Informazione

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Venezuela: oro giallo e oro nero
 
1) “L’oro del Venezuela resta qui!”: il ruolo di Bank of England e Deutsche Bank nel golpe in atto a Caracas (A. Ramaccioni, 29/1/2019)
2) Venezuela, golpe dello Stato profondo (M. Dinucci, 29/1/2019)
 
 
Altri link:
Una telefonata dagli USA avrebbe innescato il piano per la presa del potere in Venezuela (Sputnik, 27 gennaio 2019)
ORIG.: Un coup de fil des USA aurait déclenché un plan secret de prise du pouvoir au Venezuela (26.01.2019)
Intervista a Maduro (Ignacio Ramonet, Granma 18 gennaio 2019)
Granma International riproduce estratti dall’intervista di Ignacio Ramonet al Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolás Maduro
http://aurorasito.altervista.org/?p=4911
ORIG.: Granma International reproduces excerpts from Ignacio Ramonet’s interview with the President of the Bolivarian Republic of Venezuela, Nicolás Maduro (Ignacio Ramonet, january 18, 2019)
Bank of England refuses to hand over Venezuela's gold – report (9 Nov, 2018)
Sanzioni statunitensi contro l’oro venezuelano: portata e obiettivi (Mision Verdad 6 novembre 2018)
 
 
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“L’oro del Venezuela resta qui!”: il ruolo di Bank of England e Deutsche Bank nel golpe in atto a Caracas
di Alessio Ramaccioni, 29 gennaio 2019
 

Dietro la scomparsa dell’oro venezuelano, c’è la regia degli Stati Uniti. Leggendo una notizia del genere potrebbe sembrare di esser finiti in una spy story, o in una vecchia storia d’avventura di un paio di secoli fa. Stiamo invece parlando di cronaca, di politica, di quello che sta avvenendo in Venezuela. E come sempre quando si segue la pista dei soldi – in questo caso dell’oro – poi le dinamiche in atto iniziano a diventare chiare.

Sono tre le notizie interessanti, da questo punto di vista, che circolano da ieri, citate e proposte da Corriere della Sera e da Sole 24 Ore (media che non possiamo certo annoverare tra quelli pro-Maduro, che di fatto da queste parti non esistono).

La prima arriva dall’agenzia Bloomberg: la Banca d’Inghilterra ha bloccato una richiesta del governo venezuelano di ritirare oltre un miliardo di dollari in lingotti d’oro in possesso della stessa banca. Si tratta di parte della riserva aurea all’estero della banca centrale venezuelana, quindi teoricamente nelle sue disponibilità.

La seconda notizia la riporta la Reuters: l’autoproclamato – e quindi golpista – presidente Guaidò ha scritto a Teresa May, chiedendo formalmente di non restituire l’oro perchè “sarebbe usato per la repressione” da parte di Maduro.

La terza notizia arriva dal Sole 24 Ore, ed è quella che forse “pesa” di più. Sono due, in realtà, le news contenute nell’articolo di Alessandro Plateroti, che suggeriamo di leggere (https://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2019-01-26/-l-oro-caracas-londra-congelato-usa-deutsche-bank-saga-193032.shtml?uuid=AEFrBQLH).

Il primo spunto è in apertura di articolo: dietro il mancato rimpatrio a Caracas nel settembre scorso di 550 milioni di dollari di lingotti d’oro depositati a Londra, non c’erano infatti «problemi procedurali» come hanno sostenuto finora la banca centrale e lo stesso governo inglese, ma una vera operazione di esproprio internazionale organizzata segretamente dalla Casa Bianca”. 

Più chiaro di così si muore. Nello specifico, l’autore fa riferimento ad un precedente diniego da parte dell’autorità britannica che era stato attribuito a questioni di procedura.

Il secondo arriva qualche riga dopo, ed è ancora più clamoroso, forse.

Secondo alcune fonti, la quantità di oro venezuelano in possesso della Bank of England sarebbe praticamente raddoppiato. Da 14 tonnellate presenti nel mese di novembre 2018 alle 31 tonnellate attualmente custodite.

Ma come, a settembre Londra blocca il rimpatrio di 500 milioni di oro e il governo venezuelano gliene affida altre diciassette tonnellate? Sono matti? No. Perchè l’oro non arriva dal Venezuela, ma dalla Germania. Più precisamente dalla Deutsche Bank, che lo aveva avuto come garanzia da parte di Caracas per un prestito concesso quattro anni fa. 

Bloccare l’accesso alle riserve auree al governo di Maduro è una operazione che può avere conseguenze gravi ed immediate. L’oro è usato infatti da anni come valuta di scambio per l’acquisto di beni di consumo anche fondamentali, come cibo e farmaci. Un modo – spiega il Sole 24 Ore – per superare gli ostacoli del lungo embargo a cui il Venezuela è sottoposto da anni da parte degli Usa.

E qui si chiude il cerchio, che parte ed arriva sempre lì, negli Stati Uniti: “I sospetti che dietro questi casi ci sia la regia della Casa Bianca girano da mesi, come riportato in un’inchiesta del Sole 24 Ore il 29 novembre 2018. Una conferma arriva ora da Marshall Billingslea, Assistant Secretary for Terrorist Financing del Dipartimento al Tesoro Usa: «All’inizio di ottobre – rivela a sorpresa Billingslea – il Segretario Mnuchin ha incontrato i ministri delle Finanze d’Europa e Giappone, i governatori delle Banche Centrali e i responsabili dell’intelligence, per definire un piano di azione comune contro Maduro: l’obiettivo più importante e immediato è bloccare il commercio dell’oro sovrano venezuelano. Alcuni risultati li abbiamo già avuti in questi giorni…». Non a caso, erano proprio gli stessi giorni in cui Londra aveva deciso di bloccare il rimpatrio dei lingotti a Caracas.”

Citiamo volentieri e volutamente le ultime righe dell’articolo del Sole 24 Ore perchè, in storie come questa, la chiarezza è fondamentale.

Quello che sta avvenendo in Venezuela è qualcosa di assolutamente artificiale, eterodiretto, antidemocratico. Nasce dalla volontà di un paese terzo rispetto alle vicende venezuelane – gli Stati Uniti – che sta imponendo la sua agenda ad altri paesi terzi che vigliaccamente ne diventano complici.

La “storia dell’oro del Venezuela” è l’ennesima dimostrazione di tutto questo. E mentre Guaidò annuncia di stare prendendo il controllo dei beni all’estero del Venezuela – con l’ovvio e necessario benestare dei paesi che quei beni li ospitano -, gli Stati Uniti annunciano altre sanzioni. La prima ad essere colpita potrebbe essere la Pdvsa, la compagnia petrolifera di Stato.

 
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Venezuela, golpe dello Stato profondo

di Manlio Dinucci, su il manifesto del 29.01.2019

L’annuncio del presidente Trump, che riconosce Juan Gualdó «legittimo presidente» del Venezuela è stato preparato in una cabina di regia sotterranea all’interno del Congresso e della Casa Bianca. La descrive dettagliatamente il New York Times (26 gennaio).

 

Principale operatore è il senatore repubblicano della Florida Marco Rubio, «virtuale segretario di stato per l’America Latina, che guida e articola la strategia dell’Amministrazione nella regione», collegato al vicepresidente Mike Pence e al consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton. Il 22 gennaio, alla Casa Bianca, i tre hanno presentato il loro piano al presidente, che l’ha accettato. Subito dopo – riporta il New York Tmes – «Mr. Pence ha chiamato Mr. Gualdó e gli ha detto che gli Stati uniti lo avrebbero appoggiato se avesse reclamato la presidenza».

Il vicepresidente Pence ha poi diffuso in Venezuela un video messaggio in cui chiamava i dimostranti a «far sentire la vostra voce domani» e assicurava «a nome del presidente Trump e del popolo americano: estamos con ustedes, siamo con voi finché non sarà restaurata la democrazia», definendo Maduro «un dittatore che mai ha ottenuto la presidenza in libere elezioni».

L’indomani Trump ha ufficialmente incoronato Gualdó «presidente del Venezuela», pur non avendo questi partecipato alle elezioni presidenziali del maggio 2018 le quali, boicottate dall’opposizione che sapeva di perderle, hanno decretato la vittoria di Maduro, con il monitoraggio di molti osservatori internazionali.

Tale retroscena rivela che le decisioni politiche vengono prese negli Usa anzitutto nello «Stato profondo», centro sotterraneo del potere reale detenuto dalle oligarchie economiche, finanziarie e militari. Sono queste che hanno deciso di sovvertire lo Stato venezuelano. Esso possiede, oltre a grandi riserve di preziosi minerali, le maggiori riserve petrolifere del mondo, stimate in oltre 300 miliardi di barili, sei volte superiori a quelle statunitensi.

Per sottrarsi alla stretta delle sanzioni, che impediscono al Venezuela perfino di incassare i dollari ricavati dalla vendita di petrolio agli Stati uniti, Caracas ha deciso di quotare il prezzo di vendita del petrolio non più in dollari Usa ma in yuan cinesi. Mossa che mette in pericolo lo strapotere dei petrodollari. Da qui la decisione delle oligarchie statunitensi di accelerare i tempi per sovvertire lo Stato venezuelano e impadronirsi della sua ricchezza petrolifera, necessaria immediatamente non quale fonte emergetica per gli Usa, ma quale strumento strategico di controllo del mercato energetico mondiale in funzione anti-Russia e anti-Cina. A tal fine, attraverso sanzioni e sabotaggi, è stata aggravata in Venezuela la penuria di beni di prima necessità per alimentare il malcontento popolare.

È stata intensificata allo stesso tempo la penetrazione di «organizzazioni non-governative» Usa: ad esempio, la National Endowment for Democracy ha finanziato in un anno in Venezuela oltre 40 progetti sulla «difesa dei diritti umani e della democrazia», ciascuno con decine o centinaia di migliaia di dollari.

Poiché il governo continua ad avere l‘appoggio della maggioranza, è certamente in preparazione qualche grossa provocazione per scatenare all’interno la guerra civile e aprire la strada a un intervento dall’esterno. Complice l’Unione europea che, dopo aver bloccato in Belgio fondi statali venezuelani per 1,2 miliardi di dollari, lancia a Caracas l’ultimatum (concordato col governo italiano) per nuove elezioni. Le andrebbe a monitorare Federica Mogherini, la stessa che l’anno scorso ha rifiutato l’invito di Maduro di andare a monitorare le elezioni presidenziali.

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8989 ]]

IL TERRORISMO DEI SEPARATISTI ALBANESI IN KOSOVO E METOHIJA

di Rade Drobac

Febbraio 1999
Fonte: ARTEL GEOPOLITIKA - www.artel.co.yu

La situazione attuale in Kosovo e Metohija dimostra assai chiaramente i veri scopi dei separatisti e terroristi albanesi e conferma in totale il contenuto di questo testo scritto nel febbraio 1999, poco prima l'aggressione della NATO contro la Jugoslavia, precisamente per supportare questi stessi separatisti e terroristi.

(srpskohrvatski /français / english / italiano)
 
Il monumento a Tudjman e altre ciliegine reazionarie croate
 
1) LINKS
2) Zagreb 30/1: Prosvjed ispred spomenika Franji Tuđmanu 
Si terrà mercoledì a Zagabria, di fronte al monumento a Tudjman "sfregiato" con una falce e martello dal 24-enne Filip Drač, un presidio per richiedere non solo il proscioglimento del giovane ma anche azioni giudiziarie contro chi ha sfregiato e distrutto in Croazia nell'ultimo quarto di secolo molte centinaia di lapidi e monumenti a martiri e partigiani caduti nella Lotta Popolare di Liberazione
FLASHBACK 2017: Spomenik Franji Tuđmanu koštat će Zagrepčane 560 tisuća kuna
 
 
=== 1: LINKS  ===
 
Zaratino multato per aver corretto un graffito "Ammazza il serbo" in "Ama il serbo"
Задранин кажњен јер је преправио графит "Уби Србина" (10.1.2019.)
 
Croazia: L’epilogo del caso Agrokor, il colosso agroalimentare evita il fallimento (di Pierluca Merola, 10/1/2019)
... l’Agrokor, con un fatturato di 6,5 miliardi di euro l’anno, è la più grande società per azioni dell’Europa sud-orientale. La società è presente in Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Ungheria, Slovenia e Serbia, dove impiega più di 130.000 persone. Infine, il valore dell’Agrokor è pari da solo al 16% del PIL croato. Da quando è fuggito nell’ottobre 2017, Todoric ha sempre dichiarato di essere vittima di una congiura internazionale, orchestrata dal governo croato e dal fondo di investimento americano Knighthead Capital Investments, per privarlo della propria compagnia... Il nuovo assetto societario vede la banca russa Sberbank come socio di maggioranza con il 39,2% delle azioni, seguita dagli ex-obbligazionisti con il 25% delle azioni, la cui maggioranza è gestita dalla Knighthead Capital Investments. Partecipazioni minori sono poi detenute dalla russa VTB bank (7,5%) e dall’italiana Unicredit (2,3%)...
 
Révisionnisme Pro-Oustachi En Croatie : Le Nouveau Scandale De Noël (CdB 9 janvier 2019)
« Joyeux Noël pour tous les ’amis’ serbes » : voici ce qu’a écrit sur Facebook le fils d’un député du HDZ, avec la photographie d’un milicien oustachi tenant des têtes coupées de combattants serbes. Ce nouveau scandale s’inscrit dans la vague de révisionnisme pro-oustachi, dénoncent les organisations serbes de Croatie...
 
Croazia: genere e spazio urbano, le donne dimenticate (Ana Kuzmanić, Ivana Perić, 08/01/2019)
Lo spazio urbano è fondamentale nel processo di creazione di una memoria collettiva e per immaginare il futuro. In Croazia, nella toponomastica, non vi è però traccia di nomi femminili
 
Croatia: Crimes Denied and Criminals Praised (Anja Vladisavljevic / BIRN, 26/12/2018)
The downplaying of crimes committed by Croatia’s World War II fascist regime and the public rehabilitation of convicted criminals from the 1990s war continued to cause alarm in 2018
 
Croazia, come ricordare i luoghi storici “dimenticati”? (di Alice Straniero, 04/12/2018)
Suvremena kutura sjećanja u Hrvatskoj i Europi: Kako dalje na odabranim lokacijama na Golom otoku, Grguru, Pagu i Rabu?", Rijeka, 26.-27. listopada 2018.
 
 
Sul fascista croato che a novembre 2018 nella città di Spalato, nella foga di abbattere a calci il busto dell'eroe antifascista Rade Končar, si è rotto una gamba:
 
Sulla situazione tragica per la libertà di stampa:
 
Croazia: giornalisti e media sotto processo (OBC / Radio Popolare, 21 gennaio 2019)
 
Croazia, mille cause contro i giornalisti (Giovanni Vale, 18/01/2019)
 
Croazia: quel cazzuto trio del Feral (Giovanni Vale, Srđan Sandić, 31/12/2018)
Due giornalisti di punta e un famoso caricaturista. Sono tra i fondatori dello storico settimanale satirico croato Feral Tribune. In questa intervista, il trio commenta senza peli sulla lingua la situazione in Croazia, lo stato di salute dei media e altro ancora
 
 
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Si terrà mercoledì a Zagabria, di fronte al monumento a Tudjman "sfregiato" con una falce e martello dal 24-enne Filip Drač, un presidio per richiedere non solo il proscioglimento del giovane ma anche azioni giudiziarie contro chi ha sfregiato e distrutto in Croazia nell'ultimo quarto di secolo molte centinaia di lapidi e monumenti a martiri e partigiani caduti nella Lotta Popolare di Liberazione. 
 
Sul caso del monumento a Tudjman si veda anche: 
Na novom Tuđmanovom spomeniku u Zagrebu osvanuo zanimljiv grafit (R.I., 6.1.2019.)
https://www.index.hr/mobile/clanak.aspx?category=vijesti&id=2054448
 
 
 
Srijeda 30 siječanj 2019.
od 18:00 ispred spomenika Franji Tuđmanu - križanje Ulice grada Vukovara i Ulice Hrvatske bratske zajednice u Zagrebu
 
Prosvjed - Protiv političke represije
 
Baza za radničku inicijativu i demokratizaciju (BRID), Mreža Antifašistkinja Zagreba (MAZ), Radnička Fronta, Radnički portal i Socijalistička radnička partija Hrvatske (SRP) u srijedu, 30. 1. 2019. organiziraju prosvjed „Protiv političke represije“ koji će se održati u Zagrebu ispred spomenika Franji Tuđmanu na križanju Ulice grada Vukovara i Ulice Hrvatske bratske zajednice u 18 sati.

IZJAVA POVODOM PROSVJEDA:

U deindustrijaliziranoj i iseljenoj Hrvatskoj u kojoj većina stanovništva jedva preživljava, a domaći i strani kapitalisti na najgrublji način desetljećima eksploatiraju radnice i radnike, seljakinje i seljake, umirovljenice i umirovljenike, studentice i studente, protekli je tjedan započela medijska i javna hajka. Država je preko svog ministarstva raspisala tjeralicu za dvadesetčetverogodišnjakom koji je na spomenik privatizacijske pljačke, uništene privrede i ratnih zločina 90-ih nacrtao simbol radničke i seljačke sloge. Javnom objavom identiteta osumnjičenika represivni aparat namjerno je proizveo i nastavlja proizvoditi opasnu atmosferu koja graniči s pozivom na linč, a na koji će dio desničarske javnosti spremno odgovoriti.

S druge strane, državni aparat, koji tijekom devedesetih uspostavlja i njime autoritarno upravlja Franjo Tuđman, nije učinio ništa da zaustavi uništavanje preko 3000 spomenika i spomen obilježja posvećenih antifašističkom otporu, borbi za narodno oslobođenje, kao i stotinama tisuća žrtava ustaško-fašističkog terora. Smatramo da je nužno naglasiti činjenicu da sadašnji režim nastavlja s toleriranjem neofašističkog vandalizma, dok se u nekim slučajevima uključuje i u promociju ustaške ikonografije. Masovna uporaba eksplicitnih ili latentnih simbola ustaškog režima ne problematizira se u javnosti već više od dva desetljeća, unatoč tome što su zakonski zabranjeni, za razliku od komunističkih, radničkih i antifašističkih simbola. Očiti rezultat jest da se takva kaznena djela i njihovi počinitelji ne osuđuju i ne proganjaju.

Nužno je naglasiti da je korištenje javnih institucija za selektivnu i pristranu represiju, čemu svjedočimo u navedenom slučaju – a sve kako bi se reproducirala dominantna ideologija – nedopustivo u demokratskom društvu.

Zbog svega navedenog oštro osuđujemo ovaj gnjusni čin kapitalističke države, njezinog represivnog aparata i institucija koji preko leđa mladića koji se suprotstavio sistemu poručuju da će u zatvor trpati sve ljude koji, pa makar i na simboličan način, pokušaju pružiti otpor njihovoj vladavini. Postojeća ekonomska i društvena devastacija u najvećoj mjeri ostavština je Franje Tuđmana i Hrvatske demokratske zajednice. U potpunosti shvaćajući da je otpor puzajućoj fašizaciji društva nužan, od vladajućih zahtijevamo:

- da se smjesta obustave postojeća politička i policijska represija, hajka i linč
- da nadležne institucije započnu s procesuiranjem i kažnjavanjem odgovornih za uništenje spomenika Narodno-oslobodilačke borbe
- da Državno odvjetništvo smjesta odbaci optužnicu protiv Filipa Drače

Antifašistički VJESNIK
Baza za radničku inicijativu i demokratizaciju (BRID)
Mreža antifašistkinja Zagreba (MAZ)
Radnička fronta
Radnički portal
Slobodni Filozofski
Socijalistička radnička partija Hrvatske (SRP)
 
 
--- FLASHBACK:
 
TRAD.: CROATIE : L’OMNIPRÉSENT FRANJO TUĐMAN FAIT SON RETOUR À ZAGREB (H-Alter, lundi 11 décembre 2017)
Après avoir débarqué à l’aéroport Franjo Tuđman, vous pourrez vous détendre au Parc Franjo Tuđman, avant d’aller vous recueillir devant le nouveau monument à Franjo Tuđman... La mairie de Zagreb fait des coupes sèches dans les budgets sociaux, mais vient de débloquer 90 000 euros pour une statue de l’ancien Président...
 
 
 
675 tisuća kuna za Tuđmana
Toni Gabrić
07.12.2017.
 
H-Alter otkriva: Spomenik Franji Tuđmanu koštat će Zagrepčane 560 tisuća kuna.

Grad Zagreb ovih je dana, nakon višemjesečnog natezanja, bio prinuđen dostaviti nam ponudbeni list koji je početkom godine zaprimio od akademika Kuzme Kovačića za posao koji je službeno opisan kao "modeliranje izvedbene skice–modela i izrada kipa dr. Franje Tuđmana u glini u konačnim dimenzijama". Na osnovu te ponude zagrebački gradonačelnik Milan Bandić s Kovačićem je 20. travnja ove godine potpisao ugovor za izradu Tuđmanovog spomenika, koji nam je također isporučen po slovu zakona. Navedeno remekdjelo trebalo bi ukrašavati tzv. Sveučilišnu livadu, kako se službeno zove onaj teško pristupačni zeleni prostor preko puta Nacionalne i sveučilišne knjižnice, na kojem su posađene znamenite Bandićeve fontane.

Iz ponudbenog lista vidljivo je da je Kovačić za navedeni posao zatražio od Grada 560 tisuća kuna. Isti iznos prepisan je i u ugovor, kao svota koju Grad mora iskeširati Kovačiću za obavljeni posao, s naznakom "bez PDV-a". U Odluci o odabiru donesenoj 18. travnja, vrijednost nabave je procijenjena na 674.900 kuna, uz naznaku "bez PDV-a". Kako smo doznali u tajništvu Hrvatskog društva likovnih umjetnika, za ovakav se tip autorskog rada niti ne plaća PDV, pa naznaku iz ugovora ne bi trebalo tumačiti u smislu da bi Grad, uz ovaj "neto" iznos, trebao platiti još i PDV. Međutim, napominju u HDLU-u, uz plaćanje osnovnog iznosa redovito ide porez i prirez, a vjerojatno i još neka specifična davanja, što ukupnu cijenu izrade Tuđmanova spomenika diže na blizu 700 tisuća kuna.

Računamo li prema recentnijim službenim podacima, radi se o iznosu koji jedan prosječni zagrebački radnik (uzmemo li pritom u obzir samo one zaposlene) zaradi za stotinu mjeseci, odnosno za nešto više od osam godina svakodnevnog rada. Unesemo li pak u kalkulaciju podatke o prosječnoj mirovini proizlazi da umirovljenik Kuzma Kovačić za izradu još jednog u nizu svojih Tuđmana zaradi 311 prosječnih mirovina. Drugim riječima, jedan penzioner/penzionerka toliko novaca primi za 26 godina mirovinskog staža, naravno, ako ih doživi.
 

Vidimo da Franjo Tuđman, otkako se preselio u onostranost, živi na jednako visokoj nozi kako je to uobičajio dok je provodio vrijeme na ovome svijetu. On je sebi bio beskonačno važniji od svakog običnog smrtnika pa je, korak po korak, postao beskonačno važniji i njima samima. Privatizirao je vilu u kojoj je živio u Nazorovoj točno dan prije donošenja propisa kojim je bio zabranjen otkup rezidencijalnih objekata i vila u sjevernom dijelu grada, deložiravši pritom bivše susjede i iskeširavši za taj rezidencijalni objekt tričavih 200 tisuća DEM-a, čime je udario ton pljačkaškoj privatizaciji koja je ubrzo nakon toga, u jeku rata, započela.

Jednoga sina je instalirao na čelo svih obavještajnih službi, supruga mu je postala liderica karitativnog pokreta za djecu Hrvatske, kćer uspješna trgovkinja luksuznom tehničkom robom s dućanom u MORH-ovoj zgradi i s poslom koji je bio uspješan dok je ćaća bio živ i na vlasti. Drugi sin mu je bio uspješan ugostitelj čiji je uspjeh također durao dok je ćaća stolovao na Pantovčaku, jednako kao i uspjeh unuka, talentiranog bankara. Uspjesi su se devedesetih nizali, sve zahvaljujući Franji i njegovom beskonačno važnom položaju, čime se obitelj Tuđman inaugurirala u rodonačelnike nepotizma u modernoj povijesti Hrvata.

Završilo je, kao što znamo, time da ga danas djeca u školama "uče" kao Stvoritelja hrvatskog državotvornog čuda. Čudo se, u glavnim crtama, sastoji u tome što je, u povijesnom trenutku u kojem je u Europi i srednjoj Aziji niklo cca. 25 novih, samostojnih i suverenih država, svaka zasebno kao neprijeporno ostvarenje tisućljetnih snova naroda koji većinski u njima žive – i Franjo uspio napraviti svoju. Pa je zato posve normalno, razumljivo i hvale vrijedno da mu Zagreb diže spomenik težak 26 godina prosječnog penzionerskog staža.

U jeku skupštinske rasprave o gradskom budžetu suvišno bi bilo pitati se je li taj izdatak najpotrebniji u situaciji kada se iz budžeta vidi da Bandićeva vlast očito i u 2018. namjerava preskočiti vruću temu sanacije Jakuševca, da nemilosrdno reže sredstva za osnovno i srednje školstvo, za unapređenje stanovanja, za nezavisnu kulturu, za organizacije naprednog civilnog društva – ali zato jednako tako nemilosrdno podiže sredstva za plaće i druga davanja gradskoj birokraciji koju su prvih deset godina nakon tzv. Stjecanja Nezavisnosti po babi i po stričevima regrutirali Mikšin i Canjugin HDZ, a preostalih sedamnaest godina Bandić i njegov bivši SDP. Suvišno bi bilo pitati, jer takva budžetska struktura, takvo regrutiranje i takva birokracija nisu ništa drugo no logična posljedica politike kakvu je na ovim prostorima inaugurirao Onaj kojemu akademski kipar Kuzma Kovačić, prekaljeni autor bezbrojnih Gospi, Oltarā Domovine, Svetih otacā, Prvih Hrvatskih Predsjednikā i čega sve još, ta vjerna domovinska kopija blitvinskog vajara, ideologa i političara Romana Rajevskog, upravo vaja spomenik, na radost i veselje svih Blitvinki i Blitvina, pardon: Hrvatica i Hrvata koje je za života usrećio.

Suvišno bi bilo napomenuti i da je Zagrebačka skupština, ona koja je bila u mandatu do proljeća 2017, odluku da se Prvom Hrvatskom Predsjedniku sagradi taj spomenik donijela jednoglasno. Tu su hvalevrijednu zamisao od srca podržali svi vijećnici i vijećnice, redom: iz SDP-a, HNS-a, HSU-a, HSLS-a, HSS-a, Kandidacijske liste grupe birača Milana Bandića, te naravno iz HDZ-a i koalicijskog mu HSP-a.

I tako, kada danas putnik namjernik, biznismen, diplomat ili obični turist iz neke druge zemlje doleti u Hrvatsku, prvi će fizički kontakt s našom zemljom najvjerojatnije ostvariti na aerodromu glavnoga grada, koji se odnedavno zove Zračna luka Franjo Tuđman. Zatim će se, taksijem ili aerodromskim autobusom, provesti pored velebnog spomenika Franji Tuđmanu, okruženog fontanama od kojih ti zastane dah, šarenim cvijećem, a u perspektivi u društvu Spomenika domovini. Ako za svojega boravka zaluta malo dalje od najužeg centra grada, mogao bi se naći na prostoru nekadašnjih Rudolfovih vojarni, nazvanim Parkom Kristijana Barutanskog, pardon, Franje Tuđmana.

Od skupštinske odluke o gradnji spomenika pa do trenutka njegova postavljanja, koji još nije nastupio, politička se perspektiva ponešto promijenila. Međunarodna je zajednica u neku ruku službeno zauzela stav, za koji smo otpočetka znali da je istinit, i baš smo zato Tuđmana voljeli, ali smo se ipak nadali da će stvari ostati pri tome da to samo mi to znamo: vječitoj umjetničkoj motivaciji i izvoru prihoda Kuzme Kovačića pravomoćno je drugostupanjskom sudskom presudom potvrđeno da je bio na čelu udruženog zločinačkog pothvata čiji pripadnici su, nije na odmet još jednom citirati:

"Već u decembru 1991. članovi rukovodstva Hrvatske zajednice Herceg-Bosne i čelnici Hrvatske (među kojima je Franjo Tuđman, predsjednik Hrvatske) ocijenili da je za ostvarivanje krajnjeg cilja, to jest za uspostavljanje hrvatskog entiteta, neophodno promijeniti nacionalni sastav stanovništva na teritorijama za koje se tvrdilo da pripadaju Hrvatskog zajednici Herceg-Bosni. U najmanju ruku od kraja oktobra 1992., Jadranko PrlićBruno StojićMilivoj Petković i Slobodan Praljak znali su da je ostvarivanje ovog cilja u suprotnosti s mirovnim pregovorima koji su se vodili u Ženevi i da podrazumijeva premještanje muslimanskog stanovništva izvan teritorije Herceg-Bosne."

Taj hrvatski je identitet trebao biti uspostavljen "djelomično u granicama Hrvatske banovine iz 1939., kako bi se omogućilo ponovno ujedinjenje hrvatskog naroda. Ovaj hrvatski entitet u BiH trebalo je ili da se pripoji Hrvatskoj nakon eventualnog raspada BiH, ili da postane nezavisna država unutar BiH, tijesno povezana sa Hrvatskom".

Pa zatim, "u osmišljavanju i ostvarivanju zajedničkog zločinačkog cilja, jedna grupa hrvatskih javnih ličnosti, među kojima se ističu Franjo Tuđman, Gojko ŠušakJanko BobetkoMate Boban, Jadranko Prlić, Bruno Stojić, Slobodan Praljak, Milivoj Petković, Valentin Ćorić i Berislav Pušić, postigla je međusobni dogovor. Iz svih činjeničnih i pravnih zaključaka koje je Vijeće izvelo, proizilazi da su se organi, strukture i ljudstvo HVO-a koristili radi ostvarivanja različitih aspekata zajedničkog zločinačkog cilja".

U sjajnom intervjuu nedavno objavljenom u NovostimaŠtefica Galić, urednica mostarskog portala Tačno.net, ističe da je njezina zemlja napadnuta od dva agresora, Hrvatske i Srbije, koji su kao nagradu za to dobili svoje teritorije – Republiku Srpsku i Herceg-Bosnu "u pokušaju". "Nije li to sveopći poraz pravde i ljudskosti", pita ona. Svejedno, posljednju haašku presudu Galić vidi kao šansu za Hrvatsku da se "radikalno razračuna sa zločinačkim aspektima službene Tuđmanove politike devedesetih", i da dio društva koji odbija to prihvatiti, konačno prihvati, i usput počne ozdravljati.

"Prihvaćanje" bi, rekli bismo nakon jučerašnjeg govora Kolinde Grabar-Kitarović pred Vijećem sigurnosti UN-a i zadnjih vrludanja Andreja Plenkovića, moglo nastupiti samo u smislu oportunističkog taktiziranja pred međunarodnom zajednicom. Dok istinsko odricanje od tuđmanovske prošlosti ne prevlada, Zagreb će biti jedan od vrlo rijetkih glavnih gradova čijim javnim prostorima dominira ličnost koja se presudom međunarodnog suda dovodi u vezu s najtežim ratnim zločinima. Dizajn glavnog hrvatskog grada ubrzano se mijenja po želji ekstremne desnice, a ostale stranke gradskog političkog mainstreama ne pružaju otpor već, kao u slučaju Tuđmanova spomenika, drže lopovske ljestve takvom razvoju događaja. 

(srpskohrvatski / italiano)
 
Con il Venezuela democratico e sovrano
 
Gli Stati Uniti non hanno ritenuto sufficiente per l'America Latina la presa del potere da parte del nazista Bolsonaro in Brasile ed hanno perciò deciso di promuovere un colpo di Stato in Venezuela.
La giusta risposta del Venezuela democratico di Maduro non si è fatta attendere ( 
https://www.facebook.com/296334033272/posts/10157751071878273/ ).
Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus, coerentemente con la propria vocazione alla amicizia e solidarietà tra i popoli, si schiera a fianco del Venezuela bolivariano, aderisce alle manifestazioni indette in Italia e specialmente a quelle di BOLOGNA e MILANO (vedi sotto) ed invita tutti/e a partecipare ed esprimere la propria solidarietà alle scelte democratiche di quel popolo.

(english / français / srpskohrvatski / italiano)
 
Grande Albania come laboratorio islamista radicale
 
1) La ‘Grande Albania’, un rifugio sicuro per il jihadismo internazionale (M. Furlan)
... l’organizzazione islamica cosiddetta dei Mujaheddin e-Khalq (Mujaheddin del Popolo, MEK) dispone ora di una grande base in territorio albanese ...
2) FLASHBACKS 2017
Links / Croci spezzate e loculi profanati in Kosovo / Kosovo, così nei villaggi reclutano i ragazzi / Sgominata cellula jihadista a Venezia, tutti del Kosovo / Kosovo Albanian Terror Threatens Venice 
3) FLASHBACKS 2016

Links / Roma, arrestato Karlito Brigande, ex criminale UCK macedone arruolato nell'IS

 
 
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La ‘Grande Albania’, un rifugio sicuro per il jihadismo internazionale

di Margherita Furlan, 22 gennaio 2019

Il governo albanese ha espulso due diplomatici iraniani, l’ambasciatore Gholamhossein Mohammadnia e Mohammed Roodaki, funzionario presso l’ambasciata a Tirana, accusati di essere membri sotto copertura dell’intelligence iraniana. Secondo quanto riferisce il quotidiano The Independent, i due sarebbero stati parte di una cellula il cui compito era di organizzare “un complotto per colpire l’opposizione iraniana rifugiatasi in Albania”. La mossa sarebbe stata messa in atto in seguito a colloqui con Paesi “interessati”, tra cui Israele e Stati Uniti. Non a caso l’amministrazione di Washington si è immediatamente congratulata con l’esecutivo albanese per il provvedimento intrapreso.

La notizia diffusa dall’Independent ha però sollevato l’attenzione su uno scenario fino ad ora poco studiato e rimasto comunque fuori dal raggio di attenzione internazionale. Scenario in cui gli Stati Uniti hanno affidato all’Albania un ruolo centrale, e il cui fine (uno dei fini) appare quello di incrementare la destabilizzazione dell’intera area balcanica.  

Protagonista di tutta l’operazione è l’organizzazione islamica cosiddetta dei Mujaheddin e-Khalq (Mujaheddin del Popolo, MEK) che dispone ora di una grande base in territorio albanese. L’arrivo in Albania del comando del MEK è preceduto da una storia oltremodo lunga e tortuosa che merita di essere raccontata in dettaglio. 

