Jugoinfo

SLOBODAN MILOSEVIC GEGEN HAAGER "TRIBUNAL":
EIN KAMPF GEGEN DIE GLOBALISIERUNG DER BARBAREI
AUF DEM GEBIET DES INTERNATIONALEN STRAFRECHTS

Von Klaus Hartmann und Klaus von Raussendorff
(Der Artikel erscheint demnächst in
"junge Welt" und "Marxistische Blätter")

> http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/haag_raus.txt
> http://www.free-slobo.de

ZUSAMMENFASSUNG:
Der Kampf des Slobodan Milosevic gegen
das "International Criminal
Tribunal for the former Yugoslavia"
(ICTY) richtet sich gegen ein
ad-hoc-Tribunal, das von den USA und
ihren Verbündeten als Werkzeug ihrer
Aggression auf dem Balkan geschaffen
wurde. "ICTY, das ist das Kürzel für
eine neuartige internationale Strafjustiz
mit folgenden Merkmalen:
Mandatierung als ad-hoc-Tribunal durch
den Sicherheitsrat ohne Grundlage in
UN-Charta und internationalem Recht;
Abkopplung vom Meinungs- und
Willensbildungsprozeß der
Staatengemeinschaft in der
UN-Generalversammlung;
Selbstdefinition der Verfahrensregeln;
Tätigwerden als zweite Instanz in
eigener Rechtsprechung; Abschirmung gegen
die gutachterliche Funktion des
Internationalen Gerichtshof." Die
Anklägerin Carla Del Ponte fordert
öffentlich, "Milosevics Recht auf freie
Meinungsäußerung" einzuschränken.
Der Prozess scheint auf Jahre angelegt.
Mit der schieren Masse von Kriegs-
und Bürgerkriegsvorfällen in "Kosovo",
"Kroatien" und "Bosnien" hoffen
Tribunal und Kriegsmedien die in die
Köpfe gehämmerten Bilder und Deutungen
des Geschehens auf dem Balkan wieder zu
festigen und die NATO von ihren
Verbrechen freizusprechen.
"Milosevics Kampf ist nicht das
verzweifelte letzte Aufbäumen eines
ehemaligen Führers eines kleinen, von den
Transnationalen Konzernen und
ihren NATO-Regierungen unterworfenen
Landes. Sein Kampf ist nicht einfach
Verteidigungsstrategie in einem
politischen Schauprozeß. Milosevic kämpft
gegen eine Institution, die Parteilichkeit
und ungleiches Recht zum Prinzip
erhoben hat. Ziel seines Kampfes ist
nicht einfach, wie sonst in politischen
Prozessen üblich, politisch motivierte
Rechtswillkür einer im Rahmen der
bürgerlichen Rechtsordnung ansonsten
'normalen' rechtsprechenden Instanz
abzuwehren und zu entlarven. Der
'Angeklagte' Milosevic steht in Den Haag
gegen ein neuartiges Konzept, das mit dem
Grundsatz gleichen Rechts
definitiv gebrochen hat. Das Haager
'Tribunal' wurde illegal geschaffen. Es
ist von vornherein Partei. Die Natur des
Tribunals selbst verhindert einen
'fairen Prozeß'. Der Kampf gegen das
Haager 'Tribunal' ist der Kampf gegen
einen Modellversuch der Anpassung des
internationalen Strafrechts an die
neue Weltkriegsordnung der USA,
Deutschlands und ihrer Verbündeten. Es
ist der Kampf gegen den Rechtszynismus
der konzerngesteuerten Medienöffentlichkeit,
unter deren Einfluß auch die Linke steht. Dem
'Angeklagten' in Den Haag gebührt die
Anerkennung und Solidarität der
friedliebenden und rechtsbewußten
Menschen aller Länder."
"...die ersten drei Auftritte Milosevics
vor dem 'Tribunal' haben weltweites
Aufsehen erregt. Selbst seine Kritiker
konnten zur eigenen Überraschung
einen souverän auftretenden und brillant
argumentierenden Verteidiger der
Freiheit und Souveränität der Völker
erleben. Wenn nur einige Regierungen,
z.B. Chinas und Rußlands, mutig und
unabhängig genug wären, könnte sich
Widerstand gegen Den Haag auch in den
Vereinten Nationen regen." Die Autoren
des Beitrags, die dem Internationalen
Komitee für die Verteidigung von
Slobodan Milosevic angehören, appellieren
insbesondere an Menschen in der Anti-Kriegs-
und Anti-Globalisierungsbewegung mit dem
Argument, dass das Haager Tribunal nichts
mit "normalem" internationalen Strafrecht
zu tun hat sondern ein Werkzeug zur
Durchsetzung der Weltkriegsordnung ist,
gegen die sie protestieren und Widerstand
leisten, und dass daher der Kampf von
Slobodan Milosevic auch ihr Kampf sein sollte.

