Jugoinfo

(english / italiano)

 
Venezuela: oro giallo e oro nero
 
1) “L’oro del Venezuela resta qui!”: il ruolo di Bank of England e Deutsche Bank nel golpe in atto a Caracas (A. Ramaccioni, 29/1/2019)
2) Venezuela, golpe dello Stato profondo (M. Dinucci, 29/1/2019)
 
 
Altri link:
Una telefonata dagli USA avrebbe innescato il piano per la presa del potere in Venezuela (Sputnik, 27 gennaio 2019)
ORIG.: Un coup de fil des USA aurait déclenché un plan secret de prise du pouvoir au Venezuela (26.01.2019)
Intervista a Maduro (Ignacio Ramonet, Granma 18 gennaio 2019)
Granma International riproduce estratti dall’intervista di Ignacio Ramonet al Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolás Maduro
http://aurorasito.altervista.org/?p=4911
ORIG.: Granma International reproduces excerpts from Ignacio Ramonet’s interview with the President of the Bolivarian Republic of Venezuela, Nicolás Maduro (Ignacio Ramonet, january 18, 2019)
Bank of England refuses to hand over Venezuela's gold – report (9 Nov, 2018)
Sanzioni statunitensi contro l’oro venezuelano: portata e obiettivi (Mision Verdad 6 novembre 2018)
 
 
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“L’oro del Venezuela resta qui!”: il ruolo di Bank of England e Deutsche Bank nel golpe in atto a Caracas
di Alessio Ramaccioni, 29 gennaio 2019
 

Dietro la scomparsa dell’oro venezuelano, c’è la regia degli Stati Uniti. Leggendo una notizia del genere potrebbe sembrare di esser finiti in una spy story, o in una vecchia storia d’avventura di un paio di secoli fa. Stiamo invece parlando di cronaca, di politica, di quello che sta avvenendo in Venezuela. E come sempre quando si segue la pista dei soldi – in questo caso dell’oro – poi le dinamiche in atto iniziano a diventare chiare.

Sono tre le notizie interessanti, da questo punto di vista, che circolano da ieri, citate e proposte da Corriere della Sera e da Sole 24 Ore (media che non possiamo certo annoverare tra quelli pro-Maduro, che di fatto da queste parti non esistono).

La prima arriva dall’agenzia Bloomberg: la Banca d’Inghilterra ha bloccato una richiesta del governo venezuelano di ritirare oltre un miliardo di dollari in lingotti d’oro in possesso della stessa banca. Si tratta di parte della riserva aurea all’estero della banca centrale venezuelana, quindi teoricamente nelle sue disponibilità.

La seconda notizia la riporta la Reuters: l’autoproclamato – e quindi golpista – presidente Guaidò ha scritto a Teresa May, chiedendo formalmente di non restituire l’oro perchè “sarebbe usato per la repressione” da parte di Maduro.

La terza notizia arriva dal Sole 24 Ore, ed è quella che forse “pesa” di più. Sono due, in realtà, le news contenute nell’articolo di Alessandro Plateroti, che suggeriamo di leggere (https://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2019-01-26/-l-oro-caracas-londra-congelato-usa-deutsche-bank-saga-193032.shtml?uuid=AEFrBQLH).

Il primo spunto è in apertura di articolo: dietro il mancato rimpatrio a Caracas nel settembre scorso di 550 milioni di dollari di lingotti d’oro depositati a Londra, non c’erano infatti «problemi procedurali» come hanno sostenuto finora la banca centrale e lo stesso governo inglese, ma una vera operazione di esproprio internazionale organizzata segretamente dalla Casa Bianca”. 

Più chiaro di così si muore. Nello specifico, l’autore fa riferimento ad un precedente diniego da parte dell’autorità britannica che era stato attribuito a questioni di procedura.

Il secondo arriva qualche riga dopo, ed è ancora più clamoroso, forse.

Secondo alcune fonti, la quantità di oro venezuelano in possesso della Bank of England sarebbe praticamente raddoppiato. Da 14 tonnellate presenti nel mese di novembre 2018 alle 31 tonnellate attualmente custodite.

Ma come, a settembre Londra blocca il rimpatrio di 500 milioni di oro e il governo venezuelano gliene affida altre diciassette tonnellate? Sono matti? No. Perchè l’oro non arriva dal Venezuela, ma dalla Germania. Più precisamente dalla Deutsche Bank, che lo aveva avuto come garanzia da parte di Caracas per un prestito concesso quattro anni fa. 

Bloccare l’accesso alle riserve auree al governo di Maduro è una operazione che può avere conseguenze gravi ed immediate. L’oro è usato infatti da anni come valuta di scambio per l’acquisto di beni di consumo anche fondamentali, come cibo e farmaci. Un modo – spiega il Sole 24 Ore – per superare gli ostacoli del lungo embargo a cui il Venezuela è sottoposto da anni da parte degli Usa.

E qui si chiude il cerchio, che parte ed arriva sempre lì, negli Stati Uniti: “I sospetti che dietro questi casi ci sia la regia della Casa Bianca girano da mesi, come riportato in un’inchiesta del Sole 24 Ore il 29 novembre 2018. Una conferma arriva ora da Marshall Billingslea, Assistant Secretary for Terrorist Financing del Dipartimento al Tesoro Usa: «All’inizio di ottobre – rivela a sorpresa Billingslea – il Segretario Mnuchin ha incontrato i ministri delle Finanze d’Europa e Giappone, i governatori delle Banche Centrali e i responsabili dell’intelligence, per definire un piano di azione comune contro Maduro: l’obiettivo più importante e immediato è bloccare il commercio dell’oro sovrano venezuelano. Alcuni risultati li abbiamo già avuti in questi giorni…». Non a caso, erano proprio gli stessi giorni in cui Londra aveva deciso di bloccare il rimpatrio dei lingotti a Caracas.”

Citiamo volentieri e volutamente le ultime righe dell’articolo del Sole 24 Ore perchè, in storie come questa, la chiarezza è fondamentale.

Quello che sta avvenendo in Venezuela è qualcosa di assolutamente artificiale, eterodiretto, antidemocratico. Nasce dalla volontà di un paese terzo rispetto alle vicende venezuelane – gli Stati Uniti – che sta imponendo la sua agenda ad altri paesi terzi che vigliaccamente ne diventano complici.

