Informazione

https://www.cnj.it/home/it/cultura/8919-tesori-d-arte-della-serbia-medievale-orienta-menti-1.html


È disponibile il numero 1 della collana orientamenti di Jugocoord Onlus

 

Tesori d'arte della Serbia medievale

Un viaggio tra Oriente e Occidente

di Rosa D'Amico

Frankfurt: Zambon 2018

 

pagine 144, 17x24 cm, 18 euro
con un inserto di 16 pagine a colori
ISBN: 978-88-98582-69-3
altre info

 

Sommario

Introduzione 11
1. Per la costruzione di un ponte tra culture 11
2. Inquadramento storico: lo Stato serbo medievale, sul confine tra Oriente e Occidente 13
Capitolo 1. L’arte in Serbia al tempo della dominazione latina di Costantinopoli (1204‑1261) 19
1. Incroci e incontri in una terra di passaggio 19
1.1. Architettura e scultura dei monasteri serbi, tra Oriente e Occidente 19
1.2. La pittura bizantina e il rinascimento dell’arte antica al tempo della crisi 20
2. Il monastero di Studenica e la cattedrale di Žiča tra influssi romanici e bizantini 21
2.1. Studenica e la sua architettura al tempo di Nemanja 21
2.2. L’arte bizantina e i Nemanjić all’inizio del XIII secolo: la decorazione di Studenica 23
2.3. La cattedrale di Žiča 27
3. Mileševa nel contesto della scuola della Raška e del classicismo bizantino 30
4. Da Peć a Sopoćani 42
4.1. La fondazione della chiesa dei Santi Apostoli a Peć e i suoi affreschi più antichi 42
4.2. Il monastero di Sopoćani. Storia e architettura 44
4.3. Datazione e iconografia degli affreschi 47
4.4. Caratteri artistici delle pitture di Sopoćani 54
5. I grandi cantieri serbi del ’200 e i rapporti con l’Italia 58
Capitolo 2. Architettura e arte in Serbia al passaggio tra ’200 e ’300 63
1. Il monastero di Gradac, fondazione di Elena d’Angiò 63
1.1. Cambiamenti del linguaggio nell’arte bizantina tra la fine del ’200 e i primi del ’300 63
1.2. La chiesa dell’Annunciazione a Gradac tra tradizione e rinnovamento 64
2. La principale fondazione di Dragutin, Arilje 67
3. Al passaggio tra due secoli: recuperi e nuove tendenze 74
3.1. Il restauro dei Santi Apostoli a Peć. Gli interventi di fine secolo 74
3.2. Il restauro della cattedrale e del monastero di Žiča (1310) 76
Capitolo 3. I grandi cantieri della Serbia trecentesca: le fondazioni del re Milutin e l’attività di Michele Astrapa ed Eutichio 83
1. Una nuova fioritura artistica 83
2. Le fondazioni di Milutin: la cattedrale della Madonna di Ljeviša a Prizren 85
3. Le fondazioni di Milutin: San Giorgio a Staro Nagoričino in Macedonia 90
4. Le fondazioni di Milutin: la chiesa dei Santi Gioacchino ed Anna (Chiesa reale) nel complesso di Studenica 93
5. L’ultima fondazione di Milutin: il monastero di Gračanica 99
Capitolo 4. I grandi cantieri artistici nel periodo di massima espansione dello stato serbo 105
1. Il monastero di Dečani 105
1.1. Storia e architettura 105
1.2. La pittura «enciclopedica» bizantina e gli affreschi di Dečani 109
2. Gli interventi trecenteschi nel monastero di Peć 115
2.1. Aggiunte all’antico complesso: storia delle nuove fondazioni 115
2.2. Le pitture trecentesche nelle chiese del Patriarcato di Peć 118
Conclusioni. Le ultime fasi dell’arte nell’antica Serbia e le vicende dei monasteri dopo la conquista ottomana 123
Appendice 1. Genealogia 125
Appendice 2. Oggetti serbi in Italia: una testimonianza di un’identità dimenticata 127
Appendice 3. Appello della facoltà di arte applicata Filum di Kragujevac 133
Appendice 4. Gračanica 137
Elenco delle immagini 139
Elenco dei nomi e dei luoghi 144
Bibliografia citata 149


 

dalla Quarta di copertina:

Nel Medioevo proprio l’Italia fu, per vicinanza geografica, politica e culturale, la principale cassa di risonanza per la diffusione in Occidente di suggestioni bizantine e balcaniche. Purtroppo il debito contratto con quel mondo è stato a lungo quasi ignorato, a causa di secolari pregiudizi, incentivati anche dalla scarsa informazione sulla reale consistenza di un patrimonio, i cui maggiori monumenti sono in buona parte riaffiorati tra fine ’800 e inizi del ’900: salvo pochi vertici, l’intera arte bizantina è stata a lungo conosciuta in Italia soprattutto tramite opere tarde, o periferiche e «provinciali», che non rendono giustizia alla sua grandezza.

 

L'Autrice

Rosa D’Amico, dal 1976 al 2012 funzionaria della Soprintendenza per i Beni artistici e storici di Bologna, ha seguito nell’ambito della sua attività progetti di tutela, restauro e promozione culturale in città, nella provincia, e nella Pinacoteca Nazionale di Bologna. Ha curato numerose mostre e partecipato a pubblicazioni e convegni scientifici su vari argomenti, approfondendo in particolare gli studi sul periodo dal XIII al XV secolo. 
Dal 1994 ha avviato, in collaborazione con le Istituzioni culturali di Bologna e di altri luoghi d’Italia, progetti di scambio con la Serbia, approfondendo in particolare gli studi sui rapporti storico-artistici, con interventi a convegni e pubblicazioni e curando diverse iniziative espositive. È membro del Comitato scientifico-artistico di Jugocoord Onlus. 

 

collana orientamenti

La conoscenza della realtà jugoslava e balcanica nel nostro paese è meno che scarsa. Nonostante la prossimità geografica, le vicende comuni e gli inevitabili scambi culturali avuti nei secoli, la visione che permane egemone nella pubblica opinione è sintetizzabile con la ben nota locuzione: hic sunt leones. Se attorno al mondo slavo in genere prevalgono vuoi esotismo e intellettualismo vuoi pregiudizio e ostilità, sullo specifico jugoslavo dopo la crisi drammatica di fine Novecento è stata ulteriormente incoraggiata la propensione a rimuovere tutto quanto riguarda i caratteri al contempo unitari e multiformi di quello spazio culturale e storico-politico.
Perciò il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus si è dato come obiettivo costituente quello di rendere possibile una maggiore integrazione delle conoscenze in materia, ed a questo scopo "pubblicare libri, opuscoli, materiali audiovisivi" oltre che diffondere e rendere sempre disponibili informazioni con i moderni strumenti telematici e promuovere specifiche iniziative culturali ed informative.
In linea con questo intendimento viene promossa la collana orientamenti, la quale, intervenendo in territori della Conoscenza attualmente popolati poco e male, necessariamente si prefigge di fornire innanzitutto gli strumenti basilari – ripubblicando classici o traducendo testi importanti mai giunti prima in Italia, fornendo strumenti sintetici e divulgativi su temi diversi, rispondendo alle richieste di chi è veramente interessato a sapere e capire.

CONTENUTI DELLA COLLANA:

Arte e cultura slava e balcanica / Storia contemporanea / Movimento di Liberazione / Politica internazionale / Mondo slavo / Biografie / Movimento operaio e antifascista / Internazionalismo partigiano / Teoria politica / Linguistica / Nazionalità e identità / Amicizia tra i popoli / Macroeconomia / Materiali per la Associazione



Guerra biologica

1) L’accerchiamento batteriologico Usa della Russia (di Fabrizio Poggi)
2) L’esercito di insetti del Pentagono (di Manlio Dinucci, TESTO e VIDEO)
3) I crimini di Gilead Sciences mascherano test del Pentagono? (Rete Voltaire)


Si veda anche:
Diplomatici statunitensi coinvolti nei programmi di guerra batteriologica (di Diljana Gajtandzhieva, Naturalblaze 18 settembre 2018)
L’Ambasciata USA a Tbilisi trasporta sangue umano congelato e agenti patogeni come carico diplomatico per un programma militare segreto degli Stati Uniti. Documenti interni, implicanti diplomatici statunitensi nel trasporto e sperimentazione di agenti patogeni sotto copertura diplomatica, sono stati svelati da esperti georgiani... Esperimenti segreti di notte / Gas velenoso uccide due filippini / Sangue umano e agenti patogeni come carico diplomatico all’ambasciata degli Stati Uniti / Il Pentagono: prostitute severamente vietate, niente sesso all’estero / Gli scienziati statunitensi testano i virus sotto l’immunità diplomatica / Il diritto internazionale non è applicabile / Drone per diffondere zanzare tossiche / Polvere bianca sulla Cecenia / Appaltatori privati: L’agenzia DTRA (Defense Threat Reduction Agency) ha esternalizzato gran parte del lavoro del programma militare presso società private... / Giornalista espulsa dal Parlamento Europeo per aver affrontato il funzionario USA sulle armi biologiche / Bioarmi etniche / I georgiani venivano usati come conigli da laboratorio / Da Parigi con amore / Rapporti riservati: almeno 100 casi di morte in Georgia


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L’accerchiamento batteriologico Usa della Russia


di Fabrizio Poggi, 14 settembre 2018

Torna di attualità a Mosca l’allarme per i laboratori biologici statunitensi sparsi nelle vicinanze dei confini russi. Secondo l’ex Ministro per la sicurezza georgiano, Igor Ghiorgadze, ci sarebbero le prove di attività illecite, da parte Centro di ricerche yankee Richard Lugar, aperto in Georgia all’epoca della presidenza del transfuga “ucraino-polacco” Mikhail Saakašvili. In una conferenza stampa a Mosca, Ghiorgadze ha dichiarato di essere in possesso di documenti che testimoniano di esperimenti biologici su esseri umani; in particolare, un elenco di 30 persone, ricoverate a suo tempo presso il Centro e decedute per epatite C: 24 di esse sarebbero morte nello stesso giorno. L’ex Ministro ha indirizzato una lettera aperta a Donald Trump chiedendogli di chiudere il laboratorio – il suo passaggio sotto giurisdizione georgiana, promesso sin dalla sua inaugurazione, non è ancora avvenuto – e condurre un’indagine sugli esperimenti. 

Riportando la notizia, la Tass nota che gli Stati Uniti hanno sì firmato a suo tempo il Protocollo di Ginevra del 1925 che vieta l’uso di armi batteriologiche e la Convenzione del 1972 che proibisce lo sviluppo di armi batteriologiche e tossicologiche (BTWC); ma lo hanno fatto, con il codicillo secondo cui il divieto di sviluppo delle armi biologiche non proibisce le ricerche nel settore. E Mosca si dice seriamente preoccupata per il fatto che molti laboratori biologici segreti statunitensi si trovino in prossimità dei confini russi.

Dall’Armenia giunge la notizia secondo cui il nuovo Primo ministro Nikol Pašinian avrebbe consentito a specialisti russi l’accesso ai laboratori biologici americani nel paese. In un’intervista a Kommersant, Pašinian ha assicurato che in tali laboratori “non c’è nulla di preoccupante”, data la loro “alta qualità. Credo che sia un bene che ci siano qui tali qualificati laboratori, che in nessun caso possono essere usati contro la Russia” ha detto il Primo ministro armeno.

Di tutt’altro avviso l’ex consigliere russo del Segretario generale dell’ONU, Igor Nikulin, che da tempo lancia l’allarme sugli oltre 400 laboratori USA sparsi per il mondo, in cui si mettono a punto armi biologiche, indirizzate in particolare contro il codice genetico dei russi, dopo che il Pentagono, già un anno fa, aveva ammesso la raccolta di loro materiali biologici. Il Dipartimento della difesa aveva dichiarato che il Molecular Research Center del 59° Medical Air Group della US Air Force stava conducendo studi per identificare vari biomarker legati a lesioni, operando anche su campioni di origine russa, tanto che intendeva acquistare 12 campioni della molecola RNA e 27 campioni del liquido sinoviale di cittadini russi. L’annuncio pubblico specificava che doveva trattarsi di campioni di europoidi e non sarebbero state prese in considerazione persone, ad esempio, originarie dell’Ucraina. Lo stesso Vladimir Putin aveva accennato alla faccenda della raccolta di biomateriali “di diversi gruppi etnici e individui da punti diversi della Federazione Russa”, domandandone retoricamente lo scopo.

Ora, dopo diversi casi di ampi focolai di peste suina africana (ASF), lo stesso Nikulin, intervistato da Sputnik Lettonia, punta il dito sui laboratori biologici USA in Georgia e in Ucraina, sottolineando che la ASF potrebbe essersi espansa in Cina a partire da qualche paese dell’est europeo o del Caucaso, con cui Pechino ha intensi scambi di prodotti agricoli. 

“Gli americani hanno una lunga esperienza in fatto di guerra biologica” dice Nikulin; “basti pensare a cosa hanno imbastito a suo tempo contro Cuba, a come ne hanno infettato i suini. Credo che l’America stia conducendo una guerra biologica permanente contro la Russia e un certo numero di paesi europei. Non ci sono dubbi che i focolai di ASF siano aumentati di molte volte negli ultimi anni, come non era mai accaduto prima, e proprio nelle aree più prossime a Georgia e Ucraina, dove si trovano questi laboratori americani” ha concluso Nikulin.

Sputnik Lettonia evidenzia anche come il mosaico di focolai di ASF offra un quadro abbastanza netto del poligono sperimentale in cui il Pentagono mette a punto le proprie armi biologiche e in cui rientrano anche i Paesi baltici. Lo scorso giugno, l’infezione fu rilevata in poche centinaia di suini in Lettonia; ma, poco dopo, in un solo allevamento nel distretto di Akmenė, in Lituania (proprio sul confine lettone), si sono dovuti abbattere quasi ventimila suini. Oggi, il governo di Vilnius promette incentivi agli agricoltori perché rinuncino all’allevamento di suini, dopo che si sono scoperti ancora 41 focolai di ASF. In Estonia, si sono dovuti abbattere alcune centinaia di cinghiali infetti.

Le statistiche sui focolai di ASF nei Paesi baltici, nota Sputnik, inducono a presumere che la non normale resistenza del virus alle condizioni climatiche settentrionali possa essere stata creata in laboratorio. Per di più, i focolai di ASF sono apparsi quasi simultaneamente su un fronte che va dalla da Georgia a Ucraina, Moldavia, Polonia e Paesi Baltici e coincide con una catena di laboratori biologici del Pentagono dislocati in Armenia, Azerbaidžan, Georgia, Kazakhstan, Kirghizia, Uzbekistan, Tadžikistan, Moldavia, Ucraina. 

Sembra che il nord dell’Eurasia sia ora l’epicentro di tutte le malattie più pericolose, come lo erano stati i paesi latino-americani tra il 1949 e il ’69: Washington ha ammesso di aver condotto 239 esperimenti di armi batteriologiche proprio in quel ventennio. Ora, a quanto pare, si è spostato più a nord.


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Versione VIDEO: L'Arte della Guerra - L’esercito di insetti del Pentagono (IT/PT/EN/FR/DE/SP) (PandoraTV, 9 ott 2018)
Sciami di insetti, che trasportano virus infettivi geneticamente modificati, attaccano le colture di un paese distruggendo la sua produzione alimentare: non è uno scenario da fantascienza, ma quanto sta preparando l’Agenzia del Pentagono per i progetti di ricerca scientifica avanzata (Darpa)...



L'arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

L’esercito di insetti del Pentagono

di Manlio Dinucci 
su Il Manifesto del 9.10.2018

Sciami di insetti, che trasportano virus infettivi geneticamente modificati, attaccano le colture di un paese distruggendo la sua produzione alimentare: non è uno scenario da fantascienza, ma quanto sta preparando l’Agenzia del Pentagono per i progetti di ricerca scientifica avanzata (Darpa). Lo rivelano su Science, una delle più prestigiose riviste scientiche, cinque scienziati di due università tedesche e di una francese. Nel loro editoriale pubblicato il 5 ottobre, mettono fortemente in dubbio che il programma di ricerca della Darpa, denominato «Alleati insetti», abbia unicamente lo scopo dichiarato dall’Agenzia: quello di proteggere l’agricoltura statunitense dagli agenti patogeni, usando insetti quali vettori di virus infettivi geneticamente modificati che, trasmettendosi alle piante, ne modificano i cromosomi. Tale capacità – sostengono i cinque scienziati – appare «molto limitata». Vi è invece nel mondo scientifico «la vasta percezione che il programma abbia lo scopo di sviluppare agenti patogeni e loro vettori per scopi ostili», ossia «un nuovo sistema di bioarmi». Ciò viola la Convenzione sulle armi biologiche, entrata in vigore nel 1975 ma restata sulla carta soprattutto per il rifiuto statunitense di accettare ispezioni nei propri laboratori. I cinque scienziati specificano che «basterebbero facili semplificazioni per generare una nuova classe di armi biologiche, armi che sarebbero estremamente trasmissibili a specie agricole sensibili, spargendo insetti quali mezzi di trasporto».

Lo scenario di un attacco alle colture alimentari di Russia, Cina e altri paesi, condotto dal Pentagono con sciami di insetti che trasportano virus infettivi geneticamente modificati, non è fantascientifico. Quello della Darpa non è l’unico programma sull’uso di insetti a scopo bellico. Il Laboratorio di ricerca della US Navy ha commissionato alla Washington University di St. Louis una ricerca per trasformare le locuste in droni biologici. Attraverso un elettrodo impiantato nel cervello e un minuscolo trasmettitore sul dorso dell’insetto, l’operatore a terra può capire ciò che le antenne della locusta stanno captando. Questi insetti hanno una capacità olfattiva tale da percepire istantaneamente diversi tipi di sostanze chimiche nell’aria: ciò permette di individuare i depositi di esplosivi e altri impianti da colpire con un attacco aereo o missilistico. Scenari ancora più inquietanti emergono dall’editoriale dei cinque scienziati su Science. Quello della Darpa – sottolineano – è il primo programma per lo sviluppo di virus geneticamente modificati per essere diffusi nell’ambiente, i quali potrebbero infettare altri organismi «non solo nell’agricoltura».

In altre parole, tra gli organismi bersaglio dei virus infettivi trasportati da insetti potrebbe esservi anche quello umano. È noto che, nei laboratori statunitensi e in altri, sono state effettuate durante la guerra fredda ricerche su batteri e virus che, disseminati attraverso insetti (pulci, mosche, zecche), possono scatenare epidemie nel paese nemico. Tra questi il batterio Yersinia Pestis, causa della peste bubbonica (la temutissima «morte nera» del Medioevo) e il Virus Ebola, contagioso e letale. Con le tecniche oggi disponibili è possibile produrre nuovi tipi di agenti patogeni, disseminati da insetti, verso i quali la popolazione bersaglio non avrebbe difese. Le «piaghe» che, nel racconto biblico, si abbatterono sull’Egitto con immensi sciami di zanzare, mosche e locuste per volontà divina, possono oggi abbattersi realmente sul mondo intero per volontà umana. Non ce lo dicono i profeti, ma quegli scienziati restati umani.



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I crimini di Gilead Sciences mascherano test del Pentagono?

Rete Voltaire | 5 Ottobre 2018 

La società Gilead Sciences, violando le norme internazionali e senza informare adeguatamente i pazienti, ha deliberatamente continuato i test di Sovaldi (Sofosbuvir), il suo farmaco contro l’epatite C.
A dicembre 2015, durante la sperimentazione del farmaco nel laboratorio georgiano di Gilead Sciences, sono morti 24 pazienti. La società statunitense ha però proseguito i test senza informare delle morti le nuove cavie: ci sono stati altri 49 decessi. Questo quanto ha rivelato, documenti alla mano, l’ex ministro georgiano per la Sicurezza Nazionale, Igor Guiorgadze.
La medesima pillola Sovaldi è venduta a 4,89 $ U.S. in India e a ben 1.000 $ negli Stati Uniti. Le 12 settimane di trattamento costano 705 euro in India, 28.700 euro in Europa, 84.000 $ negli Stati Uniti.
L’ex segretario USA della Difesa, Donald Rumsfeld, è stato direttore generale della società farmaceutica ed è tuttora uno dei suoi principali azionisti.
Nel 1997 Rumsfeld riuscì a far omologare il farmaco contro il vaiolo di Gilead Sciences, il Cidofovir, e a farne inserire la molecola nelle ricerche del Pentagono sul bioterrorismo, intascando così favolose royalty. Nel 1998 Rumsfeld convinse il presidente Bill Clinton a bombardare la fabbrica farmaceutica concorrente di Al-Shifa (produttrice di un farmaco per l’AIDS copiato da Gilead Sciences) col pretesto che si trattava di un’industria in cui si producevano armi chimiche per Al Qaeda. Nel 2001 Rumsfeld divenne segretario alla Difesa e, quando ci furono gli attacchi all’antrace, Gilead Sciences fornì al Pentagono i farmaci contro il vaiolo.
Il comandante delle forze russe di protezione radiologica, chimica e biologica, Igor Kirillov, sospetta che i test del Sovaldi siano in realtà sperimentazioni di armi illegali per conto del Pentagono.
Secondo il senatore russo Igor Morozov, «l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPAC) dovrebbe obbligare gli Stati Uniti a rendere pubblici i dati sullo sviluppo di armi biologiche e sui test su esseri umani. Se la questione non può essere risolta all’interno dell’Organizzazione, ne deve essere immediatamente investito il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite».

