Informazione

 

Roma, domenica 24 febbraio 2019
presso il Teatro di Porta Portese, Via Portuense 102

 

RESISTENZA JUGOSLAVA: FOIBE O FRATELLANZA?

 

Una conferenza di Sandi Volk e la pièce teatrale DRUG GOJKO. Per contrastare il revisionismo ed il negazionismo di chi getta fango sulla Lotta Popolare di Liberazione dei partigiani e sul suo carattere internazionalista


ore 16:30 Conferenza
– Andrea Martocchia: "Giorno del ricordo", dove sta il problema?
– Sandi Volk: "Giorno del ricordo", un bilancio 
ore 17:45 Discussione 
ore 18:30 Teatro
DRUG GOJKO di e con Pietro Benedetti
Monologo ispirato alle vicende di Nello Marignoli, partigiano nell'Esercito popolare di liberazione jugoslavo


Promuove: Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS
ENTRATA A SOTTOSCRIZIONE LIBERA


LE REALTA' ANTIFASCISTE INTERESSATE AD ADERIRE E INTERVENIRE POSSONO CONTATTARCI FINO AL 20 FEBBRAIO: jugocoord@...

 

 

 

Evento facebook

Eventuali aggiornamenti saranno riportati anche sulla pagina della iniziativa

 

Sullo spettacolo DRUG GOJKO si veda anche la nostra pagina dedicata

 

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/9002 ]]

 
Le iniziative del 10 Febbraio
 
1) Trieste, tre iniziative controcorrente
2) Porano (TR): DRUG GOJKO
3) A Montebelluna e in Veneto per Norma Cossetto
4) Brugherio (MB), cronache della dissidenza
 
 
Ricordiamo anche:
Parma, domenica 10 febbraio 2019
alle ore 10:30 presso il Cinema Astra, Piazzale Volta 3
FOIBE E FASCISMO 2019
Conferenza di Sandi Volk, testimonianze e video
a cura del Comitato Antifascista Antimperialista e per la Memoria Storica con l'adesione di ANPI e ANPPIA
evento FB: https://www.facebook.com/events/227663108112168/
manifesto della iniziativa: https://www.cnj.it/home/images/INIZIATIVE/parma100219.jpg
Sulle polemiche in merito si vedano:
 
 
=== 1 ===
 
Nel frattempo, sempre a Trieste... Dalla pagina FB di David Danev, 6 febbraio 2018:

Nič novega v Trstu. Oziroma je vedno slabše!
Niente de novo a Trieste.. Anzi pezo del pezo con discriminazioni raziali a go-go.
Siamo in Italia e si parla Italiano! Detta da un poliziotto nel centro de Trieste il 6 febbraio 2019 no nel 1919.. Dove xe la legalità, dove il rispetto delle leggi che regola gli accordi post-bellici firmati dall'Italia? Me porte a Bazovica a fucilarme perchè domando che veni rispetado un DIRITTO UMANO?
 
---1)
 
Da: Detg Tik <detonitito  @gmail.com>
Oggetto: 10 febbraio a Basovizza (Trieste) per i caduti antifascisti
Data: 7 febbraio 2019 22:42:09 CET
 
In opposizione alla marea reazionaria e fascista del 10 febbraio, alcune compagne e compagni antifasciste triestine hanno deciso di condurre una minima iniziativa di mobilitazione, in difesa della memoria della lotta di liberazione.
In data 10 febbraio dalle 10.00 alle 12.00 saremo perciò a Basovizza (Trieste) presso il monumento ai caduti della guerra di liberazione in via Gruden (di fianco alla chiesa, difronte alla gelateria) per un presidio-volantinaggio.
Chiediamo il contributo di tutti e tutte, anche solo con un fiore per i nostri caduti.
Ci vediamo il 10
saluti antifascisti
 
---2)
 
Trieste,  domenica 10 febbraio 2019
alle ore 12:00 in San Giusto, via Capitolina alla base della grande Alabarda floreale
 
Riprendiamoci il 10 Febbraio
Ritrovo pubblico per ridare il giusto significato per Trieste a questa data. Nell'occasione verrà letto un breve discorso nelle lingue del Territorio Libero e pianteremo fiori. Seguirà rinfresco.

10 febbraio 2019: celebrazione della firma del Trattato di pace di Parigi determinante l'esistenza del Territorio Libero di Trieste e la sua internazionalità.
10 febbraio 1947: le Potenze "alleate ed associate" vincitrici della seconda guerra mondiale imposero il Trattato di pace di Parigi all'Italia (ex) fascista, riconosciuta responsabile assieme a Germania e Giappone dello scatenamento della seconda guerra mondiale.
Il 30 marzo 2004 l'Italia, caso unico in Europa, stravolgendo il chiaro significato di questa data, ha istituito per il 10 febbraio il "giorno del ricordo", in rievocazione "delle vittime delle foibe", sovrapponendo così dolore nazionale revanscistico al senso della sconfitta subita negli anni '40. 
Per Trieste, quindi è giusto ricordare che il Trattato di pace di Parigi ha determinato invece, la Fine della Guerra, la Pace tra i Popoli e la costituzione ed il riconoscimento da parte dei 21 firmatari e di tutta la comunità internazionale, Italia compresa, del Territorio Libero di Trieste e del nostro Porto libero internazionale. Quanto di più lontano possa idealmente esserci dal nazionalismo italiano e dalla propaganda politica, con-cause della seconda guerra mondiale e della profonda crisi in cui dal 1954 ad oggi è sprofondata Trieste.
 
Organizzano: Territorio Libero di Trieste - Svobodno ozemlje - Free Territory of Trieste e TRIEST NGO
 
 
---3)
 

NON SOLO SALVINI E TAJANI A TRIESTE

10 FEBBRAIO: GIORNATA DEL RICORDO, MA DI TUTTE LE VITTIME E NELLA VERITÀ E NON SOLO FOIBE

Per non dimenticare, affinché i giovani sappiano!

Testimoniate con la vostra presenza

invito-vabilo  

Il 10 febbraio alle 12 invitiamo la cittadinanza in piazza Oberdan accanto al “Cantico dei Cantici”, il celebre monumento di Marcello Mascherini le cui figure affusolate si allungano a toccare il cielo sovrastando le acque della fontana.

La gente chiama quest'opera il “monumento ai fidanzatini”, per un fatto accaduto durante la seconda guerra mondiale rimasto a ricordo e simbolo degli innumerevoli torturati e uccisi a Trieste dai fascisti e dai nazisti.

Il 19 marzo 1945 su quella piazza il giovane triestino Pino Robusti, che attende la sua fidanzata, viene fermato ed arrestato dalle SS e condotto alla Risiera di San Sabba, dove verrà assassinato. Verranno lette sotto il monumento le lettere che scrisse ai genitori ed alla fidanzata poco prima di morire.

Quanto alla vicenda delle foibe, cavità naturali delle regioni carsiche di queste terre, vennero usate come fosse comuni prima dai nazionalisti e dai fascisti italiani tra le due guerre mondiali, e poi durante la seconda guerra mondiale che contrappose qui a fascisti e nazisti le forze di liberazione slovene, croate e italiane.

Molti, in questi giorni, restano gli interrogativi: ma è giusto parlare solamente di foibe di un determinato periodo? quando si è iniziato a usare le foibe? Ancora oggi si discute su quante siano le vittime finite nelle foibe in un'area molto vasta che comprende Venezia giulia, Slovenia, Istria e Croazia

Come mai non c’è spazio per una documentazione o una volontà di ricerca credibile sull’effettivo numero di persone scomparse? La tecnologia odierna inoltre probabilmente consentirebbe un 'identificazione certa delle salme.

Come mai nonostante i mezzi a disposizione negli apparati civili e militari, non si prova giungere a una definitiva e riconosciuta conta su numeri e persone?

Perché la politica impegnata a trovare le verità storiche, non fa chiarezza e non insiste nel far richieste di questo tipo? E come mai a quasi 75 anni di distanza non l’ha attuata?

La repubblica nasce dalla resistenza antifascista e si basa su una costituzione fondata sul rispetto della dignità dell’uomo. Una vita vale il mondo, quindi il numero di vittime potrebbe essere relativo, ma non in questo caso data l’importanza e valenza politica e storica che questi numeri hanno avuto.

Apriamo le tombe! Il periodo buio che ha portato il fascismo in Italia con particolari caratteristiche ed eccessi in queste terre, ha istigato l'odio etnico e promulgato leggi razziali che assieme ad altri fattori ed intrecci di carattere internazionale hanno reso quest’area geografica la più esposta ai tragici eventi che qui si sono verificati, risiera compresa.

Ai piedi del monumento “cantico dei cantici”, verrà collocata una composizione floreale a simboleggiare il grande cuore di Trieste, città che nella sua storia è sempre stata d’accoglienza di genti di diversa provenienza.

Nel corso dell’evento verranno osservati tre motivati minuti di silenzio al suono della tromba fuori ordinanza.

In caso di maltempo l’evento si terrà sotto il porticato del palazzo al n. 4 della piazza, ex sede della Polizia SS che vi compiva interrogatori e torture.

p.s. verranno inoltre trattati argomenti d’attualità inerenti al decreto sicurezza.

 

Comitato pace convivenza e solidarietà Danilo Dolci

comitatodanilodolci@...

fb: Comitato Pace Danilo Dolci – Trieste

 
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"Lettera dello studente Pino Robusti ai genitori, dalle carceri del Coroneo di Trieste, pochi giorni prima di essere ucciso."

Pasqua 1945

Carissimi
Questa giornata è stata come una sorpresa per tutti noi "politici".
Ogni ceto, classe, età, accomunati in una sola vera fede, in una sofferenza unica e distinta per ognuno di noi eppure per tutti uguale. Ci siamo ritrovati tutti, stamane in chiesa, italiani, slavi, americani, russi tutti uguali dinanzi al cappellano, uomini e donne. Il discorso del prete è stato grandioso come grandioso il "grazioso" sorriso che da qualche giorno infiora la fetida bocca dei carcerieri. Si scusano di tenerci qui, ma come si fa… il dovere…!

Fifa, miei cari, fifa bella e buona! Poi in cortile, tutti insieme abbiamo cantato l’inno partigiano e gli slavi sono maestri del canto. Bisognava vedere la faccia del maresciallo tedesco che osservava la scena. Nulla ci è mancato, né vino, né sigarette e neppure fiori e che eleganza stamattina. Insomma la miglior dimostrazione di strafottenza più schietta e manifesta. Spero che anche voi avrete passato questo giorno con quella letizia che permettono le circostanze attuali (illeggibile) meglio non pensarci (illeggibile). State in pace e ricordatevi come io ricordo che l’ora del (illeggibile) è sempre più vicina per qualcuno che io conosco. Baci a tutti.

Pino

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"Lettera dello studente Pino Robusti alla fidanzata dalle carceri del Coroneo di Trieste il 5 aprile 1945. Il giorno dopo egli veniva ucciso e bruciato nel forno della Risiera."

Trieste, 5 aprile 1945

Laura mia,

mi decido di scrivere queste pagine in previsione di un epilogo fatale e impreveduto. Da due giorni partono a decine uomini e donne per ignota destinazione. Può anche essere la mia ora. In tale eventualità io trovo il dovere di lasciarti come mio unico ricordo queste righe.

Tu sai, Laura mia, se mi è stato doloroso il distaccarmi, sia pure forzatamente da te, tu mi conosci e mi puoi con i miei genitori, voi soli, giustamente giudicare. Se quanto temo dovrà accadere sarò una delle centinaia di migliaia di vittime che con sommaria giustizia in un campo e nell’altro sono state mietute. Per voi sarà cosa tremenda, per la massa sarà il nulla, un’unità in più in una cifra seguita da molti zeri. Ormai l’umanità si è abituata a vivere nel sangue. Io credo che tutto ciò che tra noi v’è stato, non sia altro che normale e conseguente alla nostra età, e son certo che con me non avrai imparato nulla che possa nuocerti né dal lato morale, né dal lato fisico. Ti raccomando perciò, come mio ultimo desiderio, che tu non voglia o per debolezza o per dolore sbandarti e uscire da quella via che con tanto amore, cura e passione ti ho modestamente insegnato.

Mi pare strano, mentre ti scrivo, che tra poche ore una scarica potrebbe stendermi per sempre, mi sento calmo, direi quasi sereno, solo l’animo mi duole di non aver potuto cogliere degnamente, come avrei voluto, il fiore della tua giovinezza, l’unico e più ambito premio di questa mia esistenza.

Credimi, Laura mia, anche se io non dovessi esserci più, ti seguirò sempre e quando andrai a trovare i tuoi genitori, io sarò là, presso la loro tomba ad aiutarti e consigliarti.

L’esperienza che sto provando, credimi, è terribile. Sapere che da un’ora all’altra tutto può finire, essere salvo e vedermi purtroppo avvinghiato senza scampo dall’immane polipo che cala nel baratro.

E’ come divenir ciechi poco per volta. Ora, con te sono stato in dovere di mandarti un ultimo saluto, ma con i miei me ne manca l’animo, quello che dovrei dire a loro è troppo atroce perché io possa avere la forza di dar loro un dolore di tale misura. Comprenderanno, è l’unica cosa che spero. Comprenderanno.

Addio, Laura adorata, io vado verso l’ignoto, la gloria o l’oblio, sii forte, onesta, generosa, inflessibile, Laura santa. Il mio ultimo bacio a te che comprende tutti gli affetti miei, la famiglia, la casa, la patria, i figli.

Addio

Pino
 
 
=== 2 ===
 
Porano (TR), domenica 10 febbraio 2019
alle ore 17 nella Sala Malerba

DRUG GOJKO 
 
di e con Pietro Benedetti
organizza: Alternativa per Porano
prenotazione obbligatoria – si veda la locandina:
 
 
=== 3 ===
 
 
10 FEBBRAIO, NORMA COSSETTO IN VENETO E A MONTEBELLUNA
 
di Francesco Cecchini – 7 Febbraio 2019
 
NORMA COSSETTO IN VENETO
In occasione del Giorno del Ricordo, il 10 febbraio, la Regione Veneto, in collaborazione con lUfficio scolastico regionale, lassociazione Venezia Giulia e Dalmazia e la federazione delle associazioni degli esuli, distribuirà nelle scuole medie il fumetto Foiba Rossa, la storia a fumetti di Norma Cossetto, e un opuscolo di Guido Rumici. Liniziativa è finanziata con 15 mila euro dalla Giunta regionale. Responsabile e promotrice è Elena Donazzan, Assessore all’ Istruzione, Formazione, Lavoro, Trasporti nella Giunta Zaia.
 
ELENA DONAZZAN, CUORE NERO
[FOTO: Elena Donazzan con la t-shirt "Cuore Nero"
http://www.ancorafischiailvento.org/wp-content/uploads/2019/02/CUORE-NERO.jpg ]
Elena Donazzan figlia di repubblichini e nostalgica di anni neri, non è nuova ad iniziative del genere. Nel novembre del 2010 quando la Regione Veneto approvò la legge sulla valorizzazione dell’antifascismo e della Resistenza votò contro con motivazioni assurde. Nel settembre 2015 partecipò a Valdobbiadene a una cerimonia di inaugurazione di una lapide in onore della Decima Mas. Giacomo Vendrame segretario della CGIL commentò così: Credo che questa cerimonia si possa configurare come apologia del fascismo. Commemorare la Decima flottiglia Mas, in una sorta di bieco revisionismo storico, è vergognoso, una grave mancanza di rispetto per i nostri caduti della resistenza, coloro che si sono battuti contro la dittatura per la libertà e per la democrazia.” Ora Elena Donazzan ha chiesto al Presidente della Repubblica Mattarella di sciogliere l’ANPI, per la sua posizione su confine orientale, foibe ed esodo dalmata istriano, che l’ Assessore alla cutura falsifica. Il fumetto Foiba Rossa che la Donazzan distribuirà agli studenti veneti di scuola media distorce la drammatica vicenda di Norma Cossetto.
 
NORMA COSSETTO NON FU ASSASSINATA PER ESSERSI RIFIUTATA DI ESSERE JUGOSLAVA E COMUNISTA. I SUOI ASSASSINI NON FURONO SOLDATI DELL’ESERCITO DI LIBERAZIONE JUGOSLAVO
Norma Cossetto a 24 anni fu uccisa e infoibata ad Antignana, il 4 o 5 ottobre 1943. Qualsiasi tragica morte suscita orrore, e Norma Cossetto, per la sua orrenda morte, merita onore e ricordo. Concetto Marchesi, comunista e rettore dell’Università di Padova, conferendogli nel 1947 una laurea honoris causa e Azeglio Ciampi decorandola con una medaglia doro hanno onorato la sua memoria. 

ANCHE LA VERITA’, PERO’, MERITA RISPETTO
Norma Cossetto era iscritta alla Gioventù Universitaria Fascista in Istria e figlia di Giuseppe Cossetto un ricco possidente fascista, che fu anche Commissario governativo delle Casse Rurali della Provincia dIstria, che espropiò centinaia contadini slavi dellIstria delle loro terre. Ad assassinarla non furono partigiani slavi, ma degli italiani. Il Circolo Norma Cossetto, qualche anno fa, pubblicò un documento nel quale si afferma che Norma fu invitata a presentarsi al Comando partigiano del luogo, fu interrogata e rilasciata. In seguito però cadde nelle mani di alcuni italiani, tre o quattro, dei cani sciolti, che la condussero a Parenzo, da dove fu portata ad Antignana, violentata, uccisa e infoibata. Costoro furono presi da fascisti italiani alla fine dellottobre 1943 e, insieme con altri, per lo più innocenti e tutti italiani, in tutto diciassette, furono massacrati a raffiche di mitra, senza alcun processo e furono gettati nella stessa foiba di Norma Cossetto. Il corpo di Norma Cossetto, stando al verbale dei Vigili del Fuoco di Pola che lo estrassero, si presentava intatto, senza segni di sevizie. Inoltre vi è la testimonianza di Arnaldo Harzarich Vigili del fuoco di Pola, che si trova in Foibe di Papo, ed è citata anche nel Bollettino dellUnione degli Istriani n. 28, sett. dic. 1998, pag. 5, che conferma il verbale dei Vigili del Fuoco di Pola. Soltanto dopo, in una serie infinita di ricostruzioni, peraltro contraddittorie, si cominciò a parlare di torture, di seni ed organi genitali straziati, etc., etc. Anche lo storico triestino Roberto Spazzali, nel suo lavoro Foibe, un dibattito ancora aperto edito nel 1996 dalla Lega Nazionale di Trieste, dunque da unassociazione non partigiana, ha scritto: Lampia letteratura di quegli anni e del dopoguerra dedicherà un consistente spazio alla morte e al rinvenimento di Norma Cossetto, intrecciando incontrollate fantasie e presunte testimonianze.

NORMA COSSETTO A MONTEBELLUNA
In occasione del 10 febbraio a Montebelluna verrà inaugurata ufficialmente una via dedicata a Norma Cossetto. La storia del 10 febbraio a Montebelluna non brilla per verità storica e democrazia. Il 10 febbraio 2012 l’amministrazione comunale sponorizzò un evento organizzato dal Comitato Provinciale di Treviso dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia che parlava di genocidio (sic!)di istriani, giuliani e dalmati. Presentò l’avv. Maria Bortoletto. Il 10 febbraio 2013 l’amministrazione comunale impedì ,togliendo l’ Auditorium della Biblioteca Comunale precedentemente concesso, un convegno organizzato dallAnpi di Montebelluna su fascismo, confine orientale e foibe con la partecipazione delle storiche Monica Emmanuelli ed Alessandra Kersevan. Decisivo fu allora Claudio Borgia, collega politico di Elena Donazzan simpatizzante di Mussolini, che lo appoggia ed ora assessore all’istruzione e alle politiche familiari.
 
Claudio Borgia davanti alla sede ANPI a Montebelluna nel 2013
Oratori ufficiali saranno il sindaco Marzio Favero e Alma Brussi dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmati.
Il sindaco, obiettore di coscienza e antifascista, ha chiarito tempo fa in un’intervista dell’ aprile 2018 alla telvisione Antenna 3 la sua posizione su via Norma Cossetto. Vedere il video dell’intervista. 

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=_0l4rPZpFys
 
Le sue parole sono contro speculazioni politiche e quindi non proprio coincidenti con quanto scritto da Treviso today dell’ 8 maggio 2017: La nuova via della frazione sarà infatti dedicata a Norma Cossetto, studentessa italiana, istriana, vittima dellesercito popolare di liberazione della Iugoslavia del maresciallo Tito. Venne torturata, violentata e gettata in una foiba nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1943.”
Alma Brussi, nata a Pola, di solito presenta un documentario Pola una città che muore e parla di esodo forzato. Pola, città cantata anche dalla canzone 1947 di Sergio Endrigo, non è morta, anzi, ed esodo forzato in ogni caso non è il genocidio di cui ha parlato l’avvocato Maria Bortoletto.
All’inaugurazione ufficiale è stata invitata l’ANPI di Montebelluna. Se l’ ANPI accetterà di essere presente sarà un’accasione per affermare qual’è la sua reale posizione sulle drammatiche vicende del confine orientale. Vedere dichiarazioni recenti ad Antenna 3 del presidente dell’ANPI provinciale di Treviso, Giuliano Varnier. 

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=uhrkjxvfbuQ
 
 
=== 4 ===
 
Sulla iniziativa di Brugherio (spostata da Cologno Monzese a causa della censura istituzionale) si veda:
e le fotografie:
 
 
Introduzione della Rete per Foibe e confine orientale 1920-1947
8 febbraio 2019
Rete Antifascista Cologno
 

Riportiamo di seguito la traccia scritta della nostra introduzione all’incontro Le foibe nelle complesse vicende del confine orientale (1920-1947), svoltasi presso la Casa del Popolo di Brugherio il 7 febbraio 2019.

***

Questa è la prima assemblea pubblica della Rete antifascista Cologno. Siamo una rete composta da singoli cittadini, organizzazioni partitiche, sindacali, associazioni, liste civiche e singoli cittadine e cittadini. Ci siamo aggregati nell’aprile 2018 per dare una risposta popolare, di piazza, pacifica ma determinata alla cosiddetta “rievocazione storica” di un campo dell’esercito della Germania nazista voluta dall’amministrazione comunale della nostra città e svoltasi a giugno scorso (prevista inizialmente a ridosso del 25 aprile e con esplicito riferimento alla Liberazione).

