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La vigilia della guerra

Come gli Usa hanno operato, attraverso la Cia, per trascinare l'Italia
nell'agressione contro la Jugoslavia

di Domenico Gallo

La sera del 24 marzo 1999, quando si sono levati in volo i
bombardieri della Nato e sono partiti i primi missili Cruise dalle navi

militari americane schierate nell’Adriatico, si è consumato un evento
che ha segnato una drammatica rottura dell’ordine internazionale, come
delineato dalla Carta delle Nazioni Unite. Un gruppo di potenze, unite
sotto la “leadership” degli Stati Uniti, attraverso una avventura
bellica,
ha aperto una nuova avventura nelle relazioni internazionali,
rivendicando, manu militari, il “diritto” della cosiddetta ingerenza
umanitaria. In realtà il diritto di regolare unilateralmente le
situazioni
di crisi internazionale attraverso la coercizione fondata sulla
geometrica potenza delle armi occidentali.
Quando il pomeriggio del 24 marzo il Parlamento italiano è stato
informato dal Governo che l’azione della Nato era iniziata, i
bombardieri erano già in volo, la macchina da guerra si era messa in
moto secondo un progetto predisposto e reso operativo da tempo, e la
politica non avrebbe potuto fare niente per arrestarla: ormai si era
consumato un evento (anche politicamente) irreversibile.
In quel frangente, nessuna forza di maggioranza o di opposizione
contraria alla guerra, nessun sindacato, nessuna mobilitazione
popolare, nessuno sciopero generale (che non c’è stato), avrebbe
potuto fermare i bombardieri in volo ed impedire che oltrepassassero
quella soglia, destinata a produrre quegli eventi disastrosi per il
Kosovo e la Serbia che si sono sviluppati come vicende ineluttabili.
Se il 24 marzo la macchina bellica della Nato non poteva più essere
arrestata dalla politica, allora v’è da chiedersi quando è maturata
questa irreparabilità, quando e da chi sono stati fatti i passi, sono
state
compiute le scelte politiche che hanno reso, prima, il ricorso alla
guerra possibile e, poi, ineluttabile?
Sebbene, a quella data, ormai irreversibile, l’evento della guerra è
stato frutto di un processo politico il cui esito, per niente scontato,
è
stato costruito tenacemente, dai soggetti interessati, giorno per
giorno,
manovrando diversi tasselli sullo scacchiere internazionale, compreso
quello della crisi di governo in Italia e del rimpasto del governo in
Germania con l’allontanamento di La Fontaine.
Se tutti noi conosciamo la data di inizio della guerra e possiamo
collocarla in uno spazio temporale e in una dimensione politica,
altrettanto non può dirsi per la vigilia della guerra.
Crista Wolf in Cassandra ricostruisce il passaggio della società di
Troia da uno stato di pace ad uno stato di guerra ed il conseguente
degrado delle istituzioni, della politica, del linguaggio di fronte
all’avanzata dell’immagine del nemico e si pone appassionatamente
questa domanda: quando è iniziata la vigilia della guerra?
Parafrasando Crista Wolf vogliamo chiederci anche noi: quando è
iniziata la vigilia della guerra del Kosovo? Dove, e quando, e da chi,
sono state fatte le scelte politiche che hanno spianato la strada alle
armi e che hanno fatto fallire ogni tentativo di soluzione politica del

conflitto, a cui tanto la Jugoslavia, quanto la leadership albanese non

UCK, erano seriamente interessate?
Orbene, per quanto si tratti di un processo politico, nel quale gli
avvenimenti sono concatenati fra di loro, un punto di svolta c’è ed è
possibile risalire ad esso.
È la decisione assunta dal Consiglio dei Ministri del Governo Prodi,
dopo la sfiducia, (votata dalla Camera il 9 ottobre), qualche ora prima

di fare le valigie e di sloggiare da Palazzo Chigi, relativa adesione
dell’Italia all’activation order.
Un comunicato di Palazzo Chigi del 12 ottobre 1998 informa che il
Consiglio dei Ministri ha deciso di autorizzare il rappresentante
permanente dell’Italia presso il Consiglio Atlantico ad aderire al c.d.