I Mujaheddin e-Khalq nacquero nel 1963, in Iran, con l’obiettivo di opporsi all’influenza occidentale nel Paese e come acerrimi avversari del regime dello Shah. Nel 1979 il Mek partecipa alla rivoluzione guidata da Khomeini ma l’ideologia che lo caratterizzava all’epoca era un singolare incrocio di marxismo, femminismo e islamismo. Come tale del tutto incompatibile con quella degli ayatollah sciiti e il Mek è costretto a disperdersi, mentre il suo quartier generale si trasferisce a Parigi nel 1981. In questo lasso di tempo il MEK “cambia pelle”, oltre che ideologi e finanziatori e, cinque anni dopo, riappare in Iraq, precisamente a Camp Ashraf, a nord di Baghdad. Si distingue come formazione armata autonoma — alcune migliaia di combattenti bene addestrati, con le famiglie al seguito — che supporta Saddam Hussein contro l’Iran e appare attivamente in numerosi episodi della repressione dei curdi iracheni. Il MEK sopravvive stranamente alla caduta di Saddam Hussein e, nel 2003 viene trasferito, dagli americani vincitori, letteralmente “armi e bagagli”, in un altro grande accampamento militare che prenderà, non a caso, il nome di Camp Liberty.. Da quell’avamposto si diramano numerosi attentati terroristici e azioni di diversione e boicottaggio contro l’Iran. Formalmente “disarmato” dall’esercito statunitense, inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali, il MEK continua a svolgere una intensa azione bellica e propagandistica contro Teheran. Sempre sotto la guida del Quartier Generale di Parigi e sempre lasciato libero di agire dai servizi segreti americani, israeliani, francesi. L’ambiguità della sua collocazione non gl’impedisce — anzi lo aiuta — di incassare il supporto più o meno esplicito di esponenti politici occidentali. Ad esempio quello dell’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani, insieme a quello di John Bolton, ex rappresentante USA alle Nazioni Unite e attuale consigliere per la sicurezza nazionale. Perfino l’ex commissaria europea Emma Bonino si affaccia ad alcune delle sue iniziative “umanitarie”. Sul New York Times,nel 2012, apparirà un elenco di sostenitori, tra cui diversi esponenti del Congresso americano, ma anche R. James Woolsey e Porter J.. Goss, ex direttori della Cia, Louis J. Freeh, ex direttore dell’Fbi, Tom Ridge, ex segretario della Homeland Security sotto la presidenza George W. Bush, l’ex procuratore generale Michael B. Mukasey e l’ex consigliere per la sicurezza nazionale, il generale James L. Jones, ai tempi di Obama. Il quotidiano statunitense illustrò anche come l’allora Segretario di Stato, Hillary Clinton, “sdoganò il Mek, rimuovendolo dalla “black list” (l’organizzazione era considerata terrorista non solo da Iran e Iraq, ma anche da Unione europea, Gran Bretagna, Usa e Canada). E così ritroviamo il MEK in Albania. 

Di nuovo con “armi e bagagli”. Impresa molto costosa, che ha certamente richiesto un consistente ponte aereo e grandi spese di insediamento per migliaia di persone. Organizzatori di un tale esodo sono stati, senza alcun dubbio, i servizi segreti americani. Ma perché proprio in Albania? E con quali compiti? 

Qualcuno è andato a chiederlo a diversi politici albanesi e si è sentito rispondere, senza alcun imbarazzo, qualcosa del tipo:“l’America ci ha dato il Kosovo, ora dobbiamo dare qualcosa in cambio”.

Interessante l’intervista recentemente rilasciata al Balkans Post da Olsi Jazexhi, storico canadese-albanese specializzato nella storia dell’Islam nell’Europa sud orientale: “l’America sta trasformando l’Albania in un rifugio sicuro per il jihadismo internazionale”.

I “Mojahedeen del popolo” sono una presenza senza precedenti in Albania, che pure ha ospitato non pochi combattenti islamici prima e durante la guerra contro la Jugoslavia. Quando gli USA portarono il primo gruppo di jihadisti iraniani in Albania, il governo iraniano protestò pubblicamente e vigorosamente. All’epoca, il primo ministro Sali Berisha assicurò agli iraniani che il Mek sarebbe stato ospitato in Albania solo per ragioni umanitarie e nessuna azione contro l’Iran sarebbe stata permessa dal governo albanese. “Tuttavia, il tempo ha dimostrato, — spiega Jazexhi — che i mojahedeen iraniani vennero in Albania non solo per chiedere asilo, ma con l’intenzione di trasformare l’Albania in un secondo Afghanistan, nel cuore dell’Europa”. Il meccanismo sarebbe in sostanza, lo stesso con cui, negli anni ’80, i mojahedeen afghani furono sostenuti e finanziati dagli americani per combattere l’URSS. 

E non si tratta di indiscrezioni. Nel 2016 la stessa Voice of Americaha annunciato che l’Albania avrebbe accettato 2mila mojahedeen in cambio di 20 milioni di dollari. Sempre con i dollari USA si starebbe costruendo un nuovo campo situato tra Tirana e Durazzo dove, secondo il premier di Bulgaria, Bojko Borisov, andrebbero a dislocarsi gruppi di combattenti dell’ISIS in fuga dalla Siria, colà trasportati con aerei della US Airforce. Il premier albanese Edi Rama ha subito smentito. 

Nel campo di Manza sarebbero oggi “ospitati” circa 4.400 membri del MEK, che vivono in quasi completo isolamento, impossibilitati a uscire, anche ad avere contatti con le loro famiglie, evidentemente accampate nelle vicinanze. Qualcosa di simile a una setta, con rigide norme morali e religiose da rispettare. Cosa succeda da quelle parti non è facilmente verificabile data la strettissima sorveglianza che circonda il campo. Ma non si perde tempo. Un recente documentario di Al-Jazeera ha rivelato l’esistenza di un vasto gruppo di militanti che è stato istruito nelle tecniche della diversione informatico-comunicativa: qualcosa che potrebbe essere definita come “cyber-jihad”, ovvero notizie false e attacchi informatici, sia rivolti contro l’Iran, sia destinati al pubblico europeo per far crescere la paura dell’Iran, per influenzare i media europei in vista di una rottura dei rapporti con Teheran.  

Nell’ultimo anno diverse sono state le prese di posizione a favore del Mek anche da parte di esponenti del panorama politico italiano. Una delegazione ufficiale del Partito Radicale Italiano e dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” ha visitato il quartier generale albanese dei mujaheddin, a sostegno della lotta per i diritti umani contro il governo iraniano. Si è distinto in questa direzione l’ex ministro degli esteri del governo Monti, Giulio Terzi, volando in una delle basi del MEK in Albania per annunciare “appoggio incondizionato”, per definire i suoi militanti come “combattenti per la libertà”, assicurandoli che “un’ampia parte della società italiana è convinta che stare dalla vostra parte significa stare dalla parte giusta della storia”. Infine — sono sempre le parole che Giulio Terzi avrebbe pronunciato in quella occasione, secondo il Guardian—: “I mullah se ne devono andare, gli ayatollah se ne devono andare e devono essere rimpiazzati da un governo democratico sotto la guida della signora Rajavi, leader del Mek”. Un disegno da manuale di “regime change”: rovesciamento di un governo e susseguente “esportazione di democrazia”. Film già visto in abbondanza. 

Intanto però, mentre il confine tra l’Albania e il Kosovo sta scomparendo ed Edi Rama, in nome degli standard europei, e con il plauso di Bruxelles (quella della Ue e quella della NATO), lavora perché lo “sportello unico” venga adottato anche al confine con la Macedonia, il Montenegro e la Grecia. La Serbia dev’essere isolata ed esclusa, in attesa di essere sottomessa definitivamente. La Grande Albania si appresta a diventare un’arma puntata su ciò che resterà dell’Europa. 

 
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FLASHBACKS 2017
 
LINKS:
 
KOSOVO: CHI FINANZIA LA RADICALIZZAZIONE? (PresaDiretta, trasmissione di RAI3, 11 settembre 2017)
VIDEO: https://www.facebook.com/PresaDiretta.Rai/videos/10159386810630523/
 
NATO SLEP NA RAST VELIKE ALBANIJE, A DŽIHADISTI DIVLJAJU NA JUGU KOSOVA (20. Jun 2017.)
... Nakon što je potvrđeno da je u redovima tzv. Islamske države poginuo džihadista Lavdrim Muhadžeri iz Kačanika, na Kosovu i Metohiji, Radio Slobodna Evropa ovaj grad opisuje kao “džihadističku prestonicu Evrope”...
 
ÉTAT ISLAMIQUE : LE DJIHADISTE KOSOVAR LAVDIM MUHAXHERI AURAIT ÉTÉ TUÉ EN SYRIE (CdB, jeudi 8 juin 2017)
Lavdim Muhaxheri, plus connu sous le nom de Abu Abdullah al Kosova, aurait été tué par un drone américain en Syrie. Originaire du Kosovo, Lavdim Muhaxheri était l’un des chefs des combattants balkaniques de l’État islamique...
https://www.courrierdesbalkans.fr/Etat-islamique-l-Albanais-Lavdim-Muhaxheri-tue-par-un-drone-en-Syrie
 
KOSOVO, STATO FALLITO RIFUGIO DELL'ISIS (di Barbar Ciolli, 30 marzo 2017)
Il veto all'indipendenza. La minoranza serba, da persecutrice a perseguitata. I traffici di armi e uomini. La povertà, la corruzione e l'Islam radicale. Ecco da dove arrivano i jihadisti arrestati a Venezia... [SI VEDANO ANCHE I SIGNIFICATIVI COMMENTI IN CALCE]
 
KOSOVO: "NON PENSAVAMO CHE TORNASSERO TERRORISTI..." (Rassegna JUGOINFO 7/3/2017)
 
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Croci spezzate: Kosovo in balia del radicalismo
Croci spezzate e loculi profanati. In Kosovo la furia iconoclasta degli islamisti si è abattuta su un cimitero cristiano ortodosso.

Elena Barlozzari - Lun, 05/06/2017
 
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Kosovo, imam radicali e disoccupazione: così nei villaggi reclutano i ragazzi
Fra Mitrovica e i borghi rurali l'Isis arruola i foreign fighters. E su YouTube un predicatore incita all'odio: "Il sangue degli infedeli è la nostra bevanda preferita" 

dal nostro inviato PIETRO DEL RE, 31 marzo 2017
 
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Terrorismo, sgominata cellula jihadista a Venezia: "Bomba a Rialto e guadagni il paradiso"
 
Arrestati tre uomini, sotto i trent'anni, e fermato un minore. Tutti del Kosovo, uno di loro era tornato dalla Siria dove aveva combattuto. Nelle perquisizioni, anche a Mestre e a Treviso, trovate alcune pistole. Progettavano un attentato per fare centinaia di morti. Attivi su internet, avevano contatti con tutto il mondo

dal nostro inviato FABIO TONACCI, 30 marzo 2017
 
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Kosovo Albanian Terror Threatens Venice 
 
by Grey Carter, April 7, 2017 

Here’s the analysis of the  Kosovo Albanian Terror Plot to Blow up Rialto Bridge in Venice, made by Andrew Korybko, analyst at the Moscow-based Geopolitika..Ru  think tank
 
Italian officials stopped Kosovo Albanian Daesh terrorists from blowing up the world-famous Rialto Bridge in Venice last week.Although the event is somewhat dated by news cycle standards, it’s still worth reflecting on for everything that it signifies. The paramount concern for everyone who heard the story is that Daesh is now actively targeting Italy, though this isn’t exactly news because the group had earlier threatened the country a few years ago in its “Black Flag Over Rome” manifesto. What’s changed since then, however, is that we see that they managed to inspire operatives within the country to organize an attack, which was thankfully averted by the security services before anyone got hurt.
Italy’s an important target for Daesh for a few reasons, namely the fact that the Pope’s home of Vatican City is in Rome, the country is historically associated with Christianity, and Italy was involved in the War on Libya and reportedly has some special forces on the ground there. Moreover, because of its location right across the Mediterranean from that war-torn country, it’s a prime destination for all sorts of migrants, some of which could easily be terrorists which are posing as “refugees”. In addition, Italy is known for its famous tourist sites which attract millions of visitors from across the world, thereby presenting terrorists with a multitude of soft targets to carry out high-profile attacks against.
Extrapolating more broadly from what we know about this foiled plot, there’s the fact that all four of the suspects are Kosovo Albanians who were legally living in Venice. This draws awareness to the Albanian migrant crisis, which preceded the Mideast one though receives barely any attention to this day. Tens, if not hundreds, of thousands of Albanians have left their home country and the NATO-occupied Serbian Province of Kosovo for the EU, a massive movement of people which proves that those two areas are failed entities. Albania has always had a slew of problems, but Kosovo never used to be this bad, though it began to resemble its dysfunctional neighbor after the 1999 NATO War on Yugoslavia and ethnic cleansing of the Serbs succeeded in turning it into one of Europe’s drug mafia headquarters.
It’s not only narcotics and crime, but also radical Islam which is contributing to the province’s many problems, as is painfully evidenced by the arrest of the four Kosovo Albanian Daesh terrorists. They’re not outliers, either, as many reports have come out over the past couple of years about how fertile of a recruiting ground Kosovo has become for terrorists. This is mostly attributable to its socio-economic devastation brought about by the NATO conflict there, which in turn created space for Wahhabis and other fundamentalists to prosper. Albanians have a history of migrating to and working in Italy, so in hindsight it’s predictable that the country would eventually become threatened by these sorts of terrorists. 
Still, I doubt that Italy can do anything about it because there are just too many Albanians living there and nobody has any idea how many are radicalized, so they’ll probably keep responding on a case-by-case basis unless they get brave and take systemic immigration measures to preemptively deal with this threat. ”
 
 
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FLASHBACKS 2016
 
LINKS:
 
L'ISIS CHE ABBIAMO FORAGGIATO IN KOSOVO (Rassegna JUGOINFO 30/11/2016)
 
JIHAD DAL KOSOVO, LA SCOPERTA DELL'ACQUA CALDA CONTINUA (Rassegna JUGOINFO 30/7/2016)
 
L'ISIS "VENDICHERÀ SREBRENICA" ? (Rassegna JUGOINFO 21/1/2016)
 
KOSOVO, IL PICCOLO ISIS D'EUROPA (Rassegna JUGOINFO 2/12/2015)
 
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Roma, arrestato Karlito Brigande, ex criminale macedone arruolato nell'Is: cellula pronta a attentato in Iraq
 
I carabineri del Ros hanno documentato il suo tentativo di scappare in Iraq per compiere un attentato con autobomba. Ordinanza di custodia cautelare anche per l'uomo che l'ha arruolato, un tunisino transitato in Italia prima del trasferimento nelle file del Califfato. Manette per un terzo straniero in contatto con Brigande

di FABIO TONACCI, 12 marzo 2016
 
[[TEXT REMOVED FOR COPYRIGHT, TRY LINK ABOVE OR: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8986 ]] 
 
 
VIDEO: "Prendo una macchina con l'esplosivo contro il miscredente"

 

(srpskohrvatski / italiano)
 
"Foibe" parola in codice per la revanche
 
0) INIZIATIVE E LINK SEGNALATI
– Elenco aggiornato dei premiati per il "Giorno del ricordo"
– Cologno Monzese (MI) 7/2: Le foibe nelle complesse vicende del confine orientale (1920-1947)
– Parma 10/2: Foibe e fascismo 2019
– Sulle figure degli “infoibati” Ernesto Mari ed Angelo Bigazzi (Claudia Cernigoi, gennaio 2018)
1) Strascichi del convegno promosso da Jugocoord Onlus e Historia Magistra nel 2018
– Odgovor predsedniku Republike Serdjo Matareli (učesniki i organizatori susreta "Dan sećanja - jedan bilans", održan u Torinu 10. februara 2018.god.)
– Un Ricordo da aggiustare (Fabrizio Salmoni, 12/2/2018)
– „Dan Sjećanja“ 2018. (Vladimir Kapuralin)
– Il trionfo della menzogna: le foibe (di Angelo d’Orsi, 20/2/2018)
2) Ancora sul film “Red Land”: Una ricostruzione sgangherata per un’operazione culturalmente grave (di Alberto Fazolo)
3) Quanti furono gli infoibati in Istria nel 1943? (di C. Cernigoi, 15/12/2018)
4) Flaskback sulla fake news della "foiba di Rosazzo": Foibe inventate e scuse mancanti (L. Marcolini Provenza, 17/2/2017)
 
 
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Ricordiamo che nel 2018 è stato pubblicato sul sito diecifebbraio.info un aggiornamento dell'Elenco dei premiati per il "Giorno del ricordo", che ammonta così attualmente a 354 riconoscimenti:
http://www.diecifebbraio.info/elenco-dei-premiati-per-il-giorno-del-ricordo/
 
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Cologno Monzese (MI), giovedì 7 febbraio 2019 
dalle ore 20:45 presso l'Auditorium di via Petrarca 9 
 
La Rete antifascista di Cologno Monzese, con l'adesione di Osservatorio Democratico Sulle Nuove Destre e Comitato Lombardo Antifascista, invita alla conferenza 
 

LE FOIBE NELLE COMPLESSE VICENDE DEL CONFINE ORIENTALE (1920-1947)  

 
Da alcuni anni si parla molto di questi temi, specie intorno al 10 febbraio, "Giorno del ricordo". Ma quanto ne sappiamo davvero?
Che ruolo gioca la propaganda politica? Cosa può dirci la ricerca storica? Perché serve conoscere la storia di quei fatti?

Ne parliamo con Claudia Cernigoi, ricercatrice e giornalista, direttrice del periodico triestino La Nuova Alabarda, autrice di numerosi saggi tra cui “Operazione foibe tra storia e mito” (ed. Kappa Vu, Udine, 2005), redattrice del sito web www.diecifebbraio.info

Ingresso libero
evento FB: https://www.facebook.com/events/689979444811445/
 
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Parma, domenica 10 febbraio 2019
alle ore 10:30 presso il Cinema Astra, Piazzale Volta 3
 
FOIBE E FASCISMO 2019
 
Quattordicesima edizione della contromanifestazione cittadina in occasione del "Giorno del Ricordo"  
– Conferenza di Sandi Volk
– Testimonianze
– Video su "foiba di Basovizza" e "caso Norma Cossetto"
 
a cura del Comitato Antifascista Antimperialista e per la Memoria Storica con l'adesione di ANPI e ANPPIA
 
 
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MEMORIA: LE FIGURE DEGLI “INFOIBATI” ERNESTO MARI ED ANGELO BIGAZZI (Claudia Cernigoi, gennaio 2018)
Chi furono Ernesto Mari ed Angelo Bigazzi, “infoibati” nell’abisso Plutone, ai quali sono state recentemente intitolate le case circondariali rispettivamente di Trieste e Gorizia? Quando la memoria condivisa fa ricordare sia il deportato nei lager che il collaborazionista del Reich che lo fece deportare…
SCARICA IL TESTO IN FORMATO PDF: http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2018/01/LE-FIGURE-DI-ERNESTO-MARI-ED-ANGELO-BIGAZZI..pdf
 
 
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La documentazione sul Convegno da noi organizzato a Torino il 10/2/2018 "Giorno del Ricordo, un bilancio" è accessibile dalla pagina: https://www.cnj.it/home/it/informazione/confine-orientale/8732-torino-10-2-2018-giorno-del-ricordo,-un-bilancio.html
 
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ORIG.: In risposta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella (relatori e organizzatori del Convegno "Giorno del Ricordo. Un bilancio" tenuto a Torino il 10 febbraio 2018)
 
 
 

Odgovor predsedniku Republike Serdjo Matareli od strane učesnika i organizatora susreta 'Dani sećanja' - jedan bilans', održan u Torinu 10. februara 2018.god.

 

Izjava odgovora predsedniku Republike, gospodinu Serdjo Matareli

Učesnici i organizatori susreta 'Dan sećanja' - jedan bilans', koji se danas održava u Torinu, primili su postupak Predsednika Republike povodom obeležavanja godišnjice 10. februara, utemeljene Zakonom u Parlamentu, marta 2004. godine, i upisane  u kalendar javnog praznovanja u Republici. Reči najvišeg predstavnika Države plaše nas, ukoliko nisu samo obećanje  vodećim ‘elementima’ revanšističke, pa čak i neofašističke propagande.Osim glasnog priznavanja ‘najteže nacifašističke  okupacije ovih zemalja’ predsednik Matarela još jedanput upire prstom - kao prema javnoj sramoti – na ‘titinski komunizam’, pokazujući neprihvatljivo nepoznavanje istorijskih činjenica (zadovoljićemo se, na primer, ako samo podsetimo da su uz  jedinice jugoslovenskih partizana,  još pre Italijana ili nemačkih nacista stajali i borci svih nacionalnosti, takođe neprijatelji; bili su to pre svega Hrvati, ‘ustaše’, slovenački ‘domobrani’,  Srbi, ‘četnici’, Albanci, ‘balisti’). Zašto i danas sledimo pogrešan trag,  običaj političke upotrebe istorije: one istorije koja je manipulisana, nanovo pisana i ‘prilagođena’ ad usum – prema potrebi..

Rezultati našeg skupa, međutim, potvrđuju još jedanput, da je ona priča o fojbama samo dosledna i prava političko-kulturna operacija potekla uspostavljanjem zakona br. 92/ 2004, koji je doprineo da nastane opšte antikomunističko i antifašističko mišljenje, uverenje okrenuto sećanju na suprotne vrednosti.  U toj operaciji, umesto potrebe, iako zakasnele, da odgovornost preuzme Zemlja, ponvo se razglasila samovoljna misao o nevinosti ‘dobrih ljudi Italijana’. Od šefa Države očekivali smo sasvim drugo jemstvo, šta više, istorijsko-politički stavu koji sve više prepoznaje osvajački  i opasan povratak fašizma  (više nego li – ‘nacionalizma’, kako obazrivo piše Matarela).

Na kraju ovog pisma-apela Predsdniku Države, učesnici velikog torinskog skupa obavezuju se da će nastaviti sa svojim radom, ozbiljnošću, iskrenim svedočenjem i objavljivanjem – razglašavanjem otkrivenog u vrletima istorije.  Da bi se na način pravih boraca i poštovalaca tradicije – Resistenze - zarekli, zaključivši da njihovo delo podrazumeva – i borbu:

Sebbene emarginati, e spesso impediti di parlare, ostacolati nella stessa attività di ricerca, gli studiosi e le studiose, oggi presenti a Torino, assieme agli organizzatori e a coloro che ci hanno testimoniato la loro vicinanza e solidarietà si impegnano a continuare il proprio lavoro, con lo studio, la testimonianza, la divulgazione. E la lotta.  

Torino, 10 februar 2018.god.


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Izjava predsednika Matarele (izvor):

«Giorno del Ricordo ustanovljen je od Parlamenta da bismo se setili jedne stranice pune zebnje koju je naša Zemlja proživela u Dvadesetom veku. Tragedija je planirana i izazvana željom za očišćenjem na etničkoj i nacionalističkoj osnovi. 

Foibe, sa njihovim tovarima smrti, nečuvene surovosti, neopravdane i nepravednog nasilja, to su tragični simboli jednog poglavlja još uvek malo poznatog i stoga doista još nerazjašnjenog koje govori o velikoj patnji stanovništva Istrana, Riječana, Dalmatinaca i prostora dogranične Julije.

Posle vremena najsurovije naci-fašističke okupacije ovih zemalja u kojima su nekada u saživotu dobro opstajali i živeli različiti narodi, kulture, religije, usledilo je nasilje titinovog komunizma, koji se okomio na Italijane koji su tokom dugog vremena, od 1943. do 1945.  trpeli strašne represalije.

Takođe su i foibe i prisiljeno iseljavanje postali  budućnost zatrovana ogorčenim nastupima, do krajnosti razdraženom ideologijom totalitarizma, koji su obeležili mnoge decenije prošlog stoleća.

Štete prouzrokovane ekstremnim nacionalizmom, etničkom, rasnom ili religioznom mržnjom, ponavljale  seu se i u nama mnogo bližim godinama, na Balkanu, uzrokujući bratoubilačke ratove stradanja i nehumano nasilje. 

Evropska unija je nastala kako bi se suprotstavila totalitarizmu i nacizmu Dvadesetog veka, perspektiva koja obećava mir, zajednički napredak, u demokratiji i slobodi. 
Danas, takođe zahvaljujući Evropskoj uniji u tim ugnjetavanim krajevima razvija se dijalog, saradnja, prijateljstvo među narodima i državama.

Stradanja i nasilja, patnje izbeglica - esula - iz Julije, Istrana, Riječana i Dalmatinaca ne mogu da budu zaboravljeni, umanjeni ili odbačeni. One čine deo, u punom značenju reči, nacionalne isorije i predstavljaju neizbrisivo poglavlje koje nas opominje najtežih iskušenja krajnjeg nacionalizma, etničke mržnje, političke surovosti privržene sistemu vlasti. ».

U Rimu, 9 februara 2018.god.

 
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Un Ricordo da aggiustare

12 FEBBRAIO 2018
 
Mentre nel Paese si scatena la retorica nazionalista sulle foibe ed è in pieno sviluppo il ritorno alla superficie delle organizzazioni nazifasciste,  un Convegno di studi a Torino cerca di ristabilire la verità storica e si impegna a contrastare la contraffazione della memoria. Il “comunicato di replica” a Mattarella.
di Fabrizio Salmoni
E’ il momento di reagire alla disinformazione storica e di andare all’attacco!” Questa l’esortazione che chiude il convegno sul Giorno del Ricordo, tenutosi al Caffè Basaglia di Torino, sabato 10 febbraio. Organizzato dal Coordinamento nazionale per la Jugoslavia Onlus e dalla rivista Historia Magistra con l’adesione  dell’Anppia (Ass. Naz. perseguitati Politici Italiani antifascisti ) nazionale e sezioni di Torino, Genova e Cuneo, delle sezioni Anpi di Grugliasco (To), Chivasso (To), Montebelluna (Tv), Casale Monferrato (Al), Avigliana (To), Bassi Viganò (Mi), Valle Elvo e Serra (Bl); dell’Aicvas (Ass. Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna), del Cvig (Centro Iniziative Verità e Giustizia), del Centro Studi Italia-Cuba, del Comitato di lotta antifascista per la memoria storica di Parma, della redazione di Marx.21.it, di Casa Rossa Milano, del Comitato contro la guerra di Milano.
Tra gli altri, hanno inviato messaggi di saluto i partigiani Bruno Segre, Lidia Menapace, Italo Poma e il vicesindaco di Torino Guido Montanari.
Nella lunga lista di adesioni, spicca l’assenza dell’Anpi provinciale, un segnale inquietante che si spiega con le esitazioni espresse a livello nazionale dopo i fatti di Macerata. Sala piccola ma strapiena con gente fuori.
Sotto accusa la legge 92/2004 che istituisce il Giorno del Ricordo su basi storiche molto discutibili e su pressione degli ambienti dei profughi istriani e neofascisti.  Una pressione facilitata dalle tendenze revisioniste maturate fin dagli anni Novanta all’interno della sinistra istituzionale. Vengono infatti ricordate le incursioni degli ex Pci Luciano Violante (a Trieste nel 1991 con Fini per sdoganare “i ragazzi di Salò) e le  successive dichiarazioni di Fassino e di Napolitano nella stessa direzione.
Perchè è necessario secondo gli organizzatori un chiarimento sulla verità delle foibe e sul vergognoso cover up istituzionale che “rovescia” i termini della “questione del confine orientale” a favore delle destre? Sostanzialmente perchè quella che è diventata in brevissimo tempo una vulgata nazionalista, vittimistica e “politicamente corretta” sui cosiddetti “martiri delle foibe” cancella i tanti elementi discordanti dalla verità ufficiale: In particolare, il contesto e le cause:
  1. L’aggressione contro Jugoslavia, Grecia e Albania scatenata dal regime fascista, che vide atrocità e stragi contro la popolazione civile;
  2. La complicità dei collaborazionisti italiani di Istria e Dalmazia nella repressione della Resistenza jugoslava;
  3. La vittoriosa controffensiva finale del 1945 dei partigiani jugoslavi (nei cui ranghi erano confluiti dopo l’8 settembre 1943, 40.000 soldati italiani) contro i fascisti croati, serbi e albanesi che coinvolse direttamente nella “resa dei conti” l’Istria e i tanti collaborazionisti italiani (e quanti rimasero indifferenti alla repressione contro i patrioti jugoslavi) i quali furono colpiti duramente e cacciati (un esodo che andrebbe spiegato all’interno della logica dei Trattati di pace, imposti a una nazione sconfitta).
Tre elementi di una verità storica che quella istituzionale tende a cancellare insieme alle responsabilità italiane nelle vicende che segnarono gli ultimi mesi e l’immediato dopoguerra con la ridefinizione dei confini: l’Italia perdeva l’Istria perchè aveva perso la guerra da essa stessa scatenata.Sulle foibe, gli interventi al convegno hanno contestato i numeri accreditati delle vittime, “cifre iperboliche, inventate dagli ambienti neofascisti” come risulta dalla ricerca dell‘Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione condotta negli anni 1987-1992 su tutti gli archivi civili e militari e alleati disponibili,  pubblicata dall’Anpi regionale: su 71 foibe esplorate sul territorio di Gorizia e Trieste, le salme recuperate furono 464, identificate e suddivise tra civili, partigiani, militi della Rsi, forze varie di polizia, militari italiani e tedeschi. Cifre che troverebbero conferma nel numero delle decorazioni (341) riconosciute alle vittime in base alla legge 92/2004, “la gran parte appartenenti alle forze armate dell’Italia fascista, che per di più avevano giurato fedeltà a Hitler, o a personale politico fascista, molti dei quali veri e propri criminali di guerra” come riferisce Umberto Lorenzoni, presidente Anpi di Treviso. Solo alcuni dei tanti che sfuggirono alla meritata punizione – ha sottolineato Davide Conti, autore de Gli uomini di Mussolini (Einaudi 2017) – perchè alla fine del conflitto, “nessuno di quelli denunciati da Jugoslavia, Grecia, Albania, Francia e dagli angloamericani venne mai processato in Italia o epurato o estradato o giudicato da tribunali internazionali, ma tutti furono reinseriti negli apparati dello stato postfascista con ruoli di primo piano” con conseguenze nefaste per gli equilibri democratici dell’Italia negli annni a venire. Alcuni di quei personaggi ebbero ancora un ruolo nei tentativi autoritari e nella strategia della tensione.
Lo storico Angelo D’Orsi ha relazionato sulle tappe della “lunga marcia del revisionismo” storico, un processo favorito dai politici di destra e di sinistra, dagli spazi concessi ad una ristretta cerchia culturale di destra, da un Pci (e successivi derivati) sempre voglioso di riciclarsi come Partito della Nazione. I risultati (e i danni alla memoria storica) nel tempo sono stati, sempre secondo D’Orsi, “il giudizio riduttivo sulla Resistenza, essenzialmente quella comunista, la sua banalizzazzione,…l’equiparazione tra repubblichini e combattenti per la libertà, la retorica della memoria condivisa....”, tutti elementi di un “rovesciamento dei fatti” che portano alla legge suddetta voluta e firmata da Napolitano e alla successiva conseguente strumentalizzazione fascista. Una versione accettata e diffusa da tutti i media e poco contrastata in sede politica e culturale da chi dovrebbe farlo, che fa anche danni collaterali, per esempio nell’istruzione dove – secondo Alessandra Kersevan, insegnante e ricercatrice – “insegnanti e storici sono indotti a un’autocensura che costringe a non parlare, a non approfondire, a un silenzioso ‘lasciar fare’ accettando le versioni imposte“.Una denuncia, quella della Kersevan che porta alla proposta di una lettera al Ministro dell’Istruzione in cui si chiede che “rievocazioni e iniziative nella scuola non siano lasciate in modo esclusivo alle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati…; che vengano fatti conoscere i crimini dell’Italia fascista nei Balcani…; che vengano ricordate e commemorate le migliaia di soldati italiani…che scelsero di combattere…con la Resistenza jugoslava… e in 20.000 morirono riscattando l’Italia dall’onta in cui il fascismo l’aveva gettata“.
Il Convegno ha avuto luogo in una giornata difficile ma esemplare per le tante manifestazioni nel Paese a cominciare da quella di Macerata ove la pressione dei partecipanti ha fatto annullare il divieto del il ministro Minniti e costretto il suo partito a convocarne un altra in differita per non infastidire troppo l’elettorato “moderato”. Una retromarcia che ha coinvolto l’apparato Cgil e il corpaccio istituzionale dell’Anpi nazionale, ancora dominato dal Pd. Incertezze e contraddizioni interne da tempo latenti che la virulenza attuale dell’offensiva delle destre sta facendo emergere in tutta la sua forza, tra una pratica antifascista attiva e popolare e un antifascismo commemorativo istituzionale sempre più simbolico, compromissivo e inefficace. Contraddizioni forse rivelatrici di un duro confronto politico interno tra le due anime. Non a caso, il gradito messaggio al Convegno della Presidente Carla Nespolo esorta a riportare in superficie la verità storica sulle foibe e sul contesto che ne fu causa e fa il paio con le sue dure parole di condanna della deriva fascista della Lega e conseguente richiesta al ministro Minniti di “sciogliere le forze politiche dichiaratamente fasciste…perchè la Costituzione parla chiaro” (La Stampa).  Un messaggio che tutti gli antifascisti aspettavano da tempo.
Come atto finale, il Convegno ha indirizzato un “Comunicato di replica” al Presidente Mattarella in cui si critica il Comunicato del Quirinale (entrambi riportati integralmente in calce) sulla ricorrenza del 10 febbraio e si contesta la contraffazione della memoria. Un segnale incoraggiante da una comunità di studiosi e docenti che si affianca organicamente alle proteste popolari di questi giorni. Nel complesso, un segnale allarmante per tutta la classe politica.(F.S. 12.2.2018)
 
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„DAN SJEĆANJA“ 2018.

U talijanskom parlamentu je 30. III. 2004. godine, pod pritiskom desničarskih i podrškom partija lijevog centra, izglasan i time ustanovljen „Dan sjećanja“ 10. februara. Tim činom se u Italiji ustoličila nova praksa, kojom se pristup iseljavanju u Italiju većeg broja Talijana, ali i Slavena, sa oslobođenih područja Istre, Dalmacije i otoka nakon II. svjetskog. rata i pripajanja tih dijelova Jugoslaviji izdvaja od dotadašnje percepcije i daje mu drugu dimenziju. U prošlosti bi se na  talijanskoj strani problem aktualizirao kada bi se pojavila politička potreba za njim. Određivanjem 10. februara „Danom sjećanja“ povod je institucionaliziran i on više nije prepušten političkoj potrebi trenutka, već se on permanentno nudi kao argument, čime si je institut vlasti zadao obavezu i ona vlast koja ne bude posegnula za njim riskira da bude doživljena kao nepatriotska.

U ovogodišnjoj izjavi talijanski predsjednik Sergio Mattarella, odaslao je poruke u kojima je neizazvano, nepoticano, često i opstruirano iseljavanje iz tog razdoblja, okarakterizirao kao planirano etničko i nacionalno čišćenje.

Razdoblje od 1943. do 1945. na ovim prostorima Mattarella vidi kao nasilje nad nemoćnim talijanima od strane „titinovog komunizma“.

http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Comunicato&key=3539

Tim povodom, nevladina neprofitna organizacija Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (CNJ) organizirala je 10. februara u Torinu konferenciju na kojoj je nastupilo veći broj povjesničara i politologa.

https://www.cnj.it/home/it/iniziative/8732-torino-10-2-2018-giorno-del-ricordo,-un-bilancio.html

Učesnici tribine ocijenili su riječi šefa države kao izvlačenje argumenata revanšističke pa čak i neofašističke propagande. Osim nejasnog priznanja „oštre okupacije tih krajeva“, učesnici tribine zamjeraju Mattarelli izraz „titinov komunizam“ kao neprihvatljivo ignoriranje povijesnih činjenica u funkciji dnevno-političke upotrebe.

Rezultati tribine, ističu učesnici, da je slučaj „fojbi“ sadržan u zakonu no. 92/2004 doprinesao stvaranju i konsolidaciji općeg dojma usmjerenog ka antikomunizmu i anti-antifašizmu čiji je cilj favoriziranje krivotvorene memorije umjesto neophodne, iako zakašnjele, preuzete odgovornosti.

