvres cette américanophilie qui fleure bon le kitsch…




http://www.workers.org/articles/2014/07/11/100-years-later-caused-world-war/

100 years later — what caused World War I?

By John Catalinotto on July 11, 2014

On June 28 just a century ago, Gavrilo Princip, a 19-year-old patriot from the oppressed nation of Bosnia-Herzegovina, assassinated Archduke Ferdinand of Austria. Ferdinand was the symbol of the tyrannical rule of the decadent Habsburg Empire over Princip’s country.

The militarist rulers in Vienna, the capital of the empire, seized on the assassination in Sarajevo as a pretext to declare war on Serbia. This decree essentially launched what was to become World War I. That terrible slaughter killed 20 million people, mostly European workers and farmers.

This is the centennial of the war’s start and the corporate media have already begun to distort the history of the event. The goal is to deflect blame for the disaster away from the capitalist ruling classes, especially in the imperialist countries, whose oppressive and exploitative system made the war inevitable.

No doubt the major media of many of the European imperialist countries will continue this effort, as will their academic circles in historical conferences, in the same way they lie about today’s imperialist wars, from Iraq to Libya to Ukraine. The major U.S. newspaper of record, the New York Times, has been running a series on “the Great War” as part of this effort. Several articles published around June 28 played up Princip’s role in triggering the war.

No one who supports the self-determination of oppressed nations would fault Princip for wanting to strike a blow at a member of the ruling royal family of the oppressive empire. But whatever one thinks of his action, it is patently ridiculous to cite this individual act as a basic cause of a global conflagration.

The war had been in the making since the turn of the century. Some regional wars had already broken out in the Balkans. The Russo-Japanese war of 1905 saw Japan’s rising capitalist power defeat the semi-feudal Tsarist Empire. German, French and British imperialism had skirmished over the building of the Baghdad railroad.

Both sides were oppressors

The major states on both sides of the war were all oppressor nations. There was no “good side.”

Britain ruled over an enormous empire that included Australia, Canada, South Asia, some Caribbean islands and much of Africa. Its wars were one-sided battles where heavily armed colonial troops slaughtered heroic Indigenous peoples armed with spears.

Imperialist France’s empire was half as large, but still stretched from Indochina to the Caribbean, and included large tracts in West and North Africa. Even “tiny” Belgium controlled and exploited the vast Congo, squeezing the last drop of blood from the Congolese.

And that was the side considered the “democracies.” Their ally, the Russian Tsar, ruled over 12 time zones and hundreds of different nations and peoples with an iron hand.

The more militarist Germany, the Austro-Hungarian Empire and the Ottoman Empire were just as brutal toward their subject colonies, but the territories they controlled were smaller.

Washington did not enter World War I until 1917. It had joined the imperialist competition with a bang in 1898 by seizing Spain’s colonies in the Caribbean and the Philippines. A relative newcomer to the European battles, U.S. capitalists expanded their industry selling weapons to the British-French-Russian alliance, which Washington finally joined. Though a fledgling imperialist power at the time, the U.S. rulers were equally brutal to the Indigenous population on this continent, to their internal Black colony and to the newly conquered nations that had been ruled by Spain.

In 1881, many of the European powers had met in Berlin, in what can only be described as outrageous arrogance, to divide up Africa without consulting the Africans. They aimed at dividing the whole continent into colonies of the various powers by negotiation, while avoiding a war among themselves over the plunder. They feared that such inter-imperialist battles could give the African people an opening to fight for their freedom against all the colonialists.

This did happen later. When the European colonial powers were weakened by two world wars after 1945, the Africans were able to drive them out of much of the continent. Also, the existence of the Soviet Union at that later time served as a counterweight to imperialism.

Russian revolutionary leader Vladimir Lenin had pointed out in his seminal work, “Imperialism, the Final Stage of Capitalism,” written in 1915, that these colonial powers had divided up the entire world by 1900. The pecking order, that is, how much colonial plunder each got, was based roughly on their industrial, financial and military power at that moment.