Activation order. “ Di conseguenza – recita il comunicato – l’Italia
metterà a disposizione le proprie basi qualora risulterà necessario
l’intervento militare da parte dell’Alleanza atlantica per fronteggiare

la crisi del Kosovo…Nell’attuale situazione costituzionale – conclude
il comunicato - il contributo delle forze armate italiane sarà limitato

alle attività di difesa integrata del territorio nazionale. Ogni
eventuale
ulteriore impiego delle Forze armate italiane dovrà essere autorizzato
dal Parlamento.”
Il giorno successivo, il 13 ottobre, il Segretario Generale della Nato,

Solana, emana l’activation order e conferisce al Comandante militare
(SACEUR), generale Clark, il potere di ordinare attacchi armati contro
la Repubblica federale Jugoslava. È il 13 ottobre del 1998 che la
macchina da guerra della Nato accende (non solo in senso simbolico) i
suoi motori. Non li spegnerà più, malgrado l’accordo fra Milosevic ed
Hoolbroke del 14 ottobre, ed il conseguente dispiegamento dell’OSCE
nel Kosovo e malgrado i negoziati intavolati a Rambouillet. Inizia così

la vigilia della guerra.
Come e attraverso quali percorsi politici si è arrivati a questa
svolta?
Il retroterra è costituito dal conflitto nato dalla dissoluzione della
ex
Jugoslavia, ed in particolare dalla guerra nella Bosnia e dal nuovo
ruolo strategico militare che gli Stati Uniti hanno concepito per la
Nato
dopo la fine della guerra fredda e che è stato ufficialmente proclamato

a Washington il 24 aprile, proprio mentre veniva sperimentato in vivo.
Pochi ricordano che nell’estate del 1993, durante una delle fasi più
oscure del conflitto in Bosnia si verificò un durissimo braccio di
ferro
fra la Nato (che minacciava di intervenire in Bosnia con
bombardamenti contro le forze serbo-bosniache) e l’Unprofor (i caschi
blu dell’Onu) che si opponeva con tutte le sue forze.
Il braccio di ferro si concluse con la stipula di un memorandum
d’intesa, siglato nell’agosto dall’ammiraglio americano Jeremy Borda
(Comandante delle operazioni Nato) e dal generale francese Jean Cot
(Comandante delle forze Unprofor) con quale fu stabilito il principio
che la Nato non poteva bombardare senza il consenso della missione
dell’Onu, sebbene astrattamente autorizzata all’intervento dalle
Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che avevano stabilito alcune
misure interdittive della guerra e coercitive per i belligeranti. E
quando la Nato finalmente intervenne nella fase finale della guerra in
Bosnia, nella notte fra il 29 ed il 30 agosto del 1995, ciò accadde
soltanto per effetto di una legittima (ma inopportuna) richiesta di
intervento dell’Onu, che faceva seguito allo sconcerto ed
all’indignazione provocata dalla strage del mercato di Sarajevo
occorsa il giorno precedente (28 agosto).
Furono proprio le vicende della guerra di Bosnia e la possibilità – e
per un limitato verso anche l’esigenza – che la Nato giocasse un ruolo
nel contesto delle garanzie della sicurezza internazionale a far si che

venisse messa a punto nell’ambito della Nato una strategia operativa
di intervento per la gestione delle crisi, includendovi dentro tanto le