Od čelnika države očekujemo mnogo više opreza, osobito u povijesno-političkoj fazi u kojoj je povratak fašizma sve izvjesniji i opasniji od „nacionalizma“, kako Mattarella oprezno piše, stoji u izjavi.

Suočeni s problemom otežanih mogućnosti istraživanja i nastupanja, znanstvenici prisutni na tribini u Torinu, zajedno s organizatorima i onima koji ih podržavaju, obavezali su se nastaviti sa započetim radom, istraživanjem, svjedočenjem, otkrićima i borbom.

 

11. II. 2018.

Vladimir Kapuralin

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Il trionfo della menzogna: le foibe

 
di Angelo d’Orsi, 20 febbraio 2018

Se il comunismo è finito, perché l’anticomunismo prospera? A Kiev come a Roma, a Budapest come a Varsavia, a Washington come a Berlino, in Brasile come in Cile, governanti, magistrati, politici, giornalisti, professori emanano leggi, accendono polemiche, aprono processi, creano norme amministrative, o si spingono a riscrivere la storia in un senso diligentemente revisionistico, e rovescistico. 

Lo scopo è uno: mandare alla sbarra, in senso proprio o figurato (culturalmente), il comunismo, i suoi teorici, i suoi esponenti storici, i suoi dirigenti e militanti. Non solo cancellare il passato, in cui il comunismo (in qualche sua forma) ha prosperato, ma punire chi ammette di avervi aderito. “Sorvegliare e punire”, ecco la ricetta: sorvegliare e punire quei reprobi. Molti dei quali, in vero, tra coloro che rivestirono ruoli dirigenti, hanno gareggiato nel negare il proprio passato, presentandosi come esempi viventi di nicodemismo: comunisti in pubblico, per necessità (!?), acomunisti o anticomunisti nel segreto del cuore. 

Per gli altri, invece, ecco scattare la sanzione sociale. Escludere, ostracizzare, ridicolizzare chi prova a resistere sul piano culturale, chi, magari citando Bobbio, invita, semplicemente, a non rallegrarsi davanti alla caduta del comunismo storico, ma a prendere atto che anche se larga parte di quell’esperimento è fallito, rimane intatta l’ansia di liberazione di centinaia di milioni di esseri umani, schiacciati dai grandi potentati economici, vilipesi da una ingiustizia mostruosa, offesi dall’essere esclusi dal proscenio, dopo che, un secolo fa la Rivoluzione Bolscevica li aveva fatto uscire dall’ombra dando loro la parola, e addirittura portandoli al potere. Quell’ansia di liberazione dei subalterni è stata moltiplicata dagli svolgimenti del turbocapitalismo nel senso della disuguaglianza, dell’oppressione, dell’ingiustizia. Delle nuove povertà per le classi medie, delle accresciute povertà per i poveri, delle accresciute ricchezze per i ricchi. 

Il quotidiano Il Tempo, pochi giorni fa, si è spinto a proporre un’anagrafe dei comunisti: quale dovrebbe essere il passo successivo? L’esilio? Il confino di polizia? La galera? Leader politici forse destinati ad andare al governo, a dispetto della loro pochezza, come Berlusconi, Salvini, Meloni e loro adepti, non esitano a richiamare lo spauracchio comunista, convinti che quel richiamo porterà voti. Un giornalista di lungo corso come Bruno Vespa, tradendo ogni deontologia professionale, negli stessi giorni, in una puntata dedicata all’annoso tema “foibe”, scatena il proprio demone anticomunista, contro ogni verità accertata, procedendo incontrastato o quasi in vergognose filippiche prive di sostanza storica. 

E che dire del presidente della Repubblica? Il quale precisamente in relazione al “Giorno del ricordo” ultimo ha emesso un comunicato che fa accapponar la pelle, tra ignoranza e propagandismo (lo abbiamo denunciato nel recente convegno “Giorno del ricordo. Un bilancio”, svolto a Torino, il 10 febbraio 2018). 

Vespa come Mattarella in fondo colpiscono nel “comunismo titino” qualsiasi idealità comunista, ossia ogni esigenza di giustizia; e che per farlo offendano la verità storica, poco importa. Poco importa che centri di ricerca accreditati abbiano prodotto monografie, saggi, articoli, in grado di smontare le balle spaziali sulle foibe; poco importa che la menzogna delle decine (centinaia?!) di migliaia di infoibati sia smentita dalla stessa configurazione geologica del territorio; poco importa che gli italiani occupanti abbiano seminato morte e distruzione nella Jugoslavia; poco importa che quando si parla di italiani “vittime” ci si riferisca essenzialmente a quegli italiani, ossia fascisti occupanti; poco importa che l’Europa tutta debba proprio all’esercito partigiano jugoslavo guidato da Tito un tributo di gratitudine eterna; poco importa che a quella Jugoslavia l’Italia del Centrosinistra abbia dato il colpo di grazia nel 1999 con la guerra del Kosovo… 

Poco importa che la verità, insomma, venga violentata dai Bruno Vespa, e dai suoi ospiti scodinzolanti (salvo eccezioni, come l’ottima Alessandra Kersevan maltrattata con villania da Vespa), che venga sottaciuta o rovesciata da politici in cerca di consenso (ricordo solo l’orribile figurina di Maurizio Gasparri, che della questione foibe ha fatto un caso personale, che lo manda in agitazione da ictus ogni volta che ne parla, anzi, che ne strilla); la menzogna viene propalata, ripetuta, ribadita, fino a che diventa senso comune. I telegiornali, i talk show, i “programmi di approfondimenti”, i docufilm, le pseudomemorie di pseudoreduci o pseudoesiliati, stanno realizzando una sorta di cortina fumogena, dietro la quale si erge come un totem (e insieme un tabù), “la foiba”: una sorta di gigantesco monumento alla menzogna. 

Grazie a tutto ciò, a codesto apparato propagandistico, è facile che chiunque, in un’aula universitaria o in uno studio radio-tv, in un vagone ferroviario o in una vettura di tram, d’improvviso se ne esca con la fatidica domanda: “E allora, le foibe?!”. E se si prova a opporre ragionamenti argomentati alle più truci invettive, dati reali e certificati ai dati inventati, vicende storiche accertate alla propaganda becera, allora si viene sommersi dall’ingiuria e additati, una volta di più, con la stentorea accusa: “Comunista!”. Parola che vorrebbe essere il culmine dell’infamia, ma forse, a maggior ragione se si guarda a chi la proferisce, diventa un titolo di merito. 
 
 
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Sul film “Red Land” si vedano anche le recensioni alla pagina:
 
 
 
“Red Land”, una ricostruzione sgangherata per un’operazione culturalmente grave
di Alberto Fazolo, 16 gennaio 2019
 
Red Land è un film che narra (a modo proprio) di Norma Cossetto e della Resistenza in Istria. Quella della Cossetto è la vicenda più nota legata alle foibe, ma è anche una delle più controverse. Altrettanto delicata e ancora più controversa è la più generale questione delle foibe. Non si può parlare di foibe senza contestualizzare, si tratta di eventi drammatici, sicuramente caratterizzati anche da errori, su cui la propaganda nazionalista italiana non perde occasione per speculare. Ma si tratta di eventi che per essere capiti vanno inseriti almeno nel contesto della Seconda Guerra Mondiale, cioè quando si scatenò l’orrore nazi-fascista. Ancor meglio sarebbe allargare l’orizzonte fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando l’Italia annesse ampi territori abitati da non italiani (in Tirolo del Sud e in parte della Venezia Giulia) e che furono teatro di violenti scontri, nonché di ampie distruzioni. Dopo l’annessione, l’Istria venne colonizzata e fu avviato un processo di italianizzazione forzata, il nazionalismo italiano fece di quelle terre una bandiera. Con l’affermazione del fascismo, i crimini contro le popolazioni slave divennero più sistematici e crudeli. Gli eventi peggiorarono ulteriormente nel 1941 con l’invasione della Jugoslavia da parte delle truppe dell’Asse. Fu una delle pagine più drammatiche della Seconda Guerra Mondiale, soprattutto per quel che riguarda le vittime e i crimini commessi dai nazi-fascisti. Quindi, contro gli invasori e i loro collaborazionisti, in Jugoslavia si organizzò una Resistenza che fu egemonizzata dai comunisti.

In una vicenda tanto complessa e delicata, caratterizzata anche dalla difficoltà di trovare delle fonti storiche attendibili, il film non lascia alcun margine per il dubbio, sposa con determinazione una sola versione dei fatti. Peccato però che tra le tante versioni disponibili, quella narrata nel film sia una delle più improbabili. La ricostruzione storica è sgangherata. Ci sono tante contraddizioni, alcune eclatanti anche per chi non conosca a fondo i fatti. Al netto di tutte le fandonie che si susseguono nel film, si opta per una narrazione parziale, cioè solo di un episodio sradicato dal contesto, rimuovendo o negando le cause. Decontestualizzare i fatti e ignorare le responsabilità italiane è un preciso gesto politico. Spudoratamente il film vaneggia di una fantomatica pace che in Istria sarebbe durata da secoli, il concetto di pace lo si confonde con quello di dominio: si fa passare un messaggio aberrante.

Si tratta di un film che semina odio, infarcito di stereotipi, in cui i fascisti (di cui viene esaltato l’eroismo) sono tutti buoni, quasi delle vittime degli eventi, al più sono i tedeschi ad abbandonarsi a qualche eccesso. Ancora più buoni sono tutti gli altri italiani, ad eccezione dei comunisti. Quest’ultimi vengono descritti come dei mentecatti, esaltati, infami, traditori e menomati. In un tripudio lombrosiano, è ancora più grottesco il ritratto dei partigiani jugoslavi: criminali, sadici, stupratori, alcolisti, pazzi e soprattutto brutti (aspetto su cui il regista insiste ossessivamente). In sostanza sui comunisti e gli slavi viene riproposta tutta la peggiore retorica della propaganda del ventennio fascista.

Durante la visione si fa fatica a prestare attenzione al problema del revisionismo, si è distratti dalla morbosità della narrazione: il film vuole suscitare indignazione e disgusto e non far riflettere su degli eventi.

Il regista è l’argentino Maximiliano Hernando Bruno, che non può vantare grandi esperienze dietro alla macchina da presa, infatti mostra tutti i propri limiti. Il film scade spesso nel ridicolo e nel grottesco, sembra quasi di stare a vedere una telenovella horror.

Generalmente imbarazzanti le interpretazioni degli attori. Tra i messaggi che il film vuole lanciare c’è anche quello (ovvio) che “le colpe dei padri non ricadono sui figli”, però involontariamente si riafferma pure che “i meriti dei padri non ricadono sui figli”. Infatti nel cast troviamo Geraldine Chaplin (figlia del grande Charlie), che se non avesse accettato quella parte, si sarebbe risparmiata una figuraccia.

Tra i vari che ragliano, si discosta la buona interpretazione di Franco Nero, tanto per le capacità artistiche, quanto per via del fatto che il ruolo gli s’addice alla perfezione: un anziano molto stimato che si suicida. Infatti, con questo film Franco Nero si suicida come artista, andando a seppellire sotto l’immondizia una bella carriera.. La delusione verso Franco Nero è anche umana e politica, lui aveva già recitato nel capolavoro “La Battaglia della Neretva”, il film jugoslavo del 1969 che meglio di tutti racconta le gesta eroiche della Resistenza guidata da Tito: ritrovarlo in un film del genere è sconfortante.

Il film fomenta la slavofobia, è pericoloso. Pertanto un pensiero va anche a tutti quei cittadini italiani slavofoni che ancora oggi devono subire un attacco del genere, per loro oltre al danno c’è la beffa e di sicuro se ne ricorderanno la prossima volta che dovranno pagare le tasse o votare: il film è realizzato anche grazie alla RAI e ad alcune amministrazioni locali. Ciò riconferma che le campagne revisioniste godono di ampio supporto istituzionale. Inoltre, assurdamente Red Land ha ottenuto il riconoscimento della qualifica di film d’essai e quindi godrà di agevolazioni fiscali. Tuttavia la cosa che maggiormente preoccupa è che questo film possa essere proiettato nelle scuole, con il rischio d’inculcare l’odio anche tra i giovani: una prospettiva da scongiurare.

In definitiva si tratta di un film fatto male, ma le lacune tecniche sono nulla rispetto all’abominio dell’operazione politica che c’è dietro.


=== 3 ===
 
QUANTI FURONO GLI INFOIBATI IN ISTRIA NEL 1943?
 
di Claudia Cernigoi, dalla pagina FB de La nuova Alabarda, 15/12/2018
 
Dato che a seguito del (brutto anche dal punto di vista artistico) film Red Land si è ripreso a sparare le cifre più disparate rispetto agli "infoibati" dai partigiani nel settembre-ottobre 1943, abbiamo pensato di pubblicare questo documento, che non è tratto da fonti "slavocomuniste" ma è stato pubblicato in un libro scritto da Luigi Papo, sedicente "de Montona", nonostante sia nato a Grado, uno dei "foibologi" legati all'associazionismo degli esuli giuliano dalmati, nonché denunciato per crimini di guerra dalla Jugoslavia, avendo comandato il presidio della Milizia a Montona.
Papo ha pubblicato questa lettera, inviata nell'aprile 1945 (la data riporta 24 aprile "XXIII", cioè ventitreesimo anno dell'era fascista, quindi 1945) dal federale del fascio repubblicano dell'Istria Luigi Bilucaglia al capitano Ercole Miani, rappresentante del Partito d'Azione all'interno del CLN triestino (già qui ci si domanda quali rapporti intercorressero tra i due se Bilucaglia ritenne di rivolgersi a Miani per questo).
La lettera è l'accompagnatoria, come si legge nella prima pagina, di "circa cinquecento pratiche per l'ottenimento della pensione alle famiglie dei Caduti delle foibe".
Dunque alla data del 24 aprile 1945 la federazione fascista di Pola aveva istruito 500 pratiche relative ad infoibamenti. Anche volendo ritenere che ogni pratica si riferisse al deceduto e non ad ogni parente, risulta che dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 (nel computo venivano considerati anche i caduti per mano partigiana nel corso del conflitto) furono "circa 500" gli "infoibati". Non migliaia, quindi, come i propagandisti disinformatori pretendono. 
(Il libro di Papo è "L'Istria e le sue foibe", pubblicato nel 1999 dalla Settimo Sigillo, casa editrice fondata da Enzo Cipriano assieme ai rautiani Enzo Erra e Rutilio Sermonti, nel cui catalogo troviamo testi di Mario Merlino, Stefano Delle Chiaie, Pierluigi Concutelli e di altri esponenti della destra radicale. Tanto per la cronaca, Cipriano si è candidato per CasaPound alle ultime elezioni politiche, assieme all'ex avvocato di Gelli, Augusto Sinagra, uno dei promotori del cosiddetto "processo per le foibe").
 
 
I DOCUMENTI: 
 
  
 
 
=== 4 ===
 
Sulla fake news della "foiba di Rosazzo" abbiamo pubblicato in passato ricca documentazione. Si veda anche:
 
Proposta una commissione parlamentare d'inchiesta sulle fosse comuni tra Udine e Gorizia e non solo (di Marco Barone – 1 agosto 2016)
 
 
 
Foibe inventate e scuse mancanti

Luciano Marcolini Provenza
PUBBLICATO VENERDÌ 17 FEBBRAIO 2017 – La sconcertante vicenda di Corno di Rosazzo (Gorizia): la notizia di una strage rivelatasi inesistente e la pervicace diffamazione del movimento di Resistenza friulano
 
È passato un anno dal 10 febbraio 2016, giornata nella quale ogni anno viene commemorato il Giorno del ricordo, istituito con una legge dal 2004. Una delle tante manifestazioni si svolge anche a Gorizia, in Friuli Venezia-Giulia. In quella occasione presenziano autorità civili e militari: il Sindaco della città di Gorizia, Ettore Romoli, forzista con trascorsi missini; il Presidente della Provincia di Gorizia, Enrico Ghergetta, PD con militanza nel PCI; gli assessori regionali PD Sara Vito e Gianni Torrenti. Nel corso della manifestazione Luca Urizio, Presidente provinciale della Lega Nazionale, rivela un fatto sconvolgente: “l’archivio del Ministero degli Esteri ha celato per oltre 70 anni un documento sconosciuto (1) che confermerebbe l’esistenza di una foiba a Corno di Rosazzo. Nella cavità carsica naturale, situata nel cuore dei Colli orientali a cavallo tra le provincie di Udine e Gorizia, sarebbero state gettate nel 1945 tra le 200 e le 800 persone” (il Messaggero Veneto 11.02.2016). Urizio, riporta ancora quel giornale, ha poi “espressamente citato il partigiano Sasso (il gradiscano Mario Fantini) e il partigiano Vanni (al secolo Giovanni Padoan di Cormons), coinvolti anche nell’eccidio di Porzus”.
Si tratta di una notizia che, oltre ad avere pesante rilevanza penale per gli ipotetici attori della strage, li ha anche nei confronti di chi ha fatto i loro nomi, che incorrono nell’ipotesi di reato di diffamazione. La stampa locale, e non solo essa, approfitta della sensazionale notizia per scatenare nei mesi successivi una campagna stampa di cui si riportano solo alcuni indicativi titoli:
«La fossa comune di Rosazzo. Ci sono i testimoni» (il Messaggero Veneto 19.02.2016);
«Il figlio del testimone: “Così venivano uccisi nella vecchia cjasate”» (2). (il Messaggero Veneto 26.02.2016);
«Il caso della fossa comune: a Rosazzo sono due i luoghi degli eccidi» (il Messaggero Veneto 02.03.2016);
«Il caso della fossa comune: ecco la casa di Truda, il secondo mattatoio» (il Messaggero Veneto 03.03.2016);
«Friuli, spunta una nuova ‘foiba’: lì dentro almeno duecento morti» (il Primato Nazionale 04.03.2016);
«Questa zona? È un cimitero: Nuove rivelazioni su fosse comuni» (il Gazzettino14.03.2016);
«Le carte di Premariacco: ecco i nomi dei morti» (il Messaggero Veneto 03.05.2016).
Sono avviate le indagini e la ricerca del sito in cui trovare i resti umani dell’eccidio. Il territorio individuato per l’ubicazione della “foiba”, in un primo tempo circoscritto a una singola frazione, si estende nei due comuni di Manzano e Corno di Rosazzo e nei mesi successivi alla rivelazione è battuto in lungo e in largo, ispezionando ogni possibile anfratto, anche con l’ausilio di gruppi di speleologi. Nel frattempo spuntano “testimoni” che hanno sentito dire…
Le indagini però non si limitano a questo. Si tratta di fatti di rilevanza penale, quindi la Magistratura estende il suo lavoro anche a Roma, negli archivi dei Ministeri agli Esteri e alla Difesa, dello Stato Maggiore dell’Esercito e dei Servizi Segreti, ma nulla emerge da tali ricerche, tant’è che, dopo dieci mesi di infruttuose ricerche, il fascicolo sulla “Foiba di Rosazzo” viene archiviato.
C’è da sottolineare il fatto che il Comune di Gorizia ha finanziato l’operazione di ricerca del signor Urizio con fondi pubblici, spesi, in questi tempi di “vacche magre”, per una “bufala”. Il sensazionale documento prodotto da Urizio non è affatto un documento sconosciuto e di ciò dobbiamo gratitudine al gruppo di “Resistenza Storica” (3), che ha dimostrato come questo fosse già stato vagliato dalla Magistratura in occasione del cosiddetto “processo sulle foibe” promosso avanti la Corte d’Assise di Roma nei confronti di Oskar Piskulic e altri (il processo, dopo essersi dimostrato insostenibile, finì annullato per incompetenza territoriale). Il documento – una semplice informativa, come si può ben vedere dall’allegato – non è allora ritenuto attendibile ed è quindi privo di valore. Eliminata quindi la possibile rilevanza penale nei confronti di “Sasso” e di “Vanni”, resterebbe un’ipotesi di rilevanza penale nei confronti del Sig. Luca Urizio, Presidente della Lega Nazionale.
Questo esempio, che per la pubblica opinione nel resto d’Italia potrebbe apparire come un caso sporadico, è all’ordine del giorno qui, al confine orientale, dove in prima linea si sono vissute le terribili vicende non solo della “Grande guerra” e della Seconda guerra mondiale, ma anche il lungo periodo della “Guerra fredda”, che per decenni ha condizionato e, come appare evidente in questa vicenda, condiziona tuttora lo sviluppo socio-politico, con pesanti ripercussioni, in particolare, sui diritti della minoranza slovena presente in regione. Un territorio nel quale genti di lingue diverse hanno convissuto per secoli senza tensioni nazionalistiche è stato oggetto della violenza ideologica, politica, sociale dettata dall’assunto dell’«italianità», cardine del fascismo di frontiera. Un territorio sottoposto a servitù militari per quasi la metà della superficie regionale, che hanno condizionato e penalizzato con vincoli, divieti e restrizioni lo sviluppo economico. Un territorio che ha subito una vera sclerotizzazione sul piano politico per la presenza delle strutture della organizzazione segreta Gladio, fino alla nuova stagione delle frontiere aperte tra paesi comunitari.
Nel clima sopra descritto i partigiani, quelli appartenenti alle Brigate Garibaldi, hanno subito pesantissime discriminazioni, ingiurie, processi. Alcuni hanno dovuto fuggire all’estero, altri sono dovuti sparire dalla vita sociale e pubblica nella speranza, vana, che rendendosi invisibili non sarebbero stati perseguitati. Con un’opera di diffamazione perseguita con sistematica pervicacia, si tenta, ancora oggi, di trascinare nel fango l’intero movimento resistenziale friulano che, a fronte di qualche ombra, ha invece espresso momenti memorabili di lotte unitarie tra le diverse anime della resistenza e con il movimento di liberazione jugoslavo. Un movimento che, quando la lotta si era fatta più dura, si mostrava capace di avviare esperienze di amministrazione civile e democratica, come quelle delle Zone Libere della Carnia e del Friuli Orientale in un territorio, annesso al Terzo Reich, nel quale si consumavano le brutali repressioni naziste e dei repubblichini: in prima fila la Decima MAS del golpista Valerio Borghese, i cui reduci vengono ricevuti ogni anno, in forma solenne, nella Residenza municipale di Gorizia dal Sindaco Ettore Romoli.
Ora, di fronte alla verità oggettiva della non esistenza della fossa e degli eccidi (notizia riportata sulla stampa in secondo piano), ci si aspetta, da coloro che presenziarono a quella manifestazione e che, pur appartenendo al PD, non sentirono un moto di repulsione di fronte alle affermazioni denigratorie nei confronti di due noti ed eroici capi partigiani, una dichiarazione di scuse e di disappunto. Nei confronti degli autori delle affermazioni diffamatorie ci si aspetta invece un’azione penale d’ufficio, per essere state formulate in presenza del viceprefetto di Gorizia Antonino Gulletta.
Luciano Marcolini Provenza, dell’ANPI Cividale del Friuli
 
Note
1)    Il documento citato proviene dall’Ufficio Informazioni Nucleo Stralcio, I sezione – gruppo speciale (ex I Gruppo della Calderini) dei Servizi segreti;
2)    Cjasate in lingua friulana sta per casa brutta, fatiscente;
3)    Resistenza storica: rimandiamo per maggiori informazioni e approfondimenti al sito www.diecifebbraio.info
 
 
 
(srpskohrvatski / english / francais / italiano)
 
Kosovo: Stato fallito ma con esercito a disposizione
 
0.1) PUBBLICAZIONI / PUBLIKACIJE:
Jacques Hogard: L’EUROPA È MORTA A PRIŠTINA
Сандра Давидовић: EULEX KOSOVO
Живадин Јовановић: 1244 - КЉУЧ МИРА У ЕВРОПИ
0.2) ALTRI COLLEGAMENTI / LINKOVI

1) NON È UN PAESE PER ROM (di Edoardo Corradi, 14/1/2019)

2) Cresce la tensione tra Serbia e Kosovo albanese (di Enrico Vigna, 10/1/2019)
3) DISCONOSCIMENTO DEL KOSOVO: gli Stati Uniti cercano di arginare la marea (Wayne Madsen, 02.12.2018)
4) 300 MILIONI DI EURO U.S.A. PER TRASFORMARE LA BANDA UCK IN UN ESERCITO REGOLARE / SAD kosovskim Albancima dozvolile stvaranje vojske i kupnju oružja za 300 milijuna eura (28/10/2018) 

 

 
 
=== 0.1: PUBBLICAZIONI ===
 
Jacques Hogard

L’Europa è morta a Priština
Guerra nel Kosovo, primavera-estate 1999
 
Frankfurt: Zambon, 2017
ISBN.: 9788898582365 prezzo: 10.00 EUR

Quando hanno luogo gli eventi del Kosovo che conquistano le prime pagine nell’autunno 1998, Jacques Hogard è ufficiale superiore in servizio presso il Comando Operazioni Speciali (COS). Avviene così che all’inizio del 1999 assuma il comando del Gruppo congiunto delle forze speciali che verrà schierato dalla Francia in Macedonia e quindi in Kosovo, al fianco degli alleati americani, britannici, tedeschi e italiani.
Dopo vari mesi di incertezza, il 23 marzo 1999 la NATO scatena effettivamente la guerra contro la Serbia, dopo il fallimento dei negoziati di Rambouillet. Ciò che Jacques Hogard e i suoi uomini scoprono allora sul terreno non coincide affatto con quanto affermano i media occidentali.
Uomo di carattere, dai solidi principi, il colonello Hogard vivrà intensamente questa ultima operazione in Kosovo. Essa lascerà in lui l’amarezza della partecipazione irresponsabile a un conflitto ingiusto, emblema di tutti i fallimenti e i tradimenti francesi ed europeo.
Hogard offre qui la sua testimonianza per mezzo di un saggio breve, circostanziato e incisivo.
 
 
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Ново Издање Беофорума
 
У 2018. години у којој је проблем Косова и Метохије био вишеструко разматран, не само у земљи, већ и у оквирима Европске уније, било је мало расправа о учинцима Европске мисије владавине права на Косову - EULEX. Не само да ове године мисија EULEX KOSOVO обележава десет година од почетка свог деловања на територији КиМ, већ као таква, она представља део укупног приступа Уније у решавању косовске кризе који обележава године иза нас.
Тим поводом је у протеклој години, у оквиру још једног истраживачког пројекта Београдског форума под покровитељством Канцеларије за Косово и Метохију Владе Републике Србије, спроведено и објављено истраживање мисије EULEX KOSOVO. Пројектом је руководила чланица Управног одбора Форума и докторанткиња Факултета политичких наука у Београду Сандра Давидовић.
Ауторско дело ,,Деценија рада Европске мисије владавине права на Косову и Метохији EULEX KOSOVO: преглед, оцене и закључци'' представља осврт ауторке на деценију деловања највеће мисије ЕБОП/ЗБОП и обухвата преглед правног и политичког контекста оснивања EULEX-a, структуре и мандата мисије, као и општи приказ њених достигнућа.

Београд, јануар 2019.
 
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O knjizi Zivadina Jovanovića pogledaj isto:
 
 
 
RTS: Представљена књига "1244 - кључ мира у Европи" Живадина Јовановића

У свечаној сали Дома војске у Београду промовисана је књига "1244 - кључ мира у Европи" аутора Живадина Јовановића, председника Форума за свет равноправних.
Књигу 1244 кључ мира у Европи, аутор Живадин Јовановић посветио је решавању питања Косова и Метохије. Она саржи збирку његових текстова и интервјуа објављених у страним и домаћим медијима у распону од три протекле деценије.
 
Подељена у пет поглавља под називима: Време тероризма, Време агресије, Време илузија, Време за отрежњење и Прилози, обухвата хронологију и континуитет кључних догађаја пре и после доношења историјског документа - Резолуције 1244.
Професор др Мило Ломпар истакао је документарни карактер књиге, исказан у приказу дугогодишње дипломатске активности Јовановића као политичког чиниоца и сведока догађаја, што уз документе у склопу прилога у књизи потврђује историјску заснованост тврдњи самог аутора.
„Показује се стална експанизија сепаратизма заснованог на теророзму на једној страни, а на другој континуитет политичке и сваке друге подршке и помоћи водећих земаља Запада том расту сепаратизма и тероризма на Космету. Показује се такође да се методе мењају, а да циљеви остају исти, јер Запад третира Косово и Метохију искључиво у оквиру своје геополитике", каже за РТС Живорад Јовановић.
Јовановић наглашава да се само у глобалном геополитичком контексту ширења НАТО према границама Русије, које је почело још од педесетогодишњег јубилеја алијансе 1999. године у Вашингтону, могу разумети дешавања у вези са Косовом и Метохијом.
„Упркос свим притисцима којима је Србија и данас изложена, не треба губити визију и оптимизам. Потребно је интензивирати све путеве борбе за очување Космета у статусу који је предвиђен Резолуцијом 1244. У том смислу треба искористити и овај тренутак који представља покушај окончања етничког чишћења Срба са Косова и Метохије и упозорити међународну заједницу на катастрофалне последице које се неће ограничити ни на Србију ни на Балкан, које могу имати катастрофалне последице и за саму Европу", каже Јовановић.
Његова светост патријарх српски Иринеј, примио је аутора књиге Живадина Јовановића и издавача Драгана Лакићевића, испред Српске књижевне задруге, кјоји су поклонили патријарху примерак књиге.

IZVOR: RTS
 
 
=== 0.2 ===
 
Altri link e brevi segnalate, in ordine cronologico inverso:
 
KOSOVO, SOGNANDO UNA VITA ALL'ESTERO (di Majlinda Aliu, 19/12/2018)
Nonostante il Kosovo sia ancora sulla "lista nera" di Schengen, molti suoi cittadini sognano di un futuro all'estero. Tra le categorie professionali più qualificate, come i medici, si può già parlare di fuga di cervelli...
 
KOSOVO-SERBIA, SCONTRO SUI DAZI (di Majlinda Aliu, 29/11/2018)
Il governo del Kosovo ha deciso di imporre dazi doganali al 100% contro Serbia e Bosnia Erzegovina. Una decisione fortemente criticata da Bruxelles, e che rischia di danneggiare ulteriormente il fragile dialogo con Belgrado...
 
KOSOVO : ARRESTATIONS À GRAND SPECTACLE ET MANIFESTATION À MITROVICA (CdB, 23 novembre 2018)
Vendredi matin, les unités spéciales de la police du Kosovo ont arrêté quatre suspects dans le meurtre d’Oliver Ivanović, le 16 janvier dernier à Mitrovica. Elles ont aussi perquisitionné le domicile de Milan Radojčić, le véritable « boss » du Nord du Kosovo. Belgrade a dénoncé l’opération, tandis que les Serbes manifestaient dans tout le Kosovo contre la hausse des taxes...
 
KOSOVO: LE POUVOIR DE PRISHTINA AUX ABOIS (23 NOV. 2018, PAR STANTOR / BLOG : MIROIR DE NOTRE TEMPS)
Sur fond de guerre commerciale décidée par Prishtina contre les produits Serbes dont les taxes d'importation ont été augmentées de 100%, une vague d'arrestations menée par la force de sécurité du Kosovo vise des serbes et le représentant de l'organe représentatif des serbes du Kosovo Milos Dimitrijevic. La partie serbe de Kosovska Mitrovica est en alerte et dénonce la duplicité de la KFOR...
 
DRŽAVNI VRH ZASEDAO ZBOG DEŠAVANJA NA KOSOVU, VUČIĆ PORUČIO POSLE SASTANKA: MORAMO SE PRIPREMITI NA DUGOTRAJNU POMOĆ NAŠEM NARODU (FOTO) (VIDEO) (23. novembar 2018)
 
LISTE NON EXHAUSTIVE DES PAYS AYANT VOTÉ CONTRE L'ADHÉSION DU KOSOVO À INTERPOL (21 NOV. 2018, PAR STANTOR / BLOG : MIROIR DE NOTRE TEMPS)
Liste partielle et non exhaustive des pays ayant pris part au vote de l'assemblée générale d'Interpol sur la demande d'adhésion de la République autoproclamée du Kosovo à cette agence...
 
KOSOVO: RESPINTA LA DOMANDA DI ADESIONE ALL’INTERPOL (Riccardo Celeghini, 20.11.2018)
... Nella votazione finale, difatti, 68 paesi hanno votato a favore, 51 hanno votato contro, e 16 si sono astenuti... Il Kosovo aveva fatto richiesta di adesione all’INTERPOL nell’aprile del 2015, ma da allora non è mai riuscito ad assicurarsi il supporto di due terzi degli stati membri. La volta precedente, in occasione dell’assemblea tenutasi in Cina nel settembre 2017, il primo ministro Ramush Haradinajaveva addirittura deciso di ritirare la candidatura... Il Kosovo ad oggi risulta membro di dieci organizzazioni intergovernative internazionali come stato indipendente e di altre sei sotto il cappello di UNMIK, la missione ONU che ha governato l’ex-provincia della Serbia dalla fine della guerra nel 1999 alla dichiarazione d’indipendenza del 2008. In due casi, inoltre, il Kosovo ha assunto lo status di osservatore. Tra le membership più importanti vi sono certamente quelle presso il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale e la Banca europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS). Diverse sono però le organizzazioni internazionali in cui l’ingresso del Kosovo pare ancora lontano: oltre all’INTERPOL, ci sono anche il Consiglio d’Europa, l’OSCE, l’UNESCO e, su tutte, l’ONU...
 
L'ASSEMBLÉE GÉNÉRALE D'INTERPOL REJÈTE POUR LA 3ÈME FOIS L'ADHÉSION DU KOSOVO (20 NOV. 2018, PAR STANTOR / BLOG : INO-RADIO)
Après d'âpres manoeuvres des USA, de la Grande Bretagne et de la Turquie pour infléchir la position de nombreuses délégations de pays membres d'Interpol lors de l'assemblée Générale de l'organisation qui se tient à Dubaï aujourd'hui, et malgré l'échec de cinq pays à obtenir le changement de l'ordre du jour, l'adhésion du Kosovo a été finalement rejetée par l'assemblée générale d'Interpol...
 
KOSOVO: DAZI VERSO LE MERCI SERBE E BOSNIACHE “PER PUNIRE LA LORO OSTILITÀ” (A. Massaro, 15.11.2018)
Dopo una riunione del suo esecutivo, il primo ministro Ramush Haradinaj ha annunciato lo scorso 6 novembre, la decisione di aumentare le tariffe doganali del 10% sui prodotti serbi e bosniaci. Haradinaj ha precisato che per la prima volta una simile decisione viene presa nella storia recente del paese. Secondo Pristina questo provvedimento giungerebbe in risposta al comportamente ostile adottato negli ultimi mesi dai governi di Serbia e della Bosnia-Erzegovina nei confronti del Kosovo...
 
VIA DAI BALCANI (Kosovo 2.0, 13.11.2018)
Centinaia di migliaia di persone lasciano i Balcani, dove non vedono un futuro. Le cause oltre che economiche sono anche sociali e politiche...
ORIG.: Hundreds of Thousands Leaving Balkan Region in Which They See No Future
 
UN ESERCITO PER IL KOSOVO (26/10/2018 -  Dragan Janjić)
Pristina ha ufficialmente avviato, con il sostegno degli Stati uniti, la trasformazione delle sue forze di sicurezza in forze armate. Un processo che durerà a lungo...
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Un-esercito-per-il-Kosovo-190853/
 
KOSOVO: LE PARTI AU POUVOIR VEUT INTERDIRE LE 1ER MAI FÉRIÉ, QU'EN PENSE LA CES ? (28 OCT. 2018, PAR STANTOR /  BLOG : INO-RADIO)
Le Parti Démocrate du Kosovo au pouvoir (PDK) a déposé une proposition de loi, avec le soutien d'un syndicat membre de la CSI, visant la suppression du 1er mai comme jour férié en raison de sa connotation "communiste" et "yougoslave"...
 