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista





Izjave SRP-e Hrvatske

[Due comunicati dal SRP – Partito Socialista dei Lavoratori, unica formazione politica croata ad opporsi esplicitamente alla adesione della Croazia alla NATO e a stigmatizzare la retorica europeista della narrazione dominante]

1) 8. LISTOPAD – DAN OBMANE
[Un commento sull'anniversario dell' 8 ottobre 1991, giornata in cui fu compiuta la sciagurata scelta di formalizzare la secessione antijugoslava]
2) STOP NATO BAZAMA U HRVATSKOJ!
[Presa di posizione contro l'installazione a Zara di un presidio permanente dell'aviazione della NATO, realizzando la prima vera e propria base straniera alla faccia delle ciance sulla "indipendenza" che il paese avrebbe conseguito nel 1991]


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8. LISTOPAD – DAN OBMANE

8. listopada 2018. / SRP 

U ponedjeljak 8. listopada, u Hrvatskoj se obilježava tzv. Dan neovisnosti, ustvari događaj od pred 27 godina kada je Hrvatski sabor donio odluku o jednostranoj secesiji iz zajedničke države SFR Jugoslavije, što je za posljedicu imalo kontrarevolucionarnu promjenu društveno-političkog i ekonomskog sistema i otpočinjanje međuetničkog i međukonfesionalnog oružanog sukoba s elementima građanskog rata.

Tim povodom, u nedjelju je premijer Andrej Plenković uputio građanima Hrvatske samodopadno propagandno intoniranu čestitku. U čestitci je izneseno pregršt netočnih tvrdnji i neprovjerenih pretpostavki. Već na samom početku sporna je premijerova tvrdnja o Hrvatskoj kao samostalnoj i slobodnoj. Hrvatska nije samostalna, ona je dio svog suvereniteta prepustila u tuđe ruke, ona je duboko vazalna i nesamostalna u donošenju važnih odluka i zakonskih akata. Ona nema odriješene ruke u upravljanju vlastitom privredom, već mora za dopuštenje pitati svoje nadređene u EU, poput najnovijeg slučaja rješavanja krize u brodogradnji. Hrvatska nema vlastitu monetarnu politiku,jer je svoje banke prepustila tuđem kapitalu, također telekomunikacije, energetiku, vrijedne turističke objekte, a građani se snabdijevaju u trgovačkim lancima u stranom vlasništvu. Na vanjskom planu također Hrvatska je u više navrata sprovodila poteze suprotne svom interesu, a u korist međunarodnih imperijalističkih centara moći, poput događaja u Siriji, pitanju prava palestinske državnosti, slanja vojnika u tuđe udaljene krajeve s čijim žiteljima nismo u sukobu i iz kojih nam ne prijeti nikakva ugroza.

Navodni privredni rast, koji premjer spominje, demantira sve niži standard sve većeg broja građana, otpuštanja s posla, katastrofalno stanje u poljoprivredi i masovni odlazak mahom mladih i stručnih kadrova na rad u inozemstvo, a koji se u proteklih 27 godina broji u stotinama hiljada.

Kad tome dodamo kriminalnu pljačku društvene imovine, koja je stvarana od oslobođenja pa do secesije 90-ih, protjerano stanovništvo srpske nacionalnosti, koje se također broji u nekoliko stotina hiljada, s područja gdje su vjekovima živjeli, uništena i napuštena sela i naselja, porušene kuće i gospodarske objekte, onda se sasvim sigurno mnogi građani Hrvatske ne osjećaju ponosni kao što premijer sugerira.

Na kraju poruke, premijer spominje i evropske vrijednosti, naravno, paušalno bez obrazloženja, i Hrvatsku uključenost u njih. Međutim, evropske vrijednosti ne sastoje se samo od humanizma, prosvjetiteljstva, znanstvenih i kulturnih dostignuća, modernosti u korist čovječanstva, već među evropske „vrijednosti“ spada i permanentno nasilje vječne borbe koje su Evropljani vodili među sobom, ali i kao osvajači i kolonizatori koji su opljačkali enormna bogatstva, uništili i istrijebili čitave narode i civilizacije, uz blagoslov crkvenog klera. Na tlu Evrope su nastali fašizam i nacizam, započeta su dva najrazornija svjetska rata, industrijski su uništavani ljudi, žene i djeca u koncentracionim logorima. I dan danas sljedbenici fašističke ideologije marširaju uniformirani u evropskim gradovima i osvajaju politički prostor.

Vladimir Kapuralin


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http://www..srp.hr/stop-nato-bazama-u-hrvatskoj/

STOP NATO BAZAMA U HRVATSKOJ!

8. listopada 2018. / SRP

NATO varit će nam tugu, crninu i sramotu

Socijalistička radnička partija (SRP)
 upućuje oštar protest Vladi Republike Hrvatske izražavajući žestoko neslaganje, jednako kao i velika većina naših građana, s postupcima daljnje militarizacije ove zemlje činom nedavnog potpisivanja „Memoranduma o razumijevanju o uspostavi multinacionalnog središta u Zadru za obuku helikopterskih posada za provedbu specijalnih zadaća zrakoplovnih snaga“, čime Hrvatska široko otvara vrata prvoj NATO bazi na svom teritoriju. Smatramo to još jednim neodgovornim korakom s nesagledivim posljedicama uvlačenja zemlje u sve opasnije obračune na uzavreloj međunarodnoj sceni iz razloga ideološke, ekonomske i vojne dominacije alijanse, kao i neprihvaćanje sramne uloge izvođača ratnih radova za imperijalističke ciljeve po svijetu!

Već i sama izjava Rose Gottemoeller, zamjenice glavnog tajnika NATO-a, da će „centar biti namijenjen za obuku timova specijaliziranih za prijevoz specijalnih zračnih snaga u iznimno zahtjevnim misijama“, potvrđuje činjenicu da NATO u Hrvatskoj otvara bazu za obuku i potporu agresivnim misijama svojih trupa po ovom dijelu svijeta, kao i daljnju namjeru agresivne penetracije u širem regionu s ciljem dominacije.

NATO nema mandat u ovoj zemlji – od ovog naroda! Ali i ovim sporazumom, građani su ponovno dovedeni pred svršeni čin jednako kao kada se pristupalo ovom militantnom savezu 2009. odlukom saborskih zastupnika, bez prilike narodu da se referendumom izjasni po ovom važnom pitanju. Svrstavajući se uz samozvanog svjetskog policajca i ostale svjetske silnike, za čije interese već ginu naši ljudi na mnogim stranama svijeta, licemjerno zvuče riječi resornog ministra obrane prigodom potpisivanja Memoranduma „da je ovo veliki dan za Hrvatsku i Hrvatsku vojsku“.

Napuštajući politiku nesvrstanosti i miroljubive koegzistencije među zemljama s različitim političkim sistemima, politiku suradnje i nemiješanja u tuđe poslove, koja je u prošlosti Hrvatskoj u sklopu Jugoslavije stvorila izuzetan politički utjecaj i poštovanje cijelog svijeta, svojim „aktivnim partnerstvom“ u ovom vojnom savezu, koji poduzima intervencije i agresije širom svijeta – često i bez odobrenja OUN-a, među brojnim zemljama međunarodne zajednice bitno je ugrožen ugled jedne samostalne i suverene zemlje.

Ne pristajemo na otvaranje NATO baza u Hrvatskoj kako bi naša zemlja postala svojevrsni „nosač aviona“ za ratoborne akcije ovog saveza širom svijeta!

Stoga tražimo od Vlade da se ovaj štetni sporazum poništi u korist mira, razoružanja i opće demilitarizacije Balkana i svijeta te vraćanja svih vojski unutar svojih granica, što bi trebao biti jedan od osnovnih interesa i temelja politike na međunarodnom planu, a na tragu mnogih međunarodnih sporazuma i konvencija OUN-a, kao i zbog našeg turizma u tim krajevima koji će, postojanjem ove baze, biti iznimno ugrožen. Pozivamo građane Zadra i okolice, kao i ostale, da se javnim protestima suprotstave ovoj namjeri.



(deutsch / english / italiano)

Washington pronta a far esplodere la Chiesa Ortodossa 

0) Altri link e brevi
1) Washington pronta a far esplodere la Chiesa Ortodossa (Rete Voltaire 26.9.2018)
2) Faith, power, money: Conflicting agendas in Ukraine Church politics (Jim Jatras, 3 Oct, 2018)
3) Der Reformator Poroschenko. Der ukrainische Präsident will eine nationale Kirche aufbauen (R. Lauterbach, 12.09.2018)


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Sul ruolo infame della chiesa uniate e sugli attacchi alla chiesa ortodossa russa in Ucraina si vedano anche:

https://www.cnj.it/documentazione/ucraina.htm#uniati2014
https://www.cnj.it/documentazione/ucraina.htm#uniati2015
https://www.cnj.it/documentazione/ucraina.htm#uniati20172018

e, in ordine cronologico inverso:

Papa Francesco e la resistenza ucraina. Gli appelli per Oleg Sentsov (di Vladimir Rozanskij, 20.8.2018)
Le comunità ucraine nel mondo premono su papa Francesco e il Vaticano perché appoggi il destino della nazione e delle Chiese lì presenti, in tensione con la Russia... Lo scorso 8 agosto il papa ha ricevuto in udienza un gruppo di giovanissimi ospiti dall’Ucraina, guidati da Pavel Klimkin, ministro ucraino degli esteri. A nome di tutti i ragazzi, Klimkin ha donato al pontefice il “Libro della bontà”... Nelle sue parole pare esservi un certo scetticismo dopo l’incontro con Parolin... Un’altra questione su cui il ministro degli Esteri ucraino si è intrattenuto nei colloqui in Vaticano, è la condizione del “prigioniero di guerra” Oleg Sentsov... Il regista-simbolo della resistenza ucraina è stato ricordato anche il 7 agosto a Baltimora, negli Usa, al banchetto dell’organizzazione cattolica dei “Cavalieri di Colombo”, dove era stato invitato il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, l’arcivescovo maggiore Svjatoslav Shevchuk... Shevchuk ha ricordato che l’ordine dei “Cavalieri di Colombo” è attivo in Ucraina soltanto dal 2013, e conta già più di un migliaio di membri. La sua breve storia si accompagna idealmente alla lotta per l’indipendenza dell’Ucraina dall’aggressore russo: “Ricordate che non è soltanto una nostra guerra, è un combattimento in favore dell’umanità intera!” ha esortato il capo degli uniati ucraini. Nella grande diaspora ucraina in Usa e in Canada è molto forte anche il sostegno alla richiesta di autonomia della Chiesa nazionale, tra gli ortodossi e gli stessi greco-cattolici. Nella città di Winnipeg, ad esempio, è attiva fin dal 1985 una sezione dei “Cavalieri di Colombo”, formata in maggioranza da greco-cattolici, appoggiati dall’arcivescovo locale. Le dispute ucraine non sono infatti limitate ai confini dello Stato originario, ma assumono rilevanza internazionale.

A Kiev, è partita una nuova guerra. Di religione (Raffaele Oriani, 17.7.2018)
Mentre da quattro anni l'Ucraina è logorata dal conflitto con la Russia, si apre un nuovo fronte. La Chiesa ortodossa locale vuole staccarsi da Mosca. Reportage...
https://rep.repubblica.it/pwa/anteprima/2018/07/17/news/ucraina_russia_chiesa_ortodossa_scisma_religione_guerra-202001517/

Il capo dell'Unione delle Confraternite Ortodosse dell'Ucraina ha respinto un aggressione di nazisti con le aste degli stendardi religiosi (Enrico Vigna, giugno 2018)
Arrivati ​​sulla scena dell'incidente, la polizia ucraina ha lasciato gli aggressori andare via tranquillamente... Valentin Lukyanik è da anni attaccato e minacciato dalle bande neonaziste. Due anni fa il suo  appartamento era stato attaccato e bruciato... Valentin Lukyanik è stato, fin dai fatti di Maidan, uno dei partecipanti più attivi nella lotta contro i nazionalisti e i neonazisti ucraini, che hanno attaccato i cittadini russi di Kiev...

Papa Francesco al fianco dei militari di Kiev, legittimando il golpe nazifascista di Euromaidan del 2014 (pagina FB di Noi Restiamo, 28.5.2018)
https://www.facebook.com/NR.noirestiamo/posts/196122441027352
Proprio in questi giorni in cui torna a scaldarsi la situazione sul fronte dove le autoproclamate repubbliche popolari resistono nell'isolamente internazionale, isolate proprio da quelle sinistre che hanno elevato papa Francesco a guida politica, lui accoglie a Roma un battaglione militare delle forze di Kiev. Come fu per l'incontro tra Wojtyla e Pinochet ancora una volta la chiesa si rivela strumento di tenuta e di copertura ideologica del nemico.

La curiosa “lotta alla corruzione” nell’Ucraina golpista (di Fabrizio Poggi, 11.12.2017)
... per l’ennesima volta, un alto esponente delle gerarchie ecclesiastiche ucraine è tornato a consacrare i massacri nel sudest del paese. Questa volta, è toccato al capo della chiesa greco-cattolica, Svjatoslav Ševčuk, in diretta tv, pontificare che non è giusto definire “assassini” i soldati che bombardano la popolazione civile del Donbass (...) Più di un anno fa, il patriarca Filaret, aveva sentenziato che dio permette di attaccare “l’aggressore dell’est”, con l’obiettivo di illuminare gli atei: “le persone soffrono di più nell’est dell’Ucraina e non all’ovest. Perché? Perché là i senzadio sono in maggioranza.. Se non si pentiranno e non si rivolgeranno a dio, anche le loro sofferenze continueranno”. Ancor prima, il metropolita della diocesi di Lutsk e Volinia, Mikhail Zinkevič, aveva detto ai fedeli: ”Voi dovete pregare nella vostra lingua ucraina e non nella lingua dell’occupante” e “ogni candela acquistata nelle chiese del patriarcato di Mosca, è una pallottola per uccidere i vostri figli”. Lo stesso Zinkevič che pochi mesi fa, nel benedire la chiesa di tutti i santi nella zona di Volčanka, aveva definito “uomini dalla vita santa” i membri dell’UPA filonazista...
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2017/12/11/la-curiosa-lotta-alla-corruzione-nellucraina-golpista-098645

Bombe molotov contro una Chiesa del Patriatcato di Mosca in Ucraina (Interfax, 8 November 2016)
Alcuni sconosciuti non identificati, hanno attaccato con bombe molotov la Chiesa di Cyril e Methodius della Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Mosca a Pavlograd, nella Regione ucraina di Dnipro...

Donbass: un cessate il fuoco a senso unico (di Fabrizio Poggi, 12 ottobre 2016)
...  I colpi di artiglieria si sono ripetuti anche la notte scorsa sui quartieri Kievskij e Petrovskij di Donetsk e sul posto di blocco di Jasinovataja...  E per coronare il tutto con una patente “spirituale”, il patriarca ucraino Filaret è andato a benedire le truppe direttamente sulla linea del fronte, nella parte della regione di Dontesk controllata dalle forze di occupazione ucraine. Filaret – considerato scissionista dal patriarcato ortodosso russo – lo scorso aprile  aveva decretato che la guerra è la punizione divina scagliata contro i senzadio del Donbass e, dunque, dio permette di attaccare “l’aggressore dell’est”, con l’obiettivo di illuminare gli atei...

Le bombe ucraine hanno distrutto il Monastero di Iver vicino a Donetsk (E. Vigna, gennaio 2016)
... le immagini della distruzione del Monastero di Iver, situato vicino all'aeroporto di Donetsk, dove le truppe ucraine per diversi mesi hanno bombardato la città e la posizione delle milizie... assomigliano a quelle della distruzione delle chiese ortodosse in Kosovo, ma la differenza nel Donbass è che  tali crimini sono commessi da  correligionari che si definiscono cristiani...

I nazionalisti ucraini all’assalto della Chiesa ortodossa Russa (PTV, 22.12.2015)

Contro il Donbass ora Poroshenko invoca anche l'aiuto celeste (di Fabrizio Poggi, 1 Dicembre 2015)
... è riuscito a ottenere udienza in Vaticano e, pare, a strappare un mezzo impegno papale a una visita in Ucraina. Ma, come sempre più spesso gli accade, Porošenko è riuscito anche a far storcere il naso al suo interlocutore, implorando la beatificazione, in occasione della eventuale visita, del metropolita Andrej Šeptitskij, capo della chiesa greco-cattolica (uniate) in Ucraina occidentale dal 1900 al 1944.
La canonizzazione era già stata chiesta dall'allora presidente Leonid Kučma, in occasione dell'unica visita a Kiev di un papa cattolico, nel 2001. Ma era il papa sbagliato: Wojtyła era polacco e, pur nella sua isteria anticomunista, non poteva concedere la beatificazione di colui che, dopo aver inviato le proprie congratulazioni al führer, nel 1941, per la conquista di Kiev, aveva poi benedetto, nel 1943, le bande filonaziste UPA-OUN e i volontari ucraini del battaglione SS “Nachtigall” che andavano a massacrare più di ottomila polacchi, civili e preti, della Volinja, nella regione di L'vov...
http://contropiano.org/internazionale/item/34077-contro-il-donbass-ora-poroshenko-invoca-anche-l-aiuto-celeste

La Chiesa del Patriarcato di Mosca oggetto di violenza da parte dei nazionalisti ucraini (4 dicembre 2014)
VIDEO: https://ok.ru/video/6271731076


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http://www.voltairenet.org/article203119.html

Washington pronta a far esplodere la Chiesa Ortodossa

rete voltaire | 26 settembre 2018 

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Il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti ad Atene, Geoffrey R. Pyatt, che insieme a Victoria Nuland organizzò il colpo di Stato a Kiev nel 2014 [1], si dedica ora alla creazione di una chiesa ortodossa indipendente in Ucraina.
La chiesa ortodossa è organizzata in sette patriarcati, di cui quello di Costantinopoli è «primo fra uguali». Il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, non ha di fatto fedeli in Turchia, ma veglia sulla diaspora greca nel mondo. Il patriarca di Mosca, Cirillo I, veglia su tutti i russi, ucraini compresi.
L’indipendenza degli ortodossi ucraini sarebbe un duro colpo per la cultura russa in Ucraina.
Dal mese di maggio 2018 Bartolomeo I non rilascia più visti per il Monte Athos ai preti ortodossi del patriarcato di Mosca.
Il 31 luglio 2018 Bartolomeo I ha firmato con i capi delle religioni minoritarie in Turchia una dichiarazione comune in cui affermano che il Paese è meraviglioso e che le religioni vi fioriscono liberamente, sebbene in passato non sia sempre stato così [2]. Il testo ha suscitato la collera dei fedeli che ogni giorno devono sopportare le angherie e le umiliazioni dell’amministrazione turca.
Il 31 agosto Cirillo e Bartolomeo hanno avuto un incontro amichevole a Istanbul. Ciononostante il 6 settembre il patriarca di Costantinopoli ha nominato due esarchi (inviati speciali), incaricati di creare una chiesa indipendente in Ucraina. I responsabili della chiesa canonica di Kiev si sono rifiutati di riconoscerli.
Filarete di Kiev, ex agente del KGB, smascherato e scomunicato dopo la caduta dell’Unione Sovietica, ha da parte sua creato una setta, la «Chiesa ortodossa autocefala ucraina» (non-canonica). Filarete è poi diventato uno dei sostegni dei golpisti di Kiev e ha definito il presidente Putin «Caino» e «Giuda». Oggi si vede alla testa della chiesa indipendente che Bartolomeo potrebbe riconoscere.
Il 14 settembre scorso Filarete è andato negli Stati Uniti. È stato ricevuto al Dipartimento di Stato, insieme ai due esarchi di Bartolomeo I, che avevano da poco incontrato a Kiev il presidente Petro Porochenko. È stato anche ricevuto dal vicepresidente Joe Biden, con cui Filarete intrattiene dal 2014 strette relazioni. Il figlio di Biden, R. Hunter Biden, oggi fa parte del consiglio di amministrazione di Burisma Holdings, prima compagnia di sfruttamento del gas ucraino. Filarete ha decorato Joe Biden con l’Ordine di San Vladimiro, come già aveva fatto con il senatore John McCain.
Si sta riaccendendo anche un’antica disputa sulla chiesa ortodossa di Macedonia, ma a fronti rovesciati: questa volta il patriarcato di Costantinopoli rifiuta di riconoscerla fino a quando utilizzerà la denominazione «di Macedonia», che la Grecia considera sua proprietà esclusiva.
Il patriarca Cirillo ha riunito un Sinodo speciale a Mosca. Il 14 settembre la Chiesa ortodossa russa ha deciso non «nominare» più nella liturgia il patriarca di Costantinopoli, ovvero di non pregare più per lui, nonché di sospendere ogni «concelebrazione» e di «rompere» ogni relazione di lavoro nelle istituzioni cui partecipano entrambi i patriarchi.
Il 19 settembre il patriarca d’Alessandria e di tutta l’Africa, Teodoro II, ha richiamato entrambe le parti alla ragione. Uno scisma è possibile.