tradizionali (per l’Onu) missioni di peacekeeping (mantenimento della
pace), quanto le missioni di peacebuilding (ricostruzione della pace),
di cui la missione militare dispiegata in Bosnia, a seguito degli
accordi di Dayton costituisce un esempio classico, che le missioni di
peaceenforcing (per esempio, sorveglianza degli embarghi delle armi)
e le missioni di peacemaking (costruire la pace attraverso un vero e
proprio intervento bellico). In questo contesto, per la decisa
posizione
assunta dall’Italia, durante il Governo Dini, fu stabilito che la Nato
non aveva legittimità a ricorrere a misure comportanti l’uso della
forza
senza la preventiva autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, come
del resto prevede la Carta delle Nazioni Unite. Addirittura in questo
periodo il ministro degli esteri del Governo Dini, Susanna Agnelli,
diede platealmente uno schiaffo agli Stati Uniti, vietando – per
qualche
tempo – che fossero dislocati ad Aviano i cacciabombardieri invisibili
Stealth, (che saranno i principali protagonisti della guerra del 99),
fino
a quando l’Italia non fu inclusa nel Gruppo di contatto, da cui
l’amministrazione americana voleva tenerla fuori. Questa posizione
assunta dal Governo Dini fu ereditata dal Governo Prodi e lo stesso
Dini, come ministro degli esteri la mantenne in piedi, come posizione
ufficiale della Farnesina, in dichiarazioni pubbliche e comunicati
stampa, fino al settembre del 1998.
Nel frattempo la crisi della convivenza interetnica fra serbi ed
albanesi nel Kosovo si aggravò in quanto qualcuno decise di soffiare
sul fuoco del conflitto armato, appoggiando una banda armata (l’Uck)
che aveva avuto oscure origini e che fino a quel momento non aveva
giocato un ruolo effettivo.
È il 1° marzo 1998 la data che segnò l’inizio della guerriglia
dell’Uck,
con l’uccisione di due poliziotti serbi a Drenica, a cui fece seguito
una
reazione inconsulta che provocò la morte di venti albanesi. Nella
primavera del 1998 si accesero i fuochi di sporadiche azioni di
guerriglia a cui fecero seguito drastiche azioni di repressione.
A questo punto la Nato, sotto la spinta dell’amministrazione
americana, decise di intervenire “politicamente” nel conflitto
lanciando, con un comunicato del Consiglio atlantico del 28 maggio,
un duro monito a Belgrado, in cui lasciava intravedere la possibilità
di
un intervento militare. Questa posizione, in realtà, più che favorire
un
self restraint da parte dell’apparato militare jugoslavo, non poteva
che
incoraggiare l’Uck sulla strada della guerriglia che, seppure perdente
sul terreno, in prospettiva diventava vincente, potendo giocare un
ruolo di detonatore per l’intervento militare occidentale. I furiosi
combattimenti che ne sono seguiti durante l’estate del 98 e la
durissima
repressione scatenata dalle forze di sicurezza serbe (peraltro
ingigantita dalla stampa internazionale con la fabbricazione di notizie

false) hanno sollecitato lo sdegno dell’opinione pubblica
internazionale, creando l’humus politico favorevole per l’intervento
della Nato. C’era, però, un problema da risolvere.
La carta delle Nazioni Unite non consente che gruppi di Stati possano
ricorrere all’uso della forza per regolare le crisi internazionali e,
conseguentemente, la Nato non aveva alcuna legittimità per effettuare
un intervento militare per regolare la crisi del Kosovo, aggredendo una

delle parti in conflitto ed alleandosi con l’altra.
Nel corso della primavera, dell’estate e del mese di settembre del
1998 si sviluppò un dibattito sulla possibilità che la Nato
intervenisse
militarmente nel Kosovo, anche in assenza di una formale
autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza. Tale dibattito
nascondeva un conflitto politico durissimo fra Stati Uniti e Gran
Bretagna (che sostenevano la tesi della legittimità del ricorso alla
forza) e l’Italia che continuava ad opporsi. Tale posizione, peraltro,
non era affatto scontata all’interno del Governo italiano, in quanto il

Ministro della difesa Beniamino Andreatta, propugnava l’allineamento
totale dell’Italia alle esigenze degli Stati Uniti, secondo la
tradizionale
politica di “fedeltà atlantica”, tuttavia gli equilibri politici di
maggioranza escludevano che il Governo Prodi potesse assumere una
posizione differente senza rischiare una crisi.
È sorta a questo punto per l’Alleato americano l’esigenza di provocare
un mutamento di Governo in Italia per ottenere una maggioranza più
omogenea alle esigenze belliche della Nato. Poiché non si poteva
correre il rischio di nuove elezioni, il cui esito non sarebbe stato
prevedibile, è sorta l’esigenza di trovare una maggioranza di ricambio
che potesse fare accrescere il tasso di “fedeltà atlantica”
dell’Italia,
sostituendo Rifondazione comunista con forze più omogenee alla Nato.
A questo punto è stato attivato il più autorevole dei terminali della
Cia
nel sistema politico italiano, l’ex Presidente della Repubblica
Francesco Cossiga, l’uomo di Gladio. Cossiga, fino all’inizio del
1998, aveva svolto un ruolo di tutore del centro destra e sembrava che
volesse contendere a Berlusconi la leadership della destra. Nella
primavera del 1998 Cossiga ha fatto un revirement e, utilizzando la sua