La “storia dell’oro del Venezuela” è l’ennesima dimostrazione di tutto questo. E mentre Guaidò annuncia di stare prendendo il controllo dei beni all’estero del Venezuela – con l’ovvio e necessario benestare dei paesi che quei beni li ospitano -, gli Stati Uniti annunciano altre sanzioni. La prima ad essere colpita potrebbe essere la Pdvsa, la compagnia petrolifera di Stato.

 
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Venezuela, golpe dello Stato profondo

di Manlio Dinucci, su il manifesto del 29.01.2019

L’annuncio del presidente Trump, che riconosce Juan Gualdó «legittimo presidente» del Venezuela è stato preparato in una cabina di regia sotterranea all’interno del Congresso e della Casa Bianca. La descrive dettagliatamente il New York Times (26 gennaio).

 

Principale operatore è il senatore repubblicano della Florida Marco Rubio, «virtuale segretario di stato per l’America Latina, che guida e articola la strategia dell’Amministrazione nella regione», collegato al vicepresidente Mike Pence e al consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton. Il 22 gennaio, alla Casa Bianca, i tre hanno presentato il loro piano al presidente, che l’ha accettato. Subito dopo – riporta il New York Tmes – «Mr. Pence ha chiamato Mr. Gualdó e gli ha detto che gli Stati uniti lo avrebbero appoggiato se avesse reclamato la presidenza».

Il vicepresidente Pence ha poi diffuso in Venezuela un video messaggio in cui chiamava i dimostranti a «far sentire la vostra voce domani» e assicurava «a nome del presidente Trump e del popolo americano: estamos con ustedes, siamo con voi finché non sarà restaurata la democrazia», definendo Maduro «un dittatore che mai ha ottenuto la presidenza in libere elezioni».

L’indomani Trump ha ufficialmente incoronato Gualdó «presidente del Venezuela», pur non avendo questi partecipato alle elezioni presidenziali del maggio 2018 le quali, boicottate dall’opposizione che sapeva di perderle, hanno decretato la vittoria di Maduro, con il monitoraggio di molti osservatori internazionali.

Tale retroscena rivela che le decisioni politiche vengono prese negli Usa anzitutto nello «Stato profondo», centro sotterraneo del potere reale detenuto dalle oligarchie economiche, finanziarie e militari. Sono queste che hanno deciso di sovvertire lo Stato venezuelano. Esso possiede, oltre a grandi riserve di preziosi minerali, le maggiori riserve petrolifere del mondo, stimate in oltre 300 miliardi di barili, sei volte superiori a quelle statunitensi.

Per sottrarsi alla stretta delle sanzioni, che impediscono al Venezuela perfino di incassare i dollari ricavati dalla vendita di petrolio agli Stati uniti, Caracas ha deciso di quotare il prezzo di vendita del petrolio non più in dollari Usa ma in yuan cinesi. Mossa che mette in pericolo lo strapotere dei petrodollari. Da qui la decisione delle oligarchie statunitensi di accelerare i tempi per sovvertire lo Stato venezuelano e impadronirsi della sua ricchezza petrolifera, necessaria immediatamente non quale fonte emergetica per gli Usa, ma quale strumento strategico di controllo del mercato energetico mondiale in funzione anti-Russia e anti-Cina. A tal fine, attraverso sanzioni e sabotaggi, è stata aggravata in Venezuela la penuria di beni di prima necessità per alimentare il malcontento popolare.

È stata intensificata allo stesso tempo la penetrazione di «organizzazioni non-governative» Usa: ad esempio, la National Endowment for Democracy ha finanziato in un anno in Venezuela oltre 40 progetti sulla «difesa dei diritti umani e della democrazia», ciascuno con decine o centinaia di migliaia di dollari.

Poiché il governo continua ad avere l‘appoggio della maggioranza, è certamente in preparazione qualche grossa provocazione per scatenare all’interno la guerra civile e aprire la strada a un intervento dall’esterno. Complice l’Unione europea che, dopo aver bloccato in Belgio fondi statali venezuelani per 1,2 miliardi di dollari, lancia a Caracas l’ultimatum (concordato col governo italiano) per nuove elezioni. Le andrebbe a monitorare Federica Mogherini, la stessa che l’anno scorso ha rifiutato l’invito di Maduro di andare a monitorare le elezioni presidenziali.

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8989 ]]

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Il monumento a Tudjman e altre ciliegine reazionarie croate
 
1) LINKS
2) Zagreb 30/1: Prosvjed ispred spomenika Franji Tuđmanu 
Si terrà mercoledì a Zagabria, di fronte al monumento a Tudjman "sfregiato" con una falce e martello dal 24-enne Filip Drač, un presidio per richiedere non solo il proscioglimento del giovane ma anche azioni giudiziarie contro chi ha sfregiato e distrutto in Croazia nell'ultimo quarto di secolo molte centinaia di lapidi e monumenti a martiri e partigiani caduti nella Lotta Popolare di Liberazione
FLASHBACK 2017: Spomenik Franji Tuđmanu koštat će Zagrepčane 560 tisuća kuna
 
 
=== 1: LINKS  ===
 
Zaratino multato per aver corretto un graffito "Ammazza il serbo" in "Ama il serbo"
Задранин кажњен јер је преправио графит "Уби Србина" (10.1.2019.)
 
Croazia: L’epilogo del caso Agrokor, il colosso agroalimentare evita il fallimento (di Pierluca Merola, 10/1/2019)
... l’Agrokor, con un fatturato di 6,5 miliardi di euro l’anno, è la più grande società per azioni dell’Europa sud-orientale. La società è presente in Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Ungheria, Slovenia e Serbia, dove impiega più di 130.000 persone. Infine, il valore dell’Agrokor è pari da solo al 16% del PIL croato. Da quando è fuggito nell’ottobre 2017, Todoric ha sempre dichiarato di essere vittima di una congiura internazionale, orchestrata dal governo croato e dal fondo di investimento americano Knighthead Capital Investments, per privarlo della propria compagnia... Il nuovo assetto societario vede la banca russa Sberbank come socio di maggioranza con il 39,2% delle azioni, seguita dagli ex-obbligazionisti con il 25% delle azioni, la cui maggioranza è gestita dalla Knighthead Capital Investments. Partecipazioni minori sono poi detenute dalla russa VTB bank (7,5%) e dall’italiana Unicredit (2,3%)...
 
