Informazione


Dal Partito Comunista della R.P. di Donetsk

Seconda parte:

Partito e classe. Introduzione: il rapporto delle forze di classe in Donbass
1) La posizione del proletariato industriale alla vigilia della guerra (30.03.2018)
2) Confronto tra imperialismi (01.04.2018)
3) L’essenza di classe dell’ «antimaidan» in Donbass (18.04.2018)


Si vedano anche:

* Dal Partito Comunista della R.P. di Donetsk – prima parte (JUGOINFO 1.5.2018):
1) Tesi programmatiche del Partito Comunista della Repubblica Popolare di Donetsk (KPDNR) (aprile 2016)
2) Sul viaggio in Italia del segretario del Comitato centrale del KPDNR, Stanislav Retinskiy (marzo 2018) 
– collegamenti e video
– testo di Stanislav Retinskiy "Il Donbass tra l'Ucraina e la Russia"
3) Intervista a Stanislav Retenskij di Maurizio Vezzosi

* Il fronte antimperialista: Donbass, Siria, Venezuela (Stanislav Retinskiy, segretario del comitato centrale del Partito comunista di Donetsk)
Nel corso di uno degli incontri con i comunisti italiani mi è stata posta questa domanda: la vostra secessione in DNR (Repubblica Popolare di Donetsk) e LNR (Repubblica Popolare di Lugansk) non indebolisce forse la lotta antimperialista in Ucraina? Viene detto: la resistenza al regime di Kiev, supportato da UE e Usa, potrebbe essere attuata efficacemente nell’ambito di un solo stato insieme ai compagni ucraini. La mia risposta è stata coincisa, a causa dei tempi ristretti dell’incontro, ed ho promesso di formulare una risposta più ampia in un articolo...

il sito internet del KPDNR: http://wpered.su



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Partito e classe. Introduzione (il rapporto delle forze di classe in Donbass)

Parte 1


Nella valutazione degli eventi in Donbass, le forze di sinistra, spesso e volentieri, giungono a conclusioni estreme: alcuni credono che qui, presumibilmente, si sia verificata una rivoluzione socialista, soppressa poi da oligarchi russi e da una reazione interna, altri, invece, che i lavoratori non abbiano nemmeno avanzato rivendicazioni di classe, di conseguenza, per il momento, ritengono sufficiente limitarsi al ruolo di semplici osservatori e continuare ad aspettare un’autentica rivoluzione. Gli estremi, come è noto, convergono, perchè entrambi questi punti di vista portano al fatto che la sinistra sia completamente staccata dalle masse e abbia una visuale distante dagli eventi. «Non piangere, non ridere, non odiare, ma comprendere», diceva il filosofo olandese Spinosa. Di conseguenza, anche noi dobbiamo all’inizio tentare di capire ciò che accade, e poi determinare il ruolo del partito nel movimento dei lavoratori.

La posizione del proletariato industriale alla vigilia della guerra

Iniziamo dal fatto che le proteste in Donbass possono essere considerate una risposta all «Euro Maidan». Proprio gli eventi di Kiev hanno risvegliato il Donbass, che negli ultimi 25 anni non si era quasi manifestato politicamente. Nelle altre parti dell’Ucraina si era soliti ritenere che qui vivesse la parte più sottomessa della popolazione del paese, sprezzantemente definita «bestiame». I nazionalisti ucraini non erano riusciti ad attirare dalla propria parte il Donbass ne nel 2004, ai tempi del «Maidan», ne nel 2013, durante l’Euromaidan. Peraltro, nemmeno Viktor Yanukovic non ha goduto di grande autorità presso la popolazione del luogo. Certamente, allora l’amministrazione della regione di Donetsk, utilizzando risorse pubbliche, induceva grandi masse di persone a partecipare alle manifestazioni in appoggio del presidente, ma questo in generale non significava necessariamente che essi lo appoggiassero realmente. Al contrario, in Donbass, lo odiavano per il fatto che non avesse rispettato le promesse elettorali: stabilire normali relazioni con la Russia, il conferimento al russo dello status di lingua di Stato, eccetera… In Donbass, anche se lo hanno votato, in generale non erano per Yanukovic, ma semplicemente contro Viktor Yushcenko e Yulia Timoshenko. Nel 2014, dopo il colpo di Stato, quando il presidente scappò all’estero, all’odio si è aggiunto il disprezzo..

Per quanto riguarda il proletariato, esso per lungo tempo non ha separato i propri interessi da quelli dell’oligarchia locale. Nel Donbass pre-rivoluzionario i lavoratori salariati erano affamati, sopravvivevano in baracche e lavoravano 12 ore al giorno, quindi non avevano nulla da perdere, se non le proprie catene. Poi, prima dell’inizio della guerra del Donbass, nelle fabbriche e nelle miniere venivano pagati stipendi abbastanza alti, per questo la crescita del benessere del proletariato industriale era legata alla crescita del benessere dei proprietari delle imprese. Così, nel 2013, lo stipendio medio nella regione di Donetsk era di 3 800 grivne, mentre per l’Ucraina 3 300. Mentre la media del salario nella regione del carbone era all’incirca di 5700 grivne, la media del settore industriale era all’incirca di 4600 grivne.

Le statistiche ufficiali, naturalmente, forniscono solo dati approssimativi, quindi spesso i redditi dei lavoratori sono stati leggermente superiori.
Questo può essere spiegato con il ricevimento di una parte di stipendio «in busta» (contanti, erogati al di là dello stipendio base per evadere le tasse), e la ricerca di entrate extra. Giornata lavorativa di otto ore, giorni festivi veri e propri, ferie pagate ogni anno — tutto ciò ha contribuito al fatto che il proletariato vendeva la sua manodopera non solo alla fabbrica, ma anche fuori. Per questo, invece della lotta per rivendicazioni economiche in fabbrica o in miniera, i lavoratori spesso cercavano guadagni aggiuntivi fuori . In questo non vi è nulla di sorprendente, dato che lo sciopero è solo una delle forme di lotta del lavoratore per più favorevoli condizioni di vendita della propria forza lavoro. Ma la lotta può cambiare le sue forme di attuazione, partendo dai «lavoretti extra» fino ad arrivare alla ricerca di lavoro anche al di fuori dei luoghi di residenza (lavoratori migranti). In questo caso la vendita di forza lavoro non solo in azienda, ma anche al di fuori di essa, aumenta la giornata di lavoro e intensifica il livello di sfruttamento dello stesso.

Karl Marx e Friedrich Engels, nel Manifesto del partito comunista, hanno evidenziato come, insieme al proletariato socialista, ci sono anche insegnamenti reazionari. Durante la Perestroika, in Unione Sovietica, grande popolarità conquistò il cosiddetto «socialismo di mercato». Con l’aiuto delle riforme di mercato si voleva «correggere» il socialismo. Si sa benissimo a cosa ha portato questo approccio, alla restaurazione del capitalismo. Tuttavia, residui delle conquiste socialiste resistevano ancora, consentendo ai lavoratori di condurre uno stile di vita non solo accettabile ma, se così si può dire, piccolo borghese. Vivono in appartamenti, ricevuti gratuitamente in epoca sovietica, spesso possiedono un appezzamento di terreno, che permette loro di fare una buona scorta di cibo, e ricevono contemporaneamente lo stipendio e la pensione statale per il raggiungimento di una certa età.

Soffermiamoci dettagliatamente su questo fenomeno: il possesso di appezzamenti di terreno da parte dei lavoratori. I famosi 6 ettari cominciarono ad essere assegnati gratis all’incirca nel 1960. Questa decisione della dirigenza sovietica, a prima vista innocua, ha avuto conseguenze molto tristi per il primo paese socialista nel mondo. Al posto di un’ulteriore socializzazione della produzione con l’uso delle macchine, che consentono di migliorare notevolmente la produttività del lavoro, è sorto il processo inverso, ovvero: insignificanti pezzi di terra sono stati lavorati con strumenti di lavoro arcaici. Ma sono proprio le alte produzioni il segno distintivo della società comunista. Con la restaurazione del capitalismo, la «Giornata internazionale della solidarietà dei lavoratori», grazie all’intervento dei capitalisti, si è trasformata nella «Giornata della primavera», e al posto della battaglia delle masse contro l’oppressore sociale, è stato possibile osservare solo una massa di lavoratori su piccoli appezzamenti di terreno. Prima ancora della guerra, un lavoratore mi disse che non avrebbe partecipato a nessuna rivolta, fino a quando a casa sua ci fosse stato un sacco di patate. Allora gli risposi, che la riforma agraria, prima o poi, lo avrebbe spazzato via.

Tutti questi benefici sociali sarebbero da considerare un lusso non solo per gli altri Paesi del «terzo mondo», dove non c’era il socialismo, ma anche per i Paesi capitalistici altamente sviluppati. Non è una forzatura affermare che il proletariato industriale in Donbass ha ricoperto una posizione di «aristocrazia operaia». Ma se nei paesi Occidentali, l’aristocrazia dei lavoratori, era il risultato della corruzione dei vertici del proletariato, come parte dei profitti monopolistici, qui — era legata alle vestigia del socialismo. In condizioni di universale impoverimento provocato dalla controrivoluzione e in conseguenza di un calo della produzione (nel 1990 il PIL dell’Ucraina è diminuito di quasi il 60 %, più del doppio rispetto al declino dell’economia degli USA nel periodo della Grande depressione), i minatori e i lavoratori delle acciaierie occupavano una posizione privilegiata. Ognuno, ovviamente, ha cercato di mantenere questa posizione. Questo atteggiamento si è manifestato in maniera lampante durante la successiva riduzione del personale, quando, invece di unirsi contro i nemici di classe, i lavoratori hanno condotto una lotta all’interno della propria classe. Per rimanere in azienda o conquistare un posto migliore nella gerarchia di produzione, i lavoratori cercarono di ingraziarsi i superiori e di sostituirsi a vicenda.

Questa situazione è dovuta al fatto che, nell’era del capitalismo, la competizione non è solo tra capitalisti, ma anche tra proletari. E con ogni licenziamento o chiusura di azienda, la concorrenza all’interno del proletariato è cresciuta. Nella fase di formazione del capitalismo il lavoro manuale è soppiantato dalle macchine, che creano un esercito di riserva del lavoro. La riduzione della richiesta di lavoro ha portato ad una riduzione del suo prezzo. Ma nell’ex Unione Sovietica è accaduto esattamente il contrario. Quando il Donbass chiuse le miniere e i minatori finirono per strada, questo non significò che stava cadendo la richiesta di lavoro. Al contrario, la richiesta di lavoro è rimasta invariata, ha solo assunto un’altra forma. Al posto delle imprese minerarie, spesso comparivano i cosiddetti «kopanka», piccole miniere illegali, in cui il carbone viene estratto con metodi artigianali. Spesso in quelle miniere la paga era anche più alta rispetto alle miniere legali, ma le condizioni di lavoro erano terribili, come nel periodo pre-rivoluzionario, nella totale assenza di garanzie sociali. Nel 2011, nella regione di Donetsk, sono state liquidate 420 miniere illegali, ma 314 ancora continuarono a lavorare. Ad esempio, a Snizhne più della metà dei«kopanok» liquidati hanno condotto estrazioni in zone chiuse e solo un quarto di loro — su zone libere. In altri casi, i «kopanka» si trovavano su territori dove ancora vi erano miniere attive L’estrazione Illegale di carbone è stata condotta su quasi tutto il territorio della regione di Donetsk, ma più spesso — nella parte orientale della regione, perché lì giacimenti di carbone si trovano vicino alla superficie.

Nella regione di Donetsk l’estrazione illegale di carbone era controllata dalla famiglia e dall’entourage di Viktor Yanukovich. Questa situazione generò un conflitto con gli interessi di Rinat Akhmetov — proprietario delle miniere legali. La famiglia Yanukovich smerciò carbone illegale all’estero, ciò risultò molto più conveniente. Le materie prime, in un primo momento, sono state consegnate alle miniere governative, e poi, attraverso la mediazione delle imprese, esportate all’estero. In questo caso, a carico del bilancio nazionale, sono state destinate ingenti somme di denaro per lo sviluppo dell’industria del carbone in Ucraina. Il volume annuale della sovvenzione era pari a oltre 12,5 miliardi di dollari. Naturalmente, il denaro non ha raggiunto la destinazione, ma «è caduto» nelle tasche dell’entourage di Yanukovich. E’ nato così il mito della sovvenzione alla regione di Donetsk. In breve tempo, il presidente ucraino è stato in grado di mettere insieme una fortuna così enorme fino al punto che non riuscì più a contenere gli oligarchi ucraini, che fino a poco prima lo consideravano un loro pupillo. Sono stati loro ad organizzare contro di lui un complotto, ovvero l’euromaidan».

Ma, a differenza dell’attuale governo ucraino, Viktor Yanukovich, ha almeno cercato di comportarsi come il presidente di un paese indipendente, destreggiandosi tra i due centri di accumulazione del capitale — la UE e la Russia. Egli sapeva bene che, tramite l’ Accordo di associazione (con la UE) Bruxelles avrebbe cercato, a spese dell’Ucraina, di mitigare la crisi economica nell’Unione europea. A tal proposito, il presidente ha ragionevolmente richiesto dalla UE una compensazione monetaria, ma anche di garanzia, che consentisse di vendere in EU la principale merce ucraina: la forza lavoro.. Per tale garanzia sarebbe servita l’ abolizione del regime dei visti. Chi è venuto al posto di Yanukovich, ha acconsentito ad un’associazione senza alcuna compensazione e garanzia. Naturalmente, il deposto presidente, non aveva nulla contro l’unione Europea, ma se l’accordo con la Russia avesse previsto eventuali benefici economici, Yanukovich certamente lo avrebbe concluso. Oggi la politica ucraina si basa completamente sulla retorica anti-russa.

Il colpo di stato a Kiev nel 2014 ha mostrato che l’Ucraina potrebbe mantenere la sua integrità territoriale, solo mediante una politica «multidirezionale». Una volta presa la decisione di unirsi a uno dei centri di accumulazione del capitale, è iniziata la sua disfatta. L’ucraina è un campo di battaglia per i monopoli internazionali. La sua economia è completamente controllata attraverso il dollaro e l’euro, quindi, la politica ucraina, si riduce esclusivamente a compiere ciò che è necessario per creare nel paese un migliore clima per gli investimenti. Tuttavia, questa circostanza non impedisce, ma addirittura aiuta, gli oligarchi ucraini ad acquisire un ruolo di rilievo, così come non impedisce ai partiti ucraini di fare la propria politica personalistica. Tutti i partiti borghesi inquadrano il loro compito nella svendita dell’Ucraina alle multinazionali, in cambio di un permesso di rimanere qui come impiegati. Questo stato di cose, in primo luogo, colpisce i lavoratori ucraini, perché essi sperimentano su di sé un doppio sfruttamento, ovvero, nazionale e transnazionale da parte del capitale.

Contemporaneamente con questi eventi verificatesi in Ucraina, risulta chiaro il naufragio del cosiddetto mondo unipolare. Il capitale russo continua ad espandere la sua sfera di influenza, e l’imperialismo americano non è in grado di assimilare nella sua sfera di influenza tutto il territorio dell’Ucraina, da cui si è distaccata la Crimea e mezzo Donbass. Ma di questo parleremo nel prossimo articolo.

Continua

Stanislav Retinskiy, segretario del comitato centrale del KPDNR



Partito e classe. Introduzione (il rapporto delle forze di classe in Donbass)

Parte 2


Confronto tra imperialismi

Quando diciamo che l’Ucraina si trova tra due centri di accumulazione del capitale, ci riferiamo all’appartenenza territoriale. Geograficamente si trova tra l’Unione Europea e l’Unione Economica Euroasiatica. Entrambe questi organismi hanno influenza su di essa. Prima di tutto, ci riferiamo a Germania e Russia. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti, più distanti, hanno un impatto molto maggiore. Per essere precisi, l’Ucraina è nella sfera di influenza di tre centri di accumulazione del capitale. A rigor di termini non c’è e non c’è mai stato un mondo unipolare, ma esiste un mercato mondiale in cui gli Stati Uniti occupano una posizione dominante. Allo stesso tempo Germania, Cina, Russia, Giappone e altri paesi sono pronti a competere con gli Stati Uniti per il dominio del mondo.

La politica mondiale è determinata dall’ equilibrio di potere tra i centri imperialisti. Ma questo rapporto è in costante cambiamento, come evidenziato dalla situazione attuale in Ucraina. Il conflitto nel Donbass illustra perfettamente il ruolo della Germania nel sistema della divisione internazionale del lavoro. Da un lato è partner minore degli Stati Uniti, d’altra parte sta già cercando di diventare partner di maggiore livello. Nel primo caso, la Germania, è costretta ad introdurre sanzioni contro la Russia, ma nel secondo caso cerca di influenzare il conflitto in Donbass seguendo il “formato normandia”, ovvero senza gli Stati Uniti. La Germania vuole condurre la propria politica in Europa, ma ancora è costretta a prendere in considerazione gli interessi degli Stati Uniti, a cui è vincolata in relazione alla nascita del proprio imperialismo.

Gli Stati Uniti sono interessati principalmente a distruggere il potenziale industriale del Donbass, la sua industria carbonifera, e alla fine assorbire il mercato energetico ucraino. A conferma di quanto è stato detto, nel settembre 2017 ci sono state prime consegne di carbone americano ad Odessa. Lo stesso destino spetterà a tutta l’Europa. Non è esagerato affermare che la guerra nel Donbass è una manifestazione della lotta degli Stati Uniti per il mercato dell’ energia dell’ Europa, dove le posizioni della Russia sono ancora forti. La Germania in questo confronto si sta orientando verso la parte russa, nella quale vede un rivale più debole. L’assorbimento del mercato europeo dell’energia da parte del capitale americano indebolirà considerevolmente le posizioni dell’ imperialismo tedesco.

Attualmente, gli Stati Uniti sono il secondo produttore mondiale di carbone, secondo solo alla la Cina. Circa 900 milioni tonnellate di materie prime vengono prodotte ogni anno, ovvero oltre 11% del volume mondiale. Nel 2016 la produzione di carbone nel mondo è diminuita, ma l’ anno successivo è nuovamente aumentata. L’ aumento più significativo (del 19%) è stato osservato negli Stati Uniti . Uno dei motivi è un forte aumento delle esportazioni di carbone. Nel 2017 le esportazioni degli Stati Uniti sono aumentate di oltre il 60% rispetto all’ anno precedente. L’esportazione nel Regno Unito è aumentata del 175%, in Francia è raddoppiata. In 10 anni, dal 2003 al 2013, le forniture di carbone americano al Regno Unito sono aumentate di oltre 10 volte, in Germania di 15 volte.

Gli Stati Uniti sono il secondo esportatore di » oro nero» in Europa, dopo la Russia. Ma con l’aiuto delle sanzioni anti-russe e l’aumento delle esportazioni, gli americani mirano a diventare leader nel mercato energetico europeo. Allo stesso tempo , la produzione di carbone in Europa continua a diminuire. Così in Gran Bretagna l’ultima miniera di carbone è stata dismessa nel dicembre 2015, anche se più di 3000 imprese operavano lì un centinaio di anni fa. In Germania c’erano solo due miniere di carbone operative, che saranno chiuse nel 2018. Negli Stati Uniti al contrario, Donald Trump ha revocato le restrizioni sull’estrazione del carbone introdotte da Barack Obama. Negli Stati Uniti ci sono le più grandi riserve di carbone del mondo, ma i monopoli del gas americano temono di perdere la loro quota nel mercato interno dell’ energia, quindi si oppongono all’aumento della produzione.. Di conseguenza, Washington deve solo aumentare le esportazioni di carbone per mantenere a galla l’industria.

Tra Washington e Kiev ci sono accordi sulla fornitura di milioni tonnellate di carbone. A gennaio-novembre 2017 l’Ucraina ha importato oltre 17 milioni tonnellate di carburante, 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2016. La quota della Russia nelle importazioni è del 56,36%, quella degli Stati Uniti, che sono il secondo fornitore di carbone in Ucraina, del 24,84%. Allo stesso tempo, l’Ucraina paga il 40% in più per il carbone americano rispetto al russo. A loro volta, le imprese minerarie ucraine del carbone, in questo periodo hanno ridotto la produzione di carbone di oltre 5 milioni tonnellate (13,6%).

Nel breve periodo, l’elevata domanda di carbone in Ucraina continuerà. Il fatto è che fin dai tempi delle «guerre del gas» russo-ucraine, iniziate molto prima del «euromaidadan»,  le imprese iniziarono a convertirsi in massa dal gas al carbone. Questa tendenza viene ancora mantenuta oggi, quando Kiev tende in maniera molto più agguerrita al raggiungimento dell’ «indipendenza energetica» da Mosca. Ma abbandonando il gas russo, l’Ucraina cade sotto la dipendenza dal carbone americano, mantenendo allo stesso tempo un forte bisogno di antracite, la quale ancora non può essere fornita dagli Stati Uniti in quantità sufficiente. Di conseguenza, l’Ucraina fu costretta a cancellare le sanzioni contro un grosso fornitore di carbone russo «Yuzhtrans». Contemporaneamente riduce la propria produzione dichiarando il blocco della Repubblica Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Lugansk, distruggendo il potenziale industriale del Donbass con l’aiuto dell’ artiglieria.

Il conflitto nel Donbass è l’ennesima conferma del fatto che l’imperialismo si trova in una crisi sistemica. I capitalisti stanno cercando di risolvere il problema della sovrapproduzione di beni con mezzi militari. Nel contesto imperialista questo si realizza con la distruzione di una parte dei mezzi di produzione.. Così il collasso dell’Unione Sovietica e la sconfitta del socialismo nell’Europa orientale hanno permesso per qualche tempo di assicurare la crescita della produzione nei paesi capitalisti avanzati. Per questo le repubbliche dell’ex campo socialista hanno pagato un calo significativo della loro produzione. Negli anni novanta la perdita media del prodotto interno lordo pro capite è stata del 30%.

Per più di vent’anni lo spazio post-sovietico è stato oggetto di una politica imperialista. Ma la congiuntura favorevole dei prezzi delle risorse energetiche ha permesso di creare in Russia un prezzo sufficientemente efficiente per l’accumulazione di capitale. Con l’aiuto dell’Unione Economica Euroasiatica, che è un’alleanza dei paesi borghesi, e non è la URSS-2, Mosca cerca di conquistare una posizione più o meno dignitosa nel sistema mondiale della divisione del lavoro. Tali alleanze, come l’Unione Economica Euroasiatica, sono pensate con un unico obiettivo: organizzare efficacemente il processo di estrazione del profitto, che può essere ottenuto solo dallo sfruttamento delle forze di lavoro. Come dovrebbero sentirsi i comunisti riguardo a tale alleanza? La risposta potrebbe sembrare paradossale, abbiamo il dovere di sostenerla!

Innanzitutto, l’Unione Economica Euroasiatica, è un’unione volontaria. Ed è ricercata  non solo dalla borghesia, ma anche dalla maggioranza della popolazione. Da parte dei comunisti sarebbe un’insensatezza da un punto di vista dottrinario andare contro questo processo solo perchè perché questa Unione non porta alcun beneficio ai lavoratori. Ma questo non significa che non dovremmo criticarla. L’Unione Economica Euroasiatica consente alla borghesia di trarre benefici economici, ma lascia i lavoratori politicamente divisi. I comunisti devono criticare l’ incoerenza della borghesia e chiedere una piena fusione politica dei paesi. Il capitale è più facile da nazionalizzare quando è più concentrato. Se ci sono meno divisioni politiche è più facile per il proletariato far fronte al potere del capitale.

Nei suoi scritti, V. Lenin parla della necessità di unire le nazioni e deduce la seguente formula: i comunisti dei paesi oppressori devono difendere la libertà dei paesi oppressi e difendere la loro secessione. I comunisti dei paesi oppressi possono appoggiare sia l’indipendenza politica della loro nazione, sia la sua inclusione nello stato vicino. Nella «libertà» di secessione e «libertà» di unione c’è un genuino internazionalismo. E non può esservi altro modo per unire le nazioni. Secondo V. Lenin, i comunisti dei paesi oppressi hanno un leggero vantaggio. Possono sostenere sia la secessione che l’adesione, rimanendo internazionalisti. Ma in tutti i casi i comunisti devono porre la libertà e l’uguaglianza universali al di sopra degli interessi della loro nazione.

Durante gli anni dell’indipendenza,  la maggioranza della popolazione ucraina ha sostenuto l’adesione del paese all’unione guidata dalla Russia. Tutti i presidenti ucraini, nonostante la loro politica incoerente, sono stati costretti a tenerne conto. Quando il nuovo governo raggiunse il potere a seguito del colpo di stato nel febbraio 2014, cominciò a seguire un corso strettamente pro-occidentale, ignorando apertamente gli interessi della maggioranza. Allora nel sud-est del paese sono iniziate le proteste di massa, che hanno portato alla «sfilata della sovranità».. E questo non è merito di V. Putin. Dopotutto, la sua politica nei confronti dell’Ucraina rimaneva la stessa, sia prima che dopo l’ «euromaidan». E’ La politica di Kiev ad aver subito un radicale cambiamento.

Gli eventi del 2014 ci dicono che la Federazione RUSSA, da oggetto si è trasformata in un soggetto della politica imperialista. Con l’annessione della Crimea e il sostegno della regione del Donbass, Mosca sta cercando di rispondere adeguatamente alla politica dell’UE e degli Stati Uniti, che hanno deciso di dominare in maniera incontrastata l’Ucraina. Kiev, con la sua tirannia nei confronti del sud-est, ha creato tutte le condizioni necessarie per la realizzazione di una politica di successo da parte di Putin. Se, dopo il referendum in Crimea, qualcuno ancora aveva dei dubbi sullo spontaneo desiderio della popolazione locale di unirsi alla Russia, spiegando tale esito con la presenza degli “uomini in verde”, dopo gli eventi in Donbass tali dubbi dovrebbero essere del tutto fugati. Qui non c’era nessun esercito russo ma, al contrario, vi erano militari ucraini che sparavano ai partecipanti al volto e radevano al suolo edifici civili.

In questo caso i comunisti devono denunciare l’incoerenza dei capitalisti russi, che impediscono non solo l’integrazione economica della penisola (molte aziende che operano in Russia, si rifiutano di lavorare in Crimea), ma anche il riconoscimento politico delle repubbliche popolari DNR e LNR (su cui insiste il partito COMUNISTA), temendo immediate sanzioni da parte dell’UE e degli Stati Uniti. Il Donbass si è separato dall’Ucraina per unirsi alla Russia o, almeno, all’Unione Euroasiatica. Invece, sul territorio del Donbass, sono apparse due Repubblica non riconosciute, isolate dall’estero. Così, al posto della dissoluzione delle vecchie frontiere, ne sono nate di nuove. Ma la situazione in Donbass sarà una buona lezione per i lavoratori, i quali avranno modo di capire che la causa della loro sofferenza non può essere inquadrata semplicemente nell’oligarchia, nell’imperialismo della UE e degli Usa, ma nel capitalismo in sé.

Il secondo motivo per cui è necessario appoggiare l’Unione Economica Euroasiatica, consiste nel fatto che si oppone all’imperialismo USA, nostro principale nemico. Inoltre, in una prospettiva di lotta contro gli USA, a volte vale la pena anche di sostenere la UE, soprattutto rispetto alle relazioni con Cuba. Quando Trump annunciò di inasprire il blocco contro Cuba, il capo della diplomazia UE, Federica Mogherini, ritenne tale proposta inaccettabile.

In terzo luogo, l’Unione Economia Euroasiatica, crea molti meno ostacoli rispetto allo spostamento di forza lavoro dall’Ucraina al Donbass, rispetto alla UE. Inoltre, alcuni deputati, hanno manifestato la presunta intenzione di presentare alla duma di Stato della Federazione Russa disegni di legge sull’abolizione dei brevetti di lavoro per i cittadini di DONETSK, che operano in Russia, oltre ai limiti di tempo del loro soggiorno. Se si tratta solo di una mossa pre-elettorale, per i comunisti diventerà occasione per individuare l’incoerenza dei politici borghesi.

In quarto luogo, l’unione con la Russia consentirebbe, almeno in parte, di mantenere l’industria del Donbass — oggettiva condizione di esistenza del proletariato. Il crollo dell’Unione Sovietica ha dimostrato che l’ industria sovietica aveva un’impostazione adatta non solo per la costruzione del socialismo, ma anche per la produzione capitalistica. Per il capitale russo la conservazione del potenziale industriale è una questione di sopravvivenza. L’imperialismo UE e USA, al contrario, cerca di distruggerlo. Se non ci saranno mezzi di produzione, allora non vi saranno nemmeno lavoratori dell’industria. Ma del loro ruolo negli eventi in Donbass parleremo nella prossima parte.

Continua

Stanislav Retinskiy, segretario del comitato centrale del KPDNR




Partito e classe. Introduzione (il rapporto delle forze di classe in Donbass)

Parte 3


L’essenza di classe dell’ «antimaidan» in Donbass

Fino al 2014 in Donbass la questione della separazione o, almeno, dell’acquisizione di uno status autonomo nell’ambito dello stato ucraino, è cresciuta a più riprese. Questo tema è stato oggetto di contrattazione tra il grande capitale locale e Kiev. Inoltre, nel 1994, nelle regioni di Donetsk e Lugansk, si tenne un referendum in cui la maggioranza dei votanti votò per un sistema federativo. Successivamente, la questione del federalismo, è stata avanzata nel 2004, durante il congresso a Severodonetsk. All’epoca, i rappresentanti delle regioni sud-orientali dell’Ucraina, presero la decisione di tenere un referendum e di dichiarare l’autonomia del Donbass se Viktor Yanukovich non fosse stato riconosciuto presidente dell’Ucraina. Dopo il «terzo turno» di voto alla presidenza fu confermato Viktor Yushchenko, come conseguenza, si è iniziato a parlare con molta più insistenza della federalizzazione del Paese.

In primo luogo, il Partito delle regioni, che a suo tempo difese gli interessi del grande capitale in Ucraina, con più insistenza degli altri ha parlato di federalismo. Questo capitale, dopo il potere economico, aspirava al potere politico. Per questo era pronto a dividere il Paese. Nel 2005, accuse di separatismo, sono state avanzate contro un certo numero di deputati ucraini e contro gli ex governatori di Kharkiv e Lugansk. Ma l’evento che ha fatto più scalpore è stato l’arresto del presidente del Consiglio Regionale di Donetsk Boris Kolesnikov da parte del procuratore generale. A dire il vero, lo convocarono prima per la questione del separatismo, dopo di che fu arrestato con l’accusa di estorsione. Sembra strano, ma l’arresto di Boris Kolesnikov andava bene ad entrambe le parti. Viktor Yushchenko fece proprio lo slogan «banditi in carcere», e il Partito delle regioni con aria di sfida denunciò sui media la repressione del «Potere arancione» contro i «combattenti per l’idea».

Mentre l’attenzione dell’elettorato si focalizzava sull’arresto del rappresentante al Consiglio regionale di Donetsk , tra il presidente e «i regionalisti» furono portati avanti dei negoziati, tra l’altro, in maniera relativamente positiva. Un mese dopo la liberazione di Boris Kolesnikov, Viktor Yushchenko mandò“in pensione” il primo ministro Yulia Tymoshenko, e nel mese di settembre 2005, con il sostegno attivo dei deputati del Partito delle regioni, il nuovo primo ministro è diventato Yuri Yekhanurov. Tanto più gli elettori erano convinti della mancanza di principi nel Partito delle regioni, tanto minore è diventata la sua popolarità. Come la lotta per il russo come seconda lingua di Stato si fermò in concomitanza con la campagna elettorale, allo stesso modo, i «regionalisti»misero in secondo piano la convocazione di un referendum federalista subito dopo la conclusione degli accordi con Viktor Yushchenko. Con la vittoria di Viktor Yanukovich alle elezioni presidenziali nel 2010 e fino alla sua caduta nel 2014, la questione del federalismo non ha avuto risalto presso il Partito delle regioni.

Il 22 febbraio 2014, a Kharkov, si svolse una riunione dei deputati del Sud-Est dell’Ucraina, in cui si annunciò la volontà di assumere su di sé tutto il potere in relazione al colpo di stato a Kiev. Tuttavia, la fase successiva delle trattative non durò a lungo. Ad esempio, a Donetsk, già il 1 ° marzo, le autorità locali, che una settimana prima speculavano sul tema della disobbedienza al potere di Kiev, cercarono di organizzare una manifestazione a sostegno del governo centrale. Decine di migliaia di manifestanti non sostennero tali azioni, e chiesero le dimissioni dei funzionari che riconoscevano l’autorità centrale, e anche un referendum sullo status della regione. Dopo che il rappresentante dell’amministrazione regionale di Donetsk, Andrey Shyshatskiy, protetto dell’oligarca di Donetsk Rinat Akhmetov, ignorò le richieste dei manifestanti, è stato effettuato un tentativo di assalto ad un edificio amministrativo.

La differenza principale tra gli eventi del 2004, verificatesi nel sud-est, egli eventi del 2014, sta nel fatto che nel primo caso si sono svolti completamente sotto il controllo degli oligarchi locali e sono stati utilizzati nella lotta contro le altre fazioni oligarchiche, mentre nel secondo — si sono svolti contro la loro volontà. Il fatto è che in dieci anni è cambiato l’equilibrio di potere all’interno del Paese e fuori. Gli oligarchi, chiarendo i rapporti al loro interno, si basano sulla piccola borghesia e sul proletariato, ma nel 2014, nel sud-est , le forze piccolo borghesi sono andate fuori controllo ed hanno iniziato a rivendicare un ruolo indipendente. I capi dell’”anti-Maidan” e della «primavera russa» nel Donbass, a partire dall’ ex “governatore del popolo Pavel Guberev, fino all’attuale presidente del Consiglio Popolare della DNR (Repubblica Popolare di Donetsk) Denis Puscillin, provengono dalla piccola borghesia. In questo consiste la differenza principale tra il l’”anti-maidan” e l’”euromaidan” (protesta fin dall’inizio manovra dagli oligarchi).

Anche nel 2004 gli oligarchi di Donetsk controllavano il «separatismo» locale. Sulla scia degli eventi nacquero una serie di organizzazioni, tra cui la «Repubblica di Donetsk». Così, Alexandr Tsurkan, in quel momento presidente e tra i fondatori di questa organizzazione, durante le elezioni presidenziali del 2004 ha lavorato con lo staff di Viktor Yanukovich, che indicava la presenza di una sorta di connessione tra le attività del Partito delle regioni e l’avvento della «Repubblica di Donetsk» (tra virgolette, intesa come organizzazione popolare, da non confondersi con la Repubblica vera e propria NdT). Il grande capitale ha cercato di far passare i propri interessi come l’ interesse di tutto il Donbass e del Sud-Est dell’Ucraina. Pertanto, per i «regionalisti» era importante mostrare che, l’appello per la creazione di una federazione di partiti, non proveniva tanto da loro, quanto dal «popolo». Anche se organizzazioni come «Repubblica di Donetsk » fossero sorte esclusivamente su iniziativa dei loro fondatori, l’ attività sociale tuttavia non uscirebbe mai dai confini determinati da un importante capitale.