KOSOVO: MIGLIAIA DI FINTI VETERANI DI GUERRA, INDAGATI I VERTICI DELLA POLITICA (Marco Siragusa, 27 Settembre 2018)
... A rendere la situazione interna ancora più turbolenta è stato lo scandalo legato alla falsificazione delle liste dei veterani di guerra appartenenti all’UCK, l’Esercito di Liberazione del Kosovo, protagonista del conflitto contro le forze di Slobodan Milosevic nel 1998-99...
 
KOSOVO : À QUOI SERVENT LES LOBBYISTES AUX ÉTATS-UNIS ? (Radio Slobodna Evropa | Traduit par Persa Aligrudić | mardi 12 juin 2018)
Ils connaissent les arcanes du pouvoir et les gens qui comptent à Washington. Le Kosovo, tout comme ses voisins, dépense des fortunes en conseils, communicants et autres lobbyistes auprès de l’administration américaine. Dans les années 1990, il s’agissait de faire connaître au monde la situation politique de la région, mais aujourd’hui, les lobbyistes servent les intérêts privés des politiciens qui veulent afficher leurs bonnes relations avec la Maison Blanche...
 
KOSOVO : EULEX RÉDUIT LA VOILURE ET PRÉPARE SON DÉPART (Courrier des Balkans | lundi 11 juin 2018)
La mission européenne Eulex n’aura plus de responsabilité exécutive à compter du 14 juin. Son mandat, prolongé de deux ans, se limitera à un rôle de « conseil » pour la justice du Kosovo. Eulex s’en va sur un maigre bilan, marqué par des scandales de corruption à répétition...
 
L’IDENTITÀ CULTURALE SERBA IN KOSOVO MINACCIATA NEI SUOI MONUMENTI (rem [Ennio Remondino], 4 giugno 2018)
... Durante i bombardamenti in Kosovo del 1999 non ci sono state distruzioni di chiese e monasteri. È nei cinque mesi successivi all’inizio cioè della ‘pace’ in Kosovo, tra il giugno e l’ottobre del ’99, che più di ottanta tra chiese e monasteri sono stati danneggiati e abbattuti. Oggi si calcolano 110 demolizioni. Molte di queste costruzioni risalivano ai secoli XIV-XVI...
 
I KOSOVARI ALBANESI CHE VOGLIONO IL PASSAPORTO SERBO (Remocontro [Ennio Remondino], 25 maggio 2018)
Un consistente numero di cittadino kosovari albanesi presentano i documenti per ottenere il passaporto della Repubblica serba. Nessun ritorno al passato, ma le facilitazioni di quel passaporto per espatriare in Europa in cerca di lavoro...
https://www.remocontro.it/2018/05/25/i-kosovari-albanesi-che-vogliono-il-passaporto-serbo/
 
 
=== 1 ===
 
Su questo stesso tema si veda il testo di Adem Bejzak e Kristin Jenkins
 
UN NOMADISMO FORZATO
...di guerra in guerra... Racconti rom dal Kosovo all'Italia

Edizioni Archeoares, 2011
7 euro, 180 p., ISBN 978-88-96889-22-0
per ordinare il libro
 
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KOSOVO: Non è un paese per rom
di Edoardo Corradi, 14/1/2019
 

I rom sono una dellminoranze più discriminate al mondo. Ovunque si vada, razzismo e generalizzazioni colpiscono questa etnia, tanto peculiare e ricca di cultura quanto discriminata. Anche in Kosovo la discriminazione nei confronti dell’etnia rom è molto forte e i progetti volti alla loro inclusione sociale faticano a decollare.

Rom, ashkali ed egizi

Essere rom, in Kosovo, è una questione di identità. Il paese, diviso su linee etniche, ripercuote tale faglia anche nella comunità rom. I rom infatti si distinguono oggi tra rom, ashkali ed egiziani (RAE), differenziandosi prettamente da un punto di vista etnico e religioso. I rom propriamente detti, infatti, tendono ad essere cristiani ortodossi e parlano per lo più il serbo o il romanì, la loro lingua. Ashkali ed egizi, invece, sono prevalentemente musulmani e parlano in maggioranza l’albanese.

Rom, ashkali ed egizi vivono principalmente nel sud del paese e nella sua parte occidentale, in particolare nelle zone di Gjakovë/Đakovica, Pejë/Peć, Ferizaj/Uroševac e Prizren. Non è comunque raro incontrare rom, ashkali ed egizi anche in altre zone del paese, come nella municipalità di Fushë Kosovë/Kosovo Polje, dove rappresentano il 12,25% della popolazione, e nella capitale Pristina.

Le tutele sulla carta

Alla luce di ciò, la comunità rom in Kosovo gode di diverse tutele legislative, in campo linguistico, culturale e politico, tanto che una quota di seggi (4) all’interno del parlamento nazionale è assegnata a rappresentanti di questa comunità. Rom, ashkali ed egizi hanno dei propri partiti politici a livello nazionale e locale, e una delle sei stelle sulla bandiera nazionaledel Kosovo rappresenta proprio la comunità rom. Nel 2008, inoltre, il governo kosovaro ha approvato una Strategia per l’Integrazione delle comunità rom, ashkali ed egizi. Secondo questo piano, il governo si sarebbe impegnato a migliorare le condizioni dei rom in Kosovo entro il 2015

Tuttavia, la grave mancanza di personale e soprattutto di fondi hanno ridotto notevolmente gli interventi che sarebbero stati necessari per garantire una maggiore integrazione di rom, ashkali ed egizi nella società kosovara, rimanendo dunque ancora ai suoi margini. Di fatto, il divario tra i diritti garantiti sulla carta e quelli che, invece, sono effettivamente rispettati è enorme.

La realtà

Le condizioni di vita di rom, ashkali ed egizi in Kosovo, difatti, appaiono notevolmente diverse da quelle degli altri cittadini. Se già queste non sono ottimali, come ad esempio per quanto riguarda il sistema sanitario, la disoccupazione e l’impossibilità di viaggiare liberamente, la comunità rom si trova in condizioni addirittura peggiori. L’accesso all’istruzione, alla sanità e al mondo del lavoro appare notevolmente più complesso per rom, askhali ed egizi, come sottolineato anche dalle organizzazioni internazionali che operano nel paese. A questo si aggiunge il fattore abitativo, giacché i membri di questa comunità sono spesso costretti a vivere in abitazioni fatiscenti e dove le condizioni igieniche non sono minimamente rispettate.

Le enormi difficoltà che rom, ashkali ed egizi incontrano nel trovare un posto di lavoro certamente non aiutano nel processo di integrazione di queste comunità. Il paese si trova già ad affrontare dei drammatici tassi di disoccupazione che, secondo la Banca Mondiale, si attestano al 25,7% per quanto riguarda quella generale e al 52,4% per quella giovanile. In questo contesto, il tasso di disoccupazione di rom, ashkali ed egizi è notevolmente più alto. Infatti, tra i rom il tasso di disoccupazione si attesta al 43%, quello degli ashkali al 37,7%mentre quello degli egizi al 30%. Questo è anche dovuto ai tassi di abbandono scolastico, che nel caso dei componenti della comunità rom raggiungono livelli molto elevati. Ancora più preoccupante risulta la condizione delle donne, basti pensare che solo l’1,2% delle donne rom completa la scuola secondaria e solo lo 0,4% ottiene una laurea universitaria. La discriminazione certamente non aiuta a favorire l’ingresso di rom, ashkali ed egizi nei luoghi di lavoro, persino in quelli pubblici. La televisione di stato kosovara, inoltre, non trasmette nulla che possa interessare direttamente la comunità, e non vi sono membri nel consiglio direttivo che siano rom, ashkali o egizi.

I motivi di tali discriminazioni risalgono anche al periodo della guerra. Secondo quanto riportato dalla Rosa Luxemburg Foundationi rom – all’epoca non ancora ufficialmente divisi tra di loro in tre gruppi distinti – venivano spesso usati dalle truppe militari e paramilitare serbe in azioni contro i civili albanesi [*]. Questo li ha spesso resi oggetto di discriminazione da parte degli albanesi e li ha sottoposti a vere e proprie vendette al termine della guerra. Il caso del quartiere Mahalla di Mitrovica è esemplificativo: questa zona abitata da rom, stretta tra il fiume Ibar e i serbi a nord e gli albanesi a sud, è stata quasi interamente raso al suolo negli anni seguenti la guerra, obbligando la comunità rom di Mitrovica a vivere in campi di fortuna, con condizioni igenico-sanitarie lontane dagli standard minimi per vivere.

Nonostante ciò, negli ultimi anni sono partiti alcuni progetti di integrazione locali, come nel caso del progetto pilota, voluto dal sindaco di Pristina Shpend Ahmeti, che ha coinvolto il quartiere di Dardania della capitale per sviluppare un’efficiente raccolta differenziata affidata a lavoratori appartenenti alla comunità rom. Proprio da questi pochi esempi positivi bisogna ripartire. Superare i pregiudizi, la memoria della guerra e favorire la collaborazione interetnica è l’unico modo per dare un futuro solido al Kosovo. Rom, ashkali ed egizi sono costretti ad affrontare la prova più complessa: la politica deve trovare la volontà e i mezzi per far sì che la loro inclusione sociale possa realizzarsi nel più breve tempo possibile.

 
[*] Modo diffamatorio per intendere che i Rom erano particolarmente attaccati alla statualità jugoslava ed ai diritti che da essa derivavano, oggi annientati (n.d.Jugocoord).
 
 
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Kosovo, cresce la tensione tra Serbia e Kosovo albanese
 
di Enrico Vigna, 10 gennaio 2019

Negli ultimi mesi sono tornate a livelli preoccupanti e tese  le relazioni tra il governo serbo e le forze secessioniste del KosovoNATO  e di conseguenza le trattative relative alla situazione della provincia serba che si è auto separata, in particolare a causa della decisione di Pristina di aumentare provocatoriamente i dazi relativi alle importazioni di merci dalla Serbia, rendendoli di fatto impossibili da esortare. Questo sta causando una vera e propria situazione di indigenza dentro le enclavi del Kosmet, soprattutto per quanto riguarda alimenti e farmaci. Oltre a questo anche l’istituzione della Comunità dei Comuni Serbi del Kosovo (a cui intendono aderire anche altre minoranze locali, dai Rom ai Goranci, dai turchi agli egizi, ecc…), non ha ancora trovato alcuna attuazione concreta, anzi è completamente ignorata da Pristina.
Questa imposizione di nuove  tariffe di importazione vessatorie e fuori anche dalle norme UE, della CEFTA, tanto che, anche il capo delegazione UE in Serbia Sam Fabrici, ha pubblicamente chiesto a Pristina di abolirle immediatamente. In un intervista al giornale serbo Blic, ha detto che per far avanzare costruttivamente il dialogo tra le parti in Kosovo, è necessario:“…tenere conto degli interessi e delle preoccupazioni di tutte le comunità del Kosovo, degli abitanti e delle parti in questione locali, enti e organizzazioni, tra cui la Comunità dei Comuni Serbi (ZSO)…”.
I rappresentanti dei serbo kosovari stanno premendo sul governo di Belgrado perché adotti misure “forti” e dure contro queste misure che stanno affamando le enclavi. Alcuni chiedono nuovamente il ritorno dell’esercito serbo a garanzia dei loro diritti minimi di sopravvivenza.  
Il rappresentante russo alle Nazioni Unite V. Nebenzya ha espresso la preoccupazione della Russia per la situazione nella provincia, invitando l’ONU e la comunità internazionale a trovare soluzioni urgenti e immediate per evitare l’insorgere di nuovi conflitti e violenze e fermare crisi che potrebbero coinvolgere tutti.
Così si è espresso Nebenzya  in un intervista con Sputnik: “…- Dobbiamo evidenziare che il dialogo tra Belgrado e Pristina con la mediazione dell'UE sta attraversando ancora una profonda crisi. La prova di ciò è la mancanza di risultati tangibili dopo i contatti tra le due parti...
Non vi è,  di fatto alcun progresso verso il raggiungimento dell'obiettivo ambizioso di redigere un accordo globale sulla normalizzazione delle relazioni. Il principale svantaggio è che l'accordo chiave raggiunto in precedenza sull'istituzione della Comunità dei Comuni serbi in Kosovo non è stato raggiunto, ha sottolineato.
Sono passati quasi sei anni da quando è stato firmato questo accordo, ma il processo è stato sabotato da  Pristina, mentre la parte serba è stata coerente nel rispettare i suoi obblighi…
…Va invece sottolineata la posizione costruttiva di Belgrado e il desiderio della parte serba di cercare soluzioni reciprocamente accettabili…Al contrario Pristina ha risposto con pretese inaccettabili dei leader albanesi del Kosovo su vasti territori della Serbia meridionale…”.  Ha dichiarato Nebenzja.
 Anche l’Ambasciatore russo in Serbia A. Chepurin ha sottolineato che Mosca opera per risolvere il problema del Kosovo con mezzi politici nel quadro del dialogo tra Belgrado e Pristina, senza imporre scadenze artificiali, in profonda cooperazione e sintonia con la dirigenza serba.
Chepurin in un intervista al giornale alla RTS ha ribadito che la posizione della Russia si basa su un concetto di base  ineludibile, cioè che “… La soluzione del problema del Kosovo è possibile solo a condizione che la Serbia e i serbi lo accettino. È importante che questo sia un compromesso, non una soluzione imposta dall'esterno. Il nostro atteggiamento era lo stesso prima, rimane così ora e sarà lo stesso in futuro …”.
Circa l’incontro casuale tra Putin e Thaci a Parigi nella cerimonia legata all’anniversario della Prima guerra mondiale, ha dichiarato che nelle cerimonie internazionali ci sono decine e anche centinaia di fugaci contatti, ma non sono quelle, le occasioni dove si trattano  questioni gravi o essenziali.
“…Putin è un uomo educato. Ha salutato centinaia di persone che ha incontrato scambiando alcune parole con loro. In secondo luogo, Putin era lì come ospite… quella cerimonia è stata organizzata dai francesi, e hanno chiamato quelli che pensavano di dover chiamare, compresi i rappresentanti di uno stato non riconosciuto come il Kosovo…in quelle situazioni c'è un problema, perché di solito si pensa che gli ospiti agiscano culturalmente, silenziosamente e modestamente, ma vediamo che alcuni ospiti non lo fanno....Abbiamo visto la stessa situazione a New York, dove nei corridoi delle Nazioni Unite hanno fermato tutte le persone che passavano, cercando di parlare con essi...Il problema è che i rappresentanti di stati non riconosciuti “lo fanno per stabiliti motivi" in tali eventi che coinvolgono ospiti di alto livello, e il loro comportamento a volte crea seri problemi…". Ha detto Chepurin a RTS
Ha poi aggiunto che è ridicolo pensare che questo fortuito incontro possa in alcun modo influenzare le relazioni tra Serbia e Russia o l'atteggiamento della Russia verso lo status del Kosovo, che resta di veto alle NU riguardo il riconoscimento dell’indipendenza. 
Chepurin ha anche parlato della visita del presidente russo in Serbia a gennaio ( il 17),, dicendo che la data esatta non è stata ancora ufficialmente annunciata per vari motivi, ma che sarà a metà gennaio, sottolineando che questo sarà il terzo incontro dei due presidenti negli ultimi 10 mesi e che la cooperazione politica è ad un così alto livello che non ha precedenti.
Riguardo al Kosovo, Chepurin ha sottolineato che la posizione della Russia è molto chiara e netta,   è stata confermata più volte, ma che qualcuno cerca continuamente di rimestarla.
“…La posizione della Russia non è cambiata, e si riduce a quanto segue: sosteniamo che il problema sia risolto politicamente nel quadro del dialogo tra Belgrado e Pristina. Questa è la prima cosa. In secondo luogo, ogni dialogo deve avere le sue basi giuridiche e in questo caso non esiste altra base legale oltre alla risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, come unico quadro giuridico.
La terza cosa, abbiamo cognizione della posizione della Serbia. Ad esempio, nel quadro del processo di Bruxelles, ed era stabilito sei anni fa, la Serbia ha adempiuto a tutti gli impegni assunti. Il problema è che Pristina non ha adempiuto alcun obbligo fondamentale come la formazione di uno ZSO (Comunità dei Comuni Serbi del Kosovo). Abbiamo anche visto tentativi di creare un esercito del Kosovo, con soldati nel nord del Kosovo…non è possibile condurre trattative, se una delle parti non adempie ai propri obblighi e responsabilità, in questo caso è Pristina, ma anche l’atteggiamento dei mediatori, che noi riterremo coresponsabili per l'adempimento di quegli impegni presi… ".
 
 
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Su questo stesso argomento si vedano anche:
 
KOSOVO: MADAGASCAR EST LA 12E NATION À RETIRER SA RECONNAISSANCE (7 DÉC. 2018, PAR STANTOR / BLOG : MIROIR DE NOTRE TEMPS)
https://blogs.mediapart.fr/stantor/blog/071218/kosovo-madagascar-est-la-12e-nation-retirer-sa-reconnaissance
Madagascar, selon les informations extraites des médias serbes, a retiré ce jour sa reconnaissance à la république autoproclamée du Kosovo. C'est la 12ème nation à retirer sa reconnaissance octroyée initialement en 2008.
 
MADAGASKAR POVUKAO PRIZNANJE KOSOVA (TANJUG, 7.12.2018.)
Republika Madagaskar obavestila je Ministarstvo spoljnih poslova Srbije da je povukla odluku o priznanju Kosova... 
https://www.b92.net/info/vesti/index.php?yyyy=2018&mm=12&dd=07&nav_category=11&nav_id=1479021
 
KOSOVO: LE FIASCO DE LA RECONNAISSANCE, LES ILES SALOMON RETIRENT LEUR RECONNAISSANCE (2 DÉC. 2018, PAR STANTOR / BLOG : MIROIR DE NOTRE TEMPS)
Après les 10 pays membres de l'ONU ayant déjà annulé leur reconnaissance du Kosovo comme pays indépendant et souverain, originellement concédée en 2008, les Iles Salomon sont la 11ème nation à retirer leur reconnaissance. Un camouflet pour l'OTAN, et particulièrement pour la France, la Grande-Bretagne et les USA qui lorgnent avec envie sur les ressources minières de cette province de Serbie...
 
SOLOMONSKA OSTRVA POVUKLA PRIZNANJE KOSOVA (02. 12. 2018. )
Solomonska Ostrva povukla su priznanje nezavisnosti Kosova.Ta država u Okeaniji pisanim putem obavestila je kosovsko ministarstvo spoljnih poslova da povlači priznanje Kosova...
 
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ORIG.: De-Recognition of Kosovo: US Tries to Stem the Tide
 
 
 
Disconoscimento del Kosovo: gli Stati Uniti cercano di arginare la marea
Wayne Madsen SCF 02.12.2018
 

La comunità internazionale è abituata alla cosiddetta “diplomazia del libretto degli assegni” utilizzata da Cina e Taiwan per raccogliere i reciproci alleati diplomatici scambiandosi il riconoscimento diplomatico con generosi pacchetti di assistenza finanziaria. Tuttavia, questa stessa battaglia per il riconoscimento e il de-riconoscimento diplomatico si gioca tra la Serbia e la sua provincia separatista del Kosovo. Gli Stati Uniti e gran parte della NATO non solo hanno concesso il riconoscimento diplomatico del Kosovo contro l’obiezione della Serbia, ma hanno anche fatto pressioni su altri Paesi per riconoscerne l’indipendenza. Tale processo ha incontrato un grosso ostacolo nelle accuse delle varie parti che emettono false lettere e proclami diplomatici da parte di nazioni che dichiarano di de-riconoscere il Kosovo. Il mondo della diplomazia internazionale e quello delle “false notizie” si sono ora riuniti.
L’amministrazione di Donald Trump, che ogni giorno ha sempre più tonalità neoconservatrice, con John Bolton che dirige il Consiglio di sicurezza nazionale e Richard Grenell che erode il gradimento diplomatico a Berlino come ambasciatore degli Stati Uniti, monetizza il riconoscimento diplomatico in un modo che avrebbe messo in imbarazzo i diplomatici dei libretti degli assegni di Pechino e Taipei. Mentre il ministro degli Esteri serbo, Ivica Dacic, fa il suo giro diplomatico, convincendo i ministeri degli esteri di tutto il mondo a disconoscere il Kosovo, il ministro degli Esteri del Kosovo, Behgjet Pacolli, faceva appelli nervosi alle capitali mondiali chiedendogli di chiarire o rovesciare il ritiro del riconoscimento. Se ciò non funziona, le autorità della capitale del Kosovo di Pristina si affideranno ai “fratelli maggiori” della NATO, Stati Uniti e Regno Unito, per intercedere a loro nome. Tale ping-pong diplomatico ha anche influito sul riconoscimento internazionale della Repubblica democratica araba sahariana, Sahara occidentale, con la sua potenza occupante il Marocco, disposto a costringere le nazioni a non riconoscere l’indipendenza del territorio che considera sua provincia. Ipocriticamente, mentre Washington e Londra insistono sul fatto che le nazioni che avevano riconosciuto il Kosovo mantengono tale politica, sono più che disponibili a permettere al Marocco di fare pressione sulle nazioni a tagliare i legami diplomatici col governo del Sahara occidentale, aderente a pieno titolo dell’Unione Africana. Ironia della sorte, mentre il Marocco cerca di convincere le nazioni a discconoscere la Repubblica Sahrawi, negava il riconoscimento del Kosovo perché non vuole dare credito al riconoscimento degli Stati separatisti. La differenza è che la Serbia considera il Kosovo una provincia ribelle che ha dichiarato unilateralmente l’indipendenza in violazione del diritto internazionale, mentre il Sahara occidentale non è mai stata parte legale del Marocco. Prima del 1975, il Sahara Occidentale era una colonia della Spagna.
Il Kosovo non è membro delle Nazioni Unite e molte agenzie specializzate. L’opposizione di grandi nazioni come Russia e Cina ed influenti nell’Unione Europea come Spagna e Grecia l’hanno escluso dalle Nazioni Unite e organizzazioni come Organizzazione Mondiale della Sanità e Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO). Il Kosovo è riuscito a far parte della FIFA e del Comitato Olimpico Internazionale (IOC), grazie alle pesanti pressioni da parte di Washington, Londra e Berlino. Alla fine del 2017, la Serbia ebbe qualche successo iniziale nel convincere le nazioni a disconoscere il Kosovo. Tra le prime vi furono Suriname e Guinea-Bissau. All’inizio del 2018, il Burundi seguì l’esempio, raggiunto dalla Liberia. Questa notizia provocò duelli sui comunicati diplomatici da Belgrado, Pristina e diverse capitali mondiali. Nel giugno 2018, il ministro degli Esteri liberiano Gbehzohngar Milton Findley annunciava che il suo Paese ritirava il riconoscimento del Kosovo e dichiarava di aver riconosciuto il Kosovo come “provincia serba del Kosovo e Metohija”. Da Pristina, Pacolli rispose affermando di aver parlato con persone del governo liberiano che negavano il riconoscimento del Kosovo. Copiando Trump, Pacolli definiva l’annuncio di Belgrado “false notizie”. Ma il ministro degli Esteri Findley non era un finto ministro e sembrava parlare a nome del governo di Monrovia. Quello che successe dopo fu una scena da operetta di Gilbert e Sullivan. Pacolli volò a Monrovia incontrando il presidente George Weah, l’ex-calciatore che, secondo fonti del Kosovo, promise un’amichevole partita di calcio tra Liberia e Kosovo e promise di aprire un’ambasciata della Liberia a Pristina. Apparentemente, Washington e Londra, che continuano a sostenere il governo problematico del Kosovo, nazione che ospita diverse mafie, fece pressione su Monrovia per invertire la decisione sul riconoscimento del Kosovo. La confusione regna ancora sul fatto che la Liberia riconosca o meno il Kosovo. Una cosa è certa, alcuna ambasciata liberiana è stata aperta a Pristina. A prescindere da ciò che accadde nell’incontro tra Pacolli e Weah, all’inizio del novembre 2018, la Liberia, così come Papua Nuova Guinea, Dominica, São Tomé e Príncipe, Grenada, Lesotho, Comore e Guinea-Bissau ufficialmente ritiravano il riconoscimento del Kosovo. Il Kosovo affermò che anche il micro-Stato del Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM), che ha sede a Roma e aveva riconosciuto diplomaticamente il Kosovo. Tuttavia, lo SMOM lo negava.
Quando il Suriname disconobbe il Kosovo nel 2017, le autorità di Pristina dichiararono, sbagliando, che “nel diritto internazionale non esiste il concetto di revoca del riconoscimento”. Non è certo quale legge internazionale il Kosovo si riferisse, ma ritirare o negare il riconoscimento all’indipendenza di una nazione avviene in ogni momento. Taiwan l’ha subito, così come Repubblica Popolare Cinese, Repubblica Democratica Araba Saharawi, Israele, Palestina, Repubblica Popolare Democratica di Corea, Repubblica Turca di Cipro Nord, Abkhazia e Ossezia del Sud. Il crollo di alcuni Stati-nazione portava anche al ritiro del riconoscimento da parte di altre nazioni. Questo fu il caso di Repubblica del (Sud) Vietnam, Repubblica del Vietnam del Sud (Viet Cong), Repubblica Democratica Tedesca, Biafra, Sultanato di Zanzibar, Repubblica Popolare di Zanzibar e Pemba, Sikkim, Tibet, Canato di Kalat, Regno di Sarawak, Repubblica popolare di Kampuchea, Repubblica democratica dello Yemen, Repubblica popolare di Tannu Tuva, Transkei, Bophuthatswana, Venda, Ciskei, Gazankulu, Rhodesia, Repubblica democratica finlandese, Neutral Moresnet, Città libera di Danzica, Città libera di Trieste, Tangeri International Zone e Manchukuo. Nella categoria del limbo ci sono i riconoscimenti dell’indipendenza del Kosovo da parte della “Repubblica di Cina” di Taiwan e di due Stati associati alla Nuova Zelanda, Isole Cook e Niue. Il Kosovo non ricambiava il riconoscimento di Taiwan perché vuole essere anche riconosciuto dalla Cina. A quanto pare Niue e Isole Cook non sapevano di aver riconosciuto il Kosovo, poiché l’annuncio proveniva solo dalle autorità di Pristina. Oltre a Stati Uniti e Regno Unito, la Turchia opera per estendere il riconoscimento al Kosovo da nazioni che non l’hanno mai riconosciuto o l’hanno disconosciuto.
La battaglia diplomatica tra Serbia e Kosovo continua in tutto il mondo. Nel maggio 2018, il Kosovo fu allarmato da un annuncio a Belgrado del presidente del parlamento del Ghana Aaron Mike Oquaye, che raccomandava a presidente e ministro degli Esteri del Ghana di non riconoscere il Kosovo. Oquaye parlò con affetto dei legami storici tra Ghana ed ex-Jugoslavia animati dalla stretta cooperazione tra il Presidente Josip Tito e il primo Presidente del Ghana Kwame Nkrumah, nel Movimento dei Non Allineati. La Serbia afferma che il Kosovo sostiene falsamente che meno di una decina di nazioni riconosce Pristina. Belgrado afferma che il Kosovo si limita a creare rapporti diplomatici con altre nazioni.

Benvenuti nel mondo post-fattuale dove non solo “notizie false” ma “finte relazioni diplomatiche” sono il nuovo protocollo.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

 
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Su questo stesso argomento si vedano anche, in ordine cronologico inverso:
 
KOSOVO: IL PARLAMENTO APPROVA LA NASCITA DELL’ESERCITO, CRESCE LA TENSIONE CON BELGRADO (Riccardo Celeghini, 17.12.2018)
Venerdì 14 dicembre il parlamento di Pristina ha approvato tre disegni di legge che aprono la strada alla nascita dell’esercito del Kosovo. I documenti sottoposti al voto, difatti, ampliano sostanzialmente le competenze della Kosovo Security Force (KSF), l’attuale forza di sicurezza presente nel paese, ponendo le basi legali per la nascita di un vero e proprio esercito... Da questo momento, la KSF diventa una forza militare che ha il compito di difendere la sovranità e l’integrità territoriale del Kosovo, autorizzata all’uso della forza. La KSF sarà composta da 5.000 unità e 3.000 riservisti, e potrà operare all’estero nell’ambito di missioni internazionali... La comunità internazionale, dal canto suo, non si è espressa in modo unanime. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna si sono schierati al fianco di Pristina, riconoscendo al Kosovo il diritto di dotarsi di un proprio esercito ed assicurando un pieno supporto, mentre alti paesi, come la Francia, si sono limitati a prendere atto della decisione...
 
OD OVOGA SRBI STRAHUJU! TAČI U UNIFORMI U KASARNI KOJA NOSI IME NAJPOZNATIJEG TERORISTE: OSTALO JE PAR SATI DO MNOGO OČEKIVANOG TRENUTKA (FOTO) (13. decembar 2018)
 
[Una colonna di 45 camion della KFOR è entrata sul territorio del nord di Kosovo e Metohia. Trasportano materiale per il blocco e la costruzione di barriere]
KOLONA OD 45 VOZILA KFOR-A UŠLA NA SEVER KOSOVA! NOSE OPREMU ZA BLOKADE I PRAVLJENJE BARIJERA (VIDEO) (13. decembar 2018)
 
ALLARME ROSSO IN KOSOVO. I GUERRIERI DI IERI COSTITUISCONO L’ESERCITO DI OGGI (di Alberto Tarozzi, 14/12/2018)
... La Nato non aveva sollevato obiezioni di principio. Si era però rifugiata in una formula che le permetteva di esprimere parere sfavorevole adducendo l’intempestività dell’operazione. E comunque gli Stati Uniti avevano mantenuto una posizione di sostegno agli oltranzisti di Pristina...
 
SERBIAN PM SAYS ARMED INTERVENTION AN OPTION IF KOSOVO FORMS ARMY (RT, 5 Dec, 2018)
Serbia’s Prime Minister Ana Brnabic has warned that the formation of a Kosovan army could trigger Serbia’s armed intervention, AP reported. In the bluntest warning so far, amid rising tensions between Serbia and Kosovo, Brnabic said on Wednesday that she hopes “we won’t ever have to use our army, but that is currently one of the options on the table.”Kosovo’s parliament is preparing to vote December 14 on transforming the security forces into a regular army. Serbian officials claim the army would be used to chase the Serb minority out of Kosovo – something repeatedly denied by officials in Pristina. Serbia does not recognize independence declared by Kosovo in 2008. NATO-led peacekeepers are stationed in Kosovo.
 
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[USA garantiscono al nascituro "Esercito del Kosovo" forniture di armi per 300 milioni di euro]
 
 
SAD kosovskim Albancima dozvolile stvaranje vojske i kupnju oružja za 300 milijuna eura
28/10/2018    SAŠA. F. 
 

U sljedeće tri godine će vlasti u Prištini, sjedištu samoproglašene “Republike Kosovo”, kupiti oružje vrijedno 300 milijuna eura za vlastitu vojsku.

Planovi za kupnju oružja su objavljeni su ubrzo nakon usvajanja zakona o uspostavi vojske Kosova koja će se sastojati od 5000 vojnika i navodno će biti “multinacionalna”.

Početkom listopada je američko veleposlanstvo u Prištini priopćilo kako  kosovski Albanci imaju podršku Washingtona u ideji stvaranja “multinacionalne profesionalne vojske prema standardima NATO pakta, ali s ograničenim mandatom”.

Nakon toga je 18. listopada parlament u Prištini podržao prethodnu odluku vlade o formiranju punopravne vojske, a temelj ovih oružanih snaga bit će postojeće Snage sigurnosti Kosova.

Od prisutna 102 zastupnika u parlamentu, 101 je glasao je za stvaranje Ministarstva obrane na Kosova, prenosi Gazeta Express, te dodaje kako su predstavnici manjinske stranke “Srpska lista”napustili dvoranu parlamenta u Prištini.

Prema postojećem ustavu Kosova,  vojska kosovskih Albanaca, koja će zbog formalnog “multinacionalnog” karaktera imati nekoliko pripadnika zajednice Srba, Roma, Bošnjaka i drugih manjina, može se stvoriti izmjenom ustava uz suglasnost najmanje dvije trećine od 120 zastupnika.

Kosovske vlasti su 2017. godine donošenjem zakona o proširenju ovlasti Sigurnosnih snaga iste pokušale transformirati u vojsku, ali su se suočile s otporom i zabranom ne samo međunarodne zajednice, nego i Sjedinjenih Država, koje iz baze “Bondsteel” i svog veleposlanstva u Prištini upravljaju Kosovom kao svojim protektoratom.

Kao što smo rekli, početkom listopada SAD odjednom mijenjaju stav i američko veleposlanstvo u Prištini vlastima Kosova daju “zeleno svjetlo” za uspostavu vojske i Ministarstva obrane.

Odobrenje Sjedinjenih Država dolazi neposredno nakon odluke u rujnu ove godine premijera Haradinaja i kabineta ministara samoproglašenog  Kosova da se odobri formiranje vojske i preustroj u oružane snage postojećih Snaga sigurnosti.

U sigurnosnom smislu ovo znači dodatno zaoštravanje odnosa na uzavrelom jugu Balkana, gdje se spore Makedonija i Grčka, Srbija i Kosovo, kojeg podržava susjedna Albanija, gdje Makedoniju i Crnu Goru razdiru etničke i druge odjele, a susjedna Bosna i Hercegovina je nakon nedavno održanih izbora ušla u razdoblje institucionalne krize, budući da Hrvati kao konstitutivni narod za svog člana Predsjedništva ne priznaju Željka Komšića, izabranog uglavnom glasovima Bošnjaka.

“Zeleno svjetlo” američke uprave Prištini da može stvoriti vlastitu vojsku, što je radikalan zaokret u odnosu na ranije politike, dodatno će zakomplicirati ionako složene odnose na jugu regije. Čini se da aktualna američka uprava želi zacementirati silom nametnuti okvir, koji dugoročno definitivno nije održiv.

Osim toga, kosovski presedan je u samo deset godina poslužio kao pravni temelj za slične odluke u Južnoj Osetiji, Abhaziji, Iračkom Kurdistanu, na Krimu i Kataloniji. Međutim, na drugim su mjestima barem provedeni referendumi o samoodređenju, neki uspješno, a neki ne. Koliko dugo Makedonija može izbjegavati sličan scenarij? Kojim će putom poći Bosna i Hercegovina, koja jedva preživljava u “luđačkoj košulji” Daytonskog sporazuma, ali je još uvijek država s dva entiteta i tri konstitutivna naroda?

Nije važno tko će se još pozvati na ovaj presedan, ali se već sada može pretpostaviti da će Amerikanci i Europljani, ako im ne ide u prilog, tada na sav glas grmjeti kako je to bijedno i jadno, ili će podržati taj proces, ako je u njihovom interesu.

Davanje legitimiteta sili i kršenje sporazuma i Rezolucije Vijeća sigurnosti Ujedinjenih naroda, prema kojoj Kosovo ne može imati vojsku, SAD ne da narušavaju krhki mir između Srba i Albanaca, nego stvaraju preduvjete za napetosti u cijeloj regiji koje lako mogu prerasti u otvorene sukobe.