Révisionnisme Pro-Oustachi En Croatie : Le Nouveau Scandale De Noël (CdB 9 janvier 2019)
« Joyeux Noël pour tous les ’amis’ serbes » : voici ce qu’a écrit sur Facebook le fils d’un député du HDZ, avec la photographie d’un milicien oustachi tenant des têtes coupées de combattants serbes. Ce nouveau scandale s’inscrit dans la vague de révisionnisme pro-oustachi, dénoncent les organisations serbes de Croatie...
 
Croazia: genere e spazio urbano, le donne dimenticate (Ana Kuzmanić, Ivana Perić, 08/01/2019)
Lo spazio urbano è fondamentale nel processo di creazione di una memoria collettiva e per immaginare il futuro. In Croazia, nella toponomastica, non vi è però traccia di nomi femminili
 
Croatia: Crimes Denied and Criminals Praised (Anja Vladisavljevic / BIRN, 26/12/2018)
The downplaying of crimes committed by Croatia’s World War II fascist regime and the public rehabilitation of convicted criminals from the 1990s war continued to cause alarm in 2018
 
Croazia, come ricordare i luoghi storici “dimenticati”? (di Alice Straniero, 04/12/2018)
Suvremena kutura sjećanja u Hrvatskoj i Europi: Kako dalje na odabranim lokacijama na Golom otoku, Grguru, Pagu i Rabu?", Rijeka, 26.-27. listopada 2018.
 
 
Sul fascista croato che a novembre 2018 nella città di Spalato, nella foga di abbattere a calci il busto dell'eroe antifascista Rade Končar, si è rotto una gamba:
 
Sulla situazione tragica per la libertà di stampa:
 
Croazia: giornalisti e media sotto processo (OBC / Radio Popolare, 21 gennaio 2019)
 
Croazia, mille cause contro i giornalisti (Giovanni Vale, 18/01/2019)
 
Croazia: quel cazzuto trio del Feral (Giovanni Vale, Srđan Sandić, 31/12/2018)
Due giornalisti di punta e un famoso caricaturista. Sono tra i fondatori dello storico settimanale satirico croato Feral Tribune. In questa intervista, il trio commenta senza peli sulla lingua la situazione in Croazia, lo stato di salute dei media e altro ancora
 
 
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Si terrà mercoledì a Zagabria, di fronte al monumento a Tudjman "sfregiato" con una falce e martello dal 24-enne Filip Drač, un presidio per richiedere non solo il proscioglimento del giovane ma anche azioni giudiziarie contro chi ha sfregiato e distrutto in Croazia nell'ultimo quarto di secolo molte centinaia di lapidi e monumenti a martiri e partigiani caduti nella Lotta Popolare di Liberazione. 
 
Sul caso del monumento a Tudjman si veda anche: 
Na novom Tuđmanovom spomeniku u Zagrebu osvanuo zanimljiv grafit (R.I., 6.1.2019.)
https://www.index.hr/mobile/clanak.aspx?category=vijesti&id=2054448
 
 
 
Srijeda 30 siječanj 2019.
od 18:00 ispred spomenika Franji Tuđmanu - križanje Ulice grada Vukovara i Ulice Hrvatske bratske zajednice u Zagrebu
 
Prosvjed - Protiv političke represije
 
Baza za radničku inicijativu i demokratizaciju (BRID), Mreža Antifašistkinja Zagreba (MAZ), Radnička Fronta, Radnički portal i Socijalistička radnička partija Hrvatske (SRP) u srijedu, 30. 1. 2019. organiziraju prosvjed „Protiv političke represije“ koji će se održati u Zagrebu ispred spomenika Franji Tuđmanu na križanju Ulice grada Vukovara i Ulice Hrvatske bratske zajednice u 18 sati.

IZJAVA POVODOM PROSVJEDA:

U deindustrijaliziranoj i iseljenoj Hrvatskoj u kojoj većina stanovništva jedva preživljava, a domaći i strani kapitalisti na najgrublji način desetljećima eksploatiraju radnice i radnike, seljakinje i seljake, umirovljenice i umirovljenike, studentice i studente, protekli je tjedan započela medijska i javna hajka. Država je preko svog ministarstva raspisala tjeralicu za dvadesetčetverogodišnjakom koji je na spomenik privatizacijske pljačke, uništene privrede i ratnih zločina 90-ih nacrtao simbol radničke i seljačke sloge. Javnom objavom identiteta osumnjičenika represivni aparat namjerno je proizveo i nastavlja proizvoditi opasnu atmosferu koja graniči s pozivom na linč, a na koji će dio desničarske javnosti spremno odgovoriti.

S druge strane, državni aparat, koji tijekom devedesetih uspostavlja i njime autoritarno upravlja Franjo Tuđman, nije učinio ništa da zaustavi uništavanje preko 3000 spomenika i spomen obilježja posvećenih antifašističkom otporu, borbi za narodno oslobođenje, kao i stotinama tisuća žrtava ustaško-fašističkog terora. Smatramo da je nužno naglasiti činjenicu da sadašnji režim nastavlja s toleriranjem neofašističkog vandalizma, dok se u nekim slučajevima uključuje i u promociju ustaške ikonografije. Masovna uporaba eksplicitnih ili latentnih simbola ustaškog režima ne problematizira se u javnosti već više od dva desetljeća, unatoč tome što su zakonski zabranjeni, za razliku od komunističkih, radničkih i antifašističkih simbola. Očiti rezultat jest da se takva kaznena djela i njihovi počinitelji ne osuđuju i ne proganjaju.

Nužno je naglasiti da je korištenje javnih institucija za selektivnu i pristranu represiju, čemu svjedočimo u navedenom slučaju – a sve kako bi se reproducirala dominantna ideologija – nedopustivo u demokratskom društvu.