Nel 2014 la situazione in Donbass è cambiata. Attualmente «Repubblica di Donetsk» è la forza trainante della DNR, ma tra gli esponenti dello stato non riconosciuto, non ci sono gli oligarchi. L'»Antimaydan» nel Donbass fin dall’inizio è stato un movimento democratico, cioè un movimento indipendente della piccola borghesia. Gli oligarchi al contrario, si opponevano uniti all’ » Antimaydan», dimenticando per un po’ di combattersi tra di loro. Alla DNR è stata dichiarata guerra, sia dal «padrone del Donbass» ,Rinat Akhmetov, sia dal suo rivale Sergey Taruta. Ma le azioni, anche le più radicali, della piccola borghesia, rimangono incongruenti. Fino all’ultimo hanno cercato di raggiungere un accordo con gli oligarchi locali, assicurandoli che non ci sarebbe stata alcuna nazionalizzazione. Anche l’introduzione nel marzo 2017 della gestione esterna di tipo statale nelle imprese, prima di proprietà della grande borghesia, non deve trarre in inganno. Ciò non avvicina affatto il Donbass al socialismo.. Anche Friedrich Engels scrisse nell’ «Anti-Duhring» che nella società capitalista ci sono casi in qui lo Stato è costretto a prendere il controllo di alcuni rami dell’economia.

L’attuale situazione nel Donbass incarna l’idea piccolo-borghese di mantenere le relazioni di mercato, ma senza l’oligarchia. Il problema è che una tale società non può sopravvivere per molto tempo. La logica delle relazioni merci- denaro è tale che, o vengono superate, cioè al capitalismo si sostituisce il socialismo, o tali relazioni ritornano alla posizione iniziale.. Non appena la DNR ha cercato di liberarsi da un gruppo di oligarchi, subito è sorta la minaccia da parte di un altro gruppo. Secondo alcune fonti, un oligarca, Sergey Kurcenko, vicino alla famiglia di Viktor Yanukovich, cerca di influenzare l’economia della Repubblica. Dopo il colpo di stato a Kiev, anche lui, come il presidente, è fuggito dal paese e attualmente vive in Russia.

È qual è il ruolo del proletariato negli eventi del Donbass? Certamente ha partecipato agli eventi, ma non come una forza indipendente, bensì come parte del movimento democratico. Salvo rare eccezioni i lavoratori hanno agito in modo organizzato e sono intervenuti con le proprie esigenze. In alcune città, nelle fabbriche e nelle piazze centrali, hanno organizzato diversi raduni a sostegno della DNR. La più grande manifestazione è avvenuta il 28 maggio 2014 a Donetsk. Contro l’operazione » Antiterrorista» in Donbass, circa un migliaio di minatori hanno partecipato alla marcia di protesta, avvenuta due giorni dopo il bombardamento di Donetsk da parte dell’aviazione di Kiev. I combattimenti aumentarono significativamente il pericolo di una situazione d’emergenza nelle imprese. L’impatto di un proiettile in una sottostazione della miniera, equivale a morte sicura per i minatori. Ecco perchè i minatori si sono uniti alle proteste. È interessante notare che i tentativi di Rinat Akhmetov di organizzare una protesta dei lavoratori a Mariupol contro la DNR pochi giorni prima, non ebbero molto successo.

Nel Donbass la maggior parte dei lavoratori si oppose al colpo dello stato di Kiev, simpatizzando con la DNR. E’ importante poi evidenziare come i partecipanti all'»Euromaydan» trattarono con disprezzo il proletariato del Donbass, chiamandolo «bestiame», cercando, poco prima del colpo di stato di esportare la loro » rivoluzione», tramite periodiche incursioni nel sud-est del paese. Proprio per il fatto che l'»Euromaydan» è stato appoggiato dagli oligarchi, inclusi quelli di Donetsk, il proletariato si è opposto ad esso. Nel Donbass risuonarono gli slogan contro gli oligarchi, non causati tuttavia da una protesta contro lo sfruttamento in quanto tale, ma contro i capitalisti intesi come sostenitori e partecipanti al colpo dello stato. Qui non abbiamo a che fare con una posizione di classe, ma con patriottismo locale. Niente di sorprendente, perché l’introduzione della coscienza di classe è compito dei comunisti. Altrimenti il proletariato continuerà a svolgere il ruolo di «sinistra della borghesia».

Dagli eventi in Donbass è possibile fare la seguente conclusione: in determinate circostanze le masse lasciano uno stato di indifferenza e sono pronte non solo ad una partecipazione passiva agli eventi, prendendo cioè parte a raduni e votando in un referendum, ma anche ad azioni attive. Sono pronti non solo a simpatizzare per un’ idea, ma anche a lottare per essa. Questo vale anche per i lavoratori. Con l’inizio della ostilità è stata creata la «Divisione dei Minatori», in cui entrarono a far parte in particolare i minatori della miniera Scochinskiy. Uno dei comandanti della divisione, che attualmente dirige un’organizzazione sindacale, è un minatore. La sua divisione ha preso parte a molte battaglie, tra cui la battaglia di Shakhtersk. L’esperienza militare dei lavoratori del Donbass ovviamente non passerà senza lasciare traccia. Infatti, la condizione necessaria per una rivoluzione socialista è il proletariato indurito nelle battaglie, guidato dal partito comunista rivoluzionario. Ma a proposito del ruolo del partito nel movimento operaio parleremo nelle parti seguenti dell’articolo, basate sulle opere di Lenin, Lukacs e Gramsci.

Stanislav Retinskiy, segretario del comitato centrale del KPDNR




(srpskohrvatski / english / deutsch / castellano / français / italiano)

Il tripudio nazista è rientrato a Zagabria

1) A što da nije znao braniti? / Danijel Subašić, le gardien « serbe » de l’équipe croate, ou la tolérance à deux vitesses (J. Pavičić)
2) Palatable Slogans / Salonfähige Parolen (GFP 07/11/2018)
3) Il calcio [con saluto fascista] di Zdravko Mamic (M. De Vito)


Altri link / Još linkova:

[Il cantante nazista Thompson sull'autobus che ha portato in trionfo la nazionale croata]
Thompson u autobusu (17/7/2018)

Il profilo Facebook della Fifa inondato di «gloria all'Ucraina» (9 luglio 2018)
... Si tratta del motto nazionalista usato dall'assistente allenatore croato Ognjen Vukojevic e dal difensore Domagoj Vida in un video girato dopo la vittoria della Croazia sulla Russia nella sfida dei quarti di finale dei Mondiali. Sia Vukojevic sia Vida hanno giocato nella Dinamo Kiev. Vukojevic è stato multato dalla Fifa per circa 15.000 dollari e poi cacciato dallo staff tecnico della nazionale croata...

Croacia, desde y más allá del campo de fútbol (Misión Verdad, 12.7.2018)
El Mundial de fútbol es por excelencia un gran certamen deportivo repleto de líneas políticas subyacentes. La victoria de este miércoles de Croacia frente a Inglaterra, 2 goles por 1, vale decirlo, coloca al país balcánico por vez primera en la disputa por la codiciada copa...
http://misionverdad.com/trama-global/croacia-desde-y-mas-alla-del-campo-de-futbol

Tripudio nazista ai Mondiali di Calcio [JUGOINFO 10 luglio 2018]


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Trad.: COUPE DU MONDE : DANIJEL SUBAŠIĆ, LE GARDIEN « SERBE » DE L’ÉQUIPE CROATE, OU LA TOLÉRANCE À DEUX VITESSES (Jutarnji List | Traduit par Chloé Billon | mercredi 11 juillet 2018)
Quand les tabloïds serbes ont découvert que Danijel Subašić était le fils de Jovo, Serbe de Croatie, tous les éditorialistes et commentateurs croates se sont piqués de tolérance, et ont entrepris de donner à leurs voisins des leçons d’ouverture : aujourd’hui, le sang ne compte plus, bien entendu ! C’est bien beau, mais ces louables valeurs s’appliqueraient-elles à un fils d’orthodoxe qui ne jouerait pas au football, ne serait pas prix Nobel ou n’aurait pas inventé l’électricité ? Le texte au vitriol de Jutarnji List....



A što da nije znao braniti?

AUTOR:  Jurica Pavičić
OBJAVLJENO: 07.07.2018.

Kad su srpski tabloidi slavodobitno “otkrili” da je Danijel Subašić sin Jove, svi hrvatski kolumnisti, blogeri i komentatori prionuli su tome da kolege nauče kako aršin roda i krvi ne pripada suvremenom svijetu. Lijepo je to, ali vrijede li te vrednote i za Jovinog sina koji ne igra nogomet, nije dobio Nobela ili izmislio izmjeničnu struju

Kad su 90-ih na prostoru Jugoslavije počeli bratoubilački ratovi, u javnoj se komunikaciji isprva stidljivo, a potom sve češće pojavljivala jedna općekorištena fraza. “Prije se”, kazivala je ta fraza, “nije znalo tko je tko.”
Tu frazu - “nije se znalo tko je tko” - naširoko su koristili ljudi iz etnički složenih regija kao što su Slavonija, Vojvodina ili Bosna. Koristili su je, međutim, i ljudi koji su odrasli u višenacionalnim ambijentima garnizonskih gradova, gradova kao što su bili Pula, Karlovac, Zadar ili Split. U tim su sredinama školske klupe, urede, klinike i zbornice punili ljudi raznih južnoslavenskih narodnosti, ili ljudi čija se narodnost nije mogla jednoznačno svesti na jedno konfesijsko pleme. Pritom ta etnička zamagljenost nije iziskivala odviše mimikrijskog truda. Svi su ti “nije-se-znalo-tko su” govorili u osnovi istom HBS štokavicom, s istim nijansama lokalnog akcenta i leksika. Osim ako nisu bili muslimani, nosili su ista opća imena južnoslavenskog areala ili ista opća mjesta generacijske mode. 

Sve te Gorane, Nenade, Zorane, Vesne i Branke dodatno su “kamuflirala” prezimena, prezimena koja su se u štokavskom arealu često svodila na jednostavne patronime ili zavičajna klanovska prezimena koja su jednako bila pravoslavna i katolička. Nitko nije mogao “znati” jesi li katolički ili pravoslavni Vranković i Beader, nitko nije mogao znati jesi li katolički Milošević iz Sinja, katolički Lukić iz Bosne ili katolički Jovanović iz Podstrane. Nitko to nije mogao znati, a službena je ideologija - na tome joj hvala - podučavala da to nije ni važno. Ako je nešto u titoističkoj ideologiji bilo dobro, onda to jest.

Takav je bio svijet u kojem sam ja odrastao. Vjerujem da je i među vama koji ovo čitate mnogo onih koji su također odrasli u takvom svijetu. Trebalo je da dođemo do zrele dobi da shvatimo da je usporedo s nama postojao i drugi paralelni svijet u kojem se točno i precizno “znalo” tko je tko. Usporedo s nama živjeli su ljudi koji su bez interneta i Googlea, bez špijunskih izvora u matičnom uredu i bez asistencije obavještajnog podzemlja nepogrešivo “znali” što je “stvarno” po narodnosti Branka, a što Zlatko. Uz pomoć tajanstvenog, kolektivnog sjećanja roda i krvi, oni su točno znali da je jedan Mostarac Dragan (Čović) “ovo”, a drugi Mostarac Dragan(Markovina) “ne baš”. S nepogrešivom investigativnom preciznošću, ta je etnomjeriteljska kloaka “znala” što su točno i u kojem omjeru Rajko Grlić, ili Dubravka Ugrešić, ili Neda Ukraden, ili Zoran Šprajc. Znali su s nevjerojatno produbljenim uvidima u kojem se omjeru i kako bevandaje krv pjevača, glumaca, ministara, voditelja Dnevnika ili, naprosto, mirnih i anonimnih susjeda.

A onda su - kad je rat počeo - ta arkanska, okultna “znanja” najednom postala stvar zbog koje se gubi imovina i život. Najednom smo se probudili u svijetu u kojem se moj gimnazijski profesor Ognjen Ignjatović, za kojeg blagog pojma nisam imao da je Srbin, odselio iz stana u uglovnici na Rivi, pa u Kninu postao krajinski ministar. Probudili smo se u svijetu u kojem su te višegradski srpski militanti zbog “znanja” o tvom podrijetlu mogli u Štrpcima izvesti iz crnogorskog vlaka i likvidirati. Probudili smo se u svijetu u kojem su te zbog tog “znanja” merčepovci mogli odvesti u zagrebački Paviljon 21 ili te muž književnice Bjelobrajdić mogao iz tvog splitskog stana odvesti u Loru, a da ti se potom zagubi trag. Glava se u to doba gubila zbog tih pučkih “znanja”, a glava se gubila čak i onda kad bi ta “znanja” bila pogrešna. Mirnom žrnovničkom građaninu Đorđu Gašpareviću nije pomoglo to što je doista bio arijevski Hrvat, kad je netko bolje “znao” da on - pošto je Đorđe - jamačno mora biti Srbin. Zbog tog pogrešnog “znanja” građanin je Gašparević završio mrtav na deponiju.

Takav je bio svijet u kojem se “znalo tko je tko” te u kojem je to bilo važno. A taj je svijet uspostavio pravila koja i danas vrijede. I danas mi živimo u tom i takvom svijetu. Ako ne vjerujete, pitajte Zdravka Mamića, pitajte Marka Juriča i pitate Stevu Culeja.

Ovotjedni hrvatski nacionalni junak - Danijel Subašić - rastao je u vremenima kad se taj i takav svijet stvarao. Vratar hrvatske nogometne reprezentacije imao je šest godina kad je taj svijet prevladao. Imao je sedam godina kad su oni koji su “točno znali” tko je tko u njegovu gradu Zadru u jednoj noći porazbijali desetke srpskih lokala i dućana, dakako - zato što su “točno znali” da su srpski. U tom vremenu, u toj zemlji i u tom gradu hrvatski je nacionalni junak odrastao kao jedan od onih za koje se, eto, “nije moglo znati”, ali se ipak “znalo” “tko je tko”. Odrastao je kao dijete pravoslavca iz Zagrada kod Benkovca, koji se, da stvari budu čišće, zvao Jovo. Ali, odrastao je i od majke katolkinje koja, da stvari budu zamršenije, nosi ime koje može i ne mora biti “naše” - Boja..

Odrastavši u tom i takvom svijetu, ovotjedni hrvatski nacionalni junak prošao je sav jad i krimen razizemlja hrvatskog nogometa. U vlastitom je zavičajnom klubu bio na ledu. U menadžersko ga je ropstvo pokušao uvesti Mamićev zadarski klon, član HDZ-a, klupski šef i mafijaš Reno Sinovčić. Zbog sukoba menadžera, mladi je vratar prije dvadesete godine života morao bježati u Zagreb i prijavljivati prijetnju. Priča Danijela Subašića, ukratko, tek je nešto dramatičnija od priča desetaka djece robova koje financijski cuclaju i kao roblje preprodaju hrvatski mamićoidi. No, priča zadarskog vratara imala je, uz “opće” i “tipske” nedaće hrvatskog nogometnog blata, još jednu specifičnu, manjinsku. Mladi zadarski vratar, naime, “nije baš” bio Hrvat. Odnosno, on jest bio poluhrvat, za sebe je tvrdio da jest Hrvat i da jest katolik po odgoju, ali u svijetu u kojem “se znalo” tko je tko, također se jako dobro “znalo” da se vratarov otac zove Jovo. Toliko se to “znalo” da je i budući vratarov punac prijetio kćeri da će je ubiti zato što hoda s momkom heretičke, trofazne krvi.

To je, ponavljam, svijet u kojem je odrastao Danijel Subašić. To je svijet u kojem bi se on stoput mogao okrenuti na glavu, stoput bi mogao primiti katoličke sakramente i vaditi se na DNK majke Boje, no u tom svijetu bi se “znalo” da je on sin Jove, a ta bi činjenica bitno obilježila njegov daljnji život. U tom svijetu Danijel Subašić teško da bi mogao raditi u javnom sektoru, ne bi mogao postati ravnatelj, profesor povijesti, ne bi od HDZ-a dobio ugovor za ordinaciju ili posao u elektroprivredi, a ako bi nešto od toga i dobio ili mogao, mogao bi tek uz ustrajnu mimikriju i mnogostruko dokazivanje lojalnosti. To je svijet koji je čekao zadarskog Danijela. To je svijet u kojem bi živio da nije jedne potankosti koja je promijenila sve. A ta je “potankost” da je - znao braniti.

Zbog te “potankosti” za Srbinova su se sina otimali hadezeovski, kriminalni menadžeri. Zbog te je “potankosti” dospio prvo na Poljud pa u Monaco. Zbog te je “potankosti” dospio u reprezentaciju, gdje je niz godina dijelio svlačionicu s ustašoidnim zemljakom iz Pridrage, Joeom Šimunićem. Zbog te je “potankosti” dospio na gol nacionalne vrste. Zbog te je “potankosti” u nedjelju u Nižnjem Novgorodu obranio Dancima tri penala. Zbog te je “potankosti” ovog tjedna postao nacionalni heroj.

A onda se dogodio perverzni medijski obrat. Onog časa kad je momčina iz Benkovca obranio Dancima tri penala, srpski su tabloidi slavodobitno “otkrili” da je Subašić sin Jove te da Hrvatska svoje četvrtfinale duguje jednom dalmatinskom Srbinu. A kad su Srbi u Subašiću “otkrili” Srbina i pravoslavca, s Hrvatske je strane krenula medijska mobilizacija. Svi hrvatski kolumnisti, blogeri i anonimni komentatori jednoglasno su prionuli tome da srpske kolege nauče kako njihov aršin roda i krvi ne pripada suvremenom svijetu. Svi su se silno trudili podsjetiti “one preko” kako nema veze što je komu otac, nego kako se osjeća i kojoj kulturi pripada. Kako nije važno što je tko po rodu i krvi, nego po ustavnoj, građanskoj pripadnosti. Svi su se najednom potrudili prisjetiti kolege s onu stranu Drine da se “ne može znati tko je tko” i da to u Hrvatskoj nije važno.

I sve je to lijepo. Osim što tu postoji jedan problem. Problem je što te iste vrednote hrvatska javnost, politika i građani ne primjenjuju na sve sinove Jove. Te im vrednote najednom postanu mile tek onda kad Srbin zna braniti, kad dobije Nobela ili izmisli izmjeničnu struju.

U nekom usporednom svijetu, stasiti Zadranin Danijel Subašić mogao je ne igrati nogomet. Mogao je završiti nekakvu školu, naučiti nekakav zanat i biti tek običan anonimni Zadranin u ranim tridesetim godinama. Nisam siguran da bi i tada anonimna hrvatska gomila na njega primjenjivala iste kriterije koje primjenjuje sada. Nisam siguran bi li i tada bilo nevažno tko je komu otac, nego kako se osjeća i kojoj kulturi pripada. Nisam siguran da bi im i tada bilo nevažno što je tko po rodu i krvi, nego samo po ustavnoj, građanskoj pripadnosti. Nisam siguran da bi i za tog Subašića vrijedilo da se “ne može znati tko je tko” i da to u Hrvatskoj nije važno. Nisam siguran da bi taj drugi Subašić izbjegao da mu u “staklenoj noći” ‘91. ne smrskaju dućan.

Stoga svatko tko kani klicati “ovom” Jovinu sinu, prvo treba promisliti: što bih mislio o njemu da nije veliki vratar, nego cjevar ili službenik? I bi li se i tada držao toga da “nije važno tko je tko”? Ili bi, da se na glavu okrene, Danijel za nas bio “tek”- Srbin?


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ORIG.: Salonfähige Parolen (GFP 11.07.2018)
Die Bundesrepublik Deutschland hat über Jahrzehnte den kroatischen Nationalismus gestärkt, der aktuell für Debatten bei der Fußball-WM sorgt...



Palatable Slogans

07/11/2018

ZAGREB/BERLIN(Own report) - The Croatian nationalism, currently causing an uproar at the FIFA World Cup has been supported by the German government for decades. During the World Cup, members of the Croatian national team also sang a song with well-known fascist lyrics - originally a song from a singer glorifying Ustaša fascism and praising the mass murder of Serbs in World War II. Virulent nationalism has been prevailing for years throughout the Croatian society. The European Commission against Racism and Intolerance (ECRI) recently confirmed that fascist tendencies are gaining strength in that country. Following World War II, old Ustaša structures had been able to hibernate in the Federal Republic of Germany. Bonn also had supported the growing Croatian separatism in the 1970s and established links to the exile Croatian nationalist groups. In the early 1990s, Germany promoted Croatia's secession - and thus its nationalism - for geostrategic reasons.

"Drive the Serbs into the Blue Adriatic Sea"

Even before the Croatian player Domagoj Vida's remarks became known, one of his teammates staged a provocation, by referring positively to his country's fascist past during the World Cup in Russia. Following the Croatian team's victory over the Argentine team, Dejan Lovren enthusiastically chimed in a song of the Croatian singer "Thompson" that starts with the words "Za dom - spremni!" ("For the Homeland - Ready!").[1] This had been the slogan of Nazi Germany's collaborator Ustaša fascist movement, which had ruled the Croatian state between 1941 and 1945 and participated in the Holocaust. The exact number of its victims is unknown, however, estimates run from 330,000 to over 700,000 murdered Serbs and up to 40,000 murdered Jews and Romani, respectively. "Thompson" is known for his glorification of the Ustaša-regime. In his songs, he has verses such as "Oh, Neretva, flow down, drive the Serbs into the blue Adriatic Sea," or "Shining star above Metković, send our greetings to Ante Pavelić." Pavelić had been the Ustaša's historic Fuehrer.

"Belgrade is burning!"

Following Croatia's victory over the Russian team, a video clip emerged showing the Croatian player dedicating his team's victory to the Ukraine, while chanting "Glory to the Ukraine!"[2] This is a slogan of another of the Nazi collaborators - the Organization of Ukrainian Nationalist (OUN). Unlike the Croatian case, the Nazis, however, prevented the Ukrainian nationalists from forming their state in 1941. Nevertheless, the OUN participated in the Holocaust and murdered over 90,000 Poles, and thousands of Jews. "Glory to Ukraine! Glory to the Heroes" ("Slawa Ukraini! Herojam slawa!") was their popular greeting. On the same video clip, the Croatian assistant coach Ognjen Vukojević added: "This victory is for Dynamo [Kiev] and Ukraine." Under public pressure, the Croatian Soccer Association relieved Vukojević of his duties at the FIFA World Cup, whereas Vida, whom the Croatian team wants to keep for the two upcoming matches, was only given a warning. Yesterday another video clip emerged with Vido not only shouting "Glory to Ukraine!" but adding into the camera: "Belgrade is burning!"[3]

At the Fuehrer's Graveside

Positive reference to Ustaša fascism has a long tradition in Croatian soccer. There was the incident on November 19, 2013, for example, when, following the victory over Iceland's national team, the member of the Croatian national team Josip Šimunić yelled "Za dom - spremni!" five times into the stadium's microphone.[4] Fifa banned Šimunić from the 2014 World Cup in Brazil. Croatia's Football Association then hired him as a training assistant in 2015, as a rehabilitation measure. The fans of Croatia's soccer team are also notorious for their fascist and racist slogans and have already been banned several times from attending their national team's games. On the other hand, the President of the Croatian Football Association, Davor Šuker, is not only a "Thompson" fan, he had even been photographed in 1996 at the grave site of Ustaša Fuehrer Ante Pavelić.[5]

Fascist Tendencies

The positive references to fascism in Croatian soccer correspond to the general political orientation of a majority in Croatia's population. Last May, the Anti-Racism Commission of the European Council published a report on the Croatian situation, which noted a marked increase in racist tendencies in that country. This is not least of all expressed in "praising" the fascist Ustaša regime, writes the Anti-Racism Commission.[6] It was also noted that politicians of various persuasions are increasingly resorting to baiting during their speeches. Their chauvinist agitation often targets refugees - particularly, Muslims - but also Romani. The Croatian Serb minority is not least among the victims of these attacks. Ustaša symbols are repeatedly painted on Serb buildings or those belonging to Serb organizations.

Hibernation in the Federal Republic of Germany

The steadily increasing new Croatian nationalism dates back to the old Ustaša era nationalism, which Belgrade had sought to suppress as much as possible in socialist Yugoslavia. It survived, however, also due to the practical support of the Federal Republic of Germany. Functionaries and supporters of Croatia's Ustaša, who fled to West Germany, were able to regroup and reorganize, helping Branimir Jelić, an early Ustaša member, to organize a Croatian National Committee (Hrvatski Narodni Odbor, HNO) already back in the 1950s. Its headquarters in Munich attracted numerous former Croatian Nazi collaborators. Former Ustaša Minister of the Interior, Mate Frković and others were published in their magazine Hrvatska Država (The Croatian State), printed in Munich.[7] It was the fact that the Croatian exiles' orientation was clearly set on destroying Yugoslavia - alongside their anti-communism - that furnished the political reason for West Germany to remain benevolent toward them. After all, in the aftermath of World War I, Yugoslavia was founded, with a relatively strong nation-state, to block Germany's route in its drive to the southeast. On the other hand, this was also Germany's impetus, in the 1970s, for supporting the strengthened Croatian separatism and, for this purpose - also with intelligence service collaboration - to bridge the gap between the nationalist Croats in exile with the right-wing secessionist circles in Zagreb. (german-foreign-policy.com reported.[8])

Front-Line Soldiers and Combat Volunteers

Croatian nationalism achieved a breakthrough in the early 1990s, when the Croatian nationalists - again with decisive German support - were able to secede from the Yugoslav Federation. Franjo Tudjman was the politician at the helm of the new nation, who, in 1989, had euphemized the Jasenovac death camp as an "assembly and labor camp." In Jasenovac Serbs, Jews and Romani had been murdered. At the same time Tudjman extolled the Ustaša state as having been "the expression' of the Croatian people's aspiration for self-determination and sovereignty."[9] In Croatia's secessionist war - which Germany supported politically, practically and militarily - the nationalist, ultra-rightwing positions prevailed on a broad front. "Front-line soldiers and combat volunteers" greeted each other with the Ustaša salute 'Za dom Spremni" and sang Ustaša songs, wrote the journalist Gregor Mayer. The Catholic church - very influential in Croatia - also glorified the Ustaša. Under Tudjman's leadership, "streets and squares were renamed at a frenetic pace," often named after Ustaša personalities, such as "Nazi ideologue, Mile Budak," "Ustaša functionaries seeped back from exile into the state apparatus and the educational system." Mayer considers that Tudjman has rendered "a historical and social conception 'palatable'," wherein "radical right-wingers and neo-Nazis can still refer to."[10]

 

[1] Tobias Finger: Kroatien und der Umgang mit der faschistischen Vergangenheit. tagesspiegel.de 26.06.2018.

[2] "Ruhm der Ukraine": Fifa verwarnt Kroatiens Vida. derstandard.at 08.07.2018.

[3] Erneut Untersuchung gegen Kroaten Vida. derstandard.at 10.07.2018.

[4] Berthold Seewald: Wieviel Ustascha treibt Kroatiens Fußballspieler? welt.de 17.12.2013.

[5] Dario Brentin: Sie wollen ihrem Team weh tun. zeit.de 19.06.2016.

[6] Europarat ist alarmiert über das Erstarken von Neofaschisten in Kroatien. nzz.ch 15.05.2018.

[7] See also Rezension: Ulrich Schiller: Deutschland und "seine" Kroaten.

[8] See also Nützliche Faschisten.

[9], [10] Gregor Mayer: Kroatien. In: Gregor Mayer, Bernhard Odehnal: Aufmarsch. Die rechte Gefahr aus Osteuropa.



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Vedi anche: Il saluto fascista di Zdravko Mamić (Lituania, luglio 2006)



Il calcio di Zdravko Mamic

Russia 2018. I guai giudiziari del dirigente croato ricercato nel suo paese, dove il 6 giugno scorso è stato condannato in contumacia a sei anni di reclusione per frode fiscale e appropriazione indebita

di Mario De Vito 
su Il Manifesto del 12.07.2018

L’ultima immagine del fuggitivo Zdravko Mamic è di pochi giorni fa. Un breve video registrato col cellulare: c’è lui che guida una folla di fedeli sotto il sole di Medugorje https://direktno.hr/eu-i-svijet/dijaspora/video-mamic-vodio-molitvu-krunice-u-medugorju-127488/.

Lui, Mamic, è ricercato in Croazia, dove il 6 giugno scorso è stato condannato in contumacia a sei anni di reclusione per frode fiscale e appropriazione indebita, reati maturati in qualità di presidente della Dinamo Zagabria. Mamic, dal canto suo, è in Bosnia, dispone di un regolare passaporto e il paese continua a non concedere l’estradizione richiesta dalla Croazia. Così, mentre la nazionale guidata da Zlatko Dalic si prepara per la semifinale mondiale stasera contro l’inghilterra, in patria il mondo del calcio si trova nel bel mezzo di un caos in qualche modo simile alla calciopoli italiana del 2006.

Mamic, infatti, è il principale dirigente calcistico croato: tredici anni da presidente della Dinamo Zagabria e, ancora oggi, uomo di potere in Federcalcio, tanto forte da riuscire a imporre il proprio presidente anche dall’esilio: quel Davor Suker che portò la Croazia fino al terzo posto ai mondiali francesi del 1998, vincendo anche la classifica dei marcatori. I guai, per Mamic, sono pane quotidiano da anni: gli ultras della Dinamo lo odiano sin dal suo insediamento, nel 2002, accusandolo di usare la squadra per il proprio personale arricchimento. I giornali croati, dal canto loro, hanno più volte fatto notare i legami ambigui tra Mamic e alcuni potentati economici e politici non esattamente limpidi. S’è parlato a più riprese di gestione «losca e familiare» degli affari della Dinamo, ma anche di conflitto d’interessi a causa della sua influenza sulla federazione.

Per dare un’idea ulteriore del personaggio basti dire che fu in grado di nominare il proprio fratello Zoran alla guida della Dinamo tra il 2013 e il 2016, mentre suo figlio, Mario, imperversava come procuratore e aveva anche il potere di decidere chi far giocare in nazionale in base alle esigenze del mercato. Nel 2010 anche la Uefa si interessò al caso, ma dopo un giro di udienze tutto finì nel nulla. Dal canto suo, Mamic, si è reso protagonista anche di uscite pubbliche violentissime contro la minoranza serba, gli omosessuali e i giornalisti.. I tifosi hanno fatto di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote: nel novembre del 2014, in occasione di un match con l’Italia, a Milano i croati si resero protagonisti di una notte di follia e scontri (16 arresti); l’anno dopo, per la partita di ritorno, sul prato dello stadio di Spalato fu incisa un’enorme svastica. Provocazioni, proteste, disordini: il nemico era sempre lo stesso, Zdravko Mamic.

Nel 2015, la svolta: Mamic e due dei suoi collaboratori vengono arrestati con l’accusa di aver evaso 12.2 milioni di euro e di essersi appropriati indebitamente di altri 15 milioni, tutti proventi della vendita dei giocatori della Dinamo. Lo schema ricalca il più classico dei ricatti: ai giovani calciatori più promettenti venivano fatti firmare contratti privati che prevedevano il 50 percento di proventi per Mamic in caso di vendita. Il caso più famoso è quello di Luka Modric, finito nell’indagine per il suo passaggio dalla Dinamo al Tottenham. Colui che oggi viene definito come «il centrocampista più forte del mondo» in un primo momento dichiarò che la clausola che imponeva il versamento a Mamic fosse stata aggiunta soltanto dopo la sottoscrizione del contratto, ma poi questa versione è stata ritirata e adesso Modric è sotto accusa per falsa testimonianza.

A un giornalista che qualche giorno fa, in pieno mondiale, gli chiedeva un commento su questa vicenda, Modric ha dato una risposta piuttosto scocciata: «Non ha nulla di più interessante da chiedermi?». A mondiale concluso, forse, la risposta.




(hrvatskosrpski / italiano)

Si è tenuta il 30/6 scorso sull'isola di  Šolta, di fronte a Spalato, in Croazia, una conferenza sul tema di cui in oggetto, promossa dalla locale Associazione Partigiani. Alcuni membri del SRP hanno partecipato, tra cui il relatore Pavle Vukčević, soffermandosi tra l'altro sul carattere infame del nazifascismo di marca ustascia e facendo un quadro generale del revisionismo nelle repubblichette sorte dallo smembramento della RFS di Jugoslavia. 

Nota molto stonata della iniziativa è stata la presenza dell'ex comunista ex ultimo presidente della RFSJ poi braccio destro di Tudjman, poi socialdemocratico grande europeista ed ex presidente della Repubblica di Croazia Stjepan Mesić. Sulle responsabilità gravi di Mesić nello sfascio del paese federale e socialista e nella riabilitazione del clericofascismo croato si veda: https://www.cnj.it/documentazione/mesic.htm



TRIBINA: ANTIFAŠIZAM I POVIJESNI REVIZIONIZAM

U Grohotama na otoku Šolti, u subotu, 30. 06. 2018., u organizaciji Zajednice udruga antifašističkih boraca i antifašista Splitsko-dalmatinske županije, u suradnji s Antifašističkom inicijativom Šolte, održana je, u prostoru općinske vijećnice, tribina  pod nazivom „Antifašizam i povijesni revizionizam“.

Prije tribine položen je vijenac na spomenik palim borcima NOB-a  i žrtvama fašističkog terora u Grohotama.

Tribinu su pred sedamdeset posjetilaca u ime organizatora pozdravili Krešimir Sršen, predsjednik ZUABA- SDŽ, zatim Nikola Cecić Karuzić, načelnik Općine Šolta, i Juraj Krstulović, potpredsjednik SABA Hrvatske.

Moderator tribine bio je dr. sc. Zoran Radman, inače Šoltanin, koji je uvodnom temom „Šolta u NOR-u“ otvorio tribinu, a govorili su doc. dr. sc. Dragan Markovina, „Antifašizam i antifašizam danas“, zatim doc. dr. sc. Pavle Vukčević, „Moralne pretpostavke antifašizma“, dok je prof. Mate Nikolić predstavio izlaganje povjesničara Gorana Korova o antifašizmu u ostalim zemljama ex-Jugoslavije, te na kraju bivši predsjednik RH, Stjepan Mesić, sa završnim izlaganjem „Antifašizam i povijesni revizionizam“.

Na skupu su bili prisutni i članovi SRP-a. Ispred splitskog SRP-a učesnik tribine bio je Pavle Vukčević te članovi GO SRP Kaštela: predsjednica Vesna Ugrina i Marko Veselinović.

Nakon tribine uslijedilo je zajedničko druženje učesnika.