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista 


[1] « Conversation entre l’assistante du secrétaire d’État et l’ambassadeur US en Ukraine », par Andrey Fomin, Oriental Review(Russie), Réseau Voltaire, 7 février 2014.

[2] “La Turchia costringe le chiese ebraiche e cristiane turche a firmare una dichiarazione”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 14 agosto 2018.



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https://www.rt.com/op-ed/440230-orthodox-church-ukraine-poroshenko/

Faith, power, money: Conflicting agendas in Ukraine Church politics

by Jim Jatras
3 Oct, 2018

One of the most contentious and significant controversies in the world today is also one of the least-well understood.
In part, this is because it involves matters of faith and church governance, the importance of which many people, especially some of a secular mind who scorn mere “religion,” tend to underestimate.
That is a mistake, certainly with respect to the storm that seems on the verge of plunging Ukraine into a new cycle of violence. That may happen if, as seems quite possible, Ecumenical Patriarch Bartholomew of Constantinople recognizes an “autocephalous” (completely self-ruling) Orthodox Church in Ukraine over the objections of the Russian Orthodox Church, of which the Ukrainian Church is an integral part.
This question is often misreported in the Western media as Constantinople’s response to a request from the Ukrainian Orthodox Church for autocephaly. This is inaccurate. The only Ukrainian Orthodox body recognized as canonical by the rest of the Orthodox Christian world – even including Constantinople at this point – is the autonomous part of the Russian Orthodox Church under the authority of Metropolitan Onufry of Kiev, which is not asking for autocephaly.
So who is making such a request? People who have no authority to do so. This means first of all Ukrainian politicians, starting with President Petro Poroshenko (whose own Orthodox affiliation is subject to question), who evidently calculates that midwifing an independent Ukrainian national church completely divorced from Russia will enhance his re-election prospects next year. Not to be outdone, his rival, Yulia Tymoshenko also is in favor. These proponents of autocephaly are explicit that their goals are political. “Shortly, we will have an independent Ukrainian church as part of an independent Ukraine. This will create a spiritual independence from Russia,” Poroshenko told the Washington Post.
Also asking for autocephaly is so-called “Patriarch Filaret” Denysenko and his supposed Ukrainian Orthodox Church of the “Kiev Patriarchate,” which is recognized as canonical by exactly nobody. Denysenko, who was excommunicated by the Russian Orthodox Church in 1997, hopes that will change soon.. Patriarch Bartholomew has dispatched to Ukraine two envoys (“exarchs”), one each from the US and Canada, to meet with Denysenko, possibly even to consecrate his “bishops” to give them supposedly valid status.
Unfortunately, there is also involvement from another direction by people whose agenda is entirely political. Western governments see a geopolitical opportunity in exacerbating an ecclesiastical crisis in Ukraine and pitting Constantinople against Moscow. Doing so, they believe, will undermine Russia’s geopolitical “soft power” through the Orthodox Church and further alienate Russians and Ukrainians from one another.
As explained by Valeria Z. Nollan, professor emerita of Russian Studies at Rhodes College, “The real goal of the quest for autocephaly of the Ukrainian Orthodox Church is a de facto coup: a political coup already took place in 2014, poisoning the relations between western Ukraine and Russia, and thus another type of coup – a religious one – similarly seeks to undermine the canonical relationship between the Ukrainian Orthodox Church and Moscow. ”
The Western proponents are as crassly honest about the political aspects as the Ukrainian politicians. The German ambassador in Kiev, not known to have any particular theological acuity, opined in July, that autocephaly would strengthen Ukrainian statehood. The hyper-establishment Atlantic Council, which hosted Denysenko on a recent visit to Washington, notes“With the Russian Orthodox Church as the last source of Putin’s soft power now gone, Ukraine’s movement out of Russia’s orbit is irreversible.”
Likewise the US State Department, after a short period of appropriately declaring that “any decision on autocephaly is an internal church matter,” last week reversed its position and issued a formal statement“The United States respects the ability of Ukraine’s Orthodox religious leaders and followers to pursue autocephaly according to their beliefs. We respect the Ecumenical Patriarch as a voice of religious tolerance and interfaith dialogue.”
While avoiding a direct call for autocephaly, the statement gives the unmistakable impression of such endorsement, which is exactly how it was reported in the media, for example“US backs Ukrainian Church bid for autocephaly.” The State Department’s praise for the Ecumenical Patriarchate reinforces that clearly intended impression.
There may be more to the State Department’s position than meets the eye, however. According to an unconfirmed reportoriginating with the members of the Russian Orthodox Church Outside of Russia (an autonomous New York-based jurisdiction of the Moscow Patriarchate), in July of this year State Department officials (possibly including Secretary of State Mike Pompeo personally) warned the Greek Orthodox archdiocese (also based in New York but part of the Ecumenical Patriarchate) that the US government is aware of the theft of a large amount of money, about $10 million, from the budget for the construction of the Orthodox Church of St. Nicholas in New York (This is explained further below).
The warning also reportedly noted that federal prosecutors have documentary evidence confirming the withdrawal of these funds abroad on the orders of Ecumenical Patriarch Bartholomew. It was suggested that Secretary Pompeo would “close his eyes” to this theft in exchange for movement by the Patriarchate of Constantinople in favor of Ukrainian autocephaly, which helped set Patriarch Bartholomew on his current course.
Again, it must be emphasized that this report is unconfirmed, though one doesn’t see mainstream American media falling over themselves trying to track down the facts. The official statement of the Greek archdiocese does not report a personal one-on-one meeting between Pompeo and Archbishop Demetrios, but the message could have been communicated between subordinate personnel on both sides.
What lends the report an air of believability, however, is the depth of the scandal to which it refers. As few outside the Orthodox Christian community may recall, only one place of worship of any faith was destroyed on September 11, 2001, and only one building not part of the World Trade Center complex was completely destroyed in the attack. That was St. Nicholas Greek Orthodox Church, a small urban parish church established at the end of World War I and dedicated to St. Nicholas the Wonderworker, who is very popular with Greeks as the patron of sailors. The humble little church reportedly housed icons and relics donated to the parish by Russia’s last Tsar, Nicholas II, none of which were recovered.
In the aftermath of the 9/11 attack, and following a lengthy legal battle with the Port Authority, which opposed rebuilding the church, in 2011 the archdiocese launched an extensive campaign to raise funds for a brilliant innovative design by the renowned Spanish architect Santiago Calatrava based on traditional Byzantine forms. Wealthy donors and those of modest means alike enthusiastically contributed to the effort. A major role was played by the archdiocesan women’s organization, the Ladies Philoptochos, who undertook it as a “sacred mission”“Together let us rebuild Saint Nicholas for all future generations, and for the many millions of people who will visit every year the new World Trade Center, the National September 11 Memorial Museum and our National Shrine, the only house of worship at Ground Zero.” By the end of 2017, almost $37 million had been raised and construction on this unique Orthodox Christian presence was proceeding apace.
Then – poof! – in December 2017 suddenly all construction was halted for lack of funds. Resumption would require on-hand an estimated $2 million. Despite the archdiocese calling in an audit by a major accounting firm, there’s been no clear answer to what happened to the money. Both the US Attorney and New York state authorities are investigating. There have been calls for Archbishop Demetrios’s resignation.
This is where we get back to Ukraine. If the State Department wanted to find the right button to push to spur Ecumenical Patriarch Bartholomew to move on the question of autocephaly, the Greek archdiocese in the US is it. Let’s keep in mind that in his home country, Turkey, Patriarch Bartholomew has virtually no local flock – only a few hundred mostly elderly Greeks left huddled in Istanbul’s Fener district. Whatever funds the Patriarchate derives from other sources (the Greek government, the Vatican, the World Council of Churches), the financial lifeline is Greeks (including this writer) in what is still quaintly called the “Diaspora” in places like America, Australia, and New Zealand. And of these, the biggest cash cow is the Greek-Americans.
That’s why, when Patriarch Bartholomew issued a call in 2016 for what was billed as an Orthodox “Eighth Ecumenical Council” (the first one since the year 787!), the funds largely came from America, to the tune of up to $8 million according to this writer’s sources. Intended by some as a modernizing Orthodox Vatican II,” the event was doomed to failure by a boycott organized by Moscow over what the latter saw as Patriarch Bartholomew’s adopting papal or even imperial prerogatives – now sadly coming to bear in Ukraine. It’s an open question how much the Ecumenical Patriarchate’s shaking down the Greeks in the US to pay for extravagant boondoggles like the 2016 “Council” contributed to the financial mess at the New York archdiocese, which in turn may have opened them up to pressure from the State Department to get moving on Ukraine.
Finally, while the Ukraine controversy does largely involve politicians’ agendas and a struggle for supremacy between Constantinople and Moscow, it is not entirely devoid of moral and spiritual significance. It should be noted that among the most ardent nominally Orthodox advocates of Ukrainian autocephaly are groups of American academics like the purveyors of moral and sexual LGBT and genderqueer ideology “Orthodoxy in Dialogue” and the hardly less revolutionary “Orthodox Christian Studies Center at New York’s Fordham University.
Orthodoxy in Dialogue recently issued a call – accompanied by a pairing of an Orthodox cross with LGBT rainbow symbolism – to bishops in all US Orthodox jurisdictions to curtail their anti-abortion witness and adopt the immoral sexual agendas that have wrought havoc in the Western confessions, a call that should receive a sharp condemnation from the hierarchs..
No one – and certainly not this writer – should accuse Patriarch Bartholomew, most Ukrainian politicians, or even the fake patriarch Denysenko of sympathizing with such anti-Orthodox values. But the converse is not true. These advocates know they cannot advance their goals if the conciliar and traditional structure of Orthodoxy remains intact. Thus they welcome efforts by Constantinople to centralize power while throwing the Church into discord, especially the Russian Church, which is vilified in some Western circles precisely because it is a global beacon of traditional Christian moral witness.
This aspect points to another reason for Western governments to support Ukrainian autocephaly as a spiritual offensiveagainst Russia and Orthodoxy. The post-Maidan leadership harp on the “European choice the people of Ukraine supposedly made in 2014, but they soft-pedal the accompanying moral baggage the West demands, symbolized by “gay”marches organized over Christian objections in Orthodox cities like Athens, Belgrade, Bucharest, Kiev, Odessa, Podgorica, Sofia, and Tbilisi. Even under the Trump administration, the US is in lockstep with our European Union friends in pressuring countries liberated from communism to adopt such “European values.”
Ukrainians especially need to ask themselves why Western governments are so happy to cheer on developments that could plunge the Orthodox Church into worldwide schism, and Ukraine into another round of fratricidal violence. The unedifying behind-the-scenes machinations, many details of which remain under wraps, should give them further pause.

Jim Jatras is a Washington, DC-based attorney, political analyst, and media & government affairs specialist.


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https://www.jungewelt.de/beilage/art/336938?sstr=orthodoxe%7Ckirche



Riportiamo di seguito il testo di un manifesto affisso in questi giorni a Sulmona (AQ), su iniziativa del Centro Studi e Ricerche Carlo Tresca, per ricordare i circa duecento slavi mandati a morire a Dachau dopo che il direttore del carcere della Badia dove erano detenuti aveva permesso invece ai prigionieri alleati di fuggire... La affissione dovrebbe essere accompagnata da una conferenza stampa e da un servizio sul canale RAI Regione Abruzzo nella giornata di lunedì 8 ottobre.
Sui prigionieri della Badia di Sulmona e del vicino campo di concentramento di Fonte d'Amore si vedano anche il saggio di  R. Lolli
"La presenza degli internati slavi nell'Appennino aquilano 1942-1944" – PDF: https://www.cnj.it/PARTIGIANI/JUGOSLAVI_IN_ITALIA/NOVO/testi_lolliAquilano.pdf – e gli altri link alla nostra pagina dedicata: https://www.cnj.it/documentazione/campiconcinita.htm#fontedamore .

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8 OTTOBRE 2018
SULMONA–DACHAU

L'8 ottobre del 1943 dalla stazione di Sulmona partì un treno per Dachau.
Portava diverse centinaia di detenuti politici e comuni prelevati dal carcere della Badia provenienti dai territori occupati della Jugoslavia (i più), dalla Grecia e dall'Italia. C'erano anche 9 cittadini di Roccacasale (tra loro un adolescente di 16 anni) e un testimone di Geova. Di essi appena un centinaio tornò a casa. Solo di recente si è venuti a conoscenza di questo fatto. 
Perché?
Nessuno aveva visto o saputo?
È stato rimosso dalla coscienza della comunità locale e regionale. Dobbiamo sapere e dobbiamo ricordare per non vanificare gli insegnamenti che ne derivano.
Allo stesso modo vanno conosciute e ricordate le vicende di migliaia di soldati italiani che, nelle zone di guerra balcaniche e greche, disobbedendo agli ordini dei nazisti furono da questi massacrati, come a Cefalonia, o furono attivi nelle file della Resistenza a Creta come in Dalmazia. Molti di loro provenivano dal cuore dell'Abruzzo.
Tutti accomunati da una solidarietà di destini, nello slancio disinteressato per la libertà dei popoli al di là di ogni confine.


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SULMONA – DACHAU
8 ottobre 1943

Il 23 settembre 1943, nei territori occupati dalle truppe tedesche nacque la Repubblica Sociale Italiana, lo stato fantoccio della Germania nazista voluto da Hitler sulla base del progetto di satellizzazione economica, militare e politica dell’Italia.
L’occupazione dei comuni della Valle Peligna iniziò tra il 12 e il 13 settembre.
La mattina dell’8 ottobre, un reparto militare tedesco di stanza nel campo di concentramento di Fonte d’Amore requisì il carcere della Badia (l’abbazia di S. Spirito al Morrone) per esigenze di ordine logistico e militare. Giunti sul posto, i soldati tedeschi intimarono al direttore del carcere, Corrado De Jean, e alle guardie la consegna dell’edificio e di tutti i detenuti.
Si trattava di circa 380 reclusi provenienti in gran parte dai territori jugoslavi, greci e della Venezia Giulia condannati dai tribunali italiani di occupazione. Tra il 25 luglio e l’8 settembre, infatti, nonostante la caduta del governo fascista, i detenuti condannati nei territori di occupazione erano stati esclusi dal provvedimento di scarcerazione del ministro Gaetano Azzariti, riservato esclusivamente ai detenuti politici italiani, seppur con delle riserve e con non poche contraddizioni. Nel carcere della Badia, ad esempio, agli inizi di ottobre erano ancora presenti anche 14 antifascisti italiani (condannati dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato), tra cui il socialista Giovanni Melodia (in seguito autore di diversi libri sulla deportazione nonché segretario generale dell'associazione nazionale ex-deportati nei campi nazisti - ANED). Inoltre vi erano anche decine di detenuti condannati per reati comuni e 9 uomini del vicino comune di Roccacasale rastrellati dai tedeschi e incarcerati con l’accusa di aver favorito la latitanza dei prigionieri alleati fuggiti dal vicino campo di concentramento di Fonte d’Amore.
Nel giro di 20 minuti tutti i prigionieri furono riuniti nel cortile principale del carcere della Badia e sotto la minaccia delle armi furono trasferiti presso la stazione ferroviaria di Sulmona.
Qui furono caricati su convogli solitamente utilizzati per il trasporto del bestiame e quindi deportati nel campo di concentramento di Dachau, dove giunsero il 13 ottobre dopo un viaggio di cinque giorni e sei notti.
Nelle settimane e nei mesi successivi molti furono trasferiti in altri campi e sottocampi della rete concentrazionaria nazista.
Secondo la documentazione attualmente disponibile, possiamo affermare che 117 deportati riuscirono a sopravvivere, 103 furono eliminati nel corso della detenzione, mentre sul destino di circa 170 deportati non si hanno ancora, allo stato attuale, notizie certe.
Dei 9 rastrellati di Roccacasale sopravvissero in 4. Tra i rimanenti 5, che furono eliminati, vi erano i due deportati più giovani di tutto il convoglio partito da Sulmona: Michele Scarpone e Angelo De Simone, entrambi di 16 anni.
Quella dell’8 ottobre 1943 fu una delle prime deportazioni dall'Italia verso il sistema concentrazionario nazista.
Il caso di Sulmona cadde immediatamente nell’oblio.
Nel dopoguerra fu istruito un processo che non fu mai celebrato.
Nella memoria collettiva non ne è rimasta alcuna traccia.

[risultati provvisori di una ricerca condotta da Mario Salzano, Università degli Studi di Teramo]





(english / français / italiano)

E se a Skopje non volessero né NATO né UE ?

1) KKE: Comunicato stampa sul referendum in FYROM
2) I macedoni si pronunciano contro l’adesione alla NATO e all’Unione Europea (Rete Voltaire, 2.10.2018)
3) [Dichiarazione congiunta NATO-UE: Ha vinto l'astensione? Chissenefrega, si mettano ugualmente al nostro servizio.] Joint statement by the NATO Secretary General and the President of the European Council 
4) Referendum Macedonia: mancato il quorum. Accordo con la Grecia praticamente fallito (A. Tarozzi)


A voir aussi: 

Etrange arrivée du secrétaire US à la Défense James Mattis à Skopje (VoltairenetTV, 18 set 2018)
Le 17 septembre 2018, le secrétaire US à la Défense, le général Jim Mattis, est arrivé à l'aéroport de Skopje (Macédoine). Le personnel de l'ambassade US ne semble pas l'accueillir avec enthousiasme et son homologue macédonien est absent...

FLASHBACK: American flag flies next to Albanian flag at monument to NLA/UCK fighters killed in 2001 fight against Macedonian govt (15 May 2015)
https://twitter.com/LizziePhelan/status/599255384306626560


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https://www.resistenze.org/sito/os/ep/osepil02-020709.htm
www.resistenze.org - osservatorio - europa - politica e società - 02-10-18 - n. 684

Comunicato stampa sul referendum in FYROM

Partito Comunista di Grecia (KKE) | kke.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

02/10/2018

Il dato principale emerso durante il referendum di ieri è stato la scarsa affluenza della popolazione dell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia (Former Yugoslav Republic of Macedonia, FYROM), nonostante la pressione esercitata dal paese vicino di un folto gruppo di personalità della NATO, degli USA e dell'UE schierate per l'approvazione dell'Accordo di Prespa e per accelerare il processo di adesione del paese nelle organizzazioni imperialiste di cui sopra.

Nonostante la pressione internazionale, la scarsa partecipazione al referendum che poneva la questione di aderire o meno all'integrazione nella NATO e nell'UE, accettando l'Accordo, dimostra che una parte della popolazione dell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia ha una posizione negativa, o almeno un atteggiamento prudente nei confronti del ricatto contenuto nel quesito referendario: ossia che l'adesione a queste alleanze - sfavorevoli alle popolazioni - costituisca l'unica opzione possibile.

I risultati del referendum esprimono soprattutto le acute contraddizioni interimperialiste tra NATO - USA - UE da un lato e Russia dall'altro, nonché l'intervento delle forze nazionaliste..

Il governo SYRIZA - ANEL risulta compromesso per aver promosso, portando la bandiera della NATO, il ricatto di far approvare questo pericoloso accordo. Si dimostra ancora una volta che l'espansione delle alleanze imperialiste non può essere una risposta al nazionalismo, che è il rovescio della stessa medaglia.

La posizione avventurista di Zaev, che in sostanza ha annunciato di voler ignorare la bassa affluenza al referendum, mette in evidenza l'essenza della democrazia borghese. Non è la prima volta che si tenta di rovesciare i risultati di un referendum non graditi dai centri imperialisti. Su questo tema, il signor Tsipras può offrire una grande esperienza al signor Zaev.

È ovvio che nel futuro prossimo continueranno le pressioni per far accettare l'Accordo ai due popoli e che progredisca l'integrazione euro-atlantica nei Balcani occidentali. Gli antagonismi tra le grandi potenze, che stanno trasformando la regione più ampia in una polveriera, continueranno e si intensificheranno.