influenza politica occulta ma reale sul sistema politico italiano, è
riuscito a staccare una frazione di deputati e senatori dal centro
destra,
fondando l’Udeur, con il dichiarato scopo di far nascere una nuova
maggioranza politica che sostituisse quella basata sull’alleanza
dell’Ulivo più Rifondazione e guidata da Prodi.
Quasi tutti hanno commentato l’operazione Udeur guidata da Cossiga
come una manifestazione del peggiore costume trasformistico italiano.
Ed invece tale operazione, che si avvaleva si della tendenza al
trasformismo esistente nel sistema politico italiano, aveva uno
specifico significato ed un preciso obiettivo di natura internazionale:

quello di provocare un mutamento della posizione internazionale
dell’Italia e di ottenere la legittimazione della Nato al ricorso alla
guerra, come strumento della politica di potenza americana.
Operazione perfettamente riuscita.
Perso il condizionamento di Rifondazione comunista, indeboliti i
Verdi, indebolita la posizione autonomistica di Dini, il 12 ottobre
1998 il Governo Prodi, sebbene sfiduciato, ha compiuto l’atto
politicamente più rilevante dalla sua nascita, e più gravido di
conseguenze per il futuro, accettando l’adesione dell’Italia
all’activation order.
In sede politica la svolta dell’Italia sulla liceità del ricorso
all’uso
della forza da parte della Nato era stata propugnata dall’allora
segretario del partito dei DS - l’on. D’Alema - e dal sottosegretario
alla Difesa, Brutti, i quali si erano affrettati a dichiarare che la
concessione dell’uso delle basi italiane (nella imminente guerra contro

la Jugoslavia) costituiva un “atto dovuto” ed un effetto “automatico”
della partecipazione italiana alla Nato.
Era ormai alle porte un Governo D’Alema, con la benedizione di
Cossiga e con l’uomo giusto, Carlo Scognamillo, al posto giusto, il
Ministero della Difesa.
Sul Foglio del 4 ottobre 2000 proprio Carlo Scognamillo,
polemizzando con James Rubin, l’ex portavoce di Madeleine Albright,
si lascia sfuggire: A Rubin sfugge che in Italia avevamo dovuto
cambiare governo proprio per fronteggiare gli impegni politici-militari

che si delineavano in Kosovo…Prodi ad ottobre aveva espresso una
disponibilità di massima all’uso delle basi italiane, ma per la
presenza
di Rifondazione nella sua maggioranza non avrebbe mai potuto
impegnarsi in azioni militari. Per questo il senatore Cossiga ed io
ritenemmo che occorreva un accordo chiaro con l’on. D’Alema In che
cosa consisteva questo accordo? Due parti. La prima era il rispetto
dell’impegno per l’euro... la seconda era il vincolo di lealtà alla
Nato:
l’Italia avrebbe dovuto fare esattamente ciò che la Nato avrebbe
deciso di fare. Questo è esattamente ciò che l’Italia ha fatto. Adesso
che la missione è compiuta Cossiga può rientrare nel centro destra.
D’Alema è già tornato a casa.