Pensiamo che oggi, in Italia e in Europa ci sia bisogno di antifascismo.
Intendiamoci, non pensiamo che il fascismo storico, inteso come regime (1922-1945), possa facilmente tornare. Intendiamo il fascismo come il “fascismo perenne” di cui parlava Umberto Eco, un fascismo come visione del mondo, discorso pubblico e pratiche politiche conseguenti. Elementi oggi vivi e vegeti anche in leader e formazioni politiche che vanno oltre il perimetro della galassia della destra neo-fascista (che comunque è aggressiva, pericolosa e va contrastata).
L’Amministrazione Comunale di Cologno ha dato prova di essere infetta da questo “virus” attraverso una serie di atti concreti tra cui la concessione di spazi pubblici a formazioni neofasciste e l’adozione di provvedimenti a sfondo razzista come la chiusura della Scuola di Italiano per Stranieri e l’ordinanza discriminatoria sull’ospitalità ai migranti per cui il Comune di Cologno è stato recentemente condannato dal Tribunale di Milano.
Per fermare il “fascismo perenne” occorre andare oltre un antifascismo ingessato e rituale, quello dei discorsi e delle cerimonie. Serve sporcarsi le mani con iniziative di piazza e se occorre di protesta; serve anche fare battaglia di idee. Ed è per questo che siamo qui.

Negli ultimi tre anni e mezzo, l’amministrazione comunale di Cologno ha enfatizzato il Giorno del ricordo delle vittime delle foibe. Spettacoli teatrali, conferenze, persino un monumento davanti al municipio. A cui si aggiunge l’attivismo del consigliere comunale di Casapound (ex capogruppo della Lega), che ha preso parola due-tre volte in consiglio comunale, di cui una per chiedere di intitolare una via ai “martiri delle foibe” e un’altra per stigmatizzare la presenza dell’ANPI nelle scuole colognesi (in cui la giunta ha incoraggiato nell’anno scolastico 2018-19 conferenze solo dell’ANVGD-Associazione nazionale Venezia Giulia Dalmazia). Quest’anno, in più, la giunta ha deciso di proiettare al cineteatro comunale “Red Land/Rosso Istria”, un film assurto all’onore delle critiche per le evidenti falsità storiche . Ci sembra
significativo che nel 2019 ci siano state tre iniziative istituzionali per il Giorno della Memoria per le vittime degli stermini nazifascisti e quattro per il Giorno del Ricordo.

Perché questa enfasi? La nostra idea è che, da circa 15 anni (2004, legge che istituisce il Giorno del ricordo), le vicende del confine orientale tra il 1943 e il 1945 (assassinii e sepolture di fortuna nelle cavità carsiche) siano state strumentalizzate per ragioni politiche.. Per cancellare la responsabilità storica e i crimini compiuti dal regime fascista italiano e dai suoi sostenitori. Nulla nasce nel vuoto. Le reazioni alla repressione di circoli, scuole, organizzazioni (spesso di lavoratori) di lingua slava, le reazioni all’italianizzazione forzata (cambio nomi e toponimi) e allo squadrismo, non nascono nel vuoto, ma sono appunto una risposta al razzismo e alle violenze dei fascisti (dagli anni ’20) e dei nazisti (dal 1943).
Intorno al tema foibe si sono scatenate una gran quantità di narrazioni tossiche che confondono volutamente le acque: diluiscono la categoria di fascisti e collaborazionisti in quella generica di “italiani”, solleticando un vittimismo irrazionale e il vecchio stereotipo (storicamente falso) degli “italiani brava gente” durante occupazioni e regimi coloniali. I crimini del fascismo, nelle terre del confine orientale così come in Africa orientale, Jugoslavia, Grecia, Albania sono un gigantesco rimosso di cui si deve tornare a parlare.
A che scopo? Secondo noi per una sorta di vendetta storica che parli al presente: attaccare la Resistenza e la lotta antifascista di Liberazione, dipingere i partigiani (soprattutto se jugoslavi e/o comunisti) come belve assetate di sangue, ritagliare spazi di agibilità politica e presunta autorevolezza storico-morale per organizzazioni post/para/neo fasciste.

Questa strategia di confusione e riscrittura della storia, però, ha un punto debole: la ricerca storiografica fatta come si deve. Quella che non gonfia i numeri delle vittime, quella che usa i documenti processuali e le testimonianze dell’epoca (e non di figli e nipoti che raccontano storie filtrate dai decenni, dai racconti, dal vissuto emotivo familiare), quella che inquadra i singoli episodi in cornici storiche più ampie, quella che non
mescola eventi storici diversi e complessi. Non si inventa nulla e non si guarda solo a quel che si vuole vedere, insomma. Non si nega, non si giustifica ma si contestualizza.

Per questo siamo qui stasera. Per dare alla nostra cassetta degli attrezzi una serie di strumenti per la battaglia di idee che vogliamo portare avanti. Con l’orizzonte contribuire a costruire città accoglienti, senza razzismo, fascismo, sessismo né alcuna forma di ingiustizie e oppressione.

 
 
 
Arretramento dell'ANPI sul "Confine Orientale"?
 
1) Come si cambia da un anno all'altro
2015: ANPI chiede di sospendere la Legge sul Giorno del Ricordo
2016: Smuraglia chiede chiarimenti a Del Rio e Serracchiani sulla proroga
2017: Carla Nespolo co-firmataria di Lettera Aperta al MIUR
2018: Documento ANPI "Il confine italo-sloveno. Analisi e riflessioni" non contesta il "Giorno del Ricordo"
2018: Carla Nespolo saluta il convegno di Torino "Giorno del Ricordo. Un bilancio"
2019: Carla Nespolo critica il convegno di Parma "Foibe e Fascismo"

(english / italiano)
 
Juan Guaidó, da Washington a Caracas via Belgrado
 
1) Dalle guarimbas alla ribalta mondiale. Guaidó, il «progetto preferito» della Casa Bianca. La ricostruzione di Max Blumenthal e Dan Cohen (di Roberto Livi / Il Manifesto, 06.02.2019)
 
2) The Making of Juan Guaidó: How the US Regime Change Laboratory Created Venezuela’s Coup Leader (by Dan Cohen and Max Blumenthal / The Grayzone, January 29, 2019)
 
 
Su OTPOR a Belgrado ed altri laboratori eversivi del neocolonialismo, si veda la nostra pagina dedicata:
 
 
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Dalle guarimbas alla ribalta mondiale. Guaidó, il «progetto preferito» della Casa bianca

La ricostruzione di Max Blumenthal e Dan Cohen. Nel dicembre 2018 si recò a Washington, in Colombia e in Brasile per coordinare un piano... Trump fu d’accordo ad appoggiarlo se questi era disposto ad autoproclamarsi presidente
 
di Roberto Livi, su Il Manifesto del 06.02.2019
 

Prima di far scattare il colpo di stato istituzionale il 22 gennaio, meno di 1 venezuelano su 5 aveva mai sentito parlare di Juan Guaidó. Fino a poche settimane prima, quest’uomo di 35 anni era un personaggio semioscuro, militante di una formazione di estrema destra, Voluntad Popular, emarginata nella stesa Mesa de Unidad democratica dell’opposizione perché implicata nelle azioni più violente delle sanguinose guarimbas del 2014 e 2016.

ANCHE NEL SUO PARTITO, Guaidó era una figura di medio livello, eletto per il rotto della cuffia nel 2015 all’Assemblea nazionale in una delle circoscrizioni meno popolate. Eppure questo anonimo parlamentare è stato “unto” come salvatore della democrazia venezuelana e autorizzato a proclamarsi «legittimo» presidente del Venezuela da una telefonata del vicepresidente Usa, Mike Pence.

IN UN LUNGO ARTICOLO pubblicato in The Grayzone Project – progetto per un giornalismo investigativo online e ripreso dal portale Cubadebate – i giornalisti-scrittori Max Blumenthal e Dan Cohen ricostruiscono la vicenda di Guaidó, uno dei giovani venezuelani di destra della “Generazione 2007” che ricevettero dai «laboratori specializzati in cambi di regimi» degli Usa – finanziati in gran parte dal National Endowment for Democracy, (Ned) appendice della Cia – l’addestramento per abbattere il governo, prima di Hugo Chávez poi di Maduro.

NEL 2005 Guaidó fu uno dei cinque «leader studenteschi» venezuelani che si recarono a Belgrado per conoscere le tecniche insurrezionali praticate dai giovani militanti di Otpor (in serbo Resistenza, gruppo fondato nel 1998) che iniziarono le proteste contro il presidente serbo Slobodan Milosevic (e poi fecero scuola per “Rivoluzioni colorate” in alcuni paesi ex comunisti come Ucraina e Georgia). L’addestramento proseguì negli Usa e in Messico e si concretizzò nelle barricate delle sanguinose guarimbas.

I due autori sottolineano come Guaidó sia «presidente dell’Assemblea nazionale, controllata dall’opposizione, ma mai è stato eletto a questa carica. I quattro maggiori partiti di opposizione che formavano la Mesa de Unidad Democrática avevano deciso una presidenza a rotazione. Quando toccò a Voluntad Popular, il suo fondatore, López, era agli arresti domiciliari (accusato di di guarimbas che avevano causato la morte di vari cittadini) e il suo secondo, Guevara, si era rifugiato presso l’ambasciata cilena. Un tal Juan Andrés Mejía avrebbe dovuto essere il terzo nella linea di comando, però, per ragioni che solo oggi sono chiare, fu selezionato Guaidó». Selezionato per sviluppare i piani appresi e concordati negli States.

«NEL DICEMBRE 2018 – proseguono i due autori dell’inchiesta – Guaidó si recò clandestinamente a Washington, in Colombia e in Brasile per coordinare un piano che prevedeva massicce manifestazioni nel corso dell’assunzione della presidenza da parte di Maduro (il 10 dicembre). La notte prima della cerimonia, il vicepresidente Usa Mike Pence e la ministra degli Esteri del Canada, Chrystia Freeland, telefonarono a Guaidó per confermargli il loro appoggio. Una settimana dopo i senatori Marco Rubio e Rick Scott e il deputato Mario Diaz-Balart – tutti parlamentari della lobby anticastrista in Florida – si riunirono con il presidente Trump e il vice Pence alla Casa bianca. Su loro richiesta, Trump fu d’accordo ad appoggiare Guaidó, se questi era disposto ad autoproclamarsi presidente». Anche il segretario di Stato, Mike Pompeo, «secondo il Wall Street Journal si riunì con Guaidó il 10 gennaio…».

BLUMENTHAL E COHEN proseguono l’inchiesta su come il golpe istituzionale sia stato preparato negli Usa scrivendo che «l’11 gennaio la pagina di Wikipedia di Guaidó è stata redatta 37 volte… Alla fine la supervisione editoriale della sua pagina fu consegnata all’élite del consiglio di “bibliotecari” di Wikipedia che lo dichiarò presidente del Venezuela “in disputa”».

I due autori concludono che «mentre aspetta un intervento diretto (degli Usa, ndr) Guaidó continua a essere quello che sempre è stato: il progetto favorito di ciniche forze straniere».

 
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ESP.: La creación de Juan Guaidó: cómo los laboratorios de cambio de régimen estadounidenses crearon al líder del golpe de estado en Venezuela (Por Dan Cohen y Max Blumenthal, January 31, 2019)
 
 
The Making of Juan Guaidó: How the US Regime Change Laboratory Created Venezuela’s Coup Leader 
 
Juan Guaidó is the product of a decade-long project overseen by Washington’s elite regime change trainers. While posing as a champion of democracy, he has spent years at the forefront of a violent campaign of destabilization.
 
by Dan Cohen and Max Blumenthal, January 29, 2019
 

Before the fateful day of January 22, fewer than one in fiveVenezuelans had heard of Juan Guaidó. Only a few months ago, the 35-year-old was an obscure character in a politically marginal far-right group closely associated with gruesome acts of street violence. Even in his own party, Guaidó had been a mid-level figure in the opposition-dominated National Assembly, which is now held under contempt according to Venezuela’s constitution. 

But after a single phone call from from US Vice President Mike Pence, Guaidó proclaimed himself president of Venezuela. Anointed as the leader of his country by Washington, a previously unknown political bottom-dweller was vaulted onto the international stage as the US-selected leader of the nation with the world’s largest oil reserves.

Echoing the Washington consensus, the New York Times editorial board hailed Guaidó as a “credible rival” to Maduro with a “refreshing style and vision of taking the country forward.” The Bloomberg News editorial board applauded him for seeking “restoration of democracy” and the Wall Street Journal declaredhim “a new democratic leader.” Meanwhile, Canada, numerous European nations, Israel, and the bloc of right-wing Latin American governments known as the Lima Group recognized Guaidó as the legitimate leader of Venezuela.

While Guaidó seemed to have materialized out of nowhere, he was, in fact, the product of more than a decade of assiduous grooming by the US government’s elite regime change factories. Alongside a cadre of right-wing student activists, Guaidó was cultivated to undermine Venezuela’s socialist-oriented government, destabilize the country, and one day seize power. Though he has been a minor figure in Venezuelan politics, he had spent years quietly demonstrated his worthiness in Washington’s halls of power.

“Juan Guaidó is a character that has been created for this circumstance,” Marco Teruggi, an Argentinian sociologist and leading chronicler of Venezuelan politics, told The Grayzone. “It’s the logic of a laboratory – Guaidó is like a mixture of several elements that create a character who, in all honesty, oscillates between laughable and worrying.” 

Diego Sequera, a Venezuelan journalist and writer for the investigative outlet Misión Verdad, agreed: “Guaidó is more popular outside Venezuela than inside, especially in the elite Ivy League and Washington circles,” Sequera remarked to The Grayzone, “He’s a known character there, is predictably right-wing, and is considered loyal to the program.”

While Guaidó is today sold as the face of democratic restoration, he spent his career in the most violent faction of Venezuela’s most radical opposition party, positioning himself at the forefront of one destabilization campaign after another. His party has been widely discredited inside Venezuela, and is held partly responsible for fragmenting a badly weakened opposition. 

“‘These radical leaders have no more than 20 percent in opinion polls,” wrote Luis Vicente León, Venezuela’s leading pollster. According to León, Guaidó’s party remains isolated because the majority of the population “does not want war. ‘What they want is a solution.’”

But this is precisely why Guaidó was selected by Washington: He is not expected to lead Venezuela toward democracy, but to collapse a country that for the past two decades has been a bulwark of resistance to US hegemony. His unlikely rise signals the culmination of a two decades-long project to destroy a robust socialist experiment.

Targeting the “troika of tyranny”

Since the 1998 election of Hugo Chávez, the United States has fought to restore control over Venezuela and is vast oil reserves. Chávez’s socialist programs may have redistributed the country’s wealth and helped lift millions out of poverty, but they also earned him a target on his back. 

In 2002, Venezuela’s right-wing opposition briefly ousted Chávez with US support and recognition, before the military restored his presidency following a mass popular mobilization. Throughout the administrations of US Presidents George W. Bush and Barack Obama, Chávez survived numerous assassination plots, before succumbing to cancer in 2013. His successor, Nicolas Maduro, has survived three attempts on his life.

The Trump administration immediately elevated Venezuela to the top of Washington’s regime change target list, branding it the leader of a “troika of tyranny.” Last year, Trump’s national security team attempted to recruit members of the military brass to mount a military junta, but that effort failed.

According to the Venezuelan government, the US was also involved in a plot, codenamed Operation Constitution, to capture Maduro at the Miraflores presidential palace; and another, called Operation Armageddon, to assassinate him at a military parade in July 2017. Just over a year later, exiled opposition leaders tried and failed to kill Maduro with drone bombs during a military parade in Caracas.

More than a decade before these intrigues, a group of right-wing opposition students were hand-selected and groomed by an elite US-funded regime change training academy to topple Venezuela’s government and restore the neoliberal order.

Training from the “‘export-a-revolution’ group that sowed the seeds for a NUMBER of color revolutions”

On October 5, 2005, with Chávez’s popularity at its peak and his government planning sweeping socialist programs, five Venezuelan “student leaders” arrived in Belgrade, Serbia to begin training for an insurrection. 

The students had arrived from Venezuela courtesy of the Center for Applied Non-Violent Action and Strategies, or CANVAS. This group is funded largely through the National Endowment for Democracy, a CIA cut-out that functions as the US government’s main arm of promoting regime change; and offshoots like the International Republican Institute and the National Democratic Institute for International Affairs. According to leaked internal emails from Stratfor, an intelligence firm known as the “shadow CIA,” CANVAS “may have also received CIA funding and training during the 1999/2000 anti-Milosevic struggle.”

CANVAS is a spinoff of Otpor, a Serbian protest group founded by Srdja Popovic in 1998 at the University of Belgrade. Otpor, which means “resistance” in Serbian, was the student group that gained international fame — and Hollywood-level promotion — by mobilizing the protests that eventually toppled Slobodan Milosevic. 

This small cell of regime change specialists was operating according to the theories of the late Gene Sharp, the so-called “Clausewitz of non-violent struggle.” Sharp had worked with a former Defense Intelligence Agency analyst, Col. Robert Helvey, to conceive a strategic blueprint that weaponized protest as a form of hybrid warfare, aiming it at states that resisted Washington’s unipolar domination.

[PHOTO: Otpor at the 1998 MTV Europe Music Awards
 

Otpor was supported by the National Endowment for Democracy, USAID, and Sharp’s Albert Einstein Institute. Sinisa Sikman, one of Otpor’s main trainers, once said the group even received direct CIA funding. 

According to a leaked email from a Stratfor staffer, after running Milosevic out of power, “the kids who ran OTPOR grew up, got suits and designed CANVAS… or in other words a ‘export-a-revolution’ group that sowed the seeds for a NUMBER of color revolutions. They are still hooked into U.S. funding and basically go around the world trying to topple dictators and autocratic governments (ones that U.S. does not like ;).”

Stratfor revealed that CANVAS “turned its attention to Venezuela” in 2005, after training opposition movements that led pro-NATO regime change operations across Eastern Europe.

While monitoring the CANVAS training program, Stratfor outlined its insurrectionist agenda in strikingly blunt language: “Success is by no means guaranteed, and student movements are only at the beginning of what could be a years-long effort to trigger a revolution in Venezuela, but the trainers themselves are the people who cut their teeth on the ‘Butcher of the Balkans.’ They’ve got mad skills. When you see students at five Venezuelan universities hold simultaneous demonstrations, you will know that the training is over and the real work has begun.”

Birthing the “Generation 2007” regime change cadre

The “real work” began two years later, in 2007, when Guaidó graduated from Andrés Bello Catholic University of Caracas. He moved to Washington, DC to enroll in the Governance and Political Management Program at George Washington University, under the tutelage of Venezuelan economist Luis Enrique Berrizbeitia, one of the top Latin American neoliberal economists. Berrizbeitia is a former executive director of the International Monetary Fund (IMF) who spent more than a decade working in the Venezuelan energy sector, under the old oligarchic regime that was ousted by Chávez.

That year, Guaidó helped lead anti-government rallies after the Venezuelan government declined to to renew the license of Radio Caracas Televisión (RCTV). This privately owned station played a leading role in the 2002 coup against Hugo Chávez. RCTV helped mobilize anti-government demonstrators, falsified information blaming government supporters for acts of violence carried out by opposition members, and banned pro-government reporting amid the coup. The role of RCTV and other oligarch-owned stations in driving the failed coup attempt was chronicled in the acclaimed documentary The Revolution Will Not Be Televised.

That same year, the students claimed credit for stymying Chavez’s constitutional referendum for a “21st century socialism” that promised “to set the legal framework for the political and social reorganization of the country, giving direct power to organized communities as a prerequisite for the development of a new economic system.” 

From the protests around RCTV and the referendum, a specialized cadre of US-backed class of regime change activists was born. They called themselves “Generation 2007.”

The Stratfor and CANVAS trainers of this cell identified Guaidó’s ally – a libertarian political organizer named Yon Goicoechea – as a “key factor” in defeating the constitutional referendum. The following year, Goicochea was rewarded for his efforts with the Cato Institute’s Milton Friedman Prize for Advancing Liberty, along with a $500,000 prize, which he promptly invested into his political network.

[PHOTO: Goigochea rewarded
 

Friedman, of course, was the godfather of the notorious neoliberal Chicago Boys who were imported into Chile by dictatorial junta leader Augusto Pinochet to implement policies of radical “shock doctrine”-style fiscal austerity. And the Cato Institute is the libertarian Washington DC-based think tank founded by the Koch Brothers, two top Republican Party donors who have become aggressive supporters of the right-wing across Latin America. 

Wikileaks published a 2007 email from American ambassador to Venezuela William Brownfield sent to the State Department, National Security Council and Department of Defense Southern Command praising “Generation of ’07” for having “forced the Venezuelan president, accustomed to setting the political agenda, to (over)react.” Among the “emerging leaders” Brownfield identified were Freddy Guevara and Yon Goicoechea. He applauded the latter figure as “one of the students’ most articulate defenders of civil liberties.”

Flush with cash from libertarian oligarchs and US government soft power outfits, the radical Venezuelan cadre took their Otpor tactics to the streets, along with a version of the group’s logo, as seen below:

 

“Galvanizing public unrest…to take advantage of the situation and spin it against Chavez”

In 2009, the Generation 2007 youth activists staged their most provocative demonstration yet, dropping their pants on public roads and aping the outrageous guerrilla theater tactics outlined by Gene Sharp in his regime change manuals. The protesters had mobilized against the arrest of an ally from another newfangled youth group called JAVU. This far-right group “gathered funds from a variety of US government sources, which allowed it to gain notoriety quickly as the hardline wing of opposition street movements,” according to academic George Ciccariello-Maher’s book, “Building the Commune.”

While video of the protest is not available, many Venezuelans have identified Guaidó as one of its key participants. While the allegation is unconfirmed, it is certainly plausible; the bare-buttocks protesters were members of the Generation 2007 inner core that Guaidó belonged to, and were clad in their trademark Resistencia! Venezuela t-shirts, as seen below:

[PHOTO: Is this the ass that Trump wants to install in Venezuela’s seat of power?
 

That year, Guaidó exposed himself to the public in another way, founding a political party to capture the anti-Chavez energy his Generation 2007 had cultivated. Called Popular Will, it was led by Leopoldo López, a Princeton-educated right-wing firebrand heavily involved in National Endowment for Democracy programs and elected as the mayor of a district in Caracas that was one of the wealthiest in the country. Lopez was a portrait of Venezuelan aristocracy, directly descended from his country’s first president. He was also the first cousin of Thor Halvorssen, founder of the US-based Human Rights Foundation that functions as a de facto publicity shop for US-backed anti-government activists in countries targeted by Washington for regime change. 

Though Lopez’s interests aligned neatly with Washington’s, US diplomatic cables published by Wikileaks highlighted the fanatical tendencies that would ultimately lead to Popular Will’s marginalization. One cable identified Lopez as “a divisive figure within the opposition… often described as arrogant, vindictive, and power-hungry.” Others highlighted his obsession with street confrontations and his “uncompromising approach” as a source of tension with other opposition leaders who prioritized unity and participation in the country’s democratic institutions.