Zbog svega navedenog oštro osuđujemo ovaj gnjusni čin kapitalističke države, njezinog represivnog aparata i institucija koji preko leđa mladića koji se suprotstavio sistemu poručuju da će u zatvor trpati sve ljude koji, pa makar i na simboličan način, pokušaju pružiti otpor njihovoj vladavini. Postojeća ekonomska i društvena devastacija u najvećoj mjeri ostavština je Franje Tuđmana i Hrvatske demokratske zajednice. U potpunosti shvaćajući da je otpor puzajućoj fašizaciji društva nužan, od vladajućih zahtijevamo:

- da se smjesta obustave postojeća politička i policijska represija, hajka i linč
- da nadležne institucije započnu s procesuiranjem i kažnjavanjem odgovornih za uništenje spomenika Narodno-oslobodilačke borbe
- da Državno odvjetništvo smjesta odbaci optužnicu protiv Filipa Drače

Antifašistički VJESNIK
Baza za radničku inicijativu i demokratizaciju (BRID)
Mreža antifašistkinja Zagreba (MAZ)
Radnička fronta
Radnički portal
Slobodni Filozofski
Socijalistička radnička partija Hrvatske (SRP)
 
 
--- FLASHBACK:
 
TRAD.: CROATIE : L’OMNIPRÉSENT FRANJO TUĐMAN FAIT SON RETOUR À ZAGREB (H-Alter, lundi 11 décembre 2017)
Après avoir débarqué à l’aéroport Franjo Tuđman, vous pourrez vous détendre au Parc Franjo Tuđman, avant d’aller vous recueillir devant le nouveau monument à Franjo Tuđman... La mairie de Zagreb fait des coupes sèches dans les budgets sociaux, mais vient de débloquer 90 000 euros pour une statue de l’ancien Président...
 
 
 
675 tisuća kuna za Tuđmana
Toni Gabrić
07.12.2017.
 
H-Alter otkriva: Spomenik Franji Tuđmanu koštat će Zagrepčane 560 tisuća kuna.

Grad Zagreb ovih je dana, nakon višemjesečnog natezanja, bio prinuđen dostaviti nam ponudbeni list koji je početkom godine zaprimio od akademika Kuzme Kovačića za posao koji je službeno opisan kao "modeliranje izvedbene skice–modela i izrada kipa dr. Franje Tuđmana u glini u konačnim dimenzijama". Na osnovu te ponude zagrebački gradonačelnik Milan Bandić s Kovačićem je 20. travnja ove godine potpisao ugovor za izradu Tuđmanovog spomenika, koji nam je također isporučen po slovu zakona. Navedeno remekdjelo trebalo bi ukrašavati tzv. Sveučilišnu livadu, kako se službeno zove onaj teško pristupačni zeleni prostor preko puta Nacionalne i sveučilišne knjižnice, na kojem su posađene znamenite Bandićeve fontane.

Iz ponudbenog lista vidljivo je da je Kovačić za navedeni posao zatražio od Grada 560 tisuća kuna. Isti iznos prepisan je i u ugovor, kao svota koju Grad mora iskeširati Kovačiću za obavljeni posao, s naznakom "bez PDV-a". U Odluci o odabiru donesenoj 18. travnja, vrijednost nabave je procijenjena na 674.900 kuna, uz naznaku "bez PDV-a". Kako smo doznali u tajništvu Hrvatskog društva likovnih umjetnika, za ovakav se tip autorskog rada niti ne plaća PDV, pa naznaku iz ugovora ne bi trebalo tumačiti u smislu da bi Grad, uz ovaj "neto" iznos, trebao platiti još i PDV. Međutim, napominju u HDLU-u, uz plaćanje osnovnog iznosa redovito ide porez i prirez, a vjerojatno i još neka specifična davanja, što ukupnu cijenu izrade Tuđmanova spomenika diže na blizu 700 tisuća kuna.

Računamo li prema recentnijim službenim podacima, radi se o iznosu koji jedan prosječni zagrebački radnik (uzmemo li pritom u obzir samo one zaposlene) zaradi za stotinu mjeseci, odnosno za nešto više od osam godina svakodnevnog rada. Unesemo li pak u kalkulaciju podatke o prosječnoj mirovini proizlazi da umirovljenik Kuzma Kovačić za izradu još jednog u nizu svojih Tuđmana zaradi 311 prosječnih mirovina. Drugim riječima, jedan penzioner/penzionerka toliko novaca primi za 26 godina mirovinskog staža, naravno, ako ih doživi.
 

Vidimo da Franjo Tuđman, otkako se preselio u onostranost, živi na jednako visokoj nozi kako je to uobičajio dok je provodio vrijeme na ovome svijetu. On je sebi bio beskonačno važniji od svakog običnog smrtnika pa je, korak po korak, postao beskonačno važniji i njima samima. Privatizirao je vilu u kojoj je živio u Nazorovoj točno dan prije donošenja propisa kojim je bio zabranjen otkup rezidencijalnih objekata i vila u sjevernom dijelu grada, deložiravši pritom bivše susjede i iskeširavši za taj rezidencijalni objekt tričavih 200 tisuća DEM-a, čime je udario ton pljačkaškoj privatizaciji koja je ubrzo nakon toga, u jeku rata, započela.

Jednoga sina je instalirao na čelo svih obavještajnih službi, supruga mu je postala liderica karitativnog pokreta za djecu Hrvatske, kćer uspješna trgovkinja luksuznom tehničkom robom s dućanom u MORH-ovoj zgradi i s poslom koji je bio uspješan dok je ćaća bio živ i na vlasti. Drugi sin mu je bio uspješan ugostitelj čiji je uspjeh također durao dok je ćaća stolovao na Pantovčaku, jednako kao i uspjeh unuka, talentiranog bankara. Uspjesi su se devedesetih nizali, sve zahvaljujući Franji i njegovom beskonačno važnom položaju, čime se obitelj Tuđman inaugurirala u rodonačelnike nepotizma u modernoj povijesti Hrvata.

Završilo je, kao što znamo, time da ga danas djeca u školama "uče" kao Stvoritelja hrvatskog državotvornog čuda. Čudo se, u glavnim crtama, sastoji u tome što je, u povijesnom trenutku u kojem je u Europi i srednjoj Aziji niklo cca. 25 novih, samostojnih i suverenih država, svaka zasebno kao neprijeporno ostvarenje tisućljetnih snova naroda koji većinski u njima žive – i Franjo uspio napraviti svoju. Pa je zato posve normalno, razumljivo i hvale vrijedno da mu Zagreb diže spomenik težak 26 godina prosječnog penzionerskog staža.