Il KKE invita il popolo greco e il popolo dell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia a delineare la loro lotta comune sulla base della solidarietà e del genuino internazionalismo, contro il nazionalismo e l'imperialismo, contro la NATO e l'UE e i loro governi e partiti. Su queste basi si può trovare una soluzione reciprocamente accettabile, tralasciando tutti i fenomeni irredentisti, con l'adozione di un nome che contenga un riferimento geografico.

Atene 1/10/2018

Ufficio stampa del CC del KKE


=== 2 ===

http://www.voltairenet.org/article203249.html

I macedoni si pronunciano contro l’adesione alla NATO e all’Unione Europea

Rete Voltaire | 2 Ottobre 2018 

Il 30 settembre 2018 ai macedoni è stato chiesto di rispondere al seguente quesito [referendario]: «Siete favorevoli all’adesione alla NATO e all’Unione Europea accettando l’accordo tra la Repubblica di Macedonia e la Repubblica di Grecia?».
L’accordo con la Grecia era stato negoziato dall’ambasciatore degli Stati Uniti ad Atene, Geoffrey R. Pyatt, noto per aver organizzato il putsch di Kiev con l’aiuto del partito nazista Settore Destro. L’accordo prevede di modificare il nome dell’ex repubblica jugoslava di Macedonia in «Macedonia del Nord» e che venga abbandonato ogni riferimento storico ad Alessandro Magno.
Il conflitto risale all’indipendenza della Grecia (1822), quando Atene voleva liberare l’intera Macedonia dall’occupazione ottomana. Oggi la Macedonia storica è divisa in una parte greca e in una parte indipendente. La memoria di Alessandro Magno è rivendicata sia da Atene sia da Skopje, che ne ha innalzato la statua equestre al centro della città (foto). L’allievo di Aristotele, fondatore di un impero che univa Oriente e Occidente, è nato nel settore greco della Macedonia, ma per molto tempo fu considerato un “barbaro” dai greci, che ne riconobbero l’autorità solo con la forza.
Alessandro Magno ideò un impero che rispettava le peculiarità culturali dei sudditi (inclusi i greci) e mantenne al potere i sovrani vinti. Al contrario, NATO e UE, seguendo la tradizione di Giulio Cesare, si presentano come sovrastrutture che fagocitano ciascun membro all’interno di valori comuni obbligatori. Questi due modelli storici sono inconciliabili.
Il segretario della Difesa degli Stati Uniti, generale James Mattis, si è recato a Skopje per accertarsi del regolare svolgimento del referendum. Al suo arrivo non c’erano membri del governo ad accoglierlo all’aeroporto, solo l’ambasciatore USA.
Il quesito posto dal referendum, che associa NATO e UE, è perfettamente logico poiché, dal punto di vista statunitense, le due strutture sono il versante militare e il versante civile di una medesima organizzazione.
Le autorità macedoni sono profondamente divise. I socialisti e i mussulmani del governo di Zoran Zaev hanno chiesto di votare “Sì”. Mentre i nazionalisti, in maggioranza ortodossi, tra cui il presidente della repubblica, Gjorge Ivanov, hanno esortato a boicottare le urne.
Solo il 33,75% degli elettori hanno risposto “Sì”.
Da giocatrice molto disonesta, la stampa atlantista dell’Europa occidentale si è ipocritamente felicitata della vittoria del “Sì”, sottolineando come il 91,46% dei votanti si siano espressi a favore, omettendo però di dire che il 63,09% degli elettori non si è recato alle urne. In conformità alla Costituzione, che fissa un quorum per la validità del referendum, la commissione elettorale ha annullato la consultazione [1].

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista 

[1] « Déclaration de l’Otan et de l’UE sur le référendum en Macédoine », Réseau Voltaire, 1er octobre 2018.


=== 3 ===

https://www.nato.int/cps/en/natolive/news_158682.htm?selectedLocale=en

Joint statement 
by the NATO Secretary General Jens Stoltenberg and the President of the European Council Donald Tusk on the consultative referendum in the former Yugoslav Republic of Macedonia¹

1 Oct. 2018

The name agreement between Athens and Skopje has created a historic opportunity for the country to join the transatlantic and European community as an equal member. This would change the life of the people of the country and that of their children for the better.
In yesterday’s consultative referendum, an overwhelming  majority of those voting supported that path. It is now in the hands of politicians in Skopje to decide on the way forward. The decisions they take in the next days and weeks will determine the fate of their country and their people for many generations to come. We  encourage them to seize this historic opportunity. 

(1) Turkey recognises the Republic of Macedonia with its constitutional name.


=== 4 ===

https://www.alganews.it/2018/09/30/referendum-macedonia-mancato-il-quorum-accordo-con-la-grecia-praticamente-fallito/

REFERENDUM MACEDONIA: MANCATO IL QUORUM. ACCORDO CON LA GRECIA PRATICAMENTE FALLITO

30/09/2018
DI ALBERTO TAROZZI

Referendum in Macedonia, oppure, se preferite la versione amata dai greci, in Fyrom. Sì perché il referendum rappresentava un primo passo consultivo verso la successiva approvazione nel parlamento di Skopje dell’accordo tra i due premier greco e macedone (Tsipras e Zaev), per il cambiamento del nome del territorio macedone esterno alla Grecia.

I greci avrebbero accettato una modifica della denominazione da loro fin qui imposta (Fyrom, che suona più o meno Repubblica di Macedonia della ex Jugoslavia) in una versione che doveva suonare come Macedonia del nord. Così facendo avrebbero anche tolto il veto alla entrata dei macedoni nella Ue.

L’iter per l’approvazione definitiva del cambio del nome non era comunque semplice. Dapprima il parere consultivo del referendum. Poi il voto del Parlamento macedone con la maggioranza dei due terzi. Infine un voto del parlamento greco. Sulla carta dunque referendum in sé importante ma non decisivo. Da come sono andate le cose, invece, risulterà probabilmente tale.

E’ andata infatti che il quorum è rimasto ben lontano (35% di votanti anziché il 50+1). Adesso il già difficile passo successivo si presenta come missione impossibile. Sulla carta infatti il parlamento vede 73 favorevoli al cambio del nome su 120 eletti. Mancanti 7 voti che i favorevoli pensavano di recuperare sull’onda di una marea di sì al referendum. Senza onda l’impresa diventa disperata e paiono avere ragione quei sostenitori del No che esultano nelle piazze.

Ma è una questione solo greco-macedone o si tratta di un problema internazionale? Senza dubbio è la seconda la risposta giusta. Non a caso il quesito referendario domandava non solo l’assenso alla nuova denominazione, ma indicava anche come, di conseguenza, l’elettore esprimesse parere favorevole all’entrata nella Ue e addirittura nella Nato. Qualcuno riteneva che così il Sì sarebbe divenuto più attraente, ma così non è stato.

I contrari, che si presentano come conservatori, ma sono anche filorussi sul piano internazionale, hanno saputo far valere non solo l’orgoglio nazionale, ma anche alcune contraddizioni della recente storia politica locale. L’equilibrio politico della Macedonia si era a lungo basato sul fatto che al governo del paese ci fosse una coalizione che contenesse un partito degli slavi e uno della minoranza albanese. Una sorta di vaccinazione contro eventuali guerre etniche di cui, sia pure per un periodo relativamente breve, anche i macedoni avevano sofferto.

Viceversa l’attuale coalizione maggioritaria (filo occidentale) vede al governo il partito socialdemocratico slavo e a lui alleati tre partiti albanesi. All’opposizione, e alla presidenza della Repubblica, i rappresentanti del partito slavo e conservatore, ma nemmeno un partito albanese. Prima di risolvere la questione in parlamento erano volati pugni e schiaffi.
Poi era prevalsa l’accettazione di un governo Zaev cui bastava sì il 50 % + 1 degli eletti per governare il paese. Ma al quale non bastano 73 parlamentari su 120 per ratificare l’accordo con i greci. Tanto più dopo che l’opposizione e la presidenza della Repubblica si erano espresse per il boicottaggio.del referendum

Macedonia dunque ancora lontana dalla Ue e non tanto vicina alla Nato, con grande soddisfazione della Russia, che intravvede la possibilità che la Macedonia Fyrom possa rappresentare una tappa dei suoi futuribili gasdotti.

Delusione anche per Tsipras che con la Ue avrebbe potuto probabilmente acquisire qualche merito in più. Delusi anche quegli intellettuali come Toni Negri e Etienne Balibar che avevano firmato una sottoscrizione a favore della nuova denominazione, a sbloccare un contenzioso greco macedone pluridecennale.

Zaev appena conosciuto l’esito, ha sostenuto che l’opposizione dovrebbe rispettare il volere dei cittadini che hanno partecipato al referendum votando Sì al 91%, alla modifica del nome del paese in parlamento. Zaev ha anche detto che se ciò non accadesse si dovranno fare elezioni anticipate. Là dove il clima si preannuncia particolarmente caldo.

La storia non permette rotture. Ogni cosa a suo tempo e questo non pare essere il tempo della Macedonia del nord.




(srpskohrvatski / italiano)

Risoluzione 1244: la chiave per la pace in Europa

1) Нова књига Живадина Јовановића: 1244 Кључ Мира У Европи
/ Nuovo libro di Zivadin Jovanović: 1244 – LA CHIAVE DELLA PACE IN EUROPA
2) Il dominio della politica di forza. Testimonianza di Zivadin Jovanovic 
/ Сведочанство о доминацији политичке силе (Живадин Јовановић)
3) СВЕДОЧИМ О ИСКУСТВИМА. Живадин Јовановић одговори на питања новинара „Политике“
[intervista al noto diplomatico, ex Ministro degli Esteri della Jugoslavia federale e attuale presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali, Z. Jovanović]


Leggi anche / Isto pročitaj:

КОСОВО ЈЕ НАШЕ (Живадин Јовановић, 30 август 2018)
Наводно не знамо какво се решење припрема за статус Косова и Метохије. Наводно позиције преговарача још увек су удаљене па смо још далеко од договора, односно, од решења. Наводно, Београд и Приштина преговарају а други само подржавају „свеобухватан“ договор који ће бити у интересу мира...


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Nuovo libro:

Zivadin Jovanović
1244 – LA CHIAVE DELLA PACE IN EUROPA
Belgrado: Ed. Beogradski Forum za Svet Ravnopravnih / Srpska Knjizevna Zadruga, 2018

Интервју са Живадином Јовановићем. аутором књиге: "1244 КЉУЧ МИРА У ЕВРОПИ"
VIDEO: https://www.facebook.com/237292086351340/videos/1903920453033752/

La copertina del libro / Наслов књиге: http://www.beoforum.rs/images/pdftojpg-me-1.jpg
Вест о промоцији књиге су пренеле НОВОСТИ: http://www.beoforum.rs/images/pdftojpg-me-1-1-.jpg

ДОСЛЕДНОСТ У ОДБРАНИ ИНТЕРЕСА СРБИЈЕ
Реч амбасадора Драгомира Вучићевића на промоцији књиге „1244 – кључ мира у Европи“ 28. септембра 2018. у СКЗ

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НОВА КЊИГА ЖИВАДИНА ЈОВАНОВИЋА - 1244 КЉУЧ МИРА У ЕВРОПИ

недеља, 30 септембар 2018

Прилог одбрани права Србије на Косово и Метохију

У Српској књижевној задрузи промовисана је књига „1244 – кључ мира у Европи“, аутора Живадина Јовановића, дипломате и министра инстраних послова Југославије (1998. – 2000.). У присуству представника медија о књизи су говорили: Драгн Лакићевић,  главни уредник Српске књижевне задруге, проф. др Мило Ломпар, Драгомир Вучићевић  амбасадор у пензији и аутор.

Књига је збирка чланака, интервјуа и јавних иступања аутора објављених у домаћим и страним медијима у периоду од 1997. до септембра 2018. године (890 стр.) Подељена је у 5 поглавља – Време тероризма, Време агресије, Време илузија, Време отрежњавања и Прилози.  Рецезенти су академик Владо Стругар, проф Мило Ломпар и амбасадор Чедомир Штрбац, а уредници амбасадор Драгомир Вучићевић и књижевник Драган Лакићевић. Издавачи су Београдски форум за свет равноправних и Српска књижевна задруга.

Говорећи о књизи, професор Мило Ломпар је указао да она одражава континуитет ставова аутора у заступању државотворног и националног интереса Србије и српског народа, који се препознаје у његовом вешедеценијском дипломатском раду и јавним иступањима. Истицање значаја Резолуције СБ УН 1244, треба разумети као израз дугорочног али и актуелног погледа на значај Косова и Метохије за Србију и српски народ. Питање Косова и Метохије дубоко задире у питање националне егзистенције и свести, а књига Живадина Јовановића снажно реафирмише државотворну традицију српског народа успостављену у 19. веку – нагласио је, поред осталог, професор Мило Ломпар. Као посебну вредност књиге, он је истакао њен документарни карактер.

Амбасадор Вучићевић је као основне тезе аутора издвојио: потребу да се Србија више окрене себи и својим дугорочним интересима а мање актуелним очекивањима од међународних фактора који се у односу на Србију руководе искључиво својим експанзионистичким геополитичким циљевима. Србија треба да се држи основних принципа међународног права и одлука СБ УН, свидело се то некоме или не, да гради уравнотежене однесе са свим међународним чиниоцима, а посебно са пријатељима који нису учествовали у агресији НАТО нити су признали једнострану сецесију. Вучићевић је издвојио и став аутора да је Европска унија потребна Србији само онолико колико је Србија потреба Унији, те да је чланство у ЕУ легитиман циљ уколико није условљено одрицањем од суверенитета и територијалног интегритета. Праведно и одрживо решење за Косово и Метохију могуће једино на основу поштовања принципа Повеље УН, Завршног документа ОЕБС-а, Резолуције СБ УН 1244 и Устава Србије. Настојања да се Србији уценама наметну решења која представљају легализацију кршења тих принципа и одлука водили би продубљивању нестабилности и гомилању конфликтног потенцијала на Балкану и у Европи – упозорио је Вучићевић.

Аутор је подсетио да се до Резолуције СБ УН 1244 дошло тешким двомесечним преговорима током агресије НАТО, уз посредовање Русије. По њему ни данас нема изгледа за постизање уравнотеженог, праведног и одрживог решења у билоком ужем формату, без директног учешћа Русије. Резолуција СБ УН 1244 је компромис интереса Србије али и интереса свих кључних чинилаца европских и светских односа укључујући Русију и Кину као сталне чланице СБ УН и силе растуће глобалне моћи. Ако агресија НАТО-а 1999. године није могла да се оконча без директног ангажовања Русије председника Јељцина, онда је данас, у условима мултиполарних светских односа, директно ангажовање Русије председника Путина у решавању проблема који су последица те агресије, императив. Покушај решавања проблема Косова и Метохије у уском оквиру ЕУ израз је тежњи да се искључе Русија и Кина и да се уценама наметну једнострани геополитички интереси Запада, односно ЕУ и НАТО. Ти интереси су огољени - конфронтација са Русијом и Кином

Прихватање или мирење са таквим настојањима не би водило одрживом компромису већ даљој дестабилизацији Балкана и Европе. Формат преговора у Брислу без Русије, подсећа на формат преговора у Минхену када су западне силе, тачно пре 80 година «бранила» људска права припадника нем,ачке националне мањине и «спашавале» мир силом одузимајући Судетску област од Чехословачке, игноришући супротне ставове СССР-а и спречавајући његову улогу. Ко је у том „споразумевању“ учествовао а ко је био искључен и до чега је „свеобухватни правно обавезујући споразум“ од 30. септембра 1938. довео, добро је познато – упозорио је Јовановић. 
28. септембар 2018.


=== 2 ===

ОРИГ.: Сведочанство о доминацији политичке силе (Аутор: Живадин Јовановић, 12 јун 2018)
Војно- технички споразум једно од упечатљивих сведочанстава о времену доминације политике силе у глобалним односима која ни Србији, ни Европи, ни свету није донела ништа добро. Србија је била прва жртва стратегије доминације и интервенционизма који после 1999. и 2000. поприма глобални карактер...

 


Il dominio della politica di forza. Testimonianza

di Zivadin Jovanovic

L'accordo tecnico-militare è una delle testimonianze più significative del dominio della politica di forza nelle relazioni, che non portarono mai nulla di buono né alla Serbia né all'Europa, né al mondo intero. La Serbia fu la prima vittima di una strategia di dominio e interventismo che, dopo il 1999 e il 2000, assunse un carattere globale.

L'aggressione della NATO del 1999, fin dall’inizio, non ha portato i risultati sperati dai pianificatori di Washington, Londra e Bruxelles, in quanto la S.R.J. (Difesa della Serbia) ha dimostrato di essere molto più forte e più dura di quanto da essi auspicato.

Parallelamente, all'interno dell'Alleanza ci sono stati conflitti, perché i generali americani non prendevano molto in considerazione le opinioni dei loro colleghi degli eserciti alleati europei sulla gestione delle operazioni, sulla scelta degli obiettivi e non solo.

Sul piano mediatico, l'Occidente stava vivendo fallimenti a causa delle bugie e delle pianificazioni come, ad esempio, il "Piano ferro di cavallo".

In queste condizioni, per la NATO e i governi degli stati membri era sempre più difficile mantenere il sostegno dell’opinione pubblica. Le proteste si moltiplicavano non solo nei paesi amici, specialmente in Russia e Cina, ma anche in tutto l'emisfero occidentale.

La Jugoslavia, attraverso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, chiese un'azione di condanna della violazione della Carta delle Nazioni Unite; chiese altresì che venisse dato l’ordine di cessare l’aggressione. Inoltre cercò di far condannare l’aggressione e gli aggressori, e fermare la devastazione, le sofferenze delle persone, l’avvelenamento e la distruzione dell’ambiente, agendo in centri internazionali, come Ginevra (ONU), Vienna (OSCE), Parigi (UNESCO), L'Aia (Corte di giustizia), Nairobi (UNEP).

La nostra diplomazia in tutto il mondo ha insistito sulla condanna degli attacchi illegali, mettendo in evidenza, in particolare, il pericolo di creare un precedente che metterebbe in discussione l'intero sistema di sicurezza, per decenni pazientemente costruito sull’eredità della seconda guerra mondiale. Tutto ciò non ha avuto un impatto diretto sul processo decisionale nei forum internazionali, ma ha anche creato insoddisfazione e resistenza a livello internazionale, specialmente nell’opinione pubblica dei principali stati membri della NATO. Né i politici né i comandanti della NATO potevano ignorare tutto questo.

Nel processo di creazione di questo pacchetto di pace, tutte le principali potenze del mondo moderno sono state coinvolte direttamente, tra cui Russia e Cina, tutti i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU, tutti gli Stati membri del G8, l'Unione europea e la NATO.

In queste condizioni, da e attraverso la Russia, fin dall'inizio dell'aggressione, ci sono state iniziative finalizzate a trovare il modo di porre fine alla guerra.

La notizia dell’inizio dell'aggressione contro la Serbia (SRJ), ha sorpreso e irritato l'amministrazione di Bill Clinton, che era abituato ad un alto livello di cooperazione di Mosca, determinando l’inversione di rotta dell’aereo del primo ministro Yevgeny Primakov sopra l'Atlantico, con conseguente annullamento della sua visita a Washington e dei colloqui programmati con il vice presidente Al Gore.

In seguito, questo episodio porterà Al Gore e Clinton a chiedere a Jeltsin di nominare Viktor Chernomyrdin come suo inviato personale e mediatore nei negoziati con Slobodan Milosevic, escludendo totalmente Primakov, logico interlocutore.

In particolare, Milosevic e Primakov si conoscevano molto bene, si rispettavano a vicenda dato che, per un certo numero di anni, avevano condotto colloqui diretti, sia in merito alle questioni delle relazioni bilaterali, sia per la risoluzione della questione del Kosovo e Metohija.

Inoltre, durante le prime settimane dell'aggressione della NATO, Primakov, per conto della Russia, aveva mantenuto regolari contatti con i primi ministri di Germania (Gerhard Schroeder), Francia (Lionel Jospin), Gran Bretagna (Tony Blair), Italia (Massimo d'Alema), così come con i rappresentanti dell'amministrazione statunitense.

Primakov era quindi lo statista russo più informato su tutto ciò che era significativo sulla questione del Kosovo e Metohija.

Ma questo non servì a nulla. Gli americani non volevano Primakov ma Chernomyrdin, e Jeltsin ci teneva all'opinione degli americani.

Chernomyrdin, da un lato, teneva colloqui con i rappresentanti dell’amministrazione degli Stati Uniti; soprattutto con il Vice Presidente Al Gore e il Vice Segretario di Stato Strobe Talbott, con Martti Ahtisaari, che aveva lo status di SG delle Nazioni Unite e l'Unione europea, e con i leader dei principali paesi occidentali, e dall’altra parte, con il presidente Slobodan Milosevic.