[PHOTO: Popular Will founder Leopoldo Lopez cruising with his wife, Lilian Tintori
 

By 2010, Popular Will and its foreign backers moved to exploit the worst drought to hit Venezuela in decades. Massive electricity shortages had struck the country due the dearth of water, which was needed to power hydroelectric plants. A global economic recession and declining oil prices compounded the crisis, driving public discontentment. 

Stratfor and CANVAS – key advisors of Guaidó and his anti-government cadre – devised a shockingly cynical plan to drive a dagger through the heart of the Bolivarian revolution. The scheme hinged on a 70% collapse of the country’s electrical system by as early as April 2010. 

“This could be the watershed event, as there is little that Chavez can do to protect the poor from the failure of that system,” the Stratfor internal memo declared. “This would likely have the impact of galvanizing public unrest in a way that no opposition group could ever hope to generate. At that point in time, an opposition group would be best served to take advantage of the situation and spin it against Chavez and towards their needs.” 

By this point, the Venezuelan opposition was receiving a staggering $40-50 million a year from US government organizations like USAID and the National Endowment for Democracy, according to a report by the Spanish think tank, the FRIDE Institute. It also had massive wealth to draw on from its own accounts, which were mostly outside the country.

While the scenario envisioned by Statfor did not come to fruition, the Popular Will party activists and their allies cast aside any pretense of non-violence and joined a radical plan to destabilize the country. 

Towards violent destabilization

In November, 2010, according to emails obtained by Venezuelan security services and presented by former Justice Minister Miguel Rodríguez Torres, Guaidó, Goicoechea, and several other student activists attended a secret five-day training at a hotel dubbed “Fiesta Mexicana” hotel in Mexico. The sessions were run by Otpor, the Belgrade-based regime change trainers backed by the US government. The meeting had reportedly received the blessing of Otto Reich, a fanatically anti-Castro Cuban exile working in George W. Bush’s Department of State, and the right-wing former Colombian President Alvaro Uribe. 

Inside the meetings, the emails stated, Guaidó and his fellow activists hatched a plan to overthrow President Hugo Chavez by generating chaos through protracted spasms of street violence. 

Three petroleum industry figureheads – Gustavo Torrar, Eligio Cedeño and Pedro Burelli – allegedly covered the $52,000 tab to hold the meeting. Torrar is a self-described “human rights activist” and “intellectual” whose younger brother Reynaldo Tovar Arroyo is the representative in Venezuela of the private Mexican oil and gas company Petroquimica del Golfo, which holds a contract with the Venezuelan state. 

Cedeño, for his part, is a fugitive Venezuelan businessman who claimed asylum in the United States, and Pedro Burelli a former JP Morgan executive and the former director of Venezuela’s national oil company, Petroleum of Venezuela (PDVSA). He left PDVSA in 1998 as Hugo Chavez took power and is on the advisory committee of Georgetown University’s Latin America Leadership Program. 

Burelli insisted that the emails detailing his participation had been fabricated and even hired a private investigator to prove it. The investigator declared that Google’s records showed the emails alleged to be his were never transmitted.

Yet today Burelli makes no secret of his desire to see Venezuela’s current president, Nicolás Maduro, deposed – and even dragged through the streets and sodomized with a bayonet, as Libyan leader Moammar Qaddafi was by NATO-backed militiamen.

 

Update: Burelli contacted the Grayzone after the publication of this article to clarify his participation in the “Fiesta Mexicana” plot. 

Burelli called the meeting “a legitimate activity that took place in a hotel by a different name” in Mexico.

Asked if OTPOR coordinated the meeting, he would only state that he “likes” the work of OTPOR/CANVAS and while not a funder of it, has “recommended activists from different countries to track them and participate in the activities they conduct in various countries.”

Burelli added: “The Einstein Institute trained thousands openly in Venezuela. Gene Sharpe’s philosophy was widely studied and embraced. And this has probably kept the struggle from turning into a civil war.”

The alleged Fiesta Mexicana plot flowed into another destabilization plan revealed in a series of documents produced by the Venezuelan government. In May 2014, Caracas released documents detailing an assassination plot against President Nicolás Maduro. The leaks identified the anti-Chavez hardliner Maria Corina Machado – today the main asset of Sen. Marco Rubio – as a leader of the scheme. The founder of the National Endowment for Democracy-funded group, Sumate, Machado has functioned as an international liaison for the opposition, visiting President George W. Bush in 2005.

[PHOTO: Machado and George W. Bush, 2005
 

“I think it is time to gather efforts; make the necessary calls, and obtain financing to annihilate Maduro and the rest will fall apart,” Machado wrote in an email to former Venezuelan diplomat Diego Arria in 2014.

In another email, Machado claimed that the violent plot had the blessing of US Ambassador to Colombia, Kevin Whitaker. “I have already made up my mind and this fight will continue until this regime is overthrown and we deliver to our friends in the world. If I went to San Cristobal and exposed myself before the OAS, I fear nothing. Kevin Whitaker has already reconfirmed his support and he pointed out the new steps. We have a checkbook stronger than the regime’s to break the international security ring.” 

Guaidó heads to the barricades

That February, student demonstrators acting as shock troops for the exiled oligarchy erected violent barricades across the country, turning opposition-controlled quarters into violent fortresses known as guarimbas. While international media portrayed the upheaval as a spontaneous protest against Maduro’s iron-fisted rule, there was ample evidence that Popular Will was orchestrating the show. 

None of the protesters at the universities wore their university t-shirts, they all wore Popular Will or Justice First t-shirts,” a guarimba participant said at the time. “They might have been student groups, but the student councils are affiliated to the political opposition parties and they are accountable to them.” 

Asked who the ringleaders were, the guarimba participant said, “Well if I am totally honest, those guys are legislators now.” 

Around 43 were killed during the 2014 guarimbas. Three years later, they erupted again, causing mass destruction of public infrastructure, the murder of government supporters, and the deaths of 126 people, many of whom were Chavistas. In several cases, supporters of the government were burned alive by armed gangs.

Guaidó was directly involved in the 2014 guarimbas. In fact, he tweeted video showing himself clad in a helmet and gas mask, surrounded by masked and armed elements that had shut down a highway that were engaging in a violent clash with the police. Alluding to his participation in Generation 2007, he proclaimed, “I remember in 2007, we proclaimed, ‘Students!’ Now, we shout, ‘Resistance! Resistance!'” 

Guaidó has deleted the tweet, demonstrating apparent concern for his image as a champion of democracy.

[VIDEO: Venezuela coup leader Juan Guaidó participates in violent guarimba riot in 2014 (The Grayzone, 28 gen 2019)
 
On February 12, 2014, during the height of that year’s guarimbas, Guaidó joined Lopez on stage at a rally of Popular Will and Justice First. During a lengthy diatribe against the government, Lopez urged the crowd to march to the office of Attorney General Luisa Ortega Diaz. Soon after, Diaz’s office came under attack by armed gangs who attempted to burn it to the ground. She denounced what she called “planned and premeditated violence.”
 
[PHOTO: Guaido alongside Lopez at the fateful February 12, 2014 rally
 

In an televised appearance in 2016, Guaidó dismissed deaths resulting from guayas – a guarimba tactic involving stretching steel wire across a roadway in order to injure or kill motorcyclists – as a “myth.” His comments whitewashed a deadly tactic that had killed unarmed civilians like Santiago Pedroza and decapitated a man named Elvis Durán, among many others. 

This callous disregard for human life would define his Popular Will party in the eyes of much of the public, including many opponents of Maduro.

Cracking down on Popular Will 

As violence and political polarization escalated across the country, the government began to act against the Popular Will leaders who helped stoke it.

Freddy Guevara, the National Assembly Vice-President and second in command of Popular Will, was a principal leader in the 2017 street riots. Facing a trial for his role in the violence, Guevara took shelter in the Chilean embassy, where he remains.

Lester Toledo, a Popular Will legislator from the state of Zulia, was wanted by Venezuelan government in September 2016 on charges of financing terrorism and plotting assassinations. The plans were said to be made with former Colombian President Álavaro Uribe. Toledo escaped Venezuela and went on several speaking tours with Human Rights Watch, the US government-backed Freedom House, the Spanish Congress and European Parliament.

Carlos Graffe, another Otpor-trained Generation 2007 member who led Popular Will, was arrested in July 2017. According to police, he was in possession of a bag filled with nails, C4 explosives and a detonator. He was released on December 27, 2017. 

Leopoldo Lopez, the longtime Popular Will leader, is today under house arrest, accused of a key role in deaths of 13 people during the guarimbas in 2014. Amnesty International lauded Lopez as a “prisoner of conscience” and slammed his transfer from prison to house as “not good enough.” Meanwhile, family members of guarimba victims introduced a petition for more charges against Lopez.

Yon Goicoechea, the Koch Brothers posterboy, was arrested in 2016 by security forces who claimed they found found a kilo of explosives in his vehicle. In a New York Times op-ed, Goicoechea protested the charges as “trumped-up” and claimed he had been imprisoned simply for his “dream of a democratic society, free of Communism.” He was freed in November 2017.

 

David Smolansky, also a member of the original Otpor-trained Generation 2007, became Venezuela’s youngest-ever mayor when he was elected in 2013 in the affluent suburb of El Hatillo. But he was stripped of his position and sentenced to 15 months in prison by the Supreme Court after it found him culpable of stirring the violent guarimbas.  

Facing arrest, Smolansky shaved his beard, donned sunglasses and slipped into Brazil disguised as a priest with a bible in hand and rosary around his neck. He now lives in Washington, DC, where he was hand picked by Secretary of the Organization of American States Luis Almagro to lead the working group on the Venezuelan migrant and refugee crisis.

This July 26, Smolansky held what he called a “cordial reunion” with Elliot Abrams, the convicted Iran-Contra felon installed by Trump as special US envoy to Venezuela. Abrams is notorious for overseeing the US covert policy of arming right-wing death squads during the 1980’s in Nicaragua, El Salvador, and Guatemala. His lead role in the Venezuelan coup has stoked fears that another blood-drenched proxy war might be on the way.

 

Four days earlier, Machado rumbled another violent threat against Maduro, declaring that if he “wants to save his life, he should understand that his time is up.”

A pawn in their game

The collapse of Popular Will under the weight of the violent campaign of destabilization it ran alienated large sectors of the public and wound much of its leadership up in exile or in custody. Guaidó had remained a relatively minor figure, having spent most of his nine-year career in the National Assembly as an alternate deputy. Hailing from one of Venezuela’s least populous states, Guaidó came in second place during the 2015 parliamentary elections, winning just 26% of votes cast in order to secure his place in the National Assembly. Indeed, his bottom may have been better known than his face.

Guaidó is known as the president of the opposition-dominated National Assembly, but he was never elected to the position. The four opposition parties that comprised the Assembly’s Democratic Unity Table had decided to establish a rotating presidency. Popular Will’s turn was on the way, but its founder, Lopez, was under house arrest. Meanwhile, his second-in-charge, Guevara, had taken refuge in the Chilean embassy. A figure named Juan Andrés Mejía would have been next in line but reasons that are only now clear, Juan Guaido was selected.   

“There is a class reasoning that explains Guaidó’s rise,” Sequera, the Venezuelan analyst, observed. “Mejía is high class, studied at one of the most expensive private universities in Venezuela, and could not be easily marketed to the public the way Guaidó could. For one, Guaidó has common mestizo features like most Venezuelans do, and seems like more like a man of the people. Also, he had not been overexposed in the media, so he could be built up into pretty much anything.”

In December 2018, Guaidó sneaked across the border and junketed to Washington, Colombia and Brazil to coordinate the plan to hold mass demonstrations during the inauguration of President Maduro. The night before Maduro’s swearing-in ceremony, both Vice President Mike Pence and Canadian Foreign Minister Chrystia Freeland called Guaidó to affirm their support. 

A week later, Sen. Marco Rubio, Sen. Rick Scott and Rep. Mario Diaz-Balart – all lawmakers from the Florida base of the right-wing Cuban exile lobby – joined President Trump and Vice President Pence at the White House. At their request, Trump agreed that if Guaidó declared himself president, he would back him.

Secretary of State Mike Pompeo met personally withGuaidó on January 10, according to the Wall Street Journal. However, Pompeo could not pronounce Guaidó’s name when he mentioned him in a press briefing on January 25, referring to him as “Juan Guido.”

 

By January 11, Guaidó’s Wikipedia page had been edited 37 times, highlighting the struggle to shape the image of a previously anonymous figure who was now a tableau for Washington’s regime change ambitions. In the end, editorial oversight of his page was handed over to Wikipedia’s elite council of “librarians,” who pronounced him the “contested” president of Venezuela.

Guaidó might have been an obscure figure, but his combination of radicalism and opportunism satisfied Washington’s needs. “That internal piece was missing,” a Trump administration said of Guaidó. “He was the piece we needed for our strategy to be coherent and complete.”

“For the first time,” Brownfield, the former American ambassador to Venezuela, gushed to the New York Times, “you have an opposition leader who is clearly signaling to the armed forces and to law enforcement that he wants to keep them on the side of the angels and with the good guys.”

But Guaidó’s Popular Will party formed the shock troops of the guarimbas that caused the deaths of police officers and common citizens alike. He had even boasted of his own participation in street riots. And now, to win the hearts and minds of the military and police, Guaido had to erase this blood-soaked history. 

On January 21, a day before the coup began in earnest, Guaidó’s wife delivered a video address calling on the military to rise up against Maduro. Her performance was wooden and uninspiring, underscoring her husband’s political limits. 

While Guaidó waits on direct assistance, he remains what he has always been – a pet project of cynical outside forces. “It doesn’t matter if he crashes and burns after all these misadventures,” Sequera said of the coup figurehead. “To the Americans, he is expendable.”


Max Blumenthal is an award-winning journalist and the author of several books, including best-selling Republican GomorrahGoliathThe Fifty One Day War, and The Management of Savagery. He has produced print articles for an array of publications, many video reports, and several documentaries, including Killing Gaza. Blumenthal founded The Grayzone in 2015 to shine a journalistic light on America’s state of perpetual war and its dangerous domestic repercussions.

 

Dan Cohen is a journalist and filmmaker. He has produced widely distributed video reports and print dispatches from across Israel-Palestine. Dan is a correspondent at RT America and tweets at @DanCohen3000.

http://www.dancohenmedia.com/
 
 
L'ANPI nella trappola del "Giorno del Ricordo"
 
1) Intimidazioni anche a Parma 
Attacco iniziato da ADNKronos contro l'ANPI di Parma per l'iniziativa del 10/2 al Cinema Astra, rincarano la dose Salvini e Foti
Lettera aperta di Sandi Volk / Testo del volantino di accompagnamento alla iniziativa
2) Perche' il documento ANPI sui "Confini Orientali" è insufficiente rispetto alla offensiva revisionista-revanscista (G. Caggiati)
 
Vedi anche:
 
Gorizia, se la Decima Mas è ricevuta in Comune (di Anna Di Gianantonio, presidente ANPI Gorizia, 28.1.2019)
Anpi con sindacati, partiti e associazioni democratiche italiane e slovene in presidio di protesta per la decisione del Comune di ricevere i nostalgici della flottiglia alleata dei nazisti. Quando la storia del confine orientale è piegata alle pulsioni nazionaliste... Da anni a Gorizia, ogni 19 gennaio, in Comune arrivano i reduci della Decima Mas di Junio Valerio Borghese, autore del tentato golpe del 1970... l’assessore delegata del sindaco ha accolto con la fascia tricolore i reduci accompagnati dai fascisti di CasaPound. All’Anpi è stato vietato il presidio davanti al Comune...
 
 
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Parma, domenica 10 febbraio 2019
alle ore 10:30 presso il Cinema Astra, Piazzale Volta 3
 
FOIBE E FASCISMO 2019
 
Quattordicesima edizione della contromanifestazione cittadina in occasione del "Giorno del Ricordo"  
(per le precedenti si veda: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/parma_iniziative.htm )

Alle 10.30  CONFERENZA di Sandi Volk, storico, "I morti delle foibe riconosciuti dalla legge: 354, quasi tutti delle forze armate dell'Italia fascista"
alle  11.00  LETTURA DI TESTIMONIANZE di antifascisti e partigiani
alle  11.15  VIDEO "La foiba di Basovizza: un falso storico" di Alessandra Kersevan, storica e editrice
alle  11.30  VIDEO "Norma Cossetto: un caso tutt'altro che chiaro" di Claudia Cernigoi, giornalista e ricercatrice storica
 
a cura del Comitato Antifascista Antimperialista e per la Memoria Storica con l'adesione di ANPI e ANPPIA

 
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Sulle polemiche, in ordine cronologico inverso:
 
Foibe e fascismo, scontro tra Lega e Anpi sul convegno di Parma (4 febbraio 2019)
"È necessario rivedere i contributi alle associazioni, come l'Anpi, che negano le stragi fatte dai comunisti nel dopoguerra''. Lo dice il ministro dell'Interno Matteo Salvini, intervenendo sulle polemiche per il convegno organizzato sulle Foibe da Anpi il 10 febbraio a Parma... 
Quindi una presa di distanza: "Sia la frase sulla pagina Facebook dell’Anpi di Rovigo che l’iniziativa di Parma non sono condivisibili e offrono uno straordinario pretesto di polemica a chi è molto più amico di Casapound che dell’Anpi" conclude Nespolo [presidente nazionale ANPI]. 
Anche l'associazione cittadina reagisce: "Nessun convegno negazionista e nessuna sponsorizzazione", dice il presidente Aldo Montermini... "si tratta in realtà della quattordicesima edizione di una iniziativa, promossa dal comitato antifascista antimperialista e per la memoria storica, che in occasione della giornata del ricordo, invita a riflettere, oltre che sulle foibe, anche sul ruolo che ha avuto l'occupazione fascista in quelle terre... L'Anpi - prosegue Montermini - è sempre stato presente all'iniziativa e anche quest'anno parteciperà (che è diverso da sponsorizzare) in piena autonomia come è suo costume"...
 
Foibe, l'Anpi nazionale: "Iniziativa di Parma non condivisibile" perché alimenta polemiche (4 Febbraio 2019)
Foibe, cresce la polemica a Parma. La prima scintilla è tra Fratelli d'Italia e l'Anpi. Il senatore FdI Luca Ciriani critica l'Anpi per il suo sostegno a un convegno sul tema "Foibe e Fascismo", durante il quale sarà diffuso il video "La foiba di Basovizza: un falso storico". L'associazione partigiani risponde che non si tratta di una sponsorizzazione e che il convegno non è negazionista. 
Nel pomeriggio il ministro dell'Interno Matteo Salvini è intervenuto nella polemica, sostenendo che occorre rivedere i contributi alle associazioni "che negano le stragi fatte dai comunisti". L'Anpi nazionale dice "le minacce di Salvini non ci spaventano" ma aggiunge che l'iniziativa di Parma non è condivisibile perché è di quelle che "offrono pretesti di polemica a chi è più amico di Casapound che dell'Anpi"...
Foibe: convegno parmigiano, polemiche e critiche nazionali tra Salvini, Anpi e FdI (Gazzetta di Parma, 4 Febbraio 2019)
 
Ora l'Anpi sponsorizza il convegno che nega le foibe (Luisa De Montis - Dom, 03/02/2019)
In programma per domenica prossima, in un noto cinema della città emiliana, la conferenza negazionista, con registi e storici da sempre sostenitori di posizioni revisioniste.. Ma lo scandalo è il logo dell'Anpi di Parma sulla locandina...
 
Foibe, Anpi 'sponsor' del convegno revisionista (03/02/2019)
Non si sono ancora placate le polemiche sul post negazionista dell'Anpi di Rovigo, che per i Partigiani d'Italia spunta un'altra grana. Il logo dell'associazione infatti è presente sulla locandina del convegno revisionista "Foibe e Fascismo 2019", la "Quattordicesima edizione della contromanifestazione cittadina in occasione del 'Giorno del Ricordo'" in programma il 10 febbraio alle 10.30 al Cinema Astra di Parma. Con l'Anpi ci sono anche l'Anppia, l'associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti, e il Comitato antifascista antimperialista e per la memoria storica a patrocinare l'evento, che vede gli interventi di alcuni storici già finiti al centro delle polemiche per le loro posizioni revisioniste...
 
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Lettera aperta – con richiesta di pubblicazione
A:
Matteo Salvini, Ministro degli Affari Interni
Massimiliano Fedriga, Presidente della Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia
Carla Nespolo, Presidente nazionale dell’ANPI
 
Leggo le vs. dichiarazioni in merito all’iniziativa che da oltre dieci anni diverse associazioni antifasciste organizzano a Parma in occasione del Giorno del Ricordo e che quest’anno (come già in anni passati) mi vede onorato dell’invito a portarvi un mio contributo. Essendo direttamente coinvolto vorrei dirvi alcune cose in merito.  

Vorrei innanzitutto invitare tutti e tre a LEGGERE quello che scriviamo io e i miei colleghi in merito alla Giornata del Ricordo e delle foibe prima di sparare giudizi. Definirci negazionisti (cosa che non mi farà certamente adeguare alla vulgata, anche pseudo-storica, sulla vicenda) è non solo sbagliato, ma un assurdo, dato che quelli che veniamo definiti “negazionisti” siamo gli unici a fare vera ricerca sul tema. Personalmente mi occupo da anni di raccogliere i nomi (dato che non esiste un elenco ufficiale) delle persone alla cui memoria ogni 10 febbraio vengono assegnati i riconoscimenti. Dove starebbe il negazionismo? Nel fatto che le persone alla cui memoria è stato concesso il riconoscimento sono in tutto 354 (al 10/2(2018)? Che tra i c.d. infoibati a cui è stato concesso il riconoscimento c’è pure una persona per la la quale è accertato che è morta da partigiano, uccisa dai nazisti? Che di un'altra la stessa motivazione ufficiale per la concessione del riconoscimento afferma che è stata fucilata dai nazisti? Che gran parte dei riconoscimenti sono stati concessi alla memoria di persone cadute in combattimento, o facenti parte di formazioni armate al servizio dei nazisti, o, ancora, condannate a morte dopo un processo che ne aveva accertato la responsabilità per delitti efferati, che stando alla lettera della legge dovrebbero essere escluse dalla possibilità di avere il riconoscimento?

Vogliamo confrontarci su questo in maniera seria, argomentata e documentata? Non ci siamo mai tirati indietro, anzi.

Al Ministro degli Interni ho da dire solo un bel – e credo che apprezzerà - “me ne frego” delle sue contumelie. Perché se una volta mi facevano arrabbiare ora le considero scontate, il ripetersi di un copione, che non fa che confermare che quanto sto e stiamo facendo è giusto e sta dando risultati.  Visto che di “negazionisti” ce n’è sempre di più e sempre più autorevoli e che pian pianino la realtà sulle fandonie che vengono raccontate ogni 10 febbraio si sta facendo sempre più strada. 