 

Dr. sc. Zoran Radman:

UVODNO IZLAGANJE

Kada sam razgovarao o ideji da organiziramo tribinu „Antifašizam i povijesni revizionizam“, kao i u toku same pripreme tribine, susreo sam se s komentarima: „Do kada ćemo više o povijesti, o ustašama i partizanima… Imamo ozbiljnih životnih problema koje treba rješavati ….itd.“

Nažalost, priča o Drugom svjetskom ratu, odnosno o „ustašama i partizanima“ kako se to danas uvriježilo kazati, nije samo priča  o onom što se događalo prije 70 i više godina na ovim prostorima. To je priča i o današnjoj Hrvatskoj. Ta priča, odnosno problem povijesnog revizionizma, sadržan u samoj sintagmi „ustaše i partizani“, nametnut je hrvatskom društvu i ide prema marginalizaciji i difamaciji partizanskog pokreta s jedne i revitalizaciji NDH s druge strane. On se povezuje i s nastojanjem da se izbriše iz sjećanja sve što je povezano s društvenim sustavom socijalizma i delegitimira simbolično nasljeđe bivše države, što je bilo vidljivo u oštećivanju, u uništavanju oko polovice antifašističkih memorijala u Hrvatskoj. Kroz tu priču i u vezi te priče proteže se besmislena krilatica o „dva totalitarizma“ čime se želi izjednačiti nacifašistički zločinački režim NDH sa socijalističkim društveno-političkim sustavom u Jugoslaviji, koji se prema recentnim politološkim kriterijima ni ne može smatrati totalitarnim, premda je imao obilježja autoritarnog sustava, u ranoj fazi više, a kasnijoj sve manje. Iza ovoga se krije jedna nazadna, zatvorena, konzervativna ideologija, koju nažalost podupire dio crkvenih krugova, gdje revizija povijesti Drugog svjetskog rata služi za povijesnu kontekstualizacju, iz čega je vidljiva duboka podijeljenost hrvatskog društva.

Stoga se mora pokazati što je povijesna istina, jer je javnost bombardirana golemom količinom laži. To je naročito došlo do izražaja nakon ulaza Hrvatske u Europsku uniju. Danas smo zemlja u koju se upire prstom od strane Njemačke, Vijeća Europe, američkog State Departmenta, čak i od austrijskih biskupa, kao u zemlju u kojoj se revitalizira fašizam. Iz dana u dan, suočeni sa sve agresivnijom propagandom povijesnih revizionista koji uvjeravaju kako su pravi zločinci bili Titovi partizani.

Potrebno je i dalje naglašavati da bi se bez antifašističke borbe Hrvatska našla na strani poraženih te da bi se, sukladno odlukama Velike trojice na Jalti, našla u sastavu obnovljene Kraljevine Jugoslavije, bez Istre, Zadra i većeg dijela otoka. Neshvatljivo je i gotovo apsurdno falsificiranje povijesti kojim se nastoji svrstavati Hrvatsku na stranu onih koji su izgubili rat. Ekstremni desni nacionalisti, koji Hrvatsku guraju u tabor pobijeđenih, štete Hrvatskoj i guraju je u već viđenu izolaciju. To nisu nikakvi domoljubi kakvima se predstavljaju jer istinski domoljubi vide Hrvatsku u pobjedničkom, antifašističkom bloku i ističu značaj ratnog antifašizma, promičući vrijednosti antifašizma danas, budući da se za antifašističke vrijednosti i danas potrebno boriti. Jer od nekih 14 karakteristika fašizma koji ističe dr. Lawrence Brit, mnoge se može prepoznati oko nas, u našem društvu i šire.

Obzirom da se ova tribina održava na Šolti, koristim priliku da iznesem nekoliko činjenica o Šolti u NOR-u. Više o tome je napisano u našoj šoltanskoj Monografiji.

Za kratkotrajnog „aprilskog rata“ 1941. godine i nakon proglašenja NDH, narodni zastupnik HSS-a, dr. Josip Berković, iz Splita je telefonski nazvao sve predsjednike općina i naredio im da se stave u službu NDH, a već 11. travnja talijanska torpiljarka uplovila je u Stomorsku na Šolti gdje je iskrcala vojsku i materijal.

Za Šoltu, kao i za ostatak Dalmacije, važno je bilo potpisivanje Rimskih ugovora 18. svibnja 1941. o određivanju granica između NDH i Italije, kojima se poglavnik NDH Ante Pavelić odrekao većeg dijela Dalmacije i gotovo svih otoka. Veleizdajnički akt nove „hrvatske države“ bolno je primljen u srcima ljudi kao izdaja Dalmacije. Izdajničkim aktom NDH i Šolta je anektirana od fašističke Italije, što je bitno ojačalo antifašističku motiviranost otočana.

Kapitulacija Jugoslavije i okolnosti koje su uslijedile nisu zatekle nespremne šoltanske komuniste. Formiran je na Šolti prvi Općinski komitet Komunističke partije od šest članova na čelu s Antonom Vidanom.

Početkom kolovoza 1942., u partizanske jedinice na kopnu odlazi prva grupa od oko deset šoltanskih boraca, a prvih dana studenoga 1942. oko 100 boraca.

Odlasci Šoltana u oružanu borbu izazvali su masovne represalije i odmazdu okupatora. Tako su fašisti u studenome 1942.. godine pojačali teror nad stanovništvom dovodeći na otok kaznenu ekspediciju od oko 400 crnokošuljaša. Uhapsili su više od stotine talaca i sproveli ih u splitski zatvor gdje su bili podvrgnuti mučenjima. Dana 25. studenoga, Talijani su uhapsili sekretara Komiteta Antu Vidana koji je nakon višednevnog zvjerskog mučenja strijeljan na splitskom groblju.

U proljeće 1943., Talijani su ponovno otjerali u koncentracijske logore velik broj stanovnika, pripadnika NOP-a i članova partizanskih obitelji.

U kolovozu 1943. godine odlazi sa Šolte i peta grupa od 36 Šoltana u partizane. U međuvremenu je bilo i pojedinačnih odlazaka u borbu. Do kapitulacije Italije, u partizane je otišlo oko 140 Šoltana i Šoltanki.

Nakon kapitulacije Italije, u rujnu 1943., formirana je partizanska četa „Ante Vidan“ koja je ušla u sastav 1. otočne, potom 12. dalmatinske brigade. Krajem listopada, formira se Bračko-šoltanski narodnooslobodilački partizanski odred u čiji sastav sa Šolte ulaze dvije čete, koje su od konca studenoga u sastavu 12. dalmatinske brigade. Formirana je također i Šoltanska flotila od četiri patrolna čamca.

Kad su potkraj 1943., zauzimanjem poluotoka Pelješca i Korčule, Nijemci ugrozili srednjodalmatinske otoke, jedinice koje su branile Šoltu povukle su se na Vis.

Evakuacija stanovništva Šolte započela je 31. prosinca 1943. preko otoka Visa, a odatle savezničkim vojnim transportnim brodovima do prihvatilišta Bari u Italiji. Iz Barija, zbjeg je odveden u mjesto Santa Maria di Leuca, odakle je nakon 20 dana zadržavanja savezničkim brodovima prebačen u Egipat u logor El Shatt na Sinaju.

Prema raspoloživim podacima, među prognanima sa svog ognjišta bilo je ukupno 1.825 Šoltana, od toga u El Shattu 939 Šoltana.

Šoltu je, 13. siječnja 1944., zauzela četa Nijemaca iz sastava 264. divizije. Nedugo zatim, 19. ožujka, snage NOV-a s Visa, uz pomoć jednog bataljuna i avijacije Saveznika, likvidirale su njemački garnizon u Grohotama koji je brojio oko 140 vojnika i oficira, zarobivši 100 vojnika i dva oficira.

Ovdje je potrebno naglasiti da je savezničko bombardiranje, koje je u sklopu nove akcije izvedeno na dan sv. Josipa 19. ožujka 1944., Grohotama nanijelo znatne gubitke.

Nakon prepada, Nijemci su prebacili na otok dvije ojačane čete 892. puka 264. divizije i organizirali protudesantnu obranu uz osiguranje artiljerijske podrške s Čiova.

Vidjevši da je i preostali dio stanovništva na otoku odan NOP-u, okupator se odlučio na krajnje represivne mjere. Cjelokupno stanovništvo s otoka deportirano je u Split. Tako je Šolta, možda prvi put u svojoj povijesti, nasilno iseljena.

Dana 9./10. svibnja 1944. godine, I. dalmatinska udarna brigada i III. bataljon XII.. Brigade, u kombinaciji s pomorskim i zračnim snagama, izvršili su ponovni napad na utvrđenja na otoku nanijevši  neprijatelju velike gubitke u ljudstvu i materijalu. Neprijatelj je imao 107 mrtvih, a 52 su zarobljena. Gubici snaga NOV-a su bili dosta veliki – 40 mrtvih i 129 ranjenih boraca.

U sklopu operacija za oslobođenje Dalmacije, neposredno nakon oslobođenja Supetra 20. rujna, štab 12. dalmatinske brigade organizirao je napad koji je krenuo tijekom noći 22./23. rujna prema njemačkim jako utvrđenim položajima. Međutim, njemačka vojska napustila je Grohote i u luci Rogač ukrcala se na brodove za Split. Na izlazu iz luke, napali su ih i potopili britanski brodovi. Mali dio Nijemaca uspio je doplivati na obalu i predati se jedinicama 12. dalmatinske brigade.

Šolta je vojnički oslobođena, ali na otoku nije bilo niti jednog stanovnika. Sve Šoltane Nijemci su u svibnju 1944. protjerali u logore i izgnali u Bosnu i Slavoniju, jer je postojao dogovor između vlade NDH i zapovjednika 2. oklopne armije, generala Rendulića, da se nasilno rasele svi Hrvati sa Šolte, Brača, Hvara, Korčule, Pelješca, Mljeta i Dubrovačkog primorja i to područje nasele Paveliću vjerni podanici.

Znači, izdajnička NDH imala je namjeru raseliti nas zauvijek. Na sreću, nacisti i njihovi sateliti ustaše, koji su bili nešto najgore i najužasnije što se dogodilo čovječanstvu, poraženi od strane antifašističke koalicije u kojoj su veliki obol dali hrvatski partizani u okviru NOP-a Jugoslavije.

U četverogodišnjoj borbi, Šolta je dala i davala sve što je mogla. Sa Šolte je u partizane otišlo 850 boraca ili 26% od ukupnog stanovništva. U toj teškoj, krvavoj epopeji, na raznim bojištima ostavio je svoj mladi život 141 borac sa Šolte. Njihovi znani i neznani grobovi rasuti su po bespućima planina bivše Jugoslavije, mnogi su nestali u vodama Neretve, Sutjeske, Tare, u dubinama Jadrana, na prilazima Mostaru, Kninu, Splitu, Rijeci, Trstu i ostalim ratnim poprištima. Još 47 Šoltana pali su kao žrtve terora okupatora u logorima i internaciji, poginuli od nagaznih mina ili umrli u zbjegu.

Na kraju, radi povijesne istine, treba iznijeti i događaje na Šolti koji se mogu povezati s Narodnooslobodilačkim pokretom, a koji se nisu smjeli dogoditi, jer predstavljaju zločin u ratu koji baca sjenu na NOP. U razdoblju od 18. kolovoza do 21. rujna 1943. godine, ubijeno je na Šolti šest osoba i bačeno u jamu na Rudinama, između Grohota i Gornjeg Sela.

U Šolti su, u spomen na poginule u Narodnooslobodilačkom ratu, u svim naseljima, u različitim vremenskim odmacima, postavljani spomenici. Nakon višestranačkih izbora 1990., promjenom vlasti, u eri ničim opravdanog vandalskog odnosa prema spomenicima NOB-a diljem Hrvatske, šoltanski spomenici ostali su na svojim mjestima. Izuzetak je spomenik u Srednjem Selu (koji je oskrnavljen skidanjem zvijezde petokrake), međutim, pouzdano se zna da to nije djelo Šoltana.

Danas se na brojne načine i u brojnim prilikama nasrće na antifašistički pokret, na njegova obilježja i sudionike, a s druge strane pokušava se rehabilitirati NDH. Aktualni radikalni desni povijesni revizionizam kroz reviziju povijesti želi prikazati ustaše kao borce za naciju i državu do 1991., negirajući pozitivnu jezgru iz tradicije hrvatske ljevice, što je proklamirala pravo hrvatskog naroda na samoodređenje. To je danas vidljivo iz zahtjeva da se iz Ustava izbaci ZAVNOH, odnosno antifašizam, kao jedno od ustavnih utemeljenja.

Dovođenjem u pitanje antifašističkog pokreta i njegovih simbola, vođa i pripadnika, dovodi se u pitanje antifašistička borba i državnost Republike Hrvatske koja je postupno oblikovana Ustavima iz socijalističkog razdoblja od 1947.g. do, konačno, Ustava iz 1974.g. kojim je Republika Hrvatska utemeljena kao država, što devedesetih postaje osnova priznanja neovisnosti Hrvatske.

Ovim nastojanjima se, a što je krucijalno, dovodi u pitanje Ustav (22. prosinca 1990.) kojim je utemeljena Republika Hrvatska, odnosno dovodi se u pitanje samo ustavno i političko utemeljenje Republike Hrvatske za koju se narod na referendumu o hrvatskoj samostalnosti izjasnio ZA, za koju se narod borio u Domovinskom ratu i koja je međunarodno priznata.

Derogiranjem antifašističkog temelja u izvorišnim osnovama Ustava, to više u konstitutivnom smislu ne bi bila ova Republika Hrvatska, jer se time njen unutrašnji i međunarodni legitimitet dovodi u pitanje.

Na kraju, želim spomenuti da ova tribina ima za cilj pridonijeti promicanju javne diskusije koje treba s razine prijepora o činjenicama ići prema dijalogu  o interpretacijama, i to radi sadašnjosti i budućnosti, kako bi se snažnije i kvalitetnije nastavio proces suočavanja s prošlošću, a što obuhvaća široki spektar koji se odnosi na  rekonstrukciju uzroka ratova i konflikta.

U svakom slučaju, revizija je proces i prihvatljiva je, ali bez revokacije istine, odnosno revizionizma neospornih povijesnih činjenica, jer se onda dolazi do rehabilitacije zla.

Na kraju, želim naglasiti da je antifašizam aktualan i danas, jer se danas mora suprotstavljati suvremenom fašizmu, mržnji prema migrantima, dizanju žica na granicama, odvajanju djece od roditelja i trpanju djece u kaveze, fašistoidnim pojavama u nizu zemalja Europske unije, posebno onim istočnima… Zašto policija puca na migrante, baca dijete pod kotače teretnog vlaka, zašto se traži uskraćivanje prava manjinama, otkud suprotstavljanje zaštiti žena od nasilja, otkud nasilje nad umjetničkim slobodama i sl.? Antifašizam je aktualan i stoga što, na primjer, na HTV-u nacisti nisu nacisti i tamo se ne ističu heroji i mladost čitavog svijeta koja je te monstrume zaustavila, kao što je slučaj kod civiliziranih naroda. Antifašizam je potreban jer se na javnoj televiziji daje prilika kojekakvim budalama da javno govore kako je Jasenovac bio radni logor, a ne stratište desetaka tisuća nevinih ljudi, žena i djece. Antifašizam je potreban jer se kod nas ne obilježava Dan pobjede nad fašizmom kao u čitavom civiliziranom svijetu.

Antifašizam je potreban, jer je u proteklih pola godine oskrnavljeno još osam partizanskih spomenika i nadgrobnih obilježja žrtava ustaškog ili nacifašističkog terora u Zavojanima, Makarskoj, Rijeci, Zagrebu, Dugom Ratu, Šibeniku, Kastavu i Dubravi.

Antifašizam treba promicati i danas, jer se radi o idejama dobra naspram najvećeg zla, koje se opet nazire, a za koje su izgubili živote i bili spremni umrijeti hrvatski partizani i drugi rodoljubi dijelom svijeta. Antifašizam treba nastaviti širiti u društvu bez obzira koliko su  jake snage ekstremne radikalne desnice.

Antifašizam nije političko pitanje – ono je prvenstveno etičko i civilizacijsko pitanje, pitanje borbe za slobodu.

Goran Korov:

ANTIFAŠIZAM U OSTALIM ZEMLJAMA BIVŠE JUGOSLAVIJE

Što se tiče antifašizma u ostalim republikama bivše Jugoslavije, svugdje su, pod utjecajem novog nacionalistički inspiriranog narativa, tekovine Narodnooslobodilačke borbe i socijalističke revolucije bile podvrgnute reviziji u većoj ili manjoj mjeri. U Srbiji je tijekom 1990-ih partizanski pokret bio toleriran, ali je rehabilitacija Ravnogorskog pokreta uzimala sve više maha. Pozivajući se na savezničko priznavanje (do Teheranske konferencije 1943., na kojoj je partizanski pokret priznat kao jedini legitimni oslobodilački pokret u okupiranoj Jugoslaviji), zagovaratelji pokreta pod vodstvom Draže Mihailovića prešućivali su ili umanjivali otvorenu suradnju četnika sa snagama Wehrmachta  ili s talijanskom vojskom, ovisno o okupacijskoj zoni. U kontekstu isticanja žrtava po nacionalnosti, stavljajući naglasak na žrtve srpske nacionalnosti, bio je primjetan i val podizanja kapelica u krugu memorijalnih područja građenih za vrijeme socijalizma. Na taj su način sagrađene kapelice u krugu spomen-obilježja Sremski front kraj Adaševaca, spomen-park Bubanj kraj Niša, spomen-park Ostra kraj Čačka i ostali. Proteklih godina, najviše su maha uzeli pokušaji sudskih rehabilitacija pojedinih kolaboratora, poput Milana Nedića, predsjednika tzv. Vlade narodnog spasa, i već spomenutog Draže Mihailovića. Iako partizanski pokret u Srbiji nije demoniziran do te mjere da njegova obilježja nisu komemorirana i da se ne obnavljaju, ipak je u najvećoj mjeri samo „prigodničarskog karaktera“.

Iako se u Bosni i Hercegovini antifašizam u javnom prostoru često ističe kao dio politike BiH, situacija je isto uglavnom „prigodničarska“. Antifašistički spomenici su uglavnom zapušteni (spomern-park Vraca u Sarajevu), a oni obnovljeni financirani su uglavnom iz inozemnih sredstava raznih nevladnih udruga – posljednji primjer je obnova Partizanskog spomen-groblja u Mostaru, dok su ranijih godina obnovljeni spomen-muzeji bitke na Neretvi kraj Jablanice, Drugog zasjedanja AVNOJ-a u Jajcu i ostali, ali problem koji su za sobom ostavila ratna opustošenja jesu manjak originalnih eksponata koji su tijekom rata uglavnom bili uništeni ili ukradeni.. I dok su antifašistički spomenici u krajevima s hrvatskom većinom uglavnom uništeni, u Republici Srpskoj su uklopljeni u novi narativ. Spomen-kompleks bici na Kozari ili spomen-park Šušnjar ističu se isključivo kao mjesta stradanja Srba, mada su među stradalnicima bili i pripadnici ostalih nacionalnosti.. U Republici Srpskoj je afirmacija Ravnogorskog pokreta također uzela maha, što se vidi u nekoliko spomenika podignutih Draži Mihailoviću ili spomenika posvećenog ravnogorskim četnicima u Trebinju. U bošnjačkom se narativu antifašizam ističe iako ima pokušaja da se pojedini bošnjački kolaboracionisti rehabilitiraju. Od prošle je godine poznat slučaj imenovanja jedne osnovne škole u Sarajevu po Mustafi Busuladžiću, istaknutom intelektualcu antisemitskih stavova i kolaboracionistu s nacistima tijekom Drugog svjetskog rata.

U Crnoj Gori antifašizam je relativno dobro ukalupljen u državne strukture iako je u valu nacionalizma i tamo bilo pokušaja da se rehabilitira četnički pokret. Dan državnosti Crne Gore jest 13. srpnja, datum kada je Crna Gora na Berlinskom kongresu priznata kao suverena država i datum kada je izbio antifašistički ustanak u Crnoj Gori 1941., tzv. Trinaestojulski ustanak. Iako su 1990-ih pojedine ulice, imenovane po partizanima i revolucionarima, bile preimenovane, spomenici i spomen-obilježja posvećeni NOB-u uglavnom se održavaju. Pokušaj izgradnje spomenika četničkom vojvodi i ratnom zločincu Pavlu Đurišiću 2015. godine nije uspio. Vlada Crne Gore je zabranila projekt, a pripremljeno postolje srušeno. Međutim, Srpska pravoslavna crkva u Crnoj Gori značajno doprinosi anti-antifašizmu radeći na rehabilitaciji Ravnogorskog pokreta i kanonizirajući pojedine svećenike koji su djelovali tijekom Drugog svjetskog rata, a poznato je da su propagirali otvorenu suradnju s talijanskim i njemačkim fašistima.

Situacija na Kosovu je takva da javnost i vladajuća garnitura zagovaranje antifašizma poistovjećuju s jugoslavenskim partizanima i Narodnooslobodilačkom borbom, odnosno zagovaranje antifašizma poistovjećuje se s tobožnjim dozivanjem neke nove jugoslavenske zajednice. Spomenici NOB-a na Kosovu su zapušteni, a neki su i uništeni, posebno ako su bili posvećeni revolucionarima ili žrtvama srpske ili crnogorske nacionalnosti. Tako je npr. postojalo zajedničko spomen-obilježje Bori Vukmiroviću i Ramizu Sadiku, dvojici revolucionara s Kosova i Metohije, koje su fašisti strijeljali.. Boro i Ramiz su tijekom socijalizma bili simbol srpsko-crnogorsko-albanskog bratstva i jedinstva. Međutim, vandali su na njihovom zajedničkom spomeniku uklonili bistu Bore Vukmirovića dok je preostala samo bista Ramiza Sadika.

U Makedoniji su antifašizam i Narodnoosloboidlčka borba uglavnom ostali općeprihvaćeni u javnom i političkom narativu kao temelji suvemene makeodnske države i ostali istaknuti kao važan period u emancipaciji makedonskog naroda. Najvažniji datum koji se proslavlja u Makedoniji je 2. kolovoza, dan kada je započeo Ilindenski ustanak protiv osmanske vlasti 1903. godine i dan kada je 1944. godine u manastiru sv. Prohor Pčinjski održano Prvo zasjedanje Antifašističkog sobranja narodnog oslobođenja Makedonije, na kome su udareni temelji suvremene Makedonije. Dan ustanka naroda Makedonije, 11. listopada, i danas je nacionalni praznik; spomen-obilježja se održavaju i u većini ih slučajeva redovno posjećuju predstavnici lokalne vlasti, a imena ulica nakon 1990. nisu previše mijenjana. Unatoč tome, narativ o NOB-u ipak je bio prilagođen novoj klimi nakon 1990. godine pa se makedonski antifašiostički pokret često nastoji prikazati kao pokret samostalan od vodstva Komunističke partije Jugoslavije, stavljajući naglasak na izoliranost Makedonije od centralnih zbivanja NOB-a u Jugoslaviji koncentriranih uglavnom u središnjim i sjevernim dijelovima bivše države. Također se, nakon 1990-ih, počelo više govoriti o pojedinim revolucionarima za koje se sumnja da su poginuli pod sumnjivim okolnostima, opisujući ih u novim okolnostima kao žrtve „beogradskog režima“. Unatoč svemu, antifašizam i NOB su u Makedoniji poprilično nesporna tema, ali se u novije vrijeme naglasak ipak više stavlja na istraživanju makedonske povijesti iz doba antike i osmanske vladavine.

U Sloveniji se također posebno drži do antifašizma i čuvanja uspomene na Narodnooslobodilačku borbu, što se očituje u brizi za spomenike NOB i stalnom oprezu vlasti da ne ogrezne u duboki revizionizam i da ne pokrene val rehabilitacija. Prošle je godine bila značajna presuda Ustavnog suda Slovenije kako je Kočevski proces iz 1943., u kome su partizani sudili pripadnicima Bijele i Plave garde, bio legitiman i zakonit.. Kočevski proces ostao je poznat u historiografiji kao prvi sudski proces protiv ratnih zločinaca u Europi. Slovenija je tijekom Drugog svjetskog rata bila podijeljena između okupatorskih snaga, a s 1945. godinom, odnosno priključenjem velikog zapadnog područja Sloveniji, veći dio slovenskog naroda našao se u jednoj državi. Određeni krugovi u Sloveniji zagovaraju uklanjanje pojedinih obilježja starog sustava otjelovljeno u uklanjanju svih ulica koje u Sloveniji nose ime Josipa Broza Tita. Međutim, povremeni marševi talijanskih neofašista u talijanskim mjestima na granici sa Slovenijom upozoravaju slovensku javnost da fašizam nije do kraja poražen.

 

doc. dr.Pavle Vukčević:

O MORALNIM PRETPOSTAVKAMA ANTIFAŠIZMA

 

“Nema uzaludne smrti

Svaka smrt po jedna poruka,

Mnogo smrti mnogo poruka,

Strašne smrti,strašne poruke ”

 

Dušan Radović

(stihovi sa spomenika Građanima)

 

Antifašizam ima prevashodni zadatak da spasi od zaborava činjenice koje su same za sebe i za buduća vremena (buduće generacije) potvrda tragičnih zbivanja; da doprinese rasvjetljavanju i tačnijem sagledavanju počinjenih zločina fašista, nacista, ustaša, četnika i drugih.

Ta se misao (obaveza) nikada ne smije napustiti i ona nadograđuje moralni lik i obavezu prošlih, sadašnjih i budućih generacija.

Historijska znanost utvrđuje činjenice; događaje vezane za zbivanja u drugom svjetskom ratu, ali se historija ne bavi pojedincima i njihovim ličnim doživljajima. Historijska istina o tragičnim vremenima naroda Evrope, Jugoslavije, Hrvatske, jedino može da se utvrdi ako njeni živi učesnici mogu slobodno da opišu kako su se događaji odvijali kako bi ostavili budućim pokoljenjima svoje viđenje historijskih zbivanja, jer će neumitna vaga historije sve odnijeti (na žalost, mnogo toga je i odnijela).

Sve one žrtve drugog svjetskog rata (i ranije) zahtijevaju svoje mjesto na stranicama suvremene historije, ne samo zbog utvrđivanja istine, nego i zbog toga da bi se na vrijeme onemogućile izmišljene istrage protiv nedužnog stanovništva, druge nacije, vjere, rase ili ideološkog opredjeljenja.

Smrt čovjekova, njegova nasilna smrt, smrt bilo kojeg pojedinca jeste, dakle, u krajnjoj liniji i smrt kolektiva, naroda, nacije, čovječanstva. Jer je svaka i „najmanja smrt“ tek karika u beskonačnom lancu naše ukupne smrti.

Uspomene na one kojih više nema, koji dadoše svoje živote, postaju jedina stvarnost i jedina realnost. Uspomene su strašne, onih ubojica i zločinaca, nestali, uhvaćeni ili pobjegli preobučeni u mirne građane u nekom Paragvaju, Boliviji ili Argentini.

Svaka priča je posebna i različita i onda kada potiče s istog mjesta, iz istog logora, ali su slične u dubokoj ljudskoj težnji da se istraje i u uslovima koji su bili stvoreni upravo da ih nitko ne preživi.

A različna je u sjećanju samo bol, lični neprenosivi gubitak, strah, žalost i užas koji se sruči nad ljudskom vrstom – i zato su sva sjećanja neobično slična i neobično različita jer govore o sreći, nadi, ponosu, hrabrosti, dostojanstvu – a kada se dublje pogleda suvremenu stvarnost, kao da je ostala laž, hipokrizija, licemjerje.

Hoćemo li i do kada živjeti u strahu da će se naći neko koji će nas organizirano uništavati i da će isti i pronaći i valjana opravdanja i legitimne razloge kako bi dokazao da je čovjek smrtan i nemoćan.

To zlo i danas drsko pomalja svoje zlokobno lice, kao da civilizacija na početku trećeg milenijuma nije izvukla nikakve pouke iz paklenih i dijelom ostvarenih namjera iz ne tako davne prošlosti.

To zlo se ponovno javlja u sve prisutnijoj mržnji, a to navodi na zaključak da zlo nije poraženo, da se protiv njega treba stalno boriti i da ga ne treba podcjenjivati.

Kao da smo još plemenski određena bića; tako se živi, tako se osjećamo i javno deklariramo (tako se od nas traži), takvi želimo biti i tražimo od drugih da nas takvima vide i određuju – nacionalno i vjerski.

Ne pita se kod nas, ko je moralan ili nemoralan, dobar ili zao, pošten ili nepošten, pravedan ili nepravedan, itd. – ČOVJEK – nego da li je neko dobar u nacionalnom ili vjerskom određenju, a zaboravlja se pri tome namjerno (ili ne) da u takvom poimanju to ne znači ništa .

Moralno se odnositi znači prije svega poštivati samoga sebe, kao dostojno ljudsko biće, pa onda i čovječnost u svakom drugom biću.

 

Nacionalistička homogenizacija – negacija morala

 

Nacionalizam je kao „svjetonazor“ u svojoj biti zasnovan na iracionalnoj ideologiji „krvi i tla“. On se ne poziva na razum, već na skupove podsvjesnih poriva i instikata, kolektivnih i individualnih, u kojima je sadržan najagresivniji dio ljudske prirode. To je onaj najdublji sloj individualnog i socijalnog psihološkog sustava koji još nije posredovan racionalnim odnosom prema životu nego sav vanjski svijet posmatra kao prostor agresivne ekspanzije, širenja svoga „JA“.

Nacionalizam nastoji da u ekspanzivnoj regiji grupnih i pojedinačnih emocija (interesa) probudi „sjećanje“ na zajedničko porijeklo, za koje se tvrdi da je otuđeno u zaborav pa ga treba vratiti u svijet aktuelnog istorijskog trenutka. Ideologija nacionalizma u svojoj biti potencira nacionalne razlike i barijere razvijajući osjećaj ugroženosti.

Nacionalistička se država opija vjerom u kulturnu hegemoniju, u potrebi ograničenih, čuvanih teritorija, a s druge pak strane opravdava nejednakost, siromaštvo, obespravljenost, nezaposlenost, mržnju, nasilje.

Nacionalistička država negira svoju moralnu odgovornost za oduzimanje prava nacionalnim manjinama; prijetnja je unutarnje raznolikosti i simbol je nasilja i nesloboda; ne priznaje nikakav viši zakon iznad svoje barbarske volje; nesposobna je voljeti i nedostaje joj savjesti.

 

Smjernice za djelovanje Antifašista Hrvatske

a) razvijanje svijesti o ulozi i rezultatima antifašističke borbe i prepoznavanje biti fašizma/nacizma;

b) održavanje spomeničke i druge baštine antifašista i to ne samo kao znak sjećanja i zahvalnosti generaciji koja je izvojevala pobjedu te pijeteta prema onima koji su u toj borbi dali svoje živote, već i kao oblik odgoja mlade generacije u antifašističkom duhu;

c) suprotstavljanje svakom iskrivljivanju hrvatske povijesti, posebice one 20 stoljeća, uključujući i povijest NOB-e i njenih ciljeva i ostvarenja, otklanjanje uvjeta i uzroka rađanja i razvijanja fašističkih pojava;

d) neprestano pomlađivanje;

e) čuvati čast i dostojanstvo i druge vrijednosti antifašističkog pokreta radi stvaranja sve veće demokratizacije, pluralizacije, socijalne pravde, pravne zaštite, ravnopravnosti naroda i narodnosti, itd.



Split, 06. 07. 2018.

Gradska organizacija SRP-a Split



(srpskohrvatski /english / italiano)

Intorno alla Risoluzione ONU 1244 sul Kosmet

0) Još linkova i dokumenta iz Beoforum . rs
1) Kosovo e Metohija. Intorno alla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite / KOSOVO AND METOHIJA – RETURN TO UNSCR 1244 (Živadin Jovanovic, 8.5.2018)


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Još linkova i dokumenta iz Beoforum . rs:

ГОСТОВАЊЕ ЖИВАДИНА ЈОВАНОВИЋА У ЈУТАРЊЕМ ПРОГРАМУ ТВ ХЕПИ (28 јун 2018)
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/943-zivadin-jovanovic-tv-hepi.html
Председник Београдског форума за свет равноправних гостовао је у jутарњем програму ТВ Хепи, у емисији
Добро јутро Србијо, 27. јуна 2018. године. Шта је Живадин Јовановић говорио о преговорима у Бриселу и проблему Косова и Метохије, погледајте у наставку:

КОСОВО И МЕТОХИЈА - ЗНАМО ЛИ ШТА СРБИЈА ЗАХТЕВА? (14 мај 2018)
Повремено чујемо у јавности да Србији нико није понудио поделу Косова, да Србија чека шта ће јој ,,Квинта'' или неко други са Запада понудити и сличне тезе. Такође, да су раније власти учиниле безумне грешке и „печатирале коверту независности“ Косова и Метохије...

КОСОВО И МЕТОХИЈА – О ЧЕМУ СЕ ГОВОРИ А О ЧЕМУ ЋУТИ (Живадин Јовановић, Печат, број 517, 27. март 2018)
Говори се да замрзнути конфликт није добар по интересе Србије, али се ћути да би преговорима по досадашњем шаблону Србија могла више да изгуби него да добије. Ћути се да би, судећи по досадашњем току и резултатима преговора, због дубоке системске кризе и подела унутар ЕУ, могло доћи до тога да Србија неповратно испоручи све што се од ње захтева а да не добије ништа...

ДА СЕ ПОШТУЈЕ РЕЗОЛУЦИЈА ОУН 1244!  (Проф. Др Дарио ВИДОЈКОВИЋ, Немачка, 29 март 2018)
Најновији драматични догађаји на Космету су показали сву пропаст Бриселских преговора, који и јесу досад углавном текли на штету Србије и српског народа на Космету...

КАКО ДОСТОЈАНСТВЕНО ИСПОВРАЋАТИ КОСОВО? (22 октобар 2015 – Ненад Узелац, Беофорум)
Ако најбољи од свих могућих светова захтева сузицу једног детета, не прихватам у њему да живим“, мисао је Достојевског којом данас можемо сагледавати однос према Косову...

--- DOKUMENTI:

КОСМЕТСКО ПИТАЊЕ И ОДБРАНА СРБИЈЕ (Проф. др Радован Радиновић, генерал у пензији)
Текст је преузет из Часописа ,,Политика националне безбедности'', Број 2. из 2017. који издаје Институт за политичке студије

ПРЕДСТАВЉАЊЕ КЊИГЕ ,,ПРИВАТИЗАЦИЈА ДРУШТВЕНИХ ПРЕДУЗЕЋА НА КОСОВУ И МЕТОХИЈИ ПОД ОКРИЉЕМ УНМИК АДМИНИСТРАЦИЈЕ'

КОСОВО И МЕТОХИЈА – СРПСКА СТРАТЕГИЈА (Проф.др Синиша Боровић, дипл.инж., 4 април 2018)
ЦИЉ ИСТРАЖИВАЊА: Мислим да је Српско руководство прихватило или поставило погрешан циљ за решавање коначног статуса српске АП КиМ. Наш циљ не сме бити да прихватимо решење са којим ће бити задовољни Косовски Шиптари и САД и ЕУ а да Срби нешто добију за узврат-да не изгубе баш све. Наш циљ и циљ нашега истраживања мора бити: Пронаћи такво решење за реинтеграцију АП КиМ у састав Републике Србије које ће гарантовати правну сигурност и статус националних мањина и (Шиптарске) према стандардима САД и ЕУ (као што они решавају права националних мањина у својим земљама)


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ORIG.: KOSOVO AND METOHIJA – RETURN TO UNSCR 1244 (by Živadin Jovanovic, 8 May 2018)




Kosovo e Metohija. Intorno alla Risoluzione 1244 del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite

di Živadin Jovanovic
8 maggio 2018

E' stato detto che il conflitto sospeso tra Kosovo e Metohija non è favorevole agli interessi della Serbia, ma nessuno fa notare che la Serbia rischia di perdere ancora di più se i negoziati sotto gli auspici dell'UE continueranno con gli stessi schemi e tendenze.