 

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8984 ]]

(srpskohrvatski / deutsch / italiano)
 
Segnalazioni iniziative
 
BEOGRAD 16/1: Izložba „Deca Donbasa“ u galeriji „Kvaka“
BERLIN 16/1: Klaus Hartmann über 20 Jahre nach dem NATO-Überfall auf Jugoslawien
BOLOGNA 18/1: No al revisionismo di Gianfranco Stella. Presidio
GORIZIA 19/1: Manifestazione contro il ricevimento dei reduci della Decima Mas
SULMONA (AQ) 25/1: Visita all’ex Campo di concentramento di Fonte d’Amore
 
 
Siehe auch:
Bericht von der Abschlußveranstaltung des „Torre“ Wettbewerbs (Milano 1/12/2018)
 
Segnaliamo anche le reazioni alla iniziativa, che si è tenuta a Trieste con grande successo di pubblico lo scorso 8/1 per presentare il nuovo libro di Claudia Cernigoi "Operazione Plutone":
Servizio di Tele Capodistria
https://capodistria.rtvslo.si/archivio/tuttoggi/174587711
Articolo diffamatorio del postneofascista Fausto Biloslavo
http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/che-foibe-sono-montatura-1626132.html
Insulti dell'assessore Lorenzo Giorgi 
https://www.facebook.com/lorenzo.giorgi/posts/10156715496965482 
 
 
=== BEOGRAD 16/1
 
[Inaugurazione a Belgrado di una mostra sui bambini del Donbass, alla presenza di Andrej Kočetov, sindacalista di Lugansk noto ai compagni italiani per l'organizzazione delle "carovane antifasciste" della Banda Bassotti]
 
 
Izložba „Deca Donbasa“ u galeriji „Kvaka“ u Beogradu
 
Sputnik / Irina Geraщenko 12.01.2019

Izložba fotografija Irine Laškevič i Dena Levija pod nazivom „Deca Donbasa“ biće otvorena 16. januara u 19 časova u galeriji „Kvaka 22“, u Ruzveltovoj 39, u Beogradu i trajaće do kraja januara.
 
Na toj izložbi su predstavljene crno-bele fotografije, portreti sedamdesetoro dece koja su preživela bombardovanja u zonama Donbasa, tokom tri godine. U njima je ubijeno više od 200 dece, a njih 500 je ranjeno. Te fotografije nisu samo portreti dece, ti portreti su poruka, stoji u saopštenju.
„Ideja projekta se rodila davno, 2014. godine. Iza Irine Laškevič i Dena Levija su stotine prepešačenih kilometara, na prvoj liniji, pod stalnom artiljerijskom i puščanom vatrom po celoj teritoriji Donbasa. Decu, koja su preko noći odrasla, stalno su sretali. Svi su nastojali da raščiste ruševine, odrasli su ridali pred kamerom, pričajući o svojoj nesreći, a kraj njih su uvek stajala deca, koja su se vrlo ozbiljno odnosila prema njihovoj molbi da ih fotografišu. Verovala su da mogu uticati na one koji svakog dana pucaju na njih“, saopšteno je povodom otvaranja izložbe.
Irina Laškevič je po obrazovanju arhitekta. Od 2014. godine živi u Donjecku i radi kao ratni dopisnik i fotoreporter. Autor je nekoliko dokumentarnih filmova. Stalni je saradnik Anatolija Šarija, jednog od najpopularnijih ruskih blogera. Den Levi (pravo ime Danil Bogdan) je rođen u Donbasu. U Donjecku je radio od 2015. do 2017, a sada živi i radi u Moskvi kao fotograf i video montažer.
Izložbu fotografija „Deca Donbasa“ Irine Laškevič i Dena Levija će otvoriti Andrej Kočetov, sindikalni lider iz Luganska, pukovnik Ljubinko Đurković, komandant odbrane Košara, koji je nedavno posetio Donbas, i dečiji vokalni ansambl Blagodar. U saradnji sa galerijom „Kvaka 22“, izložbu je organizovala likovna umetnica Snežana Vujović Nikolić.
 
 
=== BERLIN 16/1
 
 
Berlin 16.01.2019: 20 Jahre nach dem NATO-Überfall auf Jugoslawien 

Einladung

Vortrag von Klaus Hartmann
(Bundesvorsitzender des Deutschen Freidenker-Verbandes)

20 Jahre nach dem NATO-Überfall auf Jugoslawien –
Die neokoloniale Neuaufteilung der Welt und der Kampf für die multipolare Weltordnung

Mittwoch, 16. Januar 2019, 18.00 Uhr 
ND-Gebäude, Franz-Mehring-Platz 1, 10243 Berlin
In welchem der Seminarräume die Veranstaltung stattfindet, wird auf der Tafel an der Pforte angegeben

In Wort und Tat hat der Nordatlantikpakt widerlegt, ein „Verteidigungsbündnis“ zu sein. Der Überfall auf Jugoslawien am 24. März 1999 war ein völkerrechtswidriger Aggressionskrieg – ohne UN-Mandat, ohne „Bündnisfall“, außerhalb des Bündnisgebiets. Bei ihrem Jubiläumsgipfel am 24. April 1999 ermächtigte sich die NATO im neuen Strategischen Konzept zu solchen Kriegen „außerhalb der Charta“, also unter Verstoß gegen sie.
Die Aggression gegen Jugoslawien diente als Vorlage für die völlige Entgrenzung der NATO-Kriegsmaschine und für die Umwandlung in ein international agierendes Aggressionsbündnis.
Mit dem Putsch in der Ukraine 2014 und dem Vorrücken der NATO direkt an die russische Westgrenze wird eine Zuspitzung der unmittelbaren Konfrontation betrieben.
Wer hofft, durch die NATO-Mitgliedschaft werde der deutsche Imperialismus gewissermaßen gezähmt, verkennt die Realität. Der deutschen Bourgeoisie dient die NATO als Instrument, um seine militärischen Kräfte auszuweiten. Deutschland hat seit 1999 alle US- und NATO-Aggressionskriege unterstützt.
Der Austritt Deutschlands aus der NATO bedeutet eine entscheidende Schwächung aller Kriegstreiber und Militaristen; nicht zuletzt in der deutschen Bourgeoisie.
Durch Kündigung des Abkommens über den Aufenthalt ausländischer Streitkräfte in Deutschland wird man die Kriegsdrehscheibe Air Base Ramstein mit der Befehlszentrale des Aegis-Raketensystems los, die 40 US-Stationierungsorte wie Kalkar, Wiesbaden-Erbenheim und Grafenwöhr, das US-European und das Africa-Command in Stuttgart sowie die Atomwaffen in Büchel. Die Kündigungsfrist beträgt nur zwei Jahre.

Flyer zur Veranstaltung im PDF-Format ansehen oder herunterladen: https://www.freidenker.org/fw17/wp-content/uploads/2019/01/Vortrag_Hartmann_Berlin_2019-01.pdf
 
 
=== BOLOGNA 18/1
 
No al revisionismo
Venerdì 18 presidio a Bologna
Gentilissimi,
vi informiamo che venerdì 18 gennaio, dalle ore 17 alle ore 20, faremo un presidio con la distribuzione di volantini in via Santo Stefano 119 presso l’edificio del Quartiere Santo Stefano di Bologna, in occasione della presentazione del libro di Gianfranco Stella “Compagno Mitra”.
Poiché riteniamo che il volume non sia né un saggio storico e né rispetti i crismi della ricerca scientifica, ma sia chiaramente un’operazione politica volta a gettare fango e offendere la storia e la memoria della Resistenza e dell’antifascismo bolognese e italiano, vi invitiamo calorosamente a partecipare al presidio per diffondere il nostro pensiero e sottolineare il nostro dissenso.
Cordialmente
Anna Cocchi (ANPI prov. Bologna)
 
 
=== GORIZIA 19/1
 
ANPI in piazza contro l'ennesima provocazione.

Il 19 gennaio alle ore 10 a Gorizia
 ANPI chiama tutti gli antifascisti e i democratici alla manifestazione indetta per protestare contro il ricevimento dei reduci della Decima Mas da parte dell'amministrazione comunale della città. Nonostante le proteste, i presidi, le denunce dopo la gazzarra di inni e saluti romani dell'anno scorso, il sindaco accoglierà comunque gli eredi di coloro che hanno combattuto in queste terre agli ordini dei nazisti. La Decima non ha difeso affatto l'italianità della città, in quanto totalmente sottoposta agli ordini dei tedeschi. Quest anno inoltre il questore ha impedito ad ANPI il presidio davanti al comune, autorizzando contemporaneamente in altra piazza un raduno di Casa Pound. Purtroppo ancora una volta le autorità non si rendono conto che la presenza in Comune dei seguaci del golpista Junio Valerio Borghese è una inaccettabile provocazione così come equiparare chi si batte in difesa della Costituzione ai fascisti del terzo millennio. Partecipate dunque numerosi in piazza
 
 
 
=== SULMONA (AQ) 25/1
 
LETTERA-INVITO ALLE ISTITUZIONI, AGLI ISTITUTI SCOLASTICI E ALLA CITTADINANZA TUTTA.

Venerdì 25 gennaio 2019: Visita all’ex Campo di concentramento per prigionieri di guerra n. 78 di Fonte d’Amore, Sulmona

In ricordo degli ebrei internati in Abruzzo e dei deportati di Sulmona al campo di sterminio di Dachau.

Il 27 gennaio è il giorno della commemorazione della Shoah, la memoria dell’Olocausto, il genocidio perpetrato dai nazisti nei confronti degli ebrei e di tutti coloro che erano ritenuti “indesiderabili” dal regime, principalmente a causa dell’ “origine razziale”, dell’orientamento politico e religioso. L’Abruzzo fu luogo di confino e internamento per ebrei, palestinesi, siriani, cittadini stranieri dei Paesi Alleati e antifascisti, oltre a essere sede di importanti campi di concentramento per prigionieri di guerra. Così Sulmona.
Una mattina di ottobre del 1943, i soldati tedeschi irruppero nel carcere dell’Abbazia di Santo Spirito al Morrone e deportarono circa 400 detenuti nel campo di sterminio di Dachau, con la collaborazione dei fascisti e delle autorità locali. Da qui, poi, i deportati furono trasferiti negli altri campi dell’universo concentrazionario tedesco. Molti di loro non fecero mai più ritorno a casa. La maggior parte di loro, tra cui due giovanissimi ragazzi di Roccacasale, Erminio Spadino e Michele Scarpone, fu eliminata con il gas.
A Sulmona, diversi ebrei furono nascosti dalla popolazione e in questo modo riuscirono a sfuggire ai pericolosi rastrellamenti nazisti e fascisti. Tra loro la famiglia Fuà. Oscar, uno dei componenti più giovani, si arruolò tra i patrioti della Brigata Maiella con l’obiettivo di contribuire alla liberazione d’Italia. Dopo pochi mesi, il 4 dicembre 1944, fu ucciso in battaglia a Brisighella, in provincia di Ravenna. 
A Scanno, si nascose con la madre l’ebreo Beniamino Sadun, aiutato dall’amico Carlo Azeglio Ciampi, futuro Presidente della Repubblica, che a riguardo scrisse: “Io qui passai alcuni mesi con alcuni amici, in particolare con un amico ebreo, un vecchio amico livornese”. (cfr. E si divisero il pane che non c’era, Liceo Statale Fermi di Sulmona, Sulmona, 1995). 
A Pizzoli, in provincia di L’Aquila, fu confinato l’ebreo Leone Ginzburg, con la moglie Natalia, e i figli. Morì nel carcere di Regina Coeli, a Roma, il mattino del 5 febbraio 1944. 
A Navelli, paese dell’Aquilano, si rifugiò la famiglia Fleischmann, con padre internato perché ebreo. Uno dei componenti, allora ragazzo, ne raccolse la storia in un libro autobiografico dal titolo Un ragazzo ebreo nelle retrovie, La Giuntina, Firenze, 1999.
A Montereale e in altre città abruzzesi, fu confinata la famiglia Pirani. 
Ad Atessa, trovò accoglienza e nascondimento, la famiglia Finzi Contini. Il figlio Giovanni, divenuto ingegnere, ricordò la permanenza in Abruzzo, con queste parole: “Un legame come tra madre e figlio”. 
A Casoli, ci fu uno dei più importanti e famosi campi di internamento per ebrei, al Palazzo Tilli. Oggi è uno tra i campi più documentati in Abruzzo. 
A Lanciano c’era un campo di internamento femminile. La testimonianza più preziosa è quella di Maria Moldawer, un’ebrea polacca, sposata Eisenstein, nel libro L’internata numero 6, Mimesis, Milano 2015. Maria riuscì a salvarsi fuggendo in America. 
Si tratta di un elenco provvisorio; un punto di partenza per conoscere i protagonisti di queste storie, approfondirle, custodirne la memoria e cercare di coglierne gli insegnamenti.

L’appuntamento è per venerdì 25 gennaio 2019, a partire dalle ore 09.30, all’ex Campo di concentramento per prigionieri di guerra in località Fonte d’Amore, Sulmona.

Ass. Il Sentiero della Libertà/Freedom Trail
Ass. TerraAdriatica
Ass. Una fondazione per il Morrone
 
 
[Sui prigionieri jugoslavi di Fonte d'Amore e della limitrofa prigione della Badia ricordiamo la documentazione ai link:
 

[Nuovi testi di Mira Marković, pubblicati sul sito della Associazione SloboDA per la serie "Prognana a neizgubljena" ("Esiliata ma non persa"). Per i testi precedenti si vedano: 
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8930

eccetera. Per altri testi di e su Mira Marković si veda alla nostra pagina https://www.cnj.it/MILOS/miramarkovic.htm
A cura di I. Slavo]
 
Od Mire Marković, sep.2018.-jan.2019.god.
 
1) ЛЕГАЛИЗАЦИЈА ЕТИЧКОГ И ЕСТЕТСКОГ ОТПАДА  (5.9.2018.)
2) НЕКОМПЕНЗИРАНА КОМПЕНЗАЦИЈА
3) ЈЕДИНА АДРЕСА    
4) ЧУВАРИ ТЕКУЋЕГ           
5) ТАШТИНА КАО ПРОФЕСИЈА
6) ВИШЕЗНАЧНА АДРЕСА  (13.1.2019.)
 
 
=== 1 ===
 

Прогнана и неизгубљена     

ЛЕГАЛИЗАЦИЈА ЕТИЧКОГ И ЕСТЕТСКОГ ОТПАДА                                                                                                                                                                                                                                                                                       

Пише: МИРА МАРКОВИЋ 
5.септембар 2018

Од времена када је капитал обликовао друштвени систем који се зове капитализам, кроз све његове фазе, до данашње, врховна вредност је одговарајућа приватна својина, односно приватно богатство које је њена тековина.  
У знаку дивинизације те својине, односно тог богатства, протиче време од првих буржоаских револуција до данас.  
Власници тог богатства га не крију, напротив. Они се њим поносе као што би се, на пример, храбри људи поносили својом храброшћу, научници својим знањем, интелектуалци својим образовањем, и тако даље.  
Али ови, други, обично то не чине. Или то чине веома ретко.  
Ни једна човекова врлина, ни један резултат човековог рада, никада нису били предмет обнародовања као што су то били способност за стицање богатства и хвалисавост његовом величином.  
У последњим деценијама, у земљама постсоцијализма, на лествици друштвених вредности се нарочито високо котира потрошња богатства.  
Својевремено, у првим фазама капитализма, и дуго касније, најуспешнији представници новог друштва наводили су порекло свог власништва као његово својство које је ишло у прилог њихове способности да га стекну.  
Та способност или те способности, односно то богатсво, кандидовало их је за друштвено најкорисније субјекте, носиоце прогреса, или оправдано потенцијалне носиоце јавних и одговорних државних и друштвених улога уколико би за њих били заинтересовани.  
Неки од њих су били заинтересовани па су их и добијали.  
Кад је реч о постсоцијалистичким земљама, нови богаташи мало помињу порекло свог богатства, више или једино говоре о његовој потрошњи.  
С обзиром да су ови власници великог богатства постали то за време неколико кратких првих транзиционих ноћи њихово богатство је најчешће сукобљено са правним нормама и моралним вредностима.  
Отуда са разлогом избегавају да помињу његово порекло, а јавност која је транзицију изабрала као боље решење у односу на претходни друштвени систем, са разлогом такође, избегава да преиспитује природу богатства за коју је на индиректан начин одговорна.  
Али нови капиталисти, неискусни кад је реч о нарави капитализма, не могу да избегну да се не хвале својим богатством. У његову природу спада и хвалисање.  
Ако не могу да се хвале његовим пореклом, могу његовом величином, а поготово његовом потрошњом.  
Индивидуално, али и социјално, неконтролисана разметљивост нових богаташа добила је право грађанства у земљама постсоцијализма. 
И стекла право на рекламирање деривата те разметљивости као етичких и естетских стандарда.  
Недоведен у питање сукоб овог новобогаташког света са правим етичким и естетским вредностима резултираће легализацијом њихових антипода.  
И не само њиховом легализацијом, већ и њиховом монополизацијом.  
Тамо где афирмација вредности зависи од материјалних услова, доминираће оне вредности чије етичке и естетске стандарде дефинишу власници новца.  
А тамо где то није држава, бар не доминантно и одговорно, као у неким сиромашним, а поготово транзиционим и сиромашним земљама, ту улогу преузимају нови богаташи.  
Вршећи је у складу са својим схватањем морала и разумевањем лепоте.  
Досадашње искуство, нажалост, показује да су то схватање и разумевање на прилично ниском, односно, на најнижем нивоу. На оном нивоу који за извесно време одлаже цивилизацијски развој.  
На колико дуго, то је тешко рећи. Или је бар непрепоручљиво за аутора прогнозе – креатори етичког и естетског отпада располажу материјалним, па према томе и осталим, средствима да му, у најбољем случају, ускрате прилику да се огласи, а у горем случају ће финансирати његову медијску компромитацију.  
Додуше, јефтину, али за организовано заглупљивану јавност то ће бити довољно.
 
 
=== 2 ===
 
 
Прогнана и неизгубљена     

НЕКОМПЕНЗИРАНА КОМПЕНЗАЦИЈА                                                                                                                             
 
Пише: МИРА МАРКОВИЋ
15.септембар 2018
 
Бављење политиком је била седам хиљада година престижна „професија“. 
Због власти, због моћи, као таквих, ређе из материјалних интереса генерисаних из власти и моћи, из уверење у своје способности за бављење политиком са циљем да она служи ширем добру. 
Најмање заступљен, мада најчаснији или једини часан мотив за бављење политиком је била жеља да се допринесе друштвеном и личном идеалу – општем, националном или државном добру и прогресу. 
Средином двадесетог века у социјалиситчким земљама тај мотив за бављење политиком добио је статус јединог мотива. Јавно и отворено испољена жеља за бављење политиком код младих људи, нарочито код младих интелектуалаца, третирана је као жеља да се личне способности – радне, образовне, моралне, и тако даље, ставе на располагање друштву на свим нивоима, да би се оно убрзано и прогресивно развијало. 
Млади људи, често студенти, тих година и сами су веровали да је њихова жеља за политичким ангажовањем била мотивисана једино доприносом високим идеалима, међу којима је примарни, врховни био развој југословенског социјализма или социјализма уопште. 
Чак и ако су неки од њих код себе самих уочили тежњу за влашћу, вероватно су је, у атмосфери општег негирања личних интереса у корист општих, самоиницијативно и самокритично одбацивали. 
Али, и тада, као и увек, нису све жеље везане за бављење политиком биле оствариване. Чак и без обзира на способности оних који су их испољавали. 
Догађало се, као и увек што се догађало, да се мање способни – мање образовани, мање вредни, мање морални, мање скромни, нађу у политици лакше, брже и успешније од оних који су у свему томе били више. 
Сваки човеков рад, професионални и јавни, прати та врста неправде. 
Много је биографија које се од такве неправде или таквих неправди састоје, које су читаве у њиховом знаку. Оне се лече, некад и излече, на неким другим територијама од оне на којој су се догодиле. У некој другој професији, на неком другом послу, у породичном животу, у креативно испуњеном слободном времену, и тако даље. 
Па је тако било и у случајевима за политику заинтересованих и у њој нереализованих младих људи средином прошлог века у некадашњој социјалистичкој Југославији. 
Неостварене жеље, из субјективних или објектиних разлога, неки млади интелектуалци тог времена компензирали су одлуком да се баве научним радом. У оквиру научних института или факултета. По правилу, радило се о институтима и факултетима друштвених наука. 
То је било и логично. У политици, за коју су били заинтересовани, бавили би се друштвом – његовим појавама и процесима са циљем да допринесу развоју, просперитету уопште. 
Лишени могућности да у том просперитету активно и директно учествују, опредељивали су се да том просперитету индиректно допринесу кроз научни рад. 
На први поглед то је било логично и морално. Али, само на први поглед. Бар кад се радило о једном броју. 
Тај један број брзо је научни рад, на институту или на факултету, доживео као осветничку компензацију, као прилику да кроз научни рад, по правилу у области друштвених наука, покаже и докаже да је за друштвено, дакле политичко, не само способан већ и супериорнији од оних који се друштвом, односно политиком, прагматично, дневно баве. 
У прилог таквих аргумената сведочи чињеница да је тај један број научника из области друштвених наука са института и факултета, бирао за теме којима се бавио оне везане за политику, а у оквиру њих она подручја која су по правилу имала критичан однос према власти и према моћи, од персијске цивилизације до пете републике у Француској и Перестројке у СССР-у. 
Малициозна евиденција зала којима су човечанство задужили власт и моћ, од Епа о Гилгамешу из 1700. године пре Нове ере до Фидела Кастра и Саркозија индиректно је намирење рачуна са конкретном влашћу у сопственој земљи која је својевремено намиритеље лишила прилике да и сами у њој учествују. 
То вишедеценијско, континуирано научно егзактно обрачунавање са феноменом власти и моћи уопште, да би се осветило једној јединој, оној у својој земљи која је то била пре пола века, указује, наравно, на ниске научне мотиве. Институти и факултети нису били њихов интелектуални избор, били су фингирана адреса и заштићена територија са које су годинама могли да шаљу отровне стреле креаторима њихове страдије, са које су им их слали чак и када су били мртви. 
Та витална мржња компромитовала је њихове научне мотиве, бар за оне очи које су биле у стању да то виде. Али је та витална, верна мржња бацила и дугу сенку на њихове мотиве, односно на њихове личности, када су својевремено и другима и себи самима своју заинтересованост за политику образлагали искључиво, али искључиво, својом чистом дубоком жељом да допринесу општем добру, без икаквог личног интереса. 
То опште добро као једини мотив било је, међутим, суспендовано као било какав мотив, чим је била доведена у питању прилика да се учествује у креирању тог општег добра кроз бављење политиком. Опште добро као једини мотив за активно бављење политиком трајало је онолико колико су трајале шансе за бављење политиком. Оног тренутка када су те шансе изгубљене политика као активност је постала тамни вилајет, сви његови субјекти носиоци зла, а дотични научници тумачи тог зла (лоцирани на институтима и факултетима друштвених наука), скромни и супериорни заступници стварности чија добробит треба да се ослања само на њихово мишљење. 
Доборбит сваке стварности, разуме се, не сме да се ослања само на једно мишљење, поготово за то нема разлога у савременом свету, али кад је реч о овој популацији нереализованих политичара и на научну каријеру принуђених осветника, њихово мишљење поготово не би долазило у обзир као ослонац, чак ни као инспирација било којој стварности. 
Из простог разлога јер га нема. 
Скоро сви њихови научни радови су мање-више приказ разних мишљења о власти, моћи и политици као активности. Ти прикази могу бити мање или више опширни, мање или више надахнути, мање или више научно и интелектуално респектабилни, али су по правилу хронологија негативног односа према политици и њеним тековинама кроз човекову историју. 
Кроз те хронолошке приказе дата је у ствари индиректна идентификација поменутих научника, аутора тих хронолошких приказа, ређе њихово сопствено, аутентично мишљење. 
Не само зато што су научници о којима је реч плашљиви људи, наравно има и тога, већ пре свега зато што су некреативни. 
Нису у стању да формирају своје мишљење, упркос чињеници да су сакупили, средили и приказали много туђих (од којих су нека толико безначајна да су на њих чак и сами аутори заборавили). 
Могуће је да су својевремено били у праву они који су за ове некадашње нереализоване политичаре проценили да нису нарочито надарени за политику.  
Додуше, имали су у виду политку као активност. 
Њихов научни допринос политици, међутим, показује да нису за политику надарени ни као за науку. Када је реч о овим некадашњим нереализованим политичарима, а касније политичким теоретичарима, политика се показала као целина. 
Њена делатна и мисаона димензија у начелу нису ортодоксни делови целине, али су њени комплементарни делови. Под условом, да политика жели да буде успешна.
 
 
=== 3 ===
 
 
Прогнана и неизгубљена     
                            
ЈЕДИНА АДРЕСА                                      
 
Пише: МИРА МАРКОВИЋ
25.септембар 2018
 
Ових дана је једна од главних, или можда главна тема у Србији и у вези са Србијом, судбина статуса Косова.
Статус Косова је решен на штету Србије још 2000. године, после пуча, када су на власт дошли ДОС и Коштуница.
Њихов долазак на власт и јесте био, између осталог, одвајање Косова од Србије. Оно што није успело НАТО пакту и одговарајућим западним владама, када је реч о Србији, путем бомбардовања остварено је пучем који су, бар како Американци тврде, они финансирали и довођењем на власт лојалне политичке групације и лојалног председника.
Председник је био за једнократну употребу – док не створи услове да се Косово издвоји из Србије и демонтира Савезна Република Југославија.
И тако је нова власт подржала изборе на Косову на којима је, захваљујући демографској доминацији Албанаца, формирана њихова власт – председник, влада и све институције власти. 
У међувремену тадашњи председник Савезне Републике Југославије предложио је да се она трансформише у Заједницу Србије и Црне Горе, а нешто касније и да се Србија и Црна Гора раздвоје и наставе даље као самосталне државе. 
Укидање Савезне Републике Југославије је подржала међународна заједница као што је својевремено подржала и укидање СФРЈ. 
У растурању СРЈ којој је био председник и који се заклео да ће је чувати и бранити као њен шеф, Коштуница је одиграо исту улогу коју је својевремено одиграо Стипе Месић, када је као председник СФРЈ учинио све да се она укине, при том се хвалећи својом улогом у њеном крају. 
Што се Косова као самопрокалмоване самосталне државе тиче, ту самосталност је признао велики део међународне заједнице 2008. године. 
Срби су тамо све мања мањина, све им је тежи живот и савршено су немоћни да себи помогну. 
У последње време међународна заједница захтева да се легализација Косова као самосталне државе формализује и његовим пријемом у Уједињене нације и друге међународне институције. 
У том смислу траже и сарадњу, односно, подршку власти у Србији. 
Власт у Србији ту подршку дуго одбија да да јер је то противно Уставу и елементарним националним и државним интересима. 
Косово је део Србије који је она изгубила под притисцима са стране (уз материјалну, политичку и медијску подршку администрације САД и неких других западних влада, НАТО, Европске уније, и тако даље) али то не значи да Србија са тим треба да се сложи, односно да треба да дигне руке од своје наде да ће ипак уз политичку помоћ њој више наклоњених међународних субјеката моћи да поправи прилике на Косову у своју корист. 
Додуше, заиста како? Албанци су тамо велика већина. Срба је све мање и немају никакав утицај на прилике у тој средини. 
Од 2008. године је присутна непрекидна тензија у српском народу, у Србији, око прилика на Косову које су на штету српског народа и Србије уопште, у целини, а највише на штету оних Срба који тамо живе. 
Никакво конкретно, текуће решење није на видику, осим те неодређене наде да ће однекуд и некако та неправда бити исправљена. 
Ових година је притисак са стране појачан са циљем да Србија призна Косово као самосталну државу. А у последње време међународна заједница показује мало више разумевања за српску ствар, мало је наклоњенија правди за Србе, па је своје захтеве од Србије трансформисала у предлоге да се територија Косова „разграничи“ на албанска и српска подручја. 
Да ли ће српски народ прихватити идеју о разграничењу и ако је прихвати како би то разграничење изгледало је тешка историјска и етичка одлука. 
Симплифицирано речено питање је - да ли једна генерација има право да се одрекне дела своје државе која је као таква постојала вековима и коју су као такву стварале многе претходне генерације. 
И док траје „дебата“ о Косову – у Србији, у међународној заједници, чак и између „Београда и Приштине“, понегде у јавности понеко, углавном новинари, покрећу питање – да ли после свега Срби и Албанци могу да живе заједно. 
То питање постављају они који су далеко од Косова. 
У њему је садржана прилично анемична хуманост, звучи као бездушна радозналост, као тема за доколичарско ћаскање, предлог за покретање „теоријског“ разговора какав би могао да се води о, на пример, кохабитацији у биљном или животињском свету. 
И одмах се најављују кандидати за интелектуално разматрање занимљиве теме, стручњаци за одговоре у лицу „аналитичара“ који имају одговоре на сва научна, теоријска, филозофска, политичка питања. У лицу залудних мислилаца који своје мисли по читав дан размењују са себи сличнима по кућама, кафанама, социјалним мрежама, телевизијама .... 
Одговоре на то питање нарочито воле да дају Срби који су давно напустили Косово и живе безбедно у Београду или по Европи, Америци и Азији. Њихови оговори су често „светски“ широкогруди, наднационално великодушни и углавном гласе – па, наравно, да могу. 
Биће као да су се, ето, Срби и Албанци тренутно нешто споречкали, завадили, евентуално их једне против других навеле неодговорне власти, али све је то пролазно, и једни и други ће наставити да живе заједно у доброј вољи и слози, то се такорећи подразумева. 
При том, ове последње, Србе који су отишли са Косова, нико не пита зашто су напустили тај резерват добре воље и слоге или зашто се не врате тамо да и сами тој доброј вољи и слози допринесу. 
Морални дефицит не краси само ове Србе који су напустили Косово, а не виде разлоге да Срби који тамо сада живе буду незадовољни, морални дефицит краси и све оне Србе који слушају, а на ту логичку и етичку дрскост не реагују. 
Једини који имају свако право да се питају да ли на Косову могу заједно да живе  Срби и Албанци и једини који су надлежни да дају одговор на то питање су они Срби који тамо живе. Који су тамо живели и пре и који тамо живе и сада. И који неће променити место боравка или зато што не желе или зато што не могу. 
Одсуство жеље може да буде из ината или зато што су задовољни животом тамо. Одсуство могућности везано је за одсуство финансијских, материјалних и социјалних услова за то. 
Али, зато једина адреса на коју може да буде упућено такво питање су Срби на Косову и једини одговор који има вредност треба да стигне са те адресе. 
Али њима то питање новинари не постављају, па они тако на њега не могу да дају одговор. 
Логореични аналитичари, залудни мислиоци и фингиране српске патриоте са Косова са станом у Београду, Бечу и Франкфурту представљају корпус у коме су лоцирани неодговорна брбљивост и апатритска широкогрудост.
 