> http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/haag_raus.txt
> http://www.free-slobo.de

SOLDATINI

------- Forwarded message follows -------
Date sent: Mon, 26 Nov 2001 07:38:10 +0100
To: pck-pcknews@...
From: Alessandro Marescotti
Subject: padroni della guerra, anno 2001
Forwarded by: news@...


Padroni della guerra

A guidare le Forze Armate italiane in guerra è il ministro della
Difesa Antonio Martino, che a suo tempo non ha fatto il militare: fu
riformato per "ridotte attitudini militari". Anche il ministro degli
Esteri Renato Ruggiero è stato sfortunato: quindici giorni prima di
indossare l'uniforme cadde dagli sci a Roccaraso e ottenne l'esonero.
Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha fatto solo pochi
giorni di Car (Centro addestramento reclute) e poi è ritornato a casa:
non ha avuto neanche il tempo per scattarsi una foto col fucile in mano
da inserire nella sua biografia illustrata, quella distribuita a
tutti gli italiani per le elezioni. Il leader dell'opposizione Francesco
Rutelli le armi non le voleva assolutamente usare e si è dichiarato
obiettore di coscienza: tuttavia ora è schierato per la guerra. Il
presidente degli Stati Uniti George Bush ha invece fatto il servizio
militare (a differenza di Bill Clinton) ma come il suo predecessore non
ha provato l'emozione del Vietnam.
Volete un'informazione utile? Se state partendo per il militare
controllate se avete una sinusite cronica: basta per non indossare la
divisa e seguirete così le orme del ministro degli Interni Claudio
Scajola.
Il sottoscritto ha fatto le guardie armate con la broncopolmonite
cronica, ma pazienza, gli sarà sfuggita qualche informazione. Al
ministro Umberto Bossi invece non è sfuggito nulla: "nipote di
inabile" ha saputo sfruttare una vecchia leggina che ad alcuni milioni
di italiani è forse sfuggita.

Alessandro Marescotti

N.B. Per la stesura del testo mi sono avvalso delle informazioni
apparse sul Corriere della Sera del 7/11/2001.


------- End of forwarded message -------

(na talijanskom i na srpskohrvatskom)

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PRIMA PUNTATA: BERNARD APPOGGIA I CONTRAS
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Nella prefazione a "Della guerra come politica estera degli Stati
Uniti", una semplice raccolta di 6 articoli di N. Chomsky alla ricerca
dell'ingrato lettore francese, Jean Bricmont parla del "piccolo mondo
dei grandi media", per spiegare come "la buona parte degli
intellettuali francesi fosse politicamente sempre piu' passiva, piu'
che altrove in Europa, prima durante la lotta contro gli euro-missili,
poi durante la guerra del Golfo ed il genocidio in Ruanda, per finire
decisamente bellicista durante gli interventi in Bosnia e Kosovo".