U jeku skupštinske rasprave o gradskom budžetu suvišno bi bilo pitati se je li taj izdatak najpotrebniji u situaciji kada se iz budžeta vidi da Bandićeva vlast očito i u 2018. namjerava preskočiti vruću temu sanacije Jakuševca, da nemilosrdno reže sredstva za osnovno i srednje školstvo, za unapređenje stanovanja, za nezavisnu kulturu, za organizacije naprednog civilnog društva – ali zato jednako tako nemilosrdno podiže sredstva za plaće i druga davanja gradskoj birokraciji koju su prvih deset godina nakon tzv. Stjecanja Nezavisnosti po babi i po stričevima regrutirali Mikšin i Canjugin HDZ, a preostalih sedamnaest godina Bandić i njegov bivši SDP. Suvišno bi bilo pitati, jer takva budžetska struktura, takvo regrutiranje i takva birokracija nisu ništa drugo no logična posljedica politike kakvu je na ovim prostorima inaugurirao Onaj kojemu akademski kipar Kuzma Kovačić, prekaljeni autor bezbrojnih Gospi, Oltarā Domovine, Svetih otacā, Prvih Hrvatskih Predsjednikā i čega sve još, ta vjerna domovinska kopija blitvinskog vajara, ideologa i političara Romana Rajevskog, upravo vaja spomenik, na radost i veselje svih Blitvinki i Blitvina, pardon: Hrvatica i Hrvata koje je za života usrećio.

Suvišno bi bilo napomenuti i da je Zagrebačka skupština, ona koja je bila u mandatu do proljeća 2017, odluku da se Prvom Hrvatskom Predsjedniku sagradi taj spomenik donijela jednoglasno. Tu su hvalevrijednu zamisao od srca podržali svi vijećnici i vijećnice, redom: iz SDP-a, HNS-a, HSU-a, HSLS-a, HSS-a, Kandidacijske liste grupe birača Milana Bandića, te naravno iz HDZ-a i koalicijskog mu HSP-a.

I tako, kada danas putnik namjernik, biznismen, diplomat ili obični turist iz neke druge zemlje doleti u Hrvatsku, prvi će fizički kontakt s našom zemljom najvjerojatnije ostvariti na aerodromu glavnoga grada, koji se odnedavno zove Zračna luka Franjo Tuđman. Zatim će se, taksijem ili aerodromskim autobusom, provesti pored velebnog spomenika Franji Tuđmanu, okruženog fontanama od kojih ti zastane dah, šarenim cvijećem, a u perspektivi u društvu Spomenika domovini. Ako za svojega boravka zaluta malo dalje od najužeg centra grada, mogao bi se naći na prostoru nekadašnjih Rudolfovih vojarni, nazvanim Parkom Kristijana Barutanskog, pardon, Franje Tuđmana.

Od skupštinske odluke o gradnji spomenika pa do trenutka njegova postavljanja, koji još nije nastupio, politička se perspektiva ponešto promijenila. Međunarodna je zajednica u neku ruku službeno zauzela stav, za koji smo otpočetka znali da je istinit, i baš smo zato Tuđmana voljeli, ali smo se ipak nadali da će stvari ostati pri tome da to samo mi to znamo: vječitoj umjetničkoj motivaciji i izvoru prihoda Kuzme Kovačića pravomoćno je drugostupanjskom sudskom presudom potvrđeno da je bio na čelu udruženog zločinačkog pothvata čiji pripadnici su, nije na odmet još jednom citirati:

"Već u decembru 1991. članovi rukovodstva Hrvatske zajednice Herceg-Bosne i čelnici Hrvatske (među kojima je Franjo Tuđman, predsjednik Hrvatske) ocijenili da je za ostvarivanje krajnjeg cilja, to jest za uspostavljanje hrvatskog entiteta, neophodno promijeniti nacionalni sastav stanovništva na teritorijama za koje se tvrdilo da pripadaju Hrvatskog zajednici Herceg-Bosni. U najmanju ruku od kraja oktobra 1992., Jadranko PrlićBruno StojićMilivoj Petković i Slobodan Praljak znali su da je ostvarivanje ovog cilja u suprotnosti s mirovnim pregovorima koji su se vodili u Ženevi i da podrazumijeva premještanje muslimanskog stanovništva izvan teritorije Herceg-Bosne."

Taj hrvatski je identitet trebao biti uspostavljen "djelomično u granicama Hrvatske banovine iz 1939., kako bi se omogućilo ponovno ujedinjenje hrvatskog naroda. Ovaj hrvatski entitet u BiH trebalo je ili da se pripoji Hrvatskoj nakon eventualnog raspada BiH, ili da postane nezavisna država unutar BiH, tijesno povezana sa Hrvatskom".

Pa zatim, "u osmišljavanju i ostvarivanju zajedničkog zločinačkog cilja, jedna grupa hrvatskih javnih ličnosti, među kojima se ističu Franjo Tuđman, Gojko ŠušakJanko BobetkoMate Boban, Jadranko Prlić, Bruno Stojić, Slobodan Praljak, Milivoj Petković, Valentin Ćorić i Berislav Pušić, postigla je međusobni dogovor. Iz svih činjeničnih i pravnih zaključaka koje je Vijeće izvelo, proizilazi da su se organi, strukture i ljudstvo HVO-a koristili radi ostvarivanja različitih aspekata zajedničkog zločinačkog cilja".

U sjajnom intervjuu nedavno objavljenom u NovostimaŠtefica Galić, urednica mostarskog portala Tačno.net, ističe da je njezina zemlja napadnuta od dva agresora, Hrvatske i Srbije, koji su kao nagradu za to dobili svoje teritorije – Republiku Srpsku i Herceg-Bosnu "u pokušaju". "Nije li to sveopći poraz pravde i ljudskosti", pita ona. Svejedno, posljednju haašku presudu Galić vidi kao šansu za Hrvatsku da se "radikalno razračuna sa zločinačkim aspektima službene Tuđmanove politike devedesetih", i da dio društva koji odbija to prihvatiti, konačno prihvati, i usput počne ozdravljati.

"Prihvaćanje" bi, rekli bismo nakon jučerašnjeg govora Kolinde Grabar-Kitarović pred Vijećem sigurnosti UN-a i zadnjih vrludanja Andreja Plenkovića, moglo nastupiti samo u smislu oportunističkog taktiziranja pred međunarodnom zajednicom. Dok istinsko odricanje od tuđmanovske prošlosti ne prevlada, Zagreb će biti jedan od vrlo rijetkih glavnih gradova čijim javnim prostorima dominira ličnost koja se presudom međunarodnog suda dovodi u vezu s najtežim ratnim zločinima. Dizajn glavnog hrvatskog grada ubrzano se mijenja po želji ekstremne desnice, a ostale stranke gradskog političkog mainstreama ne pružaju otpor već, kao u slučaju Tuđmanova spomenika, drže lopovske ljestve takvom razvoju događaja. 

