Jugoinfo



Apprendiamo dalle agenzie della scomparsa di Vo Nguyen Giap, uno dei protagonisti della storia del novecento e simbolo della lotta di liberazione dei popoli di tutto il mondo. Se ne è andato un grande dirigente del movimento comunista e antimperialista mondiale. Un grande stratega della “Guerra di popolo” che ha saputo sconfiggere due formidabili eserciti imperialisti, dando così un contributo decisivo alla liberazione del Vietnam. 

Pensiamo che il miglior modo di ricordare la vita e l'opera di Giap, sia riproporre l'articolo che il compianto compagno Sergio Ricaldone [ http://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-italia/22559-compagno-ricaldone-non-ti-dimenticheremo-mai.html ] - che con Giap aveva instaurato un rapporto di collaborazione e amicizia durante gli anni della lotta di liberazione contro l'imperialismo statunitense – scrisse in occasione del 100° compleanno della grande figura vietnamita.

Al popolo del Vietnam e al suo Partito Comunista porgo le più sentite condoglianze, a nome dell'intera redazione di Marx21.it

Mauro Gemma
Direttore di Marx21.it

 



GIAP, IL GRANDE STRATEGA DELLA GUERRA DI POPOLO

di Sergio Ricaldone

Si continua a dire che il comunismo è morto. Celebrando il compleanno di Giap e guardando al Vietnam di oggi direi che il comunismo è un soggetto politico e ideale assai difficile da seppellire.

La lunga vita di Van Nguyen Giap coincide con lo spazio temporale della storia contemporanea del Vietnam durante il quale il popolo vietnamita, per riconquistare l’indipendenza nazionale, ha dovuto lottare contro gli eserciti delle quattro maggiori potenze imperialiste del 20° secolo: quello francese, quello giapponese, quello inglese e quello americano. Tutte le generazioni vietnamite del 900’ sono state segnate e coinvolte da questo titanico confronto. Tutte le classi, ogni ceto sociale: gli intellettuali tradizionalisti, poi i modernisti, gli operai, i contadini, i bonzi, i preti cattolici e le diverse etnie. Nessuna forma di lotta è stata esclusa: scioperi, manifestazioni, forme diverse di cultura popolare, rituali religiosi, alfabetizzazione di massa. Ma solo quando si è potuta formare una strategia politica di lunga durata e di largo respiro, patriottica e socialista, e di intense relazioni internazionali, la scelta dell’opzione militare, imposta dalle circostanze storiche, è stata quella che alla fine ha prevalso e deciso le sorti del paese. Ciò è diventato possibile solo dopo la formazione nel 1930 del partito comunista indocinese e dall’emergere di due figure dirigenti di formazione marxista leninista e di eccezionale spessore politico, quali Ho Ci Minh e Giap, che hanno saputo portare a sintesi, rendendole complementari e vincenti, le loro geniali intuizioni politiche e militari.

Fino agli inizi degli anni 50 il Vietnam, nella sua dimensione geografica, storica e politica era scarsamente presente nell’immaginario collettivo della sinistra europea. Era ancora un paese marginale, conosciuto da pochi col suo vecchio nome coloniale, Indocina, collocato ai margini del campo socialista. L’indipendenza del Vietnam proclamata da Ho Ci Minh il 2 settembre 1945 era stata una parentesi di breve durata e pressoché ignorata dai mass media. Il suo popolo di guerriglieri era stato costretto a disperdersi nella giungla nel 1946 dalle cannonate della flotta, dai carri armati e dai bombardieri francesi, Braccato dai tagliagole della Legione straniera (imbottita di ex SS), sembrava non avere scampo. Nessuno sospettava che da quell’improvvisato esercito di “contadini straccioni”, affamati e peggio armati, potesse nascere un movimento di liberazione guidato da un gigante del pensiero strategico, di nome Giap, che nei decenni successivi, dopo 30 anni di guerra, sarebbe riuscito a mettere in crisi politica e militare la più grande potenza imperialista della storia contemporanea.

Il velo di mistero che avvolgeva quella “piccola” porzione di mondo chiamata Indocina fu sollevato dal movimento di lotta iniziato in Francia contro la “sporca guerra” d’Indocina nel nome di Henry Martin, il coraggioso marinaio francese che, nei primi anni 50, con il suo rifiuto di imbarco su una nave da guerra destinata in Vietnam, aveva scatenato la furibonda reazione dello Stato Maggiore di Parigi e della destra colonialista. Fu cosi, soprattutto a livello di movimenti giovanili comunisti, che cominciammo a conoscere quel movimento di liberazione che, pur operando in un paese molto più piccolo della Cina, finì per assumere nei decenni che seguirono un ruolo decisivo e trainante dei movimenti di liberazione e delle rivoluzioni antimperialiste che hanno inciso non poco sui cambiamenti geopolitici del pianeta e sulle lotte del movimento operaio in occidente.

Le corrispondenze di guerra del grande giornalista australiano Wilfred Burchett ci resero poi familiari i nomi di Ho Ci Minh e di Van Nguyen Giap e quello delle città, dei fiumi e delle vallate dove si stava consumando, sconfitta dopo sconfitta, il disperato tentativo della Quarta Repubblica di mantenere in vita uno degli epigoni dell’ormai traballante impero coloniale francese.

7 maggio 1954, Diem Bien Phu. Il nome e la leggenda di Van Nguyen Giap e quello dei suoi cento anni di vita è fortemente legato all’esito di quella battaglia. Difficile, anche per i miei usurati neuroni, dimenticarlo. Nel tardo pomeriggio di quel giorno i guerriglieri di Giap, ormai diventati un esercito, sferrano il loro ultimo attacco contro i francesi assediati da circa sessanta giorni nel loro ormai piccolo perimetro difensivo. Poi, dopo 9 anni di guerriglia e di battaglie campali, un silenzio surreale cala su quel lontano altopiano del Tonchino, al confine con il Laos. Non si spara più. La battaglia di Diem Bien Phu è finita, il generale francese De Castries annuncia la resa delle sue truppe e il governo di Parigi, sostenuto militarmente da Washington, incassa la più umiliante delle sconfitte. La potenza soverchiante dell’Armèe e l’impiego della ghigliottina a “full time” non sono bastati a restaurare il dominio coloniale della 4° Repubblica.

Dopo Diem Bien Phu tutto diventa possibile. L’esempio del Vietnam dilaga: in Algeria, Cuba e altrove altre rivoluzioni incalzano. Le conseguenze di quella sconfitta imperialista peseranno a lungo nei decenni successivi e il Vietnam assumerà una posizione centrale negli sconvolgimenti in atto nel vecchio mondo coloniale e la strategia della “guerra di popolo” in un paese contadino arretrato elaborata da Giap sarà assunta a modello dai movimenti di liberazione del terzo mondo. Il suo significato è sintetizzato dalle parole di Giap pronunciate dopo quella battaglia: “Il nostro popolo e il nostro esercito hanno vinto un nemico molto più potente grazie alla loro ferma determinazione di combattere e vincere per conquistare l’indipendenza nazionale, la terra ai contadini, la pace e il socialismo. La guerra di popolo condotta da un esercito popolare è una conquista decisiva, più importante di qualsiasi arma, per i paesi d’Asia, Africa e America Latina. Il popolo vietnamita è fiero di avere contribuito alla liberazione dei popoli fratelli. (…) Nessun esercito imperialista può vincere un popolo, seppure debole, che sappia ergersi risolutamente e lottare unito sulla base di una giusta linea politica e militare”. 