Al Presidente della Regione FVG Fedriga dico che sono assolutamente d’accordo quando afferma che usare il dolore  “... per alimentare divisioni e riaprire ferite che hanno lacerato il confine orientale nel secondo dopoguerra è un esercizio che la Regione non può che condannare con forza ...“, solo che a farlo non sono certamente gli organizzatori dell’iniziativa di Parma, ma altri. Ad esempio l’Associazione nazionale congiunti infoibati, che nell’aprile del 2016 ha indicato al sindaco di Osilia, in Sardegna, il nominativo di un cittadino osiliese che, a dire dell’associazione, sarebbe stato “infoibato”, ma che il Ministero della Difesa ha accertato essere morto ... in Russia (vedi La Nuova Sardegna, 20.2.2017)!

Alla presidente dell’ANPI vorrei chiedere un minimo di coerenza. Perché non è possibile fare appelli all’antifascismo e poi considerare “non condivisibile” quanto fanno coloro che l’impegno antifascista lo hanno pagato e lo pagano con licenziamenti, attacchi, insulti e minacce. Perché o si sta con gli antifascisti, oppure si sta con chi fa, lui si, il gioco degli amici di Casapound: i “fascisti del terzo millennio” l’occupazione dello stabile in cui hanno la loro sede nazionale a Roma l’hanno “regolarizzata” all’epoca del sindaco Veltroni, e sono diversi gli esponenti del PD che con Casapound hanno “democraticamente” interloquito, anche partecipando a incontri nelle sedi dell’associazione fascista. Questi sono coloro che hanno sdoganato Casapound e simili, che hanno avuto nel Giorno del Ricordo lo strumento della ri-legittimazione ufficiale del fascismo e dei fascisti, passati ed attuali. A dimostrarlo c’è proprio quanto accade ad ogni 10 febbraio, quando le varie organizzazioni fasciste fanno a gara per onorare pubblicamente e con la benedizione dello Stato (nonché con finanziamenti e sponsorizzazioni pubbliche) i “loro” caduti e diffondere le loro teorizzazioni.

Cordiali saluti.
 
Sandi Volk
Trieste, 5/2/2019
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Di seguito il volantino di accompagnamento alla iniziativa di Parma:
 
L’ITALIA FASCISTA AGGREDI’ LA JUGOSLAVIA, NON VICEVERSA!

Il primo razzismo di Mussolini, prima ancora delle leggi razziali del 1938 contro gli ebrei, fu quello contro i popoli slavi. Disse Mussolini nel 1920 a Pola: <<Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone>>. Nell’aprile del 1941 l’esercito italiano del re e di Mussolini aggredì e invase la Jugoslavia, che nulla aveva fatto contro l’Italia. L’Italia fascista si annesse direttamente alcuni territori (come Lubiana e parte della Slovenia), altri tenne sotto controllo, in condizioni
di occupazione particolarmente dure e crudeli non meno di quelle naziste. Distruzione di interi villaggi sloveni e croati dati alle fiamme, massacro di decine di migliaia di civili, prigionia e campi di concentramento in Jugoslavia e in Italia. E questo dopo aver attuato, il fascismo, nel corso del ventennio, nelle zone del confine nordorientale del Regno d’Italia abitate anche da sloveni e croati, la chiusura delle scuole slovene e croate, il cambiamento della lingua e dei nomi, l’italianizzazione forzata. Successivamente alle azioni delle squadracce
fasciste contro centri culturali, sedi sindacali, cooperative agricole, giornali operai, politici e cittadini di “razza slava”. Una violenza dunque, quella fascista, precedente, sistematica e pianificata, di proporzioni assolutamente più grandi – 700 e oltre sono stati i criminali di guerra italiani in Jugoslavia, a cominciare dai generali Roatta e Robotti, secondo la Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra, nessuno dei quali è stato mai condannato né estradato e consegnato alle autorità jugoslave – rispetto a quella jugoslava per i morti delle foibe
nel settembre/ottobre ’43 e nel maggio ’45.
Le foibe, alle quali aveva già pensato il fascismo col ministro Cobolli Gigli che aveva scritto: <<La musa istriana ha chiamato foiba il degno posto di sepoltura per chi, nella provincia, minaccia con audaci pretese le caratteristiche nazionali dell’Istria>>, sono cavità naturali profonde presenti nelle zone carsiche del confine nordorientale, utilizzate da sempre dagli abitanti per disfarsi di oggetti e cose varie, per far sparire carcasse di animali e anche uomini stessi vittime di tragedie private. In Italia nel 2004 la legge 92 <<Istituzione del giorno del
ricordo in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati>> ha fatto del 10 febbraio di ogni anno un giorno di solennità civile nazionale atto innanzitutto a celebrare i morti delle foibe del settembre/ottobre ’43 e del maggio ’45 per mano dei partigiani jugoslavi. Ma quanti sono e chi sono i morti delle foibe che in oltre dieci anni di applicazione della legge hanno ufficialmente ricevuto (loro famigliari) riconoscimenti e medaglie
della Repubblica italiana? Ad oggi, gennaio 2019, risultano essere 354, in gran parte appartenenti a formazioni armate dell’Italia fascista e personale politico fascista, in minima parte scomparsi nelle foibe vere e proprie. 
Numeri e identità ben diversi dalle migliaia, decine di migliaia, di infoibati innocenti di cui parlano i promotori della legge 92/2004! Infondata è la tesi che vi sia stato nei confronti dell’Italia e degli italiani un <<disegno annessionistico slavo>> che <<assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica>> come disse il Presidente Napolitano il 10 febbraio 2007. Semmai c’è stato con la legge 92/2004 il tentativo politico di criminalizzare la Resistenza, innanzitutto la jugoslava, e di riaffermare il fascismo. Il fascismo che intraprese la guerra,
che è stato il vero aggressore e feroce occupante di Jugoslavia e Balcani, razzista e imperialista. Un tentativo politico di rovesciamento della realtà storica. Eclatante il caso del parmense Paride Mori fascista repubblichino volontario al confine nordorientale col grado di capitano del Battaglione Bersaglieri <<Mussolini>> ucciso nel ’44 con armi da fuoco dai partigiani jugoslavi al quale (suoi figli) il 10 febbraio 2015 le massime autorità della Repubblica hanno dato la medaglia da vittima delle foibe. Medaglia che è stata poi revocata in seguito alle forti
proteste antifasciste..

· Nessun riconoscimento e medaglia della Repubblica italiana nata dalla Resistenza a fascisti “vittime delle foibe”.
· Revoca dei riconoscimenti e medaglie di questo tipo dati dal 2005 ad oggi.
· Onore ai soldati italiani partigiani morti a migliaia combattendo in Jugoslavia dopo l’8 settembre ’43 contro il nazifascismo a fianco della Resistenza Jugoslava.
· Cancellazione dalla toponomastica stradale di Parma di <<via martiri delle foibe>>, nome fuorilegge stante che <<martiri delle foibe>> non si trova mai scritto nemmeno nella legge 92/2004.
· Ricordo degli 800 e oltre antifascisti slavi sloveni e croati deportati e detenuti negli anni ’42,’43 nel carcere di S. Francesco di Parma.
· Riattivazione del gemellaggio esistente dai primi anni ’60 di Parma con Lubiana, che dal fascismo fu ferocemente occupata, e sostituzione del <<Giorno del ricordo delle vittime delle foibe>> col <<Giorno della pace e dell’amicizia fra il popolo italiano e i popoli della ex Jugoslavia>>.
 
Comitato Antifascista Antimperialista e per la Memoria Storica di Parma
 
 
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PERCHE' IL DOCUMENTO ANPI SUI "CONFINI ORIENTALI" E' INSUFFICIENTE RISPETTO ALLA OFFENSIVA REVISIONISTA-REVANSCISTA
 
"Il confine italo-sloveno. Analisi e riflessioni" (documento approvato dal Comitato Nazionale ANPI il 9 dicembre 2016)
 
 
Sul documento del Comitato nazionale ANPI "Il confine italo-sloveno. Analisi e riflessioni"
 
Ho dato ora una rapidissima occhiata al documento dell'ANPI nazionale. (...) Il documento si diffonde sul '44, il '45, e gli anni postbellici. A mio modesto avviso (da militante, non certo da esperto storico) possono anche esserci state mire espansionistiche jugoslave, può anche essere stata incerta e oscillante la posizione dei comunisti italiani, la Jugoslavia può aver acquisito territori prima italiani, uscita dalla guerra e dalla Conferenza di pace del '47 come vincitrice a differenza dell'Italia uscita come sconfitta. Per non parlare, poi, del sistema politico jugoslavo, ovvero della Jugoslavia socialista, per non toccare, addirittura, la realtà dei vari Paesi dell'Est, più a Est della Jugoslavia, le "democrazie popolari" aderenti al Patto di Varsavia. Su questo piano allora possiamo discutere tanto... Ma non perdiamo la bussola! Non è di questo che si tratta! Qui in discussione è una giornata celebrativa, di solennità nazionale, con cui la Repubblica italiana nata dalla Resistenza antifascista ha dato, e può continuare a dare per altri 10 anni, riconoscimenti e medaglie ai fascisti. I fascisti che prima nel ventennio hanno italianizzato con la forza quelle zone del confine nordorientale abitate anche da non italiani, poi insieme ai nazisti hanno mosso guerra alla Jugoslavia che nulla aveva fatto contro l'Italia. E l'Italia il 10 febbraio dovrebbe commemorare questi signori?! Non scherziamo. Stiamo alla realtà storica dei fatti in questione oggetto delle foibe. Non perdiamo la bussola, ripeto. Se poi si vuol discutere, criticamente, della Jugoslavia uscita dalla guerra e costruita da Tito, liberissimi di farlo. Ma questa è appunto un'altra cosa. Tale, anche in riferimento all'esodo stesso degli italiani da Istria e Dalmazia ("schizzato" a non meno di 300.000 persone nel documento ANPI) qualora e laddove vi fossero forti responsabilità jugoslave in esso, da non giustificare l'istituzione di una giornata di solennità civile nazionale. La quale, è vero, parla anche più in generale delle complesse vicende del confine nordorientale, ma che per come è nata, nel clima poltico degli anni dei "ragazzi di Salò", dell'incontro Violante-Fini, ecc., porta un segno di destra, anticomunista, revanscista, ben difficile da equilibrare. Dovremmo "contrattaccare" e proporre il "giorno dell'amicizia fra i popoli". A partire dal ricordo dei 40.000 italiani che l'indomani dell'8 settembre scelsero di combattere contro il nazifascismo a fianco dela Resistenza Jugoslava (aspetto su cui nel documento ANPI non c'è nulla).

Giovanni Caggiati
febbraio 2018
 
 

 

Altre iniziative sul "confine orientale"
 
1) RAI Tre 8/2: Propaganda fascista in prima serata
Gli incontrollati fantasy su Norma Cossetto (di Nicoletta Bourbaki)
2) Cologno Monzese 7/2: Causa censura iniziativa spostata a Brugherio
Cronache di ordinario bullismo giornalistico e censura istituzionale
3) Fiorano Modenese 9/2: Iniziativa con E. Gobetti
Intimidazioni di Casapound (Il Primato Nazionale) per le iniziative in Sardegna
4) Roma 24/2: Seminario con V. Strinati, S. Volk e D. Conti e Teatro: DRUG GOJKO
Italia e Jugoslavia: storia del Confine Orientale. TavolaRotonda, Discussione e Teatro
 
 
N.B. Sulla polemica in corso attorno alla iniziativa diParma 10/2rimandiamo al post successivo di JUGOINFO
 
 
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Propaganda fascista in prima serata su RAI Tre venerdì 8 febbraio 2019
 
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Fonte: pagina FB di "Dieci Febbraio", 30/1/2019
 
La Repubblica Fascista
 
Oggi come allora... 75 anni fa, il 30 gennaio 1944 anche il quotidiano "La repubblica fascista" nella Repubblica sociale italiana celebrava il primo giorno del ricordo per i 471 caduti nelle "foibe" dell'Istria e della Dalmazia, voluto dal duce:
http://www.diecifebbraio.info/documenti/#300144
“Per disposizione del Duce il 30 gennaio le Federazioni fasciste repubblicane promuoveranno la celebrazione dei nostri Caduti In Istria e Dalmazia nella lotta contro il comunismo partigiano. Messe solenni di suffragio e rievocazioni celebrative, affidate a comitati, consacreranno il perenne ricordo dei Martiri al vindice spirito di riscossa delle nostre schiere e di tutto il popolo.”
Fra pochi giorni, per il giorno del ricordo degli anni duemila, Rai3 in prima serata trasmetterà "Red land - rosso Istria", quello che abbiamo definito un film di pura propaganda fascista...
http://www.diecifebbraio.info/2018/11/recensione-di-red-land-rosso-istria/
 
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Sul film "RED LAND / ROSSO ISTRIA" si vedano: 
Foibe, le storiche giustificazioniste: "Rosso Istria? Pura propaganda fascista e razzista"(Luisa De Montis - Dom, 03/02/2019)
Un film "di pura propaganda fascista, basato su stereotipi anticomunisti e razzisti anti-slavi, sullo stravolgimento della realtà storica per riabilitare il fascismo distruggendo l'immagine della Resistenza anti-nazifascista e, soprattutto, del contributo dei comunisti"...
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/foibe-storiche-giustificazioniste-rosso-istria-pura-1638690.html
 
Presentazioni dello speciale "Foibe, la verità negata" per TG2 Dossierandato in onda il 2.2.2019 alle ore 23.30 (segnalazione a cura di C. Cernigoi)
Dalla pagina FB di Anna Mazzone, 1.2.2019:
Dal TG2 delle 13:00 del giorno 02/02/2019:
https://www.tg2.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-b676ab1c-a137-4bac-a636-405fb208d5fc-tg2.html
Si notino Anna Mazzone che parla di "10.000 infoibati" e la "testimonianza" di Fausto Biloslavo che parla del nonno Ezechiele "infoibato solo perché italiano, non aveva fatto neppure la guerra" – peccato però che il suo nome compaia negli elenchi dell'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza di Trieste... A seguire la pubblicità del film di propaganda fascista slavofoba "Red Land - Rosso Istria"
 
Film sulle foibe in tv, le associazioni degli esuli contro Fratelli d'Italia: "Giù le mani dal nostro dramma"(di Gianluca Modolo, 1.2.2019)
La leader di FdI, Giorgia Meloni, rivendica come un proprio successo la messa in onda su Rai di "Red land". E scoppia la polemica... "Abbiamo compiuto un enorme sforzo economicoper realizzare questo progetto, il quale, nella sua complessità, prevedeva già in partenza la visione sui teleschermi degli italiani, senza che ci fosse bisogno di ulteriori sollecitazioni da parte di terzi", spiega a Repubblica Renzo Codarin [presidente dell'Associazione Venezia Giulia e Dalmazia]... "La mia associazione è apartitica, infatti sono in molti ad averci aiutato per questo film, non solo Fratelli d'Italia. I fondi che noi abbiamo messo per realizzarlo derivano anche dalla legge dello Stato 72 del 2001che finanzia le attività che noi svolgiamo per divulgare la nostra storia..."
 
Casapound Italia "servizio d'ordine" per le proiezioni del film fascista "Red Land"
 
Il film su Norma Cossetto su Rai 3 in prima serata(di Redazione, 21 gennaio 2019)
Secondo l'Unione degli Istriani la pellicola "Red Land - Rosso Istria" verrà trasmesso dal servizio pubblico la sera dell'8 febbraio...
https://www.triesteprima.it/cronaca/red-land-rosso-istria-rai-tre-8-febbraio-2019.html

Foibe, “Red Land” in prima serata su Rai 3. Frassinetti: «Obiettivo raggiunto»(di Eleonora Guerra, lunedì 21 gennaio 2019)
... come spiegato dalla deputata di FdI Paola Frassinetti, che insieme al collega Federico Mollicone ha presentato un’interrogazione per conoscere i programmi Rai in vista del Giorno del Ricordo... «Con questo film molti italiani resteranno scioccati...»
 
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Gli incontrollati fantasy su Norma Cossetto (di Nicoletta Bourbaki)
 
1a parte | Una kolossale foiba nell’acqua: il film Rosso Istria(22.01.2019)
1. RedLands: «Talk about a dream, try to make it real…» / 2. Genealogia di un desiderio / 3. La pista veneta: la lunga gestazione di Rosso Istria / 4. Le foibe secondo il sovranismo: un’analisi dei contenuti del film
 
2a parte | Cosa sappiamo davvero di questa storia? (29.01.2019)
 
3a parte |Leggende metropolitane e ricatti morali. Con un appello agli storici: rialzate la testa!(5.2.2019)
0. Premessa / 1. Come si fa e come non si fa storia orale / 2. L’«interlocutore privilegiato» di Sessi: Pierpaolo Silvestri / 3. «Lampi di verità»? Il finto diario di Norma e il fascismo politically correct / 4. «Ricostruire i fatti come se accadessero davanti a noi» / 5. Il fascismo «terzo» e il partito della nazione / 6. Un fumetto neofascista nelle scuole medie: Foiba rossa / 7. Come e perché è stato capovolto il senso del termine «negazionismo»
 
 
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Cologno Monzese (MI), giovedì 7 febbraio 2019 
dalle ore 20:45 
ATTENZIONE NUOVO INDIRIZZO: salone della Casa del popolo di Brugherio, piazza Battisti 1
 
La Rete antifascista di Cologno Monzese, con l'adesione di Osservatorio Democratico Sulle Nuove Destre e Comitato Lombardo Antifascista, invita alla conferenza 
 
LE FOIBE NELLE COMPLESSE VICENDE DEL CONFINE ORIENTALE (1920-1947) 
 
Da alcuni anni si parla molto di questi temi, specie intorno al 10 febbraio, "Giorno del ricordo". Ma quanto ne sappiamo davvero?
Che ruolo gioca la propaganda politica? Cosa può dirci la ricerca storica? Perché serve conoscere la storia di quei fatti?

Ne parliamo con Claudia Cernigoi, ricercatrice e giornalista, direttrice del periodico triestino La Nuova Alabarda, autrice di numerosi saggi tra cui “Operazione foibe tra storia e mito” (ed. Kappa Vu, Udine, 2005), redattrice del sito web www.diecifebbraio.info

Ingresso libero
evento FB: https://www.facebook.com/events/689979444811445/
 
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Cronache di ordinario bullismo giornalistico e censura istituzionale:
 
Giorno del Ricordo. Foibe, il pasticcio di Cologno Monzese(Lucia Bellaspiga, venerdì 1 febbraio 2019)
Una sala comunale alla giustificazionista Cernigoi. Insorgono i parenti delle vittime e con loro anche l’amministrazione: il sindaco si schiera con gli esuli giuliano-dalmati
 
Foibe, il pasticcio del sindaco Rocchi(di Rete Antifascista Cologno, 3 febbraio 2019)
Il Sindaco di Cologno tenta di mettere in cattiva luce l’evento della Rete Antifascista (e la sua relatrice) e si schiera con i fascisti di Casapound
 
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Lettera aperta al sindaco di Cologno Monzese

di Claudia Cernigoi
sabato 2 febbraio 2019
 
COMUNICATO STAMPA: di seguito la lettera aperta che ho inviato al Sindaco di Cologno Monzese in merito alla "negazione" della sala per una conferenza sul Giorno del Ricordo che avrei dovuto tenere il 7 febbraio prossimo.
Come spiego nella lettera, trovo inaccettabile la campagna stampa di denigrazione nei confronti del mio lavoro di ricerca storica, operato nello specifico dalla collega Lucia Bellaspiga (che da anni continua a diffamarmi attribuendomi affermazioni che non ho fatto, come spiego nell'articolo che cito nella lettera), e che segue di poco l'articolo di un altro collega, Fausto Biloslavo (http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/che-foibe-sono-montatura-1626132.html), anch'egli recidivo nel scrivere falsità sul mio conto, stravolgendo il contenuto di quanto scrivo (vedi questo mio articolo https://www.facebook.com/notes/la-nuova-alabarda/il-giornalista-triestino-pi%C3%B9-coraggioso/846476992189535/a), e che nell'occasione ha anche scatenato la reazione inconsulta del presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga che si è scagliato contro la sottoscritta che sarebbe una "negazionista", l'Assostampa che ha pubblicizzato la presentazione del mio libro (in realtà era il Circolo della stampa, ma tant'è) ed in un'intervista al Primorski Dnevnik ha addirittura asserito che a gente come me andrebbe impedito di parlare.
Aggiungo brevemente che è da anni che sono sotto attacco per queste mie ricerche (ed anche per i miei studi sul neofascismo), la mia pagina FB viene continuamente segnalata per motivi pretestuosi e bloccata (in linea di massima perché, per fare informazione sul neofascismo ho pubblicato foto con simboli fascisti), ho ricevuto minacce di morte verbali e per iscritto e più di una volta, per permettermi di assistere a manifestazioni pubbliche, sia conferenze che cortei nelle strade, la Digos ha ritenuto opportuno mettermi al fianco un funzionario. 