(srpskohrvatski / italiano)
 
Con il Venezuela democratico e sovrano
 
Gli Stati Uniti non hanno ritenuto sufficiente per l'America Latina la presa del potere da parte del nazista Bolsonaro in Brasile ed hanno perciò deciso di promuovere un colpo di Stato in Venezuela.
La giusta risposta del Venezuela democratico di Maduro non si è fatta attendere ( 
https://www.facebook.com/296334033272/posts/10157751071878273/ ).
Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus, coerentemente con la propria vocazione alla amicizia e solidarietà tra i popoli, si schiera a fianco del Venezuela bolivariano, aderisce alle manifestazioni indette in Italia e specialmente a quelle di BOLOGNA e MILANO (vedi sotto) ed invita tutti/e a partecipare ed esprimere la propria solidarietà alle scelte democratiche di quel popolo.

(english / français / srpskohrvatski / italiano)
 
Grande Albania come laboratorio islamista radicale
 
1) La ‘Grande Albania’, un rifugio sicuro per il jihadismo internazionale (M. Furlan)
... l’organizzazione islamica cosiddetta dei Mujaheddin e-Khalq (Mujaheddin del Popolo, MEK) dispone ora di una grande base in territorio albanese ...
2) FLASHBACKS 2017
Links / Croci spezzate e loculi profanati in Kosovo / Kosovo, così nei villaggi reclutano i ragazzi / Sgominata cellula jihadista a Venezia, tutti del Kosovo / Kosovo Albanian Terror Threatens Venice 
3) FLASHBACKS 2016

Links / Roma, arrestato Karlito Brigande, ex criminale UCK macedone arruolato nell'IS

 
 
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La ‘Grande Albania’, un rifugio sicuro per il jihadismo internazionale

di Margherita Furlan, 22 gennaio 2019

Il governo albanese ha espulso due diplomatici iraniani, l’ambasciatore Gholamhossein Mohammadnia e Mohammed Roodaki, funzionario presso l’ambasciata a Tirana, accusati di essere membri sotto copertura dell’intelligence iraniana. Secondo quanto riferisce il quotidiano The Independent, i due sarebbero stati parte di una cellula il cui compito era di organizzare “un complotto per colpire l’opposizione iraniana rifugiatasi in Albania”. La mossa sarebbe stata messa in atto in seguito a colloqui con Paesi “interessati”, tra cui Israele e Stati Uniti. Non a caso l’amministrazione di Washington si è immediatamente congratulata con l’esecutivo albanese per il provvedimento intrapreso.

La notizia diffusa dall’Independent ha però sollevato l’attenzione su uno scenario fino ad ora poco studiato e rimasto comunque fuori dal raggio di attenzione internazionale. Scenario in cui gli Stati Uniti hanno affidato all’Albania un ruolo centrale, e il cui fine (uno dei fini) appare quello di incrementare la destabilizzazione dell’intera area balcanica.  

Protagonista di tutta l’operazione è l’organizzazione islamica cosiddetta dei Mujaheddin e-Khalq (Mujaheddin del Popolo, MEK) che dispone ora di una grande base in territorio albanese. L’arrivo in Albania del comando del MEK è preceduto da una storia oltremodo lunga e tortuosa che merita di essere raccontata in dettaglio. 

I Mujaheddin e-Khalq nacquero nel 1963, in Iran, con l’obiettivo di opporsi all’influenza occidentale nel Paese e come acerrimi avversari del regime dello Shah. Nel 1979 il Mek partecipa alla rivoluzione guidata da Khomeini ma l’ideologia che lo caratterizzava all’epoca era un singolare incrocio di marxismo, femminismo e islamismo. Come tale del tutto incompatibile con quella degli ayatollah sciiti e il Mek è costretto a disperdersi, mentre il suo quartier generale si trasferisce a Parigi nel 1981. In questo lasso di tempo il MEK “cambia pelle”, oltre che ideologi e finanziatori e, cinque anni dopo, riappare in Iraq, precisamente a Camp Ashraf, a nord di Baghdad. Si distingue come formazione armata autonoma — alcune migliaia di combattenti bene addestrati, con le famiglie al seguito — che supporta Saddam Hussein contro l’Iran e appare attivamente in numerosi episodi della repressione dei curdi iracheni. Il MEK sopravvive stranamente alla caduta di Saddam Hussein e, nel 2003 viene trasferito, dagli americani vincitori, letteralmente “armi e bagagli”, in un altro grande accampamento militare che prenderà, non a caso, il nome di Camp Liberty.. Da quell’avamposto si diramano numerosi attentati terroristici e azioni di diversione e boicottaggio contro l’Iran. Formalmente “disarmato” dall’esercito statunitense, inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali, il MEK continua a svolgere una intensa azione bellica e propagandistica contro Teheran. Sempre sotto la guida del Quartier Generale di Parigi e sempre lasciato libero di agire dai servizi segreti americani, israeliani, francesi. L’ambiguità della sua collocazione non gl’impedisce — anzi lo aiuta — di incassare il supporto più o meno esplicito di esponenti politici occidentali. Ad esempio quello dell’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani, insieme a quello di John Bolton, ex rappresentante USA alle Nazioni Unite e attuale consigliere per la sicurezza nazionale. Perfino l’ex commissaria europea Emma Bonino si affaccia ad alcune delle sue iniziative “umanitarie”. Sul New York Times,nel 2012, apparirà un elenco di sostenitori, tra cui diversi esponenti del Congresso americano, ma anche R. James Woolsey e Porter J.. Goss, ex direttori della Cia, Louis J. Freeh, ex direttore dell’Fbi, Tom Ridge, ex segretario della Homeland Security sotto la presidenza George W. Bush, l’ex procuratore generale Michael B. Mukasey e l’ex consigliere per la sicurezza nazionale, il generale James L. Jones, ai tempi di Obama. Il quotidiano statunitense illustrò anche come l’allora Segretario di Stato, Hillary Clinton, “sdoganò il Mek, rimuovendolo dalla “black list” (l’organizzazione era considerata terrorista non solo da Iran e Iraq, ma anche da Unione europea, Gran Bretagna, Usa e Canada). E così ritroviamo il MEK in Albania. 