A giudicare dalla situazione attuale in cui la Serbia ha solo fatto concessioni e la cricca di Prishtina ha praticamente ottenuto il controllo su tutta la provincia, la Serbia potrebbe finire per rinunciare definitivamente a tutti i suoi diritti e interessi senza ricevere nulla in cambio. Tranne le promesse di adesione all'UE entro il 2027 come anno "indicativo"! Raramente si sente dire che un accordo UE / USA del tipo "territorio (del Kosovo e Metohija) in cambio dell'adesione all'UE" sarebbe illegale, contrario alla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, alla Carta delle Nazioni Unite, al Documento Finale dell'OSCE ed alla Costituzione della Serbia. In linea di principio sarebbe inaccettabile perché il territorio dello Stato, l'identità nazionale e la dignità non possono essere usati come merce di scambio.

La semplice idea di barattare Kosovo e Metohija per ottenere l'adesione all'UE è un'indicazione di un netto declino della consapevolezza del concetto di identità nazionale, della dignità, degli interessi dello stato, dell'autostima nazionale e statale. Il fatto che, oltre alla cosiddetta élite politica, una parte dell'élite intellettuale serba, i "colti", e persino certe istituzioni nazionali, considerino anche il Kosovo e la Metohija un "cappio" di cui la Serbia dovrebbe prontamente sbarazzarsi, apparentemente per iniziare un ampio progresso economico e sociale, equivale addirittura a condividere il messaggio ambiguo che l'importanza del principio territoriale stia calando, che sia la Serbia che il Kosovo finirebbero comunque all'interno della “Comunità Europea", che le prospettive di una vita migliore siano più importanti di ogni altro valore, che la Serbia appartenga per natura  all'integrazione euro-atlantica, che la politica di tenere il piede in due scarpe sia insostenibile, eccetera.

Qualunque cosa accada, dall'assassinio di Oliver Ivanovići (1) e dal linciaggio pubblico di Marko Đurićii (2), alle dichiarazioni dei leader di Priština sul "Kosovo orientale" o sul Kosovo fino a Niš, alle piattaforme di "reciproco riconoscimento", ai fucili della battaglia di Košare, Belgrado ripete la solita storia che il dialogo e l'ombrello dell'UE non hanno alternative, che tutto è come al solito, come se nel frattempo non fosse accaduto o cambiato nulla. È tattica? Sicurezza? Saggezza? Responsabilità? Esperienza? Preveggenza? Forza? Combinazione vincente? Un consiglio di amici o di "amici"?

La domanda da porsi è se qualsiasi accordo razionale con gli ex leader del terrorista KLA (Kosovo Liberation Army, Esercito di Liberazione del Kosovo) trasformati in politicanti sia possibile, anche a prescindere dal fatto che questi siano nelle liste dei ricercati e che godano del sostegno dei loro sponsor nella NATO e nell'UE? Sapendo che compaiono veramente nei mandati di cattura dell'Interpol e che godono del sostegno di amici "eccezionali" ...

La realtà è trattata in modo selettivo, come se fosse fatta solo da debiti, obblighi e restrizioni, come se la Serbia fosse uno stato senza radici, senza storia, diritti universali o appartenenze a varie organizzazioni internazionali, senza amici, e come se dipendesse esclusivamente dalla pietà dei singoli membri dell'UE e della NATO! La legalità ed i principi sono messi a tacere, come se entrambi fossero vantaggi dell' "altra parte" a cui non si dovrebbe ricordare altri argomenti a sostegno del proprio caso.

Nell'affrontare la questione Kosovo-Metohija non si dice nulla sul totale predominio degli approcci geopolitici e sugli interessi dei principali paesi occidentali. Non c'è il minimo sforzo di analizzare l'impatto delle nuove tendenze in Europa e nelle relazioni globali sulla posizione internazionale della Serbia e sulla sua capacità negoziale. Inoltre, c'è una netta resistenza, una strana avversione alla necessità di adattare tattiche e  politiche negoziali alle realtà mutate. L'impressione è che siamo continuamente, giorno dopo giorno, nella macina di quegli stessi meccanismi neocoloniali di devastazione, lavaggio del cervello e sottomissione, disinteressati a cambiare qualsiasi cosa tranne che nel seguire lealmente gli "incoraggiamenti" dei commissari di turno che sono "nel miglior interesse per il futuro della Serbia ".

Nessuno accenna alla verità secondo cui per i principali paesi occidentali ai quali, sotto il formato negoziale di Bruxelles, la Serbia ha effettivamente ceduto nella scelta dello status di Kosovo e Metohija, l'unica soluzione accettabile è quella di stare dalla loro parte nel confronto con Russia e Cina. Questo va contro gli interessi vitali della Serbia. L'esperienza finora acquisita conferma che il quadro negoziale di Bruxelles esclude i principi di legalità, equilibrio, giustizia e sostenibilità, impedendo così alla Serbia di proteggere i suoi diritti e interessi legittimi, in particolare quelli derivanti dalla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

È stato detto che l'UE è il più grande investitore, il più grande donatore e il più grande partner commerciale della Serbia. Sebbene il fine di collegare la dichiarazione di cui sopra alle trattative con Pristina non sia dato in modo esplicito e deciso, rimane il messaggio sottinteso che questa benevolenza ci obblighi a sostenere anche le disoneste richieste riguardanti la sovranità, l'integrità territoriale e l'ordine costituzionale della Serbia. E le richieste sono queste : legalizzazione della creazione forzata di un nuovo stato in una parte del territorio dello stato Serbo; l'adesione del Kosovo all'ONU ed a tutte le altre organizzazioni internazionali; progettare nuovi confini internazionali; un altro esercizio per schiacciare la nazione Serba; la legalizzazione della pulizia etnica di 250.000 serbi e altri non albanesi;  aprire la strada alla creazione di una "Grande Albania".

Quello che non viene detto è che gli Stati Membri dell'UE, specialmente quelli più ricchi, sono i più grandi vincitori nella democratizzazione, nella transizione e nella privatizzazione in Serbia. Ciò che non viene detto è che solo le banche degli Stati membri dell'UE hanno ricavato decine di miliardi di euro dall'economia e dai cittadini Serbi nei processi di liquidazione delle banche Serbe, nell'acquisizione del mercato finanziario Serbo e nel passaggio dal DM all'Euro. Nessuno si è ancora preso la briga di calcolare il profitto guadagnato dalle economie di quei paesi durante la privatizzazione che il Governo ha etichettato come predazione.

Il silenzio più assordante riguarda gli Stati membri della NATO / UE che hanno inflitto danni materiali diretti alla Serbia durante la criminale aggressione a guida NATO del 1999, per un totale di oltre 100 miliardi di dollari US. Se, nonostante il chiaro dovere legale di quei paesi di risarcire i danni di guerra, le più alte autorità statali continuano a ritenere sconcertante, per qualsiasi motivo,  l'inclusione di questo argomento negli ordini del giorno di preadesione o in qualsiasi altro negoziato, allora il senso fondamentale dell'opportunità, della dignità nazionale e dell'auto-rispetto dovrebbe richiedere almeno una certa prudenza prima di ricoprire i rappresentanti dell'Occidente di immeritati complimenti per il loro patrocinio.

Si è parlato della necessità di una soluzione giusta che permetta ad ogni "parte" di vincere e di perdere qualcosa. Non si dice nulla sul minimo al di sotto del quale la Serbia non dovrà e non deve andare. Il risultato di questa "flessibilità" della Serbia sulle posizioni dell' "altra parte" e dei suoi mentori è rappresentato da ogni sorta di richieste avanzate quotidianamente e persino da minacce aperte e sfacciate che, in un modo o nell'altro, sono anche sostenute da rappresentanti dell'UE, USA, Germania e altri.. Non viene fatto alcun riferimento al fatto che, durante la negoziazione a Bruxelles, finora, la Serbia ha semplicemente ceduto i suoi diritti ed i suoi interessi, senza ottenere nulla di concreto in cambio. Quindi, la legittima domanda da porsi è se ci sono veramente le condizioni per un compromesso equilibrato e giusto che conduca ad una pace ed una stabilità durature.

Indipendentemente da ciò che i rappresentanti di alcuni paesi occidentali possano dire, il loro perpetuo ricatto alla Serbia e il sostegno aperto a quelli che hanno rivendicazioni territoriali o di altro tipo contro la Serbia testimoniano che, per loro, la Serbia non sarà mai troppo piccola, troppo debole o troppo umiliata per smettere di farla a pezzi, indebolirla ed umiliarla.

Dicono che la Serbia stia diventando sempre più forte e rispettata; nessuno dice che non è mai stata umiliata, ingannata e ricattata come al giorno d'oggi. Il linciaggio pubblico del funzionario serbo Marko Đurić recentemente messo in scena e le dozzine di rappresentanti eletti del popolo serbo in Kosovska Mitrovica sono indicativi del reale atteggiamento nei confronti della Serbia.

Dicono che è stato concluso un accordo con la NATO che non permetterà a nessuna forza (militare) di entrare nel Nord della Provincia, mentre la KFOR - composta prevalentemente da truppe NATO - in quella stessa parte della provincia difende le "ROSU" (Regional Operational Support Unit, Unità Regionali di Supporto Operativo, sono reparti speciali della Polizia del Kosovo N.d..T.)  ogni volta che queste mostrano, ripetutamente, la loro forza, le armi e le attrezzature avute dalla NATO. L'atteggiamento dell'UE e della NATO verso l'UNSCR 1244, l'Accordo di Bruxelles sui Principi e l'Accordo con la NATO sul Nord della Provincia, possono avere qualche influenza nel predire la loro posizione nei confronti di eventuali nuovi ipotetici documenti legali da firmare, o forse questa è una domanda retorica?

Le più alte autorità statali parlano della cosiddetta neutralità di status dell'UE e di EULEX (European Union Rule of Law Mission in Kosovo, Missione dell'Unione Europea per lo Stato di Diritto in Kosovo N.d.T.) , anche se il buon senso riconosce che questa è una palese ipocrisia, dato che sia EU che EULEX in Kosovo e Metohija stanno attuando il piano generale per creare un nuovo membro della NATO e dell'ONU, disegnando nuove frontiere, consolidando la pulizia etnica dei Serbi e spingendoli verso nord.

È stato detto che il Kosovo è perduto da tempo, che i precedenti governi avevano dato tutto, che gli attuali governi semplicemente "cercano di salvare ciò che può essere salvato" e che la Costituzione non è una difesa. E poi si aggiunge che abbiamo bisogno di coraggio, che siamo pronti per "decisioni dolorose", che la Serbia ha bisogno di altri paesi, specialmente della Germania, più di quanto abbia bisogno della Serbia, eccetera eccetera.

MA! Se altri, precedenti governi hanno già perso o fatto tutto, quale è il motivo di tutta questa confusione di pressioni, menzogne, ipocrisia, ricatti e umiliazioni da un lato, e di generose offerte di donazioni, investimenti e riconoscimenti al governo in carica, dall'altro? Stiamo assistendo ad un gioco che è un misto di intimidazione ed inganno.

A chi ed a cosa serve dire che la Serbia ha bisogno della Germania e di altri paesi più che della Serbia stessa? Qualunque sia la necessità di tale confronto, quale obiettivo dovrebbe raggiungere? Vuol forse dire che, invece dell'uguaglianza, della mutualità, della reciprocità e dell'indipendenza, la Serbia intende approvare e proclamare volontariamente la propria sottomissione? Quali altri motivi potrebbero spingere gli investitori tedeschi a investire in Serbia se non quelli dei propri interessi, profitti e astronomiche sovvenzioni dal Bilancio della Serbia?

Le dichiarazioni dei rappresentanti serbi abbondano di contraddizioni, sbalzi di umore che vanno dall'entusiasmo alla frustrazione. In questo schema, il significato stesso di alcuni termini usati abitualmente nella vita politica diventa oscuro. Ad esempio, bisogna avere il coraggio di difendersi dalle richieste illegali, amorali e ricattatorie o si deve accettarle a scapito della Serbia?

Screditare la posizione ufficiale della leadership nazionale della Francia che la priorità sia la riforma dell'UE (leggi: la sopravvivenza) rispetto al suo allargamento, ed ammettere le interpretazioni fuorvianti che sia possibile condurre parallelamente sia le riforme dell'UE che il suo allargamento, equivale ad un invito a ficcare la testa nella sabbia.. Alla luce delle crescenti divisioni e degli incerti  risultati delle riforme a lungo termine dell'UE, le favole sull'allargamento dell'Unione che coinvolga i Balcani Occidentali servono solo a nascondere la nuda verità che questo allargamento sta diventando sempre più distante e incerto. Si può ragionevolmente supporre che si continuerà con queste panzane, perché una decisione formale (ammissione) secondo cui ogni nuova adesione è indefinitamente accantonata o rinviata (sine die) danneggerebbe la credibilità di tutti coloro che hanno proclamato l'appartenenza all'UE come "la via senza alternative" . Certo, ciò potrebbe aggravare l'instabilità, ritorcersi contro l'UE e rendere le riforme ancora più difficili.

E' caduto il silenzio sullo spudorato sfruttamento da parte dell'Unione Europea dell'aspirazione della Serbia all'adesione che mirava a ingannare la Serbia nel disegnare nuovi confini, nella creazione illegale di un nuovo stato su una parte del suo territorio statale, in una nuova divisione della nazione serba e nell'unificazione della nazione albanese, nel perdonare alla NATO il crimine di aggressione,  tutto questo per ridurre le divisioni interne all'UE. L'obiettivo geopolitico comune dell'UE e della NATO di far firmare alla Serbia un "documento completo e giuridicamente vincolante" riconoscendo in tal modo il Kosovo, se fosse raggiunto trasformerebbe una secessione unilaterale illegale in una soluzione legale e consensuale. A questo punto, il ragionamento secondo cui la secessione del Kosovo sia un pericoloso precedente sarebbe confutato o almeno fortemente indebolito a causa dell'ipotesi di approvazione della Serbia. A sua volta, ciò introdurrebbe una possibilità concreta per l'UE di rimuovere una causa di gravi divisioni interne che ne bloccano il funzionamento (poiché cinque Stati membri non riconoscono l'indipendenza del Kosovo).

Ci viene detto che l'obiettivo dei negoziati è quello di raggiungere una riconciliazione storica tra le nazioni Serbe ed Albanesi, e poi ci viene detto, correttamente, che non stiamo negoziando con gli Albanesi ma con gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Germania. Nessuno fa notare che tali negoziati e l'obiettivo dichiarato di "riconciliazione storica" siano reciprocamente in conflitto tra loro. I grandi poteri non risolvono le crisi, le gestiscono. Ciò è particolarmente vero nel contesto del crescente confronto globale a cui stiamo assistendo attualmente.

Il "documento completo giuridicamente vincolante" è pubblicamente considerato come un "documento in bianco" i cui contenuti futuri sono sconosciuti. Nulla è detto sul ragionamento che consente un'approvazione anticipata di un documento la cui formulazione non è nota a nessuno, compresi i presunti firmatari per conto della Serbia.

Per lo più non si fa nessun accenno al fatto che la UNSCR 1244 sia il documento giuridico completo di base, documento di estrema importanza, che impegna tutti i membri delle Nazioni Unite, compresi gli Stati membri dell'UE e della NATO, che ha una rilevanza duratura, che non può essere abrogato, sostituito o invalidato in altro modo che seguendo la stessa procedura con cui è stata adottato, e che, tuttavia, non ha reso effettiva neanche una singola clausola che riguardi il diritto della Serbia e del popolo Serbo. Non è chiaro,  chi o cosa impedisce o scoraggia la Serbia dal richiedere l'osservanza e l'attuazione degli obblighi pendenti previsti da questo documento? Che cosa otterrà la Serbia mantenendo il silenzio su questa risoluzione? Cosa c'è di sfavorevole per la Serbia e, forse, di favorevole per Pristina?

Certo è che i precedenti governi hanno commesso errori fondamentali : in primo luogo, avendo rivolto alla Corte Internazionale di Giustizia la richiesta di un suo parere consultivo con una formulazione errata e, in secondo luogo, avendo consentito il trasferimento dei negoziati a Bruxelles nell'ambito dei "buoni servizi" dell'UE mediante la cosiddetta "risoluzione proposta congiuntamente" (della Serbia e dell'UE) all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Entrambi sono vere. Tuttavia, ciò che non è stato detto è che sia l'opinione della CIG (Corte Internazionale di Giustizia) che la risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sui servizi dell'UE non sono di natura vincolante ma piuttosto di carattere consultivo e, come tali, non impediscono alla Serbia di impegnarsi a rimediare agli errori. Anche se gli errori commessi dai governi precedenti sono davvero riprovevoli, di sicuro non possono servire come scusa per fare gli stessi errori, o anche più gravi, oggi o nel futuro.

Ciò che in particolare non è mai stato menzionato è che le opinioni consultive e le risoluzioni consultive di qualsiasi organismo o agenzia delle Nazioni Unite non interferiscono, in alcun modo, con i poteri del Consiglio di Sicurezza o prevalgono sull'applicabilità della UNSCR 1244.

È stato ripetuto più e più volte che il Kosovo è perso e il governo sta solo “salvando ciò che è possibile salvare”; stiamo ascoltando i discorsi sulla difficile posizione negoziale, sulle realtà sul terreno, errori del passato, delusioni, equivoci e miti, incapacità di comprendere valori e interessi reali. Il pubblico è costantemente bombardato da previsioni di disastro se non si cambia la coscienza delle nazioni; la nostra storia, la Costituzione, le caratteristiche intrinseche della nazione vengono svalutate. Al posto di criteri morali, spirituali, storici e di principio, ci vengono offerti esclusivamente approcci selettivi e criteri economici, commerciali ed affaristici. Come se l'accettabilità di questi dovesse dipendere da una popolazione impoverita e disorientata dalla propaganda Occidentale.

Si rimane sbalorditi dalla totale assenza di sforzi per identificare, presentare o utilizzare qualsiasi argomento o fatto che serva al rafforzamento della posizione negoziale della Serbia. È come se i maggiori problemi della nostra leadership fossero la cattiva coscienza ed il sistema di valori sbagliati della propria nazione, piuttosto che la politica anti-Serba dei centri di potere Occidentali. In particolare, non ci sono iniziative per ricercare e scoprire argomenti nuovi e meno noti che rafforzino la nostra capacità negoziale. Questa attenzione unilaterale nel dare risalto a tutto ciò che ostacola la posizione negoziale della Serbia, unita alla totale indifferenza per gli argomenti favorevoli alla Serbia, è stato un fenomeno senza precedenti nella storia contemporanea degli affari internazionali.

Certe parti dell'élite serba sono già "collegate in rete" al sistema corporativo multinazionale liberale occidentale, legando i propri privilegi ed il proprio futuro agli interessi di questo sistema neocoloniale, indipendentemente dal prezzo che deve essere pagato dallo stato e dalla nazione in termini di perdita di indipendenza, identità e, in definitiva, di territorio. Parti della società che si definiscono elite acquisiscono sostanziali privilegi materiali partecipando a progetti generosamente finanziati da fonti UE e NATO, in attività del cosiddetto settore civile (ONG), varie task forces, forum, centri, convegni, associazioni e simili. Quindi, è logico che le politiche che propongono  pubblicamente, compreso il cosiddetto dialogo interno su Kosovo e Metohija, siano conformi e corrispondano alle aspettative ed agli interessi dei centri di potere che finanziano le loro operazioni. La loro interpretazione degli interessi nazionali e statali e le dichiarazioni pubbliche che implicano più o meno apertamente che la Serbia dovrebbe riconoscere il Kosovo e Metohija come uno stato indipendente, sono il risultato diretto del loro interesse a preservare i propri privilegi. Il loro ruolo assegnato è quello di persuadere il pubblico che "una vita migliore" dipende dall'approvare le "dolorose" decisioni pragmatiche delle autorità.

Ci dicono del valore del Primo Accordo di Bruxelles sui Principi per la Normalizzazione e le sue disposizioni sulla Comunità dei Comuni serbi. In questa narrazione, detto Accordo è paragonato all'Accordo Dayton-Parigi, il che è, per usare un eufemismo, un'esagerazione (non l'unica). Anche dopo che ci siamo resi conto che nel 2013 la Serbia è stata indotta a firmare ciò che, cinque anni dopo, si è rivelata una frode, continua senza sosta il tentativo di convincere il pubblico della necessità di firmare un nuovo "documento legalmente completo"!

Ci dicono che dobbiamo salvare la nostra gente in Kosovo e Metohija. E' vero, certamente. Ma lasciamo da parte, per un momento, la domanda se siamo d'accordo che il popolo serbo in Kosovo e Metohija sia ostaggio dell'arbitrarietà della leadership di Pristina (e dei loro mentori), dal momento che il solo modo per proteggerli consiste in ritirate senza fine e nel soddisfare ogni piccolo capriccio di quella leadership; tuttavia, c'è una domanda ancora senza risposta : perché sul diritto di 250.000 Serbi espulsi e altri non albanesi di tornare liberi, sicuri e dignitosi alle loro case ed alle loro proprietà nella Provincia, c'è stato un totale silenzio per così tanto tempo? Chi e perché ritiene strano insistere nel negoziare su questo vitale, prioritario interesse della Serbia e del popolo Serbo? Di tanto in tanto, viene sussurrata una "spiegazione"  del fatto che il problema è stato sollevato, ma che "l'altra parte" si è rifiutata di discuterne. Ma che genere di argomento è questo? Qual è la portata e l'elenco dei problemi che dovremmo risolvere per mantenere l'etichetta di Europei flessibili, tolleranti, responsabili, saggi, coraggiosi e prevedibili?! Significa forse che la Serbia è obbligata a negoziare solo le questioni che interessano "l'altra parte"? Che tipo di futuro è quello per cui la Serbia deve permettere la pulizia etnica di un numero importante di propri cittadini dal Kosovo e Metohija? Con chi e per conto di quali "valori comuni" la Serbia deve negoziare, visto che né l'UE, né gli USA, la Germania, la Francia, l'Italia, l'EULEX, l'UNMIK, la KFOR, la NATO, l'OSCE vogliono rispettare questo obbligo nei confronti della nazione Serba? Si spera che nessuno faccia   obiezioni "convincenti" come il numero da definire di persone interessate al ritorno, o la questione di risorse finanziarie limitate, eccetera.
 
È stato detto che gli obiettivi più importanti della Serbia nei negoziati facilitati dall'UE sono la pace, la stabilità e lo sviluppo. Non è stato detto che la pace seguita all'aggressione della NATO contro la Serbia (la RFJ) del 1999 non è stata siglata nei negoziati con l'UE, ma nei negoziati che coinvolgono la Repubblica Federale di Jugoslavia, gli Stati Uniti, la Federazione Russa, l'UE, il G-8, e cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Le condizioni e le congetture di pace sono state confermate dall'UNSCR 1244. Non è mai stato ricordato che le basi della pace costituiscono l'Accordo Milosevic-Ahtisari-Chernomyrdin del 3 giugno, l'Accordo Tecnico-Militare del 9 giugno e la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 10 giugno 1999.
 
Nulla è detto del fatto che, insieme, questi documenti reciprocamente integrati costituiscono una base per la pace sostenibile, la stabilità e lo sviluppo nella regione e in Europa; nulla è detto del fatto che non esistono e non possono esistere documenti multilaterali, bilaterali o di altro tipo che prevalgano giuridicamente o politicamente sulla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; nulla è detto del fatto che in nessun modo la Serbia possa rinunciare alla risoluzione 1244 dell'UNSCR, che sia volontariamente o con la forza.

Nessuno osa far notare che intralciare, ignorare o rinunciare alla risoluzione 1244 dell'UNSCR equivale a rinunciare alla pace e alla stabilità in Europa. La soluzione per il Kosovo e Metohija, che l'Occidente desidera è quella che serve esclusivamente al suo confronto con la Russia. Nessuna altra soluzione sarebbe accettabile per l'Occidente.

Questo è il motivo per cui la Serbia deve presentare una richiesta di piena attuazione della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite senza indugio, perché questa è l'unica strada in grado di fornire una soluzione legittima, valida e giusta che serva gli interessi della pace, della stabilità e dello sviluppo sostenibile.

 
1)  Politico Serbo del Kosovo e Metohija, ucciso il 16 gennaio 2018, a Kosovska Mitrovica, nel nord del Kosovo
2)  Direttore della Direzione Governativa per il Kosovo e Metohija

Traduzione dal Serbo: Branislava Mitrovic
Traduzione in italiano di Giorgio F. per Forum Belgrado Italia/ CIVG



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Tripudio nazista ai Mondiali di Calcio

0) Altri link
1) I calciatori croati Vukojević e Vida si esibiscono nel saluto banderista "Gloria all'Ucraina" per festeggiare la vittoria sulla nazionale russa
2) Strascichi dopo la partita Serbia-Svizzera
3) FLASHBACK: Kiev 1942, la partita della morte e quei campioni che sfidarono il destino



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[i calciatori croati Lovren e Modrić si esibiscono in canti e saluti nazisti]
Dejan Lovren sings "Bojna Čavoglave" after 3-0 win against Argentina (21 giu 2018)
Nazi Luka Modric saluting fans at World Cup 2018 (21 giu 2018)
Croatian and Real Madrid player Luka Modric saluting his fans Nazi style at World Cup 2018...

[comuni tifosi croati riconoscono l'ospitalità e lo spirito di amicizia con cui sono stati organizzati i Mondiali di Calcio in Russia]
‘It’s all propaganda, Russian people are the best!’ – Croatia fan on World Cup scaremongering (RT, 8 Jul, 2018)
https://www.rt.com/sport/432336-croatia-world-cup-russia-best-people-ever/

USTASCIA SUGLI SPALTI E IN CAMPO
Il nazismo nel calcio croato non è solamente sugli spalti
• Il calciatore della nazionale croata Maksimir Josip "Joe" Šimunić professa nazismo in campo (2013)
Boban e il teppismo anti-nazionale degli hooligan:
Cosa c'è nel calcio di peggio della fallosità 
• La "Bobaniade" e lo "yugo"-campionato / "Bobanijada" i "YU"-Liga (2001)
Livorno agosto 2006: tifosi croati si dispongono a svastica
Lituania, luglio 2006: Z. Mamić fa il saluto fascista
Finale degli Europei di pallanuoto 2003: SerbiaMontenegro - Croazia 9-8, teppisti croati si scatenano


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[I calciatori della nazionale croata Ognjen Vukojević e Domagoj Vida si esibiscono nel saluto banderista "Gloria all'Ucraina" per festeggiare la vittoria sulla nazionale russa] (Andrii Pavelko, 7 luglio 2018)
[La Federcalcio ucraina difende i giocatori croati]
Федерация футбола Украины поддержала бандеровскую выходку хорватского футболиста (8 июля 2018)
ФФУ поддержала бандеровскую выходку игрока сборной Хорватии Виды, записавшего ролик с использованием бандеровского приветствия «Слава Украине» в честь победы над сборной России...
[Petizione per il deferimento di Ognjen Vukojević e Domagoj Vida da parte della FIFA]
Футбол вне политики: Дисквалифицировать хорватов Огнена Вукоевича и Домагоя Виду
[La FIFA ammonisce il difensore della nazionale croata Domagoj Vida per comportamento antisportivo e contrario ai principi di fair play, per il video provocatorio in cui ha urlato lo slogan dei neonazisti ucraini "Gloria all'Ucraina". S. Gajić: "La vittoria della Croazia a Sochi è un colpo simbolico. Loro, come i loro nonni, combatterono contro i russi in uniforme nera. Molti russi dimenticarono le migliaia di volontari croati che combatterono dalla parte di Hitler. Solo nella prigionia sovietica erano circa 22 mila..."]
Стеван Гайич: Хорваты и украинцы – братья по ненависти (9 июля 2018)
В воскресенье, 8 июля, международная федерация футбола (ФИФА) вынесла предупреждение защитнику сборной Хорватии Домагою Виде за неспортивное поведение, противоречащее принципам честной игры за провокационное видео с использованием бандеровской кричалки «Слава Украине»...

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8 luglio 2018

Mondiali 2018 Russia, Croazia: Vida inneggia all'Ucraina, rischia la squalifica

Dopo la vittoria alle semifinali ai rigori contro la Russia, il difensore croato Vida (che gioca nella Dinamo) ha inneggiato all'Ucraina sui social e ora rischia una squalifica. La Fifa ha aperto un'inchiesta ma lui spiega: "Solo parole scherzose per i miei amici della Dinamo Kiev"

Un video postato su Facebook dopo la vittoria ai rigori contro la Russia, potrebbe costare caro al difensore croato Domagoj Vida. Il giocatore, autore anche del gol del 2-1 nei supplementari, ha esultato sui social urlando la frase "Slava Ukraini!", letteralmente "gloria all’Ucraina", in quello che a qualcuno è sembrato essere uno slogan anti-russo. Per questo motivo la Fifa ha aperto un’inchiesta a suo carico. Nel filmato, Vida festeggia il passaggio alle semifinali insieme a Ognjen Vukojevic, ex nazionale e ora membro dello staff della squadra allenata da Zlatko Dalic. In passato hanno giocato entrambi nella Dinamo Kyev. Dopo aver esclamato “gloria all’Ucraina”, il compagno accanto aggiunge: “Questa vittoria è per la Dynamo e per l'Ucraina...vai Croazia!". Quanto fatto da Vida non è piaciuto ad alcuni media russi e a molti utenti dei social, che hanno segnalato l'accaduto. Da qui l'apertura dell'inchiesta, confermata all’Ansa da fonti Fifa. Vida rischia due giornate di squalifica e una multa di cinquemila franchi svizzeri, parti a circa 4.300 euro. Vida tuttavia, citato dai media russi, ha tenuto a sdrammatizzare e a depoliticizzare il tutto, parlando di parole frutto di sensazioni molto personali. "Non c'è politica nel calcio. Sono parole scherzose per i miei amici della Dinamo Kiev. Voglio bene ai russi e voglio bene agli ucraini", ha detto il difensore croato.

Il precedente di Xhaka e Shaqiri

Screzi a sfondo politico si erano avuti anche in occasione della partita Serbia-Svizzera nella fase a gironi (Gruppo E), quando due giocatori svizzeri di origini kosovaro-albanesi, Xhaka e Shaqiri, esultando per i gol contro i serbi, avevano mostrato con braccia e mani il simbolo della bandiera albanese con l'aquila bicipite. Un gesto interpretato come una provocazione dai serbi, che avevano protestato. La Serbia non riconosce l'indipendenza del Kosovo, che continua a considerare una sua provincia a maggioranza albanese, e denuncia un piano nazionalista che mirerebbe a creare una 'Grande Albania, uno stato unico che raggruppi tutte le popolazioni albanesi presenti nei vari Paesi dei Balcani.

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Domagoj Vida e Ognjen Vukojevic fanno scoppiare un caso diplomatico, eliminano la Russia e dedicano la vittoria all’Ucraina

di Redazione Blitz, 8 luglio 2018

MOSCA – Vida e Vakojevic, i due croati sono nella bufera per aver dedicato il successo contro la Russiaall’Ucraina. I media serbi, come capita spesso quando riferiscono dei rivali storici della Croazia, non mancano anche oggi di denunciare l’intonazione nello spogliatoio di motivi ultranazionalistici e legati al vecchio stato croato degli ustascia durante la seconda guerra mondiale. Inoltre, riferisce la Tanjug, dopo la vittoria sulla Russia, Domagoj Vida e Ognjen Vukojevic – quest’ultimo attualmente membro dello staff della nazionale ma in passato giocatore anch’egli della nazionale – hanno dedicato il successo sui russi all’Ucraina, Paese dove in passato entrambi hanno giocato nella Dinamo Kiev, e un Paese l’Ucraina i cui rapporti con Mosca sono ai minimi storici. ‘Gloria all’Ucraina’, ‘Questa e’ una vittoria per l’Ucraina, per la Dinamo‘, hanno gridato i due croati. 
Nella cattolicissima Croazia l’accesso alle semifinali dei Mondiali di calcio dopo la vittoria ieri sera ai rigori contro i padroni di casa della Russia e’ stato salutato anche dal suono delle campane di tante chiese. Nella capitale Zagabria e in altre grandi citta’, subito dopo l’ultimo rigore messo a segno dalla nazionale a scacchi, le campane hanno suonato lungamente a festa, unendosi al clima di euforia e esaltazione che ha pervaso l’intero Paese.
E anche taluni commentatori televisivi non hanno mancato di ‘ringraziare Dio’ per i successi del calcio nazionale e per la marcia trionfale della nazionale di Modric, Mandzukic e compagni. ‘I croati non si arrendono!’, ‘E ora a Mosca per la (semi)finale’, ‘Cadranno anche gli inglesi, saremo campioni’ titolano oggi i giornali, prospettando e sognando non solo la vittoria contro l’Inghilterra mercoledì prossimo, ma anche un trionfo finale della squadra di Dalic ai mondiali di Russia.
Sui social dominano foto e video di giocatori e staff della nazionale croata che nello spogliatoio e a cena nell’albergo a Sochi cantano e ballano insieme alla presidente della Repubblica, Kolinda Grabar Kitarovic.
La presidente, che ieri sera allo stadio accanto al compassato premier russo Dmitri Medvedev ha seguito la partita indossando maglietta e pantaloni da tuta nei colori della Croazia, si è messa a ballare in tribuna al momento della vittoria, per poi raggiungere i giocatori nello spogliatoio e, abbracciandoli, ha cantato canti patriottici.
Tante anche le immagini di Luka Modric che, prima di lasciare il campo al termine dell’incontro vittorioso con i russi, ha abbracciato i suoi due figli facendo loro calciare dei tiri in porta.