Queste poche parole confermano la genialità delle sue intuizioni militari, mai fini a sé stesse, ma poste al servizio, con grande intelligenza tattica, di una strategia politica rivoluzionaria e antimperialista di cui Ho Ci Minh è stato il leader comunista più prestigioso.

Lo stesso giorno della resa di Diem Bien Phu si stava svolgendo a Milano, presso il teatro Anteo, una grande assemblea di quadri comunisti della città alla presenza di Palmiro Togliatti, segretario generale del PCI. Mentre stavo svolgendo il mio intervento alla tribuna a nome della FGCI arriva di corsa un giovane compagno dall’Unità e mi consegna un dispaccio della Reuters che annunciava la resa dei francesi. Un boato di applausi accolse quell’annuncio. Tutti i compagni in piedi sfogarono il loro grande entusiasmo per quella vittoria percepita come un passaggio centrale del collasso che già stava disgregando i vecchi imperi coloniali. Incrociando lo sguardo di Togliatti seduto alla presidenza notai una punta di scetticismo per quel po’ po’ di entusiasmo, forse giudicato eccessivo per ragioni sulle quali tornai a riflettere nei giorni successivi. Quella vittoria militare di Giap appariva infatti come una sfida troppo temeraria all’imperialismo (non tanto a quello francese in fase declinante, ma soprattutto a quello americano) rispetto alle scelte di realpolitik compiute da Mosca e dal movimento comunista in tema di rapporti internazionali, basate sulla “coesistenza pacifica tra i due sistemi” e il rispetto delle “zone di influenza” concordate a Yalta. La valutazione dei rapporti di forza da parte del Cremlino, dopo la raggiunta parità atomica con gli USA, escludeva una rottura con il nemico storico e sanciva il mantenimento del precario equilibrio bipolare per una fase non breve su cui si reggeva il rapporto tra Washington e Mosca negli anni della guerra fredda. Intendiamoci, le motivazioni di quelle scelte non erano affatto banali. Il poderoso blocco di paesi socialisti euroasiatici che si era formato dopo la seconda guerra mondiale lungo la rispettabile distanza di 10 fusi orari, dal fiume Elba all’Oceano Pacifico era alle prese con enormi difficoltà. Pur essendo un territorio immenso liberato dal nazifascismo e dal dominio imperialista, soprattutto per merito dell’Unione Sovietica e della Cina Popolare, era impegnato a risollevarsi dalle tremende distruzioni della seconda guerra mondiale e ad evitare che le minacciose dimensioni della nuova guerra di Corea e le continue provocazioni anglo americane a Berlino sfociassero in una guerra nucleare. Il mantenimento della pace era pertanto considerata una priorità assoluta. Una esigenza peraltro sempre condivisa dai comunisti vietnamiti, che però erano altrettanto attenti ad individuare le possibili brecce e i punti deboli nel rigido schema “bipolare” attraverso le quali far passare il diritto dei popoli oppressi dal colonialismo di poter lottare con qualsiasi mezzo (inclusa la lotta armata) per la propria indipendenza nazionale. Una evidente e lungimirante anticipazione che il riconoscimento delle “diversità” era la condizione per mantenere unito il movimento comunista internazionale. Diritto questo che, dieci anni più tardi, verrà apertamente riconosciuto e sancito da Togliatti nel famoso “memoriale di Yalta”.

La “guerra di popolo” teorizzata da Giap arriva al suo vittorioso epilogo nella primavera del 1975. In poco più di trenta giorni l’Armata popolare e i guerriglieri vietcong riusciranno a compiere la marcia di circa mille km., dal 18° parallelo al delta del Mekong, che li separa dalla vittoria. In rapida sequenza vengono liberate le città vietnamite che per parecchi anni hanno occupato le prime pagine di tutto l’apparato mass-mediatico planetario. Huè, Da Nang, Quan Tri, Khe San, Dong Ha, le città rese tristemente celebri da tanti anni di guerra, sono rapidamente liberate, una dopo l’altra, dalla travolgente avanzata dell’Armata Popolare di Giap. 

Poi, finalmente, dopo 4952 giorni, la lunga guerra di liberazione contro gli Stati Uniti d’America ed il loro esercito fantoccio, consuma le sue ultime ore. E’ il 30 aprile 1975, un giorno che il popolo vietnamita continua a ricordare con legittimo orgoglio. Al levar del sole quattro colonne corazzate si mettono in marcia per sferrare da quattro direzioni l’attacco finale a Saigon, la capitale sudvietnamita. E’ l’ultimo giorno di una guerra di liberazione durata trent’anni. I cento blindati della Brigata 203 attestati a Ho Nai hanno ricevuto l’ordine, dal comando mobile di Bien Hoa dell’Armata Popolare, di conquistare il “grande ponte di Saigon”, poi di dividersi in due tronconi e di marciare a tutto gas verso il palazzo presidenziale, ultima roccaforte nemica nel centro della città. E’ da poco passato mezzogiorno quando il carro 843, un T54 di fabbricazione sovietica, ancora coperto da uno strato mimetico di foglie di cocco, comandato dal capocarro Bui Quang Tanh, sfonda il cancello del palazzo presidenziale di Doc Lap e accoglie la resa di quel che resta dell’esercito fantoccio. Lo sfacelo è totale e la resa degli ultimi combattenti sudisti, ormai sconfitti e abbandonati dai generali del Pentagono, assume tratti di involontaria comicità: escono tutti in mutande e a braccia alzate dal portone principale dell’imponente palazzo simbolo di un potere profondamente detestato dal popolo vietnamita.

La disfatta militare è completa, la fuga degli americani molto più caotica e umiliante di quella dei francesi dopo la disfatta di Dien Bien Phu. Memorabili le immagini degli ultimi marines e dei loro collaborazionisti che si aggrappano disperatamente agli elicotteri in fuga dal tetto dell’ambasciata americana. La guerra di liberazione durata trent’anni è finita e Giap, il vincitore, potrà passeggiare tranquillamente, pochi giorni dopo, nel centro di Saigon, insieme a due compagni “bodoi”, entrare nei bar e parlare con la gente senza essere riconosciuto (proviamo ad immaginare un gesto analogo del capo del Pentagono per le vie di Bagdad o quelle di Kabul). Quella passeggiata simboleggia il punto culminante di una vita spesa per il popolo e in mezzo al popolo. Sicuramente uno dei suoi momenti più alti e gratificanti.

Da quel giorno il Vietnam è diventato una nazione unita e indipendente, socialista e moderna e nessuno ha mai più osato sfidare l’Armata popolare costruita da Giap. Persino Mac Namara, l’ex capo del Pentagono che aveva iniziato e guidato la guerra di aggressione contro il Vietnam, ha dovuto riconoscere la grandezza del personaggio. Indimenticabile l’incontro ad Hanoi e la stretta di mano, vent’anni dopo la fine della guerra, tra i due ex nemici: Robert Mc Namara che riconosce la condotta criminale degli USA e chiede scusa a Giap e al popolo vietnamita. Il più ambito riconoscimento ad un popolo che ha insegnato a tutti la rara virtù che libertà e indipendenza non sono mai merci barattabili.