LETTERA APERTA AL SINDACO DI COLOGNO MONZESE

Buongiorno. Sono una giornalista pubblicista (iscritta all'Albo dal 1981) e ricercatrice storica (ho al mio attivo una serie di libri sul confine orientale e sul neofascismo), ho fatto parte della Commissione comunale per il museo della Risiera di San Sabba a Trieste ed ero nel comitato di consulenza storica per la difesa di Oskar Piškulić nel cosiddetto "processo delle foibe" (che, nonostante quanto ha scritto la giornalista Lucia Bellaspiga nell'articolo che indico in calce, si è svolto tra il 1998 ed il 2001 e non "negli anni '70" - quando ero, peraltro, ancora minorenne).
Ero stata invitata a parlare delle "complesse vicende del confine orientale" (come recita l'art. 1 della Legge 92/04, istitutiva del Giorno del Ricordo) in un'iniziativa nel Comune di Cologno Monzese. Ho scoperto, "grazie" al già citato articolo di Bellaspiga (che a volte sembra dimenticare che giornalismo e cori da stadio sono due cose diverse) che la mia presenza è stata dichiarata "inopportuna" a causa di mie (presunte) posizioni "negazioniste" o "riduzioniste", non specificate nel testo ma date per assodate (https://www.avvenire.it/attualita/pagine/foibe-superstiti-contro-la-negazionista?fbclid=IwAR1xw0K7mpANKrG6n4CFUPQBEQiOMFSTieXhHfaXEmIrd6SBkWTkIfGXW5I). 
Ho letto inoltre sempre nello stesso articolo, che l'amministrazione comunale non vuole togliermi la parola (bontà sua), ma "spostarmi" in qualche periodo "da decidere", a loro discrezione, più "opportuno". Parole che si commentano da sole e sulle quali osservo soltanto che la libertà di parola o la si ha sempre o non la si ha mai, non è che può essere limitata a periodi che qualcuno (non si sa a che titolo) decide che siano "opportuni".
Ma non basta. Nel comunicato del sindaco che ho trovato pubblicato a cura di un commentatore della pagina FB di Bellaspiga e che allego, ho trovato, riferite alla mia persona (ancorché mai nominata, ma essendo io l'unica relatrice non è difficile capire di chi si stia parlando) accuse di "tentativo di negare la storia ed infangare la memoria" delle vittime e degli esuli, arrivando a parlare di "folli tentativi di ricostruzione becera e deviata della storia di questo Paese". Ed addirittura il Sindaco conclude "non accetto che il mio nome sia accostato a qualsiasi evento che non rispetti la legge, la morale, il buon costume e non ponga il dovuto ossequio rispetto alla morte e alla sofferenza". La "relatrice" prosegue il comunicato, gli "risulta nota per sostenere posizioni revisioniste che sono facilmente rinvenibili sul web". 
E' scandalosa la gravità di tali affermazioni, rivolte ad una studiosa seria, che (a differenza di altri che pure vengono invitati a parlare su questi argomenti) non ha mai prodotto pamphlet politici sull'argomento, ma esclusivamente testi rigorosi basati su documentazione raccolta negli archivi e dichiarazioni di testimoni, frutto di anni di lavoro. Un Sindaco, un amministratore pubblico, un rappresentante dei cittadini, si arroga il diritto di diffamare a questo modo una persona della quale non ha letto nulla se non qualcosa che ha "rinvenuto sul web". Mi citi, per cortesia, signor Sindaco, frasi o affermazioni che avrei fatto per "negare la storia" oppure "mancare di rispetto a chicchessia". 
Mi trovo nella situazione kafkiana per cui, avendo smascherato (in base a documenti che ho pubblicato e citato più volte e che sono reperibili sul web) molte delle menzogne relative alla storia delle foibe, invece di vedere riconosciuto questo lavoro, mi trovo accusata di "negazionismo" da chi quelle menzogne continua a perpetuare, come se fosse rispetto per i morti aumentarne il numero a dismisura oppure inventare fatti non esistiti. 
Questa campagna stampa contro la mia persona ed il mio lavoro (campagna di cui Lucia Bellaspiga è una delle capofila, particolarmente accanita ancorché non competente sui fatti storici, come spiego nell'articolo che ho pubblicato l'anno scorso, visibile qui http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2018/02/FENOMENOLOGIA-DI-LUCIA-BELLASPIGA.pdf), ha anche portato alla conseguenza che mi trovo continuamente minacciata ed insultata sul web e con l'invio di messaggi personali (ho ricevuto anche minacce di morte, regolarmente denunciate all'Autorità competente). 
Ritengo che tale situazione di censura preventiva ed ingiustificata contro un'operatrice dell'informazione, censura che si avvale di "chiacchiere" false e diffamatorie, che stravolgono del tutto il lavoro svolto nel corso di anni di ricerche, sia inaccettabile in un paese democratico. 
Ovviamente mi riservo di agire per vie legali se ne ravviserò l'opportunità.
 
 
=== 3 ===
 
Fiorano Modenese (MO), 9 febbraio 2019
presso il BLA - biblioteca, ludoteca e archivio storico, Via Silvio Pellico 7-8-9

Giorno del ricordo 2019 - Fascismo, guerra, foibe ed esodo
Incontro con Eric Gobetti, storico, collaboratore dell'Istituto storico della Resistenza di Torino (Istoreto)

Si vedano anche le intimidazioni di Casapound (Il Primato Nazionale) contro Eric Gobetti per le sue iniziative in Sardegna:
 
Alghero e Sassari: se i comuni patrocinano convegni negazionisti sulle Foibe (di Carlo Altoviti, 4 Febbraio 2019)
 
 
=== 4 ===
 
Roma, domenica 24 febbraio 2019
presso il Teatro di Porta Portese, Via Portuense 102
 
 
 
Golpe in Venezuela: NOT IN OUR NAMES
 
1) Giorgio Cremaschi
2) Alessandro Di Battista
3) Jean-Luc Mélénchon
4) Partiti Comunisti e Operai dell'Unione Europea
 
 
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Belgrado 1999 - Venezuela 2019. Mattarella, il diritto internazionale e i bombardamenti "umanitari"
 
di Giorgio Cremaschi 
4/2/2019

Nel 1999 il Governo D'Alema violò l'art. 11 della Costituzione, il diritto internazionale, le regole dell’ONU e bombardò Belgrado anche con uranio impoverito a vergogna dell’Italia e dell’Europa. 

Ministro della Difesa allora era Sergio Mattarella, che ora vuole la stessa politica contro il Venezuela, con la stessa ipocrisia della scelta della democrazia contro la violenza. Quando, se le parole fossero vere e sincere, la scelta dovrebbe essere per Maduro e contro la violenza del golpe. Ma si sa la NATO sono decenni che esporta democrazia con la guerra, per cui quel bene sta finendo in casa nostra e viene seppellito di bombe “umanitarie”all’estero. 

A Mattarella e a tutti i i sostenitori della guerra rispondo come sempre: 

NOT IN MY NAME.

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La sinistra vera – da Corbyn e Mélénchon a Chomsky – è contro il golpe in Venezuela
di Giorgio Cremaschi (Potere Al Popolo), 4 febbraio 2019
 
Quella finta è solo la maschera ipocrita di Trump, Bolsonaro, Salvini.

Corbyn e Melenchon hanno preso posizioni nettissime contro il golpe in corso da parte del fantoccio di Trump Guaidò. E altrettanto nettamente e duramente si sono espressi contro i governi e le organizzazioni colonialiste dell’Occidente -UE NATO – che sostengono il golpe di Trump e colpiscono lo stato sovrano del Venezuela con la guerra economica e preparano quella militare.
Tutta la sinistra vera del mondo, da Lula a Morales, dai leader progressisti dell’America Latina a quelli dell’Africa e dell’Asia, ai radicali degli Stati Uniti, sta sulle posizioni di Corbyn e Melenchon e usa le stesse parole di Noam Chomsky. Tutti i partiti comunisti, piccoli e grandi spesso divisi tra loro, tutte le forze autenticamente socialiste sono contro il golpe. Il campo della sinistra è spesso diviso, con giudizi e posizioni in conflitto su tante cose, ma di fronte ad un golpe reazionario guidato dalle multinazionali del petrolio come quello in atto in Venezuela, si ritrova naturalmente dalla stessa parte.
Ma in Europa ed in Italia, con anni e anni di imbrogli e tradimenti, si è anche costituito un altro campo, quello della sinistra finta. Questa sinistra si presenta come tale fino a che non entrino in campo gli interessi e i poteri economici e finanziari ai quali si é venduta. Quando questi interessi e poteri danno uno strattone al guinzaglio, questa finta sinistra abbaia dove vuole il padrone. Cosi sul Venezuela cade la maschera ipocrita di tanti fieri democratici, antifascisti, antirazzisti e la sinistra finta rivela la stessa faccia di Trump, Bolsonaro, Salvini. La sinistra finta diventa golpista.
Potere al Popolo, nel suo piccolo, è fieramente parte del campo della sinistra vera che nel mondo contrasta il golpe in Venezuela. Per questo abbiamo posto il ripudio del golpe in quel paese come discriminante per le elezioni europee. Non vogliamo avere nulla a che fare con la finta sinistra oggi golpista, dalla quale anzi vogliamo sgomberare il campo. E neppure ci interessa una sinistra muta per convenienza, ora che bisogna gridare da che parte si sta.
 
 
=== 2 ===
 
 
Fonte: pagina FB di Alessandro Di Battista (M5S), 4.2.2019
 
La quantità di “democrazia” che si vuole esportare in un paese è sempre direttamente proporzionale alla quantità di petrolio lì presente. Se il Venezuela non avesse la prima riserva di petrolio al mondo oggi nessuno si interesserebbe ai diritti del suo popolo. Ci vuole coraggio a mantenere una posizione neutrale in questo momento, lo so. L'Italia non è abituata a farlo. Ci siamo sempre accodati in modo vile agli “esportatori di democrazia”. L'abbiamo fatto in Iraq, in Afghanistan, in Libia. Oggi i pavidi di allora piangono lacrime di coccodrillo come fa Junker rispetto alla Grecia. Se avessimo mantenuto una posizione neutrale nel 2011 la Libia non sarebbe diventata l'inferno che è oggi. Il mondo è spaccato in due. Da una parte Russia e Cina sostengono Maduro. Dall'altra Trump ha dichiarato che l'intervento militare è un'opzione. Poi c'è l'Unione Europea incapace di comprendere che la linea del dialogo tra governo e opposizioni suggerita da Messico e Uruguay andrebbe sostenuta nell'interesse dell'Europa stessa oltre che del popolo venezuelano. L'Europa dovrebbe smetterla una volta per tutte di obbedire agli ordini statunitensi. Il mondo va avanti. Il mondo cambia. Nascono nuove opportunità, nuovi mercati. L'India, tra pochi anni, supererà la Cina per numero di abitanti. E l'India ha espresso una posizione neutrale di fronte alla crisi venezuelana. Suggerisco coraggio e lungimiranza e soprattutto una difesa sostanziale dell'art.11 della nostra Costituzione. Perché le guerre vanno ripudiate il giorno prima che scoppino, farlo il giorno dopo è troppo facile.
 
 
=== 3 ===
 
Jean-Luc Mélénchon, leader de La France Insoumise:
 
 “Non è la Francia che sostiene i golpisti in Venezuela. E’ soltanto Macron! Resistete! Insieme all’Onu noi diciamo Nicolas Maduro è il presidente del Venezuela. Pace e libertà per il Venezuela!”

https://twitter.com/JLMelenchon/status/1092349856398618626

Ce n'est pas la France qui soutient les putschistes au #Venezuela. C'est seulement #Macron. Résistez ! Avec L'ONU nous disons : @NicolasMaduro est le président du Venezuela. Paix et liberté pour le Venezuela ! (01:11 - 4 feb 2019)
 
 
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I Partiti Comunisti e Operai dell'Unione Europea contro l'aggressione alla Rivoluzione Bolivariana 
2 Febbraio 2019
 

 

da solidnet.org

Traduzione di Mauro Gemma per Marx21.it

All'appello, promosso dal Partito Comunista Portoghese e sottoscritto dai partiti comunisti dell'Unione Europea, per l'Italia hanno aderito PCI, PRC e PC

Basta con le interferenze e l'aggressione contro il Venezuela!

Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e il popolo venezuelano!

Condanniamo fermamente l'escalation di interferenze e ricatti dell'Unione Europea contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela, in linea e concordati con l'operazione di "auto-proclamazione" di un presidente fantodccio, manovrato e comandato dall'Amministrazione Trump che, in un'arrogante violazione del diritto internazionale, cerca di rovesciare il presidente legittimo, Nicolás Maduro, eletto con voto popolare, e di sovvertire l'ordine costituzionale venezuelano.

Respingiamo l'inammissibile dichiarazione dell'Unione Europea che minaccia il riconoscimento di un "Presidente" creato dagli Stati Uniti, in linea con la sua collusione con il colpo di stato del 2002, con il boicottaggio, l'azione terroristica e la crisi economica, finanziaria, politica e diplomatica e la confisca illegale di beni e risorse finanziarie, che sono alla base dei problemi economici del Venezuela e delle difficoltà sofferte dal suo popolo.

Respingiamo l'escalation dell'aggressione nei confronti del Venezuela perpetrata dagli Stati Uniti, dall'UE e dai governi del cosiddetto "Gruppo di Lima", che attacca la sovranità e i diritti del Venezuela e del popolo venezuelano, e cerca di saccheggiare le sue immense risorse, come il petrolio.

Chiediamo la fine dell'interferenza e dell'aggressione contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela e il rispetto per la sua sovranità e indipendenza!

Facciamo appello alla solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e il popolo venezuelano!

I partiti firmatari

SolidNet List Parties:

Communist Party of Belgium
Communist Party of Britain
AKEL (Cyprus)
Communist Party of Bohemia and Moravia
Communist Party in Denmark
Communist Party of Finland
French Communist Party
German Communist Party
Communist Party of Greece
Hungarian Workers' Party
Communist Party of Ireland
Workers Party of Ireland
Italian Communist Party
Party of the Communist Refoundation – European Left (Italy)
Communist Party (Italy)
Communist Party of Luxembourg
Communist Party of Malta
New Communist Party of the Netherlands
Portuguese Communist Party
Communist Party of Spain
Communist Party of the Peoples of Spain
Communist Party of the Peoples of Spain
Communist of Catalonia

Other Parties:

Union of the Galician People
Galician Nationalist Bloc
 
 
 
Prepararsi allo sterminio termonucleare
 
1) L’affossamento Usa con la complicità dell’Europa (di Manlio Dinucci, 02.02.2019)
2) Corsa agli armamenti: gli USA sospendono il Trattato INF, la Russia anche (di Fabrizio Poggi, 2 febbraio 2019)
3) Italia e Ue votano per i missili Usa in Europa (di Manlio Dinucci, su Il Manifesto dell' 08.01.2019)
 
 
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Sullo stesso tema: INTERVISTA A MANLIO DINUCCI (2 feb 2019)
La «sospensione» del Trattato Inf, annunciata il 1° febbraio dal segretario di stato americano Mike Pompeo, avvia il conto alla rovescia che, entro sei mesi, porterà gli Stati Uniti a uscire definitivamente dal Trattato. Già da oggi, comunque, Washington si ritiene libera di testare e schierare armi della categoria proibita dal Trattato: missili nucleari a gittata intermedia (tra 500 e 5500 km), con base a terra. Il Trattato sulle Forze nucleari intermedie, firmato nel 1987 dai presidenti Gorbaciov e Reagan,  eliminava tutti i missili di tale categoria, compresi quelli schierati a Comiso. Il Trattato Inf è stato messo in discussione da Washington quando gli Stati uniti hanno visto diminuire il loro vantaggio strategico su Russia e Cina...
 
 
 
L’affossamento Usa con la complicità dell’Europa
 
Usa/Russia. Anche l’Unione europea ha dato luce verde alla possibile installazione di nuovi missili nucleari Usa in Europa, Italia compresa. Su una questione di tale importanza il governo Conte, come i precedenti, si è accodato sia alla Nato che alla Ue. E dall’intero arco politico non si è levata una voce per richiedere che fosse il Parlamento a decidere come votare all’Onu sul Trattato Inf
 
di Manlio Dinucci, su Il Manifesto del 02.02.2019
 

La «sospensione» del Trattato Inf, annunciata ieri dal segretario di stato Pompeo, avvia il conto alla rovescia che in sei mesi porterà gli Usa a uscire dal Trattato. Già da oggi, comunque, gli Usa si ritengono liberi di testare e schierare armi della categoria proibita dal Trattato.

Si tratta di missili nucleari a gittata intermedia (tra 500 e 5500 km), con base a terra. Appartenevano a tale categoria i missili nucleari schierati in Europa negli anni Ottanta: i missili balistici Pershing 2, schierati dagli Stati uniti in Germania Occidentale, e quelli da crociera lanciati da terra, schierati dagli Stati uniti in Gran Bretagna, Italia, Germania Occidentale, Belgio e Olanda, con la motivazione di difendere gli alleati europei dai missili balistici SS-20, schierati dall’Unione sovietica sul proprio territorio.

Il Trattato sulle Forze nucleari intermedie, firmato nel 1987 dai presidenti Gorbaciov e Reagan, eliminava tutti i missili di tale categoria, compresi quelli schierati a Comiso. Il Trattato Inf è stato messo in discussione da Washington quando gli Stati uniti hanno visto diminuire il loro vantaggio strategico su Russia e Cina. Nel 2014, l’amministrazione Obama accusava la Russia, senza portare alcuna prova, di aver sperimentato un missile da crociera (sigla 9M729) della categoria proibita dal Trattato e, nel 2015, annunciava che «di fronte alla violazione del Trattato Inf da parte della Russia, gli Stati uniti stanno considerando lo spiegamento in Europa di missili con base a terra».

Il piano è stato confermato dall’amministrazione Trump: nel 2018 il Congresso ha autorizzato il finanziamento di «un programma di ricerca e sviluppo di un missile da crociera lanciato da terra da piattaforma mobile su strada». Da parte sua, Mosca negava che il suo missile da crociera violasse il Trattato e, a sua volta, accusava Washington di aver installato in Polonia e Romania rampe di lancio di missili intercettori (quelli dello «scudo»), che possono essere usate per lanciare missili da crociera a testata nucleare. In tale quadro va tenuto presente il fattore geografico: mentre un missile nucleare Usa a raggio intermedio, schierato in Europa, può colpire Mosca, un analogo missile schierato dalla Russia sul proprio territorio può colpire le capitali europee, ma non Washington.

Rovesciando lo scenario, è come se la Russia schierasse in Messico i suoi missili nucleari a raggio intermedio..

Il piano degli Usa di affossare il Trattato Inf è stato pienamente sostenuto dagli alleati europei della Nato. Il Consiglio Nord Atlantico ha dichiarato, il 4 dicembre 2018, che «il Trattato Inf è in pericolo a causa delle azioni della Russia», accusata di schierare «un sistema missilistico destabilizzante». Lo stesso Consiglio Nord Atlantico ha dichiarato ieri il suo «pieno appoggio all’azione degli Stati uniti di sospendere i suoi obblighi rispetto al Trattato Inf» e intimato alla Russia di «usare i restanti sei mesi per ritornare alla piena osservanza del Trattato»..

All’affossamento del Trattato Inf ha contribuito anche l’Unione europea che, all’Assemblea generale delle Nazioni unite, il 21 dicembre 2018, ha votato contro la risoluzione presentata dalla Russia sulla «Preservazione e osservanza del Trattato Inf», respinta con 46 voti contro 43 e 78 astensioni. L‘Unione europea – di cui 21 dei 27 membri fanno parte della Nato (come ne fa parte la Gran Bretagna in uscita dalla Ue) – si è uniformata così totalmente alla posizione della Nato, che a sua volta si è uniformata a quella degli Stati uniti.

Nella sostanza, quindi, anche l’Unione europea ha dato luce verde alla possibile installazione di nuovi missili nucleari Usa in Europa, Italia compresa. Su una questione di tale importanza il governo Conte, come i precedenti, si è accodato sia alla Nato che alla Ue. E dall’intero arco politico non si è levata una voce per richiedere che fosse il Parlamento a decidere come votare all’Onu sul Trattato Inf.

Né in Parlamento si è levata alcuna voce per richiedere che l’Italia osservi il Trattato di non-proliferazione e aderisca a quello Onu sulla proibizione delle armi nucleari, imponendo agli Usa di rimuovere dal nostro territorio nazionale le bombe nucleari B61 e di non installarvi, a partire dalla prima metà del 2020, le ancora più pericolose B61-12.

Avendo sul proprio territorio armi nucleari e installazioni strategiche Usa, come il Muos e il Jtags in Sicilia, l’Italia è esposta a crescenti pericoli quale base avanzata delle forze nucleari Usa e quindi quale bersaglio di quelle russe.

Un missile balistico nucleare a raggio intermedio, per raggiungere l’obiettivo, impiega 6-11 minuti. Un bell’esempio di difesa della nostra sovranità, sancita dalla Costituzione, e della nostra sicurezza che il Governo garantisce sbarrando la porta ai migranti ma spalancandola alle armi nucleari Usa.

 
 
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Corsa agli armamenti: gli USA sospendono il Trattato INF, la Russia anche
di Fabrizio Poggi, 2 febbraio 2019
 

Gli Stati Uniti hanno ufficialmente sospeso per sei mesi gli obblighi derivanti dal Trattato INF (per i russi DRSMD: Accordo sui missili a media e corta distanza, cioè da 1.000 a 5.500 km e da 500 a 1.000 km) e si ritengono liberi di installarne a proprio piacimento dove e quando vogliono. Durante questi 6 mesi, come ha dichiarato il Segretario di stato Mike Pompeo, “se la Russia non tornerà al rispetto del Trattato, gli USA si ritireranno ufficialmente da esso”. 

Al tempo stesso, Donald Trump ha dichiarato di sperare che “sapremo riunire tutti in una grande e bella sala per stipulare un nuovo accordo. Questo accordo sarà molto migliore e io lo vorrei vedere”.. Il riferimento a “tutti” è chiaramente riferito, oltre che a USA e Russia, alla Cina e ai suoi nuovi complessi missilistici DF-26, rientranti nella categoria della media distanza e che, quando nel 1987 URSS e USA firmarono il Trattato, non erano (quantomeno ufficialmente) nemmeno all’orizzonte. Se poi Trump, ancora con quei “tutti”, intende riferirsi anche all’Iran, è da vedere quanta fiducia Teheran gli possa accordare, dopo la mossa unilaterale americana del ritiro dal cosiddetto “accordo sul nucleare iraniano” nei mesi scorsi. 

Riassumendo, osserva topwar.ru, attendiamo una risposta concreta alla semplice domanda: se veramente il problema consiste nel voler ampliare il numero dei partecipanti al Trattato, allora a che scopo si è messa in piedi tutta questa sceneggiata sulle violazioni russe dell’accordo? Da tempo Mosca aveva proposto a Washington di cercare il modo per allargare la cerchia dei partecipanti al DRSMD, senza nel frattempo arrestarne l’efficacia: proposta sempre respinta dagli USA, che ora, al contrario, prima sospendono i propri obblighi e poi parlano di una “grande e bella sala” per i colloqui.

E’ così che Mosca non ha potuto far altro che denunciare i trucchi propagandistici yankee a proposito del non rispetto russo degli obblighi derivanti dal Trattato e il Ministero degli esteri già ieri aveva espresso indignazione per il fatto che per gli USA è diventata una tradizione quella di ricorrere “deliberatamente alla maniera divulgativa di redigere e presentare le proprie congetture”. La Russia “adempie costantemente, coerentemente e incondizionatamente ai propri obblighi”; l’atteggiamento USA, sostiene Mosca, è un “trucco puramente propagandistico” e il vero motivo delle dichiarazioni di Washington è il grave indebolimento delle posizioni statunitensi nell’arena internazionale.

Ma qual è la “materia del contendere”? 

L’annuncio del ritiro USA dal Trattato era stato anticipato nella riunione dei Ministri degli esteri NATO del 4 dicembre scorso, quando lo stesso Pompeo aveva detto che Washington concedeva a Mosca 60 giorni per tornare all’esecuzione del trattato, e il Segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg aveva affermato che “la NATO dà alla Russia l’ultima possibilità di salvare” l’accordo. “La Russia ha messo a rischio gli interessi di sicurezza degli Stati Uniti, non possiamo più essere limitati da un trattato finché la Russia lo violerà spudoratamente”, ha detto ora Pompeo; e ha aggiunto che se “la Russia non tornerà al pieno e verificabile rispetto del trattato entro sei mesi, distruggendo in modo verificabile i missili che violano il Trattato INF, i loro lanciatori e le relative attrezzature, il trattato cesserà di sussistere”.