(Tratto da: L'ERNESTO, ottobre 2000)

---

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Après le Kosovo, la Macédoine

Que reste-t-il des explications de l'Otan ?
(par Michel Collon)

Sinistre répétition? Après que les séparatistes albanais de l'UCK
aient
attaqué les villages de Presevo en Serbie, après qu'ils aient tué sept
civils serbes du Kosovo en jetant une bombe dans un autobus, voici
qu'ils
portent la guerre dans la Macédoine voisine. Et, à nouveau, des
réfugiés
sont précipités sur les routes. Va-t-on vers une nouvelle escalade
dans les
Balkans?
En fait, ces événements permettent de mieux comprendre ce qui s'est
passé en
1999. Dans cette situation complexe (parce que tout est fait pour
désorienter l'opinion publique), Michel Collon répond avec clarté aux
principales interrogations:

MICHEL COLLON
1. La Macédoine est-elle une région stratégique?
Oui, expliquions-nous dans Solidaire et dans notre livre Monopoly en
citant
le général Jackson, commandant des troupes de l'Otan: "Nous resterons
certainement ici longtemps afin de garantir la sécurité des corridors
énergétiques qui traversent la Macédoine." .
"Corridors énergétiques"? Nous avions présenté les cartes
géographiques
démontrant les projets de l'Europe (un réseau complet de pipe-lines et
gazoducs la reliant, via les Balkans, aux énormes ressources
pétrolières et
gazières du Caucase ex-soviétique) et ceux des Etats-Unis (un
pipe-line
Bulgarie - Macédoine - Albanie - Adriatique qui assurerait aux
multinationales pétrolières US le contrôle de cette même route du
pétrole et
du gaz). Projets rivaux en fait. Voilà pourquoi toutes les grandes
puissances cherchent depuis dix ans à contrôler la Yougoslavie. La
route du
pétrole et du gaz passe par là. Nous soulignions aussi que, dès 1992,
c'est
en Macédoine - pourtant très éloignée des zones de conflits - et nulle
part
ailleurs que Washington avait envoyé un bataillon.
Soyons francs: même à gauche, certains trouvaient exagéré de
suspecter
Washington de desseins aussi noirs… que le pétrole. Mais tout
récemment, le
très respectable quotidien britannique Guardian a confirmé: "Un projet
appelé `Trans-Balkan Pipeline' n'a guère été signalé dans la presse
européenne ou américaine. Cette ligne partira du port de Burgas (Mer
Noire)
pour joindre l'Adriatique à Vlore, en passant par la Bulgarie, la
Macédoine
et l'Albanie. Pour l'Occident, ce sera probablement la principale
route vers
le pétrole et le gaz actuellement extraits d'Asie centrale. 750.000
barils
par jour. Un projet nécessaire, selon l'Agence US du Commerce et du
Développement, car "il fournira une source consistante de brut aux
raffineries américaines, attribuera un rôle-clé aux compagnies US pour
développer ce corridor vital est-ouest et fera progresser dans la
région les
volontés de privatisation du gouvernement US." Clair, non?
En outre, le secrétaire US à l'Energie, Bill Richardson, a déclaré en
1998,
donc avant la guerre: "Il s'agit de la sécurité énergétique de
l'Amérique."
Quand les Etats-Unis parlent de "sécurité énergétique", il faut savoir
que
cela veut dire: préserver la domination mondiale et les superprofits
de
leurs multinationales pétrolières. Et Richardson poursuit: "Nous
voudrions
voir ces pays nouvellement indépendants s'appuyer sur les intérêts
commerciaux et politiques de l'Ouest plutôt que de regarder dans une
autre
direction. Nous avons effectué un important investissement politique
dans la
région de la Caspienne et il est très important pour nous qu'aussi
bien le
tracé du pipeline que la politique soient corrects."
Et le Guardian ajoute ceci, essentiel: "Le 9 décembre 98 (avant la
guerre -
ndlr), le président de l'Albanie a assisté à une réunion à ce sujet à
Sofia:
"A mon avis personnel, aucune solution demeurant au sein des
frontières
serbes n'apportera une paix durable." Le message pouvait difficilement
être
plus clair: si vous voulez l'accord des Albanais pour le pipeline
Trans-Balkan, vous devez enlever le Kosovo aux Serbes."