(srpskohrvatski / italiano)

Iniziative segnalate

1) Selezione di appuntamenti delle edizioni KAPPA VU - dal 4 al 25 ottobre 2013
2) Program manifestacije Dani AVNOJ-a u Jajcu 2013 / Programma manifestazioni per il 70.mo di Jajce (29.XI.1943.)
3) 24. марта 1999.-2014.: Петнаестогодишњица / Verso il 15.mo Anniversario della infame aggressione dei paesi NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia 


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Selezione di appuntamenti KAPPA VU di ottobre!


Venerdì 4 – ore 20.30 – presentazione del volume REPRESSIONE ANTIPARTIGIANA IN FRIULI – LA CASERMA PIAVE DI PALMANOVA E I PROCESSI DEL DOPOGUERRA di Irene Bolzon, alla sede degli Alpini presso l’Area Festeggiamenti di SANTA MARIA LA LONGA; introduce Clara Gruer, con la partecipazione di Alessandra Kersevan

Domenica 6 – dalle 10.00 in poi fino a sera – saremo presenti con il nostro banchetto per la vendita all’iniziativa culturale “Ri-Leggi”, proposta nella suggestiva cornice della 19° Festa d’Autunno organizzata dalla Pro-Loco C.I.L. di Feletto Umberto nel Parco di Villa Tinin, nel centro di FELETTO UMBERTO

Lunedì 7 – ore 20.30 – presentazione del volume ROMANO IL MANCINO E I DIAVOLI ROSSI di Pierluigi Visintin e a cura di Alessandra Kersevan, presso la Sala Conferenze di Villa Dora a SAN GIORGIO DI NOGARO, nell’ambito delle commemorazioni per il centenario (esatto!) della nascita di Gelindo Citossi Romano il Mancino promosse dal Coordinamento Antifascista Friulano

Venerdì 11 – ore 20.30 – presentazione del volume LA BANDA COLLOTTI. STORIA DI UN CORPO DI REPRESSIONE AL CONFINE ORIENTALE D’ITALIA di Claudia Cernigoi, presso la Sala dei Gessi della Società Operaia di CIVIDALE DEL FRIULI, evento in collaborazione con Anpi e circolo culturale Iskra

Venerdì 25 – ore 18.00 – presentazione del volume L’ATTIVITA’ CLANDESTINA DEL CLERO SLOVENO DURANTE IL FASCISMO di Egon Pelikan, presso la Sala del Consiglio Comunale in Piazza Unità a RONCHI DEI LEGIONARI. Introdurrà Lucia Giurissa dell’Associazione Culturale Apertamente e dialogheranno con l’autore Monica Rebeschini e Giovanni Tomasin


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Programma manifestazioni per il 70.mo di Jajce (29.XI.1943.)


Program manifestacije Dani AVNOJ-a u Jajcu 2013


28.11. (četvrtak)
- Otvaranje naučnog skupa na temu: Drugo zasjedanje AVNOJ-a i državnost zemalja nasljednica Jugoslavije 1943.-2013. 

29.11. (petak)
- Otvaranje izložbe crteža Božidara Jakca
- Otvaranje izložbe fotografija i dokumenata
- Promocija knjige
- Prigodno predavanje

30.11. (subota)
- Doček gostiju (posjetilaca iz drugih gradova) ispred Muzeja II zasjedanja AVNOJ-a i prigodan muzički program (limena glazba, kulturno-umjetnička društva iz Jajca, rock band)
- Polaganje vijenaca na Spomen-fontanu
- Svečana akademija povodom 70 godina II zasjedanja AVNOJ-a 
- Cjelovečernji koncert horova

01.12. (nedjelja)
- Organiziran obilazak kulturno-historijskih i prirodnih znamenitosti grada Jajca,
- Ispraćaj gostiju ispred Muzeja II zasjedanja AVNOJ-a


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Verso il 15.mo Anniversario della infame aggressione dei paesi NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia 


СТОП  ЗА  ЗЛОЧИНЕ  НАТО

Није добро стање на планети у времену које живимо. Има видљивијих, што би рекли конференцијаши, помака у потоњим данима, али све то није довољно за миран сан и сигурну сутрашњицу.

Војни напади на суверене државе под лажним оптужбама, беспримерно ракетирање читавих народа, изазивање грађанских и верских ратова са несагледивим последицама, свргавање легално изабраних власти и довођење подесних и подобних политичких и идеолошких гарнитура, непрестано злокобно звецкање оружјем и зарад отимања богатих природних ресурса и проширивања господства – општи су, на жалост, именитељи ситуације на светској сцени.

КО  ДА ЗАБОРАВИ 1999?

Србија је на сопственим плећима пребродила 1999.године тежак период, читавих 78 дана, кад су чланице НАТО, без најаве рата и мериторне одлуке Савета безбедности ОУН, брутално бомбардовале служећи се циничном лозинком ”Милосрдни анђео”.

То време, кад је убијено више од две хиљаде људи и онеспособљено и десет пута више, уништена готово сва привредна инфраструктура, порушени мостови, исечени пруге, путеви и далеководи, сравњене болнице, школе, дечји вртићи, никад неће исчилити из памћења Србије. Али ни жеља да се такви организовани злочини, под маском залагања за људска права и ширења тобожње демократије, никад и нигде више не смеју да понове.

Мора да дође и време кад ће за недела одговарати и разни државници и њихови поклисари који су подастирали неистине како би унапред оправдали милитантне акције и сејали смрт на српским просторима, а сада то исто, под непромењеним заставама и унапред наученим пројектима, чине на разним континентима.

СУБНОР Србије, у заједништву са својим колективним члановима, респектабилним Београдским форумом за свет равноправних и Клубом генерала и адмирала, у интензивним је припремама за обележавања петнаесте годишњице НАТО агресије на нашу државу.

Тим поводом је прецизиран програм, о коме се расправљало на састанку коме је руководио Живадин Јовановић, председник Београдског форума и дугогодишњи дипломата, министар иностраних послова.

СКУП  ИЗ  ЦЕЛОГ  СВЕТA

Централна манифестација одржаће се 22.и 23. марта 2014.године у Центру Сава. И биће посвећена миру у условима глобалног интервенционизма, милитаризације и светске кризе.

Тема обележавања значајног датума у историји Србије, петнаестогодишњице агресије НАТО, окупиће најзначајније личности из света и наше земље, угледне научне, културне и јавне раднике, представнике независних нестраначких групација, партнерских удружења са разних континената. Многи су већ сада, неколико месеци унапред, потврдили учешће сватајући и уважавајући разлоге за такво квалитетно окупљање и потребу да се чује одлучна реч у корист мира и разумевања.

Организатори су предвидели и изложбу фотографија о последицама НАТО агресије, као и смотру документарних филмова о злочинима над српским народом и трајном уништавању објеката приликом ракетирања бомбама напуњеним и радиоактивним супстанцама са несагледивим дугорочним последицама по здравље становништва.