Durante l'aggressione, Chernomyrdin ha visitato Belgrado quattro volte e ha tenuto colloqui con Milosevic, con la partecipazione di Milan Milutinovic, il presidente della Serbia, Nikola Sainovic, vice primo ministro, Zivadin Jovanovic, il Ministro degli Esteri e altri.

Dopo diversi round di negoziati e la mediazione, il 2 giugno 1999, Marty Ahtisaari e Viktor Chernomyrdin arrivarono ​​a Belgrado e diedero a Slobodan Milosevic il testo del documento sulla fine della guerra.

Durante i colloqui a Palazzo Bianco di Belgrado, la parte jugoslava cercò di apportare alcune modifiche al documento, al fine di garantire un maggiore rispetto degli interessi della Serbia e della Jugoslavia, ma senza risultati.

In risposta alla mia domanda posta a Chernomyrdin sul perché il testo prevedesse l'implementazione del cap. 7 e non del cap. 6 della Carta delle Nazioni Unite, come concordato nei precedenti cicli di colloqui, Martti Ahtisaari, posando teatralmente il braccio sopra la spalla di Chernomyrdin disse: "Perché lo abbiamo deciso io e mio fratello Chernomyrdin".

Il giorno seguente, il 3 giugno 1999, il documento fu accettato dall'Assemblea nazionale della Serbia e Ahtisaari e Chernomyrdin lasciarono Belgrado. Il bombardamento venne ripreso.

Kosovo e Metohija non devono essere considerati come persi perché persi non sono.

Il negoziato che viene offerto nel cosiddetto capitolo 35 intrapreso con l’UE, le pressioni e il ricatto, confermano che Kosovo e Metohija continuano ad appartenere alla Serbia.

La realtà sostenuta dai commissari di Bruxelles, Washington, Londra e Berlino è che la Serbia è limitata nella sua posizione negoziale.

Il giorno successivo, il 4 giugno, sulla base del documento di Ahtisaari-Chernomyrdin, sul confine jugoslavo-macedone iniziarono i negoziati per il raggiungimento dell'accordo tecnico-militare. Questi negoziati durarono sei giorni, dal 4 al 9 giugno 1999. Furono tenuti in condizioni di continuo bombardamento del paese e, secondo la testimonianza della nostra delegazione, furono estremamente difficili. A causa di atteggiamenti contraddittori, i negoziati venivano frequentemente interrotti per permettere ad entrambe le delegazioni di effettuare le consultazioni.

In uno di questi momenti, la nostra delegazione ha consegnato alla controparte un foglio con il seguente contenuto:

1. La parte Jugoslava dichiara che, ai sensi del paragrafo 2 e 10 del documento di Ahtisaari-Chernomyrdin, è pronta per iniziare il ritiro delle forze dal Kosovo e Metohija in conformità con il piano, che è stato concordato in una riunione di rappresentanti militari il 5 giugno del 1999, tra le delegazioni guidate rispettivamente dai generali Blagoje Kovačević e Mike Jackson. L'inizio del ritiro in conformità con il documento di Ahtisaari-Chernomyrdin implica la sospensione del bombardamento.
2. Tutte le altre questioni relative alla risoluzione della crisi, secondo il piano M. Ахтисари - В. Chernomyrdin, sono di competenza del Consiglio di sicurezza dell'ONU.

Anche questo dettaglio illustra non solo il corso dei negoziati e il rapporto di rispetto tra le parti negoziali, ma la posizione iniziale forte e chiara della parte jugoslavo-serba.

Inoltre, i problemi tecnici e tutte le altre questioni legate alla soluzione politica della crisi, in accordo con il documento di Ahtisaari e Chernomyrdin, devono essere di competenza esclusiva del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e non possono essere oggetto di negoziati con i rappresentanti della NATO, cioè, della KFOR.

Una tale posizione di principio e la necessità della sua affermazione coerente, a tutt’oggi, non ha perso d’importanza.

Al contrario, questo principio negoziato, concordato, accettato e difeso durante l’aggressione militare non può essere dimenticato o occultato in tempo di pace e di "offerte", non importa quanto grandi siano le pressioni e le insidie ​​attuali.

L'accordo tecnico-militare, noto come Accordo di Kumanovo, è stato firmato, a nome della parte jugoslavo-serba, dal generale VJ Svetozar Marjanovic e dal generale-tenente della polizia della Serbia Obrad Stevanovic e, per conto della KFOR, dal generale britannico Mike Jackson.

Durante i negoziati, Slobodan Milosevic ha condotto una lunga conversazione telefonica con Ahtisaari.

In tale circostanza, mi sono trovato vicino a Milosevic e ricordo che, durante quella conversazione, ho insistito sul fatto che l'Accordo tecnico-militare non può snaturare il documento del 3 giugno e che la KFOR, con il mandato delle Nazioni Unite, deve essere il garante di pari sicurezza per tutti i cittadini in Kosovo e Metohija.

Immediatamente dopo la firma dell'Accordo tecnico militare a Kumanovo, il 9 giugno 1999, in serata, tutte le ambasciate, le missioni e i consolati della SRJ ricevettero informazioni e istruzioni urgenti, con i seguenti elementi:

- l'accordo tecnico-militare rappresenta la concretizzazione di una parte del documento di Ahtisaari-Chernomyrdin del 3 giugno 1999. Prevede un graduale ritiro delle nostre forze militari e di sicurezza, con il dispiegamento sincronizzato delle forze delle Nazioni Unite (KFOR).

Si è cercato di non creare situazioni di vuoto di sicurezza eventualmente utilizzabili dai terroristi per mettere in pericolo i cittadini in KiM (Kosovo i Metohija). Il testo è privo di contenuto politico che la parte avversa ha cercato di imporre.

- la leadership e il governo della FSRJ sono rimasti coerenti con gli obiettivi della difesa del paese contro l'aggressione e una soluzione politica pacifica in KiM (Kosovo i Metohija).

- da una situazione di aggressione e distruzione da parte della NATO, la questione è stata trasferita all'ONU su una serie di diritti e principi.. L'ONU si assume grandi responsabilità, ha l'opportunità, dopo tre mesi di sospensione e blocco completi, di recuperare parte del prestigio e della fiducia perduti.

- l'ONU ha la responsabilità speciale di garantire la sicurezza di tutti i cittadini del KiM (Kosovo i Metohija), di eliminare il terrorismo e l'organizzazione terrorista UCK, di disilludere le possibilità di realizzare idee e progetti separatisti, di creare le condizioni per il processo politico e i negoziati sull'autonomia, sulla base del rispetto dell'uguaglianza di tutti i cittadini e le comunità nazionali, sovranità e l'integrità territoriale della Serbia e della SRJ.

- la forza e l'efficienza della nostra difesa, l'unità delle forze difensive, del popolo e della leadership hanno sbalordito il mondo. Il più grande macchinario militare della storia che ha intrapreso una "operazione chirurgica" e "blickrig" non è riuscito a conquistare il paese pronto a difendersi. La nostra nazione è un vincitore morale.

- Il mondo è diventato consapevole dei pericoli posti dalla strategia della NATO come poliziotto mondiale.

- Il tempo mostrerà molteplici effetti devastanti dell'aggressione della NATO contro un Paese sovrano europeo, con la grave violazione della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale in generale, con l'imposizione della forza al di sopra della legge.

- La NATO, e le forze dietro di essa, non hanno nulla di cui vantarsi, hanno perpetrato inganni, distruzione e massacri di civili, hanno usato in modo criminale missili all'uranio impoverito e causato la conseguente catastrofe umanitaria in nome della "protezione dei diritti umani".

- Invece di "preservare la loro faccia" con "operazione lampo", hanno svelato a tutto il mondo di aver violato l'ordine giuridico mondiale, di essere i portatori dell'egemonia e fonte di destabilizzazione globale.

- Il nostro governo rispetterà coerentemente gli obblighi assunti. Ci aspettiamo lo stesso da tutti gli altri. Soprattutto per rispettare la sovranità e l'integrità territoriale della Serbia e della SRJ. Siamo aperti alla cooperazione con altri paesi e organizzazioni internazionali, nel rispetto dell'uguaglianza.

- Esigiamo e lotteremo per: a) determinare la responsabilità di chi ha dato l’ordine e chi ha eseguito l’aggressione come crimine contro la pace e l'umanità; b) avere un risarcimento per danni di guerra a economia, infrastrutture, servizi pubblici, città, villaggi e tutto il resto; c) l'abolizione di tutte le sanzioni e la restituzione dei diritti di associazione sospesi nelle organizzazioni internazionali.

- L'ordine è: la sospensione istantanea delle aggressioni, con il ritiro dal KiM in 11 giorni.

- È in corso la discussione sulla risoluzione SB (consiglio di Sicurezza ONU). Non abbiamo partecipato alla stesura della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Diverse disposizioni sono per noi sfavorevoli, riflettendo gli sforzi dell'aggressore per giustificare e legittimare l'aggressione e i crimini. Riflette il rapporto globale delle forze, comprese le debolezze della Russia.

Tuttavia, il documento, di fatto, testimonia l'aggressione, la distruzione e il gran numero di vittime umane; la Provincia KiM, è presa dalle mani della NATO e posta sotto l'autorità del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; si apre quindi la possibilità di una migliore protezione degli interessi legittimi del paese; il rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale del paese è confermato; si va verso il processo politico per la risoluzione dello status della Provincia come autonoma e con autogoverno, all'interno della Serbia, con la garanzia dell'uguaglianza di tutte le comunità nazionali; si condanna il terrorismo e si stabilisce l'obbligo di disarmare l'organizzazione terrorista UCK; è previsto il ritorno dei contingenti del nostro esercito e della polizia; si sta aprendo la possibilità di ricostruzione, sia nel KiM che in tutta SRJ e nella regione.

- La menzione degli "Accordi di Rambouillet" nel documento del 3 giugno e nella bozza di risoluzione SB è solo una delle dimostrazioni degli sforzi degli Stati Uniti e di altri per dimostrare che essi hanno, apparentemente, il diritto di presentare una tesi sulla continuità dei loro tentativi di "pace" e di giustificare l'aggressione. Ciò, tuttavia, si applica solo ai principi di autogoverno e autonomia, che non sono stati contestati da noi, ma non sui documenti nel loro insieme, specialmente sui capitoli II, V e VII. Rambouillet è stato un tentativo di fornire un alibi per l'attuazione del piano per l'aggressione armata.

 

Cosa dire oggi, 20 anni dopo?

In primo luogo, l'Accordo tecnico-militare è una delle testimonianze più significative del dominio della politica di forza nelle relazioni, che non portarono mai nulla di buono né alla Serbia né all'Europa, né al mondo intero. La Serbia fu la prima vittima di una strategia di dominio e interventismo che, dopo il 1999 e il 2000, assunse un carattere globale.

L'aggressione della NATO del 1999, fin dall’inizio, non ha portato i risultati sperati dai pianificatori di Washington, Londra e Bruxelles, in quanto la S.R.J. (Difesa della Serbia) ha dimostrato di essere molto più forte e più dura di quanto da essi auspicato.

Nel frattempo, gli abitanti di molti paesi, sulla propria pelle, hanno sperimentato il vero significato di un intervento "umanitario", "diritto alla protezione" e "democratizzazione" attraverso "rivoluzioni colorate". Era il piramidale, gerarchico, ordine mondiale che, avendo avuto il suo periodo di massimo splendore, gradualmente, come il sedimentare del terreno dopo l'eruzione vulcanica, volge al termine.

Sono in corso cambiamenti più profondi e completi dell'ordine mondiale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

La costruzione un nuovo ordine mondiale multipolare, basato sui principi di uguaglianza, sull’interesse reciproco e su un maggior ruolo del diritto internazionale, sta inesorabilmente scuotendo la strada, aprendo lo spazio per la democratizzazione delle relazioni internazionali. La resistenza dei centri di potere occidentali e gli sforzi per preservare, a tutti i costi, i privilegi e le vecchie relazioni superate, sono la fonte di grandi pericoli. Il riconoscimento di nuove realtà e l'accettazione della collaborazione come base delle relazioni tra grandi e piccoli sono l'unica via per la pace, la salvezza e il progresso della civiltà.

In secondo luogo, l'Accordo tecnico-militare è parte integrante del pacchetto di pace le cui parti essenziali risultano essere il Documento Milosevic-Ahtisaari-Chernomyrdin, del 3 giugno, e la Risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU 1244 del 10 giugno 1999.

Questi tre documenti, nei contenuti e nella forma, rappresentano un’unità nel suo complesso e nessuno di essi può essere giudicato isolato dagli altri.

Oltre alla Costituzione, per la Serbia, questi documenti sono gli unici parametri affidabili e stabili per l'orientamento e il funzionamento nelle condizioni di grandi sfide, profondi cambiamenti e confusione. Questi documenti, forse, non sono sufficienti, ma l’uscita della Serbia in uno spazio completamente aperto e non demarcato, in cui i poteri forti di una parte del mondo non vedono e non riconoscono niente e nessuno, tranne i loro interessi egoistici, equivarrebbe al gioco d'azzardo. La saggezza e il coraggio nel difendere i diritti e gli interessi acquisiti attraverso la lotta e i grandi sacrifici delle generazioni precedenti escludono qualsiasi unilateralismo, occasionale sottovalutazione del carattere nazionale, della storia o della spiritualità. Dobbiamo essere consapevoli che la glorificazione delle donazioni, degli investimenti e dei benefattori di quei paesi e leader, le cui politiche negli anni '90 hanno inflitto danni enormi al popolo serbo – sua spaccatura, satanizzazione, sanzioni, bombe e armi radioattive - non è in linea con la preoccupazione di preservare l'identità nazionale, la dignità e una vita migliore.

In terzo luogo, questo pacchetto di pace è parte integrante del sistema di diritto pubblico internazionale, per cui ha il carattere giuridico vincolante in generale. Carattere imperativo della risoluzione SB UN 1244 rende questo pacchetto di pace un segmento con più grande potere legale nella gerarchia degli atti giuridici e, pertanto, non può essere cambiato, annullato o ridotto, con un qualsiasi nuovo atto giuridico o politico, a meno di una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dello stesso valore.

Va ricordato che nel processo di creazione di questo pacchetto di pace furono direttamente coinvolte tutte le principali potenze del mondo moderno, tra cui Russia e Cina, tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, tutti i membri del G-8, l'Unione Europea e la NATO. Pertanto, questo pacchetto di pace rappresenta un compromesso tra vari interessi, ma anche l'obbligo di tutti gli attori della comunità mondiale che tutto ciò che è stato concordato e firmato sarà anche rispettato, e non solo la volontà o il diritto di una parte ristretta della comunità mondiale.

Nella sua genesi, contenuto e gerarchia legale, il pacchetto di pace del giugno 1999 è parte integrante del sistema di sicurezza europea e mondiale. Pertanto, la presenza di tentativi di ignorare, aggirare o denigrare tali documenti, non sarebbe possibile senza minacciare seriamente il sistema stesso, e senza nominare attesi e possibili effetti boomerang.

In quarto luogo, la Serbia, che in buona fede ha rispettato e osservato tutti gli obblighi di tutti i documenti del pacchetto di pace, tra cui quelli derivanti dall'accordo tecnico-militare, ha il diritto e l'obbligo morale di continuare a cercare di far rispettare anche agli altri gli obblighi accettati, e non ancora eseguiti, e in conformità con questi documenti.

Inoltre e soprattutto, ha il dovere:

- di rispettare le garanzie date per la sovranità e l'integrità territoriale della Serbia con il Kosovo e Metohija, avente l'autonomia più ampia, come parte integrante (nell'Accordo, tra le altre cose, c’è scritto che la KFOR avrebbe "provveduto a fornire adeguato controllo dei confini della SRJ” verso l'Albania e FYRM, art. 2, punto “h");

- i suoi confini internazionalmente riconosciuti;

- di accettare i negoziati sul ritorno delle unità militari e di polizia nella provincia;

- di garantire le condizioni per il ritorno libero, sicuro e dignitoso di circa 250.000 espulsi tra serbi e altri non albanesi;

- di garantire la sicurezza a tutti i cittadini della provincia, compresi i serbi;

- di garantire l'inviolabilità della proprietà privata di serbi, Serbia e SPC.

Se le altre parti ostacolano, non vogliono o non accettano tali impegni ed obblighi, questo non dovrebbe essere visto come aggravante per la posizione della Serbia o come l’obbligo di fare passi indietro, ma deve essere visto come comportamento assolutamente inaccettabile.

In questo caso, la Serbia dovrebbe considerare altre opzioni legali, politiche e diplomatiche disponibili.

In quinto luogo, i documenti relativi al pacchetto di pace, compreso l'accordo tecnico-militare, non erano particolarmente favorevoli per la Serbia.

Tuttavia, la guerra e le altre condizioni hanno reso più difficile dare seguito al contenuto di questi documenti, che proteggevano gli interessi importanti della Serbia, e soprattutto la sovranità e l'integrità territoriale del paese.

È vero che l'Occidente usa ancora oggi i metodi di minacce, ricatti e inganni. Tuttavia, è difficile essere d'accordo sul fatto che oggi ci sono ragioni giustificate per abbandonare o negare i diritti e gli interessi riconosciuti alla Serbia sotto le bombe della NATO del 1999. Oggi, anche l'Occidente richiama sempre più la necessità di rispettare le relazioni internazionali basate sulla legalità. La velocità e la profondità del cambiamento nelle relazioni globali contribuiranno al fatto che L’Occidente richiami sempre più di frequente il rispetto del diritto internazionale nel prossimo periodo.

Il cancelliere tedesco Angela Merkel non ha detto mercoledì scorso nel Bundestag che il G-7 è stato "definito da membri che rispettano le leggi internazionali" ("Politika", 7 giugno 2018)!

Sesto: in difesa del diritto della Serbia al Kosovo e Metohija, la sua Costituzione, la Carta delle Nazioni Unite, il Documento finale dell'OSCE e il diritto internazionale sono gli argomenti e i supporti più importanti. Il Pacchetto di pace del 1999, in particolare la risoluzione SB UN 1244, ha un significato insostituibile e duraturo che deve essere affermato in ogni momento, senza cedere né ai desideri, né alle aspettative o alle varie pressioni, da qualunque parte, per rimuovere e portare quei documenti in secondo piano o nell’ombra. Questi documenti non devono in alcun modo essere subordinati ai nuovi "documenti giuridicamente vincolanti".

Kosovo e Metohija non devono essere considerati come persi perché persi non sono.

Il negoziato che viene offerto nel cosiddetto capitolo 35 del negoziato con EU, le pressioni e il ricatto confermano che Kosovo e Metohija continuano ad appartenere alla Serbia. Questa è la realtà ripetuta dai commissari di Bruxelles, Washington, Londra e Berlino. Per la Serbia, la realtà è molto più ampia e complessa. Invece di dichiarazioni disfattiste che rafforzano inconsciamente la posizione e l'intransigenza di Pristina, sono necessari maggiori sforzi e creatività per esplorare le direzioni per rafforzare la posizione negoziale della Serbia. Abbiamo abbastanza conoscenze ed esperienza per capire che l'appartenenza all'UE è utilizzata come mezzo per estorcere le continue concessioni della Serbia, che l'UE non è quella che era e che il suo ruolo e la sua influenza stanno rapidamente diminuendo. Pertanto, non abbiamo il diritto di fare affidamento su alcun tipo di sue garanzie e promesse. Questo potrebbe portarci in situazione dove Serbia consegna tutto e non ottiene nulla.

 

Zivadin Jovanovic,  Presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali

12 giugno 2018    -  Traduzione di Jovanka A. per Forum Belgrado Italia/CIVG



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[intervista al noto diplomatico, ex Ministro degli Esteri della Jugoslavia federale e attuale presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali, Z. Jovanović]


СВЕДОЧИМ О ИСКУСТВИМА


Живадин Јовановић:
Одговори на питања новинара „Политике“ Дeјана Спаловића, о дипломатији

 

Да ли дипломата икада иде у пензију?

Зависи од личности. Ако не сви, онда већина нас који смо својевремено радили у дипломатији волела је тај позив,  спремно је прихватала све изазове и била задовољна својим својим статусом и угледом како у земљи тако и у светској дипломатији. Отуда је природно што и после пензионисања настављамо да се интересујемо о спољној политици и међународним односима. Осећам се пријатно кад видим колико мојих колега, дипломата у пензији данас пише и иступа у медијима, објављује књиге, учествује на конференцијама, путује по свету. Пензија означава престанак редовног запослења, али није забрана за друштвено корисне активности, алиби за  интелектуалну непокретност или јадиковање због немоћи.

[IMG: Prijem kod Premijera NR Kine Dzurondzija, decembar 1999.]


Чиме се данас конкретно бавите?