A questo punto troviamo la seguente nota dell'editore: "Sebbene la
passività fosse la tendenza generale, i filosofi mediatici non hanno
tardato a sostenere - molto attivamente - la politica estera di
Reagan; cosicche' i vari Bernard-Henri Levi e André Glucksman insieme
a quel Jean-François Revel firmarono una petizione d'appoggio ai
contras in Nicaragua, indirizzata al Congresso USA."

(Per chi fosse interessato alla prefazione di Jean B. segnaliamo che è
stata riportata da "Le Monde diplomatique" e si puo' trovare nel
supplemento di febbraio de "Il Manifesto". E' interessante
principalmente in quanto analisi del mancato successo francese di
Chomsky.

Titolo: Noam Chomsky: De la guerre comme politique étrangére des Etats
Unis, préface de J. Bricmont, Agone éditeur, 2001)

SRPSKO-HRVATSKI

Naslov knjige: "Noam Comski, O ratu kao spoljnij politici SAD",
predgovor Zan Brikmo, u izdanju Agon, februar 2001 U predgovoru Z.
Brikmona za 6 clanaka N. Comskog sabranih pod gornjim naslovom, u
delu gde Zan govori o "polusvetu medijskih intelektualaca da bi
objasnio da su francuski intelektualci mahom bivali sve pasivniji i
pasivniji, mnogo vise nego drugde u Evropi, prvo za vreme borbe protiv
euro-raketa, zatim tokom rata u Zalivu i genocida u Ruandi, da bi
konacno, za vreme intervencije u Bosni i Kosovu postali odlucne
pristalice rata", nalazimo sledecu fus-notu urednika izdanja:"mada je
sklonost ka ravnodusnosti bila opsta pojava, medijska inteligencija je
podrzala vrlo brzo - i vrlo aktivno- Reganovu spoljnu politiku, tako
da su takvi kao B. H. Levi i A. Gluksman zajedno sa nekakvim Z. F.
Revelom potpisali peticiju u znak podrske kontrasima u Nikaragvi. Ta
je peticija glasila na americki Kongres."


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SECONDA PUNTATA: DIFENSORE DELLA LIBERTA'
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Estratto da "PLPL - Pour Lire Pas Lu" (Per leggere il non letto) "il
giornale che non mente e che prende di mira il potere, la sinistra
molle e i padroni", N° 0, giugno 2000.

IL LACCIO D'ORO

La lotta è accanita, pero'
PLPL sempre equanime,
il laccio d'oro
consegnera'
alla penna del piu' servile.

Editorialista associato di "le Monde", direttore di una collana di
libri presso Grasset (gruppo Matra-Hachette) e cronista di "le Point"
(il padrone di questo giornale è François Pinault), Bernard-Henri Lévy
è anche un caro amico di Jean-Luc Lagardère (il padrone di
Matra-Hachette e mercante d'armi).

Nel testo che segue ("le Point", 5 maggio 2000) il grande filosofo
delle libertà, prende le difese di un industriale perseguitato dalla
giustizia: "Quando ci capita di vedere un capitano dell'industria come
Jean-Luc Lagardére sbattuto davanti ai giudici, anche se a quanto pare
non abbia fatto niente per impedire l'arricchimento nè della propria
impresa ne della collettività, non ci restano che due possibili
reazioni ..."
Tuttavia piu' in là BHL precisa: "Jean-Luc è un amico. Quello che
apprezzo in lui e' questo suo stile da grande condottiero, da Cirano
che sa il fatto suo."
E vero, "l'amico" Lagardère ha finanziato con F. Pinault l'ultimo film
di BHL, "Il Giorno e la Notte", un pessimo film fallimentare.
PLPL si felicita con BHL: leccare è un affare delicato quando le
ghiandole salivari sono compresse dal laccio d'oro.