Dall’altro lato la TASS ricorda come già dopo tre anni dalla firma del Trattato, entrato in funzione nel giugno 1988, Mosca avesse distrutto 1.846 missili delle categorie previste, contro gli 846 di Washington, quasi tre volte più lanciatori (825 e 289) e quasi sette volte più basi missilistiche (69 e 9). Ora, trenta anni dopo la conclusione del trattato, entrambi si accusano a vicenda di violare l’INF. 

Mosca ritiene che il sistema antimissilistico USA “Aegis-Aegis Ashore” (già installato in Romania e in procinto di essere installato anche in Polonia e Giappone) sia in grado, all’occorrenza, di venir utilizzato come sistema di lancio per missili da crociera a medio raggio, il che costituirebbe una violazione diretta del trattato. Gli USA negano tale possibilità. La Russia si dice preoccupata anche per i droni da combattimento americani, il cui raggio operativo supera i mille km e le cui capacità e caratteristiche si avvicinano a quelle dei missili da crociera.

Sull’altro versante, la stampa americana parla dello sviluppo del “Novator 9-M 969”, missile da crociera basato a terra, presumibilmente destinato al complesso tattico-operativo (OTRK) “Iskander-M”, con portata di almeno 3.000 km. I russi assicurano tuttavia che la loro portata sia inferiore ai 500 km. 

E via di questo passo.

In risposta alla mossa americana, oggi anche Mosca ha sospeso la partecipazione al Trattato INF: “Procederemo in questo modo” ha dichiarato Vladimir Putin nel corso di una seduta coi Ministri degli esteri e della difesa, Sergej Lavròv e Sergej Shojgù, “la nostra risposta sarà speculare: i partner americani hanno annunciato che stanno sospendendo la loro partecipazione al Trattato e anche noi la sospendiamo”. 

Putin ha anche disposto che non si intraprendano per ora nuovi negoziati sul Trattato e ha sottolineato che Mosca, dopo la sospensione della partecipazione al trattato INF, non cesserà di sperimentare nuove armi, senza però aumentare il bilancio della difesa: “Non dobbiamo e non verremo coinvolti in una costosa corsa agli armamenti”, ha detto, sottintendendo quella che aveva aggravato la situazione economica dell’ultimo periodo di esistenza dell’Unione Sovietica.

Forse la Russia riuscirà a non farsi coinvolgere in tale corsa; ma è certo che lo farà anche il nostro paese, quale destinatario delle armi USA? Come reagirà il “governo del cambiamento” agli ordini di Washington e di Bruxelles, che certamente da tempo hanno già programmato il destino delle basi americane e NATO in Italia? Come reagirà quello che resta del movimento contro i missili USA sul nostro territorio?

 

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Versione VIDEO (Pandora TV 10.1.2019): https://www.youtube.com/watch?v=3jfXe8O8VGg
 
 
 
Italia e Ue votano per i missili Usa in Europa
 
di Manlio Dinucci, su Il Manifesto dell' 08.01.2019

Presso il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, a New York, c’è una scultura metallica intitolata «il Bene sconfigge il Male», raffigurante San Giorgio che trafigge un drago con la sua lancia. Fu donata dall’Unione sovietica nel 1990 per celebrare il Trattato Inf stipulato con gli Stati uniti nel 1987, che eliminava i missili nucleari a gittata corta e intermedia (tra 500 e 5500 km) con base a terra. Il corpo del drago è infatti realizzato, simbolicamente, con pezzi di missili balistici statunitensi Pershing-2 (prima schierati in Germania Occidentale) e SS-20 sovietici (prima schierati in Urss).

Ora però il drago nucleare, che nella scultura è raffigurato agonizzante, sta tornando in vita. Grazie anche all’Italia e agli altri paesi dell’Unione europea che, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, hanno votato contro la risoluzione presentata dalla Russia sulla «Preservazione e osservanza del Trattato Inf», respinta con 46 voti contro 43 e 78 astensioni.

L‘Unione europea – di cui 21 dei 27 membri fanno parte della Nato (come ne fa parte la Gran Bretagna in uscita dalla Ue) – si è così totalmente uniformata alla posizione della Nato, che a sua volta si è totalmente uniformata a quella degli Stati uniti. Prima l’amministrazione Obama, quindi l’amministrazione Trump hanno accusato la Russia, senza alcuna prova, di aver sperimentato un missile della categoria proibita e hanno annunciato l’intenzione di ritirarsi dal Trattato Inf.
Hanno contemporaneamente avviato un programma mirante a installare di nuovo in Europa contro la Russia missili nucleari, che sarebbero schierati anche nella regione Asia-Pacifico contro la Cina. Il rappresentante russo all’Onu ha avvertito che «ciò costituisce l’inizio di una corsa agli armamenti a tutti gli effetti».

In altre parole ha avvertito che, se gli Usa installassero di nuovo in Europa missili nucleari puntati sulla Russia (come erano anche i Cruise schierati a Comiso negli anni Ottanta), la Russia installerebbe di nuovo sul proprio territorio missili analoghi puntati su obiettivi in Europa (ma non in grado di raggiungere gli Stati uniti)..

Ignorando tutto questo, il rappresentante dell’Unione europea alle Nazioni unite ha espressamente accusato la Russia di minare il Trattato Inf e ha annunciato il voto contrario di tutti i paesi dell’Unione perché «la risoluzione presentata dalla Russia devia dalla questione che si sta discutendo».

Nella sostanza, quindi, l’Unione europea ha dato luce verde alla possibile installazione di nuovi missili nucleari Usa in Europa, Italia compresa. Su una questione di tale importanza, il governo Giuseppe Conte, rinunciando come i precedenti a esercitare la sovranità nazionale, si è accodato alla Ue che a sua volta si è accodata alla Nato sotto comando statunitense.

E dall’intero arco politico non si è levata una voce per richiedere che fosse il Parlamento a decidere come votare all’Onu.

Né in Parlamento si leva alcuna voce per richiedere che l’Italia osservi il Trattato di non-proliferazione, imponendo agli Usa di rimuovere dal nostro territorio nazionale le bombe nucleari B61 e di non installarvi, a partire dalla prima metà del 2020, le nuove e ancora più pericolose B61-12. Viene così di nuovo violato il fondamentale principio costituzionale che «la sovranità appartiene al popolo». E poiché l’apparato politico-mediatico tiene gli italiani volutamente all’oscuro su tali questioni di vitale importanza, viene violato il diritto all’informazione, nel senso non solo di libertà di informare ma di diritto ad essere informati. O si fa ora o domani non ci sarà tempo per decidere: un missile balistico a raggio intermedio, per raggiungere e distruggere l’obiettivo con la sua testata nucleare, impiega 6-11 minuti.

 
[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8994 ]]
(deutsch / italiano)
 
L'Europa oscillante tra Carlo Magno e Altero Spinelli
 
1) Il Trattato di Aquisgrana all'ombra di Carlo Magno / Der Vertrag von Aachen im Schatten von Karl Der Grosse (LINKS)
2) Il “Manifesto di Ventotene”. Una decostruzione necessaria (di Italo Nobile / RdC)
 
 
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AQUISGRANA: RISORGE CARLO MAGNO E MUORE L’UE (Fulvio Grimaldi, 24 gennaio 2019)
I 5 Stelle denudano re Macron, Merkel lo riveste... sancito ad Aquisgrana, città dell’imperatore, sede del primo trattato De Gaulle-Adenauer, per l’egemonia nel continente, simbolo dalla potenza simbolica deflagrante. Sede anche dell’insigne Premio Carlo Magno, forse il più reazionario di tutti i premi... “Sacro Romano Impero di nazione tedesca” (SRINT), così Ottone I, erede di Carlo Magno, denominò l’aggregato di popoli dell’Europa centrale che forgiò in impero includendovi la Franconia Occidentale (Francia). Durò, alla fine simbolicamente, 1000 anni, 962-1806, quando venne beneficamente travolto dal laico Napoleone. Lì, però, iniziò una guerra civile europea che sarebbe durata quasi un secolo e mezzo e avrebbe vissuto le sue tragedie maggiori nei due conflitti mondiali. Condotta dalle aristocrazie feudali e poi dalle borghesie capitaliste, a spese di tutti noi, ha celebrato la sua rivincita, ovviamente ad Aquisgrana, con il trattato firmato da Merkel e Macron il 22 gennaio...
 
AQUISGRANA. IL SECONDO TRATTATO, OSSIA L’ULTIMA CAPITOLAZIONE (di Guido Salerno Aletta, 23 gennaio 2019)
... Nei confronti della Germania, il sogno francese è presto detto: vorrebbe sostituire l’Italia come sub-fornitrice nel settore della manifattura meccanica, mantenendo invece la leadership nel campo dell’industria militare e conquistando quella della tecnologie avanzate: informatica ed intelligenza artificiale...
 
DER VERTRAG VON AACHEN (GFP, 22/1/2019) 
Überschattet von Protesten gegen die französische Regierung steht an diesem Dienstag die Unterzeichnung des deutsch-französischen "Vertrages von Aachen" bevor. Das Abkommen, das offiziell als ergänzende "Aktualisierung" des Élysée-Vertrags aus dem Jahr 1963 bezeichnet wird, sieht unter anderem eine Ausweitung der bilateralen Zusammenarbeit bei der Militarisierung Europas vor. So sollen "gemeinsame Verteidigungsprogramme" erstellt und auf eine "gemeinsame Kultur" der Streitkräfte beider Länder hingearbeitet werden. Hinzu kommt eine bilaterale Beistandsverpflichtung, die auch jenseits von NATO und EU gilt. Zudem sagt Paris zu, Berlin beim Kampf um einen ständigen Sitz im UN-Sicherheitsrat zu unterstützen. Frankreich wiederum willigt in eine punktuelle Schwächung seiner traditionellen Zentralstaatlichkeit ein. Parallel fordern Experten eine breite deutsch-französische PR für eine offensivere Militärpolitik - TV-Auftritte der Verteidigungsminister inklusive. Unterdessen versagt Berlin Paris weiterhin jedes echte Zugeständnis in Sachen Austeritätspolitik...
https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/7836/
 
FINALMENTE È STATO PUBBLICATO IL TRATTATO DI AQUISGRANA TRA FRANCIA E GERMANIA: ALCUNE CONSIDERAZIONI (di Giuseppe Masala, 18/01/2019)
... Alcune considerazioni sul Trattato Franco-Tedesco: 1) Strettissimo coordinamento sulle politiche europee... 2) Coordinamento per far ottenere un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell'ONU ai crucchi... 3) Istituzione del Consiglio dei Ministri franco-tedesco... 4) Istituzione di un Consiglio degli Esperti per le politiche economiche fondate sulla "competitività"... 4) Strettissimo coordinamento militare in Africa... 5) Istituzione di un Consiglio di Difesa franco-tedesco... 6) Istituzione di distretti "europei" tra le regioni confinanti dove si favorirà il bilinguismo e si amministreranno comunemente. Inutile dire chi sia il paese economicamente egemone e chi farà dunque la parte del leone in queste regioni unite...
 
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Vedi anche:
L’Unione Europea. Un ambiguo inizio (di Italo Nobile, 24/01 2019)
 
 
 
Il “Manifesto di Ventotene”. Una decostruzione necessaria

di Italo Nobile (Rete dei Comunisti), 28 dicembre 2018
 

 

Nel 1941 Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, confinati dal fascismo nell’isola di Ventotene, scrivono un documento per la promozione dell’unità europea che verrà poi pubblicato da Eugenio Colorni e viene oggi considerato uno dei testi fondanti dell’Unione Europea. A dire il vero, in ambito liberal-socialista spesso si è soliti dire che l’Europa abbia disatteso le idealità di questo scritto e un procedimento retorico di questo genere viene paradossalmente usato anche in uno dei tanti articoli polemici del “filosofo” rossobruno Diego Fusaro.

Tale manifesto di Ventotene era stato preceduto dal progetto di Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi che dopo la prima guerra mondiale aveva coinvolto numerosi uomini politici (Adenauer e poi Churchill) letterati (Rilke, Valery e Mann) scienziati (Einstein, Freud, Keynes) nel progetto paneuropeo, di ispirazione tecnocratica, che voleva l’unificazione economica e politica dell’Europa sotto forma di Confederazione con tutta una serie di istituti (Corte federale europea, un esercito europeo, una unificazione doganale progressiva, una moneta unica) e con una impostazione rispettosa delle diverse culture presenti in Europa e delle minoranze nazionali. 

Tuttavia la natura imperialista di tale costruzione è evidente laddove Kalergi parla di sfruttamento a livello unificato delle colonie (confermando in parte la previsione di Lenin secondo cui “In regime capitalistico gli Stati Uniti d’Europa equivalgono ad un accordo per la spartizione delle colonie”). Inoltre Kalergi, in altre sue opere, accennava ad un modello di uomo, ricco di spirito ma privo di carattere che costituisse il materiale ideale per sviluppare una società cosmopolita, a dimostrazione della ispirazione elitaria del suo progetto che voleva la contaminazione tra razze e culture non per potenziare le capacità degli individui ma per indirizzarle all’ossequio mediocre dell’ordine costruito da una minoranza di competenti (dunque una contaminazione a presupposto razzista).

Per quanto riguarda il Manifesto di Ventotene c’è da dire che nell’introduzione si avverte il lettore dicendo che “Le circostanze anormali in cui tutto questo materiale fu prodotto, l’evolversi degli avvenimenti la cui precisa valutazione non poteva essere data dal confino, han fatto si che oggi si possono notare varie lacune, ed alcune parti possono anche considerarsi superate. Sarebbe forse bene riscrivere tutto da capo in modo da presentare cose completamente aggiornate. Ciò implicherebbe però un lavoro di mesi. Ma la vita politica italiana è stata ridotta dal fascismo come un arido deserto, e chi può dare un qualsiasi contributo che l’aiuti a rifiorire non deve perdere un minuto di tempo, specialmente nell’attuale tragica situazione. Meglio perciò pubblicare questi scritti quali sono, affidando agli studi successivi il compito di correggere e di aggiornare, meglio anche correre il rischio di dire qualcosa di sbagliato ma indicare agli Italiani smarriti ed incerti, almeno nelle sue grandi linee, la via da seguire, anziché tacere per un eccessivo desiderio di adeguatezza alla realtà attuale”. 

E tuttavia pure in questa premessa la natura elitaria del progetto si avverte nel passo “ … indicare agli Italiani smarriti ed incerti, almeno nelle sue grandi linee, la via da seguire …”. Inoltre questo elitarismo si avverte anche nella rinuncia a formare un partito federalista e nel dire che “Il compito dei federalisti nelle attuali circostanze della nostra vita politica italiana deve essere invece quello di indicare ai partiti progressisti, i quali attirano su di sé le simpatie popolari, ma sono ancora più ricchi di fervore che di idee e propositi precisiquali debbano effettivamente essere questi propositi e come ci si debba concretamente preparare a risolvere i problemi politici attuali. Non si tratta più di formare un partito federalista., ma di aiutare i partiti progressisti italiani a diventare federalisti”. 

Nella Prefazione di Eugenio Colorni si dice che “Fu così che si fece strada, nella mente di alcuni, l’idea centrale che la contraddizione essenziale, responsabile delle crisi, delle guerre, delle miserie e degli sfruttamenti che travagliano la nostra società, è l’esistenza di stati sovrani, geograficamente, economicamente, militarmente individuati, consideranti gli altri stati come concorrenti e potenziali nemici, viventi gli uni rispetto agli altri in una situazione di perpetuo bellum omnium contra omnes”.

Qui possiamo individuare l’illusione che la contraddizione sia essenzialmente culturale e politica. Non si va nella dimensione in cui questi processi politici si formano e si consolidano, quella dimensione dove processi di accumulazione capitalistica ridisegnano attorno a sé la società e i territori, ma ci si ferma all’apparenza e si propongono soluzioni che tengono conto solo dell’apparenza.

Nella Prefazione, Colorni critica l’opzione internazionalista dicendo che “benché le analogie di regime interno possano facilitare i rapporti di amicizia e di collaborazione fra stato e stato, non è affatto detto che portino automaticamente e neppure progressivamente alla unificazione, finché esistano interessi e sentimenti collettivi legati al mantenimento di una unità chiusa all’interno delle frontiere”, ma si illude che l’ipotesi federalista sia un modo alternativo di costruire un ordine internazionale, quando esso va incontro agli stessi problemi e forse a problemi ancora maggiori visto che si vuole applicare a paesi con regimi diversi e sistemi sociali diversi (i quali, a detta proprio di Colorni, non sarebbero sufficienti nemmeno se fossero identici). 

Colorni asserisce che “Tutti i problemi, da quello delle libertà costituzionali a quello della lotta di classe, da quello della pianificazione a quello della presa del potere e dell’uso di esso, ricevono una nuova luce se vengono posti partendo dalla premessa che la prima mèta da raggiungere è quella di un ordinamento unitario nel campo internazionaleEgli però non motiva questo modo di vedere né si chiede se, per l’instaurazione di tale ordinamento, non si debba passare per uno o più dei problemi che invece con questo ordinamento si vorrebbero risolvere. 

Egli poi aggiunge “Un altro motivo ancora — e forse il più importante — era costituito dal fatto che l’ideale di una Federazione Europea, preludio di una Federazione Mondiale, mentre poteva apparire lontana utopia ancora qualche anno fa, si presenta oggi, alla fine di questa guerra, come una mèta raggiungibile e quasi a portata di mano”.. E questo abbiamo visto come fosse in realtà un pio desiderio. 

Ancora Colorni afferma che “Il nostro Movimento non è e non vuol essere un partito politico. Così come si è venuto sempre più nettamente caratterizzando, esso vuole operare sui vari partiti politici e nell’interno di essi, non solo affinché l’istanza internazionalista venga accentuata, ma anche e principalmente affinché tutti i problemi della sua vita politica vengano impostati partendo da questo nuovo angolo visuale, a cui finora sono stati così poco avvezziEcco che quindi ricompare la minoranza illuminata che opera sui e nei partiti politici.

Nel Manifesto vero e proprio (analizziamo in questo contesto anche una prima versione del Manifesto del 1943, perché a nostro parere essa rivela l’ideologia sottesa dei suoi estensori meglio di quella successiva e definitiva del 1944) si dice “L’ideologia dell’indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso; ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l’oppressione degli stranieri dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere, dentro al territorio di ciascun nuovo Stato, alle popolazioni più arretrate, le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili. Essa portava però in sé i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto ingigantire, fino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali”. 

Qui possiamo vedere come gli autori attribuiscano la nascita degli imperialismi ai nazionalismi, mentre l’analisi materialistica ipotizza che l’accumulazione di capitale ad un determinato livello condiziona il perimetro all’interno del quale il nazionalismo attecchisce e si sviluppa. 

Inoltre si reitera l’atteggiamento paternalista tra culture quando si dice “ha fatto estendere, dentro al territorio di ciascun nuovo Stato, alle popolazioni più arretratele istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili” (forse per giustificare la soggezione nella quale era tenuto il Meridione d’Italia?). 

Nella seconda e definitiva versione del Manifesto non a caso non si parla più di nazionalismoimperialista ma di imperialismo capitalista, quasi a voler sfumare un presupposto teorico sbagliato.

Si parla anche di “spazio vitale” (l’espressione fatta propria dal nazifascismo per giustificare l’innesco del conflitto mondiale), quasi fosse una sorta di desiderio irrazionale di espansione (e quindi derubricandolo ad espressione di mera volontà politica), quando si tratta dell’espressione ideologica che si collega all’esigenza imperialistica che è interna alle contraddizioni del capitale, per il quale anche l’ambito della nazione diventa angusto ed oppressivo. Perciò la libera circolazione delle merci, che essi vedono solo come “fattore progressivo”, è allo stesso tempo uno dei momenti della dinamica imperialista nel momento in cui ad essa (post hoc e propter hoc) segue quella dei capitali.

Gli autori hanno buon gioco ad evidenziare come anche nei periodi di pace il funzionamento degli ordinamenti che loro definiscono “liberi” (e cioè scuola, scienza e produzione) sia indirizzato totalmente alla guerra. Essi però, come in altre parti dell’elaborato, si fermano alla superficie delle cose. Non vedono che la proiezione bellica è proprio insita nella dinamica imperialistica (e quindi economica) che vede capitalismi in competizione tra loro che trascinano le nazioni con sé (e non nazioni che subordinano la produzione alla guerra). 

La guerra è nella sua accezione moderna un momento della fisiologia (che è dialetticamente una patologia) capitalistica. E la produzione non è affatto un ordinamento libero. Anzi, le modalità con cui si produce sono modalità militari, in quanto la fabbrica sin dal suo inizio (sin da quando si costringeva in Inghilterra a lavorare nelle fabbriche) è una istituzione totale.

E’ sintomatico come gli estensori del Manifesto attribuiscano tutti i mali all’iperbole politica, invece di guardare alla struttura economica: “Le madri vengono considerate come fattrici di soldati, ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri con i quali alle mostre si premiano le bestie prolifiche; i bambini vengono educati fin dalla più tenera età al mestiere delle armi e all’odio verso gli stranieri, le libertà individuali si riducono a nulla, dal momento che tutti sono militarizzati e continuamente chiamati a prestare servizio militare; le guerre a ripetizione costringono ad abbandonare la famiglia, l’impiego, gli averi, ed a sacrificare la vita stessa per obbiettivi di cui nessuno capisce veramente il valore; in poche giornate vengono distrutti i risultati di decenni di sforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo”. 

Le madri sono fattrici di lavoratori e devono essere prolifiche per riprodurre “l’esercito” industriale di riserva. I bambini sono dalla più tenera età posti sul mercato del lavoro. Le libertà individuali sono nulla appena varcato l’ingresso della fabbrica. La produzione costringe ad abbandonare la famiglia ed a sacrificare spesso la vita per obbiettivi di cui nessuno capisce il valore. La guerra è l’immagine un po’ più brutta della matrice che la genera e cioè il modo di produzione capitalistico. Ma il Manifesto di Ventotene questa paternità la nega e anzi retoricamente ci disegna l’opposizione tra una produzione pacifica e una politica belligerante.

Anche quando si riferisce alla Germania, il quadro che fa il Manifesto riproduce uno stereotipo dove le considerazioni, fatte anche all’interno degli ideologi liberali (si pensi a Keynes), circa le responsabilità dei vincitori della Prima Guerra Mondiale nel determinare il trionfo del nazismo in Germania sono del tutto sottaciute.