Di nuovo con “armi e bagagli”. Impresa molto costosa, che ha certamente richiesto un consistente ponte aereo e grandi spese di insediamento per migliaia di persone. Organizzatori di un tale esodo sono stati, senza alcun dubbio, i servizi segreti americani. Ma perché proprio in Albania? E con quali compiti? 

Qualcuno è andato a chiederlo a diversi politici albanesi e si è sentito rispondere, senza alcun imbarazzo, qualcosa del tipo:“l’America ci ha dato il Kosovo, ora dobbiamo dare qualcosa in cambio”.

Interessante l’intervista recentemente rilasciata al Balkans Post da Olsi Jazexhi, storico canadese-albanese specializzato nella storia dell’Islam nell’Europa sud orientale: “l’America sta trasformando l’Albania in un rifugio sicuro per il jihadismo internazionale”.

I “Mojahedeen del popolo” sono una presenza senza precedenti in Albania, che pure ha ospitato non pochi combattenti islamici prima e durante la guerra contro la Jugoslavia. Quando gli USA portarono il primo gruppo di jihadisti iraniani in Albania, il governo iraniano protestò pubblicamente e vigorosamente. All’epoca, il primo ministro Sali Berisha assicurò agli iraniani che il Mek sarebbe stato ospitato in Albania solo per ragioni umanitarie e nessuna azione contro l’Iran sarebbe stata permessa dal governo albanese. “Tuttavia, il tempo ha dimostrato, — spiega Jazexhi — che i mojahedeen iraniani vennero in Albania non solo per chiedere asilo, ma con l’intenzione di trasformare l’Albania in un secondo Afghanistan, nel cuore dell’Europa”. Il meccanismo sarebbe in sostanza, lo stesso con cui, negli anni ’80, i mojahedeen afghani furono sostenuti e finanziati dagli americani per combattere l’URSS. 

E non si tratta di indiscrezioni. Nel 2016 la stessa Voice of Americaha annunciato che l’Albania avrebbe accettato 2mila mojahedeen in cambio di 20 milioni di dollari. Sempre con i dollari USA si starebbe costruendo un nuovo campo situato tra Tirana e Durazzo dove, secondo il premier di Bulgaria, Bojko Borisov, andrebbero a dislocarsi gruppi di combattenti dell’ISIS in fuga dalla Siria, colà trasportati con aerei della US Airforce. Il premier albanese Edi Rama ha subito smentito. 

Nel campo di Manza sarebbero oggi “ospitati” circa 4.400 membri del MEK, che vivono in quasi completo isolamento, impossibilitati a uscire, anche ad avere contatti con le loro famiglie, evidentemente accampate nelle vicinanze. Qualcosa di simile a una setta, con rigide norme morali e religiose da rispettare. Cosa succeda da quelle parti non è facilmente verificabile data la strettissima sorveglianza che circonda il campo. Ma non si perde tempo. Un recente documentario di Al-Jazeera ha rivelato l’esistenza di un vasto gruppo di militanti che è stato istruito nelle tecniche della diversione informatico-comunicativa: qualcosa che potrebbe essere definita come “cyber-jihad”, ovvero notizie false e attacchi informatici, sia rivolti contro l’Iran, sia destinati al pubblico europeo per far crescere la paura dell’Iran, per influenzare i media europei in vista di una rottura dei rapporti con Teheran.  

Nell’ultimo anno diverse sono state le prese di posizione a favore del Mek anche da parte di esponenti del panorama politico italiano. Una delegazione ufficiale del Partito Radicale Italiano e dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” ha visitato il quartier generale albanese dei mujaheddin, a sostegno della lotta per i diritti umani contro il governo iraniano. Si è distinto in questa direzione l’ex ministro degli esteri del governo Monti, Giulio Terzi, volando in una delle basi del MEK in Albania per annunciare “appoggio incondizionato”, per definire i suoi militanti come “combattenti per la libertà”, assicurandoli che “un’ampia parte della società italiana è convinta che stare dalla vostra parte significa stare dalla parte giusta della storia”. Infine — sono sempre le parole che Giulio Terzi avrebbe pronunciato in quella occasione, secondo il Guardian—: “I mullah se ne devono andare, gli ayatollah se ne devono andare e devono essere rimpiazzati da un governo democratico sotto la guida della signora Rajavi, leader del Mek”. Un disegno da manuale di “regime change”: rovesciamento di un governo e susseguente “esportazione di democrazia”. Film già visto in abbondanza. 

Intanto però, mentre il confine tra l’Albania e il Kosovo sta scomparendo ed Edi Rama, in nome degli standard europei, e con il plauso di Bruxelles (quella della Ue e quella della NATO), lavora perché lo “sportello unico” venga adottato anche al confine con la Macedonia, il Montenegro e la Grecia. La Serbia dev’essere isolata ed esclusa, in attesa di essere sottomessa definitivamente. La Grande Albania si appresta a diventare un’arma puntata su ciò che resterà dell’Europa. 

 
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FLASHBACKS 2017
 
LINKS:
 
KOSOVO: CHI FINANZIA LA RADICALIZZAZIONE? (PresaDiretta, trasmissione di RAI3, 11 settembre 2017)
VIDEO: https://www.facebook.com/PresaDiretta.Rai/videos/10159386810630523/
 
NATO SLEP NA RAST VELIKE ALBANIJE, A DŽIHADISTI DIVLJAJU NA JUGU KOSOVA (20. Jun 2017.)
... Nakon što je potvrđeno da je u redovima tzv. Islamske države poginuo džihadista Lavdrim Muhadžeri iz Kačanika, na Kosovu i Metohiji, Radio Slobodna Evropa ovaj grad opisuje kao “džihadističku prestonicu Evrope”...
 