СУБНОР Србије, Београдски форум за свет равноправних и Клуб генерала и адмирала Србије већ дуже време су у непрестаној акцији да Влада Србије и Градска скупштина легализују и визуелно упристоје већ постојећи Споменик, вечну бакљу слободе, на Ушћу у Београду, у знак сећања на све жртве нелегалне акције НАТО током 1999.године.

Споменик на Ушћу, где поменуте и уопште антифашистичке организације и људи добре воље и поборници мира и правде, сваког марта, на дан почетка агресије, одају пошту пострадалим.

То ће се засигурно догодити и 24. марта 2014. Уз наду да ће се тада, уз народ, меморијална свечаност одржати и у присуству и сарадњу органа државе чији су представници, иначе, чврсто обећали да ће тако бити.





STUDENTSKE I OMLADINSKE MOBILIZACIJE

1) Dosta laži, dosta prevara, dosta Bolonje! - Javno finasirano besplatno obrazovanje je jedni izlaz! (Studentski front Beograd)

Mobilitazione studentesca a Belgrado per l'Università pubblica e gratuita: "Basta con Bologna!" (= il processo di armonizzazione dei vari sistemi di istruzione superiore europei, che in effetti ne prevede la aziendalizzazione: http://it.wikipedia.org/wiki/Processo_di_Bologna‎ , http://www.unibo.it/it/internazionale/accordi-e-network/bologna-process/bologna-process )

2) U Ateni završen 39. festival Odigitis uz tisuće simpatizera iz cijelog svijeta - Borba za socijalizam se nastavlja (Andrea Degobbis)

Cronaca del Festival della Gioventù Comunista -KNE- ad Atene


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уторак, 01. октобар 2013.

DOSTA LAŽI, DOSTA PREVARA, DOSTA BOLONJE! - JAVNO FINASIRANO BESPLATNO OBRAZOVANJE JE JEDNI IZLAZ!

Proteklih dana bili smo svedoci “ispitivanja pulsa” progresivnog studentskog pokreta od strane, Vlade Srbije, Narodne skupštine, SKONUS-a (kerova na lancu buržoaskih akademskih vlasti), sa ciljem određivanja najpogodnijeg trenutka za sprovođenje reakcionarne bolonjske reforme, odnosno finalnog obračuna sa siromašnim studentima, koji u uslovima kapitalističke restauracije u Srbiji, čine ogromnu većinu akadamaca. Studentski front (SF) i ovog puta, u kratkim crtama, naglašava štetni uticaj potpunog promašaja, kojeg nijedan ozbiljan univerzitet u Evropi nije prihvatio, tzv. „Bolonjske deklaracije“, retrogradnog procesa obesmišljavanja studija, njihovog pretvaranja u kurseve, a znanja u robu. Značajno je istaći da su oni koji uporno obmanjuju studente upravo Vlada Srbije, Ministarstvo prosvete i tzv. „zvanični“ studentski predstavnici (izabrani od strane jednog procenta studenata). Pred početak ovog semestra resorno ministarstvo je najavilo ponovno povećanje školarina, uz istovremeno smanjenje broja ispitnih rokova i povećanje neophodnog proseka za ostvarivanje prava na studentsku stipendiju. Dakle. najnoviji paket mera koji je usmeren na dalju destrukciju studentskog standarda i pretvaranje obrazovanja u privilegiju bogatih. Sve to, još jednom, potvrđuje da je postojeći državni kurs Srbije usmeren isključivo ka što temeljnijem implementiranju divljačkog kapitalističkog sistema, koji u potpunosti ne mari za socijalnu pravdu i ljudsko dostojanstvo. Sve je to, razumljivo, rezultiralo ogromnim nezadovoljstvom studenata, dok su predstavnici SKONUS-a želeli su da se istaknu kao “prva linija odbrane” studentskog standarda i kao jedina studentska organizacija koja može uticati na odluke Ministarstva prosvete. Oni su pobedonosno mahali postignutim dogovorom sa predstavnicima buržoaskog režima. Vreme je pokazalo, kao je Studentski front i ranije isticao, da je to ništa drugo do najobičnija laž i prevara. Podsećanja radi, planirane nakaradne mere bile bi sprovedena još 2011. godine da glas nisu digli progresivni studenti sa Filozofskog i Filološkog fakulteta i Više elektrotehničke škole, koji su tri sedmice organizovali herojsku blokadu fakulteta, čije uprave uz podršku buržoaskih vlasti danas pljačkaju studente. Pobuna je tad pretila da se raširi vrlo brzo, zbog čega je brutalno ugušena na Filozofskom fakultetu u Novom Sadu, kada je obezbeđenje zaustavilo studente da uđu u svoju zgradu. Da se studentski opravdani bunt nije smirio, najbolje je pokazala prošlogodišnja pobuna studenata Likovnih umetnosti u Beogradu koji su dve nedelje držali pod blokadom taj fakultet iz kojeg je proizašla saradnja sa progresivnim kolegama sa drugih fakulteta Beogradskog univerziteta. Ta saradnja rezultirala je masovnim protestom za besplatno i javno finasirano obrazovanje, koji su buržoaski mediji uglavnom ignorisali. Kada su pojedini fakulteti odlučili da ipak povećaju školarine, borbeni studenti su blokirali rektorat Beogradskog univerziteta, nakon čega je povećanje školatrina obustavljeno. Studenti su uspeli da se povežu sa svojim prirodnim saveznikom, radnicima, tako da je blokadu Rektorata podržali levičarsko orijentisani Udruženi sindikati Srbije „Sloga“. Buržoaska vlast, uplašena većeg socijalnog bunta, traži svog trojanskog konja i pronalazi ga u - SKONUS-u, organizaciji takozvanih „studentskih predstavnika u čijim redovima ima veliki broj karijerističkih kadrova vladajućih stranaka čiji je cilj bespogovorno izvršavnje naredbi i sprovođenja interesa režima. U SKONUS-u su zastupljeni i predstavnici opozicionih buržoaskih stranaka, koji takođe kao i oni koji zastupaju interese vlasti, bezuslovno podržavaju reakcionarnu “Bolonjsku deklaraciju”. Svi oni studentsku borbu pokušavaju da prisvoje i prikažu kao svoj uspeh, što čine uz obilatu pomoć buržoaskih medija. Činjenica je, zapravo, to da dok su progresivni studenti blokirali fakultete, protestovali, bili izloženi nasilju i represiji, SKONUS i ostali „zvanični“ studentski predstavnici sedeli su u svojim foteljama izvršavajući zapovesti svojih buržoaskim nalogodavaca. Sada su sve maske pale. Jasno se vidi da Ministarstvo prosvete, kao i SKONUS imaju isti cilj, konačni obračun sa siromašnim studentima. Stoga će Studentski front, kao i u ranijim protestima stajaati u prvim borbenim redovima odbrane studentskih prava! Naš jedini izlaz je da odbacimo retrogtradnu “Bolonjsku deklaraciju”, zbacimo karijeristički i buržoaski SKONUS i druge lažne prestavnike studenata koji rade u interesu kapitalističkog režima. Potrebno je da u cilju stvaranja širokog društvenog fronta krenemo u svakodnevnu, organizovanu borbu, tražeći savez sa sindikatima, srednjoškolcima, seljacima, penzionerima i svim drugim ugroženim slojevima društva. Krajnje je vreme da kažemo: Dosta laži! Dosta prevara! Dosta „Bolonje“! Javno finasirano obrazovanje je jedini izlaz! Studenti, a ne klijenti! Znanje nije roba! 