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Mondiali 2018, Vida graziato dalla FIFA: nessuna squalifica, giocherà Croazia-Inghilterra

Domagoj Vida sarà regolarmente in campo nella semifinale dei Mondiali 2018 che vedrà la nazionale croata sfidare l’Inghilterra a Mosca mercoledì 11 luglio con fischio d’inizio alle ore 20. Il calciatore aveva sollevato un polverone dopo la partita vinta contro la Russia ai rigore per un video in cui ha esclamato “Slava Ukraine” (Gloria all’Ucraina)”

di Marco Beltrami,  9 LUGLIO 2018

Sospiro di sollievo per la Croazia. Domagoj Vida sarà regolarmente in campo nella semifinale dei Mondiali 2018 che vedrà la nazionale croata sfidare l'Inghilterra a Mosca mercoledì 11 luglio con fischio d'inizio alle ore 20. Il calciatore aveva sollevato un polverone dopo la partita vinta contro la Russia ai rigore per un video in cui ha esclamato "Slava Ukraine" (Gloria all'Ucraina)". Un attacco ai padroni di casa con un possibile riferimento politico che non è sfuggito alla Fifa che ha aperto una indagine. Nessuna squalifica per Vida, ma solo quella che può essere definita come "un'ammonizione ufficiale".

(...) La Fifa ha graziato Vida, nessuna squalifica per Croazia-Inghilterra
Il massimo organo calcistico internazionale dopo aver visionato il tutto ha deciso di non punire con la squalifica Vida che dunque sarà regolarmente in campo nella semifinale dei Mondiali 2018 Croazia-Inghilterra. La Fifa infatti ha optato per il classico "warning", ovvero un'ammonizione ufficiale, accettando dunque quelle che sono state le giustificazioni e spiegazioni di Vida e della Federcalcio croata.

La Croazia e la giustificazione di Vida che ha convinto la Fifa
La Croazia infatti ha dichiarato in maniera ufficiale che le parole pronunciate da Domagoj Vida al termine della partita contro la Russia si riferivano al sostegno dimostratogli dai tifosi ucraini durante i Mondiali. Vida infatti ha vestito la maglia della Dinamo Kiev dal 2013 al 2018. Nonostante tutto però anche la Federcalcio croata ha rivolto un invito a tutti i propri tesserati in una nota ufficiale: "la federcalcio croata invita i giocatori della nazionale ad astenersi da qualsiasi dichiarazione che può essere interpretabile come politica"


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23 giugno 2018

Serbia, il ct Krstajic: "La Var come la Corte dell'Aja". Polemiche anche con i politici kosovari

Il commissario tecnico ha commentato così il rifiuto dell'arbitro Brych di ricorrere alla moviola nella partita contro la Svizzera dopo un episodio dubbio ai danni dell'attaccante Mitrovic. I media serbi, intanto, riferiscono di interventi provocatori da parte di esponenti politici kosovari prima e dopo il match con toni nazionalistici e antiserbi

BELGRADO - "La Var è come la Corte dell'Aja: i serbi sono vittime di una giustizia selettiva". Si è espresso in questi termini il ct della Serbia Mladen Krstajic sul rifiuto dell'arbitro tedesco Brych di visionare il Var ieri sera nella partita dei Mondiali persa contro la Svizzera, dopo un episodio dubbio ai danni dell'attaccante Mitrovic. "Purtroppo solo i serbi, a quanto pare, vengono condannati sulla base di una giustizia selettiva - ha detto il ct serbo - Prima il maledetto Tribunale internazionale penale dell'Aja (Tpi), oggi nel calcio il Var".

LA POLEMICA CON I POLITICI KOSOVARI - Nel frattempo prosegue la polemica politica tra Belgrado e Pristina dopo la partita di ieri sera vinta 2-1 dagli elvetici con le reti messe a segno da Xhaka e Shaqiri, cittadini svizzeri entrambi di origini kosovare e etnia albanese. I media serbi riferiscono oggi di interventi 'provocatori' da parte di esponenti politici kosovari, che prima, durante e dopo la partita di ieri sera a Kaliningrad, sono intervenuti sulle reti sociali con toni nazionalistici e antiserbi, a sostegno dell'irredentismo kosovato-albanese.

Il ministro degli esteri del Kosovo Behgjet Pacolli, alla vigilia dell'incontro in questione, ha scritto su Twitter di sperare che gli 'albanesi kosovari' sconfiggeranno la Serbia, nonostante l'avversario dei serbi sarebbe stata la Svizzera. "Riusciranno i nostri ragazzi a battere la Serbia stasera? Penso di si", ha scritto Pacolli. Da parte sua Flora Citaku, ambasciatore del Kosovo negli Stati Uniti, ha affermato in un tweet dopo la partita che i gol degli albanesi Hhaka e Shaqiri sono qualcosa di storico per il Kosovo: "Due albanesi del Kosovo hanno determinato oggi la vittoria della Svizzera sulla Serbia - ha scritto Citaku - Le loro famiglie ottennero asilo in Svizzera durante la guerra in Kosovo (di fine anni novanta, ndr). Oggi hanno segnato e hanno vinto. Lo sport a volte è qualcosa di più dello sport. Oggi avete portato sulle spalle la nostra storia". "Vi voglio bene", ha twittato Citaku.

I due calciatori di origini kosovare, accusati da Belgrado di aver esultato dopo i gol con il gesto a indicare l'aquila della 'Grande Albania' (progetto nazionalista denunciato dalla Serbia e che mira a riunire in un unico stato tutti gli albanesi residenti nei vari paesi balcanici, ndr), hanno sostenuto di aver fatto tale gesto per la grande emozione e col pensiero diretto alle loro famiglie e al loro popolo, e non contro la Serbia. Critiche al loro comportamento sono giunte comunque dalla stampa svizzera, con il quotidiano Blik che ha parlato di un modo di festeggiare "inutile e stupido".

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Mondiale di calcio in Russia. L' arbitro tedesco a casa

L' ultimo fischio per il tedesco Felix Briech. Mandato a casa per le forti critiche di non aver concesso il rigore in favore della Serbia nella partita contro la Svizzera, ma anche a non volere consultare il VAR:


SVETSKO PRVENSTVO 

Poslednji zvižduk Feliksa Briha

Najbolji nemački sudija Feliks Brih poslat je kući posle žestokih kritika zbog nedosuđenog jedanaesterca za Srbiju protiv Švajcarske. U Nemačkoj smatraju da je to nepravda, a sve okolnosti su i dalje nepoznate.
Na rubu izveštavanja o Svetskom prvenstvu u fudbalu u Nemačkoj se svo vreme postavljalo pitanje: da li će Feliks Brih suditi finale? Te nade su ponešto podgrejane posle ispadanja Nemačke, ali su se ubrzo raspršile – Brih i njegovi asistenti posle samo jedne utakmice idu kući. Fifa je to i zvanično potvrdila.
Samo jedan nastup na Mundijalu je jedan nemački sudija poslednji put imao pre 36 godina. „Tok ovog SP je naravno teško razočaranje za mene i moj tim“, rekao je Brih. „Ali život ide dalje i doći ćemo ponovo.“


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Kiev, 1942: la partita della morte e quei campioni che sfidarono il destino

di Valerio Nicastro, 26 agosto 2014

Il calcio, lo sappiamo, per molti di noi è tutta la vita. Per un manipolo di calciatori ucraini, nell’agosto del 1942, però, il pallone fu davvero questione di vita o di morte. Una di quelle storie in cui sai già di affrontare un nemico che ti ha già sconfitto, una di quelle storie in cui sai già che dovrai piegare la testa e restare al tuo posto.

Ma, quando vedi quel pallone rotolare, e lo vedi prendere la forma del riscatto e della vendetta che probabilmente non ti potrai mai prendere, non riesci a fermarti, e allora giochi come sai fare, anche se sai che probabilmente ti costerà la vita. Così andò quella che è passata alla storia come “La partita della morte“, quella che si giocò a Kiev nell’agosto del 1942 e che, ancora oggi, fatica a svelare il suo alone di mistero e leggenda.

Secondo alcuni non è mai esistita, secondo altri le cose andarono diversamente. Secondo noi, c’è sempre un fondo di verità nelle storie che arrivano fino ai giorni nostri, e a noi piace raccontarla così come l’abbiamo conosciuta. Ma andiamo con ordine, perchè, fidatevi, è una di quelle storie che tolgono il fiato.

Siamo, come detto, nell’agosto del 1942, in Ucraina. Siamo in piena seconda guerra mondiale, e le truppe naziste sono nel loro periodo di massimo successo, sembrano avanzare verso la conquista dell’intera Unione Sovietica che, invece, arranca e soffre, cercando di non piegarsi all’invasore teutonico. Che, diciamocelo, non deve essere proprio bella la vita quando ci sono le truppe dell’esercito tedesco che bussano ai confini di casa tua.

Un gruppo di calciatori ed ex calciatori ucraini, principalmente militanti o che avevano militato (non è che si giocasse poi molto da quando c’era la guerra) tra la Lokomotiv e la Dinamo di Kiev sono lavorano in un panificio, non per piacere ma in condizione di prigionieri di guerra. Di tanto in tanto, unico sollievo in quella vita quantomeno triste, il pallone: giocano, alle volte, insieme, in una squadretta che prende il nome di Start FC.

I tedeschi, che anche loro si dilettavano a giocare al calcio, li sfidano una prima volta nel mese di luglio, con una formazione abbastanza raffazzonata, composta da soldati della Luftwaffe, l’aviazione, ma con la quale credevano avrebbero vinto abbastanza facilmente. D’altronde, chi andrebbe mai a pensare che dei prigionieri di guerra avrebbero avuto l’ardire di fare un torto ai propri aguzzini?

Quando però le squadre scendono in campo, se così si può chiamare quel che rimane del terreno di gioco in una Kiev disastrata dall’occupazione nazista, le cose non appaiono così semplici. Sugli spalti si sono radunati un gran numero di ucraini, e quelli che a pallone ci sanno giocare per davvero non se la sentono di fargli un torto. In quelle condizioni, si guardano negli occhi e sanno che oggi sono lì per dare una speranza a quella gente, per fargli vedere che possono, insieme, rialzare la testa. Risultato: cinque palloni da raccogliere in fondo al sacco e sonora umiliazione per i tedeschi. 5-1 per lo Start.

I tedeschi, ancora oggi, nell’anno del Signore 2014, non prendono mai bene una sconfitta.Figuratevi cosa doveva rappresentare quell’umiliazione nel 1942, contro una squadra di prigionieri di guerra debilitata dalla fame. E, allora, ecco che nasce l’idea della vera partita della morte, quella del 9 agosto 1942.

Viene organizzato un torneo al quale partecipano squadre composte da giocatori di diverse nazionalità, rumeni, russi, slavi. Ma lo sanno tutti, ci sono anche quelli dello Start FC. E sono lì solo per un motivo, per ritrovarsi di fronte ai tedeschi, in finale. Ed è quello che, ovviamente, il destino, in quel caso in divisa da gerarca nazista, fa succedere. 9 agosto, stadio Zenith di Kiev. Sta per andare in scena la partita della morte, la rivincita di quella di qualche mese prima.

Rivincita alla quale i tedeschi tenevano particolarmente: la Luftwaffe viene rafforzata dalla presenza dei migliori ufficiali che fossero in grado di tenere il pallone da calcio tra i piedi. Una squadra in salute, forte fisicamente, con il morale rafforzato dall’occupazione in terra straniera e una guerra che stava prendendo la via di casa. Contro un gruppo di prigionieri affamati, che non stavano in piedi, con il morale sotto i tacchi per non essere più padroni in casa loro. Arbitro, ovviamente, un ufficiale delle SS, ma non c’era manco bisogno di dirlo questo.

Ma, lo sappiamo, quando scendiamo in campo, non importa quanto forte sia l’avversario, quanto male stiamo noi o quanto in forma sia lui. Quando scendiamo in campo, anche se in condizioni disperate, vorremmo fare solo una cosa: segnare un gol in più degli avversari e vincere.

Il problema, però, era che quella partita i giocatori ucraini sapevano già di non poterla vincere. Sapevano già che, i permalosi ufficiali tedeschi, questa volta non gliel’avrebbero fatta passare liscia. Se avevano organizzato quella partita, era solo per infliggergli una pesante umiliazione e fargli capire chi comandava, in quel momento. E chi avrebbe comandato d’ora in poi.

Le istruzioni erano precise. Al momento di entrare in campo, bisogna fare il saluto nazista. Ma lo sappiamo, in campo nessuno ci sta a farsi comandare, figuriamoci se a dirlo sono quelli che ti stanno per invadere e che stanno uccidendo i tuoi cari, e non metaforicamente. Quando entrano in campo, i calciatori ucraini guardano i tanti ufficiali e soldati tedeschi in tribuna e urlano “Fitzcult Hura!”, il motto sovietico che veniva adottato anche dall’esercito. Se dobbiamo giocarci la vita, tanto vale giocarcela a modo nostro, pensano. Tanto vale mettere in campo quel poco che ci è rimasto, e fare l’unica cosa che ora possiamo fare per farci sentire vivi: giocare a calcio e dimostrare di essere i più forti.

E, per quanto debilitati dalla guerra e dalla prigionia, gli ucraini più forti lo sono per davvero. In condizioni normali, darebbero una grossa lezione ai tedeschi. Non tirava una bella aria, però, in tutta onestà. Dopo pochi minuti Trusevich, portiere dello Start, viene colpito alla testa in una mischia e resta qualche minuto a terra, stordito. L’imparziale direttore di gara nulla ha visto, ovviamente.

I tedeschi si portano in vantaggio, nel tripudio dello stadio che non è di casa, ma che, nei piani di Hitler e soci, a breve lo diventerà. Se questa storia fosse una storia normale, gli ucraini, distrutti, stanchi, affamati, mollerebbero e lascerebbero vincere i tedeschi facilmente, provando così a salvare la pelle. Ma l’animo umano non è fatto per conoscere la sconfitta, figuriamoci per sopportare l’umiliazione. Kuzmenko pareggia i conti su punizione, poi Goncharenko, il più talentuoso giocatore dello Start, realizza una doppietta da fuori area. Quasi costretto, perchè tirando da fuori l’arbitro non avrebbe potuto fischiare il fuorigioco…

All’intervallo è 3-1 per gli Ucraini, l’aria nello spogliatoio, che poi è una baracca in realtà, è pesante. In molti si chiedono se davvero gli convenga vincerla questa partita. D’altronde, però, non vorranno mica ammazzarci per il pallone. La risposta invece era probabilmente “si”, perchè un ufficiale tedesco si porta dietro un interprete e prova a far capire ai ragazzi che forse è meglio se la perdono quella partita, se ci tengono alla loro pelle. In parole povere, una sconfitta avrebbe fatto perdere la faccia al Terzo Reich, e, in quel momento, era l’ultima cosa che il Terzo Reich avrebbe voluto. Dunque, per il bene di tutti, che ne dite se gentilmente ci fate vincere questa partita?

Le parole probabilmente sorgono il loro effetto, e la ripresa inizia con i tedeschi all’attacco e due reti segnate: 3-3. Ma oramai, gli ucraini erano lì. Ed erano chiaramente più forti, e, quando sei più forte, non riesci a non fare quello che più ti riesce facile, battere il portiere avversario. Anche senza volerlo, probabilmente, segnano altre due reti, portandosi sul 5-3.

Come in un sogno ovattato, forse, è adesso che realizzano quello che sta per succedere, ma è forse anche questo il momento in cui realizzano che stanno per diventare degli eroi, delle icone del calcio e della patria. A pochi minuti dalla fine, Klimenko, dopo aver saltato tutta la difesa e il portiere tedesco, si ferma sulla linea di porta, si gira e calcia di forza il pallone verso la propria metà campo. Eccoci, venite a prenderci. I più forti siamo noi, vi battiamo quando volete. La morte, poi, cosa volete che sia?

Troppa l’umiliazione per i tedeschi, frettoloso triplice fischio finale. Lo Start ha vinto, il destino dei suoi giocatori è ormai segnato. Per i tedeschi, diventeranno carne da macello, per il popolo ucraino, che in quel momento stava assistendo, seppur in minima parte, allo spettacolo, eroi. Irrimediabilmente, incredibilmente, indissolubilmente eroi.

A poco a poco i giocatori dello Start moriranno tutti, vittime delle rappresaglie naziste. Si dice che Mykola Korotikh, uno dei più forti di quella squadra, venne preso praticamente in campo e ucciso pochi giorni dopo. Alcuni soldati tedeschi si recarono nei giorni successivi al forno dove lavoravano i giocatori ucraini, ne presero alcuni e li giustiziarono sul posto. Gli altri, a poco a poco, fecero la stessa fine. Era oramai inevitabile.

Non sappiamo per certo come andarono i fatti. Quella che vi abbiamo raccontato è la storia dei sopravvissuti a quella partita (solo tre: Fedor Tjutcev, Mikhail Sviridovskij e Makar Goncharenko, che riuscirono a scappare e si unirono poi all’Armata Rossa durante la liberazione di Kiev), probabilmente negli anni la leggenda è stata circondata da un alone di mistero che ne ha ingigantito i contorni. La partita della morte ha ispirato molti libri e film, tra cui il celeberrimo Fuga per la Vittoria, con Sylvester Stallone protagonista e la partecipazione di Pelè. Ecco, qui il lieto fine non c’è.

Quello che è certo però è che il calcio non è mai solo un gioco, e che, quando diventa qualcosa di maledettamente serio, non c’è morte che tenga. Per dimostrare di essere i più forti, per dimostrare di essere liberi, siamo disposti anche a morire. E a diventare eroi.


Non avevamo armi, ma avevamo la possibilità di lottare e vincere almeno sul campo; per la nostra bandiera, per la nostra Patria, per il popolo ucraino e i nazisti avrebbero potuto constatare che non sarebbe stato facile sottometterci e calpestare la nostra dignità” (Makar Goncharenko)



[na srpskohrvatskom: Bjekstvo iz koncentracionog logora “Casermette” – 75. godišnjica, 22.9.2018.god.

https://www.cnj.it/home/sr-yu/37-vrijednosti/8901-colfiorito2018sh.html ]

 

Con il patrocinio di: Regione Umbria Comune di Foligno

 

sabato 22 settembre 2018

nella Sala Convegni del Parco di Colfiorito, presso le Casermette

06034 Colfiorito di Foligno (PG)

 

Di più di 1500 internati nel campo di concentramento delle Casermette di Colfiorito – antifascisti jugoslavi in grande maggioranza originari del Montenegro, deportati per essersi opposti alla occupazione italiana delle loro terre – circa 1200 scapparono al calare del buio il 22 settembre 1943. Questi fuggiaschi, assieme a migliaia di altri provenienti da decine e decine di simili campi e luoghi di confino e prigionia, trovarono rifugio e protezione da umili e coraggiose famiglie di contadini e montanari nelle località più remote della dorsale appenninica, dove parteciparono ai primi fuochi della Resistenza italiana

 

La fuga dalle Casermette –
75° Anniversario



Convegno e rappresentazione teatrale per celebrare l'anniversario della grande fuga

ORE 10:00–18:30

Convegno

Sistema concentrazionario fascista / Resistenza e partecipazione degli jugoslavi nel Folignate e nel Centro Italia / Politiche della memoria dell'internamento e della Resistenza / Iniziative per le Casermette di Colfiorito

RELAZIONI DI: Manlio Marini (Officina della Memoria di Foligno) – Andrea Giuseppini (Campifascisti.it) – Luciana Brunelli (storica) – Alessandra Kersevan (storica) – Giuseppe Lorentini (Campocasoli.org) – Angelo Bitti (storico) – Andrea Martocchia (Jugocoord Onlus)

INTERVENGONO NELLA DISCUSSIONE: Testimoni degli eventi, Sindaco di Montecavallo (MC), Sindaco di Casoli (CH), presidenza Jugocoord Onlus, presidenza ANPPIA nazionale, ANPI comitati provinciali Perugia e Macerata e numerose sezioni locali, ANED Umbria. SONO INOLTRE INVITATI: Sindaco di Foligno, Assessori e Funzionari in rappresentanza del Comune e del Parco di Colfiorito, presidenza della Regione Umbria, Ass. Partigiani (SUBNOR/SOBNOR) del Montenegro, Com. Gherush92, Fondazione Basso, congiunti di antifascisti ex-prigionieri...

ORE 17:00

Spettacolo teatrale

DRUG GOJKO

Monologo di Pietro Benedetti



 

Lo spettacolo, che si avvale della testimonianza diretta di Marignoli, riguarda la storia locale, nazionale ed europea assieme, nel dramma individuale e collettivo della Seconda guerra mondiale. Una storia militare, civile e sociale, riassunta nei trascorsi di un artigiano, vulcanizzatore, del Novecento, rievocati con un innato stile narrativo, emozionante quanto privo di retorica. Regia di Elena Mozzetta. Produzione CP ANPI Viterbo. Ideato da Giuliano Calisti e Silvio Antonini. Testi teatrali Pietro Benedetti, Editore Davide Ghaleb. Consulenza letteraria Antonello Ricci. Musiche Bevano Quartet e Fiore Benigni. Foto Daniele Vita. Sullo spettacolo si veda anche la nostra pagina dedicata.

Pranzo a cura della "Botteguccia del Campo 64"
<< L'Osteria è specializzata in una cucina del territorio che segue la stagionalità. Quindi non possiamo essere precisi sulle singole pietanze, ma orientativamente proponiamo come antipasto una decina di assaggi, soprattutto di legumi e verdure, come primo due portate, delle quali una sicuramente al tartufo (di stagione), un secondo, vino, acqua, dolce, grappa, caffè.  Tutto può essere offerto a € 20,00 ai partecipanti al convegnoPer le prenotazioni chiamare il numero 349-3440350 specificando che siete partecipanti al convegno! >>

 
Sul sito di Jugocoord Onlus seguiranno tutti gli aggiornamenti sul Programma della giornata

 

(srpskohrvatski / italiano.
Altri nuovi testi di Mira Marković, soprattutto pubblicati sul sito della Associazione SloboDA.
Per i testi precedenti si vedano: 
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8892
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8875
Per altri testi di e su Mira Marković si veda alla nostra pagina https://www.cnj.it/MILOS/miramarkovic.htm 
A cura di I. Slavo)
 
Nuovi testi di Mira Marković
 
1) Intervista a Mira Marković al quotidiano “ Večernje Novosti“, 1 maggio 2018 
2) Прогнана и неизгубљена:

ИЗМЕЂУ ИМИТАЦИЈЕ И РЕТРАДИЦИЈАЛИЗАЦИЈЕ (27.jун 2018)

КОНТИНУИРАНИ ДИСКОНТИНУИТЕТ (22.jун 2018)

 

ДИГИТАЛНА ОПСТРУКЦИЈА ПАРЛАМЕНТАРНОГ ЖИВОТА (13.jун 2018)
КАД ЈЕ ОПОЗИЦИЈА УСКОГРУДА (6.jун 2018)

 
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ORIG.: НЕОКОЛОНИЈАЛНИ АРБИТРИ СУ УКИНУЛИ ЈУГОСЛАВИЈУ                       
Интервју са Миром Марковић, „Вечерње новости“, 1 маја 2018. 
http://www.sloboda.org.rs/miraintervju.html
 
 
http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1295:intervista-a-mira-markovic-al-quotidiano-novosti&catid=2:non-categorizzato
 
Intervista a Mira Marković al quotidiano “ Večernje Novosti“
 
di Dragan Radević
 
Traduzione di Rajka V. per Forum Belgrado Italia/CIVG
 
Nell’edizione del 1 maggio 2018 “Večernje Novosti“ ha pubblicatato un'intervista con Mira Marković il cui testo pubblichiamo integralmente
 

D: Chi, oppure che cosa l’ha delusa di più dopo il colpo di stato del 5 ottobre 2000?

R: Da diciassette anni e mezzo che i giornalisti, tra le altre, mi fanno questa domanda. Ed io sempre rispondo: nessuno. Ecco i motivi per la risposta, nessuno. Alla fine degli anni settanta e all’inizio degli anni ottanta sono stata qualche volta in compagnia di un uomo che rispettava molto la politica di quel periodo sia serba che jugoslava, e quella politica, tra l’altro, esprimeva la paura dal nazionalismo serbo che pur nascosto era vitale, minacciava di mettere a rischio tutte le altre nazionalità ed etnie in Jugoslavia. Quest' uomo che rispettava tale politica ed i suoi rappresentanti più importanti in Serbia, esprimeva la propria posizione pubblicamente, spesso anche emotivamente. Ed ammirava i protagonisti di tale politica in ogni occasione, particolarmente in occasioni in cui loro erano presenti. Questa ammirazione sovradosata qualche volta imbarazzava pure loro.

Poi c’è stata l’Ottava seduta. Allora è successo il trionfo di una politica diversa, almeno per quanto riguardava la Serbia. Il nazionalismo serbo non è dominante nel popolo serbo e, dove esiste, non rappresentava un pericolo per la Jugoslavia, maggiore degli altri nazionalismi.

Alcuni giorni dopo l’Ottava seduta, è riapparso quest’uomo, stavolta come grande avversario delle politiche precedenti ad ammiratore di quelle nuove.

In quel periodo lui mi incontra e mi spiega che Milošević ha riportato al popolo serbo la fiducia nella vita, che è il personaggio storico più grande del popolo serbo, dopo Karađorđe e come io non so, a quale grande uomo vivo accanto...

E ci in invita a cena perchè sarà un onore per lui e per la sua famiglia. 

“Fammi questo favore“. “Va bene “ dico io. “Quando?“, mi chiede.

“Il secondo o il terzo giorno dopo la fine del mandato di Slobodan.“

“Non scherzare“ dico. “Sono serio,“ dice lui. “Anch’io“, dico io.

Me ne sono ricordata nei giorni dopo il colpo di stato. Lui non c’era per invitarci a cena.

Non aveva tempo. Adesso aiuta associazioni per i diritti umani, democrazia e adesione all’Ue.

Sapevo che era pronto per la prossima tappa, qualunque fosse stata.

Ecco, per questo nessuno mi ha deluso. Non essere solidi moralmente, fa parte integrante dell’ essere umano. Il loro volume e modalità di espressione, sono diversi in funzione dei periodi e ambienti. Ma sono inevitabili.

È piuttosto diffusa tendenza verso l’ateismo morale, con passar del tempo ne avverà una riduzione ma non inevitabilmente e automaticamente.

Una delle imprese di emancipazione più importanti sarà l’elevamento delle norme etiche.

Per quanto riguarda delusione negli eventi, non la potevo evitare.

Mi è successo una volta sola. Nel 1990 quando due milioni degli iscritti del Partito comunista jugoslavo sono fuggiti precipitosamente in altri partiti, in cui la maggioranza aveva posizioni diverse dal partito in cui avevano passato la vita intera o almeno la maggior parte della vita.

Se la risposta è ampia, non la modifichi. Elimini sia domanda che risposta. 

 

D: I monumenti dedicati agli statisti e personaggli importanti, non devono dividere ma unire. Slobodan rappresentava l’unità del popolo serbo nonostante che esistano quelli che la pensano diversamente.

R: I valori generazionali, i valori delle epoche si esprimono nei monumenti che li rappresentano.

Alcuni di questi valori rimangono a lungo, altri per sempre. Cosi anche i monumenti. Ciò si riferisce innanzitutto ai monumenti dedicati agli artisti, scenziati, comandanti dell’esercito, il cui contributo nelle battaglie storiche è rimasto significativo nonostante il tempo passato. Particolarmente quando si tratta del passato lontano.

Però quando si tratta dei personaggi della vita politica, i monumenti qualche volta durano fino a quando dura la politica che essi rappresentano.

Nella seconda metà del secolo scorso abbiamo visto costruire e distruggere monumenti a distanza di qualche decennio. Spesso lo hanno fatto le stesse persone.

 

D: Una volta ha dichiarato che "vive tra i sogni e la pallida luce della luna". A proposito,  è da molto tempo a Mosca, la Russia è diventata la sua seconda patria?

R: La mia  unica patria è Jugoslavia. Li sono nata, li ho vissuto, da lì me ne sono andata. Essa non esiste più. Qualche volta mi sembra che in esilio con me sia andata pure essa.

 

D: L'Ue è l'unica alternativa per la Serbia, come affermano alcuni?

R: L'unione dei popoli d'Europa è un'idea meravigliosa, una possibile possibilità.

Ma per esserlo bisogna che tutti nell'Unione abbiano uguali diritti e che ci sia prosperità per tutti.

Per ora tale unione non mi pare possibile. Prima di tutto c'è gerarchie tra gli stati e di conseguenza tra i popoli.

Perciò le decisioni che riguardano tutti gli stati membri, non vengono portate in un modo comune ed eguale. Per ora, esse vengono portate dai tre stati economicamente più potenti, il potere del mercato europeo.

Adesione della Serbia all'Ue ha vantaggi e svantaggi. Essi sono il motivo delle posizioni contraddittorie dei serbi riguardo all'Unione.

Da quasi diciotto anni l’adesione all'Ue rappresenta la piattaforma politica dominante del paese ed èappoggiata da un grosso numero di cittadini. Abbandonarla sarebbe una delusione per loro, perchècredono che l'Ue porti pace, stabilità e prosperità. È vero che i membri sono protetti dalla guerra, garantisce certa stabilità, c'è anche la possibilita, non spettacolare, di possibile prosperità.

Gli avversari temono che l’adesione potrebbe limitare la sovranitàorizzontale e l’indipendenza.

Queste due posizioni antagoniste provocano tensioni non solo nella vita politica ma anche al livello nazionale.

Qualunque fosse la decisione una parte del popolo non sarà contenta.

I punti deboli dell'Ue provocano queste posizioni contraddittorie, anche dentro stati membri.

I dilemmi dei paesi membri e dei membri potenziali, dureranno fino a quando l'Unione non si trasforma in una Unione, la cui qualitàprogressiva, farà sparire i privilegi di alcuni stati membri e verranno riesaminate la legittimità delle loro scelte.

In questo secolo si vedràse la trasformazione dell'Ue avverrà gradualmente, continuativamente, lentamente oppure a causa dei conflitti accumulati, non risolti o possibili nuovi, ci saràuna pausa per poter creare una vera unione dei popoli europei con uguali diriti.

 

D: Nel 1997, quando ha promosso la mostra dei pittori cinesi a Požarevac, ha sottolineato che “nasce una nuova e potente Cina, capace di creare un equilibrio positivo tra il passato ed il presente”. Allora molti “democratici” erano stupiti e sorrisero con aria ironica.

R: Per quanto riguarda la mia dichiarazione che la Cina crea equilibrio positivo tra il passato ed il presente, questo èilrisultato di discorsi e incontri, che negli anni novanta ho avuto in due Accademie delle scienze, in Università, all' Istituto delle scienze sociali del Partito Comunista cinese, con molti politici, scienziati, personaggi politici, artisti...

Questo equilibrio fa parte della loro piattaforma per la riforma della società cinese, entro cento anni.

Giàallora e specialmente adesso, si è dimostrato che questo equilibrio, come pure la riforma, hanno portato ai risultati positivi nella qualitàdella vita in Cina e nello status della Cina a livello internazionale.

Tale riforma e tutto quello che succede in Cina èrisultato di studi multiscientifici e di pianificazione.

Presso l'Accademia dele scienze a Shanghai, ho parlato due volte con il presidente e i capi di relativi settori e loro mi hanno presentato quali sforzi si stavano facendo su tutti i livelli scientifici, per trasformare Shanghai in una città modello per gli impieghi più vasti, nel caso si verificasse come un progetto di successo. E cosi èsuccesso.

Pensavo allora, se per secoli si credeva che la Cina fosse protetta e custodita dal muro cinese, adesso si sa che la Cina viene protetta e custodita dalla scienza.

E per quanto riguarda lo stupore di cui parla lei, negli anni novanta a Belgrado, non solo “democratici” ma anche molti altri mi prendevano in giro, per i miei contatti scientifici, pubblicistici e politici con la Cina. Come del resto per simili contatti con la Russia.

Allora Cina e Russia erano per la maggior parte della nostra opinione pubblica, indirizzi triviali nel senso scientifico, pubblicistico e politico. Con estremo disprezzo nella stampa di opposizione, scrivevano dei miei libri pubblicati in questi paesi e delle lezioni che tenevo nelle loro università.

Oggi questi indirizzi sono di prestigio, per tutti coloro che a suo tempo li avevano presi in giro.

Quando Russia e Cina si sono trovate in cima del palcoscenico mondiale, quando il destino del mondo in gran parte dipende dalle loro decisioni, si sono girati verso Oriente  gli uomini d'affari, gli artisti, gli animatori, gli sportivi ...

Ogni collaborazione con questa parte del mondo (come con altre parti del mondo) è giustificata se èreale e utile. E deve avere l'appoggio dello stato.

Però, lo stato dovrebbe  proteggere le sue nuove politiche economiche e culturali in questa parte del mondo, perchènon siano compromesse da quegli avvoltoi che non hannoavuto occasioni nei loro paesi e provano ad accumulare ricchezza in altro posto.

 

D: Qual èil futuro del Kosovo e se la Serbia sia in grado di difendere questa parte del suo territorio?

R: Dopo colpo di stato del 5 ottobre, il governo dello stato federale, con Kostunica a capo ed in Serbia con Đindzic come presidente, ha dato la possibilità alla minoranza albanese del Kosovo di creare un suo stato nel territorio del paese serbo.

Questo era la concezione di quella parte del mondo che si èautonominata comunità internazionale. Questa parte del mondo ed alcune altre parti del mondo, nel 2008 hanno riconosciuto lo stato kosovaro. Quindi questo stato sarà difeso da quelli che l'hanno riconosciuto. Il destino di questo stato dipende dal rapporto tra i poteri.

Quanto i suoi potrettori saranno disponibili a sorvegliare e quanto gli avversari saranno disponibili a compromettere le sue competenze. Se i serbi e gli albanesi, senza gli arbitri neocolonialisti fossero stati da soli a decidere sulle proprie vite, oggi sarebbero ancora insieme.

Come sarebbero insieme anche gli ex jugoslavi. La creazione dello stato kosovaro e lo sfascio della Jugoslavia, sono il risultato della politica neocoloniale, del potere imperialista che, sfasciando gli stati e provocando conflitti, preparano il terreno per poterli sottoporre al proprio controllo.

Sugli scontri interetnici veniva costruito il potere del colonialismo.

 

D: Nei Balcani e in Serbia ci sono state tempeste che sono ancora presenti. Lei ha collocato questo spazio “tra l'Est e Sud”.

R: Dal punto di vista di qualcuno che non vive nei Balcani, si tratta di una penisola pittoresca. Pittoresca geograficamente e storicamente. Ma non troppo raccomandabile per un soggiorno più lungo, particolarmente per un soggiorno a tempo indeterminato.

Ci si scontra con clima, interessi e caratteri. Quelli che vivono lì assomigliano al sud, ricordano guardando ad est, ammirano l'occidente, sognano il nord.

Come gente così, può organizzare la propria vita insieme, in un paese comune, in una comunità di popoli dei Balcani (con sede, per esempio, in uno degli altipiani di montagna Balcan). 

Nonostante clima, interessi e caratteri diversi, la Jugoslavia ha dimostrato che è possibile. Non èvero che Jugoslavia ha dimostrato che non è possbile.

Che è possibile lo vuole oggi dimostrare l'Ue. Se in Ue possono convivere felicemente discendenti di Amleto e del greco Zorbas perchè nei Balcani non possono convivere, forse piùfelici, discendenti di Matija Gubec, Georgi Dimitrov e Starina Novak.