SRPSKO-HRVATSKI

Preuzeto bez pitanja iz PLPL, Pour Lire Pa Lu, (Sta Stampa ne Stampa)
"novina koje ne lazu" a izlaze kao dvomesecnik u Parizu. "Na meti PLPL
su vlastodrsci, levi mekusci i gazde" Jun 2000. br. 0

ZLATNA UZICA

I u najzescoj konkurenciji,
PLPL nepristrasno nagradu dodeljuje
samo najvecoj ulizici.

Spoljni saradnik "Le Mond-a", direktor izdanja kod Grase (Grasset u
sastavu Marta-Hachette) hronicar u listu "Point", BERNAR-ANRI LEVI je
takodje i prijatelj ZAN-LUK LAGARDERA koji je ne samo gazda preduzeca
Matra-Hachette vec i trgovac oruzjem. U tekstu sto sledi ("Le Point",
5.maja 2000.) veliki filozof i ljubitelj slobode zauzima se za
industrijalca koga sud progoni:
"Kad covek vidi kapetana industrije kakav je Zan-Luk Lagarder kako se
povlaci po sudovima, a da nije, a kazu da nije, onemogucio bogacenje,
ni svom preduzecu, ni zajednici, moze da bira izmedju dve moguce
reakcije ...."
Malo dalje u istom tekstu BHL pojasnjava : "Zan-Luk je moj prijatelj.
Volim kod njega tu zicu velikog vojskovodje, Sirana koji tera po
svom."

Tacno je da su prijatelji, Lagarder je sa F. Pinoom finansirao
najnoviji film Bernara-Anrija, "Dan i Noc", pravo djubre od filma koje
je progutalo ogromne pare.

PLPL cestita Bernar-Anriju : Ulizivanje je vrlo slozen napor kada
zlatna uzica steze pluvacne zlezde.


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TERZA PUNTATA: BERNARD COSMOPOLITA TUTTOLOGO
=============

PLPL n° 1 ottobre 2000

Le disavventure d'un analfabeta mondano

Editorialista associato a "Le Monde" BHL è anche un grande cronista.
Ha esordito con l'Algeria offrendoci un'analisi approfondita sulla
situazione (quattro pagine, 8-9/01/1998), ha minuziosamente descritto
una giornata qualunque di un combattente in Afganistan (due pagine
13/10/98), dall'Austria ha riportato i suoi commenti filosofici (2
pagine 2/03/00), ha ricordato che in Germania vivono i tedeschi
(quattro pagine 5-6/02/99).

Cambiamento di tono il 14 ottobre: toccava alla Bosnia (due pagine).
Albania, Angola e Argentina hanno subito espresso il proprio sollievo
mentre Belgio, Brasile e Botswana stanno per chiudere le frontiere.

PLPL n°1 oktobar 2000

Potucanja belosvetskog nepismenjakovica

Spoljni saradnik "Le Monda", BH Levi je takodje i veliki reporter.
Poceo je istancanom analizom dogadjaja u Alziru (4 strane 8-9/01/98).
Do tancina je opisao dan jednog ratnika u Avganistanu (dve strane,
13/10/98). Svoja filosofska zapazanja preneo je iz Austrije (2 str.
2/03/00) i podsetio da Nemacku nastanjuju Nemci (4 str. 5-6/02/99).
A onda je promenio slovo 14 oktobra ove godine. Dosla je na red Bosna
(dve str.).
Albanija, Angola i Argentina su tom prilikom sa olaksanjem odahnule,
a Belgija, Brazil i Bocvana se spremaju da zatvore granice.


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QUARTA PUNTATA: SQUADRISTI A PARIGI
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Stralci dall'intervista a Peter Handke effettuata dal giornalista
televisivo tedesco Martin Lettmayer nel gennaio 1997 e riportata in
inglese sul sito del Congresso dell'Unità Serba:
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1417
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1418


DOMANDA: Il sig. Levy e il sig. Finkielkraut, naturalmente l'hanno
attaccata...