 
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Прогнана и неизгубљена     
                                  
ЧУВАРИ ТЕКУЋЕГ                                   
 
Пише: МИРА МАРКОВИЋ 
 
Малограђански конформизам је већ два века честа препрека и малим и великим променама, по правилу препрека сваком напретку. 
Од када се тај психо-биолошки и социо-психолошки састав појавио на друштвеној сцени, од првих грађанских држава, стајао је континирано, упорно и подмукло на путу свакој радикалној друштвеној промени. 
Заинтересован само за сопствени живот, глув, слеп и лишен осећања за друге, а поготово за друштво као целину, био је противник сваке промене, плашећи се да свака, било каква, може да угрози то што тренутно има у материјалном и статусном погледу. 
При том, малограђанин често и не улази у природу промена које се најављују. Не интересује се да ли би оне биле позитивне или негативне. Промена је за њега сама по себи негативна или, у најбољем случају, само сумњива. 
Малограђанин не сматра да је живот који има савршен, волео би да има бољи, али само у околностима у којима се он не излаже опасности да изгуби то што већ има. 
А пошто нико не може да му гарантује да неће бити изложен ризику да изгуби то што има, он не жели да ризикује и одбацује сваку промену у начелу. 
А кад до промена дође, кад се легализују и институционализују њени резултати он им се прилагођава користећи за себе оно што су они донели. Не устеже се да буде прагматично и користољубиво адаптиван на нову стварност иако јој, да се догоди, није ни мало допринео. Напротив. Био је пасиван и суспектан. 
Малограђанскс ускогрудост се разликује од обичног кукавичлука. Одувек је било људи који су избегавали да учествују у великим променама, у крупним друштвеним догађајима, затварали очи пред неправдом и неистином, устручавали се од изјашњавања око крупних друштвених, политичких и моралних дилема и сукоба, нису се опредељивали јавно тамо где је опредељење носило ризик, макар и сасвим мали и сасвим безопасан. 
Кукавице, наравно, постоје и даље. Далеко је будућност у којој би у структури човекове личности кукавичкук могао да буде незаступљен. 
Том генетски неизбежном кукавичлуку придружује се касније малограђанска нарав – користољубива, ускогруда, кратковида, конформистичка, резистентна на велике идеале и опште добро, незаинтересована за будућност, чак и за блиску, а не само далеку, удаљена од стварне доброте и стварне лепоте. 
Руковођен користољубљем и страхом, њиховом готовом челичном комбинацијом, малограђанин је носилац глупе, али не и недужне заблуде – да се могу помирити антагонистичке супротности: капитал и најамни рад, националиста и апартрид, уметност и кич, религија и празноверје, богатство и сиромаштво, а све, тобоже, у интересу друштвене хармоније. 
Апслолутна нереалност те глупости била би само материјал за енциклопедију заблуда којима је човечанство било склоно од кад постоји, да није сасвим недужна. 
Она у себи крије опасност – необразовани, недовољно образовани, млади, многи људи би могли да поверују да је пут до друштвене хармоније могућ „помирењем“ антагонистичких супротности. 
Малограђанин при том не зна, а ваљда и не размишља о томе, шта су средства или начини за то „помирење“. 
Имајући у виду његову хермафродитску свест, то би могао, са његове тачке гледишта, да буде, на пример, АПЕЛ упућен једнима и другима да одустану од својих позиција, запуте се једни према другима и сретну се (срећни) на пола пута. 
Неделатном склон малограђанин могао би, избегавајући апел као пределатну меру, да се ослони на НАДУ да ће носиоци антагонистичких супротности такорећи сами од себе, у интересу хармоније, одустати од крајности на којима се налазе. 
Могло би у том „помирењу“ да извесну улогу одигра и ВРЕМЕ. Оно се, са аспекта малограђанина, показало као респектабилан коректор последица које су резултат грешака које су људи кроз историју правили. 
Са развојем грађанске цивилизације, са позитивним искуством о непосредној активној улози у друштву у социјалистичким земљама и са афирмацијом активизма као легализоване еманципаторске тековине у савременом свету, малограђанин пут до друштвене хармоније ипак, касније, везује и за активност, а не само за апел, наду и време. 
Ту активност идентификује са извесном РЕФОРМОМ. Додуше, меком, не радикалном и, разуме се, опште прихваћеном. 
Реформа је најновији и најактивнији одговор малограђанина на економске, социјалне, политичке и културне проблеме који потресају савремни свет и на наицоналном и на глобалном нивоу. 
Али и у тој реформи он не би баш да лично активно учествује. Он је морално подржава, она је његова „идеолошка“ платформа, али је најбоље да њени протагонисти буду други. 
Он је заузет на послу, има децу и старе родитеље, на путу је или на боловању ... 
Свако од тих образложења је по правилу патетично. Патетика је, иначе, малограђанска дисциплина.
Често је централна тачка те патетике позивање на децу. Малограђанин сматра да родитељство може да га амнестира од сукоба са моралом, да га ослободи од одговорности када се ради о општем добру, земљи, пријатељима. 
Опијен својим ситносопственичким егоизмом занемарује чињеницу да и други имају децу, а да и поред тога поштују морал и не избегавају одговорност. 
А, затим, његов ситносопственички егоизам смешта га у зону менталног мамурлука из кога не може да види да кад би сви људи суспендовали морал и одговорност са образложењем са којим то чини он (мада и са било којим другим) друштво би почело да се дезинтегрише и не би било среће ни за чију децу, па ни за његову. 
Избегавањем јавног изражавања мишљења о стварности и активног односа према њој, укључујући и могуће промене, образлажући то интересима своје деце, објективно се ризикује да садашњост, а поготово будућност те деце не буде у њиховом интересу. 
У страху од тренутног ризика, који је често мали, малограђанин отвара врата великом ризику који може да буде велики.
Тако се малограђнину његова калкулантска природа може да врати као бумеранг. 
Малограђани су прилично масовна популација, малограђанство је још масовинија појава, али без обзира на степен њихове заступљености, због ових својих особина, они не би смели да буду ослонац друштвеним потезима којима су циљ развој и прогрес. 
Не претпостављајући будућу ескалацију малограђанске нарави, али визионарски, у давном ренесансном, предграђанском, шеснаестом веку, италијански филозоф и утописта Томасо Кампанела је отприлике написао: „Ко гради политички програм на политичком бићу малограђанина гради га на блату.“
 
 
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Прогнана и неизгубљена     

ТАШТИНА КАО ПРОФЕСИЈА

Пише: МИРА МАРКОВИЋ 
 
У савремено доба којим, између осталог, доминирају култ потрошње, медија и високе технологије, захваљујући њиховој кооперативности, појавила се једна нова професија - изношење приватности у најширу јавност путем електрноских и писаних медија. 
Том професијом се баве углавном естрадне личности – певачи, менекени, глумци, али и спортисти, новинари, богаташи и њихова деца и чланови европских краљевских породица. 
Ови последњи, чланови краљевских породица, то и званично имају као једину обавезу, само је та обавеза у њиховом случају углавном усклађена са интересима двора и дефинисана одговарајућим правилима. Њихово понашање у јавности односи се на њихов приватни живот, али им у том погледу није остављена никаква слобода. Напротив. Сваки детаљ је планиран и има за циљ да у афирмативном смислу представи краљевску породицу. С обзиром да се ради о монархијама које су то само формално, које одавно немају никакву улогу у државном и друштвеном животу, члановима краљевске поридице остаје само та естрадна улога, при том, у озбиљним монархијама строго и одговорно конципирана. 
Све друго упознавање јавности са приватним животом везано је за естрадне личности којима је то постала професија, чија се природа налази искључиво у надлежности оних који се њом баве. 
Колико ће и како ће о свом личном и породичном животу јавност обавестити певачице, манекенке и фудбалери одлучују они сами. У последњим деценијама та одлука је све мање лимитирана етичким и естетским границама. Почетна лабавост тих граница окончала се њиховим укидањем. Представници медија су уведени у дворишта, дневне и спаваће собе, најзад и у купатила. 
По правилу, уколико је допринос националној култури мањи утолико је егзебиционизам већи. Недостатак дара и одговарајућих резултата у естрадним пословима њихови учесници компензирају обнародовањем личних и породичних прилика на начин који ће задовољити најнижу радозналост. 
Они који пажњу јавности нису могли да привуку резултатима посла којим се баве или нису задовољни мером интересовања коју јавност за њих показује, усмеравају интересовање јавности на свој лични и породични живот и тако отварају врата једној новој професији. 
Њихова посвећеност тој професији је потпуна. Активни су днвено и вишечасовно обавештавајући јавност шта су јели, са ким су разговарали, како су спавали, где су се фризирали, колико имају ципела ....
Са таквом склоношћу ка јавном експонирању убрзо ће се забављачима са естраде прикључити и неки новинари. По правилу телевизијски и по правилу изван сфере серизоног новинарства. Уколико је новинарство којим се баве на нижим степеницама забаве утолико је њихова потреба за упознавањем јавности са својим личним животом присутнија. 
У земљaма у које је грађанска култура касније стигла, које се налазе на њеном ободу, потреба за медијским експонирањем је са мање индивидуалне и социјалне контроле, занемрују су етички и естетски стандарди, а ни једна државна и друштвена институција се не сматра надлежном да их на те стандарде бар упозори, ако не може и да их на њих обавеже. 
У тим срединама, са обода грађанске културе, у структури информација за јавност у вези са личним животом, тамо где за то има услова, централно место добија разметање богатством. 
За ту разметљивост услове, наравно немају сви који се јавно експонирају, нема те услове ни већина, али их има један број и тај број не пропушта прилику да о свом богатству обавести јавност. 
То чине тиражни певачи, успешни спортисти, постсоцијалистички богаташи и њихова деца. 
Њихова вулгарна разметљивост социјално и морално је иритантна сама по себи, али је нарочито иритантном чине два разлога.
 Први је да је та разметљивост високо присутна у такозваним транзиционим земљама и у сиромашним земљама где су социјалне разлике изразито велике и изразито видљиве па јавно и наметљиво рекламирање богатства мањине понижава сиромашну већину, која, узгред, није то постала својом заслугом. Напротив.
 Други разлог је истина да упоредо са богатим певачима трећеразредних песама, богатим спортистима који су свој дар комерцијализовали и богаташком децом која, углавном, паразитски живе од новца својих родитеља, у истом друштву и у исто време скоро скромно живе велики уметници, значајни научници, много људи успешних у својим професијама, који нису предмет медијске пажње и који и сами то не желе да буду.
  А који су својим доприносом националној али и светској култури, науци и општем друштвеном развоју, заслужили да то буду, не да би други знали колико имају ципела, већ да би други знали колико су допринели да њихов живот буде лепши и бољи, у целини хуманији. 
О избору медијске пажње не би смели да одлучују власници таблоида, већ институције надлежне за развој и напредак друштва.
 
 
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Прогнана и неизгубље

ВИШЕЗНАЧНА АДРЕСА  

Пише: МИРА МАРКОВИЋ
13.јануар 2019 
 
Последњих година у јавности у Србији је прилично присутно мишљење да су националисти по правилу русофили или бар у начелу веома наклоњени Русији. Та идентификација српских националиста и русофила је недовољно тачна.  
Не зато што националисти не испољавају обавезно висок степен наклоности према Русији (јер неки је не испољавају) већ и зато што такву наклоност испољавају и припадници других категорија становништва.  
На пример:  
1. Панслависти, словенофили, уверени да снажно и оправдано повезивање свих словенских народа треба да буде под неком врстом надлежности Русије као највеће и најјаче словенске земље. 
 Они сматрају да одсуство снажне повезаности словенских народа угрожава њихову словенску природу, чини је слабом под ударцима који јој стижу са несловенских страна, пре свега са англиканске и германске. И, истовремено, слаби државе у којима су Словени доминантно становништво, чини их недовољно способним да одоле притисцима са стране, којима је изложен њихов суверенитет, али и њихов просперитет.  
2. Сличну наклност према Русији имају готово и сви православни верници, сматрајући је највећом и најјачом земљом православља која као таква треба да буде центар неговања православне вере и православне културе и центар сарадње не само православних цркава, већ и, како они наглашавају, и православних народа и православних држава.  
3. Великом делу српске интелигенције, мада у приличној мери и великом делу српског народа, веома је блиска руска уметност у целини и свака посебно.  
Много их је у Србији који су своје етичке и естетске вредности формирали на руској књижевности, музици, балету и сликарству.  
Схватање доброте и лепоте засновани на делима Толстоја, Чајковског и Ријепина, има дубоке корене у српској интелигенцији и спонтано је и индиректно присутно и у делу народа који не спада строго у интелигенцију, али воли да чита књиге, да слуша музику и има потребу за ликовном лепотом.  
Блисткост са руском уметношћу у многим срединама у Србији има обележја дубоке и трајне националне блискости, па и идентификације.  
4. Русији су већ деценијама, више од једног века, привржени сви или скоро сви левичари у Србији. Међу њима, нарочито комунисти.  
Та приврженост је логична и оправдана. У Русији се догодила прва социјалистичка револуција, она је била прва и највећа социјалистичка земља, из ње се примена социјалистичких идеја ширила читавим светом, скоро један век Москва је била престоница светског социјализма и, као таква, ослонац биполарног света, моћан фактор светске равнотеже.  
Па и када је Русија деведестетих година прошлог века престала да буде чувар и заступник супериорности социјалистичке идеје и социјализма уопште у односу на сав претходни живот, многи левичари у Србији, као уосталом и у свету, на пламену који је некад горео тамо, греју и сада своју наду да ће нови, бољи свет, и поред милитантне планетарне ескализације конзервативизма, однети победу над старим.  
5. Наклоност према Русији присутна је у ширем смислу у српском народу уопште. Она није генерисана из православља, јер је испољавају и атеисти, и није резултат ни могућег панславизма, јер му многи нису склони.  
Та наклоност српског народа према Русији и њеном народу, континуирана, не увек рационална и често романтична, заснована је на уверењу великог дела малог српског народа у историјску сличност са великим руским народом. На уверењу да су из те историјске сличности произашла слична искуства и сличне поуке. И да су та искуства и те поуке ослонац трајне блискости какву српски народ нигде и ни са ким на свету није успоставио и да то неће моћи ни у будуће.  
6. И, наравно, висок степен наклоњености према Русији и руском народу испољава и велики број националиста у Србији.  
Од њихове суспектности према добрим намерама свих других, заштићена је само Русија.  
У њене добре намере према Србији се не сумња или се најмање сумња. 
Одсуство сумњичавости, односно привржености Русији, националисти у Србији заснивају на православљу, словенству и историји.  
Они, на известан начин обједињују мотиве за евентуално русофилство свих других или већине других, али их не изражавају под већом температуром од других.  
Зато се не кандидују ни за нарочито велике русофиле, ни за највеће, а поготово не за једине. 
 
 
 
Condoglianze per la dipartita del compagno Svetozar Markanović
 
A 88 anni è morto il compagno Svetozar Markanović, tra i fondatori e leader storico dei Komunisti Srbije (Comunisti di Serbia), formazione con la quale il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia /Jugocoord/ intrattiene un rapporto fraterno.
Nato nel 1931 a Drvar, attuale Bosnia-Erzegovina, molto presto si unì al movimento di Liberazione essendo stato ammesso già nel giugno 1944 nella organizzazione giovanile del Partito Comunista jugoslavo. Nel dopoguerra lavorò nel campo ingegneristico, con incarichi, tra l'altro, alla "Crvena Zastava" ed alla Compagnia per la distribuzione elettrica di Belgrado. Fu sempre attivo nella Lega dei Comunisti.
 
Ai Komunisti Srbije ed alla famiglia rivolgiamo le nostre più sincere condoglianze.
Che la terra sia lieve al compagno Svetozar!
 
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia onlus
 
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Preminuo je, u svojoj 88. godini, drug Svetozar Markanović. Među osnivačima je partije Komunisti Srbije i njen istorijski lider. Nacionalna koordinacija za Jugoslaviju (Jugocoord) održava sa njom bratski odnos. Markanović je rođen 1931. godine u Drvaru (sada Bosna i Hercegovina) i kao veoma mlad se pridružio Oslobodilačkom pokretu, jer je još u junu 1944. godine primljen u omladinsku organizaciju Komunističke Partije Jugoslavije. U posleratnom periodu radio je kao inženjer, između ostalog i u kragujevačkoj Crvenoj Zastavi i beogradskoj Elektrodistribuciji. Bio je vrlo aktivan u Savezu Komunista.
 
Upućujemo naše najiskrenije saučešće Komunistima Srbije i porodici. Neka je laka zemlja drugu Svetozaru!
 
Italijanska Koordinacija za Jugoslaviju
 
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OBAVEŠTENJE O KREMACIJI PREDSEDNIKA NAŠE PARTIJE

Obaveštavamo vas da će se kremacija našeg predsednika druga Svetozara Markanovića obaviti u subotu 12.01.2019.godine u 11.30h u Beogradu na groblju Orlovača.

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IN MEMORIAM

SVETOZAR MARKANOVIĆ

1931. – 2019.

Obaveštavamo sve naše članove i prijatelje da je 06.01.2019. godine Predsednik CK KS, drug Svetozar Markanović posle duge i teške bolesti preminuo. Vreme i mesto sahrane objavićemo naknadno.

Svetozar Markanović je rođen 1.januara 1931.godine u Drvaru (Bosna i Hercegovina) gde je završio osnovnu školu. U NOB (Narodno oslobodilačka borba 1941-1945.godine) je stupio kao dečak od 14 godina. U junu 1944.godine je ubrzo primljen u SKOJ (Savez Komunističke omladine Jugoslavije). Posle rata odlazi u Čehoslovačku gde je izučio mašinbravarski zanat, a u septembru 1948.godine se zaposlio u “Crvenoj Zastavi” u Kragujevcu, gde je u oktobru iste godine primljen u KPJ (Komunistička Partija Jugoslavije). Sredinom 1951.godine dolazi u Beograd gde nastavlja školovanje, završava srednjotehničku školu, elektro smera, a zatim i elektrotehnički fakultet. Zaposlio se u Beogradskoj Elektrodistribuciji 1959. godine, gde je radio sve do penzionisanja 1996.godine. Zvanje magistra tehničkih nauka stekao je 1974.godine. Za vreme radnog veka promenio je više radnih mesta, od mašinbravara u “Crvenoj Zatavi”, preko referenta za opremu i pripremu, šefa kablovske mreže, upravnika pogona gradske mreže, vodećeg inženjera u sektoru za razvoj, direktora OOUR (Osnovne ogranizacije udruženog rada) “Elektroenergetika” i na kraju pomoćnik generalnog direktora EDB (Elektro distribucije Beograd).

U čitavom radnom veku društveno je aktivan u SKJ (Savez Komunista Jugoslavije) i u organima Radničkog samoupravljanja. Nakon penzionisananja 1996. godine, bavi se isključivo društvenim radom. Kako je i sam često imao običaj da kaže: “Posle odlaska u penziju 1996.godine, ja sam po zanimanju isključivo Komunista”. Kao društveno-politički radnik obavljao je razne funkcije počev od sekretara OOSK (Osnovne ogranizacije Saveza Komunista), Predsednika Preduzetnog Komiteta SKJ (Savez Komunista Jugoslavije) u EDB, člana CK Jugoslovenskih komunista, Predsednika CK Jugoslovenskih komunista, Predsednika CK Partije “Komunisti Srbije”, Predsedavajući Koordinacionog odbora komunističkih i radničkih partija sa jugoslovenskog prostora, i do smrti je bio na dužnosti Predsednika Partije “Komunisti Srbije”.

NEKA MU JE VEČNA SLAVA I HVALA


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http://www.idcommunism.com/2019/01/serbian-communist-svetozar-markanovic-dies-at-88.html

Tuesday, January 8, 2019

Yugoslav communist Svetozar Markanovic dies at 88

The Party of "Communists of Serbia" has announced that cde. Svetozar Markanovic, President of the Central Committee, has died at the age of 88.
Svetozar Markanovic was born in 1931 in Dvar (today Bosnia & Herzegovina). At the age of 15 he joined the National Liberation War (NOB) and in June 1944 he was admitted to the Union of Communist Youth of Yugoslavia.
After the war, he went to Czechoslovakia where he studied mechanical engineering. In October 1948 he joined the Communist Party of Yugoslavia (CPY).
From 1959 until his retirement in 1996, Markanovic workers at the Belgrade Electric Power Distribution. He received a Master's degree in Technical Sciences in 1974.
Throughout his life he was active in the League of Communists of Yugoslavia. As a socio-political worker he worked in various posts, including Secretary of the Basic Organization of Communist League (OOSK), member of the Central Committee of the Yugoslav Communists, President of the Central Committee of the Party of "Communists of Serbia".
Svetozar Markanovic had also served as President of the Coordination Committee of the Communist and Workers' Parties for the Yugoslav region.

Source: Solidnet
http://solidnet.org/article/Comunists-of-Serbia-On-the-Death-of-cde-Svetozar-Markanovic/

 

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8981 ]]

 
[Una versione di questo testo corredata di fotografie è reperibile qui: 
 
Inizio messaggio inoltrato:

Da: Enrico Vigna
Data: 3 gennaio 2019 15:12:05 CET
 
Srbija:15.decembar 2018 godine,preminula je Ruzica Milosavljevic,velika sindikalka,velika zena,draga drugarica i sestra, srpkinja i jugoslovenka
 
 

Serbia: il 15 dicembre 2018, Ruzica Milosavljevic , una grande sindacalista, una grande donna, una cara compagna e sorella, serba e jugoslava, è mancata. 


A cura di Enrico Vigna


Con queste righe intendo rendere onore alla memoria di una donna con cui, come Associazione  SOS Yugoslavia, ma anche altre Associazioni di solidarietà con la ex Jugoslavia, abbiamo condiviso un pezzo di strada, riguardante le vicende dell’aggressione nel 1999 della RFJ, da parte della NATO ( ITALIA compresa, tanto per non dimenticare…), e l’avvio di un percorso di solidarietà con Progetti relativi ai figli dei lavoratori della Zastava bombardata, di Kragujevac, ancora in vita oggi. 

Ma soprattutto perché sia un dovere morale, storico e politico non permettere che l’oblio, la falsificazione e distorsione della storia, pratica ben consolidata dei potenti, abbia il sopravvento anche sulle persone o fatti di cui possiamo testimoniare e documentare, è un dovere almeno morale, è un rendere onore alla sua vita e alle sue lotte. Non farlo, anche solo per distrazione o superficialità, è come una dismissione dalla memoria storica dei fatti ma soprattutto da esse come persone. 

Per quanto mi riguarda questa donna, questa compagna, questa sorella è un pezzo del mio percorso di vita e delle mie piccole battaglie per non essere complice di ciò che abbiamo intorno. E poi storie come queste dovrebbero essere conosciute soprattutto dai nostri giovani, sono comunque la si pensi, un messaggio di coerenza, di valori irrinunciabili, se non si vuole far morire la speranza per un futuro diverso e migliore. 

Piccole grandi storie di semplici persone, in questo caso una donna, che, nonostante la marea travolgente di avvenimenti contrari restano in piedi, magari piegate nella vita, ma non si inchinano, non abbassano la testa, perché nulla hanno da rimproverarsi e perché la loro coscienza politica e morale, è pulita e trasparente; come sempre nella storia i corrotti, gli opportunisti, i venduti sono sempre i primi a passare dall'altra parte. Ma questa è un'altra storia.

 

Chi era Ruzica Milosavljievic (Rosina)

Nata nel 1945 nella Jugoslavia, dopo gli studi è assunta alla Zastava. Nel 1999 al momento dei bombardamenti, Ruzica era già da alcuni anni, la segretaria del Sindacato Samostalni dei lavoratori metalmeccanici della Zastava di Kragujevac, oltrechè membro rilevante della direzione nazionale del più potente sindacato della Jugoslavia e dei Balcani, Sindacato Unitario che rappresentava il 92% dei lavoratori Zastava, mentre il Sindacato Indipendente ( …dipendente Nato) aveva circa l'8%.  

 

Una donna eletta e rispettata dagli operai, una lavoratrice infaticabile, una persona modesta, semplice, ma una determinata e onesta rappresentante dei diritti e interessi dei lavoratori.

Il Sindacato, la Zastava i lavoratori erano la sua vita, mi ricordo che, quasi scherzando, mi raccontavano che la sua stanza nella palazzina sindacale era sempre accesa fino a sera inoltrata; sempre attenta e disponibile ad ascoltare le problematiche dei lavoratori che quotidianamente le venivano poste. 

Nel suo ruolo Ruzica affrontò gli anni più duri e difficili del popolo serbo e jugoslavo, dalla fine della seconda guerra mondiale. Dalla disgregazione della Jugoslavia, all’aggressione e ai bombardamenti della RFJ ( la cosiddetta piccola Jugoslavia), i bombardamenti della Zastava a Kragujevac, fino al colpo di stato del settembre 2000. In un frangente di tali situazioni drammatiche, lei restò lucida, coerente ma soprattutto al fianco dei lavoratori. Un fatto su tutti, che può far capire a chi non l’ha conosciuta, chi era questa donna segretaria dei lavoratori: subito dopo la fine dei bombardamenti, in un paese e una società in ginocchio, attraversata da sempre più criticità problematiche,  nel suo ruolo, prima di tutto, di esponente degli interessi dei lavoratori, pretese ed ottenne che il Presidente Slobodan Milosevic, andasse alla Zastava a prendere l’impegno davanti ai lavoratori, di ciò che il governo di unità nazionale aveva deciso in parlamento: e cioè che la ricostruzione della Zastava fosse la priorità basilare nel processo di ricostruzione e di ripresa produttiva dell’intero paese. E così fu, Milosevic accompagnato dai dirigenti sindacali e da Ruzica in prima persona, andò a Kragujevac e di fronte all’assemblea degli operai Zastava, promise solennemente che per la ricostruzione della loro fabbrica, il governo aveva già stanziato 1/6 del Fondo Federale della Repubblica serba per la ricostruzione e la rinascita del paese, una ricostruzione avvenuta per il 30% in solo 11 mesi e con il paese sotto embargo, cioè senza aiuti e con una produzione che per il 2000 era stabilita in 720 camion e 18000 auto, a settembre 2000 erano già stati prodotti 500 camion e 13000 auto, poi dal 26 settembre uscì un solo camion e 3 auto, ma era arrivata la "ricostruzione" NATO.

 

Ma intanto anche la RFJ stava implodendo, l’obiettivo dell’aggressione e dei bombardamenti era quello della destabilizzazione politica completa del paese e del suo popolo, e questo non poteva che passare per il rovesciamento della sua dirigenza politica renitente e non asservibile ai dettami imposti dall’esterno. Così si arriva all’ottobre 2000, con veri propri assalti squadristici e violenze pianificate e mirate contro tutta la dirigenza politica e sindacale e gli esponenti della Jugoslavia intesa come socialismo. Aggrediti, sottoposti a violenze con molti che per evitare  linciaggi fisici dovettero firmare fogli di dimissioni "volontarie", e questo  avvenne reparto per reparto, fabbrica per fabbrica, ufficio per ufficio, scuola per scuola, università per università, ente per ente, ospedale per ospedale, persino nelle scuole materne e negli orfanotrofi. Per questo fu definito anche da molti osservatori internazionali un vero e proprio golpe silenzioso ma scientifico.

 

Anche a Kragujevac le bande pagate e sostenute dall’occidente si scatenano in pestaggi, assalti a sedi ed esponenti del precedente governo, e Ruzica insieme a molti esponenti socialisti e dirigenti sindacali cittadini, divengono un obiettivo. E proprio in questa situazione emerge la sua statura morale e politica, invitata ad andarsene dall’ufficio sindacale, da altri sindacalisti  che avevano visto arrivare una di queste bande verso la sede sindacale, Ruzica con  dignità e fermezza rifiuta di lasciare l’ufficio, quando questi esagitati irrompono spaccando tutto ciò che incontrano per arrivare al piano, lei, sola ma con voce ferma gli intima di smetterla di sfasciare tutto, in quanto quella era la casa di tutti i lavoratori e quello che vi era dentro era dei lavoratori e che probabilmente a loro non interessava perché NON erano lavoratori. Di fronte a questa inaspettata determinazione i sei energumeni si limitano ad aggredita verbalmente e insultarla sprezzantemente, ma non la toccano; poi cercano di costringerla a firmare un foglio preparato in cui si "autodimetteva" dal sindacato; vincendo il terrore della situazione e mantenendo il controllo dei nervi, ella replicava con coraggio e risolutezza che lei era lì perché eletta dai lavoratori e che solo i lavoratori potevano chiederle le dimissioni, fino a quel momento lei sarebbe rimasta al suo posto di rappresentante degli stessi, contro chiunque e qualunque cosa, costringendo i pretoriani della nuova democrazia ad andarsene, minacciandola però in  perfetto stile mafioso con la frase che evidentemente non aveva tanta voglia di vivere… da quel giorno tra i lavoratori girò il soprannome di "dama di ferro".

Alle successive elezioni sindacali di dicembre, non uno dei vecchi delegati si presentarono o furono eletti, il vento della sopraffazione democratica occidentale, andava a pieno regime. 

Ma già pochi anni dopo, molti sindacalisti vecchi furono rieletti dai lavoratori, il crescere dei problemi e l’assenza di risposte concrete, costrinsero anche molti nuovi delegati onesti a richiedere con sempre più forza programmi e proposte di lotta chiaramente connotati contro le politiche governative, fino a far schierare pubblicamente il sindacato, in varie elezioni per la caduta dei  vari governi, nonostante il fatto che la quasi totalità della dirigenza nazionale fosse espressione degli stessi partiti governativi.

Con una scelta politica, mai nascosta, era anche aderente del Partito Socialista Serbo, in quanto da sempre con una profonda coscienza jugoslavista e socialista; ma anche in questo aspetto senza mai accettare candidature parlamentari che le furono sempre proposte. Come diceva lei il suo posto era tra i lavoratori.

Ruzica se l’è portata via un tumore, una malattia dilagante nella Serbia uranizzata dalle bombe all’uranio di cui quella terra è intrisa, uno dei costi per portare la “democrazia” a quel popolo.

 

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Il mio incontro con Ruzica

 

Personalmente conobbi Ruzica nel 1999, subito dopo la fine dei bombardamenti, in una giornata di solidarietà indetta a Mestre, grazie agli sforzi coordinati da Lino Anelli della CGIL Lombardia, che aveva iniziato un lavoro nel nostro paese per lanciare un progetto di solidarietà, attraverso le adozioni a distanza con i lavoratori della Zastava di Kragujevac, ridotti in miseria dai criminali bombardamenti occidentali. Ruzica era in compagnia di un altra eccezionale rappresentante del loro popolo, Rajka Veljovic, anch’essa lavoratrice della Zastava e insostituibile collaboratrice, compagna, sorella di Ruzica nel Sindacato Samostalni; a cui occorre associare la figura di un'altra instancabile collaboratrice del Sindacato, la figura di Miljanka Sakovic, che in questi anni fino al suo pensionamento e allontanamento, ha formato un trio unico di lavoro volontario, al Progetto delle adozioni e della solidarietà per i lavoratori della Zastava, ma non solo. Non si poteva vederne una senza vederne tre, in qualsiasi situazione, momento ufficiale o personale, queste tre meravigliose donne erano inseparabili: Ruzica MilosavljevicRajka Veljovic (ancora oggi dopo vent’anni referente e collaboratrice insostituibile, dei Progetti solidarietà di SOS Yugoslavia – SOS Kosovo Metohija in loco) e Miljanka Sakovic

La nostra conoscenza personale avvenne in una situazione che da subito ci unì: politicamente, solidalmente e umanamente, e a distanza di vent’anni posso confermare che è stato un legame così solido, chiaro, profondo che anche nella mia anima ci sarà sempre un posto per lei, di cui mi onoro aver ricevuto stima, rispetto e amicizia profonda. E ancora oggi porto nel cuore e nell’anima,  il suo viso, i momenti, le tensioni vissute insieme, la sua forza, la sua dignità, la sua autorevolezza, ma anche la sua dolcezza.

 

In quella giornata, che era specchio delle miopi per non dire misere, ma maggioritarie posizioni politiche dei tempi, ci fu una discussione abbastanza vivace sulla possibilità di mettere al tavolo della presidenza, dove dovevano sedere il moderatore e loro tre, come testimoni dei bombardamenti e della situazione devastata dei lavoratori Zastava e anche del loro paese in generale, la bandiera della Repubblica Federale di Jugoslavia, che loro si erano portate, perché in quel momento rappresentavano e avrebbero parlato come testimoni del loro popolo e del loro paese.        

Uno dei funzionari sindacali presenti, più per controllare gli eventi che per solidarietà con i lavoratori bombardati, alla fine decretò senza più margini di discussione che quella bandiera non doveva essere esposta, in quanto simbolo di un “regime” e di un potere politico inaccettabile ( anche se scelto e votato regolarmente da un popolo a maggioranza…), con un Presidente, Slobodan Milosevic inaccettabile e criminale. Oggi sarebbe curioso incontrare questo figuro e illustrargli la differenza tra lui, alto funzionario sindacale, oggi a riposo con una lauta pensione che un operaio si sogna e il “criminale “Milosevic” morto in carcere, per non essersi venduto e aver difeso fino all’ultimo giorno, non sé stesso ma l’onore del suo popolo. 

Ci si può immaginare la situazione imbarazzante, loro invitate per costruire un percorso di solidarietà per i lavoratori, quindi ospiti ma nello stesso tempo umiliate da questa imposizione politica, che le offendeva profondamente. Davanti a questa situazione di miseria politica e di arroganza tipicamente occidentale, presi personalmente una posizione insieme a Flavio e Mauro come delegati della nostra Associazione SOS Yugoslavia; immediatamente tirammo fuori la stessa bandiera che avevamo portato per la giornata, e la esponemmo come Associazione, ed essendo parte del Coordinamento organizzatore, pur tra malumori e mugugni vari, non l’avremmo ripiegata.

Di fronte a questo, mentre Rajka traduceva la discussione tra noi e il figuro parola per parola, alla fine mi abbracciai, con quelle che sarebbero e sono le mie tre compagne e sorelle di Kragujevac. Uniti e indivisibili in tutti questi anni, fino ad oggi. Quando Ruzica, con gli occhi lucidi, mi abbracciò ricordo ancora nell’orecchio quel “hvala” che mi sussurrò; ed io dissi a voce alta con orgoglio, che sentissero tutti: “…grazie a voi, al vostro coraggio, alla vostra resistenza, al vostro popolo che ci ha insegnato e ci insegna la dignità, la forza, la fierezza di un popolo che resiste. Ma quale grazie a me o a noi. Noi siamo in debito con voi…..”.

Da quel giorno il nostro legame, anche di fiducia profonda, è stato indissolubile e anche negli anni a seguire, durante le assemblee con i lavoratori, o nelle interviste alla televisione, il suo nome, anche a dispetto di chi non avrebbe voluto sentirlo, l’ho sempre orgogliosamente pronunciato perché i lavoratori non dimentichino: Ruzica è stata una loro vera e onesta rappresentante, è stata fino in fondo una di loro, che ha vissuto e si è impegnata per difendere i loro interessi, prima di tutto. 

Lei, una “comunista corrotta”, “una sindacalista di partito”, una “fiduciaria di Milosevic” e del “regime”, come fu definita dai golpisti pagati dall’occidente nel 2000, ha vissuto tutta la vita nelle case popolari di Kragujevac, in camera e cucina.. Una delle più donne più potenti, politicamente, della Serbia, come scrivevano sui giornali “democratici”.  Andate a vedere dove e come vivono i nuovi dirigenti “democratici” stipendiati dagli occidentali e forse potreste capire chi era questa donna, questa sindacalista, questa compagna.

Fu da quella situazione che presero avvio i nostri Progetti per i lavoratori della Zastava, in realtà la nostra Associazione era già impegnata in altri Progetti e situazioni in Serbia, ma non a Kragujevac. 

 

In tutti questi anni noi ci siamo sempre sentiti in debito, perchè tutto il Progetto nazionale delle adozioni a distanza, aveva trovato in lei un riferimento sicuro, onesto, chiaro e definito nei minimi dettagli. Con Rajka e Miljanka ogni famiglia veniva, ed ancora oggi tramite Rajka, individuata sulla base delle sue drammatiche condizioni di vita, delle difficoltà reali, spesso della disperazione. 

Non per appartenenze partitiche o ideologiche 

Ed ancora oggi dopo quasi vent’anni, MAI nessuno delle famiglie adottanti italiane, ha perso o non ha potuto verificare, se anche un solo euro dei soldi indirizzati e devoluti, si fosse perso per strada. MAI. E se questo è potuto avvenire, è perché il sistema trasparente e riscontrabile pianificato in quel lontano 1999, tra il Coordinamento RSU, le Associazioni di solidarietà italiane e il Sindacato Samostalni di Kragujevac, fu sotto la responsabilità diretta, politica e morale di Ruzica Milosavljevic.

Chiunque ha operato nei Progetti di solidarietà con Kragujevac, ne è testimone.

Nonostante il silenzio sui media locali, il passaparola tra i lavoratori e i suoi compagni ha fatto sì che al suo funerale erano numerosi a darle l’ultimo saluto e a ricordarla.

 

Così la ricorda Rajka Veljovic 

 

Se ne e andata Ruzica Milosavljevic-Rosina. L’avevo conosciuta 30 anni fa quando mi sono trasferita a Kragujevac per lavorare negli Stabilimenti di Bandiera Rossa-Zavodi Crvena Zastava. 

                                          

 Allora non potevo immaginare che parecchi anni dopo, durante l'aggressione della Nato contro la RFJ, questa conoscenza sarebbe diventata un'amicizia profonda. Essa è stata sindacalista che rappresentava i 36.000 lavoratori della fabbrica più importante del paese, colonna del sindacato negli anni piu difficili, durante l'embargo e nel periodo dei cambiamenti politici.

Tra tanti ricordi di lei, il primo è quello di quando i lavoratori, che venivano a lamentarsi all’ufficio del sindacato perchè i salari non arrivavano, il paese era nel caos generale, ridotto in macerie dopo i bombardamenti e lei scrive al presidente Milosevic e gli disse: “ se entro domani non arrivano i soldi per i lavoratori, io porto in piazza 36.000 lavoratori..”. Ed i soldi arrivarono. Negli anni successivi non serviranno neanche più gli scioperi della fame...La cosiddetta rivoluzione democratica ha portato anche i cambiamenti al sindacato, in modo assai.,,”democratico''. Centinaia di persone avevano circondato la Palazzina del sindacato, la minacciarono, insultarono e poi una decina di loro salirono nel suo ufficio urlando e cercando di cacciarla fuori. Lei stava in piedi e disse: “ Non siete voi a cacciarmi fuori, le dimissioni le posso dare solo a quelli che mi hanno eletto. I lavoratori…''. 

Ricordo anche uno dei nostri viaggi in Italia. Il 15 febbraio 2003 a Roma durante la manifestazione contro la guerra in Irak, lei fu la voce dei lavoratori jugoslavi:  per la pace, il diritto al lavoro e una vita dignitosa, Per l'antifascismo e uguali diritti a tutti.

Se ne e andata una grande sindacalista e compagna, L'ho salutata con una rosa rossa. 

Volevo un garofano ma i garofani non si trovano più qui…. 

 

Addio cara e indimenticabile compagna e sorella, abbiamo attraversato un pezzo lungo delle nostre vite sullo stesso sentiero, con gli stessi valori e uniti nell’impegno di solidarietà e politico, cercando di non farci cambiare, spesso anche con un senso di solitudine, ma niente e nessuno è riuscito a dividerci, anche se lontani.

Come si diceva sui ponti di Belgrado e della RFJ…: 

                                                   “Forse ci vinceranno. Ma non ci convinceranno!”.

Forse hanno vinto, ma certamente non ci hanno convinto.

                                 Ti sia lieve la terra Ruzica!     

 

Enrico Vigna, presidente di SOS Yugoslavia - SOS Kosovo Metohija e 

portavoce del Forum Belgrado Italia

 

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Nelle righe qui sotto si può capire la lucidità, lo spessore politico e di conoscenza dei problemi inerenti i lavoratori, la fabbrica, il paese, che lei denotava e possedeva. Oggi queste riflessioni e analisi sintetiche sono, purtroppo per i lavoratori serbi, drammatica realtà.

 

Manifestazione nazionale contro la guerra - Roma 15 febbraio 2003

L'intervento fatto dal palco da Ruzica Milosavljevic e Rajka Veljovic,
in nome dei lavoratori della Zastava di Kragujevac, bombardata dalla Nato nel 1999

“ I lavoratori di tutto il mondo condannano la guerra.