La Jugoslavia è stata precursore di un Europa futura. L'Ue non ha guardato la Jugoslavia con simpatia, voleva essere lei stessa, precursore dell'unione dei popoli d'Europa e non la Jugoslavia. Ma la Jugoslavia lo era comunque. Perciò ha pagato un prezzo alto. Hanno fatto sventolare una bandiera della storia che volevano altri, più forti di lei.

Perciò questa bandiera non la darà nemmeno ai popoli dei Balcani. Nonostante il fatto che essa appartiene a loro dal punto di vista razionale e etico.

Per ora è così.Non so come saràdopo.

 

D: Il rapporto di Dick Marty ha messo in luce tutti i crimini dell'Uck in Kosmet, dall'estrazione e traffico di organi serbi, fino ai rapimenti, a terribili torture e crudeli esecuzioni dei serbi. Come interpreta che l'occidente tace e che fino ad oggi nessuno è stato processato per questi crimini terribili?

R: Questo “stato” Kosovo, è stato costruito in una notte e fuori dal Kosovo. Se fosse stato costruito di giorno e se fosse stato costruito dai migliori rappresentanti del popolo albanese, le sue fondamenta non sarebbero basate sulla violenza. Cioè,forse non ne avrebbero bisogno.

Se gli interessi dei kosovari albanesi fossero rappresentati dalla gente migliore, istruita ed emancipata, forse per realizzare questi interessi non avrebbero avuto bisogno di un altro stato albanese, ma tali interessi li avrebbero trovati nella convivenza con la gente con cui avevano vissuto in precedenza. Nello stato comune.

Siccome tale “stato” l'hanno fatto fuori dal Kosovo i non albanesi, hanno manipolato a tale scopo gli albanesi kosovari. I migliori non c'erano a loro disposizione.

Sono costretti a stare zitti sugli affari “statali” dei loro collaboratori.

Forse i creatori  di questo stato fuori del Kosovo, sperano che l’attuale gruppo di “statisti”, quando scade la loro durata, sarà sostituito di altri migliori, rivolti all'economia e cultura, non al traffico di organi e contrabbando.

 

D: Dopo tutto ciò che è successo in decenni precedenti, non è basso il numero di quelli che hanno rovesciato Slobodan, e oggi ribadiscono che sono stati manipolati e ingannati, e che volentieri andrebbero a Požarevac, alla sua tomba, per chiedergli scusa.

R: Che vadano. Che chiedano perdono. Dovrebbero però chiedere scusa anche a tutta quella gente che appoggiava Slobodan Milošević e la quale, a causa di questo appoggio, era minacciata, presa in giro, definita nazionalisti, banda rossa, bolsevichi, antieuropei, anticristo, cetnici...

Non potevano essere tutto questo contemporaneamente, perchè non erano niente di questo.

Erano come Slobodan Milošević per la pace, per un paese libero e indipendente, per uguali diritti tra le persone e i popoli.

D: Quali sono le conquiste più importanti che il presidente Milošević ha lasciato in eredità, per cosa verrà ricordato?

R: Vedo ogni tanto che le sue conquiste e il suo ruolo in sedici anni di presenza nella vita politica e sociale in Serbia, viene semplificata, perfino da quelli che hanno le intenzioni migliori. Tutti parlano dell'Accordo di Dayton e Risouzione 1244 come delle sue conquiste più importanti.

L'essenza della sua politica era la lotta contro il conservatismo e il colonialismo.

Per quanto riguarda il conservatismo Slobodan Milošević èstatoportatore dell'idea di una riforma economica, politica e sociale alla fine degli anni ottanta che, se fosse stata realizzata avrebbe trasformato la societàverso un livello più alto di sviluppo. Con tale riforma potevano essere risolti molti difetti del capitalismo neoliberista e del socialismo reale. Questa trasformazione iniziata nel 1987, l'hanno fermata la fine di guerra fredda e l’espansione del neocolonialismo in Europa e nel mondo.

Per quanto riguarda il colonialismo, nel nostro paese Slobodan era creatore e portatore della resistenza alla nuova egemonia. Ha mantenuto e difeso l’indipendenza del paese, il cui presidente era ed èriuscito, a fare sì che il paese sottoposto alle sanzioni, fosse comunque in condizioni di vita migliori dei paesi vicini, che non erano sotto sanzioni, ma erano appoggiati da quelli che a noi li avevano imposti.

Slobodan Milošević, a capo di un popolo piccolo, era non solo un simbolo di resistenza al nuovo colonialismo, ma anche la personificazione della resistenza. Era tutto questo come leader del popolo serbo, come capo dello stato ed anche lo è stato al tribunale dell'Aia.

Per precisare le sue conquiste:

1. Ha liberato il popolo serbo dal senso di colpa per il comportamento della borghesia serba nella seconda guerra mondiale (simile al comportamento della borghesia croata nello stesso periodo).

2. Ha proposto una riforma sociale radicale, basata sui principi di efficienza economica e uguaglianza sociale nella metàdegli anni ottanta.

3. Ha equiparato la Serbia con le altre Repubbliche jugoslave, modificando la Costituzione della Serbia nel 1989, ha limitato l’autonomia di Kosovo e Vojvodina, perchè c'era il pericolo che si trasformassero in repubbliche.

4. Nella Costituzione della Serbia nel 1990, sono state equiparate tutte le forme di proprietà, è stato introdotto il sistema pluripartitico, èstato rinforzato il ruolo del mercato e il presidente della Serbia èstato eletto  con le elezioni

5. Nella Costituzione del Partito socialista serbo nel 1990,  ha sancito e ha fatto approvare l’unità degli interessi nazionali e sociali, nel partito di sinistra più grande dei Balcani

6. Ha conservato l’indipendenza della Serbia, ha impedito una guerra civile nella comunità multietnica nonostante gli sforzi dall'esterno di accendere il fuoco.

7. La qualità della vita in Serbia era a un livello piùalto dei paesi limitrofi, che non erano sotto sanzioni e che non avevano le difficoltà in cui si era trovata Serbia nell’ultimo decennio del secolo scorso.

8. Era stato accolto e sistemato più di un milione di profughi, durante le guerre in Croazia e Bosnia Erzegovina, tra i quali non vi erano solo serbi ma anche altre etnie.

9. Ha aiutato materialmente e moralmente il popolo serbo, nelle guerre fuori dalla madre patria per un decennio.

10. Ha fatto sforzi decisivi per mantenere la SFRJ e nella costituzione della SRJ (Serbia e Montenegro) del 1992, come un unico paese in cui possa vivere più di un popolo slavo .

11. Ha ottenuto l’Accordo di Dayton, con il quale si è posto fine alla guerra in Bosnia Erzegovina e si è costituita la Republika Srpska nel 1995.

12.Il contributo personale più grosso alla politica con lo slogan: “I Balcani ai popoli dei Balcani“, all’incontro dei capi di stati balcanici in Creta nel 1997. Questa politica fu fermata dalle violenze in Kosovo e dai bombardamenti della Serbia, come misure imperialiste per fermare la realizzazione di tale politica.

13. L’accordo di Kumanovo, con il quale fu evitata  l’occupazione della Serbia da parte della NATO e arrivarono le forze della Kfor in Kosovo, con mandato di un anno nel 1999. Con questo accordo era stato ribadito il Kosovo come parte della Serbia.

14. Risanamento veloce e autonoma ricostruzione del paese dopo i bombardamenti 1999/2000.

15. Gli sforzi per unire la sinistra in Serbia e Serbia/Montenegro.

16. La sua dignità anome del suo popolo al Tribunale dell’Aia.

17. Cinque anni di battaglia per la verità e giustizia per la Serbia e il popolo serbo al Tribunale dell’Aia.

19. Ragionamenti e comportamento da statista.

 

D: Malintenzionati ribadiscono che Milošević non abbia capito cosa aveva significato il crollo del muro di Berlino e l’unificazione della Germania.

R: Perchè allora questi con così buona vista, buon udito e adeguato cervello non hanno detto in tempo debito cosa succedeva, a lui così cieco, sordo e stupido.

Avevano le occasioni per dirgli quello che vedevano e che lui non vedeva. L’opposizione aveva sotto controllo il novanta percento dei mass media negli anni novanta. E per quanto riguarda gli altri, i saggi osservatori, stavano seduti nei loro uffici o a casa propria. 

Sarà invece che questi pensatori, si sono ricordati nel 2017, di accusarlo di qualche altro peccato per diventare più simpatici ai suoi avversari potenti, mentre fanno politica nei ristoranti, uffici e case private. Che peccato, perchè negli anni novanta non avevano occasione di occuparsi di politica. Per quanto ricordo, negli anni novanta le mani di questi, gli servivano per applaudire e la lingua solo per ripetere le sue frasi, forse perchè non sapevano dire la verità, o le loro capacità linguistiche erano troppo scarse. Ma arrichite con il patriottismo da ristorante. Mi chiedevo allora: Dio mio, come mai non ha notato che è crollato il muro di Berlino...Per quanto riguarda il muro, Slobodan Milošević non l’ha solo visto, ma ha anche previsto cosa sarebbe successo dopo. Ciò si può leggere nel libro “Allegato alla storia del Novecento“ ed il libro con interviste “La battaglia di un leone“ che ho raccolto, redatto e pubblicato dieci anni fa, ma che non erano pervenute al pubblico. Non erano state a conoscenza del suo popolo, per la cui libertà aveva perduto la vita.

D: Oggi veniamo a sapere di tutte le manipolazioni relative all’Aia, la notizia più recente è che procuratore il Nais chiese ad Hashim Thaci 500 mila euro di un presunto debito. Come valuta lei, dopo tutto quanto accaduto,  questo cosiddetto Tribunale Internazionale?

R: Recentemente ho detto in un’intervista“ “...un mezzo di violenza imperialista contro gli avversari del neocolonialismo...“. Ora aggiungo. Al tribunale dell’Aia i serbi sono condanati, ho fatto i conti, a circa mille anni di reclusione.

D: Come valuta la situazione politica attuale e in tale contesto l’elezione di Vladimir Putin?

R: Dopo la fine della guerra fredda, il mondo occidentale che ha vinto, ritiene che abbia la capacità di sottomettere tutto il mondo. L’egemonismo imperialista occidentale, ritiene che disponga delle risorse per colonizzare il pianeta. Hanno riacceso guerre passate e provocato nuove guerre locali per inginnocchiare piccoli popoli e paesi non sviluppati, con la speranza di inginnocchiare anche quelli più grandi, Tutti.

L’ostacolo agli imperialisti sono paesi grandi come la Russia e Cina, che nel frattempo sono diventati economicamente, politicamente e militarmente potenti, ma anche capaci ad opporsi.

Questa resistenza è presente anche in alcuni paesi del Sudamerica. La loro resistenza non è unita, ma ci sono le condizioni per diventare un fattore forte nella lotta contro il colonialismo.

Adesso li sta crescendo una bella, generosa e potente pianta, che non potrà essere distrutta dagli avvoltoi. Per quanto riguarda la vittoria del presidente Putin, essa dimostra l’appoggio di massa alla sua politica dignitosa. Nonostante che il suo paese sia più il grande del mondo, con una grande forza militare, uno dei soggetti con più influsso al livello mondiale, la sua politica non è imperialista. Anzi. Questa politica è contro imperialismo e colonialismo. 

 

D: Dagli USA avvertono che la Serbia non può più sedersi su due sedie e che deve prendere una decisione.

R: Un paese piccolo deve avere buoni rapporti con tutti, particolarmente quelli che contribuiscono alla prosperità economica, sociale e culturale. Deve anche proteggere il proprio popolo da quelli che possono compromettere gli interessi nazionali. E deve appoggiare quella parte del mondo la cui politica contribuisce all’emancipazione, all’uguaglianza e alla libertà.

 
 
 
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http://www.sloboda.org.rs/komentar36.html
 
Прогнана и неизгубљена    

ИЗМЕЂУ ИМИТАЦИЈЕ И РЕТРАДИЦИЈАЛИЗАЦИЈЕ

Пише: МИРА МАРКОВИЋ 
27.jун 2018
 
Некадашње социјалистичке земље (осим Руске федерације) већ скоро тридесет година се налазе у такозваном процесу транзиције, још увек траже свој индентитет у свим сферама свог живота – од економије, преко политичког система до културе. 

Мање–више још се нису снашле и зато и саме за себе кажу да су у транзиционом друштву. 

Још увек, дакле, немају за циљ одређени друштвено-економски концепт. Имају краткорочне економске, политичке и културне намере, везане за интегративне процесе у Европи и решавање ургентних економских и социјалних проблема који су већ пуних двадесет и осам година непрекидно велики. 

Све су опредељене за тржишну економију и вишестраначки систем. И у свима се и даље налазе трагови претходног социјалистичког система и у економском и у политичком животу. 

Комбинација остатака социјалистичке прошлости и нове капиталистичке садашњости не доноси баш брзе позитивне резултате у вођењу економске и социјалне политике. 

Естаблишмент, без обзира да ли га чине тобожњи левичари или фактички десничари, гаји подједнаку наду да је политика коју води добар (оправдан) избор и да су резултати бољи него што их широке народне масе као позитивне доживљавају. 

Овај заједнички оптимистички однос свих власти у овим земљама од 1989. године до данас произилази из чињенице да су све власти (осим једно време у Србији) водиле исту политику. 

Одсуство јасне идентификације друштвеног система у целини највише, разуме се, погађа сферу економског и социјалног живота, али је у истој мери присутно и у сфери културе. 

Те слабости у овој сфери нису од пресудног значаја за живот, не одражавају се на стандард, социјалну безбедност, запосленост, и тако даље, али нису ни сасвим секундарне природе, нарочито са аспекта будућности. 

Национална свест која се формира на текућим културним вредностима биће један од примарних фактора који ће креирати будућност. 

Будућност ће изгледати онако како садашње генерације буду процениле да треба да изгледа. 

А свест садашњих генерација у земљама транзиције формира се на комбинацији имитације западних културних вредности и ретрадицијализације сопствених. 

Западне културне вредности су присутне у музици, пубицистици, естради, моди, медијима, забави. Будући да нису аутентичне манифестују се као имитација. 

Музика, и музичка сцена у целини, је копија западне, пре свега америчке музике и сцене. Као и естрада уопште – по садржају и по дизајну. 

Мода, у свим својим манифестацијама – одећи, понашању, ентеријеру .... постоји само на принципу који дефинише западна модна култура. 

Та имитативна слика је вероватно најиритантније присутна у медијима. Ако се имитативност у моди није могла да избегне, у медијима није била неизбежна. Напротив. С обзиром на културну и политичку биографију ових народа и њихових земаља, медијска аутентичност је била не само могућа већ и оправдана. 

Нешто спорије и са аспекта националне нарави мање иритантно, овај имитативни процес захватио је и оно што се у слободној социолошкој лингвистици зове начин живота. Велики тржни центри, шопинг молови, америчког порекла, постају доминантне адресе свих већих урбаних локација на транзиционом терену. Њихови грађани постају житељи километарских самопослуга у које одлазе редовно породично и индивидуално, дневно и седмично, са посвећеношћу са којом су некада одлазили у цркву. 

Без обзира на квалитет националне кухиње, све већи број становника, нарочито млађе популације, у урбаним срединама даје предност такозваној брзој храни која је легитимни део америчког националног идентитета. 

Хотели, велики ресторани, мале кафане .... све више стичу предност у односу на традиционалне националне угоститељске стандарде. 

Неформално, мада не увек само неформално већ све чешће и формално, образложење за овај процес имитације који је у сфери културе захватио земље транзиције, образлаже се као оправдана потреба за припадношћу свету, као савременост, као цивилизовање постојеће стварности. 

Тај „свет“ је лоциран на англосаксонској територији и степен његовог економског, политичког и културног развоја дефинише стандарде савременог и цивилизованог, којима треба да тежи свако ко жели да то буде, односно ко жели да припада свету. 

То је образац за који су се определила сва транзициона друштва. 

Примену тог обрасца отежавају са њим несагласни субјекти у лицу појединаца, институција и организација, који желе да сачувају националну аутентичност као део националне и државне самосталности. 

Њихови напори су неконципирани, неорганизовани и неповезани. Манифестују се као активирање старих обичаја, форсирање фолклора у најширем смислу, понекад готово паганских навика, средњевековних религијских ритуала, као наметљиво реактивирање манастирске књижевности. И тако даље. 

Та ретрадицијализација није одговор имитативности. Напротив. Делује гротескно, тужно, за образоване младе људе поготово одбојно. 

Ако треба да бирају између ретрадицијализације и имитације изабраће ово друго. Ако треба да бирају између опанака и обуће Бруно Маљи, неће изабрати опанке. 

Заштита од прекопирања, имитирања туђих култура није у аутистичном ситуирању у простор националног. 

Национални идентитет и интегритет не штити изолација (од других нација) већ еманципаторски напори да се на националним искуствима и интересима и повезивању са највишим цивилизацијским достигнућима доба креира виши квалитет националног живота. 

Зато није решење у игнорисању или негирању других, света изван свог. 

У процесу универализације савременог света нужно се повезују сви његови делови, економске, политичке и културне везе су неизбежне, већ у овој епохи је јасно да ће свет све више живети планетарно. Али да би тај живот био у интересу свих не би смео да се одвија по једном обрасцу, поготово не по обрасцу који би из једног његовог дела био наметнут свим другим деловима. 

Ти заједнички, глобано испољени економоски, политички и културни процеси не искључују аутентичност, специфичност и аутономност делова – целина има смисла само ако не угрожава интересе делова, који су се за њу егзистенцијално, цивилизацијски определили.
 
 

(srpskohrvatski / italiano)

Domenico Losurdo e la Sinistra assente

1) Carlo Freccero: La resistenza di Losurdo al Pensiero Unico
2) Intervista a Domenico Losurdo (2012)
3) La ricca opera di Losurdo continuerà a illuminare la lotta per il socialismo (PCdoB / Fondazione Mauricio Grabois)
4) Liberalizam, ideologija “rase gospodara” (Lucien Sève / Lemondediplomatique.hr, 28. lipnja 2018. Recensione al libro di Losurdo "Controstoria del liberalismo")


Si veda anche: 
In memoria di Domenico Losurdo


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Carlo Freccero: La resistenza di Losurdo al Pensiero Unico

di Carlo Freccero per l'AntiDiplomatico

02/07/2018

Nel 2014 fui contattato dal Prof. Domenico Losurdo. Aveva letto alcuni miei interventi sulla Sinistra e li riteneva compatibili col suo pensiero. Mi chiedeva di presentare il suo ultimo libro in uscita: La Sinistra assente. Mi capita spesso di presentare, su richiesta, testi in uscita ed il mio contributo dovrebbe riguardare soprattutto la comunicazione. Ma proprio a livello di comunicazione La Sinistra assente ha modificato per sempre il mio modo di pensare. Nella mia ingenuità, non potevo pensare ad una manipolazione delle notizie che andasse al di là delle più diffuse tecniche di persuasione e di presentazione per arrivare alla contraffazione vera e propria.  Parafrasando Kant su Hume posso dire che Losurdo mi fece uscire dal sonno dogmatico per cui le notizie ritenute universalmente vere, sono vere sostanzialmente perché, al di là di un’interpretazione più o meno ideologica, conservano comunque un legame con la realtà. Con La Sinistra assente ho imparato che non esiste una separazione netta tra realtà e fiction. Il Prof mi aveva scelto come interprete de La società dello spettacolo, ma dimostrò anche a me, prove alla mano, che oggi l’informazione è solo spettacolo. Gli sono riconoscente. Da allora per me, niente è mai stato più come prima e sono finito ad ingrossare le fila, mio malgrado, di quei cospirazionisti ingenui che prima criticavo e che però - analizzati i fatti - dicono la verità. Questi che vi propongo sono i miei appunti di allora per la presentazione del libro.
 
 
 La forza del libro La sinistra assente di Losurdo è di essere un libro di filosofia che però si appoggia ed argomenta a partire da precisi dati storici. Il fatto, il documento, rappresentano un potente antidoto per due caratteristiche di quello che Losurdo tenta di definire in altri termini, ma che per me risponde perfettamente alla definizione di Ignacio Ramonet di “pensiero unico”.
  1. Il pensiero unico è il pensiero della postmodernità. E il postmoderno ha cancellato la storia a favore di “un eterno presente”. Non a caso Lukács, di cui Losurdo è studioso e cultore, in ben altre epoche (1967 Storia e coscienza di classe), invocava come meccanismo per il recupero della coscienza di classe, l’analisi del presente come storia. La storia del perché siamo arrivati sin qui, in un presente in cui siamo immersi e che ci appare naturale e quindi non criticabile, è l’unico vero antidoto per ricondurre il naturale ad una dimensione storica. Noi abbiamo costruito il presente, noi possiamo cambiarlo. 
  2.  Il secondo campo in cui il richiamo ad una dimensione storica funziona come potente antidoto, è il piano della comunicazione, che, ancora una volta si costruisce su un eterno presente. L’agenda dei media è una lavagna autocancellante in cui la notizia successiva spinge nell’oblio la notizia precedente: la vita di una notizia è così effimera da non richiedere neanche una smentita ufficiale (vedi Contro la comunicazione di Perniola). E veniamo all’argomento del libro: l’assenza della sinistra. Losurdo parte da una duplice constatazione:
a) stiamo vivendo una gravissima crisi economica;

b) sparsi per il mondo si moltiplicano i focolai di guerra e queste guerre disseminate sul territorio sembrano convergere in un disegno di guerra globale che ha per nemico designato la Cina, la Russia e gli altri paesi emergenti che si sono affrancati dalla servitù coloniale e della dominazione ideologica di quello che rappresenta oggi l’impero per eccellenza: gli Stati Uniti. 

In un contesto come questo sarebbe indispensabile una sinistra, intesa come opposizione, pensiero critico alternativo. Invece noi continuiamo a curare la crisi economica ricorrendo agli strumenti economici che l’hanno prodotta. E apriamo nuovi fronti di guerra facendo ricorso a quel meccanismo di indignazione  che ha prodotto tutte le guerre precedenti e prima ancora, le guerre coloniali. Prima di leggere il libro credevo che la definizione “La sinistra assente“ si riferisse all'attuale sparizione dei partiti di sinistra, in molti stati europei, a partire dall’Italia. No, c’è di peggio. E’ qualcosa su cui non avevo riflettuto abbastanza, perché emerge con chiarezza proprio dall’aver messo insieme dati e posizioni lontani e dispersi.

Quando la Sinistra interviene, ad esempio nel contesto delle varie guerre postcoloniali seguite al nuovo ordine, instaurato con la caduta del muro di Berlino, lo fa non in chiave critica o alternativa, ma per rafforzare al contrario, con il suo intervento, la logica del pensiero unico. E non si tratta di una sinistra moderata o collusa. Si tratta dei migliori rappresentanti della sinistra. Habermas ha sostenuto insieme ad Hardt, coautore con Negri di Impero, la guerra in Jugoslavia, Rossanda e Camusso l’intervento in Libia. Sloterdijk  e, in suo appoggio Žižek sono intervenuti contro lo stato sociale che si basa su imposte fiscali progressive , un “sistema dominante di coercizione fiscale“ che porta ad una “redistribuzione coatta” di quello che invece dovrebbe essere un dono, un’esigenza del dare, in breve, una forma di carità e non di dovere.

E si potrebbe continuare a lungo. Tutto ciò ci pone di fronte ad un’evidenza: la sinistra non dispone ormai di argomentazioni alternative al pensiero dominante. Il liberismo imperante rappresenta l’unico discorso possibile. E spesso l’essere di sinistra si risolve in un duplice discorso. Da un lato l’Occidente con i suoi valori di democrazia e diritti umani, dall’altro l’avversario, il nemico, che sempre viene descritto come un dittatore incapace di rispettare i diritti umani, assetato di sangue e capace di ogni nefandezza, come estrarre neonati dall’incubatrice per farli morire sul pavimento dell’ospedale ( nota Fake news su Saddam Hussein). I nemici dell’Occidente, e quindi dell’America, non solo vengono presentati all’opinione pubblica, con tratti satanici, ma dopo essere stati deposti, saranno eventualmente giudicati da un tribunale internazionale, per i loro crimini di guerra.

L’America non tollera il “terrorismo islamico“ e si ritiene in diritto di intervenire in ogni angolo del pianeta dove il mancato rispetto dei diritti umani si coniughi con benefici strategici sul piano militare o sul possesso delle fonti energetiche. Ad esempio è intervenuta in Afghanistan, dove i diritti delle donne erano calpestati dai talebani. Ma non è mai intervenuta a stigmatizzare il fondamentalismo degli Emirati Arabi, in cui veramente donne ed immigrati vivono in uno stato di asservimento e schiavitù. Esiste quindi un doppio binario anche per i diritti, secondo uno schema già sperimentato in epoca coloniale. Da un lato l’Occidente portatore di valori e diritti. Dall’altro gli Altri, specialmente se ricchi da materie prime, che l’Occidente deve rieducare alla luce dei suoi valori. La demonizzazione del nemico può scattare all’improvviso, dopo il passaggio da uno stato di collaborazione ed alleanza ad un conflitto di interessi. Pensiamo alla guerra in Libia, subita dall’Italia contro i propri interessi reali, al solo scopo di compiacere un fronte occidentale costituito da Francia ed Inghilterra, interessate a sostituirsi a noi allo sfruttamento delle risorse del paese. La figura di Gheddafi, da amico/alleato, magari un po’ eccentrico, si tramuta repentinamente in un dittatore sanguinario nemico del suo popolo.

Il copione è sempre lo stesso. Si demonizza il nemico, si sostiene un’eventuale resistenza locale, si soffia sul fuoco producendo disordini, si compiono atti estremi, come sparare sulla folla, accusando il dittatore di aggressione verso il suo popolo. É il copione messo in scena recentemente sia in Siria che in Ucraina, dove il ruolo dell’eroica resistenza al dittatore, era impersonato rispettivamente dall’Isis e dalle truppe neonaziste ucraine. Com' è stato possibile che la  sinistra non sia più in grado di produrre un pensiero critico e prendere le distanze dalle logiche del pensiero unico?

È quanto Losurdo cerca di spiegarci nel capitolo 3: Società dello spettacolo, terrorismo dell’indignazione e guerra. pag 77: “Per tutto un periodo storico, essenzialmente la modernità, i conflitti tra le grandi potenze capitalistiche, come tutte le lotte interne alla borghesia e alle classi dominanti, hanno fornito alle classi e ai popoli in condizione subalterna importanti elementi di illuminismo e progresso“. Il ricorso alla ragione permetteva alle sinistra una critica costruttiva interna al discorso dominante:
 
“Per tutto un periodo storico alle trombe delle classi dominanti, si sono in qualche modo contrapposte le campane delle classi subalterne”. 

Certo le due parti, classi dominanti e subalterne non combattevano ad armi pari, ma il pensiero critico era sufficiente a porre un argine alle argomentazioni più aberranti. Tutto questo finisce nell ‘89 con il superamento del comunismo ed il passaggio al pensiero unico. Ma non si tratta solo della fine di un mondo bipolare, in cui ad una visione del mondo si contrappone un’altra visione del mondo. Si tratta anche del passaggio da un’argomentazione di tipo razionale, ad un condizionamento puramente emotivo, irrazionale, basato su tecniche di manipolazione ispirate alla psicologia sociale di Gustave Le Bon o alla teoria del disgusto di Bismarck, come Losurdo ci insegna. Queste tecniche di persuasione occulta si formano e si elaborano nell’800 e sono alla base anche delle guerre coloniali. Ma, secondo me, conoscono una nuova vitalità quando con la postmodernità  il pensiero debole sostituisce il pensiero forte, e l'opinione prevale sulla ragione. Se niente è razionale, non è alla ragione, ma al sentimento che possiamo fare ricorso per condizionare il popolo. Ed è qui che per me, sparisce la figura della sinistra. La sinistra, secondo Bourdieu, si identifica col capitale culturale. Morta la cultura, morta la ragione, non vi può essere sinistra, cioè pensiero critico. Ed ecco che la Sinistra è vittima di quello stesso condizionamento che colpisce le masse. Come possiamo rendere accettabile una cosa inaccettabile come la guerra?

La nostra generazione ha vissuto l’esperienza del Vietnam, è stata pacifista, ha bruciato le cartoline di leva. La Sinistra di oggi chiede la guerra perché condizionata dal disgusto. È stato Bismarck il primo a porsi il problema di rendere accettabile la guerra. E la soluzione del caso è stata il disgusto. Demonizzando l’avversario si genera disgusto ed il disgusto ci porta infallibilmente al terrorismo dell’indignazione e alla richiesta della guerra per combattere il male. E qui si innesta anche il discorso dello spettacolo, della fiction che deve mettere in scena l’indicibile e l’intollerabile per creare nell’opinione pubblica la pulsione verso la guerra.  

L’armamentario è sempre il solito ed è stato fatto proprio da tutto l'Occidente. Per paradosso  i primi a subire l’applicazione pratica delle teorie del Bismarck sono stati i suoi stessi compatrioti. Nel corso del primo conflitto mondiale gli intellettuali inglesi attribuivano  ai tedeschi le seguenti atrocità: “avevano violentato donne e persino bambini, impalato e crocifisso uomini, mozzato lingue e seni, cavato occhi e bruciato interi villaggi“ (pag 74). Questo repertorio di nefandezze corrisponde oggi, alla lettera, nella propaganda corrente, all’operato dell’Isis, ma persino l’Isis ritorna un eroico movimento di resistenza quando si oppone ad analoghe nefandezze di Assad, e via discorrendo. E' un copione ormai logoro che però continua a funzionare. Il dramma è che funziona non tanto per l'assenza di una critica di sinistra, quanto per un impegno attivo della sinistra stessa che, prima vittima della propaganda, si fa parte attiva della sua attuazione su scala mondiale.


=== 2 ===


Dall'intervista che chiude il libro "L'humanité commune : Dialectique hégélienne, critique du libéralisme et reconstruction du matérialisme historique chez Domenico Losurdo" (Delga, Paris 2012).

Grazie di tutto.

[Stefano G. Azzarà, 28 giugno 2018]

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Domanda. Come incide questa debolezza teorica sullo stato della sinistra attuale? LEuropa si confronta oggi con trasformazioni imponenti che stanno mutando il volto del mondo. Sono trasformazioni che riguardano i rapporti di forza internazionali sul piano politico e su quello economico, ma anche lequilibrio tra Stato e mercato, la natura della democrazia, le grandi migrazioni. La sinistra non sembra avere oggi né idee, né prospettive politiche.


Losurdo. Con la crisi prima e col crollo poi del «socialismo reale», in Occidente e in Italia in modo particolare la sinistra ha smarrito ogni reale autonomia. Sul piano storico ha sostanzialmente desunto dai vincitori il bilancio storico del Novecento. Due sono i punti centrali di tale bilancio: per larghissima parte della sua storia, la Russia sovietica è il paese dellorrore e persino della follia criminale. Per quanto riguarda la Cina, il prodigioso sviluppo economico che si verifica a partire dalla fine degli anni 70 non ha nulla a che fare col socialismo ma si spiega soltanto con la conversione del grande paese asiatico al capitalismo. A partire da questi due capisaldi ogni tentativo di costruire una società post-capitalistica è oggetto di totale liquidazione e persino di criminalizzazione, e lunica possibile salvezza risiede nella difesa o nel ristabilimento del capitalismo. E paradossale, ma sia pure con sfumature e giudizi di valore talvolta diversi, questo bilancio viene spesso sottoscritto dalla sinistra, compresa quella «radicale».
Ancora più grave è la subalternità di cui la sinistra dà prova sul piano più propriamente teorico. Nellanalizzare la grande crisi storica che si sviluppa nel Novecento, lideologia dominante evita accuratamente di parlare di capitalismo, socialismo, colonialismo, imperialismo, militarismo. Queste categorie sono considerate troppo volgari. I terribili conflitti e le tragedie del Novecento sono invece spiegate con lavvento delle «religioni politiche» (Voegelin), delle «ideologie» e degli «stili di pensiero totalitari» (Bracher), dell«assolutismo filosofico» ovvero del «totalitarismo epistemologico» (Kelsen), della pretesa di «visione totale» e di «sapere totale» che già in Marx produce il «fanatismo della certezza» (Jaspers), della «pretesa di validità totale» avanzata dalle ideologie novecentesche (Arendt). Se questa è lorigine della malattia novecentesca, il rimedio è a portata di mano: è sufficiente uniniezione di «pensiero debole», di «relativismo» e di «nichilismo» (penso al Vattimo degli anni Ottanta). In tal modo non solo la sinistra fornisce il suo bravo contributo alla cancellazione di capitoli fondamentali di storia: i massacri e i genocidi coloniali sono stati tranquillamente teorizzati e messi in pratica in un periodo di tempo in cui il liberalismo si coniugava spesso con lempirismo e il problematicismo; prima ancora dellavvento del pensiero forte novecentesco, la prima guerra mondiale ha imposto col terrore a tutta la popolazione maschile adulta la disponibilità e la prontezza ad uccidere e ad essere uccisi. Per di più, come medico per eccellenza della malattia novecentesca viene spesso celebrato Nietzsche, che pure si attribuisce il merito di essersi opposto «ad una falsità che dura da millenni» e che aggiunge: «Io per primo ho scoperto la verità, proprio perché per primo ho sentito la menzogna come menzogna, la ho fiutata» (Ecce homo, Perché io sono un destino, 1). Così enfatica è lidea di verità, che coloro i quali sono riluttanti ad accoglierla sono da considerare folli: sì, si tratta di farla finita con le «malattie mentali» e con il «manicomio di interi millenni» (LAnticristo, § 38). Daltro canto, il presunto campione del «pensiero debole» e del «relativismo» non esita a lanciare parole dordine ultimative: difesa della schiavitù quale fondamento ineludibile della civiltà; «annientamento di milioni di malriusciti»; «annientamento delle razze decadenti»! La piattaforma teorico-politica suggerita a suo tempo da Vattimo ma che Vattimo stesso pare oggi mettere in discussione - mi sembra insostenibile da ogni punto di vista.
Altre correnti del pensiero dominante indicano il rimedio alle tragedie del Novecento non già nel relativismo, ma, al contrario, nel recupero della saldezza delle norme morali, sacrificate da comunisti e nazisti sullaltare del machiavellismo e della Realpolitik (Aron e Bobbio) ovvero della filosofia della storia e della presunta necessità storica (Berlin e Arendt). Nella sinistra e nella stessa sinistra radicale (si pensi a «Empire» di Hardt e Negri) è divenuta un punto di riferimento soprattutto Arendt. Rimossa o sottoscritta è la liquidazione a cui lei procede di Marx e della rivoluzione francese con la connessa celebrazione della rivoluzione americana (e il conseguente indiretto omaggio al mito genealogico che trasfigura gli Usa quale «impero per la libertà», secondo la definizione cara a Jefferson, che pure era proprietario di schiavi). In questo caso ancora più assordante è il silenzio sulla tradizione colonialista e imperialista alle spalle delle tragedie del Novecento. Arendt condanna lidea di necessità storica nella rivoluzione francese, e soprattutto in Marx e nel movimento comunista; dimentica però che il movimento comunista si è formato nel corso della lotta contro la tesi del carattere ineluttabile e provvidenziale dellassoggettamento e talvolta dellannientamento delle «razze inferiori» ad opera dellOccidente, si è formato nel corso della lotta contro il «partito del destino», secondo le definizione cara a Hobson, il critico inglese dellimperialismo, letto e apprezzato da Lenin. Arendt contrappone negativamente la rivoluzione francese, sviluppatasi allinsegna dellidea di necessità storica, alla rivoluzione americana, che trionfa allinsegna dellidea di libertà. In realtà lidea di necessità storica agisce con modalità diverse in entrambe le rivoluzioni: se in Francia viene considerata ineludibile anche lemancipazione degli schiavi, che è in effetti è sancita dalla Convenzione giacobina, negli Usa il motivo del Manifest Destiny consacra la conquista dellOvest, inarrestabile nonostante la riluttanza e la resistenza dei pellerossa, già agli occhi di Franklin destinati dalla «Provvidenza» ad essere spazzati via.
Arendt muore nel 1975, non ancora settantenne. In questa morte precoce cè un elemento paradossale di fortuna sul piano filosofico. Solo successivamente intervengono gli sviluppi storici che falsificano totalmente la piattaforma teorica della filosofa scomparsa: a partire dalla presidenza Reagan sono proprio gli Stati Uniti a impugnare la bandiera della filosofia della storia contro lUrss e i paesi che si richiamano al comunismo, destinati a finire nella «spazzatura della storia» e comunque collocati ai giorni nostri lo proclamano Obama e Hillary Clinton «dalla parte sbagliata della storia». Più longevi ma meno fortunati sul piano filosofico sono i devoti di Arendt, che continuano a ripetere la vecchia filastrocca, senza accorgersi del radicale rovesciamento di posizioni che nel frattempo si è verificato sul piano mondiale.
Subalterna sul piano del bilancio storico così come delle categorie filosofiche, la sinistra (compresa quella radicale) è chiaramente incapace di procedere a un«analisi concreta della situazione concreta». Tanto più, se teniamo presente che alla catastrofe teorico-politica ha contribuito ulteriormente una mossa sciagurata, quella che contrappone negativamente il «marxismo orientale» al «marxismo occidentale». Alle spalle di questa mossa agisce una lunga e infausta tradizione. In Italia, subito dopo la rivoluzione dottobre, Filippo Turati, che continua a fare professione di marxismo, non riesce a vedere nei Soviet nullaltro che lespressione politica di un«orda» barbarica (estranea e ostile allOccidente). A partire dagli anni 70 del secolo scorso, la divaricazione tra marxisti orientali e marxisti occidentali ha visto contrapporsi da un lato marxisti che esercitano il potere e dallaltro marxisti che sono allopposizione e che si concentrano sempre più sulla «teoria critica», sulla «decostruzione», anzi sulla denuncia del potere e dei rapporti di potere in quanto tali, e che progressivamente nella loro lontananza dal potere e dalla lotta per il potere ritengono di individuare la condizione privilegiata per la riscoperta del marxismo «autentico». E una tendenza che ai giorni nostri raggiunge il suo apice nella tesi formulata da Holloway, in base alla quale il problema reale è di «cambiare il mondo senza prendere il potere»! A partire da tali presupposti, cosa si può capire di un partito come il Partito comunista cinese che, gestendo il potere in un paese-continente, lo libera dalla dipendenza economica (oltre che politica), dal sottosviluppo e dalla miseria di massa, chiude il lungo ciclo storico caratterizzato dallassoggettamento e annientamento delle civiltà extra-europee ad opera dell'Occidente colonialista e imperialista, dichiarando al tempo stesso che tutto ciò è solo la prima tappa di un lungo processo all'insegna della costruzione di una società post-capitalistica?