Studentski front Beograd, 2.oktobar 2013. godine


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U Ateni završen 39. festival Odigitis uz tisuće simpatizera iz cijelog svijeta - Borba za socijalizam se nastavlja

Andrea Degobbis
vrijeme objave: Nedjelja - 29. 09. 2013 | 19:00
Od 19.-21. 9. u Ateni se održao završni dio 39. festivala 'Odigitis', organiziran od strane Komunističke Omladine Grčke (KNE), podmlatka Komunističke Partije Grčke (KKE).

Festival 'Odigitis' je nazvan po centralnom glasilu Komunističke omladine Grčke. Tijekom ljeta tradicionalno obilazi sve Grčke gradove, a centralni trodnevni završni dio održava se u Ateni i Solunu. Festival je po osnovi četiri desetljeća dugoj tradiciji, po brojnosti učesnika, kao i po svom sadržaju, sasvim pouzdano jedinstven na području Balkana, a vrlo moguće i u svijetu.

Mjesto završnog održavanja je veliki 'Antonis Tritsis' park u zapadnom predgrađu Atene, koji je godinama zapušten kako bi ga korumpirana lokalna vlast mogla rasprodati za sitne pare. Impozantna organizacija, sa 4 pozornice, kazalištem za djecu, štandovima raznih političkih i socijalnih subjekata (KNE i njoj povezanih organizacija), izložbama povijesti komunističkog i partizanskog pokreta i njegove uloge u oslobodilačkom ratu i nakon toga u građanskom ratu u Grčkoj, bila je i semantički upotpunjena ikonografijom artikala koji su se nudili i muzičkom i video produkcijom.

Cilj tog festivala je upoznati građane sa političkim programom i borbom koju vode KKE, KNE, i njihovih organizacionih frontova: žena, studenata, udruga malih poljoprivrednika, sindikata PAME, sastavnog dijela Svjetske federacije klasno orijentiranog sindikata WFTU koja se bori ne samo za bolje radne uvjete, nego mobilizira radnike i nezaposlene u borbi protiv izrabljivačkog sistema, protiv fašizma, ali i za prava obespravljenih i porobljenih naroda, Palestinaca i drugih, Grčkog komiteta za mir na Balkanu, sastavnog dijela Svjetskog mirovnog vijeća WPC, Anti NATO centrom i ostalim sagržajima.

Ali cilj je bio i dokazati kako se 'Tritsis' park može valorizirati za opće dobro; koncertima zabaviti prisutne, ali i boriti se protiv povijesnog revizionizma koji teži k demoniziranju komunizma, informirajući članove i građane, ali i mlade, o velikim dostignućima raznih socijalističkih pokreta.

S područja bivše Jugoslavije na festivalu su nastupili delegati SKOJ-a podmladka Nove Komunističke Partije Jugoslavije iz Srbije, i Mladih Socijalista podmladka Socijalističke Radničke Partije iz Hrvatske. Svi delegati su u parku imali svoj štand gdje su mogli predstaviti i dijeliti vlastiti materijal, kao i razgovarati sa zainteresiranim Grcima i s ostalim inozemnim kolegama o stanju u državama iz kojih dolaze.

Grčki komunisti u stanju su organizirati i sprovesti ovakve upečatljive akcije, prvenstveno zahvaljujući tijesnim kapilarnim vezama s grčkom radničkom klasom i svim segmentima društva. U partiji vlada disciplina, ozbiljnost,otvorenost i odgovornost. KKE je kadrovska stranka, u njoj ne vlada propuh, t.j. nije otvorena karijeristima i hvatačima magle, kao što to je bio SKJ, sa poznatim ishodom, nego član-pretendent mora proći kroz barem godinu dana "observacije", ili godinu dana omladinskog staža, da bi postao član partije.

Takva kadrovska ustrojenost daje organizaciji puno veću snagu nego obična stranka 'd'opinione', jer efikasna revolucionarna organizacija mora biti prisutna u društvu, mora voditi, mobilizirati, imati jasnu ideološku poziciju. A ne samo imati uvjerenje u ispravnost jedne političke opcije, i pasivno čekati, izlazeći samo na izbore. To mora biti škola i našim komunističkim i radničkim strankama. Komunistički aktivisti su oni koji moraju neposredno informirati građane i radnike o aktualnom političkom, društvenom, i privrednim zbivanjima, o kojima mainstrem mediji ne govore.
KKE oscilira između 5-8% glasačke podrške, čime je konstantno zastupljena u nacionalnom parlamentu i u većini gradskih i regionalnih vijeća, što je prava iznimka trenutne situacije europskih Marksističko-Lenjinističkih stranaka. Međutim, prava snaga KKE nije u glasačkoj podršci, nego u unutarnjoj snazi, u strastvenom, dosljednom, i požrtvovnom aktivizmu u sindikatu, u medijima (partija ima svoj dnevnik, portal, i televizijski kanal, u sindikatu, na radnim mjestima, u školama i na sveučilištima, u podršci radnika i građana marginaliziranih predgrađa, koja bi se mogla pridružiti borbi KKE i KNE u slučaju daljnjeg i ekstremnog oštrenja klasnih proturječnosti i nasilnosti sistema, fenomeni koji su već prisutni u grčkom društvu (siromaštvo je u porastu, kao i ubilački državno-korporacijski sponzoriran fašizam).

Zato gledamo na Grčke komuniste kao na inspiratore i uzore u ostvarivanju potrebne klasne borbe za ukidanje kapitalističkog sistema, od kojega se više ništa progresivno ne može očekivati. Samo nam generalna socijalna revolucija - koja mora biti temeljena na znanstvenom organiziranju privrede i društva - može donijeti puni razvitak, jednakost, i svjetski mir.

Andrea Degobbis




LA CROAZIA SOTTO IL CONTROLLO DEL SERVIZIO SEGRETO TEDESCO

1) SOTTOMISSIONE ASSOLUTA
Intervista ad Antun Duhacek, capo dei servizi segreti di Tito
di JUERGEN ELSAESSER - dal giornale KONKRET, novembre 2002

2) IL CASO PERKOVIC
La Germania impone alla Croazia "europea" l'estradizione dell' ex agente segreto e padre dell'attuale consigliere per la sicurezza del Presidente. Perkovic è accusato dai tedeschi di aver fatto eliminare nel 1983 un croato passato al servizio dei tedeschi...