Dobbiamo essere uniti e decisi a respingere l’idea che sia possibile per una potenza economica imporre a tutto il mondo le sue leggi ed i suoi interessi.
Non ci sono guerre giuste o umanitarie. Ci sono solo guerre per l’egemonia territoriale, politica ed economica. Per il controllo delle terra e delle sue risorse.
Porto qui oggi a tutti voi il saluto dei tanti lavoratori della Yugoslavia.
Dico questo ricordando i tanti feriti e morti, lavoratori, vittime innocenti di una guerra che non aveva nulla di intelligente ma che ha portato solo miseria, che ha ucciso l’aria, l’acqua ed il suolo con un inquinamento senza precedenti, che ha condannato le giovani generazioni ad un futuro di malattie e di tristezza.
La guerra alla Yugoslavia ha portato solo miseria, nuovi profughi, nuova emigrazione.
Ha distrutto case, ponti, ospedali, scuole. Ha distrutto sotto i bombardamenti 950.000 posti di lavoro condannando alla miseria intere città e territori.
Siamo testimoni del bombardamento della nostra fabbrica. 
La Zastava produceva automobili e occupava 36.000 lavoratori. 
Hanno detto che era un obiettivo militare ma mentivano. 
Era in realtà’ un obiettivo civile, un obiettivo voluto e deciso coscientemente a tavolino dai generali e dai politici che hanno voluto quella guerra.
Gli stessi che oggi, sulle macerie da loro prodotte vogliono conquistare anche le nostre libertà’ ed i diritti di noi lavoratori.
Prima hanno bombardato le nostre fabbriche. Ora ci chiedono sacrifici.
Come in Italia anche da noi chiedono più’ libertà di licenziamento, più flessibilità. Ci impongono salari bassi e nessuna tutela sindacale, nemmeno per le lavoratrici in maternità.

Ecco cosa hanno voluto produrre con questa guerra.
Hanno perseguito con lucida coscienza il controllo di un territorio distruggendo la sua economia per arrivare a conquistare un serbatoio di mano d’opera senza diritti ed a basso prezzo.
Se la guerra alla Yugoslavia è stata la prova generale di una nuova politica egemonica che aveva bisogno di far saltare le regole del diritto internazionale, ora con la messa in crisi dell’Onu si vuole affermare con ancora maggiore arroganza la totale libertà delle economie forti di disporre di tutto il territorio, di tutte le risorse, di tutto il mercato che a loro serve per rafforzare la loro egemonia.

Ma la solidarietà dei lavoratori sconfiggerà questo progetto.
Il nostro è un progetto di pace. Una pace gridata in questa piazza, oggi a Roma come in tante altre città del mondo.
Una pace per cui sarà necessario lottare ancora, con decisione, con convinzione.
Una pace che ha nei lavoratori una forza insostituibile, decisiva e forte.
Una forza che vince perchè come ha dimostrato la nostra esperienza, la solidarietà tra i lavoratori può essere più forte di qualsiasi cannone.
Nessuno ci coinvolgerà’ in questa guerra, 

Viva la pace, viva l’unità dei lavoratori”. 

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Questa breve ma precisa analisi, era stata preparata da R. Milosavljevic, in seguito a un incontro che ebbi con lei, sulla situazione dei lavoratori. ( E.V.)  28-10-2003

                   

                              SERBIA: NON SI INTRAVEDE LA FINE DELLA CRISI   

 

Per molti rappresenta probabilmente una sorpresa il fatto che la nostra economia continua a trovarsi in uno stato di profonda recessione, le cui conseguenze sopportiamo con sempre maggiore difficoltà, sia perché la crisi dura da molto tempo, sia perché di essa non si intravede la fine.

 

   E’ stato un approccio evidentemente sbagliato pensare che la stabilizzazione e la liberalizzazione a livello macroeconomico, così come un veloce processo di privatizzazione, avrebbero risolto tutti i problemi. Purtroppo gli euforici annunci di riforme, così come le grandi promesse di un miglioramento del livello di vita, non si sono realizzati. Nemmeno nel terzo anno delle annunciate riforme l’economia si è messa in moto. I risultati economici sono decisamente negativi e né i cittadini né gli operatori economici possono più sostenere la terapia – shock neoliberale. La produzione industriale per i primi sette mesi ha avuto un crollo del 3,5%, quella agricola una recessione del 10%, il deficit del commercio estero per gli scorsi 30 mesi  ha raggiunto i 9.215 miliardi di dollari, il nostro debito pubblico alla fine di agosto ha toccato i 13,5 miliardi di dollari, siamo caduti in uno stato di schiavitù da indebitamento e l’economia stagnante non sarà in grado di far fronte a impegni che hanno superato la somma della produzione nazionale lorda.

 

   Sono disoccupate 968.250 persone, 1.282.049 sono occupate e lavorano in media 3,5 ore, e 194.779 lavoratori lo scorso mese non hanno ricevuto lo stipendio.

  

LO SFRUTTAMENTO DELLE CAPACITA’ PRODUTTIVE

 

   Lo sfruttamento delle capacità produttive è inferiore al 40 per cento, e l’80 per cento delle attrezzature è antiquato. Il tasso di crescita economica anche quest’anno difficilmente supererà l’uno per cento, e secondo il calcolo degli esperti ci saranno necessari 30 anni per raggiungere il livello del 1989. In particolare 34.208 imprese devono cadere in fallimento, ed altri 468.000 lavoratori rimanere senza impiego. Secondo le ricerche degli esperti, il 74 per cento dei cittadini vive con una quota compresa tra l’uno e i due dollari al giorno, e di essi il 32% si trova in uno stato di povertà grave. Sulla Serbia incombe un’esplosione sociale simile a quella avvenuta in Argentina, lodata dai burocrati  internazionali  per dieci anni, finché non è avvenuto il tracollo economico. Al posto di uno sviluppo economico abbiamo ottenuto una recessione da transizione, una drastica caduta degli standard di vita, la crescita dei debiti e del deficit ed un’economia non liquida.

   Lo stato dell’economia è drammatico. Le ricerche mostrano che solo il 17,7 per cento dei giovani vuole rimanere in patria, gli altri vogliono andarsene. Gli esperti continuano ad avvertire che è l’ultimo periodo utile per poter compiere qualcosa di più serio nel  cambiamento di questo stato. Detto in gergo sportivo, quando i risultati non arrivano bisogna cambiare  la squadra e il gioco; significa che bisogna portare a termine due elementi chiave, cioè cambiare il concetto di riforma e cambiare le persone.

   Purtroppo in questo momento non c’è né la possibilità né la voglia di muoversi in questo senso, o perlomeno di raggiungere un consenso nazionale su una propria strada alle riforme, che costruirebbero un sistema economico volto ad uno sviluppo in cui con la privatizzazione si arriverebbe ad una liquidazione delle sostanze. La scena politica cupa e molto instabile è quotidianamente aggravata da controversie tra i partiti, da un lavoro esacerbato del parlamento, da scandali ministeriali, da frequenti scioperi dei lavoratori a causa dell’illegale attuazione della privatizzazione; è un ambiente che non permette alla forze politiche progressiste di preparare una svolta più radicale nella qualità delle riforme e dello sviluppo economico..

 

   E mentre le parti politiche e i sindacati  patteggiano reciprocamente il profitto della propria esistenza, continua lo sfacelo economico, e di questa crisi non si vede la fine.

                                                                                                            

Ružica Milosavljević (ex Segretaria Sindacato Samostalni Zastava Kragujevac), ottobre 2003

                                                                                                                              

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Questo è un estratto con le parole di Ruzica Milosaljevic, di un intervista che le feci nel marzo 2004, sulle sue valutazioni circa la situazione dei lavoratori in Serbia e della Zastava in particolare, cinque anni dopo la guerra umanitaria della NATO.

 

D.:  Qual è la situazione nel paese dal vostro punto di vista e dall’interno del movimento dei lavoratori e alla Zastava in particolare?

R: Milosavljevic: La coscienza tra i lavoratori è ancora confusa e contraddittoria, perchè  le privatizzazioni erano state presentate dal nuovo governo dopo gli avvenimenti dell’ottobre 2000 (n.d.r: l’assalto al parlamento e la destituzione di fatto del precedente governo di unità nazionale, da parte delle forze di opposizione filo occidentali, della DOS), come la soluzione ai problemi del dopo guerra ed embarghi. Una massiccia campagna mediatica aveva di fatto convinto e illuso la gran parte dei lavoratori, che l’unica soluzione stava in questa riforma e che più profonda e spregiudicata fosse stata, avrebbe maggiormente interessato eventuali investitori stranieri, migliorando così le loro condizioni di vita. In una situazione conseguente a 10 anni di embarghi, sanzioni e guerre, le condizioni di vita e morali dei lavoratori erano ormai allo stremo, e questo fu recepito come speranza di un miglioramento o perlomeno come un tentativo che li facesse uscire da uno stato di difficoltà protratto.
Lo scorso anno la produzione industriale in Serbia ha subito un crollo del 5%, quella agricola del 12%; il deficit del commercio estero nei soli due anni tra il 2001 e il 2003 è stato di 9.215 dollari, il debito pubblico a dicembre ha raggiunto i 19 miliardi di dollari. Siamo di fatto caduti in uno stato di schiavitù da indebitamento e l’economia stagnante non è in grado di far fronte a impegni che hanno superato la somma della produzione nazionale lorda. Lo sfruttamento delle capacità produttive è inferiore al 40 per cento e l’80% delle attrezzature è ormai obsoleto. Il tasso di crescita economica del 2003 è stato del 1% e secondo i calcoli degli esperti saranno necessari 30 anni per raggiungere i dati del 1989.
Si parla di 34.000 imprese che devono andare in fallimento con la conseguenza di altri 450.000 lavoratori che resteranno senza lavoro. Sulla Serbia  incombe un’esplosione sociale simile a quella  avvenuta in Argentina, che era stata lodata dai finanzieri internazionali per 10 anni, finchè non è avvenuto il tracollo economico. Al posto di uno sviluppo economico abbiamo ottenuto una recessione da transizione, una drammatica caduta degli standard di vita, crescita dei debiti e del deficit ed una economia senza liquidità.


La situazione in particolare alla Zastava, nonostante scioperi e proteste, è senza reali sbocchi. Il continuo processo di scomposizione dei reparti produttivi, prospettato come necessario per rendere ancora più appetibile la vendita della azienda, non ha prodotto nulla se non disoccupazione, crollo della produzione e smantellamento delle potenzialità strutturali del gruppo. Proprio in questi giorni è stato pubblicizzato l’ennesimo progetto fantasma ( periodicamente ogni stagione si fa trapelare notizie e piani di acquisizione di investitori stranieri, che dovrebbero rilanciare la fabbrica e quindi il lavoro, con l’obbiettivo nascosto di contenere il malcontento e sopire la disperazione e la rabbia) Questo nuovo progetto sarebbe di produrre un nuovo modello di vettura con la Toyota, la quale dovrebbe mettere il motore, mentre le scocche e i pezzi di ricambio sarebbero Zastava. Ennesima notizia fasulla, in quanto le scocche Zastava che dovrebbero essere utilizzate  sono quelle prodotte in questi anni senza motori e la maggior parte di esse non possono più essere utilizzate, in quanto secondo le regolamentazioni internazionali una scocca prodotta da più di due anni, è classificata come scaduta quindi non ha più garanzia e non può essere montata. E la Zastava non ha fondi per produrne di nuove. Il nostro pessimismo sulla situazione del nostro paese è legato ad un dato che fa da specchio per leggere il nostro futuro: se la Zastava chiude, la Serbia perde il 40% della produzione industriale, come lo sprofondare in un abisso  per un paese. Ma purtroppo questo è lo scenario che i fatti ci indicano e se questa prospettiva, ormai evidenziata sia dai fatti che da dati oggettivi anche indipendenti da volontà soggettive, non sarà ribaltato, questi saranno gli scenari futuri per i lavoratori della ex Repubblica Federale Jugoslava.  

D.: Quali sono state in questi mesi, le maggiori proteste e lotte nel paese e qualche esito hanno ottenuto per i lavoratori?

R: Milosavljevic : Praticamente in ogni settore lavorativo vi sono continui scioperi o proteste, dal settore delle telecomunicazioni a quello dei lavoratori postali e delle banche, scesi più volte in lotta contro licenziamenti di massa, per il pagamento dei salari e contro le ristrutturazioni e le privatizzazioni. 
A Smederevo e Sabac lotte nelle fabbriche contro licenziamenti e per aumenti salariali.. Nelle acciaierie di Smederevo, le più grandi del paese, la lotta era contro i nuovi padroni americani, che dopo aver acquisito l’azienda avevano immediatamente licenziato circa 1.000 lavoratori, imponendo una paga oraria di 0,40 dollari all’ora. Dopo uno sciopero generale durato settimane, che ha anche coinvolto la città, i lavoratori hanno ottenuto una grande vittoria per questi tempi: accordo circa i licenziamenti, in parte rientrati e in parte ridefiniti presso l’ufficio collocamento con il sussidio mensile di 60 euro, ottenuto un aumento salariale che ha portato la paga oraria a 1,00 dollaro, la cacciata del manager americano T..Kelly, facente funzione di direttore della fabbrica.


Ma anche una vittoria più profonda e importante per il futuro: la Commissione Anticorruzione dopo le denunce dei lavoratori e del Sindacato ha bloccato il processo di privatizzazione della fabbrica per presunti illeciti, falsi e truffe avvenute nella compravendita. 
(n.d.r.: in sintesi è successo questo, per ristrutturare la Sartik furono spesi tre anni fa 2 miliardi di dollari; lo scorso anno altri 700 milioni di dollari per ammodernarla e poterla vendere…..al prezzo di 35 MILIONIdi dollari, all’acquirente americano. Il quale dopo le denunce e indagini si è rivelato un semplice complice e prestanome di alcuni esponenti del governo DOS. Ora anche le Banche che avevano garantito i prestiti si sono rivolte al Tribunale Internazionale per andare fino in fondo alla vicenda…E.V.).
Scioperi e lotte anche a Nis nelle fabbriche MIN e EI, dove da un totale di 28.000 lavoratori fino al 2000, sono omai rimasti 6500 occupati, di cui solo 700 percepiscono un salario intero, il resto lavora solo a chiamata per alcuni giorni al mese. Qui la protesta ha per ora solo bloccato i piani, ma non si è ottenuto altro, le trattative continuano. Scioperi anche alla fabbrica Zvevda e alla DES, dei lavoratori del consorzio PKB e dei Centri Commerciali e altri.
Si è temporaneamente conclusa la lotta dei minatori dei più grandi centri minerari dei Balcani, che hanno ottenuto aumenti salariali, un miglioramento delle condizioni di lavoro, che erano peggiorate notevolmente dall’ottobre 2000, blocco del processo di privatizzazione ed in alcuni casi addirittura di chiusura di alcuni centri. E’ stata anche ottenuta dal Sindacato una vittoria contro lo scorporo della categoria minatori da quella del settore elettrici, che avrebbe drasticamente indebolito entrambe le categorie favorendo poi così, i successivi piani di smantellamento già previsti, in tutti e due i settori. A livello del paese questa è stata salutata come una grossa vittoria sindacale e di difesa degli interessi generali dei lavoratori.


.....................................

D.: La scorsa primavera, in piena fase di emergenza dovuta all’uccisione del primo ministro, è stata varata la nuova “ Legge del lavoro”. Quali sono gli aspetti più marcatamente anti operai e regressivi per gli interessi dei lavoratori?

R: MilosavljevicUno è sicuramente quello, di una di fatto completa liberalizzazione dei licenziamenti, anche questo spacciato come una necessità per favorire gli investimenti stranieri e quindi teoricamente dare lavoro. Un altro che ha già conseguenze disastrose e ridimensiona completamente il rapporto tra le parti sociali, governo-sindacati è quello relativo della abolizione del Contratto collettivo nazionale; questo di fatto significa, che il  sindacato non ha più alcuna possibilità di impedire o influire su decisioni del governo.
Per esempio nella vecchia legislazione dove vigeva il Contratto collettivo nazionale, vi era una clausola dove era sancito, che qualsiasi contratto locale o aziendale poteva avere SOLO condizioni e intese MIGLIORI di quelle stabilite a livello nazionale, se erano peggiori o regressive degli interessi dei lavoratori NON poteva essere ratificato. Tutto questo oggi non esiste più. 
 Su altri aspetti della nuova Legge  facciamo alcuni esempi esemplificativi : nella vecchia Legge la parte riguardante il “diritto della protezione del lavoro” il Sindacato era titolato ha trattare e a poter rifiutare qualsiasi decisione lavorativa presa dalle direzioni aziendali, oggi questo non esiste più.
Nella precedente legge nessun aspetto o controversia riguardante singoli lavoratori, sia economici che disciplinari o produttivi, poteva essere preso senza la presenza e accettazione del Sindacato, oggi il sindacato non è neanche più consultato. E’ sancito legislativamente che è solo più riconosciuto il rapporto tra lavoratore e datore di lavoro soltanto.
Nella precedente legge i licenziamenti erano quasi impossibili se non legati ad aspetti di legislazione penale (azioni illegali) e dovevano essere vagliati e accettati dal Sindacato, che aveva il compito di verificare e garantire che fossero stati applicati  tutti i diritti per la difesa e tutela del lavoratore. Oggi ciascun lavoratore essendo solo nel rapporto con l’azienda è di fatto senza più protezioni sociali e senza più alcun potere contrattuale. Inoltre è stato sancito il “diritto” al licenziamento legato alle esigenze aziendali, in piena politica di liberismo selvaggio, di fatto ogni lavoratore è alla mercè del proprio datore di lavoro..
Le conseguenze dirette e concrete nella vita dei lavoratori si possono vedere in questi due esempi di situazioni di lavoro nella Zastava, che neanche durante embarghi e bombardamenti sono mai accaduti e sarebbero stati considerati illegali anche giuridicamente. Uno riguarda la Zastava automobili dove attualmente sono occupati come dipendenti ancora 3600 lavoratori, e dove ogni mese vengono chiamati dall’ufficio di collocamento 800 lavoratori disoccupati a rotazione, per integrare il sussidio mensile di disoccupazione ( 45% del salario, mediamente circa 60 euro mensili, che tra le altre cose scadrà nel 2005 e quindi da allora questi iscritti al collocamento non avranno neanche più questa minima entrata), essi accettano di lavorare in queste condizioni : senza nessun contratto specifico se non la conoscenza dell’ammontare del salario a fine mese stabilito dall’azienda, nessun diritto sindacale, orario legato esclusivamente alle esigenze aziendali, nessuna paga o retribuzioni ufficiali ma stabilita ciascuna volta, nessuna maturazione di ferie, nessun diritto alla mutua e malattia se un lavoratore si assenta viene sostituito da un altro, nessun diritto ad usufruire delle leggi di protezione della sicurezza.
L’altro esempio esemplificativo riguarda un reparto Zastava che si chiama TER COM, composto da lavoratori invalidi di cui l’80% provengono dall’ufficio di collocamento disoccupati; la maggioranza sono donne e tutte hanno malattie come leucemia e tumori, le condizioni di lavoro sono spaventose ma il ricatto è che se qualcuno protesta perde anche quei pochi soldi e si ritrova di nuovo senza salario. Noi stessi come responsabili sindacali non possiamo fare nulla, pur sapendo come tutti, qual è la situazione perché gli stessi lavoratori ci chiedono di non muoverci per il terrore di perdere anche questo. Un solo esempio, tutti coloro che lavorano hanno problemi di salute o perché invalidi o perché malati accertati, nessuno di essi ha mai presentato finora alcun certificato medico, spesso occultando il proprio stato per paura di non lavorare.

(n.d.r: sono riuscito personalmente a entrare in contatto con una lavoratrice del reparto, che mi ha affidato la lettera che qui riporto come estratto, che penso non lasci spazio ad altre parole nel rendere l’idea della situazione. E..V.)
“…ho deciso di scrivere questa lettera per raccontarle la mia vita. Sono lavoratrice della Zastava automobili e come invalida di 3° categoria, lavoro nell’officina cosiddetta TER COM ( costituita per invalidi ). Lavoro al ritocco dei particolari, siccome a causa della guerra non abbiamo lavorato per lungo tempo, poi abbiamo cominciato a fare qualsiasi  lavoro, anche quelli che non competono agli invalidi. Abbiamo ripulito i reparti bombardati e si sa benissimo che questi sono posti radioattivi; mentre facevo questi lavori parecchie volte ho avuto allergie e sono stata sottoposta a “terapie”. Poi ho lavorato dove vi è il PCB- Piralene lasciato nell’ambiente dalle bombe ed avevo problemi di respirazione. Sono andata dal medico e mi hanno trovato delle cisti nella gola e nel seno. Ma questo non è stato sufficiente ai dirigenti e per l’ennesima volta hanno portato nel nostro reparto altre sostanze chimiche per le lavorazioni, mi hanno poi portata due volte al Pronto soccorso, e così anche altre mie colleghe; l’ultima volta nel mese di febbraio mi hanno salvato la vita per un soffio.
Adesso sono in malattia fino a fine del mese, poi dovrò tornare al lavoro ma sono molto preoccupata, perché so che un giorno mi troveranno morta; l’ambiente di lavoro è disastroso e anche le condizioni di vita in esso sono disastrose. Io devo lavorare per sostenere la mia famiglia, perché mio marito è stato licenziato ed è anche lui malato; una figlia va a scuola e l’altra ha finito di studiare ma è disoccupata perché non c’è lavoro…io la prego di leggere questa mia lettera ad altri, se vuole può verificare tutto quanto ho scritto. Il mio lavoro consiste nella pulizia dei particolari e componenti bombardati , lavaggio pezzi, scelta delle viti da montare e scarto di quelle non più utilizzabili, pulizia dei reparti. Non posso rifiutare di fare questi lavori nonostante sapevamo che erano radioattivi; ci sono anche altre mie colleghe che sono ammalate, io penso che tutto è conseguenza dei bombardamenti. Io sono invalida ma queste malattie le ho avute dopo.. La ringrazio dell’aiuto e la prego, se è possibile, di attivarsi anche tramite qualche organizzazione che lavora nel campo della protezione delle vite umane e di provare ad aiutarci….S.M. “

Questa è la realtà della classe lavoratrice serba nel 2004, solo quattro anni fa nessuno di noi avrebbe neanche lontanamente immaginato che un lavoratore avrebbe potuto conoscere un simile stato di degradazione sociale e di dignità.
Ma questo è ciò che ci hanno portato i cambiamenti del “nuovo corso” e con questo dobbiamo convivere quotidianamente e combattere in una vera e propria lotta per la sopravvivenza.

 

D.: Subito dopo la fine dei bombardamenti a giugno ’99, l’ex governo di unità nazionale, aveva stanziato 1/6 del budget federale della Repubblica serba per il Progetto di Ricostruzione della Zastava, ritenendo prioritario per il futuro del paese il rilancio della fabbrica e della produzione, come condizioni assolutamente improrogabili, insieme alla ricostruzione dei ponti e delle infrastrutture, poi avvenuti.. Il progetto era stabilito in 3 Fasi di ricostruzione, all’ottobre 2000 erano state completate quasi due fasi su tre, da allora a oggi, la ricostruzione è stata terminata?
Cosa è avvenuto e qual è la situazione oggi?

R: Milosavljevic: Per quanto riguarda i lavoratori Zastava vi erano una serie di diritti che contribuivano alla difesa dei salari, per esempio un pasto gratuito al giorno; il 50% delle spese dei trasporti erano rimborsati; i lavoratori che erano in ambiti di lavoro più disagiati, avevano diritto a forniture di alimenti specifici contenenti vitamine e proteine; nel contratto collettivo erano contemplati controlli sanitari periodici e sistematici, da parte del presidio sanitario dell’azienda; nel periodo di malattia il lavoratore percepiva l’80% del salario, ora il 60% ma praticamente nessuno si mette in malattia per timore di essere licenziato; ad ogni lavoratore che veniva assunto, ma che proveniva da un'altra città, gli veniva assegnato una sistemazione nel quartiere delle case operaie Zastava, in legno e ovviamente negli ultimi anni sempre più disagiate, in attesa di un alloggio in città; ogni lavoratore aveva diritto per lui e la sua famiglia ha tutta una serie di attività ricreative, sportive e culturali aziendali praticamente gratuite. Di tutto questo ora non resta più nulla.
Per quanto riguarda misure più generali e sociali come le mense popolari dove si poteva mangiare a costi simbolici, oggi non esistono più; negli ultimi dieci anni le bollette energetiche non erano state riscosse per non affossare le condizioni minimali di vita del popolo, ora con le privatizzazioni alle famiglie è stato imposto il pagamento di tutti gli arretrati, pena la sospensione delle erogazioni, per cui le famiglie si trovano senza salari e con debiti pregressi da pagare in rate mensili per gli anni futuri. Per quanto riguardava prezzi, affitti, sanità , il governo trattava con il Sindacato e stabiliva programmi sociali a costi calmierati contrattati tra le parti sociali. Ora tutto è stato liberalizzato e non c’è più nessun controllo o limite.

D.: Com’è la situazione sanitaria tra i lavoratori?

R: Milosavljevic: Purtroppo i bombardamenti “ umanitari” della Nato oltre alla miseria e al degrado umano e morale, ci hanno anche lasciato una terribile conseguenza : i danni causati dalle bombe all’uranio impoverito, sulle persone e nell’ambiente. Su questo argomento purtroppo i dati ufficiali e le documentazioni precise sono molto carenti se non assenti, questo ovvio per vari motivi, uno perché a livello governativo e dei media, non c’è interesse a rendere pubblici dati che potrebbero dare l’idea della tragedia che incombe sulla vita del popolo serbo, anche e soprattutto per il futuro. Ma su questo vi sono certamente persone più documentate di noi per rispondere, di certo vi è che tra il migliaio di lavoratori volontari, che avevano partecipato alla sgombero delle macerie ( va ricordato che la fabbrica fu quasi distrutta da continui e massicci bombardamenti criminali e devastanti), sono già 63 i deceduti e centinaia di altri sono affetti da tumori e leucemie, nel presidio sanitario della Zastava i farmaci più richiesti sono psicofarmaci, antidepressivi e i medicinali per le malattie di natura epatica. Già questo può essere considerato un dato indicativo.
Così come è ufficiale che l’area della Zastava fu dichiarata nel 2000, ambiente degradato e a rischio da parte dell’ONU.
Un dato ufficiale filtrato negli ultimi mesi dice che nella regione della Sumadija, che ha in Kragujevac il capoluogo, si sono rilevati oltre 1.000 nuovi casi di ammalati di tumori e malattie epatiche.

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D.: Una riflessione finale sulle prospettive e su un futuro che, alla luce della situazione descritta appare molto difficile per il popolo serbo.

R: Milosavljevic: Quanto finora esposto può solo avvicinare coloro che leggeranno, a comprendere qual è la vita quotidiana e le condizioni in cui vivono i lavoratori, la realtà da vivere è sicuramente più difficile.
Già solo il dato ufficiale frutto di un indagine governativa che dice che l’80,3 per cento dei giovani vuole andare via dalla nostra patria e solo il 17,7 per cento ha ancora speranza che qualcosa cambi e gli permetta così di restare, deve far capire quanto è tremenda la situazione del nostro paese, perché la gioventù significa futuro e senza gioventù, nessun paese può avere un futuro. Per questo è diventato drammaticamente urgente pensare e lavorare a un cambiamento, dei programmi economici e politici, e di leadership. Se non accadrà questo il nostro futuro è molto molto difficile, tutti i giorni si parla soltanto di svendite, chiusure, fallimenti, non si parla mai di una qualche soluzione trovata ad un problema.
Si parla di scorpori, che diventano un processo e pezzo per pezzo, gli scorpori rendono ogni situazione sempre più piccola e poi a sua volta diventa parte di una parte e così via. E poi saranno venduti ma in questa progettualità non c’ è futuro, perché significa di fatto cancellare la potenzialità produttiva di uno stato di un paese. Significa per chiunque abbia un minimo di cognizioni economiche o del mondo del lavoro proporre una agonia, magari non cruenta ma una lenta agonia. Negli ultimi mesi sono persino arrivati a ventilare ai lavoratori, un ulteriore scenario futuro architettonico sociale, la Zastava quella che per decenni è stata una grande e immensa fucina di lavoro, di vita, di speranze, di dignità, potrebbe diventare una grande area cittadina, dove non ci saranno più cancelli, inferriate, delimitazioni, solo più una grande area economica, commerciale, di uffici, negozi, magazzini, ma senza più i 36.000 lavoratori e famiglie che l’hanno popolata e resa una fonte di vita e di futuro per mezzo secolo, senza più produzione di nulla. Forse se tutto va bene dicevano, qualche centinaio di posti di lavoro nuovi si creeranno, e gli altri?
Quest’anno la novità ‘ stata la notizia che la Fiat si è rifatta viva dopo anni di disinteressamento e silenzio, ma non per qualche ipotesi di rilancio o investimento, ma per richiedere i debiti pregressi e la valutazione finanziaria del suo pacchetto azionario. Come dire un’altra tegola su qualsiasi ipotesi di trovare acquirenti o investitori che facciano ripartire la fabbrica; di fatto questo rende impossibile immaginare la possibilità, da parte di qualcuno di comprare un azienda che già prima di fare un investimento ha già debiti da saldare. L’insieme delle situazioni dà forse il segno di una situazione talmente attorcigliata attorno a contraddizioni, problemi e dinamiche bloccanti, che riesce veramente arduo NON pensare ad un futuro nero per i lavoratori della Zastava e forse della classe lavoratrice della Serbia, che probabilmente ha ancora davanti a sé, periodi non certo facili. Per impedire tutto questo c’è una sola strada, cambiare le riforme e cambiare i dirigenti, se i lavoratori riusciranno ad imporre questo la speranza ritroverà una ragione di essere.

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A cura di Enrico Vigna – 27 dicembre 2018

 

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8979 ]]

(english / deutsch / italiano)
 
Skopje's Macedonia, NATO's Thirtieth Member?
 
in reverse chronological order:
1) Das dreißigste Mitglied der NATO / NATO's Thirtieth Member (GFP, 09.01.2019) 

2) Washington corrompe parlamentari macedoni per procurarsi l’adesione alla NATO e alla UE / La Macedonia diventa una “democrazia” in stile statunitense (Rete Voltaire, ottobre 2018) 

3) Fallimento del referendum in Macedonia: sconfitta per l'espansione della UE e della NATO (di V. Unkovsky-Korica / Lefteast 1/10/2018)
4) L'adesione della Macedonia alla NATO è un errore con conseguenze (di E. Vigna, V. Kofchegarski, J.. Stoltenberg, Z. Zaev / Sputnik MK, News Front, Euractiv)

 
Sulla questione macedone segnaliamo anche:
 
MACEDONIA: L’ex primo ministro Gruevski è fuggito in Ungheria (Riccardo Celeghini, 13.11.2018)
L’ex primo ministro della Macedonia Nikola Gruevski è scappato in Ungheria per richiedere asilo politico. Gruevski era atteso in carcere il 9 novembre, ma da allora aveva fatto perdere le sue tracce... condannato a due anni di reclusione il 5 ottobre nell’ambito del caso giudiziario denominato “Tank”. Secondo la sentenza, nel 2012 [SIC] Gruevski avrebbe influenzato [SIC] l’allora assistente al ministero dell’Interno Gjoko Popovski e l’allora ministro dell’Interno Gordana Jankulovska per spingerli all’acquisizione di una Mercedes [SIC]...
 
E se a Skopje non volessero né NATO né UE ? (rassegna JUGOINFO 5/10/2018)
 
Einflussverlust in Südosteuropa (GFP 29.06.2016)
Mit empfindlichen Drohungen gegen Skopje reagiert die Bundesregierung auf spürbare Einflussverluste in Mazedonien... Als die mazedonische Regierung jedoch Ende der 1990er Jahre eine eher neutralistische und NATO-kritische Politik zu verfolgen begann, forcierten Deutschland und andere NATO-Staaten eine Intervention, die eine Wende herbeiführte...
 
 
=== 1 ===
 
ORIG.: Das dreißigste Mitglied der NATO (GFP, 09.01.2019) 
Mit ihrem morgen beginnenden Besuch in Athen setzt Bundeskanzlerin Angela Merkel eine Serie außergewöhnlicher Einmischung von NATO- und EU-Staaten in die inneren Angelegenheiten zweier südosteuropäischer Länder fort. Gegenstand der Einmischung ist der Namensstreit zwischen Griechenland und Mazedonien, das aufgrund griechischer Einwände international den Namen Ehemalige jugoslawische Republik Mazedonien trägt. Es soll nun gemäß einem Abkommen vom 17. Juni 2018 in Nord-Mazedonien umbenannt werden. Weil dies die Voraussetzung dafür ist, dass das Land in die NATO aufgenommen werden und EU-Beitrittsgespräche anstreben kann, machen das Kriegsbündnis und die Union Druck, den Prozess der Umbenennung rasch abzuschließen. Dazu wird Merkel in Athen Gespräche führen. Die Umbenennung erfolgt unter massiver Einflussnahme des Westens, der diese mit angeblicher russischer Einflussnahme begründet; sie geschieht gegen das Resultat eines Referendums in Mazedonien und ist bei einer kurz bevorstehenden abschließenden Abstimmung im mazedonischen Parlament auf die Zustimmung von Oppositionellen angewiesen, die mit offensichtlich korrupten Methoden zur Unterstützung des Namenswechsels veranlasst wurden...
https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/7825/
 
 
NATO's Thirtieth Member
01/09/2019

BERLIN/ATHENS/SKOPJE(Own report) - With her visit to Athens, beginning tomorrow, German Chancellor Angela Merkel is continuing a series of unprecedented interference by NATO and EU members into the domestic affairs of two Southeast European countries - this time in a dispute over a name between Greece and Macedonia. Because of Greek objections, Macedonia is known internationally as the Former Yugoslav Republic of Macedonia (FYROM). In line with a June 17, 2018 agreement, the country is to change its name to North Macedonia. Because the renaming is a prerequisite for the country's admission to NATO and its negotiations for EU membership, the NATO war alliance and the European Union are urging that the name change process be sped up. This is also the reason behind Merkel's talks in Athens. The West is exerting massive pressure, and justifying renaming the country with allegations of Russian interference. The renaming is in violation of the Macedonia's referendum results and is dependent upon the votes of the opposition in the Macedonian parliament's forthcoming final vote. Corrupt methods are obviously inducing members of the opposition to vote in favor of changing the name...

 

Unambiguous Demand

In the run-up to the September 30, 2018 referendum on changing the country's name to North Macedonia, the western powers flooded Skopje with waves of unprecedented interference, "unambiguously demanding the Macedonian population to vote 'Yes'," according to a report.[1] During her visit to the Macedonian capital on September 8, Chancellor Merkel declared that the citizens should not miss the "historic opportunity" to rename their country and that she expects a "positive outcome" in the referendum.[2] Just prior, the US President's letter to his Macedonian counterpart was published, wherein Donald Trump praised the change of name and declared that the United States "stands ready to support Macedonia, especially with respect to upcoming discussions on your membership in NATO."[3] Two days before Merkel's visit, the General Secretary of NATO announced in Skopje that the war alliance is "ready to welcome" North Macedonia's admission. The day before Merkel's visit, Austrian Chancellor Sebastian Kurz declared in the Macedonian capital that changing the country's name is a "historic milestone on the road into the EU." This was reiterated by EU Foreign Affairs Commissioner Federica Mogherini on September 13 - during her visit to Skopje..