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La ricca opera di Losurdo continuerà a illuminare la lotta per il socialismo

03 Luglio 2018

da vermelho.org.br

Un particolare ringraziamento a Mauro Gemma

l'omaggio del PCdoB e della Fondazione Mauricio Grabois

Traduzione di Mauro Gemma per Marx21.it

Il PCdoB e la Fondazione Mauricio Grabois hanno rilasciato una nota in occasione della morte del filosofo italiano Domenico Losurdo, nella pienezza della sua produzione intellettuale. La nota sottolinea la lunga amicizia di Losurdo con il Partito Comunista del Brasile e le collaborazioni con Grabois attraverso seminari, interviste, saggi e edizioni nazionali dei suoi libri.

Le forze rivoluzionarie, progressiste, e in particolare il movimento comunista internazionale, hanno perso giovedì uno dei più rilevanti pensatori marxisti contemporanei. L'eminente filosofo marxista Domenico Losurdo è morto in Italia all'età di 77 anni. Egli ha tradotto bene il motto del suo maestro Karl Marx: "Più importante che interpretare il mondo è trasformarlo". Losurdo associava il lavoro intellettuale inarrestabile e fecondo con la sua militanza comunista e antimperialista.

Oltre a onorare la vita e l'eredità teorica e politica di Domenico Losurdo, il PCdoB porge le sue condoglianze alla sua famiglia, in particolare alla moglie Hute e al figlio Federico, ai suoi compagni e al popolo italiano.

Losurdo ha studiato a Tubinga (Germania) e Urbino (Italia). E' diventato presidente della Hegel-Marx International Society for Dialectical Thought e membro fondatore dell'associazione Marx XXI e della Gramsci International Society (IGS). Ha insegnato Filosofia della storia all'Università di Urbino. Autore prolifico, ha scritto dozzine di opere essenziali di filosofia, storia e scienze politiche, nelle quali ha affrontato temi e dibattiti importanti volti a rafforzare il movimento rivoluzionario e trasformatore. Molti di questi lavori sono stati pubblicati in Brasile.

Uno dei suoi grandi obiettivi era quello di demolire i miti creati dal liberalismo. Tra questi c'era il fatto che l'instaurazione della democrazia politica e dei diritti umani, senza distinzione di sesso, età o razza, sarebbe stata una conseguenza dello sviluppo pacifico e non conflittuale del liberalismo borghese. Losurdo dimostra la falsità di questa tesi. La schiavitù e il liberalismo hanno vissuto molto bene per oltre un secolo. L'Inghilterra fu arricchita dalla tratta degli schiavi, e gli Stati Uniti furono un paese schiavista fino al 1865, e anche in seguito continuarono a escludere i neri dai diritti civili e politici. Nessuno di questi paesi e i loro ideologi liberali hanno inquadrato nel concetto di umanità i popoli sotto il giogo del colonialismo, considerati "razze inferiori" incapaci di autogoverno. Gran parte delle conquiste democratiche e sociali sono state ottenute dalla lotta della classe operaia.

Losurdo è stato un difensore dei processi di costruzione del socialismo del ventesimo secolo, sebbene fosse critico nei confronti degli errori commessi. Sapeva che, nonostante i numerosi problemi e le carenze presentate, l'equilibrio del primo ciclo del socialismo ha portato grandi risultati per gli operai e l'umanità. Per lui, non si potevano capire i progressi democratici e i movimenti di emancipazione che si sono verificati negli ultimi cento anni, ignorando l'esistenza dell'Unione Sovietica e del movimento comunista internazionale. Hanno incentivato decisamente la liberazione dei popoli dominati, la lotta contro il nazismo, il razzismo e il sessismo. Per questo motivo, la sinistra non dovrebbe capitolare di fronte all'offensiva ideologica liberal-borghese che cerca di demolire quelle esperienze complesse e contraddittorie, presentandole in modo riduzionistico come totalitarie.

Come ha scritto, riferendosi ai partiti marxisti che capitolavano di fronte all'offensiva ideologica neoliberale, "se l'autocritica è il presupposto della ricostruzione dell'identità comunista, l'autofobia è sinonimo di capitolazione e rinuncia ad un'identità autonoma". E continua: "la classe dominante consolida il suo dominio, privando le classi subalterne non solo della prospettiva del futuro, ma anche del proprio passato (...). La memoria storica è, quindi, uno dei motivi fondamentali su cui si sviluppa la lotta ideologica di classe ".

Losurdo ha anche seguito con attenzione - e molto ottimismo - le esperienze di costruzione del socialismo al giorno d'oggi, specialmente in Cina. Ammirava l'esempio di quella grande nazione orientale che ha spezzato i legami del colonialismo, sviluppato le sue forze produttive ed è divenuta una potenza mondiale e un riferimento per altri paesi che cercano alternative per lo sviluppo al di fuori del dogma neoliberista dettato dall'imperialismo.

Infine, si è stabilita un'amicizia reciproca tra Domenico Losurdo e il Brasile. Gran parte del suo lavoro è stato tradotto e pubblicato nel Paese da diversi editori. E' uno degli autori marxisti più letti nel paese. Gli piaceva scherzare sul fatto che fosse più conosciuto e letto tra i brasiliani che in Europa. Ogni anno veniva in Brasile e ha viaggiato in diversi stati, partecipando a presentazioni di libri e a conferenze.

C'è stata una grande amicizia tra Losurdo e il Partito Comunista del Brasile (PCdoB). Amicizia di oltre un decennio. Ha partecipato a numerosi eventi organizzati dalla Fondazione Mauricio Grabois in varie città del paese, tra cui segnaliamo la sua presenza, come relatore principale nel 2017, al seminario sul centenario della rivoluzione russa e per il 95 ° anniversario della fondazione del Partito comunista brasiliano. Grabois, in collaborazione con la casa editrice Anita Garibaldi, ha pubblicato quattro libri di Losurdo. Saggi importanti sono stati pubblicati anche in altri libri, così come dense interviste sono state concesse alla rivista Princípios e al portale Grabois.

Losurdo è stato ricevuto più volte dalla dirigenza nazionale di PCdoB, quando si è evidenziata una grande affinità nella sfera delle idee, tra cui la necessità di articolare la lotta nazionale e antimperialista con la lotta per la conquista del socialismo.

Domenico Losurdo è scomparso, ma ha lasciato in eredità un lavoro ricco e imprescindibile che continuerà a nutrire il cammino dell'emancipazione nazionale e sociale della classe operaia e dei popoli. Viva la sua memoria e la sua eredità!

San Paolo, 28 giugno 2018.

Luciana Santos
Presidente del Partito Comunista del Brasile - PCdoB

Renato Rabelo
Presidente della Fondazione Mauricio Grabois


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Liberalizam, ideologija “rase gospodara”

Lucien Sève

28. lipnja 2018.

Udžbeničke definicije liberalizam predstavljaju kao ideologiju individualne slobode i univerzalizacije ljudskih prava. Protupovijest liberalizma, važna knjiga preminuloga talijanskog povjesničara ideja Domenica Losurda, uvjerljivo otkriva selektivnost i jednostranost tih hagiografskih prikaza. U srce liberalnog projekta od početka je bila upisana antidemokratska i rasistička dimenzija

Onaj tko o liberalizmu gaji sliku kakvu nude liberali neugodno će se iznenaditi čitajući Protupovijest liberalizma, ključnu knjigu Domenica Losurda koja već na samom početku otkriva nevjerojatan paradoks. Biti liberalom u principu znači boriti se, po uzoru na velike mislioce poput Huga Grotiusa ili Johna Lockea, Adama Smitha ili Alexisa de Tocquevillea, za slobode pojedinca i protiv političkog apsolutizma, dirigirane ekonomije i filozofske netolerancije. Posrijedi je idejno i u praksi moćan pokret koji je u razdoblju od 16. do 18. stoljeća, s tri slavne revolucije u Nizozemskoj, Engleskoj i Americi, oblikovao čitavu suvremenu povijest. No upravo je s njim došlo do najvećeg razvoja ropstva. U Americi 1700. godine ima tristo tisuća robova, 1800. gotovo tri milijuna, a sredinom 19. stoljeća još dvostruko više. Holandija ukida ropstvo u svojim kolonijama tek 1863. godine. Sredinom 18. stoljeća, broj robova najveći je u Velikoj Britaniji – gotovo devetsto tisuća. Pritom je riječ o najgoroj vrsti ropstva, tzv. chattel racial slavery, gdje je rob druge rase jednostavno “imovina”. Teško je zamisliti radikalnije poricanje slobode pojedinca. Gdje je greška?

Ovo je djelo od početka do kraja posvećeno objašnjavanju te greške, potkrijepljeno dojmljivim obiljem krvavih činjenica i citata od kojih zastaje dah. Ne, ne radi se o grešci. Liberalna je doktrina rođena s dva lica i takvom je ostala: s jedne strane gorljiva poruka o slobodi pojedinca samo za građane, bijele posjednike koji čine Herrenvolk, “rasu gospodara” – germanizam koji je ta uvelike anglofona ideologija bez kompleksa usvojila; s druge cinično poricanje ljudskosti ne samo drugih rasa u kolonijama, nego jednako tako i naroda koje se smatralo “barbarima”, kao što su Irci ili američki Indijanci, te mnoštva sluga i radnika u metropolama, slobodno se može reći – velike većine ljudi. Protupovijest liberalizma, nimalo ne niječući njegove dobre strane, otkriva pune razmjere njegova mračnog naličja, koje je prisutno od početka, a liberalna ga hagiografija neprestano skriva. Na primjer (uzmimo jedan detalj od tisuću), kad saznamo da je veliki liberalni filozof John Locke bio dioničar tvrtke Royal African Company, glavne organizatorice trgovine crnim robljem, odjednom su nam jasnije mnoge stvari u našoj modernoj povijesti.

No također nam je jasno da je ovoj ikonoklastičkoj knjizi trebalo vremena da se pojavi. I da ono što o njoj škrto prozbore glavni mediji često odaje posramljenu zlovolju. Djelo je ujedno i previše eruditsko i jasno da bi ga se moglo lako odbaciti. Zbog toga se protiv njega služe izlizanim polemičkim trikovima. Dovode se u pitanje autorovi stavovi prema sasvim drugim temama, s kojima se uopće ne moramo slagati. Optužuje ga se za jednostranost, dok on ne propušta priliku da prikaže raznolikost aspekata liberalizma, složenost njegovih pravaca, često i dvosmislenost njegovih mislioca. Za kraj mu se dobacuje “Ali to je općepoznato!” iako dominantna ideologija bez prestanka radi na oživljavanju bezobrazno pristranog pozlaćenog mita o liberalizmu.

Treba reći da Losurdova knjiga obiluje navodima koji veoma štete tom mitu. Poput ovog Tocquevilleova teksta koji opravdava istrebljenje crvenokožaca: “Providnost im je, čini se, smještajući ih posred bogatstava Novog svijeta, dala samo kratkotrajno pravo uživanja. Oni su tamo, na neki način, samo čekali. Obale tako dobro pripremljene za trgovinu i industriju, tako duboke rijeke, neiscrpna dolina Mississippija, cijeli taj kontinent, djelovali su tada kao još uvijek prazna kolijevka jednog velikog naroda.” “Prazna kolijevka”: tako jedan slavni liberal lakim zamahom pera opravdava jedan od najvećih genocida u povijesti, unaprijed dajući dragocjeno opravdanje doktrinarcima “zemlje bez naroda” koju Bog nudi narodu bez zemlje. Tekstovi takvoga tona nisu rijetki u ovoj protupovijesti i često ih potpisuju imena kojima bismo se najmanje nadali.

Podučavajući nas mnogome, autor nam još više daje za razmišljanje. Na primjer, kad iznosi ove riječi jednog Georgea Washingtona ili Johna Adamsa, toliko indikativne za američku revoluciju koju su krajem 18. stoljeća vodili liberalni kolonisti, vlasnici robova, potpuno svjesni da su oni u odnosu na robove “bijeli britanski podanici, rođeni slobodni”, spremni na vapaj zbog Engleza iz metropole koji ih gnjave: “Ne želimo biti njihovi crnci!” Ovdje najednom upada u oči da liberalna misao nikad nije bila autentično univerzalistička misao. Slobode koje su se zahtijevale “za pojedinca” nipošto nisu za sva ljudska bića, nego samo za mali broj izabranih, u dvostrukom, biblijskom i građanskom, smislu riječi.

Ovakav agresivni partikularizam doista jest u samom temelju liberalnog učenja. Grotius, jedan od očeva liberalne doktrine u 17. stoljeću, bez oklijevanja opravdava instituciju ropstva (“Postoje ljudi rođeni za služenje”, piše on pozivajući se na Aristotela), govori o stanovnicima holandskih kolonija kao o “divljim životinjama” i, opisujući njihovu religiju kao “pobunu protiv Boga”, unaprijed opravdava njihovo kažnjavanje najokrutnijom “kaznom primjerenom krivcima”. Uopće se dakle ne radi o odstupanjima u praksi, sama ideja liberalizma odaje izravno segregirajući i dehumanizirajući antropološki aristokratizam.

Francuz Tocqueville, aristokrat-demokrat, i sâm o više tema misli na vrlo sličan način. Losurdo navodi ovu izjavu: “Europska je rasa od neba primila ili svojim trudom stekla toliko neporecivu nadmoć nad svim ostalim rasama koje čine veliku ljudsku obitelj, da je čovjek odavde, sa svim svojim porocima i neznanjem, onaj s dna društvene ljestvice, još uvijek prvi među divljacima.” Mnoge danas zapanjuje kastinska oholost koju pokazuju mnogi, i muški i ženski članovi vladajućeg miljea. Čitajući ovu Protupovijest shvaćamo da je ona, prije no što bi bila psihološko-društvena crta pojedinaca, temeljna osobina same liberalne doktrine i praktičnog držanja koje je u svim razdobljima nalagala. Liberalizam i demokracija nikad nisu bili sinonimi.

“Radi se”, zaključit će Losurdo, “o diskursu potpuno usredotočenom na ono što, za zajednicu slobodnih ljudi, predstavlja ograničen sveti prostor” – sveti prostor koji priznaje protestantska etičko-religiozna kultura odgojena na Starom zavjetu. Dovoljno je u analizu unijeti i čimbenik “profanog prostora” (robove iz kolonija i sluge iz metropola) da bi se uvidio neprikladan i varljiv karakter kategorija koje se uobičajeno koriste pri prikazu povijesti liberalnog Zapada: apsolutno prvenstvo slobode pojedinca, antietatizam, individualizam. Je li Engleska 18. i 19. stoljeća zemlja vjerske slobode? Što se Irske tiče, liberal Gustave de Beaumont, koji je pratio Tocquevillea za njegova putovanja u Ameriku, govori o “vjerskoj opresiji koja prelazi svaku maštu”.

Praćenje duge povijesti liberalizma također podrazumijeva makar drugorazredno zanimanje za ono što ga je pobijalo, što mu se protivilo. U ovoj knjizi vidimo kako su se oblikovale razne figure univerzalizma, od onog katoličkog i monarhijskog Jeana Bodina u 16. stoljeću, preko antikolonijalnog i abolicionističkog radikalizma kojemu su ponekad pomagali napredni liberali 19. stoljeća, pa sve do temeljne kritike Karla Marxa, koji briljira raskrinkavajući “konzervativni karakter engleske revolucije”. Buržujska politička emancipacija zapravo je bila znak društvenog bijesa ne samo prema narodima iz kolonija, nego i prema samim engleskim seljacima, prije no što će se okomiti na gradski proletarijat, nevjerojatno zlostavljan u tzv. workhouses, radnim kućama. Losurdo takvu analizu ipak ne slijedi u potpunosti, nego skicira osobni pregled liberalnih revolucija, kako latinskoameričkih tako i europskih.

No koliko god bili važni ti antiliberalni istupi, konkretnije su rezultate ostvarili sami narodni pokreti. Na prvo mjesto među njima Losurdo smješta pobunu na Saint-Domingueu (danas Haiti) i njezinog vođu Toussainta Louverturea, pravi topovski udar za to vrijeme (crnački narod s nevjerojatnom odvažnošću da se oslobodi!), koja, istodobno s Francuskom revolucijom, predstavlja odlučujuću prekretnicu za kreolsku neovisnost i ukidanje ropstva u Latinskoj Americi. Sto dvadeset i pet godina kasnije, moćan podstrek u istom smjeru dat će Oktobarska revolucija u Rusiji. “Kad se sve temeljito razmotri, pobuna na Saint-Domingueu i Oktobarska revolucija ugrozile su, svaka zasebno, prvo ropstvo, zatim teroristički režim bjelačke dominacije”; to su dva povijesna poglavlja koja je “većinski mrzila liberalna kultura epohe”.

Ne dotičući se nedavne povijesti neoliberalizma, Losurdo se za kraj pita o odgovornosti liberalizma za “katastrofe 20. stoljeća”, te je vrlo uvjerljivo procjenjuje velikom. Oslanjajući se na tezu Hannah Arendt koja “polazi od kolonija britanskog carstva da bi objasnila genezu totalitarizma 20. stoljeća”, podsjeća da su se svijet koncentracijskih logora i ostale antidemokratske institucije “počele ocrtavati davno prije kraja samoprozvane belle époque”, navodeći primjere “krvavih i uzastopnih deportacija Indijanaca, počevši od one koju je poduzela Jacksonova Amerika (koju je Tocqueville proglasio uzorom demokracije)”.

S postupanjem prema crncima u Novom svijetu dostignuti su, što se dehumanizacije tiče, “vrhunci kojima je teško parirati”. Na britanskoj Jamajci “roba bi se prisililo da se olakša u usta robu koji je nešto skrivio, da bi mu se zatim ta usta na četiri-pet sati zašila”. U SAD-u školska su djeca mogla dobiti slobodan dan da bi prisustvovala linčovanju. Jedna knjiga, izašla u Bostonu 1913. godine, u svom naslovu zaziva “krajnje rješenje” (ultimate solution) crnačkog pitanja. Jedan američki istraživač, Ashley Montagu, o rasizmu i nacizmu piše da je “to što se čudovište moglo slobodno kretati svijetom u velikoj mjeri naših ruku djelo (…), i mi smo odgovorni za stravičan oblik koji je poprimilo”.

Griješi li autor kad u zaključku poziva da se prestane s lažljivom hagiografijom liberalizma, koja nam se ponovno u visokim dozama servira posljednja tri desetljeća, od početka vladavine Margaret Thatcher?

S francuskog prevela: Mirna Šimat

* Lucien Sève je filozof. Autor je brojnih knjiga u kojima istražuje odnos filozofske antropologije, teorije ličnosti i marksizma.



1) ESTONIA

L’Estonia celebra un criminale nazista (Rete Voltaire | 27 Giugno 2018)
Una targa commemorativa dedicata al colonnello Alfons Rebane è stata inaugurata il 22 giugno in Estonia.
Rebane fu un collaboratore del Terzo Reich, con il grado di Standartenführer delle SS, e fu responsabile di diversi crimini di guerra in Unione Sovietica.
Il governo estone si è dissociato dall’iniziativa, ma si è rifiutato di condannarla.
Dopo la seconda guerra mondiale, Rebane raggiunse il Regno Unito nel quadro dell’operazione stay-behind (Gladio). In particolare, partecipò all’Operazione Giungla per infiltrare ex ufficiali nazisti in Polonia e nei Paesi Baltici, per proseguirvi la lotta al comunismo; tenne persino corsi nella scuola dell’MI6.
L’Estonia è membro dell’Unione Europea, istituzione che dovrebbe spendersi per la pace in Europa e per combattere il ritorno del razzismo nazista. (Traduzione Rachele Marmetti – Il Cronista)
Il Presidente Mattarella a Tallinn incontra la Presidente della Repubblica di Estonia, Kersti Kaljulaid, il Primo Ministro Jüri Ratas e il Presidente del Parlamento Eiki Nestor (Tallinn, 04/07/2018)
2) LETTONIA

Festeggiata la Giornata del legionario nazista in Lettonia (JUGOINFO, 20 marzo 2017)
Sono finiti in manette ieri a Riga i giovani che, in lingua russa, avevano osato gridare “Vergogna Lettonia; il fascismo non passerà”, di fronte al corteo che ogni anno, il 16 marzo, celebra i legionari lettoni delle Waffen SS. La data ricorda il primo scontro dei reparti lettoni delle SS (15° e 19° Divisioni Granatieri) contro l'Armata Rossa, nel 1944...
Nostalgie naziste in Lettonia: una protesta europea (Redazione, 21 marzo 2017)
Da Bruxelles a Budapest, da Roma a Kϋnzelsau in Germania, in tante altre città europee il 15 marzo si è manifestato contro la parata in Lettonia delle Waffen-SS, la legione nazista responsabile di stragi e atrocità inaudite verso gli ebrei e gli oppositori...

Il Presidente Mattarella incontra il Presidente della Repubblica di Lettonia Raimonds Vejonis e il Primo Ministro, Māris Kučinskis (Riga, 03/07/2018)

3) LITUANIA

Fermiamo la repressione contro i comunisti, gli antifascisti e i difensori della pace in Lituania (Marx21.it, 30/10/2016)
In Lituania esiste un regime autoritario che ha perseguitato e continua a  perseguitare duramente gli oppositori politici. Ma l'opinione pubblica dell'Unione Europea, di cui questa repubblica ex sovietica fa parte, non ne è informata...
http://www.marx21.it/index.php/internazionale/europa/27330-fermiamo-la-repressione-contro-i-comunisti-gli-antifascisti-e-i-difensori-della-pace-in-lituania

Il Presidente Mattarella in Visita di Stato nella Repubblica di Lituania (Vilnius, 05/07/2018)




[Settanta anni fa l'espulsione della Jugoslavia socialista dal Cominform e la fiera reazione della leadership del paese nato nel fuoco di una epica guerra partigiana. Una amara vicenda, che Tito descrisse come la sua "battaglia più sofferta"; sulla quale dopo il crollo di entrambi i campi – quello del Patto di Varsavia come quello jugoslavo e del non-allineamento – è finito per i comunisti il tempo delle scelte di campo manichee e delle battute da operetta. (A cura di Italo Slavo)]

https://www.jungewelt.de/artikel/335081.bruch-mit-moskau.html

Bruch mit Moskau

Vor 70 Jahren wurde die Kommunistische Partei Jugoslawiens aus dem Kommunistischen Informationsbüros ausgeschlossen – Tito beharrte auf einem eigenständigen Weg

Von Roland Zschächner
Aus: junge Welt (Berlin), Ausgabe vom 30.06.2018, Seite 15 / Geschichte


Am 30. Juni 1948 gelang den jugoslawischen Kommunisten ein Coup. Im Parteiorgan Borba erschien der zwei Tage zuvor erfolgte Beschluss des Informationsbüros der Kommunistischen und Arbeiterparteien, kurz: Kominform. Darin warfen die acht übrigen Mitglieder der Kommunistischen Partei Jugoslawiens (KPJ) eine abweichende Politik vor, weswegen diese ausgeschlossen und die jugoslawische Bevölkerung aufgefordert wurde, die Führung um Josip Broz, genannt Tito, abzusetzen. In der gleichen Ausgabe der Zeitung, insgesamt sollen laut offiziellen Angaben fünf Millionen Exemplare verteilt worden sein, wurde auch eine Erwiderung des Zentralkomitees der KPJ publiziert. Die Bevölkerung sollte sich ein eigenes Bild vom Konflikt machen, der zum Bruch geführt hatte und die Sonderrolle Jugoslawiens besiegelte.

Mit einem solch offenen Umgang hatte Moskau nicht gerechnet. Es war nicht die einzige Fehleinschätzung, die die sowjetische Führung in dem monatelangen Konflikt mit der KPJ-Führung hatte.

Die Föderative Volksrepublik Jugoslawien war bis zum Jahr 1948 ein prosowjetisches Land. Das ein Jahr zuvor gegründete Kominform hatte seinen Sitz in Belgrad. Die Staatsspitze – allen voran Tito – stand in engem Kontakt mit der Kommunistischen Partei der So­wjetunion (KPdSU), viele Vorgaben aus Moskau wurden gewissenhaft umgesetzt. Es bestanden zahlreiche zwischenstaatliche Verträge, sowjetische Berater waren in Jugoslawien etwa in der Wirtschaft, dem Militär oder im Bildungsbereich im Einsatz.

Selbst befreit

Im Zweiten Weltkrieg hatte sich in Jugoslawien unter Führung der KPJ ein erfolgreicher antifaschistischer Widerstand entwickelt, der vor allem durch die Partisanen der Volksbefreiungsarmee geprägt war. So konnte sich Jugoslawien weitgehend selbst von der nazistischen Besatzung befreien. Nach 1945 wuchs die Partisanenarmee, der Tito als Marschall vorstand, zu einem Millionenheer an. Der antifaschistische Kampf war zugleich eine soziale Revolution. Dort, wo die Partisanen Gebiete befreit hatten, gestalteten sie die Gesellschaft nach sozialistischen Vorgaben um. Große Teile der Bevölkerung stellten sich hinter die Führung und begrüßten den eingeschlagenen Weg.

Gleichzeitig unterstützte Jugoslawien Albanien und die kommunistischen Partisanen in Griechenland. Außerdem dachten Tito und der bulgarische Ministerpräsident Georgi Dimitroff offen über eine sozialistische Balkankonföderation nach, eine Idee, die bereits zuvor in den sozialistischen Parteien der Region diskutiert worden war. Bei Stalin stießen solche Überlegungen auf Ablehnung. Am 10. Februar 1948 wurden daher bulgarische und jugoslawische Parteidelegationen nach Moskau zitiert. Stalin warf Dimitroff eine Haltung vor, »die anders ist als die unsere«.

In Belgrad reagierte man auf solche Attacken mit Unverständnis. Ein Großteil der Parteiführung beharrte auf dem eingeschlagenen Weg. Im März 1948 forderte Moskau die KPJ auf, sich zu zu erklären. In einem Brief wurde Tito mit Trotzki verglichen und enge Vertraute von ihm wurden als »zweifelhafte Marxisten« oder Spione denunziert. Der Brief zirkulierte zudem unter den anderen Mitgliedern des Kominform. Das stand im Widerspruch zu Titos Position, der darauf bestand, den Konflikt auf bilateralem Wege zwischen Moskau und Belgrad zu klären, was wiederum von Stalin abgelehnt wurde. Die »sowjetisch-jugoslawischen Differenzen« sollten vielmehr »auf der nächsten Sitzung des Informationsbüros untersucht werden«.

Die KPJ sah in Stalins Handeln eine widerrechtliche Einmischung in die inneren Angelegenheiten Jugoslawiens. Sie verwies daher die sowjetischen Berater des Landes. Als Reaktion darauf wurden in den anderen sozialistischen Ländern Medienkampagnen gegen Belgrad lanciert. Innerhalb der KPJ schlossen sich die Reihen hinter Tito, die Zahl der moskautreuen Genossen war klein. Gerüchte über sowjetische Mordpläne gegen Tito machten die Runde, in der Prawda war zu lesen, das »Schicksal Trotzkis« sei lehrreich. Nunmehr galt das Kominform – wie zuvor die Kommunistische Internationale – als Werkzeug Moskaus, um die Bruderparteien zu steuern.

Der Bruch war endgültig. Die am 19. Juni 1948 in Bukarest begonnene 2. Konferenz des Kominformbüros besiegelte lediglich den Ausschluss Jugo­slawiens. In der sich zuspitzenden Blockkonfrontation des Kalten Krieges war mit Jugoslawien einer der wichtigsten Verbündeten der Sowjetunion weggebrochen. Stalin hatte das Selbstbewusstsein der Jugoslawen unterschätzt.

Pendelpolitik

Auf dem 5. Parteitag im Juli rechtfertigte die Führung der KPJ den eingeschlagenen Weg gegenüber ihren Mitgliedern. Bei der Wahl zum Zentralkomitee wurden Tito und seine Führungsriege mit überwältigender Mehrheit bestätigt.

Tausende Parteimitglieder und andere Bürger, die der neuen Linie nicht folgen wollten, wurden inhaftiert. Viele wurden wegen des Vorwurfs des »Stalinismus« auf die Gefängnisinsel Goli otok gebracht.

Die KPJ proklamierte fortan weiterhin den Marxismus-Leninismus für sich, beanspruchte aber eine eigene Entwicklung des Sozialismus. Rück­blickend wurde die enge Bindung an die Sowjetunion als lang anhaltender Verrat Moskaus uminterpretiert. Aus dem Bruch mit der Sowjetunion entwickelte sich eine eigene Form des Sozialismus, die sich vor allem auf das Marxsche Frühwerk berief. Daraus leitete sich später die in Jugoslawien etablierte Form der Arbeiterselbstverwaltung ab, der die Annahme zugrunde lag, dass durch die direkte Kontrolle der Produktion durch die Produzenten der Staat sukzessive absterben würde.

Außenpolitisch orientierte sich Jugoslawien um. Tito verstand es, eine geschickte Pendelpolitik zwischen den beiden dominierenden Blöcken des Kalten Krieges zu betreiben, zum Vorteil des Landes, das nun finanzielle und ökonomische Hilfe aus dem Westen erhielt.

Außerdem wurde Jugoslawien – auch aufgrund der eigenen Widerstandsgeschichte – zum Bezugspunkt der antikolonialen Kämpfe in Afrika und Asien. Belgrad war Gründungsmitglied der Blockfreien Bewegung, die einen dritten Weg zwischen »autoritärem Sozialismus« und »Kapitalismus« beschreiten wollte.

Erst mit dem 20. Parteitag der KPdSU öffnete sich die Sowjetunion wieder Jugoslawien. Schließlich trug auch 1956 die Auflösung der Kominform, eine von Tito erhobene Forderung, zur Normalisierung der Beziehungen bei.



<< Schon 1944 hatte Stalin nicht glauben wollen, dass wir in Jugoslawien uns dies alles bitter schwer selbst erkämpft hatten. Er war beeinflusst von einer Reihe von Misserfolgen, die die Arbeiterbewegungen der ganzen Welt zwischen den Weltkriegen erlitten. Daher hatte sich tiefes Misstrauen gegen alles, was außerhalb der Sowjetunion vorging, in ihm festgesetzt. Und dabei war er selbst gerade für diese unglückliche Entwicklung in den Arbeiterbewegungen verantwortlich, die – wenigstens zum Teil – daraus resultierten, dass die Führung in jenen Ländern seinen Anweisungen blind gefolgt waren. Das war das Ergebnis seines unbeugsamen Standpunktes, seiner falschen Einschätzung der Lage und vor allem einer Methode einer starren zentralen Führung. (…) Stalin schätzte damals und schätzt noch heute die gesamte Arbeiterbewegung außerhalb der Sowjetunion gering; er glaubt, dass wir in Jugoslawien niemals ohne seine Hilfe siegen würden; unser kriegerischer Geist machte ihm selbst damals Sorgen, als wir gegen Hitler kämpften. Außerdem vertraute er allzu sehr auf seine persönliche Autorität. >>

Aus einem Gespräch zwischen Tito, dem damaligen Chef des Generalstabs der Jugoslawischen Volksarmee, Koca Popovic, und Vladimir Dedijer im Sommer 1952 (Vladimir Dedijer: Tito. Autorisierte Biographie, Berlin 1952, S. 376 f.