2. L'offensive de l'UCK est-elle une surprise?
Les Etats-Unis se sont donc acoquinés avec le diable. Car de nombreux
rapports diplomatiques US en attestaient: l'UCK séparatiste
assassinait non
seulement des policiers et des civils serbes, mais aussi des Albanais
mariés
avec des Serbes ou simplement acceptant de vivre dans l'Etat
yougoslave. Et
l'envoyé spécial de Washington dans les Balkans, Robert Gelbard, avait
lui-même affirmé à trois reprises devant la presse internationale, au
début
98: "Je vous dis que ces gens de l'UCK sont des terroristes". Mais
trois
mois plus tard, ces terroristes étaient miraculeusement transformés en
"combattants de la liberté" et l'Otan allait bientôt devenir leur
force
aérienne.
Aujourd'hui, les Etats-Unis feignent la surprise face à "la violence
extrémiste" qui attaque la Macédoine. Belle hypocrisie! Dès juin 98,
l'UCK
diffusait parmi ses sympathisants européens une carte de la "Grande
Albanie". Dans notre livre Monopoly (p. 69), nous reproduisions cette
carte
et la commentions: "Outre le Kosovo qui fait partie de la Serbie,
cette
Grande Albanie enlèverait de larges territoires à la Macédoine, au
Monténégro et à la Grèce. Des guerres sont donc inévitables si l'UCK
peut
réaliser ses plans."
Cette Grande Albanie implique non seulement l'expansionnisme, mais
aussi le
nettoyage ethnique. Aujourd'hui, sous les yeux et avec l'accord tacite
de
l'Otan, 350.000 non-Albanais ont déjà été expulsés du Kosovo: Serbes,
mais
aussi Roms (tziganes), Gorani, Turcs, etc… Le Kosovo est presque
"pur". Une
surprise? Pas vraiment, puisque, le 12 juillet 1982 déjà, le New York
Times
interviewait un responsable yougoslave du Kosovo, d'origine albanaise:
"Les
nationalistes albanais ont un programme en deux points: d'abord
établir une
république albanaise ethniquement pure, et ensuite la fusion avec
l'Albanie
pour former une Grande Albanie." D'ailleurs, lors de l'insurrection
anti-yougoslave de 1981, les nationalistes albanais avaient déjà
établi une
collaboration étroite entre leurs unités de Macédoine, de Serbie et du
Monténégro.
Tout ceci n'a pas empêché l'influent sénateur US Joseph Lieberman de
déclarer en avril 99: "Les Etats-Unis et l'Armée de Libération du
Kosovo
défendent les mêmes valeurs humaines, les mêmes principes. Se battre
pour
l'UCK, c'est se battre pour les droits de l'homme et les valeurs
américaines." Bref, USA-UCK, même combat. D'ailleurs, quiconque
voyage au
Kosovo peut voir un peu partout, par exemple au-dessus des stations
d'essence, les drapeaux albanais et US étroitement associés.

3. La version de l'Otan tient-elle encore debout?
Que nous disait l'Otan pour justifier ses bombardements meurtriers? 1.
Que
sa guerre était humanitaire. Faux: c'était pour le pétrole et pour
briser
une économie résistant aux multinationales occidentales et au FMI. 2.
Qu'elle avait tout tenté pour chercher une solution négociée. Faux
également: on sait maintenant qu'il n'y a jamais eu de négociation à
Rambouillet, seulement une comédie pour justifier une guerre déjà
décidée.
3. Que c'était une guerre propre. Faux encore: 2000 civils yougoslaves
tués,
d'innombrables usines et infrastructures détruites, plus l'usage
d'armes
interdites et criminelles: bombes à fragmentation, munitions à
uranium…
A présent, le reste de la version officielle s'effondre aussi. On
nous
avait dit: "Les problèmes du Kosovo proviennent de Milosevic." Cela ne
va
guère mieux avec Kostunica et un gouvernement soumis à l'Ouest!
On nous disait qu'il fallait intervenir pour arrêter un génocide
serbe et
établir un Kosovo multiethnique. Mais le général allemand Heinz Loquai
a
démontré que le prétendu document "Plan Fer-à-cheval" présenté par le
ministre allemand Scharping était un faux, que le génocide était un
médiamensonge et il vient de qualifier la guerre d' "injustifiée",
accusant
l'Otan d'avoir provoqué deux catastrophes humanitaires: un exode
massif des
Albanais, puis un autre des Serbes. Et le général Michaël Rose, qui
commandait les forces ONU en Bosnie, reproche à l'Otan "d'avoir
introduit
une culture de violence".
Enfin, pour tenter d'excuser l'actuel nettoyage ethnique au Kosovo,
les
supporters de l'Otan et de l'UCK ont prétendu qu'il s'agissait de
"vengeances pour ce que les Serbes avaient fait". Et maintenant, en
Macédoine, où il ne s'est rien passé, sous quel prétexte justifier
l'agression de l'UCK? Il est temps de reconnaître la seule explication
possible: l'UCK vise à établir un Etat ethniquement pur et ne peut
réaliser
ce programme que par l'escalade de la haine et par le terrorisme.