HANDKE: Esatto. Ma loro non sono scrittori. Loro sono "I nuovi
filosofi". Non so perché siano stati chiamati "nuovi" o "filosofi".
C'è stata un'epoca all'inizio della guerra in cui loro hanno avuto
bisogno di me. Avevano bisogno di qualcuno che non fosse un filosofo,
ma un autore, un autore riconosciuto che, al contrario di loro, avesse
una qualche conoscenza della Jugoslavia. Dopo alcuni incontri con
Finkielkraut e Bernard Henri Levy, mi fu chiaro che loro volessero
soltanto usarmi. Ma appena presi le difese della Serbia, non mi
vollero più vedere. Questo è un gruppo veramente poco comunicativo. E
appartiene al Quarto Reich. Ci sono un sacco di soldi in ballo. E
potere. In Francia i libri e i mezzi elettronici sono completamente
controllati da una catena di gente come questa. Non si riesce più a
far arrivare nessuna notizia. La stampa francese e la TV sono
pressoché totalmente sotto il controllo di Bernard Henri Levy, così
come di Finkielkraut. Alcune persone lo ridicolizzano, ma in virtù di
tutti quegli indecenti, decorati, pessimi diari che lui [Levy]
pubblica sulla guerra in Bosnia, nessuno lo attacca più. Non un
singolo attacco. Prendono tutto come una buona letteratura. Tutto
quello che basta fare è prendere un paio di frasi nel dizionario
Robert's dei luoghi comuni. Il suo lavoro è sbagliato nei suoi punti
di vista, e pieno di errori di grammatica. Da non credere. Ma nessuno
fa niente. C'è in giro un sacco di denaro, e di potere. Tutto questo
mi fu chiaro dopo che mi incontrai un paio di volte con i "nuovi
filosofi". Decisi di non firmare nulla. E non sarei più andato ai loro
incontri. Hanno usato questo fatto contro di me, ma è meglio così.

DOMANDA: Questi signori Finkielkraut e Levy pero' mi interessano.
Potrebbero guadagnare soldi scrivendo altro, invece il primo elogia la
democrazia di Tudjman, l'altro dice che l'Europa inizia a Sarajevo.
Chi li ha ingaggiati?

HANDKE: Gli intellettuali (non intendendo niente di negativo) non sono
a corto di denaro, oggigiorno. Perciò non è il denaro che li spinge.
E' il potere, il potere più del denaro. Certamente denaro e potere
sono strettamente connessi. Bernard Henri Levy, credo, non ha una
spiegazione per la sua demonologia. E' taciturno, ma ingannevole.
Taciturno e ingannevole, malizioso. E' una meraviglia speculare come
il suo diario di Bosnia ci mostri una quadro in cui esiste un secondo
potere, oltre a quello del governo, di Chirac, etc., un potere etico e
morale. Questo è quello che lui immagina. Ma questa è la difficoltà,
poiché moralmente ed eticamente, lui è una papera morta. (Come noi
diciamo in un proverbio austriaco, "sotto il cane").

Una volta vidi una scena girata, penso, dalla TV tedesca, in cui Levy
va al Centro Culturale Jugoslavo a Parigi, con un gruppo di suoi
seguaci. A questo punto la donna che dirige il centro desidera
chiudere l'edificio. Lei rifiuta di passare la chiave agli intrusi.
Levy e il suo assistente, prendono la chiave alla donna con la forza.
Per due o tre minuti questa donna, abbastanza anziana, urla, grida:
"No, non voglio darvi la chiave, non vi appartiene. Non potete entrare
qui."

Levy rimane li, proprio come il commissario comunista dei film di
seconda categoria con il suo soprabito di pelle nero, e, sorridendo,
osserva il suo amico mentre rigira e strappa la chiave dalle mani
della donna. Questa immagine dovrebbe essere trasmessa dai notiziari
della sera, per tutti i tre minuti, su ogni emittente TV del mondo per
far vedere come questo autoproclamato difensore di Sarajevo e della
Bosnia, si comporta con la gente di tutti i giorni. Mi piacerebbe che
tutto il mondo lo guardasse.