The problem was that their relative strengths were constantly changing.

Germany’s industry grew much more rapidly than that of Britain and France after 1900, as did its military power. German economic expansion, however, was restricted by British and French control of territories, resources and markets. Something had to give.

How could rising imperialist powers redistribute the colonial territories in their favor? Only by war. This war would not be restricted to the colonies but had to occur among the metropolitan countries in Europe itself.

Need to battle national chauvinism

This sharp competition among the capitalist classes of the different powers expressed itself in national chauvinism and vicious hostility to other peoples. The capitalist ideologists and propagandists imposed this chauvinism on the populations as a whole to line up the people behind the war.

For example, the French capitalists had been willing to concede territory to the German capitalists in 1871 after a lost war between the two countries. But they made this concession only because the war austerity, as always heaped on the backs of the workers and poor, had led to a rebellion in Paris and the establishment of a revolutionary commune. The French made a deal with the German rulers that allowed them to crush the Paris Commune.

But in 1914, the hypocritical French capitalists insisted that the French workers must hate the German workers.

The workers’ movement in Europe, and especially its most revolutionary wing, attempted to combat this ever more dangerous national chauvinism. At earlier gatherings of socialists, and for the last time in Basel, Switzerland, in 1912, meetings of the workers’ parties of the Second International issued a manifesto on the war question. We cite the Basel Manifesto here to show that long before, and independent of, the assassination at Sarajevo, there was a growing war danger and the massive workers’ movement was aware of it:

“At its congresses at Stuttgart and Copenhagen the International formulated for the proletariat of all countries these guiding principles for the struggle against war:

“If a war threatens to break out, it is the duty of the working classes and their parliamentary representatives in the countries involved supported by the coordinating activity of the International Socialist Bureau toexert every effort in order to prevent the outbreak of war by the means they consider most effective, which naturally vary according to the sharpening of the class struggle and the sharpening of the general political situation.

“In case war should break out anyway it is their duty to intervene in favor of its speedy termination and with all their powers to utilize the economic and political crisis created by the war to arouse the people and thereby to hasten the downfall of capitalist class rule.” [Emphasis in the original]

This very clearly means building working-class solidarity and refusing to side with “your own” ruling class against the foreign workers. It also meant taking the opportunity caused by the horrors of war to overthrow your own capitalist class.

Throughout the entire manifesto there was urgency in the call on the working class in all the countries to take whatever actions they could, from the parliament to the streets, to prevent the impending war.

The capitalist parties ruling the European imperialist democracies, France and Britain, as well as in the monarchies in Germany, Austria-Hungary and Russia, entered the war without hesitation, even with enthusiasm. Each believed their state would win a quick victory. Their mouths watered at the thought of conquered territory and new colonies — as was shown later when originally secret treaties were finally published.

Regarding the Social Democratic parties, whether or not they could have stopped the war from starting, it was a blow to the world as well as to Lenin and his fellow revolutionaries throughout Europe that most of their leaders failed to follow this Basel Manifesto they had signed onto. Under enormous pressure from “their own” ruling classes, they lined up with the war drive.

It was a sobering lesson on the need for revolutionary parties to train themselves under all situations to stand up against national chauvinism and against imperialist war. The main enemy of the workers and the oppressed is the capitalist class at home. This is true in the U.S. today more than ever.

This article will skip the next three years of that horrible war, a period that will undoubtedly be reported on — with much distortion — in this centennial year. Those lies will need further rebuttal.

By the fall of 1917, Lenin and the other leaders of his own party, the Bolsheviks in Russia, did exactly what the Basel Manifesto called for: They turned the great imperialist slaughter into a war against the Russian ruling class and seized power for the workers and peasants.

A year later, the monarchies in Germany, Austria and Hungary, the defeated powers, were to collapse under mass pressure, although the revolts stopped short of social revolution.

It was not a Bosnian-Serb patriot, but the imperialist system, that caused the war. And a revolt of the workers, delayed but decisive, brought it to an end.