4. Washington joue-t-elle double jeu?
Les Etats-Unis feignent de s'indigner des violences actuelles de
l'UCK. Mais
on doit faire remarquer plusieurs choses… 1. Ils n'ont pas levé le
petit
doigt lorsque l'UCK est sortie du Kosovo pour attaquer la région de
Presevo
en Serbie centrale. Pire: l'infiltration s'est produite à partir de la
zone…
US d'occupation du Kosovo. 2. Washington et l'Otan prétendent
aujourd'hui
"essayer d'arrêter le flux des armes et des combattants vers la Serbie
du
Sud et vers la Macédoine" .
Mais quiconque se rend au Kosovo peut observer des barrages et
contrôles de
la KFOR tous les cinq kilomètres. Seulement, cette même KFOR travaille
avec
des interprètes et autres personnels issus de… l'UCK. Qu'elle a
d'ailleurs
transformée en très officiel "Corps de Protection du Kosovo". Bref,
qui ne
cherche pas les armes de l'UCK, ne les trouvera pas.
D'ailleurs, le major Jim Marshall, porte-parole de la KFOR US, a
déclaré le
6 mars: "Nous avons identifié entre 75 et 150 rebelles à Tanusevci
(Macédoine), nous les avons entrer et sortir du Kosovo, et se
débarrasser de
leurs équipements et de leurs armes avant de passer la frontière."
Petite
question stupide: qu'est-ce qui vous empêchait de les arrêter? 45.000
soldats Otan occupent le Kosovo et ne peuvent arrêter 150 terroristes?

5. L'UCK déclenchera-t-elle une nouvelle guerre?
Que va-t-il arriver? Ayant joué sur plusieurs tableaux, les Etats-Unis
peuvent se retrouver coincés. D'un côté, ils continuent d'utiliser
l'UCK
pour obtenir davantage de concessions en Serbie: la privatisation
totale et
l'élimination du principal parti d'opposition, le SPS (en envoyant son
président à leur tribunal de La Haye). Mais, de l'autre côté, s'ils
laissent
l'UCK aller trop loin, ils se mettront à dos des alliés précieux: le
gouvernement macédonien et la Grèce, également menacée par les
revendications de l'UCK. Et aussi Kostunica qui ne peut présenter à
son
opinion aucun bilan positif sur le Kosovo, au contraire.
Mais si Washington lâchait l'UCK et renversait ses alliances, il se
pourrait que son allié (en réalité: rival) allemand se mettrait de
nouveau à
soutenir clandestinement l'UCK. Laquelle a donc intérêt à pousser plus
loin
ses provocations.
Renverser ses alliances? On a déjà tout vu, dans ce style, de la part
des
Etats-Unis, par exemple entre Iran, Irak et Syrie. Mais leur but est
de
s'assurer dans les Balkans un Etat "porte-avions" comme Israël au
Moyen-Orient. Pour ce faire, le choix n° 1 reste un Etat fantoche
albanais
qui devrait tout à Washington. Seulement, les puissances européennes
refusent une modification des frontières dans les Balkans. Celle-ci
provoquerait de nouvelles guerres et déstabiliserait les projets de
"corridors" décrits plus haut.
Une chose est sûre: l'intervention de l'Otan, pour des intérêts
cachés, n'a
pas amené et n'amènera pas la paix.