DOMANDA: E' convinto che tutte queste persone che oggi fanno queste
cose, potranno correggersi?

HANDKE: No, sarebbe troppo facile. E' tragica, la storia della
Jugoslavia, la storia dell'Europa in questo secolo. Come la storia
avviene e come la storia viene scritta, sono due cose unite insieme.
Questa storia va insieme con la storia del popolo ebreo. Queste sono
le due storie tragiche. E probabilmente non saranno corrette. Pensare
in questo modo, che un giorno le cose potranno essere viste
differentemente, penso, sarebbe un falso ottimismo. Questa gente non
cambia. Con il loro linguaggio e le loro immagini hanno commesso così
tanti crimini, crimini veri, contro la Jugoslavia. Ci sono crimini che
possono solo essere perpetuati. Non c'è via di ritorno.


(a cura di Olga, da Parigi, e di Andrea, da Roma)

Da "Stvarnost", bollettino del SKJ u Srbiji (Lega dei Comunisti di
Jugoslavia in Serbia), Belgrado, marzo-giugno 2000

IL GUSTO AMARO DELLA PRIVATIZZAZIONE

La "geniale scoperta", da parte dei teorici borghesi a meta' degli
anni Ottanta, del fatto che tutti i mali dell'economia socialista
avrebbero origine per lo piu' dalla defezione della iniziativa
privata e dalle sovrastrutture politico-economiche eccessivamente
burocratizzate, avrebbe forse potuto anche ingannare quegli
osservatori non sufficientemente informati, o quelli in cattiva fede.
In parte, la crisi e' stata certo dovuta proprio al sistema economico
molto rigido vigente nell'ex Unione Sovietica. Tuttavia, i rimedi
essenziali erano stati gia' approntati, in laboratori da lungo tempo
dimenticati, da parte di inventori un tempo in disgrazia, sulla base
di ricette del secolo scorso.

Con l'ideologia ben mascherata del "monetarismo" e' iniziata - con
l'aiuto del conservatorismo aggressivo e subdolo i cui portavoce sono
stati Margaret Thatcher e Ronald Raegan - la messa in pratica, o
meglio la rivincita di uno spettro del passato. Tutto quello che si
era concluso con la rottura degli anni Trenta, nota come "Grande
crisi economica" e risoltasi con la Seconda guerra mondiale, adesso
ha ripreso vigore. Innanzitutto sono risorte le regole inviolabili
del capitalismo liberale, grazie ad una abile messa in scena, e con
la regia del "ceto giornalistico". I bilanci parificati, una labile
legislazione sociale, la flessibilita' della forza-lavoro, la
frantumazione dei sindacati, la rigida politica monetaria nonche' il
controllo onnipresente hanno intorpidito ed ubriacato la maggiorparte
del mondo socialista, gia' ben drogato dalle proprie sciocchezze. Il
risveglio da ogni ubriacatura anzitutto significa intontimento, e
proprio questa e' la fase in cui si trovano adesso molte societa'
dell'ex blocco orientale.

Uno degli elementi piu' importanti nella neo-liberalizzazione
generalizzata del panopticum economico mondiale e' incarnato da
una "parola magica": privatizzazione. Come funziona la sua
realizzazione, da che cosa e' motivata, qual e' il suo ruolo
nell'odierna mondializzazione dei mercati globali?

A differenza di quanto pensano numerosi teorici dell'economia, che
fanno della privatizzazione un elemento cruciale della ricostruzione
di ogni economia avviata al moderno sistema di produzione, essa ha
anche altri aspetti che non sono neanche poi cosi' produttivi come
vorrebbero sostenere questi fautori delle "soluzioni di transizione".
Tale processo ha avuto il suo impulso iniziale con la politica
thatcheriana (...). Dapprima esso e' stato stimolato per garantire
grandi mezzi finanziari, per ragioni del tutto pratiche, per il
riequilibrio dei bilanci statali, che e' la leva centrale della
politica neoconservatrice. Piu' tardi, alla privatizzazione si e'
attribuito un forte stimolo economico nell'ambito della generale
prostrazione alla microeconomia e dell'uscita dalla politica
cosiddetta "di deficit finanziario".