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Um den originellen Text zu lesen:

TOTALE UNTERORDNUNG
Interview mit Antun Duhacek, dem Geheimdienstchef von Tito
Interview: JUERGEN ELSAESSER - in: KONKRET, November 2002


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SOTTOMISSIONE ASSOLUTA

Intervista ad Antun Duhacek, capo dei servizi segreti di Tito

JUERGEN ELSAESSER

Dal giornale KONKRET, novembre 2002
(trad. di M. Jovanovic Pisani per CNJ-onlus)


"Lei ha distrutto la Jugoslavia!", ha detto il presidente croato Stipe Mesic, all'inizio di ottobre, rivolgendosi a Milosevic dinanzi al Tribunale ONU dell'Aia. In questa maniera Mesic ha cercato di deviare l'attenzione dalle colpe proprie e da quelle dei burattinai tedeschi: è l'opinione di Antun Duhacek, suo connazionale, che sotto Tito era il capo dei servizi segreti jugoslavi.

Elsässer: Il ruolo della Germania nella distruzione della Jugoslavia all'inizio degli anni Novanta è stato rilevante, innanzitutto per quanto riguarda il riconoscimento diplomatico delle repubbliche secessioniste di Croazia e Slovenia, attuato contro la stessa posizione dei partner della NATO. Quali informazioni hanno i servizi segreti sui dettagli?

Duhacek: La posizione della Germania fu sostenuta dall'Italia, dall'Austria e dal Vaticano. Il BND [servizi segreti tedeschi, ndT] coordinò il sostegno ai secessionisti e, alla fine degli anni Ottanta, prese la guida operativa diretta dei servizi segreti croati all'estero - che "de jure" erano ancora parte dell'intelligence jugoslava UDBA, tuttavia "de facto" erano fuori dal controllo di Belgrado già dall'inizio degli anni Settanta. In occasione di un incontro personale tra il ministro degli Esteri federale Genscher ed il capo dei servizi segreti croati Josip Manolic, nel febbraio 1990, alla vigilia delle elezioni in Croazia - che allora apparteneva ancora alla Jugoslavia - Genscher ha promesso 800 milioni di marchi tedeschi. Manolic voleva avere in mano subito il denaro, il futuro presidente Franjo Tudjman ed il suo allora stretto collaboratore Stipe Mesic attesero con apprensione. Infine, i soldi fluirono solo poco dopo le elezioni nel marzo del 1990. Persone dei servizi segreti tedeschi consegnarono gli 800 milioni di marchi a Zagabria, in contanti.

 Elsaesser: Dev'essere stata una valigia abbastanza pesante...

Duhacek: I tedeschi hanno ottenuto in cambio un compenso. Manolic è pervenuto a febbraio del 1990 con il BND ad un ampio accordo segreto. Esso in sostanza consisteva in tre punti:
 1. Collaborazione tra il servizio segreto croato controllato da lui ed il BND che procederà sia contro la Jugoslavia che contro la Serbia.
2. Il BND mette a disposizione dei suoi collaboratori croati tutti i risultati militari che esso e il suo servizio amico della Nato raccolgono nella e sulla Jugoslavia, per esempio sulla situazione nell’Esercito Jugoslavo, il movimento delle sue truppe ecc. Questo sarebbe stato per Zagabria un grande vantaggio alla vigilia del conflitto militare che poco dopo comincerà.
3. Manolic mette una parte dei suoi informatori e collaboratori informali, per esempio a Belgrado, direttamente sotto il BND.


Elsaesser: Erich Schmidt-Eenboom nel suo libro Der Schattenkrieger [Il combattente nell'ombra] sulle attività del BND sotto Klaus Kinkel, in molti punti si riferisce a Lei. Egli però dice che già „poco prima della morte di Tito a Zagabriatutte le decisioni su questioni strategiche erano prese solo in accordo con i referenti BND e rappresentanti ustascia.“ Questo succedeva all’inizio degli anni Ottanta.

Duhacek: Si trattava di stretti contatti, ma dovevano svolgersi allora in modo nascosto. La fase calda comincia solo alla fine degli anni Ottanta, quando dall’apparato, costruito in segreto da Manolic e dal suo“tutore” Ivan Krajacic, nasce il servizio segreto del nuovo Stato croato. Da circa maggio del 1990 funziona questo servizio segreto come unappendice del BND. La parte tedesca ha preteso una totale sottomissione delle prestazioni del servizio croato e l’ha ottenuta. Per esempio, i tedeschi decidevano quali emigranti croati dovevano avere i passaporti. Come è noto, dopo il 1945 tanti attivisti del movimento fascista degli ustascia hanno dovuto lasciare il paese e vivere sparpagliati per tutto il mondo. Il BND ha stabilito nel 1990 quali, in questo quadro estremista, potessero essere muniti di passaporti per poter tornare. Questi reduci si sono poi inseriti nel governo del nuovo Stato croato pagando - 300.000 marchi tedeschi circa costava il posto di un impiegato ministeriale. Il presidente Tudjman ha contato molto su questa gente.


Elsaesser: I legami stretti di Tudjman con il BND da una parte e con vecchi fascisti ustascia dall’altra parte si palesano nella persona di Ernest Bauer. Jugoslavo di origine “volksdeutsch” [termine per indicare la minoranza di origine tedesca in Jugoslavia; durante la Seconda Guerra Mondiale dalle loro file si formarono molte unità schierate al fianco di Hitler; ndT], Bauer durante la Seconda Guerra Mondiale era stato colonnello del servizio segreto ustascia UNS, fu poi assunto dal capo del BND Reinhard Gehlen per il quale riattivò la sua rete di agenti a Zagabria, che guidò fino agli anni Novanta. Quando nel 1990 Tudjman fonda il suo partito nazionalista croato HDZ, con il quale avrebbe governato lo Stato secessionista per quasi tutti gli anni Novanta, nel corso dei quattro giorni del congresso fondativo risiede presso Bauer. Dopo essere diventato presidente, Tudjman pone il vecchio uomo dei servizi segreti come suo incaricato speciale presso l'Ufficio stampa federale a Bonn.

Duhacek: Ci sono esempi che descrivono ancora meglio il potere del BND sui suoi partner croati. Il BND ha preteso nel 1993/1994 un repulisti nel servizio segreto croato.. Tutti quelli che provenivano dalla tradizione partigiana se ne dovevano andare. Inoltre, si deve sapere che l'intero progetto di Tudjman - il nuovo Stato croato con tutte le sue istituzioni - aveva inizialmente un carattere di compromesso. Il nazionalismo croato e l’ostilità contro la Jugoslavia erano i comuni denominatori; su questa piattaforma si sono incontrate forze che avevano combattuto l'una contro l’altra durante la Seconda Guerra Mondiale, e cioè i nazional-comunisti e i fascisti ustascia. Ora, il BND ha preteso che i primi se ne andassero. Perciò Josip Manolic fu indebolito nelle strutture dei servizi segreti, e Stipe Mesic lasciò con lui e con gli altri, frustrato, il partito di Tudjman HDZ e fondò un suo partito.


Elsaesser: Questo lo ha preteso il BND?

    
Duhacek: Tudjman ha perfino ammesso questo. Nel 1994 scrisse della sua rottura con Manolic: “Quando si è arrivati ad una simile situazione con il signor Manolic, allora devo anche aggiungere che – nel 1992, quando fummo formalmente riconosciuti, ma ancora eravamo senza reali amici - vennero da me dei rappresentanti di una delle potenze principali del mondo e dissero: ‘Signor presidente, Lei è probabilmente cosciente che deve costruire una nuova struttura di difesa e di sicurezza. Noi siamo pronti ad aiutarLa, però, per favore, senza Jozo Manolic.’