La version complète de cet article (comportant aussi les points
suivants:
6. Que fera l'Otan face aux combats? 7. Kostunica pris au piège?) est
consultable sur le site http://www.lai-aib.org/balkans

PHOTO 1:
La route du pétrole et du gaz de l'ex-URSS passe par la Macédoine et
la
Yougoslavie. C'est pourquoi les grandes puissances ont fait la guerre
afin
de contrôler Belgrade. (carte publiée dans le livre Monopoly, de
Michel
Collon, page 120).

PHOTO 2:
Le programme de l'UCK, c'est la "Grande Albanie" sur base ethnique
(carte
publiée dans le livre Monopoly, de Michel Collon, page 69).

---

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IN CECENIA ESULTANO

Per la devastazione dei monumenti della cultura buddhista in Afghanistan
<<esultano anche i ribelli della Cecenia. Yusuf Ibrahim, esponente del
movimento secessionista ceceno e direttore dell'agenzia di stampa
Kavkaz-Tsentr, ha pubblicato un articolo intitolato "Il mondo pagano è
contrariato". Nel testo si legge che la "cosiddetta comunità
internazionale, identificata con l'alleanza infedele dei
giudei-cristiani,
ha alzato un gran polverone riguardo alla decisione di distruggere gli
idoli pagani adottata dalla leadership dell'Emirato islamico
dell'Afghanistan". Secondo Ibrahim, se "l'alleanza infedele accusa di
vandalismo gli afghani, che invece non fanno altro che mettere in
pratica un principio elementare della Sharia (legge islamica, ndr), ciò

significa che agli occhi degli occidentali anche il Profeta Maometto,
la
cui prima iniziativa fu quella di distruggere gli idoli e l'idolatria,
va
considerato un 'vandalo' e un 'nemico'". "Invece di lamentarsi in
maniera
ipocrita e senza vergogna della distruzione degli idoli", sostiene il
leader ceceno, "la comunità degli infedeli farebbe bene a non benedire
la crociata della gang russa contro i musulmani della repubblica cecena

di Ichkeria". I ribelli ceceni sostengono il regime di Kabul perché è
l'unico ad aver riconosciuto la loro repubblica che ha ambasciate e
consolati a Kandahar e a Kabul, e anche perché rafforza le loro fila
con
il regolare invio di mujaheddin.>>

(Sergio Trippodo su "Il Manifesto" del 4/3/2001)

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CONTINUA LO STUPRO MULTI-ETNICO IN BOSNIA

"Il Manifesto" 04 Marzo 2001:
BOSNIA: Liberate 177 schiave prostitute

Con un'operazione congiunta di polizia bosniaca, autorità per
l'immigrazione, poliziotti delle Nazioni unite e forze di pace della
Nato
(Sfor) sono state liberate ieri notte 177 donne costrette a
prostituirsi in
locali di tutta la Bosnia e trattenute contro la loro volontà in
condizioni
di semischiavitù. Ne ha dato notizia un comunicato della missione Onu.
Le ragazze provenivano, oltre che dalla ex Jugoslavia, dalla Romania,
dalla Moldova, dall'Ucraina e dalla Russia. Le straniere sono state
affidate alla missione di polizia dell'Onu, presumibilmente per essere
rimpatriate. Negli ultimi due anni, sono 400 le donne tolte dal giro
della
prostituzione in Bosnia.

MOLDOVA
Leader Pc candidato presidente

Dopo la vittoria schiacciante ottenuta nelle elezioni parlamentari
della
settimana scorsa, il Partito comunista di Moldova ha proclamato ieri la

candidatura alla presidenza del proprio leader, Vladimir Voronin: il
quale, data la composizione del parlamento che dovrà eleggere il
presidente in sessione plenaria, ha la quasi certezza di essere eletto.

La decisione, come riferisce l'agenzia di informazione russa Interfax,
è
stata adottata dalla sessione plenaria del Comitato centrale del
partito.
Nel commentare la propria candidatura, Voronin (che è etnicamente
russo, come una parte non piccola della popolazione moldava, anche se
non ha ruolo nella secessione in atto da anni nei territori della
Transdnestria) ha escluso qualsiasi intenzione di "stabilire il
monopolio
del partito unico", ed ha assicurato che "la formazione del nuovo
governo sarà basata sulla professionialità, e non sulla affiliazione
politica".

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