(deutsch / srpskohrvatski / italiano)

In memoria di Domenico Losurdo

0) Il nostro ricordo e altri collegamenti
1) Introduzione di Domenico Losurdo alla Autodifesa di Slobodan Milošević di fronte al “Tribunale ad hoc” dell’Aia
2) Knjiga Domenika Losurda "Historijski revizionizam. Problemi i mitovi" / Velika kontrarevolucija (Srečko Pulig (Pubblicata la traduzione croatoserba del "Revisionismo storico" di Domenico Losurdo)


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Lo scorso 28 giugno, all’età di 77 anni, a seguito di una breve inesorabile malattia è morto Domenico Losurdo, insigne storico del pensiero filosofico, marxista, grande conoscitore di Hegel.
La notizia riguarda anche noi e ci colpisce direttamente in virtù non solo della ampia condivisione di punti di vista sulle questioni della contemporaneità – esemplificata dal grande numero di testi di Losurdo che abbiamo contribuito a far conoscere negli anni, si veda: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/search/messages?query=Losurdo – ma anche in quanto Losurdo è stato socio ed era tuttora membro del Comitato Scientifico-Artistico della nostra Onlus, avendoci sostenuto anche concretamente nelle campagne avviate a seguito della aggressione NATO contro la Jugoslavia nel 1999.
Non sarebbe possibile, né corretto, entrare qui nel merito dei contenuti del suo pensiero politico-filosofico, sia per nostra inadeguatezza sia per l'impossibilità di rendere contro in maniera sintetica dei grandi temi che Losurdo ha trattato promuovendo importanti controversie, facendosi quasi esempio vivente della applicazione del metodo dialettico: pacifismo/nonviolenza ; marxismo occidentale/orientale ; guerre umanitarie, neocolonialismo e razzismo "liberale"... Su altri temi non meno rilevanti e controversi (es. sovranismo, questione nazionale, europeismo, globalizzazione ; materialismo storico/dialettico e dialettica hegeliana/engelsiana) la sintesi è di là da venire, e il contributo di "Mimmo" Losurdo ci mancherà fortemente. Ci limitiamo nel seguito a segnalare alcuni primi testi di cordoglio pervenuti, che abbozzano un suo profilo intellettuale, e proponiamo: 
(1) la sua durissima introduzione alla Autodifesa di Milošević, in cui paragonava il "Tribunale ad hoc" dell'Aia alle corti-fantoccio del Ku Klux Klan: uno scritto che sembra premonitore della eliminazione fisica dell'imputato da parte dello stesso "Tribunale", occorsa pochi mesi dopo; 
(2) la segnalazione e una recensione della recentissima edizione in lingua croatoserba del saggio di Losurdo sul revisionismo storico, tradotto e curato dalla "nostra" indimenticabile Jasna Tkalec e da Luka Bogdanić.
(a cura di A. Martocchia per Jugocoord Onlus)

--- Siehe auch /Si vedano anche:

Ein Brocken im Vorgarten (Von Arnold Schölzel, 30.6.2018)
Für die Einheit des menschlichen Geschlechts: Ein Nachruf auf den marxistischen Historiker Domenico Losurdo
https://www.jungewelt.de/artikel/335204.ein-brocken-im-vorgarten.html

In memoria di Domenico Losurdo (Marco Paciotti e Paola Bubici, 30/06/2018)
... storico della filosofia da anni impegnato in una vasta e profonda opera di rilettura della storia e del pensiero universali in chiave hegelo-marxista, scomparso ... i due pilastri del programma teorico losurdiano: l’uscita del marxismo da ogni dimensione utopistico-mitologica per il suo ingresso in una dimensione scientifica (ovvero nel solco della Wissenschaft hegeliana, della scienza della totalità) e la riscoperta della questione nazionale come sola garanzia per un internazionalismo che sia espressione di universalismo concreto...
https://www.lacittafutura.it/cultura/in-memoria-di-domenico-losurdo

L’Accademia marxista cinese ricorda Domenico Losurdo (Deng Chundong / Accademia cinese del Marxismo CASS, 30 Giugno 2018)

La scomparsa del compagno Domenico Losurdo (Ruggero Giacomini, PCI / Mauro Gemma e la redazione di Marx21.it, 28 Giugno 2018)

Blog ideato e curato da Stefano G. Azzarà


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Dal libro "IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA. Il j’accuse di Slobodan Milošević di fronte al “Tribunale ad hoc” dell’Aia" 
N.B. di questo libro è in preparazione una nuova edizione con importanti integrazioni)

Domenico Losurdo

Introduzione 

Tra le idiozie e le infamie messe in circolazione dall’ideologia che ha accompagnato la guerra contro la Jugoslavia, una spicca in modo particolare: il processo all’Aia contro Milosevic si collocherebbe su una linea di continuità coi processi di Norimberga e Tokyo, che suggellano la fine del secondo conflitto mondiale. In realtà, i responsabili del Terzo Reich e dell’Impero del Sol Levante sono condannati in primo luogo per aver scatenato una guerra d’aggressione. L’atto d’accusa del processo di Norimberga contesta agli imputati di aver commesso «crimini contro la pace» e di aver violato le «convenzioni per la regolamentazione pacifica dei conflitti internazionali». Il 24 novembre 1948, nel confermare le sette condanne a morte emesse dal tribunale di Tokyo, il generale statunitense MacArthur esclama: «Che la Provvidenza Onnipotente faccia uso di questa tragica espiazione come simbolo per ammonire tutte le persone di buona volontà a rendersi conto della totale futilità della guerra - il flagello più terribile e il peccato più grande dell'umanità - con la finale rinuncia ad essa da parte di tutte le nazioni». E’ appena il caso di dire che, a voler tener conto oggi di questo monito e di questi precedenti, sul banco degli imputati dovrebbero essere inchiodati Clinton, i suoi  alleati e i suoi complici.
Ben diversa e persino contrapposta è la storia che agisce alle spalle del processo contro Milosevic. E’ la tradizione delle guerre coloniali. Coloro che osano opporre resistenza alle grandi potenze depositarie della Civiltà sono per ciò stesso «briganti» o «ribelli», da sottoporre a processo ed eventualmente da passare per le armi. Malamente camuffata da «giustizia», la vendetta colonialista si accanisce anche dopo la morte. Nel 1898, con la battaglia di Omdurman, la Gran Bretagna riesce a riassoggettare il Sudan, che in precedenza aveva sconfitto gli inglesi e conquistato l’indipendenza. Ora i bianchi superuomini avvertono il bisogno di riscattare l’umiliazione subita: non si limitano a finire i nemici orribilmente feriti dalle pallottole dum-dum. Devastano la tomba del Mahdi, l’ispiratore e protagonista della resistenza anticoloniale: dopo una sorta di processo, il suo cadavere è decapitato; mentre il resto del corpo è gettato nel Nilo, la testa viene portata in giro come trofeo. Le regole che valgono per gli Stati civili non hanno senso nel rapporto coi barbari, che per definizione sono un’orda barbarica e non già uno Stato e, dunque, non dispongono in senso stretto né di capi di Stato né di capi di governo.
Pur caratterizzati da forti limiti politici e da evidenti forzature giuridiche, i processi di Norimberga e di Tokyo hanno comunque il merito di rompere con questa infame tradizione colonialista. L’atto di accusa di Norimberga contesta ai gerarchi nazisti di aver teorizzato e praticato la «dottrina del popolo dei signori» ovvero della «razza dei signori», abilitati al dominio sui popoli considerati inferiori. E, ancora una volta, dovrebbe essere chiaro a tutti chi si colloca su una linea di continuità coi caporioni del Terzo Reich. Nel discorso che inaugura il suo primo mandato presidenziale, Clinton dichiara: l’America «deve continuare a guidare il mondo»; «la nostra missione è senza tempo». A sua volta, George W. Bush è giunto al potere nel 2000 proclamando un vero e proprio dogma: «La nostra nazione è eletta da Dio e ha il mandato della storia per essere un modello per il mondo». A mettere in scena e a portare avanti la farsa del processo a Milosevic sono due personaggi che, con linguaggio appena più levigato, non si vergognano di riesumare la «dottrina del popolo dei signori» ovvero della «razza dei signori», per definizione superiori non solo agli altri popoli, ma anche agli statuti e alle risoluzioni dell’ONU.
Se Norimberga e Tokyo erano la rottura con la tradizione coloniale, l’odierno processo all’Aia è la rottura con Norimberga e la ripresa della tradizione coloniale. Di nuovo c’è solo un piccolo aggiornamento linguistico. I colpevoli di aver opposto resistenza al «popolo dei signori» sono condannati non più in quanto «briganti» o «ribelli», bensì in quanto «criminali di guerra». A pronunciare tale requisitoria è in primo luogo un paese che, ancora nel secondo dopoguerra, non è indietreggiato dinanzi ad alcuna infamia nel tentativo (fallito) di assogettare i popoli dell’Indocina: qui, ancora ai giorni nostri, innumerevoli bambini, donne e uomini continuano a portare nel loro corpo martoriato i segni dell’indscriminata guerra chimica condotta dagli aspiranti padroni del pianeta. D’altro canto, per ironia della storia, la farsa giudiziaria contro Milosevic va avanti mentre, nonostante la censura, trapelano particolari agghiaccianti su Guantanamo e Abu Ghraib.
Tra Otto e Novecento, i «processi» e le esecuzioni inflitti ai «briganti» e ai «ribelli» delle colonie andavano di pari passo coi «processi» e con le esecuzioni cui erano sottoposti coloro che osavano sfidare la «supremazia bianca» e occidentale già nel cuore della metropoli. Sugli afroamericani, che avevano l’ardire di difendere o rivendicare la propria dignità umana, la «giustizia» del Ku Klux Klan si accaniva con un sadismo raccapricciante. Ma qui è di un altro aspetto che voglio occuparmi. I linciaggi dei neri erano annunciato con anticipo sulla stampa locale. Ad assistere e a divertirsi erano spesso migliaia di persone compresi donne e bambini: carrozze supplementari erano aggiunte ai treni per spettatori provenienti anche da località a chilometri di distanza; i bambini delle scuole potevano avere un giorno libero. Ecco, l’umiliazione, la degradazione e la lenta agonia del ribelle si configuravano come uno spettacolo pedagogico di massa: il popolo dei signori era chiamato a godere della sua supremazia, mentre i neri dovevano introiettare sino in fondo la lezione della necessità della rassegnazione.
Analoghe finalità pedagogiche erano state assegnate al processo contro Milosevic, ma già delle prime sedute tutti, assistendo direttamente o tramite la televisione, hanno potuto rendersi conto della netta superiorità politica e morale dell’imputato rispetto ai suoi accusatori e ai loro burattinai. A questo punto, ha cominciato a rivelarsi controproducente l’enorme apparato multimediale approntato per completare sul piano propagandistico la vittoria conseguita a livello militare. Ora, pur di portare a termine il rito dell’ineluttabilità della Giustizia del Ku Klux Klan internazionale diretto da Washington, si è pronti a mettere da parte o a ridimensionare drasticamente lo spettacolo pedagogico di massa. L’importante è che subisca una condanna esemplare e definitiva il «ribelle», il «brigante», il «criminale di guerra» che ha osato disobbedire agli ordini del popolo dei signori statunitense e occidentale.
 
Domenico Losurdo
16 settembre 2005

 
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Domenico Losurdo

Historijski revizionizam. Problemi i mitovi

Srpsko kulturno društvo Prosvjeta, 2017. 

prevoditelji: Jasna Tkalec i Luka Bogdanić
urednik: Rade Dragojević
232 str. ; 22 cm. ISBN: 9789533560021



Velika kontrarevolucija

Domenico Losurdo, Historijski revizionizam; Problemi i mitovi (s talijanskoga preveli Luka Bogdanić i Jasna Tkalec, Prosvjeta, Zagreb 2017.): Povijest historijskog revizionizma nemoguće je razumjeti izvan konteksta barem 200 godina buržoaskih i socijalističkih revolucija, čije je naličje doba kolonijalizma. Čuvari tekovina tako uređenog svijeta, iz kojega još nismo izašli, imaju dobre razloge da blate Francusku i Oktobarsku revoluciju

piše Srečko Pulig, 25. travnja 2018.

Knjiga talijanskog filozofa historije Domenica Losurda ‘Historijski revizionizam; Problemi i mitovi’ (Prosvjeta, Zagreb 2017.) dobrodošlo je osvježenje u našoj javnosti, koja pred zlom revizionizma, kojemu smo u barem dva vala ovdje izloženi, stoji uglavnom teorijski razoružana. A ne bismo takvima trebali biti. Jer problem revizionizama, u širem i užem smislu, kako ih razvrstava Losurdo, nije nov. Podsjetimo na domaći kontekst. ‘Revizionizam’ i ‘pravovjerje’ bili su opsesija u svim povijesnim socijalizmima, a donekle specifično i u našem. Mi smo naime, kao što je poznato, za ortodoksiju tzv. realnog socijalizma, koja je imala svoje sljedbenike i na Zapadu, barem od 1948. bili ‘revizionistima’. Zemljom koja je napustila učenje marksizma-lenjinizma i dala se u potragu za jednim autentičnim – ni istočnim ni zapadnim – humanističkim marksizmom. Danas i spram tog naslijeđa možemo biti kritičnima. A ta kritika i postoji. Jedna je ona dominantna, desničarskog revizionizma u užem smislu, koji odbacuje sve socijalističke pokrete, a posebno jugoslavenski, kao nešto strano našem ‘nacionalnom tijelu’. Tone ispisane profašističke literature, u publicisti i novinarstvu, ali i znanosti u ‘tranzicijskoj Hrvatskoj’, izvor su šund literature za ‘razvlačenje pameti’ u svakodnevnim borbama oko ono malo vlasti što je samoskrivljenim novim ‘urođenicima’ ovih krajeva, od silne priče o neovisnosti, ostala. Takvi danas, ne slučajno, na svojim nemasovnim paradama uz lokalne postfašističke nose i američku zastavu, nadajući se da će ih svjetska sila broj jedan prepoznati i priznati kao svoje. No u tom računu su se prevarili. Ne zato što je danas američka država vođa ‘slobodnog svijeta’ imunog na fašistoidne tendencije, nego zato što njoj oni trenutno ne trebaju. A ne trebaju ni Njemačkoj, koja se bori protiv svog novootkrivenog postfašizma, jer spram njega djeluju kao utvare iz predmodernih vremena.
Gledamo li s druge strane u povijest odnosa marksizma i sada široko shvaćenog revizionizma ovdje, dovoljno je usporediti dva po jednom bitnom tekstu slična, no po kontekstu bitno različita izdanja. Naime, dvije knjige, ‘Marksizam i revizionizam’ (Naprijed, Zagreb 1958.) i ‘Revizionizam’ (Globus, Zagreb 1981.), sadrže isti bitan tekst. Onaj Eduarda Bernsteina‘Pretpostavke socijalizma i zadaci socijalne demokracije’, napisan na prijelazu iz 19. u 20. stoljeće. I dok u prvom izdanju Bernsteina kao revizionista još uvijek, usprkos razlazu sa  SSSR -om, i u nas poriču LenjinPlehanovRosa Luxemburg i August Bebel, u drugom izdanju, koje je izabrao i predgovorio politolog Ivan Prpić, nalazimo uz isti još dva Bernsteinova teksta protiv ‘boljševičke varijante socijalizma’. Ali i tekstove Georgesa SorelaJeanaJauresaSaverija MerlinaIvanoa Bonomija i Petera von Struvea. Ono što je bitnije od izbora tekstova stav je priređivača, koji je sad naklonjeniji strani koja se još uvijek zove ‘revizionističkom’, no sada već u pozitivnom smislu. To je primjer kako je s prljavom vodom obračuna sa staljinizmom u Jugoslaviji 1980-ih bačeno i dijete. Naime Oktobar, bez inspiracije kojim ne bi bilo ni  NOB -a, a onda vjerojatno ni šanse da sve to s liberalnih pozicija bude negirano. Jer bi cijelo vrijeme vladao mrak pravog desničarskog revizionizma, u užem smislu.
Kada je zavladao novi ciklus povijesnog revizionizma, posebno onaj u Njemačkoj 1970-ih i 1980-ih, predvođen novom popularnošću teza Ernsta Noltea, mi smo imali barem jednog povjesničara – našeg porijekla, ali veći dio života u Njemačkoj – koji se njemu i dužoj tradiciji iz koje proističe suprotstavio. Bio je to Eduard Čalić. Sada to izgleda čudno, ali govori o vremenu koje je bilo potrebno čak i tuđmanizmu da zavlada, no on je uspio u nas 1990-ih objaviti ‘Evropsku trilogiju; Marseille i Drugi svjetski rat’ (Zagreb 1993.) i ‘Europu gledanu s Balkana; Kritiku koncepcije globalističkog revizionizma’ (Zagreb 2000.). U tim knjigama mi još sudjelujemo u svjetskoj diskusiji, dok se danas samo reaktivno trzamo na u međuvremenu od vlasti razrađenu revizionističku ideologiju o ‘dva totalitarizma’, onom fašističkom i onom komunističkom. Ili na očite falsifikate obiteljaša, čije je doktrinarno porijeklo u američkom vjerskom ekstremizmu, a posljedice su po društvo na drugi način pogubne od onih iz 1990-ih.
Prva u nas prevedena Losurdova knjiga kreće se oko nekoliko bitnih koncepata, čiji je zajednički nazivnik da je povijest historijskog revizionizma nemoguće razumjeti izvan konteksta barem 200 godina buržoaskih i socijalističkih revolucija, čije je naličje doba kolonijalizma. Ili u drugoj tradiciji rečeno – imperijalizma. Čuvari tekovina tako uređenog svijeta, iz kojega još nismo izašli, imaju dobre razloge da blate Francusku i Oktobarsku revoluciju, kao i cijelo naslijeđe emancipatornih pokreta 20., ali i njemu prethodnog 19. stoljeća, da ih falsificiraju i prerađuju po svojoj mjeri svjetskih gospodara. A to je uloga od koje, vidimo, ne namjeravaju tako lako odustati. Pozivajući se na komparativni pristup, koji možda i prečesto završava u analogijama, Losurdo analizira probleme i mitove historijskog revizionizma prvenstveno u Velikoj Britaniji,  SAD -u i Francuskoj, a tek izvedeno i u Njemačkoj, koja ih, uostalom, u mnogo čemu slijedi. Nacizam nije u prvom planu namjerno, ne zato što to svojom izuzetnošću ne bi zaslužio, već zato da se obasja i one koji ostaju u sjeni kada se sva krivnja za krvavu povijest 20. stoljeća strovali na Njemačku, a onda uzročno-posljedično i na Sovjetski Savez. On govori o međunarodnom građanskom ratu, koji se može razlučiti na onaj imperijalistički i onaj revolucionarni. Oba navodno imaju elemente ideološkog križarskog pohoda i svetog rata ‘koji u svom teleološkom bijesu protiv heretika ne priznaje razlike između boraca i civilnog stanovništva’. No Losurdo uvjerljivo na bezbroj primjera dokazuje da to puno više vrijedi za prvi slučaj. Kako bi to potkrijepio, uvodi razlikovanje između dva oblika ‘despecifikacije’, kako zove postupak u kojemu se neprijatelja u totalnom sukobu izopćava iz civiliziranog društva ili čak iz ljudskog roda. Prvi, opakiji oblik takvog fanatizma je naturalističkadespecifikacija, pomoću koje se određene etničke, društvene ili političke skupine naprosto isključuju iz ljudske vrste. To proturevolucionarni pokreti, kolonijalizam i imperijalizam, stalno čine. Protivnici Francuske revolucije govore o pobunjenicima, građanima, radnicima i seljacima, kao o Hunima, barbarima, sablastima Vandala i Gota, barbarskoj klasi robova, antropofagima. Revolucionari, od francuskih do sovjetskih i drugih, razvijaju pak despecifikaciju neprijatelja na političko-moralnoj osnovi. Iako Staljin govori o kulacima kao o najbestijalnijim eksploatatorima, krvopijama koji su se obogatili na bijedi naroda, vampirima i sl., bitno je uvidjeti razliku da to nisu vječna i rasno pripisana svojstva, što je pravilo u imperijalista.
Općenito govoreći, revizionistička historiografija potiskuje u drugi plan kolonijalno i nacionalno pitanje u svjetskim razmjerima, a baš o tome se radi u tri ogromna sukoba koji stoje u središtu posljednja dva stoljeća. Svaki od njih traje po nekoliko desetaka godina, a osim vojno-političkog, svi oni imaju i ideološki aspekt. Prvi počinje Francuskom revolucijom i završava restauracijom. Drugi obuhvaća razdoblje dva svjetska rata, koje Losurdo naziva i ‘Drugi tridesetogodišnji rat’. Treći ogroman sukob započinje Oktobarskom revolucijom, da bi preko razdoblja hladnog rata završio nestankom  SSSR -a. Slijedi zaključak kako je jedini ideološko-politički entitet koji je iz sva ta tri sukoba izašao kao pobjednik anglosaksonski svijet. Pisan ovako, bez navodnika, termin vuče na poznatu teoriju o kulturnim krugovima britanskog filozofa povijesti Arnolda Toynbeea, koju je ljevica svojedobno kritizirala.



E’ finita l’era dell’imperialismo umanitario

1) Neocolonialismo e «crisi dei migranti» (M. Dinucci 26.06.2018)
2) Circuito di morte nel «Mediterraneo allargato» (M. Dinucci 19.06.2018)
3) E’ finita l’era dell’”imperialismo umanitario”, quindi guerra alle Ong (A. Avvisato, 18 giugno 2018)


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Neocolonialismo e «crisi dei migranti»

In un paese in cui circa la metà della popolazione vive in povertà, è aumentata la massa di coloro che cercano di entrare negli Stati uniti. Da qui il Muro lungo il confine col Messico, iniziato dal presidente democratico Bill Clinton quando nel 1994 è entrato in vigore il Nafta, proseguito dal repubblicano George W. Bush, rafforzato dal democratico Obama, lo stesso che il repubblicano Trump vorrebbe ora completare su tutti i 3000 km di confine

di Manlio Dinucci 

su Il Manifesto del 26.06.2018

Dagli Stati uniti all’Europa, la «crisi dei migranti» suscita accese polemiche interne e internazionali sulle politiche da adottare riguardo ai flussi migratori. Ovunque però essi vengono rappresentati secondo un cliché che capovolge la realtà: quello dei «paesi ricchi» che sarebbero costretti a subire la crescente pressione migratoria dai «paesi poveri».

Si nasconde la causa di fondo: il sistema economico che nel mondo permette a una ristretta minoranza di accumulare ricchezza a spese della crescente maggioranza, impoverendola e provocando così l’emigrazione forzata.  Riguardo ai flussi migratori verso gli Stati uniti, è attualissimo ed emblematico il caso del Messico.

La sua produzione agricola è crollata quando, con il Nafta (l’accordo nordamericano di «libero» commercio), Usa e Canada hanno inondato il mercato messicano con prodotti agricoli a basso prezzo grazie alle proprie sovvenzioni statali.

Milioni di contadini sono rimasti senza lavoro, ingrossando il bacino di manodopera reclutata nelle maquiladoras: migliaia di stabilimenti industriali lungo la linea di confine in territorio messicano, posseduti o controllati per lo più da società statunitensi, nei quali i salari sono molto bassi e i diritti sindacali inesistenti.

In un paese in cui circa la metà della popolazione vive in povertà, è aumentata la massa di coloro che cercano di entrare negli Stati uniti. Da qui il Muro lungo il confine col Messico, iniziato dal presidente democratico Bill Clinton quando nel 1994 è entrato in vigore il Nafta, proseguito dal repubblicano George W. Bush, rafforzato dal democratico Obama, lo stesso che il repubblicano Trump vorrebbe ora completare su tutti i 3000 km di confine.

Riguardo ai flussi migratori verso l’Europa, è emblematico il caso dell’Africa. Essa è ricchissima di materie prime: oro, platino, diamanti, uranio, coltan, rame, petrolio, gas naturale, legname pregiato, cacao, caffè e molte altre. Queste risorse, sfruttate dal vecchio colonialismo europeo con metodi di tipo schiavistico, vengono oggi sfruttate dal neocolonialismo europeo facendo leva su élite africane al potere, manodopera locale a basso costo e controllo dei mercati interni e internazionali. Oltre cento compagnie quotate alla Borsa di Londra, britanniche e altre, sfruttano in 37 paesi dell’Africa subsahariana risorse minerarie del valore di oltre 1000 miliardi di dollari.

La Francia controlla il sistema monetario di 14 ex colonie africane attraverso il Franco CFA (in origine acronimo di «Colonie Francesi d’Africa», riciclato in «Comunità Finanziaria Africana»): per mantenere la parità con l’euro, i 14 paesi africani devono versare al Tesoro francese metà delle loro riserve valutarie.

Lo Stato libico, che voleva creare una moneta africana autonoma, è stato demolito con la guerra nel 2011. In Costa d’Avorio (area CFA), società francesi controllano il grosso della commercializzazione del cacao, di cui il paese è primo produttore mondiale: ai piccoli coltivatori resta appena il 5% del valore del prodotto finale, tanto che la maggior parte vive in povertà. Questi sono solo alcuni esempi dello sfruttamento neocoloniale del continente. L’Africa, presentata come dipendente dall’aiuto estero, fornisce all’estero un pagamento netto annuo di circa 58 miliardi di dollari. Le conseguenze sociali sono devastanti.

Nell’Africa subsahariana, la cui popolazione supera il miliardo ed è composta per il 60% da bambini e giovani di età compresa tra 0 e 24 anni, circa i due terzi degli abitanti vivono in povertà e, tra questi, circa il 40% – cioè 400 milioni – in condizioni di povertà estrema. La «crisi dei migranti» è in realtà la crisi di un sistema economico e sociale insostenibile.


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Circuito di morte nel «Mediterraneo allargato»

L'arte della guerra. È stata fondamentalmente la strategia Usa/Nato a provocare «l’arco di instabilità» con le due guerre contro l’Iraq, le altre due guerre che hanno demolito gli Stati jugoslavo e libico, e quella per demolire lo Stato siriano

di Manlio Dinucci 

su Il Manifesto del 19.06.2018

I riflettori politico-mediatici, focalizzati sui flussi migratori Sud-Nord attraverso il Mediterraneo, lasciano in ombra altri flussi: quelli Nord-Sud di forze militari e armi attraverso il Mediterraneo. Anzi attraverso il «Mediterraneo allargato», area che, nel quadro della strategia Usa/Nato, si estende dall’Atlantico al Mar Nero e, a sud, fino al Golfo Persico e all’Oceano Indiano. Nell’incontro col segretario della Nato Stoltenberg a Roma, il premier Conte ha sottolineato la «centralità del Mediterraneo allargato per la sicurezza europea», minacciata dall’«arco di instabilità dal Mediterraneo al Medio Oriente». Da qui l’importanza della Nato, alleanza sotto comando Usa che Conte definisce «pilastro della sicurezza interna e internazionale». Completo stravolgimento della realtà.

È stata fondamentalmente la strategia Usa/Nato a provocare «l’arco di instabilità» con le due guerre contro l’Iraq, le altre due guerre che hanno demolito gli Stati jugoslavo e libico, e quella per demolire lo Stato siriano. L’Italia, che ha partecipato a tutte queste guerre, secondo Conte svolge «un ruolo chiave per la sicurezza e stabilità del fianco sud della Alleanza».

In che modo, lo si capisce da ciò che i media nascondono. La nave Trenton della U.S. Navy, che ha raccolto 42 profughi (autorizzati a sbarcare in Italia a differenza di quelli dell’Aquarius), non è di stanza in Sicilia per svolgere azioni umanitarie nel Mediterraneo: è una unità veloce (fino a 80 km/h), capace di sbarcare in poche ore sulle coste nord-africane un corpo di spedizione di 400 uomini e relativi mezzi. Forze speciali Usa operano in Libia per addestrare e guidare formazioni armate alleate, mentre droni armati Usa, decollando da Sigonella, colpiscono obiettivi in Libia. Tra poco, ha annunciato Stoltenberg, opereranno da Sigonella anche droni Nato. Essi integreranno l’«Hub di direzione strategica Nato per il Sud», centro di intelligence per operazioni militari in Medioriente, Nordafrica, Sahel e Africa subsahariana.

L’Hub, che diverrà operativo in luglio, ha sede a Lago Patria, presso il Comando della forza congiunta Nato (Jfc Naples), agli ordini di un ammiraglio statunitense – attualmente James Foggo – che comanda anche le Forze navali degli Stati uniti in Europa (con quartier generale a Napoli-Capodichino e la Sesta Flotta di stanza a Gaeta) e le Forze navali Usa per l’Africa. Tali forze sono state integrate dalla portaerei Harry S. Truman, entrata due mesi fa nel Mediterraneo con il suo gruppo d’attacco.

Il 10 giugno, mentre l’attenzione mediatica si concentrava sulla Aquarius, la flotta Usa con a bordo oltre 8000 uomini, armata di 90 caccia e oltre 1000 missili, veniva schierata nel Mediterraneo orientale, pronta a colpire in Siria e Iraq. Negli stessi giorni, il 12-13 giugno, faceva scalo a Livorno la Liberty Pride, una delle navi militarizzate Usa, imbarcando sui suoi 12 ponti un altro carico di armi che, dalla base Usa di Camp Darby, vengono inviate mensilmente in Giordania e Arabia Saudita per le guerre in Siria e nello Yemen. Si alimentano così le guerre che, unite ai meccanismi neocoloniali di sfruttamento, provocano impoverimento e sradicamento di popolazioni. Aumentano di conseguenza i flussi migratori in condizioni drammatiche, che provocano vittime e nuove forme di schiavitù. «Sembra che essere duri sull’immigrazione ora paghi», commenta il presidente Trump riferendosi alle misure decise non solo da Salvini ma dall’intero governo italiano, il cui premier viene definito «fantastico».

Giusto riconoscimento da parte degli Stati uniti, che nel programma di governo sono definiti «alleato privilegiato» dell’Italia.


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E’ finita l’era dell’”imperialismo umanitario”, quindi guerra alle Ong

di Alessandro Avvisato, 18 giugno 2018

Questi non toccheranno mai più terra in Italia. La pacchia è stra-finita”. Nel vocabolario di Salvini le Ong (organizzazioni non governative) sono delle “navi da crociera”, “taxi” e persino “vice-scafisti”. Da togliere ovviamente di mezzo.

Inutile prendersela solo col leader della Lega e a tempo perso ministro dell’interno, nonché vice-premier. Lui è solo il megafono più sguaiato di una trasformazione oramai avvenuta nel fragile imperialismo continentale guida tedesca. Complice la crisi economica mai finita – dopo quasi 11 anni – aggravata dalle politiche di austerità e ora dall’esplosione di quella che era la camera di compensazione dell’Occidente (il G7, ora affossato da Trump), la direzione di marcia dell’Unione Europea sta velocemente delineandosi.

Il caso delle Ong è quasi rivelatore. Queste organizzazioni “umanitarie”, ufficialmente “non governative”, finanziate quasi sempre da potenti strutture finanziarie multinazionali (basta guardare il consiglio di amministrazione di Save the children Italia per farsi un’idea) e solo in minima parte dall’opinione pubblica di buoni sentimenti, sono state spesso, per un quarto di secolo, la “colonna civile” degli eserciti occidentali.

Intervenivano dopo una guerra o poco prima dell’attacco occidentale, inevitabilmente giustificato con “ragioni umanitarie” e la “difesa dei diritti umani”. Non tutte le Ong appartengono alla piccola galassia delle “milizie civili” occidentali; alcune sono effettivamente dei piccoli miracoli della solidarietà organizzata (Emergency è probabilmente la migliore espressione di questo sentimento).

Ma l’epoca in cui le Ong in generale erano benedette anche dai governi occidentali sembra decisamente finita. Il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, parla da tempo in modo pesantissimo di quelle impegnate nei salvataggi in mare nel Canale di Sicilia. “Fanno parte di un sistema profondamente sbagliato, che affida la porta d’accesso all’Europa a trafficanti che sono criminali senza scrupolo“. 

Lo affianca una voce giudiziariamente autorevole come il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho: “quello che rende difficile il contrasto alle organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti è il ‘disordine’ negli interventi. Questo determina l’impossibilità di avere appartenenti alla polizia giudiziaria sulle navi che vanno a recuperare i migranti“.

Il discorso di questi due alti magistrati è la versione “beneducata” del ciarpame salviniano, ma non se ne discosta di un millimetro per quanto riguarda l’obiettivo: in mare, d’ora in poi, ci devono essere soltanto i militari. Meglio ancora se “europei” e non solo italiani.

Se alziamo gli occhi dal nostro miserabile teatrino politico e guardiamo a quel che avviene a livello della Ue – fin qui considerata, erroneamente, in parte anche nella cosiddetta “sinistra radicale”, una sorta di bastiona della civiltà contro i rischi di riprecipitare nel fascismo (prima con Berlusconi, ora con Salvini) – la situazione appare assai chiara. Lungi dal considerare un barbaro senza scrupoli il mattatore leghista, i suoi metodi e i suoi obiettivi appaiono integralmente condivisi ai piani alti di Bruxelles.

Intervistato sull’argomento, il capogruppo del Partito Popolare Europeo (quello di Merkel, Rajoy e Berlusconi), Manfred Weber, non fa neppure finta di essere meno drastico: “Mi piace il fatto che con la sua dura decisione sull’Aquarius Salvini abbia fatto chiaramente capire che l’Italia non ne può più, che ha raggiunto il colmo. Un dato positivo. Sono pienamente d’accordo con lui. E lo ero anche con i muri eretti in Bulgaria e in Spagna. Finché ci saranno confini aperti per i migranti illegali questi continueranno ad arrivare”.

Non dice questo perché abbia qualche lontana nostalgia paranazista, ma per un motivo squisitamente economico: “i migranti africani non hanno le competenze lavorative che servono a paesi come Germania e Olanda. E la loro formazione sarebbe troppo costosa per l’Europa”. Quei paesi non hanno neanche pomodori da raccogliere, dunque vanno respinti e riportati nei paesi di provenienza, aumentando il numero dei militari europei impiegati in Frontex.

Di fronte a questa linea europea – Salvini la spiega a suo modo, per specularci meglio sopra, ma non è affatto una sua esclusiva “conflittuale” con la Ue – a nulla vale l’obiezione sollevata ad esempio dalla presidente di Msf Italia, Claudia Lodesani: “le navi delle Ong effettuano i soccorsi sempre in coordinamento con la Guardia Costiera. Ed infatti a bordo dell’Aquarius c’erano 400 persone precedentemente soccorse dalla Guardia Costiera italiana“. 

E’ ovviamente verissimo. Ma non conta più nulla. Prima le Ong servivano, ora si devono togliere dai piedi, la parola passa ai militari.

Perché? E’ meglio non avere civili tra i piedi, quando si devono fare certe operazioni. Ne potrebbe risentire tutta la narrazione che descrive l’Unione Europea come un paradiso “umanitario”, dove si fanno rispettare i “diritti civili” anche a costo di bombardare qualcun altro.