Elsaesser: Ma cosa doveva avere il BND contro Manolic? E’ stato proprio lui che nel 1990 ha consegnato ai tedeschi il servizio segreto croato.


Duhacek: Il BND diffidava delle persone che provenivano dalla tradizione partigiana, le quali avevano combattuto contro i tedeschi per quattro lunghi anni. Al BND quelle non apparivano affidabili, perlomeno non sul lungo termine. Prenda il caso di Manolic: è decorato con la medaglia partigiana di “Combattente della prima ora”. Oppure di Mesic: il quale ha veramente ammesso che nel 1991 aveva contatti con il BND. A quei tempi era Presidente del Presidium dello Stato jugoslavo...


Elsaesser: ...e il BND lo aiutò ad essere il più distruttivo possibile in quella funzione.


Duhacek: Sicuro, però Mesic nella Seconda Guerra Mondiale ha perso 16 familiari uccisi dai fascisti. Egli non era affidabile, agli occhi dei tedeschi


Elsaesser: Però, dalla citazione di Tudjman non è chiaro chi ha preteso la sostituzione di Manolic. Egli dice solo: “rappresentanti di una delle potenze principali del mondo”. Forse potrebbero essere stati gli americani che, dopo essere stati inizialmente contro il riconoscimento degli Stati secessionisti, con l’inizio della presidenza di Clinton hanno cambiato corso per ottenere una loro influenza a Zagabria, e per questo motivo hanno voluto destituire il pro-tedesco Manolic?


Duhacek: No, gli americani non hanno avuto alcuna influenza. I tedeschi erano assolutamente dominanti. E quando nel 1995 consiglieri militari americani dirigevano l’offensiva croata per la conquista della Krajina (e la cacciata del popolo serbo), lo facevano secondo la volontà dei tedeschi. Kohl e Genscher non volevano sporcarsi le mani, un impegno militare tedesco allora non sarebbe stato politicamente popolare. Ma i tedeschi hanno rifornito i secessionisti croati di armi, innanzitutto dalle riserve dell’arsenale dei paesi ex socialisti: la Polonia, la Cecoslovacchia, la DDR.


Elsaesser: Nel frattempo in Croazia il partito di Tudjman HDZ ha perso voti, Mesic nel 2000 è diventato presidente. I tedeschi hanno perso la loro influenza, dunque? Mesic, secondo quanto che descrive Lei, deve essere stato abbastanza arrabbiato con il BND.


Duhacek: Si sono messi d'accordo. Mesic non può senza i tedeschi, e i tedeschi non possono senza di lui, almeno per il momento è così. Tudjman è morto, il suo braccio destro Gojko Susak, primo ministro della Difesa, anche. E che Mesic adesso si impegni per far tornare in Croazia qualcuno dei 300mila serbi espulsi, è ragionevole anche per la Germania, il principale partner economico: territori come la Krajina e la Slavonia sono spopolati dal periodo della pulizia etnica a causa dei nazionalisti croati, così un terzo del paese è economicamente arido.


Elsaesser: In Croazia Lei è ricercato con mandato di cattura. Perchè?


Duhacek: Perchè in parecchi libri ed articoli dei giornali ho rivelato come è stato realizzato il nuovo Stato croato. Specialmente mi rimproverano che io da croato di nascita abbia detto queste cose.


Elsaesser: Infatti, questo è insolito. Lei è un traditore della patria?


Duhacek: La mia patria è la Jugoslavia. Quando [nel 1941, ndT] i nazisti hanno occupato la Jugoslavia, mi sono messo dalla parte dei partigiani. Comunista sono diventato solo più tardi.

Quando i nazionalisti croati intorno a Tudjman con gli ex complici dei nazisti, gli ustascia, si sono accinti di nuovo alla distruzione della Jugoslavia, ho difeso il mio paese per la seconda volta. E quando la nuova Croazia si è apprestata a cacciare i serbi, mi sono messo a loro disposizione nel 1991 in Slavonia, come consigliere militare. In fondo, questa era la regione dove io da partigiano avevo combattuto.


Elsaesser: Milosevic La vuole invitare come testimone all’Aia. Ci andrà?

Duhacek: Quando la notizia alcune settimane fa è apparsa sui giornali, sono stato subito di nuovo minacciato di morte. Ma io non mi faccio intimorire, andrò lì quando sarò chiamato dal Tribunale.


Elsaesser: Nella fase di cui abbiamo parlato, Lei non era più in servizio attivo. Da dove ha tratto le Sue informazioni riguardo a Genscher ed ai suoi 800 milioni di marchi tedeschi?


Duhacek: Un uomo dei servizi segreti non è mai fuori servizio. Le mie fonti, come Lei capirà, non le posso menzionare. Ma da croato conosco naturalmente molti croati, sin dentro ai ministeri, anche oggi. Sia Krajacic, il padrino di Tudjman, sia Manolic, al momento della fondazione del movimento secessionista li conoscevo particolarmente bene. Con Manolic, prima della sua morte, ho avuto circa 200 conversazioni di parecchie ore. Come uomo dei servizi segreti egli era un talento puro. Durante la Seconda Guerra Mondiale aveva lavorato sia per il Komintern sia per la Gestapo. Già da allora cominciava a tramare a favore del secessionismo.

Elsaesser: E perchè Le ha raccontato tutto questo?


Duhacek: Forse per ragioni sentimentali. Egli proviene da un villaggio vicino al mio, ho accolto io nel 1941 sua sorella nel Partito Comunista, con suo fratello frequentavo il Ginnasio e poi abbiamo combattuto da partigiani insieme.

Antun, quando scriverai di me, non essere avaro nelle lodi”, mi disse sul letto di morte, “poichè io sono stato un piccolo Dio e il mio unico desiderio era una Croazia pulita”


Sul personaggio: Antun Duhacek (al centro nella foto) nello Stato Maggiore dell’Armata Popolare Jugoslava, Belgrado 1945. Dal 1950 Duhacek ha lavorato per il servizio segreto jugoslavo UDBA e dal 1955 fino al 1968 ne è stato il Direttore. Dal 1969 fino al 1974 è stato deputato al parlamento della repubblica di Croazia ed anche portavoce per le questioni delle nazionalità. Dal 1991 fino al 1994, nella guerra civile in Croazia ed in Bosnia, ha svolto funzioni da consigliere militare dei serbi. Dal 1998 vive in Jugoslavia [La Repubblica Federale composta dalle sole Serbia e Montenegro, istituita nel 1992. ndT].