Nella prima parte (“Crisi della società moderna”) ci sono anche analisi che si ricollegano alla tradizione socialista e che cercano di ricollegare il totalitarismo nazifascista alla oppressione delle classi diseredate, ma la tendenza elitaria ricompare quando si dice, all’inizio della seconda parte “Nel breve intenso periodo di crisi generale, in cui gli stati nazionali giaceranno fracassati al suolo, in cui le masse popolari attenderanno ansiose la parola nuova e saranno materia fusa, ardente, suscettibile di essere colata in forme nuove, capace di accogliere la guida di uomini seriamente internazionalisti …

Troviamo poi anche un principio ambiguo (perché utilizzabile in molti modi) quando si dice “Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei”.

Questo principio, ripreso dall’antifascismo, è stato poi uno dei fattori ideologici che ha permesso le guerre Usa contro l’Iraq, la Serbia e la Libia. Non a caso questo principio è stato fatto proprio dal fondamentalismo neoliberista dei Radicali Italiani, che sono stati sempre in prima fila nel sostegno ideologico e politico alle guerre condotte da Usa ed Europa dopo il crollo del socialismo reale.

Singolare poi è la teoria sostenuta in questo passo dove si dice “Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell’interno, questione balcanica, questione irlandese, ecc:, che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione, come l’hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali, quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti fra le diverse provincie”. 

Infatti si pensa che l’unificazione europea contribuirebbe a risolvere i problemi interni a vari Stati, mentre la questione catalana è la dimostrazione che la tendenza alla concentrazione dei fattori produttivi – resa possibile dalla libera circolazione degli stessi a livello europeo (senza meccanismi di compensazione) – lacera ancora di più il circuito di solidarietà interno ai singoli Stati, a meno che qualcuno non riesumi il patriottismo nazionalista, per cui il processo di unificazione si configura come una sorta di fuga in avanti.

Fa sorridere ed inquietare l’atteggiamento degli estensori verso la democrazia. Essi combinano la critica al totalitarismo nazionalistico ad un atteggiamento minoritario ed illuministico che non può che mostrarsi scettico verso le possibilità dei popoli di autodeterminarsi. Infatti dicono “I democratici non rifuggono per principio dalla violenza, ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità, cioè propriamente quando non è più altro che un pressoché superfluo puntino da mettere sugli i. Sono perciò dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione, in cui un popolo è nel suo complesso convinto della bontà delle istituzioni fondamentali, che debbono solo essere ritoccate in aspetti relativamente secondari. Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente. La pietosa impotenza dei democratici nelle rivoluzioni russa, tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti esempi. In tali situazioni, caduto il vecchio apparato statale, con le sue leggi e la sua amministrazione, pullulano immediatamente, con sembianza di vecchia legalità o sprezzandola, una quantità di assemblee e rappresentanze popolari in cui convergono e si agitano tutte le forze sociali progressiste. Il popolo ha sì alcuni bisogni fondamentali da soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare. Mille campane suonano alle sue orecchie, con i suoi milioni di teste non riesce a raccapezzarsi, e si disgrega in una quantità di tendenze in lotta tra loro”. 

Il popolo per questi signori è sempre confuso. I milioni di teste li ossessionano ed hanno dunque bisogno di ridurre la complessità democratica con l’accetta. 

Infine in questo passo si intravede la tendenza (in altre parti meno accentuata) di assimilare l’Urss alla situazione spagnola e tedesca, quasi rimpiangendo che il socialismo rivoluzionario russo non abbia avuto miglior sorte. E la critica alla burocrazia sovietica fa intravedere un’altra matrice astrattamente internazionalista, oltre quella del liberalismo ispirato dalla concezioni massoniche (si pensi a Briand e allo stesso Kalergi).

Non finisce qui. Il Manifesto aggiunge “Nel momento in cui occorre la massima decisione ed audacia, i democratici si sentono smarriti non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni; pensano che loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano come predicatori esortanti, laddove occorrono capi che guidino sapendo dove arrivare” e ancora “La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria”.

Giunti a questo punto, gli estensori del Manifesto si preparano a criticare il concetto marxista di lotta di classe ed affermano: “Man mano che i democratici logorassero nelle loro logomachie la loro prima popolarità di assertori della libertà, mancando ogni seria rivoluzione politica e sociale, si andrebbero immancabilmente ricostituendo le istituzioni politiche pretotalitarie, e la lotta tornerebbe a svilupparsi secondo i vecchi schemi della contrapposizione delle classi. Il principio secondo il quale la lotta di classe è il termine a cui van ridotti tutti i problemi politici, ha costituito la direttiva fondamentale, specialmente degli operai delle fabbriche, ed ha giovato a dare consistenza alla loro politica, finché non erano in questione le istituzioni fondamentali della società. Ma si converte in uno strumento di isolamento del proletariato, quando si imponga di trasformare l’intera organizzazione della società. Gli operai educati classisticamente non sanno allora vedere che le loro particolari rivendicazioni di classe, o di categoria, senza curarsi del come connetterle con gli interessi degli altri ceti, oppure aspirano alla unilaterale dittatura della loro classe, per realizzare l’utopistica collettivizzazione di tutti gli strumenti materiali di produzione, indicata da una propaganda secolare come il rimedio sovrano a tutti i loro mali. Questa politica non riesce a far presa su nessun altro strato fuorché sugli operai, i quali così privano le altre forze progressive del loro sostegno, e le lasciano cadere in balia della reazione, che abilmente le organizza per spezzare le reni allo stesso movimento proletario”. 

Dunque, per gli estensori del Manifesto, gli operai ispirati al principio della lotta di classe non farebbero una politica delle alleanze e quindi non riuscirebbero a raggiungere il potere. Questo assunto falso (l’alleanza tra operai e contadini nella rivoluzione russa come si dovrebbe considerare?) serve per introdurre un più sostanziale interclassismo funzionale alla ideologia elitaria degli autori. Anche questo passo non a caso viene in buona parte espunto nella versione definitiva, ma rimane il passo in cui si dice “Il fronte delle forze progressiste sarebbe facilmente frantumato nella rissa tra classi e categorie economiche”, in cui compare un astratto politicismo che derubrica la lotta di classe a rissa.

Essi aggiungono “Questo atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, più efficienti dei democratici; ma tenendo essi distinte quanto più possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzionarie – col predicare che la loro «vera» rivoluzione è ancora da venire – costituiscono nei momento decisivi un elemento settario che indebolisce il tutto”.

Non sapendo quali siano queste altre forze rivoluzionarie, ci meravigliamo di come gli estensori del Manifesto credano in una rivoluzione di qua da venire e critichino quelli che prudentemente parlano di una rivoluzione di là da venire. L’anticomunismo del Manifesto si rende evidente quando si dice “Ma anche i comunisti, nonostante le loro deficienze, potrebbero avere il loro quarto d’ora, convogliare masse stanche, deluse, assumere il potere ed adoperarlo per realizzare, come in Russia, il dispotismo burocratico su tutta la vita economica, politica e spirituale del paeseUna situazione dove i comunisti contassero come forza politica dominante significherebbe non uno sviluppo in senso rivoluzionario, ma già il fallimento del rinnovamento europeo”. 

Anche questo passo viene omesso nella versione definitiva (probabilmente si sceglie un atteggiamento più sfumato verso il partito comunista italiano per quanto Altiero Spinelli fosse stato espulso dal Pci nel 1937). 

Tuttavia la crescente inclinazione di Spinelli verso il liberismo (complice la lettura di Luigi Einaudi, che già dal 1893 parlava di Stati Uniti d’Europa e che, con lo pseudonimo Junius, nel 1920 aveva scritto delle lettere sull’unificazione europea) è evidente quando si dice “Le gigantesche forze di progresso che scaturiscono dall’interesse individualenon vanno spente nella morta gora della pratica routinière per trovarsi poi di fronte all’insolubile problema di resuscitare lo spirito d’iniziativa con le differenziazioni nei salari, e con gli altri provvedimenti del genere; quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore opportunità di sviluppo e di impiego, e contemporaneamente vanno consolidati e perfezionati gli argini che le convogliano verso gli obbiettivi di maggiore vantaggio per tutta la collettività

Gli autori sognano un’alleanza tra la classe operaia e gli intellettuali, che eviti agli intellettuali una sorta di impotenza sociale e agli operai di appiattirsi sul classismo dottrinario, senza notare che la classe operaia aveva già nei suoi gruppi dirigenti intellettuali di alto livello e che, nel frattempo, Antonio Gramsci aveva già delineato un modello di intellettuale collettivo (proprio quel partito che gli elitari del Manifesto trattavano con ingiustificata supponenza). 

Questa parodia di un bolscevismo in giacca e cravatta così conclude: “Durante la crisi rivoluzionaria spetta a questo partito organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le forze rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidateEsso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto, non da una preventiva consacrazione da parte della ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società modernaDà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato ed attorno ad esso la nuova democrazia. Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente sbocciare in un nuovo dispotismo. Vi sbocca se è venuto modellando un tipo di società servile. Ma se il partito rivoluzionario andrà creando con polso fermo fin dai primissimi passi le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e perciò nel senso di una crescente possibilità di funzionamento di istituzioni politiche libere”. 

Nella versione definitiva a “questo partito” si sostituisce “questo movimento”, aumentando nel lettore l’impressione di un pasticcio. Non si vuole fare il partito per velleità di entrismo, ma al tempo stesso si pretende di dirigere senza imporsi a propria volta una organizzazione. Il Manifesto di Ventotene, contrariamente a quello di Marx, invece di abbandonare la dissimulazione, intende perpetrarla rifiutando un contatto diretto con le masse e nascondendosi nelle istituzioni che pure considera compromesse dalla guerra.

Perché tale ingenua e presuntuosa visione delle cose potesse avere il suo infelice successo, si è dovuto aspettare che essa si piegasse alla Forche Caudine del nascente imperialismo europeo, quell’imperialismo che essa vedeva solo nei cosiddetti totalitarismi e che invece si fa presente anche nelle democrazie liberali sempre meno democratiche e sempre meno liberali.

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8993 ]]

(français / english / italiano)
 
Cos'è un nome?
 
1) De quoi la Macédoine est-elle le nom ? (par A. Manessis / PRCF, 31/1/2019)
2) Grecia: ΚΚΕ vota contro il governo e l'accordo Tsipras-Zaev / Cortei militanti e di massa contro l'Accordo Tsipras-Zaev, i piani della NATO e il nazionalismo (gennaio 2019)
3) Cos’è un nome? Tutto e niente (di W. Madsen / SCF 21.06.2018)
 
 
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De quoi la Macédoine est-elle le nom ?
 

Imaginons qu’à la frontière entre la France et l’ Allemagne, celle-ci décide de baptiser Alsace du nord, la partie allemande du Bade-Wurtemberg de Fribourg à Karlsruhe.

On pourrait supputer sans être paranoïaque quelque pensée irrédentiste.

Or c’est exactement ce qui se passe avec la “République de la Macédoine du Nord” avec la complicité du gouvernement de Tsipras devenu la serpillère de l’Union Européenne c’est-à-dire de l’ Allemagne tout particulièrement dominante dans les Balkans.

L’irrédentisme slavo-macédonien de Skopje, avec ses aspirations sur les territoires prétendument slaves en Grèce (Macédoine historique) et aussi en Bulgarie (Macédoine du Pirin) existe depuis fort longtemps au moins depuis que Tito essaya d’obtenir une sortie dans la méditerranée (dans le cadre d’une Fédération balkanique) en créant une République socialiste de Macédoine qui avait des revendications sur le territoire grec. Les nationalistes de Skopje, après la mort de Tito, firent la promotion des visées expansionnistes territoriales sur la Grèce (élaboration de cartes, manuels scolaires, livres d’histoire, etc., illustrant des territoires grecs sur le territoire d’une “grande” République Yougoslave de Macédoine). Sur le plan symbolique, les emblèmes de la Macédoine hellénique de l’ Antiquité comme  le soleil de Vergina de Philippe et Alexandre le Grand (dix siècles avant l’arrivée des Slaves dans cette région) furent récupérés par les nationalistes de Skopje.

Le Grèce ne pouvait pas accepter une telle situation potentiellement extrêmement dangereuse.

Mais la perspective d’une adhésion de Skopje à l’UE et à l’OTAN, que l’ Allemagne soutient, a amené Tsipras, une fois de plus, à capituler. L’Allemagne, après avoir fait exploser et dépecer la Yougoslavie en soutenant les nationalistes croates, slovènes et après avoir avec les autres pays impérialistes et l’OTAN, écrasé la Serbie sous les bombardements, s’est emparé de la région qu’elle domine totalement. La France ayant servie de marche-pied à cette hégémonie en trahissant la Serbie, son allié historique dans les Balkans.

Reste que la “République de Macédoine du Nord” est une menace contre l’intégrité territoriale de la Grèce et une menace de déstabilisation de la région. En effet d’autres puissances régionales pourraient manipuler l’irrédentisme macédonien. On pense évidement  d’abord à la Turquie qui a par ailleurs des exigences totalement contraires au droit international sur les eaux territoriales et l’espace aérien en mer Égée. On ne s’étonnera pas que les Grecs soient à 70% contre l’accord que le parlement grec vient d’approuver. Les Grecs ne sont pas effrayés en soi par Skopje et ses ambitions irrédentistes, mais par les forces étrangères qui pourraient utiliser ce nouvel État pour asseoir leur pouvoir sur la région et en particulier l’OTAN qui pourrait redessiner la carte de la région en fonction des intérêts impérialistes.

La Grèce a trop souffert, a été trop envahie, trop occupée pour que la moindre naïveté soit autorisée.

En revanche il faut dire clairement que c’est la droite (ND) et l’extrême-droite (AD) qui se sont engouffrées dans la brèche. La social-démocratie (Syriza) ayant une fois encore trahi le patriotisme populaire. Le nationalisme grec utilise cette situation pour préparer son retour aux affaires, les élections étant prévues en septembre 2019. Mobiliser entre 60.000 et 100.000 personnes à Athènes est incontestablement un signe d’adhésion que les sondages confirment.

Sous-estimer la question nationale dans un pays comme la Grèce qui fut occupée quatre siècles par l’empire ottoman et, depuis son indépendance (1820-1930), dominée par différentes puissances impérialistes et où le patriotisme est, par réaction, extrêmement puissant, serait une erreur historique.

Les forces progressistes grecques doivent se souvenir et helléniser la phrase célèbre du marxiste irlandais James Connolly : “La cause de l’Irlande est la cause du Travail, la cause du Travail est la cause de l’Irlande.”

Le KKE l’a bien compris qui a voté contre l’accord  de Prespa qui vise l’expansion sans encombre de l’OTAN dans les Balkans occidentaux, la montée de la pression sur la Serbie pour adhérer à l’OTAN et à l’UE, et à la promotion du gouvernement de Tsipras en “appui politique et militaire des Etats-Unis le plus stable de l’arc géopolitique allant de la Pologne à Israël” selon les déclarations de l’ambassadeur américain à Athènes Geoffrey Pyat.

Par Antoine Manessis.
Secrétaire de la Commission internationale du PRCF
 
(31/1/2019)
 
 
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www.resistenze.org - popoli resistenti - grecia - 21-01-19 - n. 698

Il ΚΚΕ vota contro il governo e l'accordo Tsipras-Zaev

Partito Comunista di Grecia (KKE) | kke.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

15/01/2019

Nel suo bollettino sugli sviluppi politici, l'ufficio stampa del CC del KKE afferma quanto segue:

«La contrattazione dei giorni passati tra Tsipras (SYRIZA) - Kammenos (ANEL) si è conclusa con la ricerca di un voto di fiducia in Parlamento. Si tratta di un esito conveniente per entrambe le parti coinvolte, poiché offre da un lato la possibilità al Sig. Tsipras di salvare il suo governo con voti dei deputati di ANEL in parlamento, e d'altro canto, consente al Sig. Kammenos di mantenere il suo gruppo parlamentare, apparendo in contrasto con una politica che ha sostenuto durante tutto il recente passato.

Inoltre, l'accordo di Prespa, che ha costituito il catalizzatore di questi sviluppi politici, è un aspetto chiave del piano globale USA-NATO per la regione, che sia il signor Tsipras che il signor Kammenos hanno servito con grande coerenza, al punto di trasformare la Grecia in una vasta base militare USA-NATO.

Il KKE vota contro il governo e indipendentemente da qualsiasi sviluppo si verifichi nel Parlamento tra i potenziali collaboratori di Tsipras, la questione cruciale è che il popolo respinga questo governo perché continuerà le stesse barbare e pericolose politiche anti-popolari in continuazione ai precedenti..

È un governo che ha assunto impegni concreti con gli Stati Uniti, la NATO, la Germania, nei confronti delle classi dirigenti nazionali ed europee. Questi impegni - la ristrutturazione anti-popolare e il sostegno dei piani euro-atlantici - devono essere completati entro le elezioni, e per questo motivo tutti i soggetti sopraccitati sono i primi a dare un "voto di fiducia" al governo SYRIZA, come aveva fatto Trump in precedenza e ora la cancelliera Merkel.

Per quanto il governo definisca l'accordo Prespa come "progressista", la realtà è completamente diversa.

Gli Stati Uniti, la NATO e l'UE hanno voluto imporre l'Accordo di Prespa a ogni costo per promuovere l'integrazione euro-atlantica nei Balcani occidentali e indebolire l'influenza di altri centri, come la Russia, ecc.

Queste forze e le alleanze criminali imperialiste che hanno sparso sangue nei Balcani ed esacerbato le divisioni etniche, ridefinendo i confini con il sangue dei popoli, non possono essere garanti della pace e della sicurezza. Né possono essere protettori dei diritti sovrani del paese, come mostra la storia delle differenze greco-turche. Per questo motivo, anche all'interno dell'Accordo Prespa, vengono preservati i germi dell'irredentismo, al fine di costituire una "fonte" continua di destabilizzazione a seconda degli interessi di volta in volta espressi dalle potenze.

Per questi motivi il KKE vota contro l'accordo di Tsipras-Zaev e difende la solidarietà e la lotta comune dei popoli contro i disegni degli Stati Uniti e della NATO.

Questi piani non vengono contestati dalla ND (Nuova Democrazia, partito conservatore, ndt), né da coloro che pescano nelle torbide acque del nazionalismo e del fascismo, giocando il gioco degli imperialisti sia in Grecia che nell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia.

La propaganda governativa sulle "misure positive" che devono ancora essere attuate nel restante periodo di governo, ossia le "briciole caritatevoli", vengono gettate come polvere negli occhi della gente. Anche quelle non verrebbero distribuite se non fosse per le lotte dei lavoratori e dei movimenti popolari, con il contributo decisivo del KKE. Queste misure, tuttavia, non guariscono le ferite inflitte dai memorandum, come sostiene il governo, né impediscono l'ulteriore approfondimento di queste ferite. Non si tratta di altro se non della restituzione in minima parte dell'immenso furto a spese del popolo, che continua ad aumentare. La prova di ciò è la conservazione delle leggi sui memorandum, i profitti estratti sul sangue versato dai lavoratori, l'intensificazione di una imposizione fiscale da rapina, la generalizzazione del lavoro part-time, la restrizione delle tutele sulla prima casa e l'accelerazione dei processi di pignoramento, i nuovi privilegi consegnati al grande capitale, ecc. Per questo motivo le chiamiamo briciole: perché scompaiono prima ancora che vengano distribuite.

Il governo SYRIZA così come ND e gli altri partiti servono costantemente questa politica. Il comune denominatore è la dedizione all'obiettivo della redditività capitalista che richiede il sacrificio del lavoro e dei diritti popolari. Cercano di nascondere la loro convergenza strategica, facendo mostra di vecchie dualità e superate dicotomie, come "progresso - conservazione", dal momento che il presunto fronte "progressista" di Tsipras include persone che negli anni passati si sono distinte come ministri e funzionari nei governi della ND e del PASOK, con significative esperienze di "successo" in politiche antipopolari. Mentre altri dirigenti del partito (SYN/SYRIZA), hanno attraversato il PASOK, POTAMI e DIMAR, per finire ancora una volta in SYRIZA. SYRIZA è un partito amorale, avventurista, dedito alle politiche dei memorandum.

I recenti sviluppi, con trasferimenti di deputati del parlamento da un partito all'altro e il rimescolamento della scena politica, rivelano, al di là dell'avventurismo di alcuni, che le differenze tra i partiti borghesi sono minime e le loro convergenze così forti, che saltare da un partito all'altro è a questo punto estremamente facile.

Se si guarda alla composizione del Parlamento con i suoi 300 deputati nel corso di questi 4 anni, si conferma che l'unico partito stabile è il KKE. E questo è un ulteriore criterio che le persone devono tenere in considerazione nelle prossime elezioni.

Il vero dilemma dal punto di vista del popolo greco e dei suoi interessi è: perseverare sulla stessa strada, che ha dimostrato di portare sempre nuova sofferenza e distruzione, o intraprendere una lotta di massa e decisiva, ovunque, in modo che questo marcio sistema di sfruttamento cambi radicalmente una volta per tutte?

Il popolo greco non deve cercare le sottili differenze tra partiti fatti della stessa stoffa, ma fare veramente la "differenza", con un KKE più potente. Per rafforzare la lotta, la speranza, l'obiettivo del rovesciamento radicale».
 
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En français: 
KKE: Rassemblements de masse militants contre l’accord Tsipras-Zaev, les plans de l’OTAN et le nationalisme
 
 
www.resistenze.org - popoli resistenti - grecia - 29-01-19 - n. 699

Cortei militanti e di massa contro l'Accordo Tsipras-Zaev, i piani della NATO e il nazionalismo

Partito Comunista di Grecia (KKE) | kke.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

25/01/2019

I lavoratori, i giovani e i pensionati che si sono radunati nelle manifestazioni del KKE giovedì 24 gennaio hanno espresso il loro "NO" all'accordo Tsipras-Zaev, ai piani USA-NATO-UE, all'irredentismo e al nazionalismo, ma anche il loro "SI" all'amicizia, alla solidarietà e alla lotta comune dei popoli.

Fotohttps://inter.kke.gr/export/sites/inter/.content/images/news/sugkentrosh-kke-56.jpg_2126691551.jpg

Il Segretario Generale del Comitato Centrale del KKE Dimitris Koutsoumpas è intervenuto durante la manifestazione ad Atene; immediatamente dopo i manifestanti hanno marciato in corteo verso l'ambasciata americana. Quando la testa del corteo ha raggiunto l'ambasciata, i manifestanti hanno bruciato le bandiere della NATO, degli Stati Uniti e dell'UE.

Videohttps://youtu.be/O_DXpI9onRk

Sotiris Zarianopoulos, rappresentante del KKE al Parlamento europeo e candidato sindaco di Salonicco, ha parlato alla manifestazione a Salonicco, a cui è seguito un corteo verso il consolato americano.
Mobilitazioni simili si sono svolte a Larissa.