 

"Russian Interference"

Finally, US Secretary of Defense arrived in Skopje September 17. Mattis declared that the upcoming referendum is "the most important vote in the history" of the country. NATO is of course "ready, to welcome Macedonia ... as its 30th member."[4] The US Defense Secretary also spoke out against "Russian interference" in Macedonia. "We do not want Russia doing here, what it is trying to do in so many other countries." Mattis also alleged that Moscow is promoting "pro-Russian movements," also here in Macedonia, which has him worried. In fact, politicians from the Russian government had not made appearances in Skopje during the run-up to the September 30 referendum. One observer remarked, "Russians say 'if we had called for a 'No' as openly as the West was calling for a 'Yes,' they would be immediately complaining of Russian propaganda and manipulation."[5] The pro-western spectrum in Macedonia is being lavishly financed. Back in January 2017, the US Congress authorized US $8 million to "combat Russian disinformation campaigns." Another US $2 million have been allocated for the promotion of "rule of law."[6]

 

Disastrous for the West

In view of the massive interference by top western politicians, the defeat of the referendum must be seen as a disastrous setback for the EU and NATO. Although, 94.2 percent of those who voted on September 30, had voted in favor of the name change, participation in the referendum was, however, a mere 36..9 percent. Fifty percent participation was needed for the referendum to be valid. The overwhelming majority either followed the opposition's boycott campaign or was not interested enough in NATO and the EU to vote. This means that the western powers can rely on only a third of the population - which, in light of their massive interference, is for Berlin, Brussels, and Washington a disastrous result.

 

Wrangling in Parliament

However, the West has not given up. Macedonia's Prime Minister Zoran Zaev has had parliament legislate the change of name that had been refused by two-thirds of the citizens. Because the change of name is of constitutional significance, it requires a two-thirds parliamentary majority, which the government does not have. For the vote on October 19, Zaev was able to convince nine parliamentarians of opposition parties to vote in favor of the name change. Just prior to that vote, a special prosecutor had opened criminal investigations on more than a dozen parliamentarians of the opposition, accused of having participated in an outbreak of violence in the parliament back in April 2017. With the help of a parliamentary "reconciliation commission," the prime minister had promised an amnesty and it had been understood that that amnesty would be linked to their voting in favor of changing the name to North Macedonia. Of course, Zaev officially denies this - illegal - linkage.[7] Jurists see this procedure as untenable and assume that it will be invalidated by Macedonia's Constitutional Court. Until now, however, it is proving effective for advancing the name change through parliament. A decisive final vote will be held either this or next week. Between today, January 9 and January 15, a constitutional amendment must be passed, requiring another two-thirds majority - therefore at least the support of nine members of the opposition. Should this dubious amnesty maneuver again prove successful, the road will be clear for that country joining the EU and NATO.

 

Merkel in Athens

However, a Greek parliamentary vote is also still pending, which is the main reason for the German chancellor's trip tomorrow to Athens. The government in Athens has, in principle, the necessary parliamentary majority. However, it is uncertain whether the far right-wing ruling coalition party "Independent Greeks" (ANEL) will vote in favor of the name change. It is generally expected that ANEL will leave the government following the vote. According to opinion polls, the conservative Néa Dimokratia (ND) under its president Kiriákos Mitsotákis would win new elections. Mitsotákis and the ND, which, at EU level, are members of the same family of parties as Germany's CDU and CSU - the European Peoples Party (EPP), oppose the name change. Last week, Mitsotákis was on hand at the CSU's closed party conference in Seeon, Bavaria, and will now meet again with Chancellor Merkel for further talks.[8]

 

The Western Community of Values

If Macedonia's renaming process can be successfully completed, North Macedonia probably could be admitted to NATO by mid-2020 - thanks to massive foreign interference - including German - in the domestic affairs of two Southeast European nations, thanks to a violation of the referendum's result, and thanks presumably to illegal wrangling in Macedonia's parliament.

 

[1] Michael Martens: Hochachtungsvoll, Donald Trump. Frankfurter Allgemeine Zeitung 08.09.2018.

[2] Merkel spricht sich für die Umbenennung Mazedoniens aus. faz.net 08..09.2018.

[3] Michael Martens: Hochachtungsvoll, Donald Trump. Frankfurter Allgemeine Zeitung 08.09.2018.

[4], [5] Michael Martens: Sei ein Frosch! Frankfurter Allgemeine Zeitung 18.09.2018.

[6] Marc Santora, Julian E. Barnes: In the Balkans, Russia and the West Fight a Disinformation-Age Battle. nytimes.com 16.09.2018.

[7] Valentina Dimitrievska: Macedonia close to crucial parliament vote on name deal constitutional changes.. intellinews.com 08.01.2019.

[8] Vassilis Nedos: Athens awaits outcome of final name deal vote in Skopje Parl't. ekathimerini.com 07.01.2019.

 
 
=== 2 ===
 
ENG.: Macedonia switches to the US style of Democracy
http://www.voltairenet.org/article203623.html
 
 
La Macedonia diventa una “democrazia” in stile statunitense
RETE VOLTAIRE | 24 OTTOBRE 2018 
 
Il parlamento macedone ha adottato a maggioranza qualificata una modifica costituzionale che autorizza il cambiamento del nome della Repubblica e l’adesione alla NATO e all’Unione Europea.
Il 14 luglio 2018 il governo di Zoran Zaev aveva indetto una giornata di festa nazionale per celebrare l’apertura dei negoziati di adesione alla NATO. I 14 concerti gratuiti organizzati nel Paese non hanno però avuto luogo perché i cittadini macedoni li hanno boicottati.
Nel referendum del 30 settembre 2018 due terzi dei macedoni hanno respinto la proposta di cambiamento del nome della repubblica, negoziato dal primo ministro Zoran Zaev e dall’omologo greco, Alexis Tsipras.
Gli ambasciatori statunitensi a Skopje, Jess L. Baily (che sovrintese all’ingresso della Turchia nelle guerre contro la Libia e la Siria), e ad Atene, Geoffrey T. Pyatt (che organizzò il colpo di Stato in Ucraina del 2014 e la scissione della Chiesa ortodossa ucraina del 2018), hanno pilotato un’operazione mirata a corrompere i deputati. Il dipartimento di Stato USA ha inviato sul posto il direttore per i Balcani, Matthew Palmer.
Le azioni giudiziarie contro otto deputati dell’opposizione sono state improvvisamente archiviate e chi di loro era in prigione è stato liberato. L’“agente Tesla” ha consegnato loro 250.000 dollari in contanti a testa, in cambio di un voto conforme alla volontà di Washington. Così hanno fatto. Considerati traditori della patria, sono stati espulsi dal partito cui appartenevano.
L’ambasciatore Baily e il vice-assistente del segretario di Stato USA erano in parlamento durante il dibattito e il voto.
Al termine della votazione il ministro dell’Interno ha annunciato che sarebbe stata assegnata una scorta ai parlamentari che avevano votato a favore del cambio di nome e dell’adesione alla NATO e alla UE.
Mentre la Macedonia fa il suo ingresso nel «campo della democrazia» (sic!), il ministro greco degli Esteri, Nikos Kotzia, ha presentato le dimissioni.

Traduzione Rachele Marmetti (Giornale di bordo)
 
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ENG.: Washington corrupts Macedonian Parliamentarians to secure Macedonia’s Membership of Nato and the EU
 
 
Washington corrompe parlamentari macedoni per procurarsi l’adesione alla NATO e alla UE
RETE VOLTAIRE | 9 OTTOBRE 2018 
 
Con il referendum del 30 settembre 2018 i macedoni hanno respinto la proposta del primo ministro Zoran Zaev di aderire alla NATO e all’Unione Europea [1]. La sera stessa della votazione il segretario generale della NATO e l’omologo della UE hanno esortato la classe politica a eludere la volontà popolare e a mandare avanti il processo di adesione ricorrendo alla via parlamentare [2].
Secondo Mina Report, il giornalista Milenko Nedelkovski ha rivelato che Washington ha immediatamente avviato un programma per comperare voti dei deputati [3].
Un responsabile del dipartimento di Stato USA, «l’agente Tesla» (alias di Mitko Burceski), ha aperto un ufficio in un lussuoso appartamento di proprietà di Sasho Mijalkov, cugino dell’ex primo ministro macedone Nikola Gruevski, dove i deputati corrotti ricevono 2,5 milioni di dollari ciascuno.
L’operazione è diretta dagli ambasciatori statunitensi a Skopje, Jess L. Baily (che sovrintese all’ingresso della Turchia nelle guerre contro Libia e Siria), e ad Atene, Geoffrey R. Pyatt (che organizzò il colpo di Stato del 2014 in Ucraina).
Per il momento, l’operazione ha ottenuto l’iscrizione, all’ordine del giorno del parlamento, del cambiamento di nome del Paese, condizione sine qua non per l’integrazione nella NATO e nella UE. Il voto è stato fissato per il 16 ottobre, ossia lo stesso giorno del verdetto della magistratura su una decina di deputati nazionalisti, accusati di aver spiato il partito socialdemocratico [4]. Il piano degli ambasciatori consiste nel far togliere loro l’immunità parlamentare e impedirgli così di votare. Tenuto conto del numero di voti comperati, la maggioranza del parlamento si pronuncerà automaticamente a favore della proposta del primo ministro.

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista 

 

[1] “I macedoni si pronunciano contro l’adesione alla NATO e all’Unione Europea”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 2 ottobre 2018.

[2] « Déclaration de l’Otan et de l’UE sur le référendum en Macédoine », Réseau Voltaire, 1er octobre 2018.

[3] “Mitko Burcevski coordinates Cash offers to MPs – $2.5m in duffel bags”, Marija Nikolovska, Mina Report, October 8, 2018.

[4] Tra il 2011 e il 2014 sono state effettuate registrazioni illegali di personalità politiche. Nessuno sa da chi. Le parti coinvolte si accusano reciprocamente. Il contenuto delle 33 registrazioni pubblicate svela il costume di una classe dirigente in declino.

 
 
=== 3 ===
 
 
Fallimento del referendum in Macedonia: sconfitta per l'espansione della UE e della NATO
 
di Vladimir Unkovsky-Korica, 1 ottobre 2018
 

Il 30 settembre 2018  è stato un disastro per la UE e la NATO nei Balcani. La grande maggioranza dell'elettorato macedone ha boicottato il referendum che chiedeva: "Sei a favore dell'entrata nella NATO e nell'Unione Europea e accetti l'accordo tra la Repubblica di Macedonia e la Repubblica Greca?" Nel momento in cui scriviamo la commissione elettorale statale è in attesa di fornire il risultato finale, tra il 36 e il 37%, ben al di sotto del 50% richiesto perché il risultato sia valido. Mezz'ora prima della chiusura delle urne la percentuale era del 34%. Con l'80% delle schede scrutinate, risultava che il 90% dei votanti erano in favore dell'accordo. Ma nessuno poteva nascondere il disastro della bassa affluenza alle urne.

L'accordo su cui erano chiamati a votare i cittadini macedoni, chiamato Accordo di Prespa, aveva cercato di cambiare il nome del paese in Repubblica di Macedonia del Nord, per placare le preoccupazioni del governo greco che temeva che chiamarlo semplicemente "Macedonia" implicasse future ambizioni territoriali sulla Grecia. Ora la cosa è in discussione.

 

Asimmetria del potere tra Grecia e Macedonia

La Macedonia divenne indipendente dopo la dissoluzione della Iugoslavia nel 1992.. Da allora Atene aveva bloccato l'entrata della Macedonia nelle varie organizzazioni internazionali e aveva fatto pressione perché si chiamasse Ex Repubblica Iugoslava di Macedonia (FYROM).

L'ultima svolta vedeva ancora la Macedonia costretta ad ogni tipo di compromesso: doveva accettare di non chiamarsi come voleva e fare tutta una serie di rinunce, come quella di negare di aver mai avuto alcun legame con l'antica Macedonia ellenica.

Questo riflette una asimmetria di base nel potere. Non soltanto la Grecia è membro dell'Unione Europea e della NATO, ma le sue banche hanno acquisito più del venti per cento di tutto il settore bancario della Macedonia. La Grecia è uno dei più importanti partner commerciali della Macedonia, la Macedonia coi suoi due milioni di abitanti è un nano rispetto agli undici milioni di greci ai suoi confini. Tuttavia risultava chiaro che c'era un interesse fondamentale da parte delle capitali occidentali nel portare la Macedonia all'interno del campo euro-atlantico, per incrementare la rivalità in est Europa contro il nemico geopolitico, la Russia. La caduta nel gennaio 2016 di un governo macedone scomodo e sempre più vicino alla Russia è servita ad avere più possibilità di spostare la Macedonia in modo decisivo nel campo occidentale.

 

L'AGENDA ESPANSIONISTA DELLA NATO E DELLA UE

I potentati occidentali speravano di usare il governo greco di Tsipras come aiutante per realizzare questo voltafaccia della Macedonia. Benché sia stato eletto per contrastarli, Tsipras è completamente asservito ai potentati occidentali dopo aver accettato il programma di austerità imposto dalla cosiddetta Troika, cioè la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale, per risolvere la crisi del debito greco.

Tsipras ha convinto i potentati occidentali, in particolare gli Stati Uniti, che era pronto ad agire secondo i loro desideri – ha persino affossato la storica vicinanza della Grecia ai palestinesi in politica estera e ha partecipato ad esercitazioni militari congiunte con Israele, il cane da guardia degli USA in Medio Oriente.

E' in questo contesto che il nuovo premier socialdemocratico della Macedonia, Zoran Zaev, è giunto a un apparente compromesso per eliminare il veto greco ad entrare nella UE e nella NATO, rinunciando al nome di Repubblica di Macedonia.

 

L'OCCIDENTE E IL REFERENDUM MACEDONE

Quando Zaev ha indetto il referendum sull'accordo, ha reso chiaro che dietro il cattivo compromesso c'era l'obiettivo dell'entrata nella UE e nella NATO. Ciò emergeva chiaramente dalle domande che il referendum poneva.

Facendo un referendum sulla partecipazione alla UE e alla Nato, entrambe organizzazioni con una grande influenza sull'esito dell'accordo, Zaev aveva calcolato che la maggioranza dei macedoni avrebbero soprasseduto ai problemi relativi al nome in cambio della partecipazione all'elite del club imperialista occidentale.

Che Zaev non agiva da solo è stato chiaro quando molti dignitari occidentali hanno puntato le loro carte in favore del referendum. Capi europei e politici USA, come la cancelliera Angela Merkel e il segretario della difesa USA Jim Mattis, visitarono la Macedonia per sostenere Zaev.

Per sottolineare la loro volontà, all'inizio di settembre, il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, stabilì che il Ministro della Difesa macedone avrebbe partecipato al tavolo della Nato dal febbraio 2019, se il referendum avesse avuto successo.

Ancora più drammaticamente, il Commissario per l'Ampliamento della UE Johannes Hahn disse che, se la Macedonia avesse perso "la finestra di questa opportunità", la finestra avrebbe potuto "chiudersi per decenni, se non per sempre".

 

IL FALLIMENTO DELLE ELITE MACEDONIA

Forse non c'è da sorprendersi che la maggior parte del parlamento macedone non abbia fatto una campagna per boicottare il referendum. La coalizione al governo di socialdemocratici e partiti nazionalisti albanesi era in favore del "sì" al referendum, mentre il principale partito di opposizione il VMRO-DPMNE di centro-destra appariva ovviamente diviso e non ha preso una posizione ufficiale.

Sono stati i piccoli partiti che hanno portato avanti, separatamente, il movimento per il boicottaggio. Sebbene vari partiti della destra nazionalista abbiano avuto un ruolo preminente nel sostenere il boicottaggio, l'ala sinistra LEVICA era a favore del boicottaggio da posizioni internazionaliste e ha impedito che la destra avesse il monopolio su questo argomento.

Sembra che questi gruppi fossero molto più in sintonia con i sentimenti della popolazione che non i poteri occidentali e i partiti di maggioranza.

Dopo tutte le pressioni sulla popolazione, la misura della sconfitta del referendum di Zaev non poteva essere più dura. Si tratta di un'importante battuta d'arresto per questo governo, per i partiti di maggioranza e per l'espansione della UE e della NATO.

E' semplicemente chiaro che la maggioranza del popolo macedone ha sentito il bisogno di ribellarsi al comportamento prepotente ed arrogante del proprio governo e dell'Occidente.

 

LA RIBELLIONE DEL POPOLO

E' ancor più degno di nota il fatto che il referendum non sia fallito solo tra gli slavi macedoni, come era previsto dai sondaggi, ma anche tra gli albanesi, che i sondaggi dichiaravano favorevoli all'88 per cento. Avrebbe dovuto essere chiaro che, se la minoranza albanese avesse dovuto spostare l'ago della bilancia, si sarebbe potuto ritornare alla situazione di guerra civile del 2001, quando i nazionalisti macedoni al governo condussero una violenta campagna contro gli insorti tra la popolazione albanese.

Ora un senso di unità popolare ha prevalso, dimostrando che la popolazione ha visto più lontano delle elite interne e occidentali, che hanno continuato e continuano a scherzare col fuoco, come hanno fatto in Ucraina nel 2014.

 

LA POPOLAZIONE E LE ELITE IN CONTRASTO DOPO IL REFERENDUM

Sfortunatamente, anche dopo la chiusura delle urne e l'evidenza sotto gli occhi di tutti del boicottaggio del referendum, Zaev lo ha dichiarato un successo e ha promesso che la Macedonia diventerà nonostante tutto un membro della UE e della NATO.

Incurante del sentimento nazionale e rappresentativo dell'arroganza della classe dirigente, il leader di uno dei maggiori partiti albanesi, l'Unione Democratica degli Albanesi (DUI), ha anch'egli dichiarato che il suo partito ha avuto il mandato di votare in Parlamento per l'entrata nella UE e nella NATO.

Sorprendentemente, elementi esterni come Tsipras e Hahan hanno incoraggiato Zaev a ignorare il fallimento del referendum, sostenendo che il risultato ha dimostrato il favore della maggioranza della popolazione per l'accordo di Prespa.

L'idea che il Parlamento debba approvare ancora l'operazione mostra quanto grande sia ormai la distanza tra le classi dirigenti e la popolazione.

Ciò apre la possibilità a un movimento di sinistra di emergere con una logica differente, che può incanalare lo scontento in direzione della cooperazione e solidarietà tra differenti gruppi nazionali e contro le classi dirigenti.

La posizione di LEVICA Macedonia sul referendum lo ha reso la più importante opportunità, e dovrebbe essere imprescindibile per la sinistra locale e per quella internazionale sostenerlo ed aiutarlo in questo frangente. Se questa formazione dovesse fallire, l'alternativa potrebbe essere il rinnovarsi della guerra civile.

 

LA SCONFITTA DELL'OCCIDENTE APRE UNA PIU' AMPIA GAMMA DI OPPORTUNITA'

Nelle foto sopra i manifestanti agitano bandiere di fronte al Parlamento di Skopje durante una protesta contro il nuovo nome del paese, Repubblica Macedone del Nord. Così la posta in gioco è alta ma non è alta solo per la Macedonia. Il sentimento che ha portato al boicottaggio in Macedonia riflette l'abisso che si è aperto tra le elite capitaliste e le masse popolari, e che sta diventando evidente in tutto il mondo nel declino della globalizzazione neoliberista.

A questo proposito, non è il primo referendum che la NATO e la UE perdono, e non è la prima volta in cui la popolazione si rivolta contro i partiti di maggioranza.

Dal boicottaggio in Slovacchia del referendum NATO nel 1997, passando al "no" della Francia e dell'Irlanda alla Costituzione Europea nel 2005, poi all' „OXI“ della Grecia contro la Troika nel 2015 e al voto per la Brexit in GB nel 2016, il voto macedone conferma un rifiuto di lunga data dei popoli nei confronti dell'ordine dominante in Europa dalla fine della guerra fredda.

Ma il risultato del referendum macedone arriva in un contesto di approfondirsi della crisi globale nel quale le elite occidentali, nonostante alcune divisioni sulle stratregie globali, tentano disperatamente di aumentare l'espansione della UE e della NATO e di presentarla come l'inevitabile proseguimento del cammino della democrazia liberale sotto il loro dominio.

I loro continui fallimenti degli ultimi tempi sono coronati dalla incapacità di costringere una piccola nazione dei Balcani ad andare nella direzione da loro voluta. Il che può mettere in questione la loro legittimità.

Quelle forze di sinistra che rifiutano di sostenere le istituzioni del vecchio ordine e che sono abbastanza coraggiose da progettare un mondo senza UE e senza NATO ne avranno vantaggio.

 

Da lefteast - Traduzione di Sonia S. per civg.it

 
 
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L'adesione della Macedonia alla NATO è un errore con conseguenze
 
di Enrico Vigna, Forum Belgrado Italia/CIVG
 

Il rappresentante permanente della Russia presso l'UE Vladimir Chizhov in un'intervista al quotidiano Ekathimerini ha espresso la speranza che la soluzione della disputa sul nome tra Atene e Skopje possa contribuire alla stabilità, ma ha suggerito che la successiva adesione della Macedonia alla NATO sarebbe un "errore con conseguenze".

"Certo, non lanceremo bombe nucleari ... Come ho detto, ogni paese ha il diritto di prendere le proprie decisioni e commettere i propri errori. Eppure, ci sono degli errori... Ci sono degli errori che hanno delle conseguenze", ha detto, quando gli è stata chiesta la reazione della Russia alla possibile adesione della Macedonia alla NATO alla luce del recente accordo sul nome ufficiale del paese.

Ha anche commentato l'accordo stesso.

"A mio avviso, questo problema avrebbe dovuto essere risolto molto tempo fa, per permettere ai due paesi di avere relazioni di buon vicinato e cooperazione. Per quanto riguarda la sostanza [dell'accordo], vedremo come si svilupperà la situazione, poiché sappiamo che non è stato accolto con reazioni unanimi in entrambi i paesi ", ha detto Chizhov.
Ha aggiunto di non voler commentare i processi costituzionali relativi al cambiamento del nome del paese e ha espresso la speranza che la disputa sul nome possa essere risolta a livello bilaterale senza interferenze esterne.

"Anche se speriamo che questo accordo promuova la stabilità nei Balcani e la cooperazione tra i due stati, non dovrebbe essere visto come una scusa per una rapida adesione del paese vicino all'alleanza militare", ha sottolineato il diplomatico.
La Russia non si oppone all'allargamento dell'UE poiché ogni paese ha il diritto di prendere le proprie decisioni, ma ha una posizione leggermente diversa sulla NATO, ha aggiunto.
"L'allargamento della NATO è qualcosa di diverso. Fondamentalmente, si tratta di un tentativo di contrastare minacce e sfide del XXI secolo attraverso mezzi e automatismi del XX secolo ", ha concluso.

 

Il 17 giugno, Atene e Skopje hanno firmato un accordo su un nuovo nome dell'ex Repubblica jugoslava, accettando di rinominare il paese in “Repubblica della Macedonia del Nord” . Venerdì, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha annunciato che l'alleanza inviterà la Macedonia ad avviare colloqui per l'adesione durante l'imminente vertice della NATO a Bruxelles previsto per l'11-12 luglio, dato che la disputa sul nome, da tempo un punto critico nelle relazioni tra i due paesi,  sembra essere stata risolta.

La Macedonia ha ottenuto l'indipendenza dalla Jugoslavia nel 1991. Atene è stata in contrasto con il paese riguardo la sua denominazione, sostenendo che la Macedonia potrebbe avere rivendicazioni territoriali verso la stessa regione della Grecia con lo stesso nome. Nell'accordo bilaterale provvisorio del 1995, la Grecia ha convenuto che il termine FYROM (Former Yugoslavian Republic Of Macedonia, Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia) sarebbe stato attribuito alla Macedonia fino alla risoluzione della controversia.

 

Mercoledì scorso, il parlamento Macedone ha ratificato con la maggioranza dei voti il disegno di legge sull'accordo con la Grecia sulla ridenominazione del paese. Il progetto di legge verrà ora inviato al presidente Gjorge Ivanov, che ha già detto di non volerlo firmare. Se il presidente pone il veto sul progetto, il documento richiede una ratifica ripetuta con una maggioranza assoluta.
Il nuovo nome della Macedonia dovrebbe essere approvato dal pubblico con il referendum. Inoltre, i governi greco e macedone dovrebbero firmare un trattato bilaterale e si dovrebbero apportare modifiche alla costituzione macedone.

La risoluzione di una controversia durata anni tra i due paesi spiana la strada alla Macedonia per aderire alla NATO e all'Unione europea.

 

 


“Irresponsabile "- Un esperto macedone sul prossimo referendum.

 

“ Il fattore estero che ci parla quotidianamente dei valori europei è guidato esclusivamente dalle nostre stesse priorità ", scrive Vladimir Kofchegarski, presidente del Consiglio Commerciale Macedone della regione Asia-Pacifico per il portale MCD.
L'autore fa riferimento agli appelli dei leader della Macedonia, che considerano irresponsabile boicottare il referendum del 30 settembre sul nome del paese, e ricorda come le stesse forze politiche hanno boicottato il referendum sull'organizzazione territoriale nel 2004, chiedendo che i membri del partito rimanessero a casa .. Descrive questa situazione come un chiaro esempio di due pesi e due misure.

L'analista ritiene che il partito al governo voglia utilizzare il referendum come uno scontro tra le due maggiori forze politiche, il SDSM e il VMRO, classificando le persone come sostenitori dell'una o dell'altra parte, a seconda di come intendono votare nel referendum. Creando così la falsa impressione che non ci siano altre possibilità tranne queste due.
"Sembra che viviate ancora al tempo in cui c'erano solo VMI e SDSM senza una terza opzione. E posso far vedere questionari che dimostrano che negli ultimi 5-6 anni i partiti più grandi hanno avuto solo il 35-38% del supporto combinato, e sono scontenti del 38-41%. La gente aspetta da anni dei cambiamenti nel clima politico ", osserva Kofchegarski.

 

"Irresponsabilità - la dichiarazione del primo ministro Zoran Zayev poche settimane fa che il referendum sarà obbligatorio, dopo di che ha corretto – sarà consultivo! Irresponsabilità - firmare un accordo a nome del popolo, e solo dopo chiedere il consenso delle persone, invece di chiedere prima e poi farlo! Irresponsabilità - riunire tre argomenti diversi contemporaneamente in una sola formulazione. Ad esempio, io sono per l'UE, ma contro la NATO e contro l'accordo sul nome del paese. E come voto?! (Domanda: "Sei per l'UE e la NATO con l'applicazione del Trattato di Prespa?") Offri alle persone limoni, cedri e arance e chiedi che le persone votino come se fossero lo stesso frutto! Ma la gloria di madre natura - non è così! “

 

 "Irresponsabilità è quando un elemento straniero, presumibilmente "amico", parla quotidianamente dei valori europei, ma tace quando è necessario arginare la corruzione e il crimine. Un "amico" che ha solo le sue priorità e niente di più. Questo nostro "amico" è intervenuto esclusivamente in due episodi chiave: durante le elezioni e poi probabilmente abusando della Commissione Elettorale Statale e dell'Agenzia Anticorruzione, come se il resto del sistema fosse perfetto e pronto per l'UE - oops, chiedo scusa, per la NATO . E nel paralizzare questi due sistemi, ci hanno fatto capire che non ci sarebbero state campagne elettorali prima dell'adesione alla NATO. I veri amici dovrebbero condannare il nepotismo e la corruzione.”

 

Alla fine dell'articolo, l'autore sottolinea ancora una volta che il referendum sul nome della Macedonia in pratica porta all'adesione alla NATO e soddisfa gli interessi dei cosiddetti “amici”. "Amici" che vogliono bloccare la presunta "influenza Russa" nei Balcani.
"Alcuni dei sostenitori di questo gruppo ci esortano tutti i giorni e ci chiedono, se siamo contrari, di essere democratici e votare contro. Uso il mio diritto democratico di votare contro, ma voglio boicottare, in modo che la mia voce sia al riparo da questa specie di cucina democratica", scrive Kofchegarski.

 

La Macedonia sul filo del rasoio tra i timori di manipolazione nel prossimo voto di appartenenza alla UE e alla NATO

 

I macedoni andranno alle urne il mese prossimo per decidere se cambiare o meno il nome del loro paese in "Repubblica della Macedonia del Nord" in conformità con una domanda greca di vecchia data; si prevede che il cambio di nome possa rimuovere il principale ostacolo per la futura adesione di Skopje all'Unione Europea e alla NATO.
Un recente sondaggio condotto dal Centro Macedone per la Cooperazione Internazionale (MCIC) ha rilevato che una pluralità di macedoni sembra essere favorevole ad aderire ai blocchi economici e di sicurezza occidentali come contropartita al cambio di nome.
Alla domanda: "Sei favorevole all'adesione all'UE e alla NATO, accettando l'Accordo tra la Repubblica di Macedonia e la Repubblica di Grecia", il 41,5% degli intervistati ha dichiarato di essere a favore, con il 35,1% che si dice contrario, il 12,4% afferma che avrebbe boicottato il voto, il 9,2 per cento ha dichiarato di non avere ancora deciso e l'1,9 per cento ha rifiutato di rispondere.

 

Un totale del 66,4 per cento degli intervistati ha dichiarato che avrebbe votato, il 19,8 per cento che avrebbe boicottato il voto e l'11,9 per cento è ancora indeciso.
Aleksandar Mitevski, osservatore politico con base a Skopje,  afferma che i risultati di questo sondaggio dovrebbero essere presi con un bel po' di scetticismo, visto che il MCIS è una emanazione del Primo Ministro Zoran Zaev e della sua Unione Socialdemocratica di Macedonia, che ha spinto per l'ingresso del paese nelle istituzioni occidentali in cambio del cambio di nome.

 

"Il nostro governo ha recentemente commissionato un altro sondaggio sull'opinione pubblica che ha rilevato che quasi il 70 per cento dei macedoni si è oppone all'idea di aderire sia all'UE che alla NATO se ciò comportava il cambiamento del nome dello stato e ha a l'intenzione di boicottare il referendum" Mitevski ha detto a Sputnik Serbia.
Secondo lo scienziato politico, a Bitola, la seconda città più grande della Macedonia, solo il 22% degli intervistati pensava di votare al referendum, con il post su Facebook di Antonio Milososki, ex ministro degli esteri e politico dell'opposizione VMRO-DPME, che ha provocato dibattiti e attenzione dei media.

 

"[Il governo] ha nascosto per un mese i risultati di quell'indagine, e posso solo interpretare il sondaggio [MCIC] come l'intenzione di manipolare i risultati del referendum", ha avvertito Mitevski.
L'osservatore politico ha anche indicato altri recenti sondaggi che hanno mostrato un'affluenza prevista compresa tra il 28 e il 33%, cifre in contrasto con i dati del MCIC e ben al di sotto del 70% di affluenza richiesto per il riconoscimento ufficiale dei risultati del referendum.

 

Alla fine del mese scorso, il portale web macedone MKD ha pubblicato i risultati del proprio sondaggio, condotto da Market Vision, società di ricerche sull'opinione pubblica,  rilevando che il 47,9% degli intervistati sarebbe favorevole a rinominare il paese per aderire alle istituzioni occidentali, mentre il 52,1%  sarebbe contrario. Inoltre, analizzando i dati per gruppi etnici, il sondaggio ha rilevato che il 71,7 per cento dei votanti di etnia Macedone sarebbe contrario, con il 94,7 per cento dei votanti di etnia Albanese a favore. Si ritiene che l'etnia Albanese costituisca il 25% della popolazione della Macedonia secondo l'ultimo censimento del 2002.

 

Un altro sondaggio, organizzato dall'Organizzazione della Diaspora Macedone Unita, ha rilevato che circa il 90% degli intervistati era contrario alla modifica del nome.


Secondo Mitevski, solo il 14-15% dei Macedoni Albanesi e non più del 20% degli abitanti di etnia Macedone in realtà preferiscono cambiare il nome del paese. "In Macedonia, a parte i partiti della coalizione di governo, tra cui l'Unione Socialdemocratica e l'Unione Democratica per l'Integrazione [il più grande partito che rappresenta la minoranza albanese], non ci sono altre forze politiche che sostengono questo referendum. Queste due parti non saranno in grado di garantire il 70 percento di affluenza necessaria per il riconoscimento del referendum" ha affermato l'analista. "Questo", ha detto, "sarà possibile solo se falsificheranno i risultati del referendum nello stesso modo in cui hanno falsificato i risultati del sondaggio MCIC".

 

Da parte sua, l'ex ministro degli esteri macedone Denko Maleski ha dichiarato di sostenere il referendum, dichiarando a Sputnik Serbia che il voto è una "buona occasione" per spezzare un "circolo vizioso lungo il quale ci muoviamo da 30 anni, senza trovare un compromesso con la Grecia. "
"Oggi, c'è una situazione internazionale unica, che dovrebbe essere sfruttata, vista la volontà di entrambi i governi di sfuggire ai vincoli del nazionalismo. Per questo motivo, boicottare il referendum non è una buona idea ", ha affermato Maleski.

 

I macedoni andranno alle urne il 30 settembre. Macedonia e Grecia sono state coinvolte in una disputa riguardante il nome del paese balcanico da quando ha dichiarato l'indipendenza dalla Jugoslavia nel 1991, con Atene che afferma che il nome esistente implica rivendicazioni territoriali sulla Macedonia greca e che ha intenzione di bloccare l'accesso della Macedonia all'UE e alla NATO fino a quando non cambierà il suo nome.
A giugno Atene ha annunciato che è stato raggiunto un accordo con Skopje per rinominare il paese da "Repubblica di Macedonia" a "Repubblica della Macedonia del Nord". L'accordo prevede anche la rimozione dei riferimenti al "popolo macedone" nella Costituzione della Macedonia e la rimozione del “Sole Vergina”, che è apparso sulla bandiera del paese prima del 1995, derivato da simboli di stato.
Il parlamento macedone ha ratificato l'accordo il mese scorso, con il governo di coalizione al potere che annuncia il referendum. Il VMRO-DPMNE, il principale partito di opposizione della Macedonia, ha minacciato di boicottare il referendum e ritiene che l'accordo del governo con Atene sia "proditorio e frutto di tradimento".

 

 

Stoltenberg: la porta della NATO è aperta alla Macedonia

 

Il primo ministro Macedone Zoran Zaev ha commentato il futuro del suo paese come membro della NATO durante una conferenza stampa a fianco del segretario generale della NATO Jens Stoltenberg a Bruxelles venerdì scorso.
SOT, Zoran Zaev, Primo Ministro della Macedonia (macedone): "Passo dopo passo, in un solo anno il Paese ha realizzato ciò che nessuno avrebbe potuto prevedere. Il nostro approccio che ha riunito una forte volontà politica, un dialogo onesto e la ricerca di soluzioni, ci ha recentemente portato notizie e decisioni felici. Molte cose rimangono da fare, ma ora sulla nostra strada abbiamo davvero qualcosa intorno cui unirci e dire, insieme, sì al nostro futuro, sì al futuro della Macedonia, vogliamo essere forti per noi, per il nostro paese e per il futuro delle nostre prossime generazioni . Diciamo di sì alla nostra alleanza con gli Stati membri della NATO".

 

SOT, Zoran Zaev, Primo Ministro della Macedonia (Macedone): "Sono contento di aver visto qui la nostra collocazione, il nostro posto qui è pronto, abbiamo visto il nostro posto sul muro su cui ci sono tutti gli Stati membri, il luogo della Macedonia è lì, abbiamo visto il posto dove la nostra bandiera dovrà essere issata".

 

Traduzione di Giorgio F. per CIVG

Fonti: Sputnik MK, News Front, Euractiv

 

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