ÉTAT ISLAMIQUE : LE DJIHADISTE KOSOVAR LAVDIM MUHAXHERI AURAIT ÉTÉ TUÉ EN SYRIE (CdB, jeudi 8 juin 2017)
Lavdim Muhaxheri, plus connu sous le nom de Abu Abdullah al Kosova, aurait été tué par un drone américain en Syrie. Originaire du Kosovo, Lavdim Muhaxheri était l’un des chefs des combattants balkaniques de l’État islamique...
https://www.courrierdesbalkans.fr/Etat-islamique-l-Albanais-Lavdim-Muhaxheri-tue-par-un-drone-en-Syrie
 
KOSOVO, STATO FALLITO RIFUGIO DELL'ISIS (di Barbar Ciolli, 30 marzo 2017)
Il veto all'indipendenza. La minoranza serba, da persecutrice a perseguitata. I traffici di armi e uomini. La povertà, la corruzione e l'Islam radicale. Ecco da dove arrivano i jihadisti arrestati a Venezia... [SI VEDANO ANCHE I SIGNIFICATIVI COMMENTI IN CALCE]
 
KOSOVO: "NON PENSAVAMO CHE TORNASSERO TERRORISTI..." (Rassegna JUGOINFO 7/3/2017)
 
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Croci spezzate: Kosovo in balia del radicalismo
Croci spezzate e loculi profanati. In Kosovo la furia iconoclasta degli islamisti si è abattuta su un cimitero cristiano ortodosso.

Elena Barlozzari - Lun, 05/06/2017
 
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Kosovo, imam radicali e disoccupazione: così nei villaggi reclutano i ragazzi
Fra Mitrovica e i borghi rurali l'Isis arruola i foreign fighters. E su YouTube un predicatore incita all'odio: "Il sangue degli infedeli è la nostra bevanda preferita" 

dal nostro inviato PIETRO DEL RE, 31 marzo 2017
 
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Terrorismo, sgominata cellula jihadista a Venezia: "Bomba a Rialto e guadagni il paradiso"
 
Arrestati tre uomini, sotto i trent'anni, e fermato un minore. Tutti del Kosovo, uno di loro era tornato dalla Siria dove aveva combattuto. Nelle perquisizioni, anche a Mestre e a Treviso, trovate alcune pistole. Progettavano un attentato per fare centinaia di morti. Attivi su internet, avevano contatti con tutto il mondo

dal nostro inviato FABIO TONACCI, 30 marzo 2017
 
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Kosovo Albanian Terror Threatens Venice 
 
by Grey Carter, April 7, 2017 

Here’s the analysis of the  Kosovo Albanian Terror Plot to Blow up Rialto Bridge in Venice, made by Andrew Korybko, analyst at the Moscow-based Geopolitika..Ru  think tank
 
Italian officials stopped Kosovo Albanian Daesh terrorists from blowing up the world-famous Rialto Bridge in Venice last week.Although the event is somewhat dated by news cycle standards, it’s still worth reflecting on for everything that it signifies. The paramount concern for everyone who heard the story is that Daesh is now actively targeting Italy, though this isn’t exactly news because the group had earlier threatened the country a few years ago in its “Black Flag Over Rome” manifesto. What’s changed since then, however, is that we see that they managed to inspire operatives within the country to organize an attack, which was thankfully averted by the security services before anyone got hurt.
Italy’s an important target for Daesh for a few reasons, namely the fact that the Pope’s home of Vatican City is in Rome, the country is historically associated with Christianity, and Italy was involved in the War on Libya and reportedly has some special forces on the ground there. Moreover, because of its location right across the Mediterranean from that war-torn country, it’s a prime destination for all sorts of migrants, some of which could easily be terrorists which are posing as “refugees”. In addition, Italy is known for its famous tourist sites which attract millions of visitors from across the world, thereby presenting terrorists with a multitude of soft targets to carry out high-profile attacks against.
Extrapolating more broadly from what we know about this foiled plot, there’s the fact that all four of the suspects are Kosovo Albanians who were legally living in Venice. This draws awareness to the Albanian migrant crisis, which preceded the Mideast one though receives barely any attention to this day. Tens, if not hundreds, of thousands of Albanians have left their home country and the NATO-occupied Serbian Province of Kosovo for the EU, a massive movement of people which proves that those two areas are failed entities. Albania has always had a slew of problems, but Kosovo never used to be this bad, though it began to resemble its dysfunctional neighbor after the 1999 NATO War on Yugoslavia and ethnic cleansing of the Serbs succeeded in turning it into one of Europe’s drug mafia headquarters.
It’s not only narcotics and crime, but also radical Islam which is contributing to the province’s many problems, as is painfully evidenced by the arrest of the four Kosovo Albanian Daesh terrorists. They’re not outliers, either, as many reports have come out over the past couple of years about how fertile of a recruiting ground Kosovo has become for terrorists. This is mostly attributable to its socio-economic devastation brought about by the NATO conflict there, which in turn created space for Wahhabis and other fundamentalists to prosper. Albanians have a history of migrating to and working in Italy, so in hindsight it’s predictable that the country would eventually become threatened by these sorts of terrorists. 
Still, I doubt that Italy can do anything about it because there are just too many Albanians living there and nobody has any idea how many are radicalized, so they’ll probably keep responding on a case-by-case basis unless they get brave and take systemic immigration measures to preemptively deal with this threat. ”
 
 
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FLASHBACKS 2016
 
LINKS:
 
L'ISIS CHE ABBIAMO FORAGGIATO IN KOSOVO (Rassegna JUGOINFO 30/11/2016)
 
JIHAD DAL KOSOVO, LA SCOPERTA DELL'ACQUA CALDA CONTINUA (Rassegna JUGOINFO 30/7/2016)
 
L'ISIS "VENDICHERÀ SREBRENICA" ? (Rassegna JUGOINFO 21/1/2016)
 
KOSOVO, IL PICCOLO ISIS D'EUROPA (Rassegna JUGOINFO 2/12/2015)
 
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Roma, arrestato Karlito Brigande, ex criminale macedone arruolato nell'Is: cellula pronta a attentato in Iraq
 
I carabineri del Ros hanno documentato il suo tentativo di scappare in Iraq per compiere un attentato con autobomba. Ordinanza di custodia cautelare anche per l'uomo che l'ha arruolato, un tunisino transitato in Italia prima del trasferimento nelle file del Califfato. Manette per un terzo straniero in contatto con Brigande

di FABIO TONACCI, 12 marzo 2016
 
[[TEXT REMOVED FOR COPYRIGHT, TRY LINK ABOVE OR: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8986 ]] 
 
 
VIDEO: "Prendo una macchina con l'esplosivo contro il miscredente"