Videohttps://youtu.be/JWAi_QHFtNo

Rafforziamo con il KKE l'opposizione del popolo ai disegni imperialisti, alla NATO, all'UE

"Siamo qui per dichiarare il nostro" NO "all'accordo Tsipras-Zaev e ai disegni antipopolari euro-atlantici. Siamo qui per affermare il nostro" SI" alla pace, all'amicizia, alla solidarietà del popolo greco con i popoli vicini. Dall'Acropoli, eterno simbolo della cultura greca e mondiale, sono state riprese questa mattina le immagini che hanno fatto il giro del mondo e che esprimono ora il vero "NO" e il vero "SI", ha dichiarato il Segretario Generale del KKE.

Koutsoumpas ha sottolineato anche che "il governo SYRIZA si appresta a votare per l'accordo di Prespa, progettato, attuato e firmato con il governo della FYROM su richiesta della NATO, degli USA e dell'UE, dei grandi capitali, per consentire loro di fare affari nei Balcani".

In conclusione ha sottolineato: "Chiediamo ai lavoratori, ai disoccupati, al popolo degli strati popolari di intensificare l'opposizione ai piani imperialisti, alla NATO, all'UE. Chiediamo di lottare per la rimozione delle basi NATO dalla Grecia, per il disimpegno del nostro paese dalle organizzazioni imperialiste, in modo che nessun'altro popolo possa entrare in questa prigione.
Di prendere il posto di combattimento accanto ai comunisti, al fine di rafforzare la solidarietà e la lotta comune dei popoli, per seguire la nostra via per assumere il potere, il potere dei lavoratori".
 
 
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ORIG.: What’s in a Name? Everything and Nothing (by Wayne Madsen, 21.06.2018)
 
 
Cos’è un nome? Tutto e niente
di Wayne Madsen, SCF 21.06.2018
 
Secondo tutti i resoconti da Grecia e Macedonia, la maggioranza di entrambi i Paesi sarà felice del nuovo nome per la Macedonia concordato dai governi di Atene e Skopje. Dopo anni di veti greci all’adesione ad Unione Europea e NATO col nome di “Repubblica di Macedonia”, il governo greco accettava di abbandonare l’opposizione fintanto che la Macedonia cambi nome in “Macedonia settentrionale”. I greci credevano che fosse obiettivo di macedoni slavi e albanesi rivendicare la regione della Grecia settentrionale, chiamata anche Macedonia. Da quando la Macedonia dichiarò l’indipendenza dalla Jugoslavia 25 anni fa, la Grecia insistette a che le Nazioni Unite chiamassero il Paese “ex-Repubblica Jugoslava di Macedonia”, nell’acronimo FYROM. Alcune nazioni la riconobbero come Repubblica di Macedonia, mentre altri optarono per ex-Repubblica jugoslava di Macedonia. I macedoni dichiararono anche Alessandro Magno, eroe nazionale greco, uno di loro e denominarono il loro aeroporto internazionale dall’antico conquistatore. Col cambio del nome della Macedonia, l’aeroporto internazionale Alessandro Magno diventava aeroporto internazionale di Skopje. I libri di storia macedoni vanno modificati per dire che i macedoni del nord non sono gli antichi macedoni. I macedoni veri, sostiene Atene, sono i greci del nord o “macedoni egei”. I macedoni, governati dall’agente di George Soros Zoran Zaev, subiscono il cambio culturale visto in Ruanda dopo che il generale Paul Kagame, un espatriato ruandese proveniente dall’Uganda, prese il potere dopo il sanguinoso genocidio del 1994. Il Ruanda costrinse i ruandesi a sostituire il francese con l’inglese, il tricolore nazionale simile a quello francese con una nuova bandiera, e il Ruanda aderì al Commonwealth guidato dalla regina inglese. L’unica cosa che non è cambiata in Ruanda è il nome del Paese, anche se qui non poteva, Kagame ritornò al nome coloniale di “Ruanda”. Macedonia settentrionale fu concordata da Macedonia e Grecia dopo la discussione di molte altre opzioni. I greci preferivano “Repubblica di Vardar Macedonia”, ma fu respinto dai macedoni che preferivano “Repubblica di Nuova Macedonia”. Il mediatore delle Nazioni Unite disse che c’erano altri nomi candidati, come Repubblica di Macedonia Superiore e Repubblica di Macedonia (Skopje). La Grecia suggerì molti altri nomi, come “Dardania e Paeonia”, nomi antichi della regione; Slavia meridionale, Repubblica di Vardar, Repubblica dei Balcani centrali e Repubblica di Skopje. I macedoni proposero Repubblica Costituzionale di Macedonia, Repubblica Democratica di Macedonia, la Repubblica Indipendente di Macedonia e Nuova Repubblica di Macedonia. I nomi ora significano tutto nell’era del “nuovo nazionalismo”.

L’ambasciatore statunitense in Israele, David Friedman, ex-procuratore di Donald Trump, indicò la West Bank occupata illegalmente come “Giudea e Samaria”, uno scappellamento ai coloni ebrei illegali che vogliono che Israele annulli la Cisgiordania e diventi uno Stato dell’apartheid in piena regola, coi palestinesi trattati da “untermenschen”. “Ci sono notizie che dopo aver spostato l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme, l’amministrazione Trump sia lanciata a riconoscere tutta Gerusalemme, inclusa Gerusalemme Est occupata illegalmente, capitale d’Israele, e l’annessione delle alture del Golan siriane. Ciò lascerebbe il ghetto palestinese a cielo aperto di Gaza quale obiettivo per la ri-annessione israeliana. Minacciosamente, l’amministrazione Trump già chiama Gaza “Israele meridionale”. Ci sono altre proposte di cambiamento di nomi. Nel 2017, il ministro delle arti e della cultura sudafricano Nathi Mthethwa accese il dibattito quando suggerì che il Sudafrica dovrebbe diventare “Azania”, nome con origini greche. La proposta fu messa da parte rapidamente da un governo che non voleva mal di testa autoinflitti oltre a tutti gli altri problemi. Allo stesso modo, c’è poco interesse nella Repubblica Centrafricana a tornare al nome coloniale francese di Ubangi-Shari, i due fiumi che convergono nel Paese. I sudafricani potrebbero pensarci due volte su Azania. Il Sud Sudan considerava l’uso dello stesso nome dall’indipendenza dal Sudan nel 2011. Il mondo potrebbe sopravvivere a due Azania? Perché no? Ci sono stati due Congo indipendenti dagli anni ’60, l’ex- Repubblica francese del Congo e l’ex-Repubblica Democratica del Congo (RDC) belga. La RDC cambiò nome in Zaire durante la dittatura di Mobutu Sese Seko, ma cambiò di nuovo dopo la sua estromissione con una ribellione popolare. Il Sud Sudan sembrava aver apprezzato il nome Sud Sudan, dopo aver respinto, insieme ad Azania, i nomi Repubblica del Nile, del Kush e Juwama. Alcuni sud sudanesi vogliono ancora cambiare nome, favorendo Tochland o Savannah. Se gli attivisti favorevoli all’indipendenza si faranno strada nello Yemen devastato dalla guerra civile, lo Yemen del Sud riemergerà come nazione indipendente e ciò potrebbe dare sollievo a Sud Sudan e Sudafrica, ma non alla Corea del Sud che, dopo il riconoscimento di Trump del Nord come Repubblica Popolare Democratica di Corea, o RPDC, insisterà ad essere chiamata Repubblica di Corea o “RoK”. In occasione del 50esimo compleanno, il re dello Swaziland, re Mswati III, che ha 15 mogli, 12 in meno del numero noto di ex-mogli di Trump, proclamava che il nome del suo Paese sia d’ora in poi eSwatini.

Il Kazakistan non è più Kazakistan. Il presidente della nazione, Nursultan Nazarbaev, decretava che la lingua kazaka non sarà più scritta nell’alfabeto cirillico, ma in latino. “Qazaqstan” ora raggiungerà il Qatar come unici Paesi nella sezione “Q” dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Anche Nazarbaev non apprezza l’appendice “stan” al nome del suo Paese, è sarebbe favorevole ad abbandonare “stan” e chiamare il Paese Qazaq Yeli, o “Terra dei kazaki”. Alcuni politici in Kirghizistan vogliono abbandonare il loro “stan” dal nome del Paese, ufficialmente riconoscendosi come Kirghizilandia o Kyrgyz Zher, il nome in kirghiso. Questi politici si lamentano che la loro nazione sia spesso confusa col Kurdistan che, grazie alle pressioni turca e irachena, non è un Paese indipendente rappresentato alle Nazioni Unite. I kirghisi hanno ragione. I cechi, nel sostenere il nome Czechia, non sembravano preoccuparsi che alcuni lo confondano con la Cecenia, repubblica autonoma russa. Nel 2013, la piccola nazione sull’isola di Timor Est annunciato che cambiava nome in Timor-Leste, un capolavoro della propria storia di colonia portoghese. Per non lasciare fuori la nostalgia portoghese, Capo Verde cambiò nome in Cabo Verde, lo stesso anno. Il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha balenato la possibilità di cambiare il nome del Paese in qualcosa che non onori più i colonialisti spagnoli e il loro monarca re Filippo II. Ci furono passi al Congresso delle Filippine per stabilire una commissione geografica per il nuovo nome. Un’idea avanzata è il nome tagalog Haring Bayan.
Il cambio dei nomi dei Paesi sono difficili per alcuni commercianti. Nel 1997, l’American Safety Razor Company reintrodusse il marchio del sapone da barba Burma-Shave. Ma la Birmania era diventata Myanmar nove anni prima e “Myanmar-Shave” mancava di fascino. Tutti gli addetti al marketing del tè di Ceylon erano inorriditi, nel 1971, quando la nazione insulare cambiò nome in Sri Lanka. Se il referendum sull’indipendenza in Nuova Caledonia, a novembre di quest’anno, si tradurrà nel voto a maggioranza per la rottura dei legami coloniali con la Francia e l’indipendenza, il nome del Paese sarà Kanaky. Il nome è un omaggio ai nativi Kanak. Se la Groenlandia opta per l’indipendenza dalla Danimarca, addio Groenlandia e ciao Kalaallit Nunaat, nome Inuit del Paese. Il nazionalismo risorto in tutto il mondo tiene occupati cartografi e diplomatici. Cambiare il nome del Paese è l’attuale moda e non ci sono segni che finisca presto.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

 
 
Chi ha diritto di parola e chi no sulle "foibe"
 
1) Casapound, "esuli" e deputati contro la libertà di insegnamento
Riecco Paola Frassinetti in Commissione Cultura / Intimidazioni contro Virginia Raggi / Casapound Italia contro l'ANPI / Onlus Giuliano-dalmati paragona ANPI alle SS / Gasparri chiede di vietare la presenza di ANPI nelle scuole
2) Polemiche a Rovigo
Basovizza: “Story From Trieste Untrue” / Cosa c’è di sbagliato nel post apparso sulla pagina FB dell’ANPI di Rovigo? (C. Cernigoi)
3) FLASHBACK 2018: 10 Febbraio 2018, Decima Mas e Serracchiani sulla "foiba" di Basovizza

 
Le Foibe come arma di distrazione di massa
di Alberto Fazolo, 31 gennaio 2019
 

 

Dal finire degli anni ’80 si andò definendo un nuovo assetto europeo: la Germania (riunita) diventava il nuovo leader che trascinava gli altri paesi in un percorso – politico ed economico – da cui lei avrebbe tratto il massimo giovamento. In questa nuova Europa sono ben definiti i ruoli: chi comanda e chi obbedisce, chi può prendere le decisioni strategiche e chi si può al più limitare al tentativo d’influenzarle. Un quadro in cui il ruolo dell’Italia è evidente, ma ancora più evidente il fatto che optando per porsi in subalternità si finisce per accettare le decisioni delle forze egemoni nella UE, anche quando queste vadano contro i propri interessi. 

La Germania lanciò un progetto di ampio respiro che oggi si manifesta nella sua concretezza e che prevedeva la costruzione dell’egemonia – politica ed economica – in Europa. Forse fare dei paragoni con i vari Reich è per certi versi azzardato, ma per altri non tanto. Infatti il progetto prevedeva la propria riaffermazione su territori in cui più volte ha insistito la presenza tedesca (fino alla Prima Guerra Mondiale con l’alleanza tra Germania e Impero Austro-Ungarico e successivamente con il Terzo Reich). Anche in quest’ottica va inquadrata l’espansione ad Est avviata con il crollo dei paesi socialisti: nella ricomposizione della sfera d’influenza tedesca.

Sotto la spinta delle forze Euro-Atlantiche caddero tutti i paesi del Patto di Varsavia, che repentinamente passarono ad un sistema di libero mercato compatibile con il nuovo corso europeo. Tuttavia la Jugoslavia socialista (Stato multietnico per antonomasia) non mostrava particolari segni di cedimento. Questa infatti, non gravitando nell’orbita sovietica, non aveva eccessivamente accusato il colpo di quegli eventi. Pertanto, era evidente che per “normalizzare” la Jugoslavia si sarebbe dovuto ricorrere a differenti metodi, optando per alimentare le tensioni etniche e disarticolarla in piccoli stati. Su questa operazione convergevano gli interessi di diversi poteri forti: gli USA impegnati nella crociata contro il socialismo, la NATO in corsa verso Est, la Germania smaniosa di espandersi fino ai vecchi confini dei Reich, il Vaticano di Woytila che voleva costruire una nuova e cattolicissima Croazia. 

Le forze Euro-Atantiche incendiarono i Balcani dando il via ad una terribile guerra civile, in Croazia sostennero gruppi che si ponevano in continuità con il passato fascista, compresi i ferocissimi Ustascia. Con il beneplacito delle forze Euro-Atlantiche la Croazia si macchiò di orribili crimini e fece una terribile pulizia etnica. Nel 1991 i cittadini di etnia croata nel Paese erano il 78% della popolazione complessiva, dieci anni dopo erano diventati il 90%. Con l’indipendenza, la Croazia era diventata di fatto uno Stato fascistoide, semi confessionale ed etnicamente quasi omogeneo. Ma soprattutto la Croazia diventava uno Stato davvero identitario, nell’accezione peggiore del termine. 

Uno Stato in cui qualsiasi “diverso” è un nemico: altre etnie, chi abbia un pensiero politico non allineato a quello dominante, altre religioni, ecc. In Croazia i “diversi” soffrono uno stato di soggezione e marginalizzazione – si sentono sotto costante minaccia – per molti le strade percorribili sono sostanzialmente due: l’emigrazione o l’assimilazione (cioè la rinuncia della propria cultura per assumere quella dominante). Infatti, da dopo l’indipendenza, la popolazione complessiva della Croazia è in costante riduzione mentre aumenta la percentuale di croati a discapito delle altre etnie. 

Un fenomeno riguardante pure la comunità italiana che dai primi anni ’90 ha subito una grave e costante riduzione. Questa comunità non fu vittima di pulizia etnica durante la guerra, sia perché l’Italia non lo avrebbe potuto permettere, sia perché è inverosimile pensare che l’aiuto offerto dall’Italia alla Croazia non avesse una contropartita nella protezione della minoranza italiana. Comunque le statistiche confermano che ancora oggi la comunità italiana in Croazia si riduce sempre di più e anche in questo caso per emigrazione o assimilazione. Molti degli italiani in Croazia si sentono stranieri e marginalizzati, incompatibili con uno Stato identitario, per ciò spesso preferiscono o andare a vivere in Italia o rinunciare alla propria identità per sposare quella croata. 

Questo scenario è estremamente triste e abbastanza noto, il frutto avvelenato delle manovre geopolitiche e imperialistiche delle forze Euro-Atlantiche a cui l’Italia non si è opposta. Ovviamente esistono delle organizzazioni che curano gli interessi degli italiani in Croazia, ma qui non si vuole entrare nel merito di questi gruppi e tanto meno degli orientamenti politici loro e dei loro componenti. Qui si vuole riflettere su un aspetto che non è stato adeguatamente indagato, cioè la contraddizione che in quel frangente esplode in seno alle forze politiche europeiste italiane: hanno appoggiato un progetto geopolitico che ha leso la comunità italiana in Croazia. Nella Croazia indipendente che l’Italia ha contribuito a costruire non c’è spazio per i “diversi”, quindi neanche per gli italiani, è una comunità destinata a scomparire anche per colpa dell’Italia.

Come detto, all’inizio degli anni ’90 il mondo fu sconvolto da enormi cambiamenti, la NATO andava a ridefinire le proprie funzioni e in Europa si accelerò sul processo d’integrazione ad egemonia tedesca. In questo quadro si colloca la destabilizzazione della Jugoslavia. La ricostruzione di quegli anni necessita anche di uno sguardo alle vicende italiane. L’Italia si presentava fiaccata al tavolo di trattative europee in quanto subì una durissima speculazione finanziaria ad opera, tra gli altri, di quel George Soros che si stava impegnando nella distruzione della Jugoslavia. La cosiddetta “Prima Repubblica” era tramontata e sulla scena politica si presentarono nuovi protagonisti. Altre forze politiche si riciclarono tramite metamorfosi: il PCI diventava PDS e il MSI diventava AN. Questi ultimi partiti fecero delle svolte con cui si candidavano a divenire forze di Governo sposando ciecamente la causa europeista. 

In definitiva il processo d’integrazione europea proseguiva a tappe forzate e tutta la classe di governo italiana ne era espressione. Il destino della comunità italiana in Croazia era un problema che praticamente nessuna forza politica aveva intenzione d’affrontare. Tuttavia i dati demografici erano inoppugnabili, la comunità italiana si stava riducendo e il clima nel Paese era ostile a tutte le minoranze. Per questo nel 1996 si cercò di correre ai ripari firmando un trattato bilaterale con cui si sancì che “la Repubblica di Croazia prenderà le misure necessarie per la protezione della minoranza italiana”: le persecuzioni contro gli italiani non ci furono, ma la comunità era comunque destinata a sparire; con il nuovo corso croato era inevitabile. Per le forze di Governo italiane era una contraddizione insanabile, uno scandalo che avrebbe potuto avere conseguenze politiche inimmaginabili.

In questo contesto in Italia repentinamente irruppe con vigore la questione delle Foibe: un coro trasversale di politicanti, giornalisti e “storici” di dubbia serietà iniziarono a raccontare che gli italiani in Croazia erano stati sterminati da Tito. Ovviamente anche la Slovenia venne trascinata nella vicenda, ma con minor enfasi. 

Nel dibattito politico italiano la questione delle Foibe è stata assolutamente marginale per circa mezzo secolo (fino agli anni ’90), salvo poi farla diventare di forza un tema politico centrale. Per giustificare questo cambio di registro venne inventata di sana pianta una fantomatica “congiura del silenzio” basata su argomentazioni grottesche. Infatti fino agli anni ’90 la questione delle Foibe era stata nota e dibattuta, ma per quello che realmente era, verosimilmente dandogli anche una corretta quantificazione. 

Successivamente c’è stato un vero e proprio impazzimento collettivo, con una sorta di macabra gara a chi raccontava la versione più tetra: senza alcun riscontro, e in spregio di ogni seria ricerca storica, venivano proposte cifre in libertà. Particolarmente interessante è stata la risposta scatenata dall’apertura del dibattito sulla bontà della “ricostruzione storica”: reazioni feroci e isteriche. Un qualcosa di smisurato e oltremodo scomposto per quelli che erano ormai – dopo tanti anni – i termini della vicenda. La questione delle Foibe, infatti, era improvvisamente  diventato il più caldo tra tutti gli aspetti della Seconda Guerra Mondiale. 

Dato che tutto ciò non era imputabile a novità di rilievo – non c’era stata alcuna scoperta di nuove fonti – sorse da subito il dubbio che dietro la questione delle Foibe ci potesse essere dell’altro, un qualcosa che tuttavia non si manifestava palesemente e che non si riusciva a cogliere. Ma soprattutto, risultava difficile credere che quel qualcosa di cui si sospettava l’esistenza potesse davvero essere relativo a dei fatti avvenuti negli anni ’40. Serpeggiò insomma subito il dubbio che si potesse trattare di qualcosa di più recente. A tal riguardo sono state formulate diverse ipotesi, in vario modo collegate all’evoluzione degli assetti politici interni e internazionali di quegli anni o a varie forme di opportunismo e trasformismo. Sicuramente si tratta di letture che trovano numerosi riscontri, tuttavia non riescono ad essere esaustive.

Collegando i vari eventi viene quindi da chiedersi se, da dopo gli anni ’90, la questione delle Foibe possa essere stata usata in Italia come “arma di distrazione di massa”, cioè per nascondere all’opinione pubblica un tema ben più attuale qual è la salvaguardia della comunità italiana in Croazia. Si è fatto passare il messaggio che le Foibe siano state il genocidio degli italiani nei Balcani. Si vuole far credere che gli italiani in quelle terre furono o massacrati da Tito o costretti alla fuga (con l’Esodo Giuliano Dalmata). Cioè, viene diffusa una narrazione da cui è completamente rimosso il fatto che, dopo quegli eventi, ci fosse ancora una consistente comunità italiana nei Balcani

La rimozione potrebbe non essere casuale, ma collegata al fatto che negli anni ’90, in Italia, si era deciso di svincolarsi dalla comunità italiana in Croazia (e di voltarle le spalle, concedendo qualche mancia come “buonuscita”). Una volta cambiati i termini della questione, l’Italia non era tenuta ad intervenire, perché per l’opinione pubblica il problema non esisteva più

Spostando artificiosamente agli anni ’40 l’estinzione della comunità italiana in Croazia, automaticamente veniva assolto chi dagli anni ’90 in poi è stato complice nel segnarne il destino: il tradimento è arrivato proprio da chi si presentava come suo paladino.

Ovviamente si tratta di vicende estremamente complesse, che è difficile poter trattare con esaustività in spazi brevi e su cui pochi sono disponibili al confronto. Abbiamo tutti il dovere morale d’indagare sul nostro passato (anche sul più recente), per rendere giustizia alla verità, alla memoria storica e alle vittime.

Certamente non si possono escludere altre concause, ma l’ipotesi di lettura della questione delle Foibe qui esposta è particolarmente innovativa e spinosa, si inserisce nel più ampio dibattito sul delicato tema del Confine Orientale. L’importanza della vicenda non è solo nell’interesse storico o politico, si tratta di un qualcosa di concreto e impellente. 

Il destino della comunità italiana in Croazia è un tema estremamente serio, che non può essere risolto con qualche regalia, va affrontato politicamente. Ma è altrettanto importante fare piena luce su tutte le vicende del Confine Orientale, anche qualora – sia dal passato remoto che da quello più prossimo – emergano verità scomode. Ora la priorità è capire se la questione delle Foibe venga strumentalmente utilizzata per coprire delle scelte scellerate: il sacrificio della comunità italiana in Croazia sull’altare dell’integrazione europea.

 

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