Пишем о спољној политици, мултиполаризацији, кинеској иницијативе „Појаса и пута“, решавању статуса Покрајине Косово и Метохија, хаосу у Европској унији, изворима угрожавања мира. 
Сведочим о искуиствима Југославије и Србије и њиховом значају за политичку стратегију данас. Добро је што чешће одајемо пошту жртвама за одбрану, не ваља што као нико на свету,  своју часну историју проглашавамо погрешном, митоманском, небеском. Чудимо се и жалимо Унији, Немачкој, Аустрији - свима, од Рејкјавика до Владивостока - што други, дрско, оправдавају обнову неонацифашизма, славе своје цивилизацијске падове и злочине, укључујући геноцид над српским народом, као да не схватамо да их ниподаштавањем наше историје и нације охрабрујемо да буду још дрскији према Србији. Ко на свету даноноћно тврди да је имао погрешну историју, да је зато све изгубио, али да непријатељима попушта зато што је јак!

Повремено иступате у име Београдског форума?

Волим рад у Форуму јер је слободан, независтан, непоткупљив. Основала га је 2000. године група интелектуалаца, дипломата и слободно мислећих људи из тадашње СРЈ и српског расејања. Међу оснивачима су били, сада покојни академик Михајкло Марковић, професор Гавро Перазић, писци Радош Калајић и Чедомир Мирковић. И данас у Форуму имамо научника, дипломата, професора, генерала, привредника, хуманиста. Сви до једнога волонтирамо.  

[IMG: Jevgenij Primakov, raniji MIP, potom Premijer Rusije, bio je rado vidjen gost u Beogradu ]   

А како се финансирате?

Од чланарине, продаје књига и помоћи српског расејања. Нисмо миљеници ни буџета, ни страних фондација. Није лако јер треба плаћати закупнину за седиште, комуналије, сале за конференције, штампање књига... Али је пријатно када  не дугујете, нарочито, не у погледу мишљења која јавно заступате. Деси се да појединци, из Србије или иностранства, кад чују или прочитају нешто о нашем активностима, ставовима, књигама, затраже број рачуна Форума и уплате извесну помоћ. То нам далеко више значи као признање и охрабрење, него што нам решава финансијске тешкоће.

Пре две године основали смо Центар за истраживање повезивања на путу свиле (ЦИПО) који је партнер бројним удружењима у Европи, Кини и другим деловима света који подржавају Иницијативу Пута и појаса као стратешки важну за мир и развој. Она, поред осталог, омогућава Србији да свој геополитички положај, «кућу насред друма» први пут у историји претвори у важан фактор развоја. ЦИПО је издао књигу амбасадора Александра Јанковића «Повезивање на кинески начин», неку врсту приручника «Кина за почетнике из Србије». Поред тога, волонтирам и у хуманитарној организацији Расејање за матицу која је само за саниррање поплава у Србији и Републици Српској обезбедила преко милион евра.

Форум је члан Светског савета за мир, са седиштем у Атини и један од оснивача Светског удружења тинк танкова Пута свиле, са седиштем у Пекингу. Недавно сам учествовао на оснивачкој скупштини међународног удружења градова лука са седиштем у Тијенцину, Кина. Огранак Форума функционише и у  Италији (Forum di Belgrado Italia).
Учествујем у раду Шангајског форума, једне с�

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(srpskohrvatski / italiano / français)

Nuove provocazioni irredentiste albanesi

1) Provocazioni pan-albanesi all'ONU
– Premier del Marocco segnala presenza ossessiva di un rappresentante del Kosovo all'ONU (26.09.2018)
– Kosovo: ministro serbo, protesta Belgrado per kosovari a Onu (28.9.2018)
– Onu: segretario generale Guterres, per Nazioni Unite Kosovo non è Stato indipendente (28.9.2018)
– [Dopo il Marocco anche Tunisi smentisce B. Pacolli] После Марока, и Тунис демантује Пацолија (28.9.2018.)
2) Provocazioni pan-albanesi in Kosovo
– Srbi poslušali Vučića i sklonili barikadu: Predsednik se obratio naciji (FOTO) (VIDEO) (29.9.2018.)
– Kosovo: forze speciali su lago conteso. Decine di agenti armati a Gazivode (29 settembre 2018)
– Presidente Serbia porta l'esercito a livello massimo di allerta (29.09.2018)
– Lavrov, in Kosovo dialogo secondo intese (29.09.2018)
– Serbia-Kosovo: Vucic chiede il sostegno di Mosca (F. Poggi, 3.10.2018)


Leggi anche / Isto pročitaj:

ВЕЛИКЕ СИЛЕ О КОСОВУ И МЕТОХИЈИ (Beoforum, 3 октобар 2018)
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/955-velike-sile-o-kosovu-i-metohiji.html

KOSOVO, CRESCE LA TENSIONE ALTRI ATTACCHI CONTRO I SERBI (di Stefano Giantin, 3 ottobre 2018)
Saccheggiato il villaggio di Glina abitato solamente da un pugno di anziani. Belgrado chiede l’intervento delle forze internazionali presenti sul terreno 

СТАВОВИ ДРУШТВА СРПСКИХ ДОМАЋИНА о унутрашњем дијалогу, преговорима и статусу Косова и Метохије (16 септембар 2018)

"L'OCCIDENTE NON PUÒ CONVINCERE LA SERBIA A RICONOSCERE IL KOSOVO" (Sputnik 19.09.2018)
Il leader del Kosovo ha ammesso che la Serbia non accorderà l'indipendenza e nessuna forza potrà costringerla a cambiare. E' la tanto attesa vittoria diplomatica di Belgrado, riconosciuta anche da Thaci, suo principale avversario nella contesa politica, aggrappato ad una poltrona traballante?

SOMMET BALKANS-UE DE SOFIA : L’ESPAGNE NE VEUT PAS VOIR LE KOSOVO (CdB, 16 mai 2018)
Cela devait être un « nouveau Sommet de Thessalonique », marquant la relance du processus d’élargissement de l’Union européenne aux Balkans, mais le Sommet de Sofia s’ouvre ce 17 mai dans une ambiance plombée : le Premier ministre espagnol ne restera pas à Sofia pour ne pas risquer de croiser les représentants de Pristina. Pour Mariano Rajoy, en castillan, « Kosovo » se prononce « Catalogne »...


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Premier del Marocco segnala presenza ossessiva di un rappresentante del Kosovo all'ONU

26.09.2018 – Il primo ministro marocchino Saadeddine Othmani ha riferito che un "signore ossessivo" del Kosovo era presente all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York.
"Durante la pausa, un signore del Kosovo si è incollato alla mia delegazione, non abbiamo discusso di relazioni bilaterali, né di stabilire contatti. La posizione del Marocco è immutabile. Il Marocco non riconosce il Kosovo e non ha alcun rapporto," — ha scritto Othmani su Twitter.
​In questo modo ha smentito il tweet del ministro degli Esteri del Kosovo Behgjet Pacolli, che aveva parlato di "negoziati produttivi" con il primo ministro marocchino e la disponibilità di instaurare relazioni diplomatiche.
Nel febbraio 2008 le strutture legate alla comunità albanese del Kosovo hanno proclamato unilateralmente l'indipendenza dalla Serbia. L'autoproclamata Repubblica non è riconosciuta da Serbia, Russia, Cina, Israele, Iran, Spagna, Grecia e molti altri Stati.

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Kosovo: ministro serbo, protesta Belgrado per kosovari a Onu

Dacic, rappresentanti Pristina autorizzati solo nei corridoi

(ANSAmed) - BELGRADO, 28 SET - Il ministro degli Esteri serbo Ivica Dacic, che partecipa in questi giorni a New York ai lavori dell'Assemblea generale dell'Onu insieme alla premier Ana Brnabic, ha annunciato una protesta formale di Belgrado per la presenza alle Nazioni Unite di una delegazione di Pristina.
Citato dai media serbi, Dacic ha detto che i rappresentanti kosovari - il presidente Hashim Thaci, il premier Ramush Haradinaj e il ministro degli esteri Behgjet Pacolli - hanno avuto incontri bilaterali con personalità internazionali nei corridoi del Palazzo di vetro, unico spazio per il quale la dirigenza kosovara ha ottenuto il permesso. Il ministro serbo ha citato il caso del premier del Marocco che, ha detto, era seduto in uno dei corridoi a bere un caffè.
"I kosovari si sono avvicinati, hanno chiesto se potevano sedersi, hanno scattato delle foto che hanno poi messo su Facebook affermando di aver parlato dell'allacciamento di relazioni diplomatiche. Cosa che il premier del Maroccco ha immediatamente smentito", ha affermato Dacic. Il ministro ha precisato che la delegazione kosovara è entrata al Palazzo di vetro con un lasciapassare sul quale vi è la lettera 'O' a significare 'altri'. "Hanno chiesto di poter andare a New York sfruttando il fatto che in Kosovo è presente la missione dell'Onu Unmik". (ANSAmed).


Onu: segretario generale Guterres, per Nazioni Unite Kosovo non è Stato indipendente

Belgrado, 28 set 12:28 - (Agenzia Nova) - Le Nazioni Unite non considerano il Kosovo uno Stato indipendente: lo ha detto il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, secondo quanto riporta una nota del governo serbo. Guterres ha avuto un colloquio con la premier della Serbia, Ana Brnabic, a margine dei lavori dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. Alla riunione era presente anche il ministro degli Esteri serbo, Ivica Dacic. Le Nazioni Unite, ha proseguito Guterres, sostengono un eventuale accordo fra Belgrado e Pristina. La premier serba ha dichiarato che la Serbia partecipa attivamente alle missioni di pace dell'Onu, e che è nell'interesse di Belgrado che la missione delle Nazioni Unite Unmik resti in Kosovo. "E' nell'interesse della Serbia che Unmik resti in Kosovo con una presenza non ridotta e senza modifiche al mandato", ha detto ancora la premier. Guterres ha confermato che Unmik resterà in Kosovo. (Seb)

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[Dopo il Marocco anche Tunisi smentisce B. Pacolli, il "Ministro degli esteri" kosovaro. Simulando un intervento alle NU aveva dichiarato di aver avuto un 'ottimo dialogo con il capo della diplomazia tunisina'...]

http://www.rts.rs/page/stories/ci/story/1/politika/3272843/posle-maroka-i-tunis-demantuje-pacolija.html

После Марока, и Тунис демантује Пацолија

ПЕТАК, 28. СЕП 2018 – 
(Tanjug) Косовски министар спољних послова Беџет Пацоли поново је "симулирао" састанак у УН, наводећи да је имао одличан разговор са шефом дипломатије Туниса Кемаисом Жинауијем, који је то демантовао, као и званичник Марока, пре неки дан.
"Сусрет са Пацолијем у УН је био случајан и није се тицао суштинских питања, нити будућних односа две стране", написао је Жинауи на свом Твитер налогу.
Претходно је Пацоли на Твитеру написао да је са Жинауијем имао "одличан разговор о односима Косова и Туниса" и да је "исказана снажна спремност за јачање билатералне сарадње између наше две земље посебно у областима економије, трговине и туризма".
Иначе, пре три дана је и премијер Марока Садедин Ел Отмани демантовао Пацолијеве наводе да је имао конструктивне разговоре са мароканским званичником у Њујорку.
"Током паузе нашој делегацији је пришао и наметнуо се господин с Косова. Нисмо разговарали о билатералним односима као ни о успостављању контаката. Позиција Марока је константна. Мароко не признаје Косово и нема односе са њим", написао је Ел Отмани тада на Твитеру.


=== 2 ===

["Polizia" pan-albanese prende controllo centrale idroelettrica di Gazivoda e Thaci si fa una passeggiata davanti ai media. Quattro serbi arrestati]

http://www.telegraf.rs/vesti/politika/2995235-drama-na-kosovu-albanski-specijalci-zauzeli-gazivode

29. septembar 2018

Srbi poslušali Vučića i sklonili barikadu: Predsednik se obratio naciji (FOTO) (VIDEO)

- Prilikom upada pripadnika ROSU na Gazivode, uhapšena su četvorica Srba - izjavio je direktor Kancelarije za KiM, Marko Đurić

Specijalci ROSU zauzeli su danas veštačko jezero i hidrocentralu Gazivode, saznaje Telegraf, a potom i Zubin Potok. Akciju je izvelo 60 naoružanih specijalaca, a ako Telegraf saznaje na terenu, građani su vidno uznemireni, a jedinice ROSU su naoružane "dugim cevima".

Sve specijalne jedinice u stanju najviše pripravnosti! Posle zauzimanja severa Kosova, oglasio se ministar policije

22.10 - Srbi sa KiM poslušali predsednika

Na molbu predsednika Aleksandra Vučića uklonjenje su barikade kod Zubinog potoka.

21.00 - Predsednik Srbije se obratio naciji

Danas se videlo da srpska suza nema roditelja, da moramo sami o sebi da brinemo, da naš narod nema na koga da se osloni, osim na sebe i svoju srpsku državu - rekao je Vučić.

18.45 - KFOR poziva na mir i suzdržanost, nakon protivrečnih izveštaja koji su se pojavili o događaju na području jezera Gazivode

Potvrđeno je prisustvo kosovske policije u oblasti Gazivode. Pripadnici policije bili su u pratnji Hašima Tačija, koji je bio u poseti području Zubin Potok - navedeno je iz KFOR-a.

KFOR ispituje navodno prisustvo specijalne jedinice ROSU i naše patrole i helikopteri nastavljaju da nadgledaju situaciju - dodaje se u odgovoru KFOR-a.

18.30 - Narod ogorčen potezom Prištine

Narod je ogorčen potezom Prišine i od svoje države Srbije traži i zahteva da zaštiti goloruki narod na KIM. Želimo da osudimo licimerje EU i međunarodnih predstavnika, ali i KFOR koji je opet pokazao nesposobnost i koji nije hteo da postupi u skladu sa rezolucijom 1244 - kazao je predsednik Privremenog organa Zvečana Ivan Todosijević.

- Branićemo se svim demokratskim i pravnim sredstvima - rekao je on.

17.45 - Niko ne može da ugrožava srpski narod

- Upad specijalaca iz Prištine u kompleks jezera Gazivode, ilegalan je i nasilan čin i direktno ugrožava politički proces u kojem se traži kompromisno i dugoročno rešenje za Kosovo. Samo zahvaljujući pribranosti i državničkoj odgovornosti predsednika Vučića, ova nova avantura prištinskih vlasti je propala, uz još jednu potvrdu da niko ne može da ponižava Srbiju i ugrožava srpski narod - rekao je ministar rudarstva i energetike, Aleksandar Antić.

17.15 - Srbi podigli blokadu

Kod Zubinog Potoka grupa Srba podigla je barikadu, blokirajući put iz pravca Mitrovice ka Zubinom Potoku reagujući na taj način na napad jedinica ROSU na jezero i branu Gazivode.

Srbi ističu da su se na ovaj čin odlučili iz straha, jer strahuju da bi se tokom noći mogle dogoditi slične provokacije. Svi zaposoleni na brani Gazivode večeras će raditi i treću smenu.

16.45 - Srpska lista: Ovo je napad na mir i bezbednost Srba na Kosovu i Metohiji

Predsednik Srpske liste i gradonačelnik Severne Mitrovice Goran Rakić izjavio je da poslednji upad naoružanih kosovskih specijalaca na sever Kosova predstavlja napad na mir i bezbednost Srba na Kosovu i Metohiji.

- Ovo je napad sa nesagledivim posledicama na život Srba na severu Kosova i Metohije -
 ocenio je Rakić u saopštenju i istakao da se to više neće dozvoliti.

- Ako već Kfor ne želi, kao predsednik Srpske liste pozivam državu Srbiju da zaštiti srpski narod i svoju imovinu, i da naši organi najhitnije intervenišu. Neka svi znaju da Srbi neće više nikada dozvoliti da se ovakav upad dogodi. Mi ćemo sa svojim narodom braniti svoju slobodu, život u svoju imovinu, jer Gazivode su srpske - rekao je Rakić i dodao da su "Tačijevi mentori ćutanjem poslali jasnu poruku da podržavaju ovakve poteze".

16.15 - Đurić potvrdio: ROSU se povukla pre 10 minuta sa severa Kosova

Direktor kancelarije za KiM, Marko Đurić, potvrdio je da su se pripadnici ROSU "pre 10 minuta" povukli sa severa Kosova..

Srbija je, kaže, dobila izvinjenje od pojedinih ambasada i zvaničnika koji su tvrdili da nije bilo napada na našu zemlju.

16.00 - Predsednik Vučić se večeras obraća naciji

Direktor Kancelarije za KiM Marko Ðurić rekao je u trećem vanrednom obraćanju da će se predsednik Srbije Aleksandar Vučić povodom najnovijih dešavanja na KiM obratiti večeras u 21 čas.

Ðurić je rekao i da se Vučić trenutno nalazi u obilasku naših oružanih snaga.

Ðurić je obavestio javnost da su Srbi sa severa KiM započeli sa okupljanjem na više lokacija.

15.40 - Vojska Srbije postupa u skladu sa naređenjem Vrhovnog komandanta

Vojska srbije je stavljena u odgovarajući stepen pripravnosti, izjavio je ministar odbrane Aleksandar Vulin, i postupa u skladu sa naređenjem Vrhovnog komandanta.

Naređenje Vrhovnog komandanta je i dalje na snazi i dok je tako Vojska Srbije prati situaciju i spremna je da odgovori na svaki razvoj situacije - rekao je Vulin, saopštilo je Ministarstvo odbrane.

15.30 - Oglasila se Maja Kocijančić: U kontaktu smo sa svim akterima

Portparolka EU Maja Kocijančić pozvala je u ime EU na mir i uzdržanost povodom situacije na Severu Kosova.

- Mi smo u bliskom kontaktu sa svim relevantnim akterima, kako na terenu, što uključuje KFOR, tako i na nivou vrhovnih centara, odnosno vlasti u Beogradu i Prištini - poručila je Kocijačić. 

Marko Đurić je najoštrije osudio izjavu portparolke EU Maje Kocijančić koja je ponovo pozvala obe strane na uzdržanost.

Kao da su Srbi na KiM ponovo napali sami sebe, pa obe strane poziva na uzdržanost. Smatram da je ovo vrhunac bezobrazluka i neozbiljnosti u ovako teškim okolnostima i da je to još jednom dokazalo da ništa ne treba da očekujemo od predstavnika EU - rekao je Ðurić na drugoj vanrednoj konferenciji za novinare u Vladi Srbije.

15.20 - Direktor Kancelarije za KiM ponovo sazvao konferenciju

Đurić je demantovao navode prištinskih medija da su se pripadnici ROSU povukli sa severa Kosova i da niko od Srba nije uhapšen.

Pripadnici ROSU se nisu povukli sa Kosova, još uvek su na severu. Radnici Centra za ekologiju i sport, Nemanja Milovanović i Miloš Milić uhapšeni su prilikom upada pripadnika ROSU na Gazivode, kao i građevinski radnici Nikola Đurović i Nenad Galjak. Dakle, laž je da niko nije hapšen- izjavio je Đurić.

14.50 Vučić imao hitan razgovor sa generalnim sekretarom NATO Jensom Stoltenbergom

Predsednik Srbije Aleksandar Vučić u stalnom je kontaktu sa generalnim sekretarom NATO Jensom Stoltenbergom, posle raspoređivanja ROSU na Gazivodama, na severu Kosova i Metohije.

Predsednik Vučić je "izrazio protest zbog bezobzirne akcije Hašima Tačija i prištinskog rukovodstva".

14.40 - Pripadnici ROSU se povukle sa Gazivoda

Gradonačelnik Zubinog Potoka Stevan Vulović izjavio je za RTS da su se kosovske specijalne jedinice povukle sa veštačkog jezera Gazivode.

- Jedinice ROSU su se povukle,
 trenutno je mirno - rekao je on.

14.30 - Hašim Tači na Gazivodama

Predsednik Kosova, Hašim Tači, trenutno se nalazi na hidrocentrali Gazivode, koju su danas zauzeli pripadnici ROSU.

Telegraf sa lica mesta saznaje da se Tači u pratnji policije provozao gumenim čamcem jezerom, a potom je prošetao pored hidrocentrale, a više fotografija možete pogledati OVDE.

14.25 - Oglasio se komandant kosovske policije: Mi smo na Gazivodama zbog "jedne posete"

Zamenik komadanta kosovske policije za sever Besim Hoti odbacio je danas tvrdnje zvaničnika Srbije o zauzimanju veštačkog jezera i hidrocentrale Gazivode i hapšenjima na tom području, te navodi da su oni tamo zbog "jedne posete", ali da za sada ne poseduje više informacija.

14.20 - Upad pripadnika ROSU udarna vest u svim regionalnim i svetskim medijima

Upad pripadnika ROSU na sever Kosova udarna je vest u svim svetskim i regionalnim medijima, pa je hrvatski "24sata" preneo da su "Kosovski specijalci zauzeli važnu branu i vezali Srbe", dok je ruski RT naveo da je "Vojska Srbije stavljena u stanje najviše borbene gotovosti".