Bisognerebbe ricordare che proprio con l'aiuto del deficit di
bilancio e' stato edificato l'intero sistema post-bellico della
societa' capitalista occidentale. Si nasconde accuratamente il fatto
che queste economie hanno costruito il loro alto standard di
produttivita' proprio su misure semi-socialiste di carattere
pianificato, sul mercato controllato della forza-lavoro, su forti
strumenti di regolazione della politica agricola e su lavoratori
fortemente tutelati, dietro ai quali erano sindacati forti. Tutto
cio' e' stato sostenuto da una politica monetaria permissiva. Quando
poi, a causa delle contraddizioni interne e dell'enorme peso
economico, l'intero sistema si e' rovesciato, ai teorici occidentali
non e' rimasto altro da fare che, lasciata da parte la teoria
generale keynesiana dell'interesse e del denaro, ritornare a
soluzioni da lungo tempo abbandonate, il cui principio di fondo e' la
cosiddetta legge di Sej [?] sull'equilibrio tra domanda ed offerta.
Questo principio era caduto con il superamento della gia' menzionata
crisi degli anni Trenta. Una delle "soluzioni di salvataggio" si e'
ora riattualizzata, sotto la forma della privatizzazione.

Questa, concretamente, significa la svendita sul mercato (leggi:
deprezzamento) della fatica pluridecennale e di tutto cio' che le
generazioni prima di noi hanno creato con il lavoro collettivo, per
soddisfare gli appetiti delle grandi compagnie internazionali di
ottenere a basso costo i mezzi di produzione, la forza-lavoro,
determinate posizioni sui mercati esteri e cosi' via.
Lo strumento piu' utile per attuare questo processo e' proprio
l'assegnazione dei diritti di proprieta' agli individui, che
diventano di fatto proprietari isolati di piccole quantita' di beni,
il cui destino logico - nell'ambito di una liberalizzazione
generalizzata - e' un ambito di esistenza precario: la borsa.
Li', in un rapporto fittizio tra domanda ed offerta, si effettua la
trasformazione sostanziale della proprieta' o, per meglio dire, la
svendita ed il trasferimento della proprieta' dalle mani di quelli
che fino a ieri erano i produttori, ora promossi a piccoli
proprietari, alle mani delle grandi compagnie transnazionali.

Il processo di privatizzazione e', appunto, il processo di
ingrandimento della piccola proprieta', che oggi su scala mondiale si
attua sotto il giogo di alcune grandi istituzioni bancarie
investitrici. Anche se tutto cio' e' ancora lontano dal nostro mondo
[nota: l'articolo risale alla primavera del 2000... ndT],
bisognerebbe ben ricordare i nomi di questi enormi dragoni finanziari
che, in soli pochi minuti, possono devastare altrettanto grandi
economie, come erano fino a ieri quella russa, quella brasiliana, o
le economie dell'estremo Sud-est asiatico. Si tratta di compagnie dai
nomi accattivanti, ma dalle intenzioni, in fondo, pericolose, come
la "Goldman Sachs", la "G.P. Morgan", la "Morgan Stanley Dean
Witter", la "Merrevill Linch", ed alcune altre. Di questo molto
probabilmente vi convincerete presto anche da soli.
(Jugoslavo)

[Traduzione a cura della redazione di "Voce Jugoslava" su Radio
Citta' Aperta - http://www.radiocittaperta.it - ogni martedi dalle
ore 13 alle ore 14 in diretta radiofonica nel Lazio, ed ovunque via
internet]