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BERLINO E BRUXELLES LANCIANO L’ULTIMATUM PER LA “SPIA DI TITO” 

di Stefano Giantin, da "Il Piccolo" del 7 agosto 2013

Il segnale più forte era giunto alla vigilia dell’ingresso nell’Ue. «Ho altri impegni», aveva fatto sapere la Cancelliera Merkel al Gotha politico croato, che la immaginava come ospite d’onore dei grandi festeggiamenti per l’adesione di Zagabria. E ora, dopo quel gran rifiuto, la Croazia è pronta a ricevere una nuova bastonata dal suo (ex) miglior amico in Europa, la Germania. Ancora una volta tutto per colpa della “spia di Tito”, l’anziano Josip Perkovic, già alto papavero dei servizi jugoslavi e, secondo Berlino, responsabile dell’eliminazione del dissidente [SIC, in realtà un ex manager dell’INA messosi al servizio della Germania] Stjepan Djurekovic, fuggito in Germania nel 1982 con un carico di scottanti segreti e fatto fuori dagli uomini di Perkovic, sulla cui testa pende per questo un mandato di cattura della procura di Karlsruhe.
Ma la Croazia – solo pochi giorni prima dell’ingresso nell’Ue -, ha modificato la legge sull’estradizione, limitandola ai soli croati ricercati per fatti compiuti dopo il 2002. Djurekovic era stato ammazzato nel 1983. Perkovic salvato in corner. Una mossa, quella croata, che da subito aveva fatto inalberare Berlino. La “legge Perkovic” deve essere quanto prima adeguata alle regole Ue, con l’estensione della possibilità di estradizione per crimini pre-2002, anno dell’introduzione del mandato di cattura europeo, la richiesta tedesca. Non ricevendo risposte da Zagabria, la Germania ha così da qualche giorno investito della questione la Commissione europea, ha rivelato il quotidiano Vecernji List. Commissione che, con una lettera firmata dalla vicepresidente Viviane Reding, ha avvertito Zagabria. «Entro il 23 agosto attendo di ricevere la vostra promessa che la legge verrà cambiata» e di sapere quando ciò avverrà. Se non sarà così, Bruxelles potrebbe punire la Croazia con «misure appropriate». Prima «un congelamento» di parte dei fondi Ue. Poi, se Zagabria farà ancora orecchie da mercante, via all’“opzione nucleare” [SIC], la sospensione del diritto di voto nel consesso europeo.
Ma perché la Croazia è pronta a rischiare a tal punto per una vecchia spia? «Perkovic è il simbolo di quella parte dei servizi pronta ad aiutare Tudjman, che aveva bisogno di professionisti nella creazione dello Stato croato», chiarisce Žarko Puhovski, fra i maggiori filosofi e analisti nazionali. E «il figlio di Perkovic è uno dei consiglieri per la sicurezza del presidente Josipovic», suggerisce poi Puhovski. Ma va anche detto che «il sistema giudiziario tedesco non è così puro». Negli Anni Novanta «ultranazionalisti croati, ex killer di agenti segreti jugoslavi, furono lasciati tornare in Croazia dalla Germania, liberi», chiosa l’analista, che prevede poi che difficilmente «la legge sarà cambiata» già ad agosto, causa istituzioni in vacanza. L’autunno? Sicuramente caldo, nella Croazia preoccupata da un futuro europeo incerto. E da storiche amicizie messe a rischio da uno scomodo servitore di più padroni.

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SPAZIO SCHENGEN A RISCHIO PER LA CROAZIA

di Silvano Silvani, da “La Voce del Popolo” del 12 settembre 2013

“La Croazia deve modificare la legge sul mandato di cattura europeo, meglio nota come Lex Perković, perché in caso contrario i rapporti tra Zagabria e Bruxelles ne risentiranno ancora per lungo tempo”. Questo l’ennesimo monito lanciato dalla vicepresidente della Commissione europea e commissario alla Giustizia, Viviane Reding. Secondo la vicepresidente, Zagabria ritoccando la legge due giorni prima del suo ingresso nell’Unione europea ha non soltanto violato le regole, ma ha anche tradito la fiducia accordatale dagli altri 27 Paesi membri.
Viviane Reding ha ribadito che la Commissione europea dispone di tutti gli strumenti necessari per verificare se la Croazia adeguerà le sue leggi agli standard comunitari. Se ciò non dovesse avvenire, ha avvertito la vicepresidente, scatteranno la sanzioni previste dall’articolo 39 del Trattato di adesione della Croazia all’Unione europea.
Una delle misure potrebbe essere rappresentata dal congelamento dei fondi europei, in primo luogo nel settore della giustizia e degli affari interni. Questo potrebbe portare, molto probabilmente, a un rallentamento dell’entrata della Croazia nello spazio Schengen. In altre parole, a causa della Lex Perković, i controlli di polizia ai valichi tra la Croazia e gli altri Paesi dell’Unione potrebbero rimanere ancora a lungo, con tutti i disagi che questo comporta, ad esempio per i flussi turistici.
Intanto il Capo dello Stato, Ivo Josipović, ha dichiarato che non pensa assolutamente ad esonerare dall’incarico il suo consigliere per la sicurezza, Saša Perković il quale, stando a quanto riportano alcuni media, potrebbe trovarsi in conflitto d’interessi se dovesse venire avviata l’inchiesta nei confronti di suo padre, Josip Perković. Al termine dell’incontro con i cittadini a Dugo Selo, Josipović ha quindi smentito una possibilità del genere, riportata ieri dal quotidiano “Novi List”, che si richiama a fonti dei Banski dvori. Ha spiegato ai giornalisti che Saša Perković non svolge nessun lavoro che possa essere collegato con il caso in questione.
“Il caso, se e quando verrà aperto, sarà in mano alla giustizia. Ho già detto e lo ribadisco che nessuno deve sobbarcarsi il peso degli eventuali peccati dei propri genitori”, è stato categorico. “Lo ripeto, non esonererò il mio consigliere per la sicurezza. D’altra parte, è molto strana questa politica che viene condotta tramite fonti non meglio identificate che costantemente, allo stesso giornale, dettano alcune cose”, ha ribadito il Capo dello Stato.
Secondo Josipović, inoltre, “dipende dall’accordo con l’UE” quando entreranno in vigore le modifiche alla Legge sul mandato di cattura europeo. Rispondendo alla domanda se sia sufficiente quanto annunciato dal premier Zoran Milanović (ovvero l’approvazione delle modifiche di legge nelle prossime settimane e la loro entrata in vigore appena nel luglio dell’anno prossimo), il Capo dello Stato, Ivo Josipović, ha ribadito che bisogna accordarsi con Bruxelles e che non è necessario creare grandi problemi. Di pari passo al braccio di ferro con Bruxelles, assistiamo quindi a una continuazione del tiremmolla tra Banski dvori e Pantovčak, ossia tra le massime cariche dello Stato. E dire che non siamo in un regime di coabitazione, in quanto sia il premier sia il presidente provengono dallo stesso partito...

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Leggi anche:

“Liti coniugali” tra Bruxelles e Zagabria
di Drago Hedl - 20 settembre 2013

<< ...  Perković, dopo il crollo della Jugoslavia, aveva organizzato e guidato i servizi segreti del nuovo stato croato e riporta la dichiarazione del giornalista Željko Peratović che ha indagato sul lavoro dei servizi jugoslavi e croati, il quale afferma che Perković conosce molte cose su uomini importanti della Croazia, “quelli che si sono occupati dell’importazione di armi e si sono arricchiti, ed ora sono tycoon oppure hanno ancora una forte influenza politica”... >>