13.45 - KFOR još uvek nema informacije o upadu pripadnika ROSU na sever Kosova

Glavni portparol Kfora Vinćenco Graso izjavio je danas Tanjugu da ta misija još nema informacija o tome da su pripadnici kosovskih specijalnih jedinica ROSU ušli na sever Kosova, u neposrednu blizinu hidroelektrane Gazivode.

On je za Tanjug kazao da je u toku provera tačnosti takvih informacija i da se vrši monitoring situacije.

13.25 - Direktor Kancelarije za KiM održao vanrednu konferenciju

Marko Đurić, direktor Kancelarije za KiM, održao je vanrednu konferenciju povodom upada pripadnika ROSU na sever Kosova.

To su učinili kako bi Hašim Tači mogao nesmetano da dođe na jezero Gazivode, zbog čega su pohapsili sve ljude koji su im se našli na putu - rekao je on, a više detalja o tome možete pročitati OVDE.

Ovo je najslabija tačka Prištine: Dva ključna razloga zašto Albanci kidišu na Gazivode

13.15- Vojska Srbije stavljena u stanje najviše borbene gotovosti

Predsednik Srbije, Aleksandar Vučić, naredio je stavljanje kompletne Vojske Srbije u stanje najviše borbene gotovosti, potvrđeno je Tanjugu u Kabinetu predsednika, koji je i vrhovni komandant Vojske Srbije.

Više o tome možete pročitati OVDE.

12.30 - Pripadnici ROSU naoružani dugim cevima, građani vidno uznemireni

Kako Telegraf saznaje sa terena, pripadnici ROSU su naoružani dugim cevima, situacija na Gazivodama je napeta, a građani su vidno uznemireni.

Prema pisanju prištinskih medija, tamo su uvedene policijske snage kroz Centar za razvoj ekologije i sporta koji se nalazi blizu jezera.

(Telegraf..rs)


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Kosovo: forze speciali su lago conteso

Decine di agenti armati a Gazivode, visitato di recente da Vucic

Redazione ANSA, 29 settembre 2018 – 
E' tornata improvvisamente a salire la tensione in Kosovo, dove oggi una sessantina di agenti delle forze speciali kosovare (Rosu), pesantemente armati, hanno preso posizione intorno al lago di Gazivode, nel nord del Paese abitato in maggioranza da serbi. Questo lago, per metà in territorio kosovaro e per metà in Serbia, è ritenuto di importanza strategica sia da Pristina che da Belgrado per l'approvvigionamento idrico e di energia elettrica. Nelle scorse settimane, in una atmosfera di estrema tensione, si era recato in visita a Gazivode il presidente serbo Aleksandar Vucic, a sottolineare la sovranità serba sul territorio.

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Presidente Serbia porta l'esercito a livello massimo di allerta

29.09.2018

Il presidente della Serbia Aleksandr Vucic ha ordinato alle forze armate di portarsi al massimo livello di allerta a causa delle attività delle forze speciali del Kosovo riporta l'agenzia Taniug citando l'amministrazione di Vucic.
"L'ordine è stato dato al capo dello Stato Maggiore dell'esercito serbo", ha detto l'agenzia.
Anche tutte le unità speciali del Ministero degli affari interni sono state portate al massimo livello di allerta.
In precedenza, circa 60 soldati di una speciale suddivisione del Ministero degli Interni della Repubblica autoproclamata del Kosovo, ROSU, hanno preso una posizione vicino al lago artificiale della centrale idroelettrica Gazivoda e sono entrati nel centro ecologico e sportivo vicino alla diga nel nord della provincia.
La centrale idroelettrica Gazivoda è controllata da Belgrado. Come ha detto Vucic, negli ultimi anni le autorità serbe hanno investito circa due milioni di euro nelle infrastrutture, nelle strutture e nella diga del suo lago di artificiale.
Nel 1999, lo scontro armato tra i separatisti albanesi dell'esercito di liberazione del Kosovo e l'esercito e la polizia serba ha portato al bombardamento della Jugoslavia (all'epoca composta da Serbia e Montenegro) da parte delle forze della NATO. Nel marzo 2004, gli albanesi del Kosovo hanno organizzato pogrom che hanno portato al reinsediamento di massa dei serbi dalla regione e alla distruzione di numerosi monumenti della loro storia e cultura.
Nel febbraio 2008, le strutture del Kosovo-albanesi a Pristina hanno dichiarato unilateralmente l'indipendenza dalla Serbia. La repubblica autoproclamata non è riconosciuta da Serbia, Russia, Cina, Israele, Iran, Spagna, Grecia e altri stati.

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Lavrov, in Kosovo dialogo secondo intese

'Sì a soluzione accettabile per Serbia. Evitare scontri Balcani'

(ANSAmed) – BELGRADO, 29 SET – Il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov ha invitato Belgrado e Pristina a proseguire il dialogo sul Kosovo nel rispetto dei principi contenuti nella risoluzione 1244 del consiglio di sicurezza dell’Onu, sottolineando che la Russia appoggerà una soluzione che sarà accettabile per la Serbia. Parlando a New York all’Assemblea generale dell’Onu, Lavrov, citato dai media serbi, ha al tempo stesso constatato come gli accordi tra Belgrado e Pristina raggiunti con la mediazione della Ue non vengono applicati”, lamentando come le forze militari internazionali presenti in Kosovo con l’approvazione del consiglio di sicurezza si trasformino in una base americana, mentre a Pristina si lavora per la creazione di Forze armate del Kosovo. “Noi lanciamo un appello affinchè i Balcani non si trasformino di nuovo in una arena di scontri, e che si evitino nuove linee di divisione”, ha detto il capo della diplomazia russa. ANSA | 29-09-2018

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Serbia-Kosovo: Vucic chiede il sostegno di Mosca

di Fabrizio Poggi, 3 ottobre 2018

Nell’incontro di ieri a Mosca con Vladimir Putin, il presidente serbo Aleksandr Vucic ha discusso con ogni evidenza, oltre ai temi della collaborazione economica, anche dei rapporti di Belgrado con il Kosovo, che continuano a inasprirsi. 

Sabato scorso, Vucic aveva messo in assetto di guerra l’esercito e le truppe speciali del Ministero degli interni, in relazione all’arrivo di reparti speciali kosovari, sotto la supervisione di elicotteri e droni NATO-KFOR, nell’area del bacino che serve la centrale idroelettrica “Gazivode”, parte del sistema idroelettrico serbo, e attorno al centro di Zubin-Potok, abitato da una maggioranza serba nel nord del territorio kosovaro. I reparti di Priština dovevano assicurare la protezione del presidente Hashim Thaci, durante la sua veleggiata in barca sul bacino. Nondimeno, Belgrado l’ha considerata una provocazione bella e buona.

Denunciando l’intervento dei reparti speciali di Priština, Vucic aveva sottolineato come questi si fossero mossi con l’aperto beneplacito della NATO, ignorando gli elementari diritti della popolazione serba: “Ancora una volta, nessuno ha chiesto il parere dei serbi. Per loro, i serbi non esistono; o, quantomeno, loro vorrebbero così”, aveva dichiarato Vucic. Nonostante la linea filo-atlantica e proUE della Serbia, Vucic aveva immediatamente espresso la volontà di incontrarsi al più presto con Vladimir Putin, per chiedere il sostegno di Mosca, “in tutte le sedi internazionali”, sulla questione kosovara. Ed ecco che già ieri era a Mosca, anche se il portavoce presidenziale, Dmitrij Peskov, ha tenuto a sottolineare che l’incontro era programmato da mesi.

Vucic ha denunciato “l’ipocrisia dei funzionari UE” sulla questione del Kosovo. Dopo che la responsabile UE per i media, Maija Kotsiancic aveva chiesto moderazione alle parti, Vucic aveva replicato: “Ditemi, signori di Bruxelles, perché dovremmo ancora moderarci? O non siete piuttosto voi che dovete astenervi dall’ipocrisia, se potete”. Dopo aver “espresso sorpresa” per la violazione da parte kosovara di “tutti gli accordi raggiunti”, Vucic ha inviato una protesta al segretario generale della NATO Jens Stoltenberg “in relazione agli atti insolenti di Hashim Thaci e della leadership di Priština”. Proprio in relazione alle mosse della NATO, dopo la mobilitazione kosovara, gruppi di popolazione serba, servendosi di camion piazzati sul percorso, avevano bloccato l’afflusso di truppe NATO verso nord e il confine serbo, sulla direttrice Mitrovitsa-Ribaric.

L’occidente non permetterà al Cremlino di sostenere la Serbia, titolava ieri Aleksej Polubota su Svobodnaja Pressa. Il politologo Aleksandr Šatilov ritiene che, al di là di qualche dichiarazione di appoggio a Belgrado, anche eventuali forniture militari russe potrebbero ben poco aumentare la capacità serba di contrapporsi alla NATO; oltretutto, afferma Šatilov, dopo l’aggressione NATO del 1999, Belgrado stessa difficilmente si deciderebbe a ricorrere alla forza contro Priština, anche nel caso di altre provocazioni come quella recente: troppo forte la vocazione filo-NATO e filo-UE di Vucic. Dopo Miloševic, nessun leader serbo si è preso cura, se non a parole, dei serbi del Kosovo e la NATO, continua Šatilov, ha più volte fatto intendere a Belgrado che sarà punita, nel caso tenti di difendere i propri connazionali con la forza. Anche l’ipotesi di fornire S-300 e S-400 a Belgrado, sicuramente sarebbe osteggiata dallo stesso Montenegro, un tempo unito alla Serbia e oggi membro della NATO.

Oltretutto, osserva il politologo Mikhail Aleksandrov, la leadership serba, compreso Miloševic, non è mai stata ferma nell’ipotesi di stabilire un’alleanza militare con Mosca o di entrare nell’Unione Euroasiatica: in caso contrario, avrebbero potuto forse evitarsi i bombardamenti NATO e la separazione del Montenegro e Mosca avrebbe dislocato in Serbia una forte base militare. Oggi, conclude Aleksandrov, un’alleanza militare con Belgrado potrebbe non essere così vantaggiosa per Mosca, dato l’accerchiamento NATO della Serbia. Al massimo, nel caso la NATO si avventuri in azioni nel nord del Kosovo, si potrebbe difendere il territorio serbo coi missili “Kalibr”, dislocati a bordo delle navi sul mar Nero, che coprono l’intero territorio europeo. Ma, ancora una volta: si deciderà Vucic a proporre un’alleanza militare a Mosca?

Al momento, sembra che la tensione si sia “allentata”, pur se il problema dei rapporti Belgrado-Priština è più che mai attuale e l’aperto sostegno UE e NATO alla “indipendenza” del Kosovo, insieme alla presenza permanente, qui, di truppe atlantiche, continua a testimoniare, non fosss’altro, del doppio standard adottato da Bruxelles nelle questioni di “indipendenza referendaria”.

Tra gli altri paesi che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo, oltre ovviamente alla Serbia, ci sono Russia, Cina, Israele, Iran, Spagna, Grecia.





Vedi anche:

Video. Il presidente del Venezuela all’Onu: le vostre guerre di aggressione fanno fuggire milioni (La redazione di Sibialiria, 29.9.2018)
Il presidente del Venezuela Nicolás Maduro, intervenendo nei giorni scorsi alla 73 esima  Assemblea generale delle Nazioni unite, fra gli altri temi ha toccato nel vivo l'ipocrisia dell'Occidente guerrafondaio. In questi pochi secondi sottotitolati in italiano, coglie l'occasione per ricordare la guerra della Nato in Libia e la guerra in Siria.
http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=3583
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=cnaQcJsLVKo
 
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Il potere politico delle armi

L'arte della guerra. Si discute della finanziaria in deficit, ma si tace sul fatto che l’Italia spende ogni anno miliardi a scopo militare

di Manlio Dinucci 
su Il Manifesto del 02.10.2018

Mercati e Unione europea in allarme, opposizione all’attacco, richiamo del presidente della Repubblica alla Costituzione, perché l’annunciata manovra finanziaria del governo comporterebbe un deficit di circa 27 miliardi di euro. Silenzio assoluto invece, sia nel governo che nell’opposizione, sul fatto che l’Italia spende in un anno una somma analoga a scopo militare. Quella del 2018 è di circa 25 miliardi di euro, cui si aggiungono altre voci di carattere miitare portandola a oltre 27 miliardi. Sono oltre 70 milioni di euro al giorno, in aumento poiché l’Italia si è impegnata nella Nato a portarli a circa 100 milioni al giorno.

Perché nessuno mette in discussione il crescente esborso di denaro pubblico per armi, forze armate e interventi militari? Perché vorrebbe dire mettersi contro gli Stati uniti, l’«alleato privilegiato» (ossia dominante), che ci richiede un continuo aumento della spesa militare.

Quella statunitense per l’anno fiscale 2019 (iniziato il 1° ottobre 2018) supera i 700 miliardi di dollari, cui si aggiungono altre voci di carattere militare, compresi quasi 200 miliardi per i militari a riposo. La spesa militare complessiva degli Stati uniti sale così a oltre 1.000 miliardi di dollari annui, ossia a un quarto della spesa federale. Un crescente investimento nella guerra, che permette agli Stati uniti (secondo la motivazione ufficiale del Pentagono) di «rimanere la preminente potenza militare nel mondo, assicurare che i rapporti di potenza restino a nostro favore e far avanzare un ordine internazionale che favorisca al massimo la nostra prosperità».

La spesa militare provocherà però nel budget federale, nell’anno fiscale 2019, un deficit di quasi 1.000 miliardi. Questo farà aumentare ulteriormente il debito del governo federale Usa, salito a circa 21.500 miliardi di dollari. Esso viene scaricato all’interno con tagli alle spese sociali e, all’estero, stampando dollari, usati quale principale moneta delle riserve valutarie mondiali e delle quotazioni delle materie prime.

C’è però chi guadagna dalla crescente spesa militare. Sono i colossi dell’industria bellica. Tra le dieci maggiori produttrici mondiali di armamenti, sei sono statunitensi: Lockheed Martin, Boeing, Raytheon Company, Northrop Grumman, General Dynamics, L3 Technologies. Seguono la britannica Bae Systems, la franco-olandese Airbus, l’italiana Leonardo (già Finmeccanica) salita al nono posto, e la francese Thales.

Non sono solo gigantesche aziende produttrici di armamenti. Esse formano il complesso militare-industriale, strettamente integrato con istituzioni e partiti, in un esteso e profondo intreccio di interessi. Ciò crea un vero e proprio establishment delle armi, i cui profitti e poteri aumentano nella misura in cui aumentano tensioni e guerre.

La Leonardo, che ricava l’85% del suo fatturato dalla vendita di armi, è integrata nel complesso militare-industriale statunitense: fornisce prodotti e servizi non solo alle Forze armate e alle aziende del Pentagono, ma anche alle agenzie d’intelligence, mentre in Italia gestisce l’impianto di Cameri dei caccia F-35 della Lockheed Martin. In settembre la Leonardo è stata scelta dal Pentagono, con la Boeing prima contrattista, per fornire alla Us Air Force l’elicottero da attacco Aw139. In agosto, Fincantieri (controllata dalla società finanziaria del Ministero dell’Economia e delle Finanze) ha consegnato alla Us Navy, con la Lockheed Martin, altre due navi da combattimento litorale.

Tutto questo va tenuto presente quando ci si chiede perché, negli organi parlamentari e istituzionali italiani, c’è uno schiacciante consenso multipartisan a non tagliare ma ad aumentare la spesa militare.






Una celebrazione non rituale a Colfiorito. Il resoconto

Unanime è stata la soddisfazione degli organizzatori e dei partecipanti per la ottima riuscita della iniziativa, tenuta sabato 22 settembre 2018 a 75 anni esatti dalla grande fuga di cui furono protagonisti circa 1200 prigionieri jugoslavi detenuti nell'allora campo di concentramento. Durante la guerra, nel campo di Colfiorito erano stati rinchiusi tra gli altri circa 1500 partigiani del Montenegro che si erano opposti all’invasione del loro territorio da parte dell'esercito italiano: il 22 settembre 1943 in grande maggioranza fuggirono trovando salvezza presso le famiglie contadine dell’Appennino, per poi prendere parte alla lotta di Liberazione.

Il programma dell'inedita iniziativa, promossa dal Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (Jugocoord) Onlus e patrocinata da Regione Umbria e Comune di Foligno, si è articolato in una intera giornata di memoria e di studio, conclusa con uno spettacolo teatrale.

Ad aprire la prima parte dell'evento, dedicata ai saluti istituzionali ed agli interventi di saluto e testimonianza, è stato l'ex sindaco Manlio Marini, attuale presidente dell’Officina della Memoria di Foligno. Gli ha fatto seguito il presidente di Jugocoord Onlus, Ivan Pavičevac, che ha introdotto la giornata spiegandone le motivazioni ed i criteri adottati per la sua organizzazione: si è mirato a coinvolgere tutte le realtà potenzialmente interessate – istituzionali, antifasciste, istituti di storia – senza escludere proprio nessuno, per creare un tavolo comune di incontro e confronto reciproco, nel quale peraltro la questione della memoria delle “Casermette” fosse messa in relazione con analoghe esperienze in atto anche altrove, dall’Abruzzo al Friuli.

Sono seguiti gli interventi di ben quattro sindaci: Nando Mismetti, sindaco di Foligno, dopo avere ammonito a non dimenticare mai i crimini del passato, tenendo ben distinte le responsabilità storiche, affinché si possa affrontare con cognizione di causa il difficile presente ed il futuro, ha tra l'altro garantito la disponibilità della sua amministrazione a sostenere ulteriori iniziative di valorizzazione delle Casermette; Massimo Tiberini, sindaco di Casoli (CH) dove era presente un'analoga struttura di internamento durante la Seconda Guerra Mondiale, ha esposto le iniziative realizzate dal suo Comune a salvaguardia della memoria di chi è stato rinchiuso nel campo di Casoli auspicando l'instaurazione di un rapporto stabile tra i due Comuni nel segno della memoria storica;

Pietro Cecoli, sindaco di Monte Cavallo (MC), ha ricordato la strage dell'Eremo della Romita proponendo la creazione di un percorso tematico attraverso i comprensori limitrofi interessati da episodi di guerra, internamento e Resistenza collegabili alla storia delle Casermette; infine Giovanni Bontempi, sindaco della vicina Nocera Umbra, ha parlato delle iniziative sviluppate da anni sul suo territorio per ricordare i fatti sanguinosi di Collecroce e la Resistenza.
Paolo Gubbini, consigliere comunale di Foligno delegato per il Parco di Colfiorito, ha descritto gli ambienti originali dell'ex campo in cui si teneva l'incontro, sottolineando l'opportunità di annoverare anche questi temi tra le molteplici attività culturali attivate a Colfiorito sin dall'istituzione del Parco.
Diversi relatori hanno fatto riferimento a preoccupanti fatti di cronaca che indicano una recrudescenza dell'intolleranza e della prevaricazione di stampo fascista: è stata tra l'altro espressa solidarietà alla eurodeputata Eleonora Forenza ed agli altri feriti nel corso di una aggressione a Bari la sera prima.
Da registrare inoltre il messaggio pervenuto alla Onlus dall'Ambasciatore di Serbia Goran Aleksić, che, rammaricandosi per non poter essere presente, ha espresso apprezzamento per la "dedizione ai condivisi valori e tradizione antifascisti".

In qualità di testimoni hanno preso la parola Giorgio Vitali, ex postino di Taverne, Raniero Seri, parroco di Serravalle e Dignano, il generale Di Spirito, che fu in servizio negli ultimi anni in cui le Casermette erano ancora usate per addestramento militare. Due gli ospiti stranieri: Vladimir Kapuralin, figlio di un prigioniero politico istriano a Fossoli, e Dejan Karadaglić, nipote di uno dei 30 montenegrini ex-internati che risultano sicuramente caduti per mano nazifascista dopo la fuga dal campo. L'elenco dei prigionieri di Colfiorito caduti sul suolo italiano dopo la fuga e fino alla Liberazione è però ben più lungo.
In occasione della giornata di studio è stato presentato l'opuscolo "La lotta antifascista dei prigionieri di Colfiorito", curato da Andrea Martocchia e edito da Jugocoord Onlus, distribuito a latere del Convegno. Attraverso l'opuscolo sono state presentate significative novità storiografiche – come anche il testo integrale in lingua italiana della Risoluzione del Comitato del Fronte di Liberazione che fu istituito dai prigionieri stessi – oltre alle informazioni indispensabili a intavolare la discussione, sia di carattere storico sia sulle iniziative per la memoria realizzate negli anni.

La sessione scientifica è stata aperta da Andrea Giuseppini, curatore del progetto Campifascisti.it, che ha descritto il sistema concentrazionario fascista di cui faceva parte anche il campo di concentramento di Colfiorito. La storica Luciana Brunelli, esperta della storia delle Casermette, ha dato conto di come la struttura nei vari periodi abbia confinato una articolata pluralità di soggetti ed ha anche evidenziato alcune false concezioni che dominano la narrazione pubblica sulla II Guerra Mondiale. Alessandra Kersevan, intervenendo sulle politiche della memoria dell’internamento fascista, ha invece parlato di vero e proprio oblio, facendo risalire la rimozione della vicenda dei campi di concentramento fascisti alle operazioni della diplomazia italiana post-bellica, mirate a ottenere migliori condizioni al tavolo delle trattative di pace. Giuseppe Lorentini, storico dell’Università di Bielefeld (Germania) ed esperto del campo di Casoli, ha fornito esempi concreti di interventi per la salvaguardia della Memoria, ulteriormente sollecitando la costruzione di una rete dei siti d'internamento italiani. Infine Renato Covino, docente universitario, ha illustrato cause e conseguenze della prigionia dei montenegrini a Colfiorito, soffermandosi sulle loro strategie di lotta toccando poi alcune problematiche storiografiche relative al ruolo degli jugoslavi nello sviluppo della Resistenza in zona.

La Tavola Rotonda è stata introdotta da Andrea Martocchia, segretario di Jugocoord Onlus, che si è riallacciato ai precedenti riferimenti a oblio e rimozione auspicando una appropriata toponomastica dedicata a queste vicende e personaggi nonché la necessità di realizzare, a Colfiorito, qualche monumento, targa, centro visita, museo o manufatto che richiami la centralità del luogo per l’antifascismo umbro, italiano ed europeo – in attuazione di prese di posizione e deliberazioni che, negli scorsi anni, hanno attestato una volontà di realizzare un centro di visita e di documentazione storica proprio in quei locali.
A nome della Onlus, Martocchia ha perciò presentato il progetto di una targa commemorativa, che si potrebbe apporre in tempi molto brevi visti i costi contenuti ed il sostegno dichiarato da parte dei rappresentanti del Comune: si tratterebbe di un primo passo, da compiere a beneficio di tutti i soggetti interessati, grazie ad un testo inclusivo già condiviso con storici e rappresentanti istituzionali, del quale è stata data lettura.
Ezio Palini, dirigente dell'Area Sviluppo Economico del Comune, ha riferito del progetto presentato dalla Associazione Officina della Memoria, concordemente al Comune di Foligno, per la realizzazione di un museo / centro di documentazione a valere su fonte di finanziamento GAL Valle Umbra e Sibillini, di cui si attende l'esito a breve. Un tale spazio espositivo integrerebbe la offerta culturale di Colfiorito, contribuendo a rimediare per quanto possibile a trasformazioni urbanistiche e cambi di destinazione d'uso che l'area ha subito in passato, non sempre rispettosi della storia del sito, e potrebbe inoltre contribuire alla costruzione di una rete culturale e della memoria tra i luoghi che ospitarono strutture di concentramento.

Maura Franquillo, assessora delegata alle Iniziative per la pace e la memoria, ha ribadito l'appoggio del Comune per questi progetti, sottolineandone l'opportunità soprattutto nella pericolosa fase storico-politica che stiamo attraversando.
Nella discussione sono intervenuti i rappresentanti di ANPPIA (Serena Colonna, segretaria nazionale), ANED(Maria Pizzoni, responsabile per l'Umbria), ANPI (con la presidente provinciale Mari Franceschini – che ha rimarcato la positività dello spirito unitario con cui è stato convocato l'incontro – ed il rappresentante di Macerata Lorenzo Marconi – che ha menzionato il progetto di centro di documentazione sull'internamento riguardante l'Abbazia di Fiastra – nonché la rappresentante di Casoli Piera Della Morgia, che ha ricordato anche la formazione della Brigata Majella in quel territorio, ed il coordinatore della sezione di Bevagna il quale ha fornito una significativa traccia per l'approfondimento storiografico, riguardante un anonimo montenegrino ucciso su quel territorio). Günther Rauch di Bolzano ha riferito sul campo di concentramento di Blumau / Prato Isarco.

La lunga e densa giornata è stata inframezzata da quattro emozionanti letture dell'attore Pietro Benedetti, e precisamente: la Risoluzione dei prigionieri (Comitato del Fronte di Liberazione); la fuga dal Campo (Drago Ivanović); il partigiano Milan (Enzo Rossi); la visita del fratello di un ex-prigioniero (Bato Tomašević). Lo stesso Benedetti ha coronato il convegno-celebrazione con un ulteriore momento artistico, e cioè la pièce teatrale “Drug Gojko, ispirata alle vicende di Nello Marignoli, partigiano italiano in Jugoslavia: un vero e proprio inno alla fratellanza fra i popoli ed al ripudio della guerra.

 

(a cura di Jugocoord Onlus e Comune di Foligno)

 

Galleria fotografica e intervento audio di I. Pavičevac: https://www.cnj.it/home/it/valori/8912-colfiorito2018-2.html




Kosovo: un momento nella civiltà [Kosovo: A Moment In Civilization]

di Boris Malagurski (Serbia 2017, 47', v.o. sottotitolata

Il documentario sarà presentato per la prima volta in Italia, alla presenza dell'Autore,

a Vicenza, venerdì 28 settembre 2018
dalle ore 20:30 presso il cinema Primavera, Via A.F. Ozanam 11

a Milano, sabato 29 settembre 2018 
dalle ore 20:30 presso la Casa della Cultura, Via Borgogna 3

<< Il documentario "Kosovo: un momento nella civiltà" del regista Boris Malagurski ha l'obiettivo di presentare all'opinione pubblica mondiale lo stato in cui versa il patrimonio culturale serbo in Kosovo e Metohija, spiegando la ragione per cui debba essere ritenuto eredità della Serbia e per opera di chi esso si trova in serio pericolo. 
Va ricordato che ben quattro monasteri medievali serbi su questo territorio sono considerati Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO: il Monastero di Dečani, il Monastero patriarcale di Peč, Nostra signora di Ljeviš e il Monastero di Gračanica. Il film consente allo spettatore di ammirare la bellezza di questi edifici, la cui esistenza è purtroppo minacciata proprio da chi intende presentarsi in qualità di "protettore", e che ha avanzato la proposta di ammettere il Kosovo tra gli Stati membri dell'UNESCO.
In questo territorio, dal 1990 a oggi, sono stati distrutti più di 150 chiese e monasteri. Tuttavia, è bene precisarlo, il regista non è animato da alcun intento vendicativo: mostrando la realtà dei fatti, egli si prefigge lo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica mediante l'amore per l'arte, che deve essere alla base del progetto di conservazione di qualunque patrimonio culturale.
Attraverso il racconto della propria infanzia, il presentatore australiano di origini serbe, Stefan Popović, conduce lo spettatore alla scoperta dell'importanza spirituale che questi monasteri rivestono per i serbi e della rilevanza artistica per l'intera umanità.
Il testo narrato è a cura del teologo Miloš Ninković
Direttore della fotografia: Mladen Janković
Regia: Boris Malagurski >>




Novità sull'abbattimento del volo MH17

1) La Russia smentisce le conclusioni della Commissione olandese sull’MH-17 (Rete Voltaire)
2) Volo malese MH17. La Russia presenta le prove: il missile che ha abbattuto l'aereo apparteneva all'Ucraina (L'Antidiplomatico)


Sullo stesso argomento si vedano anche i nostri precedenti post su JUGOINFO, in ordine cronologico inverso:

QUARTO ANNIVERSARIO DELLA "USTICA" UCRAINA [21 luglio 2018]
VOLO MH17: IL REGIME EUROPEISTA UCRAINO LO HA FATTO ABBATTERE ED HA CERCATO DI ADDOSSARE LA COLPA ALLA RUSSIA PER AGGRAVARE LA CRISI [2017]
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8731
LA USTICA UCRAINA – UN ANNO DOPO [2015]
NOME E COGNOME DELL'AVIERE UCRAINO CHE HA ABBATTUTO IL VOLO MH17 / Malaysian Boeing hit by an Ukrainian pilot [2015]

nonché i link sul nostro sito:

17 LUGLIO 2014: DUE CACCIA UCRAINI ABBATTONO AEREO DI LINEA AMSTERDAM - KUALA LUMPUR [2014]
https://www.cnj.it/documentazione/ucraina.htm#mh17


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La Russia smentisce le conclusioni della Commissione olandese sull’MH-17

Rete Voltaire, 18 settembre 2018 

Le autorità russe, che contestano da sempre la versione della distruzione del volo MH-17 da parte di un missile terra-aria, hanno desegretato le informazioni che contraddicono le conclusioni della Commissione d’inchiesta olandese sul crash.
Il 17 luglio 2014 il volo 17 della Malaysia Airlines, partito da Amsterdam per Kuala Lampur, è stato abbattuto mentre sorvolava la regione di Donetsk (Ucraina), dove erano in corso i combattimenti tra il governo putschista di Kiev e gl’indipendentisti del Donbass. I morti sono stati 298.
Sin dal primo momento i due campi si addossano l’un l’altro la responsabilità del disastro aereo: l’Ucraina accusa gli insorti di aver tirato un missile terra-aria Bouk, la Russia accusa l’aeronautica militare ucraina di aver abbattuto il Boeing civile.
Mosca solleva subito 10 questioni che Kiev però ignora [1].
Con la risoluzione 2166 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU stabilisce che venga svolta un’«inchiesta internazionale esaustiva, minuziosa e indipendente» [2].
La Commissione ONU comprende, oltre all’Ucraina, la Germania, l’Australia, gli Stati Uniti, la Francia, la Malesia, il Regno Unito e la Russia, ed è coordinata dall’Olanda. La Russia, sospettata di essere l’autrice dell’attacco, ne viene subito estromessa.
La ricerca della verità è però ostacolata dal conflitto Est-Ovest: gli Stati Uniti mirano a sottoporre il presidente Putin al giudizio della Corte Penale Internazionale e il sito internet Bellingcat (legato all’Atlantic Council) fornisce indizi alla Commissione olandese.
Il 7 ottobre 2014 Frans Timmermans, ministro degli Esteri olandese all’epoca dei fatti, ora primo vicepresidente della Commissione Europea, rivela che uno dei passeggeri ha avuto il tempo di prendere una maschera per l’ossigeno, fatto che contraddice la versione del missile [3].
L’8 ottobre 2014 i servizi segreti tedeschi (Bundesnachrichtendienst, BND) sono chiamati a deporre a porte chiuse davanti alla Commissione del Bundestag per il controllo dell’intelligence. 
Secondo lo Spiegel hanno dichiarato che: 
1. Le fotografie fornite dal governo ucraino sono false; 
2. La tesi russa secondo la quale l’aereo sarebbe stato abbattuto da jet dell’esercito ucraino che si sarebbero avvicinati all’aereo civile è parimenti falsa [4].
Secondo l’esame minuzioso dei rottami, realizzato dal professore Ivan A. Andrievskii, primo vicepresidente dell’Unione degli Ingegneri russi, l’aereo sarebbe stato colpito da tiri di mitragliatrice mentre era in volo [5].
Secondo Komsomolskaï Pravda, che riporta la testimonianza di un ufficiale, l’aereo sarebbe stato abbattuto da caccia ucraini [6].
Il 22 marzo 2016 il deputato olandese Pieter Omtzigt (cristiano democratico) twitta che la Commissione d’inchiesta parlamentare ha concluso le audizioni a porte chiuse: soltanto l’Ucraina può aver abbattuto l’aereo [7].
Il 24 marzo 2018 la Commissione internazionale — cui la Russia non ha partecipato — in una conferenza stampa ad Amsterdam presenta il risultato dell’inchiesta: l’aereo è stato distrutto da un missile terra-aria Bouk della Brigata 53 di Difesa Aerea russa, con base a Kursk. Olanda e Australia notificano le conclusioni alla Russia [8], che le respinge mettendo in evidenza una serie di anomalie nel lavoro della Commissione [9].
Il 17 settembre 2018 la Russia risale, basandosi sulle fotografie della Commissione e partendo dall’ugello e dal motore, al numero del missile, concludendo che al momento dei fatti l’arma non era in possesso della Russia, bensì di un’unità delle Forze Ucraine a Lvov. La Russia ha inviato all’Olanda le prove su cui si basa il suo ragionamento.

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista 


[1] « Vol MH17, les 10 questions de Moscou à Kiev », Réseau Voltaire, 20 juillet 2014.

[2] « Résolution 2166 sur le vol MH 17 de la Malaysia Airlines et débats », Réseau Voltaire, 21 juillet 2014.

[3] « Crash du vol MH17 : le BND allemand avait été démenti par Frans Timmermans », Réseau Voltaire, 21 octobre 2014.

[4] « Ostukraine : BND macht Separatisten für MH17-Absturz verantwortlich ». Version anglaise : « Deadly Ukraine Crash : German Intelligence Claims Pro-Russian Separatists Downed MH17 », Der Spiegel, 19 octobre 2014.

[5] “Analisi delle cause del disastro del volo MH17”, di Ivan A. Andrievskii, Traduzione Guido Fontana Ros, Оdnako (Russia) , Rete Voltaire, 6 novembre 2014.

[6] “Capitano Voloshin: “l’aereo era nel posto sbagliato al momento sbagliato“”, di Dmitry Steshin, Nicholas Varsegov, Vladimir Sungorkin, Traduzione Alessandro Lattanzio, Komsomolskaïa Pravda(Russia) , Rete Voltaire, 31 dicembre 2014.

[7] “Only Ukraine could bring down MH17”, Regnum (Russia) , Voltaire Network, 21 March 2016.

[8] « Lettre de l’Australie et des Pays-Bas à la Russie concernant le vol MH17 », Réseau Voltaire, 25 mai 2018.

[9] “Statement by the Foreign Ministry regarding the press conference of the Joint Investigation Team on the preliminary findings of the criminal investigation into the crash of the Malaysian Boeing in eastern Ukraine”, Voltaire Network, 24 May 2018.



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Volo malese MH17. La Russia presenta le prove: il missile che ha abbattuto l'aereo apparteneva all'Ucraina

19 settembre 2017

Durante la conferenza stampa di oggi, i rappresentanti del ministero della Difesa hanno anche diffuso una serie di audio che dimostrano la complicità del regime di Kiev e capovolgono la versione parziale fatta dal cosiddetto "Gruppo di esperti"


Tre prove molto convincenti presentate oggi dal Ministero della difesa russo smentiscono il resoconto molto parziale formato dal cosiddetto gruppo di esperti sull’abbattimento del volo malese MH17 avvenuto nel 2014. Il ministero della Difesa russo, nel dettaglio il portavoce portavoce del ministro, il generale Igor Konashenkov, e il capo del dipartimento missilistico e dell'artiglieria del ministero della Difesa russo, il tenente generale Nikolai Parshin, hanno mostrato come i video che mostrano il movimento di un sistema missilistico Buk dalla Russia all'Ucraina - preso per valido dal Joint Investigation Team (JIT) che riunisce la visione parziale di Ucraina, Malesia, Paesi Bassi, Australia e Belgio - sono stati in realtà fabbricati; hanno mostrato ai giornalisti come i numeri di serie trovati sui detriti del missile Buk che hanno abbattuto il volo MH17 della Malaysian Airlines sull'Ucraina orientale rivelino che l’arma sia stata prodotta nel 1986 e che il proiettile era di proprietà dell'Ucraina; hanno fatto ascoltare, infine, ai giornalisti presenti una registrazione audio che dimostra la complicità dell'Ucraina nel disastro del MH17 nel 2014. Lo riporta nel dettaglio Tass.
 
L'esercito russo lunedì ha annunciato di aver rintracciato il missile che ha abbattuto l’aereo malese. Il missile aveva il numero di serie 8868720. Parlando con i giornalisti, il gen. Nikolay Parshin ha mostrato una scia documentale del missile Buk. Secondo i documenti, alcuni dei quali sono stati declassificati per la presentazione, il missile è stato prodotto in uno stabilimento militare a Dolgoprudny nella regione di Mosca nel 1986 per poi essere trasferito il 29 dicembre 1986 e consegnato all'unità militare 20152 situata nell'attuale Ucraina. Secondo Parshin, i frammenti di missili presentati dal Joint Investigation Team (JIT) che ha esaminato l'incidente del MH17 riportavano il numero dell'ugello e del motore del missile. "Una volta avuti i numeri siamo stati in grado di scoprire la matrice del missile", ha detto. "Ci sono documenti negli archivi del Dolgoprudny Research Institute, che hanno permesso di scoprire il numero di coda del missile: è emerso che il missile è stato assemblato il 24 dicembre 1986 e consegnato per ferrovia all'unità militare numero 20 / 152, ufficialmente chiamata la 223a Brigata missilistica di difesa aerea, è stata dispiegata nella regione Ternopol della Repubblica socialista sovietica ucraina, che faceva parte del Distretto Militare Subcarpatico ", ha aggiunto. Il 223esimo reggimento di difesa antiaerea delle forze armate ucraine è l'unità che ha partecipato alla repressione di Kiev contro i ribelli nell'est dell'Ucraina nel giugno 2014.
La prova confuta quindi le accuse dell'Ucraina e di altri paesi vicini al regime di Kiev, secondo cui ad abbattere l’aereo sarebbe stato un missile sparato da un lanciatore, segretamente consegnato dalla Russia ai ribelli. Tutti i materiali sono stati inviati agli investigatori olandesi, ha aggiunto l'esercito russo.


Nel corso della conferenza stampa, i due generali hanno anche sfidato apertamente come “fabbricati” i video della Ong inglese Bellingcat, che si definisce un'organizzazione di citizen journalism, che proverebbero la consegna russa del lancia missili ai ribelli. Il Ministero della Difesa ha mostrato un video con alcuni filmati, evidenziando le incoerenze e dimostrando come il filmato fosse stato manipolato. L'inchiesta di Bellingcat è stata utilizzata nell'ultimo aggiornamento dei cosiddetti  esperti sul MH17 e questo ha spinto l'esercito russo a studiarlo in dettaglio. Il video russo ha mostrato come un carro armato Abrams può essere trasportato da un rimorchio nelle strade dell'Ucraina allo stesso modo. Secondo le parole del portavoce, gli esperti russi hanno studiato a fondo quei video e sono giunti alla conclusione che sono stati fabbricati.


La terza parte della presentazione è stata quella che i funzionari russi hanno definito un record di comunicazioni intercettate di funzionari ucraini che discutono, nel 2016, del rischio di volare attraverso lo spazio aereo limitato sull'Ucraina. In particolare poi, il ministero della Difesa russo ha presentato una registrazione audio che dimostra la complicità dell'Ucraina nel disastro del MH17 nel 2014. Il generale Konashenkov ha detto che la registrazione audio si riferisce ad una conversazione tra militari ucraini ed è stata effettuata nel 2016 nella regione di Odessa durante l'esercizio Rubezh-2016 e pubblicata sui mass media ucraini. "Se è così, abbatteremo un altro boeing malese”, si ascolta uno dei militari ucraini durante la conversazione. I militari russi affermano che le dichiarazioni arrivano dal Col.. Ruslan Grinchak, che serve in una brigata responsabile per il controllo radar dello spazio aereo ucraino. La sua unità ha tracciato il volo MH17 nel 2014, quindi potrebbe avere avuto informazioni che non sono pubblicamente disponibili sul disastro.


Il generale Igor Konashenkov, che ha ospitato il briefing, ha detto che l'Ucraina non è riuscita a fornire dati radar dalle sue stazioni agli investigatori olandesi. Ha anche suggerito che i documenti di archivio dell'unità ucraina, che ha ricevuto il missile Buk nel 1986, sarebbero stati utili alla sonda, a meno che Kiev non affermasse di non essere più disponibile. Ha sottolineato che sono in vigore regole che significano che tali documenti dovrebbero ancora essere archiviati in Ucraina.
 
Il volo Malaysia Airlines MH17, un aereo passeggeri Boeing-777 in viaggio da Amsterdam a Kuala Lumpur, è stato abbattuto il 17 luglio 2014, nella regione orientale dell'Ucraina di Donetsk. L'incidente ha ucciso tutti i 283 passeggeri e i 15 membri dell'equipaggio. C'erano cittadini di dieci stati tra i morti. Il Joint Investigation Team (JIT) che esamina l'incidente comprende rappresentanti di Paesi Bassi, Australia, Belgio, Malesia e Ucraina. Il 24 maggio, il cosiddetto team di esperti ha dato un aggiornamento sullo stato delle cose nell'indagine criminale, sostenendo che "il BUK-TELAR che era usato per scendere MH17, proviene dalla 53a brigata missilistica antiaerea .... un'unità del russo esercito di Kursk nella Federazione Russa. "

Il ministero della Difesa russo ha respinto tutte le accuse e ha affermato che nessuno dei sistemi missilistici appartenenti alle forze armate russe è mai stato portato all'estero. Tuttavia, il 25 maggio, Australia e Paesi Bassi hanno rilasciato una dichiarazione in cui affermano di "ritenere la Russia responsabile per il proprio ruolo nel downing del volo MH17".